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L’ITALIA CHE NON TI ASPETTI: VIAGGIO NELL'ARTICO IN MEZZO AL MEDITERRANEO
Bigaran F., Mantoni C. - UnivAQ, Falco S., Jacomini C. - ISPRA/SNPA - CN_Lab-BIO
Il cambiamento climatico e l’azione dell’uomo minacciano severamente questi habitat
molto delicati, che rivestono un’importanza enorme per la biodiversità.
In questo poster, andiamo ad analizzare un’importante componente che spesso viene
ignorata, l’escursione altitudinale. Il Mediterraneo risulta essere un’area caratterizzata da
inverni miti ed estati aride, dove non si possono ritrovare facilmente questo tipo di
ambienti, ciò nonostante, alcune glaciazioni passate (Riss e Würm) si sono spinte fino al
centro del Mediterraneo e ne hanno lasciato traccia sfruttando l’effetto altitudinale sulla
temperatura. Ad oggi, i limiti glaciali sono molto limitati rispetto ai livelli massimi
raggiunti, tuttavia si possono ancora ritrovare evidenti morfologie periglaciali sul
massiccio del Pollino, nevai (conche di neve) sui monti Alburni e torbiere acide attive sul
massiccio della Sila.
In un’ottica di conoscenza degli ambienti del Mediterraneo più facilmente “aggrediti” dal
cambiamento climatico, abbiamo deciso di esplorare Pollino e Sila. I siti da noi studiati
sono probabilmente tra i più meridionali nel nostro paese, se non in Europa, dove sia
riscontrabile l’effetto delle passate glaciazioni e dove il cambio climatico, essendo
arrivato prima, è ora già in “fase avanzata”. Avendo l’opportunità di analizzare questi siti
e compararli con altri, situati a una latitudine maggiore, si potranno comprendere
meglio i cambiamenti climatici e creare ipotesi di gestione per mitigarli e combatterli.
IL MEDITERRANEO:
Il Bacino del Mediterraneo è un’area geografica precisa e delimitata dalle coste del nord Africa,
del sud Europa e dell’Asia. È caratterizzato da un clima e da una biodiversità caratteristici, con
inverni miti ed estati con almeno due mesi di siccità continuativa, oltre a due stagioni intermedie
umide (primavera e autunno). La biodiversità che si può riscontrare nel Mediterraneo è altissima,
il mediterraneo è un hotspot di biodiversità con 2400 taxa censiti (circa il 60% endemico), nella
sola penisola italiana si possono contare oltre 7000 taxa vegetali, con un tasso di endemismi
compreso tra il 13 e il 20 %. Per la fauna del suolo italiana, i tassi di endemismo sono ancora
maggiori, arrivando a superare il 60%.
IL REGIME PERIGLACIALE:
L’ambiente periglaciale è caratterizzato dal freddo, un regime climatico non glaciale, e
considerevolmente esposto a un rapido e drastico cambiamento ambientale a causa
del riscaldamento atmosferico (Serreze et al., 2000). Si tratta dell’ambiente che si
riscontra nei pressi dei ghiacciai, un ambiente che accerchia il freddo, aree non
ghiacciate del mondo indipendentemente dalla loro vicinanza a ghiacciai nel tempo o
nello spazio (Ballantyne e Harris, 1994; Gutiérrez, 2005; French, 2007). L’ambiente
periglaciale, inoltre è caratterizzato dalla dominanza di ghiaccio giornaliero,
stagionale o perenne (Thorm, 1993) con poca influenza dei processi nevosi, fluviali,
lacustri e eolici (Thorn, 1992; French, 2007). L’ambiente periglaciale è riscontrabile
nella provincia dell’Antartico e le isole di Peary, nelle provincie a suoli aridi del Nord
America e Eurasia; la provincia a tundra dell’Alaska e ovest del Canada; le steppe
periglaciali della Mongolia, del nord ovest dell’Islanda e Alberta; la taiga associata ai
residui del permafrost formatosi nel Pleistocene (Tricart, 1970); inoltre è riscontrabile
nei climi artici dell’alto artico canadese e Spitsbergen, nei climi continentali del
centro Siberia, nelle fasce climatiche alpine delle Montagne Rocciose del Nord
America, delle Alpi in Europa e dell’altopiano del Tibet (French, 2007)
LE TORBIERE:
Sono ambienti caratterizzati dalla presenza di acqua (sponde di laghi e torrenti, oppure
zone di accumulo idrico come conche di valli chiuse, dove l’acqua permane per la maggior
parte dell’anno) e da una scarsa o nulla degradazione della componente organica che
proviene dalle essenze vegetali presenti. Ciò crea caratteristici accumuli di materiale, detto
torba. Lo spessore di questi depositi può variare da circa 30 cm a svariati metri. In
pedologia, si definisce torbiera un suolo con uno spessore maggiore di 30 cm e con la
presenza di carbonio superiore al 30-35% e che, seccandosi, perde circa il 75% del peso.
Questi ambienti si possono ritrovare facilmente in zone caratterizzate da un passato
dominio periglaciale (zone artico-alpine) spesso in aree interessate dalle passate glaciazioni
(Riss e Würm). Le stazioni più a sud sono collocate sull’Aspromonte, sulla Sila e sul Pollino.
Le essenze vegetali riscontrabili sono prevalentemente igrofile. Questo ambiente riveste
una notevole importanza ed è sottoposto a tutela da parte della direttiva habitat che ne
riconosce differenti tipologie (ISPRA, 2016).
LA BIODIVERSITÀ NELLE TORBIERE
Ecotoni tra acqua e suolo, con popolamenti vegetali tipici e ancora piuttosto poco
studiati, le torbiere mostrano un’elevata diversità. I vegetali guida determinano le
differenti tipologie di torbiera, e di conseguenza le cenosi animali e microbiche che le
popolano. A specie endemiche di questo habitat, si associano specie tipiche degli
ecosistemi confinanti, con una vasta varietà di comunità biologiche corrispondenti.
Tra gli invertebrati, scarsi i molluschi, soprattutto nelle torbiere acide, e diffusi ma poco
diversi gli oligocheti, con specie dominanti Lumbriculus variegatus ed Eiseniella
tetraedra, mentre aracnidi ed esapodi predominano tra gli artropodi. Molte specie
vivono in questi ambienti da migliaia o milioni di anni, risultando identiche a quelle
attribuite ai resti fossili ritrovati negli strati conservativi delle torbiere.
Tra i vertebrati, molte specie sono tipiche di questi ambienti, e anche in alta quota
riescono a sopravvivere grazie anche alla riserva idrica che le torbiere rappresentano.
Direttiva Habitat:
Torbiera alta (cod: 7110*): torbiera ombrogena, acida, a sfagni alimentata dalle
acque meteoriche. Tende ad avere profili convessi, la cui bombatura è dovuta ad
un ottimale sviluppo degli sfagni nella parte centrale.
Torbiera bassa (cod: 7230): torbiera piatta che si forma per riempimenti
progressivi d’acqua o nelle zone di affioramento permanente di una falda freatica.
Torbiere di transizione (cod: 7140): corrispondono alle torbiere minero-
ombrotrofiche o soligene, alimentate dalle acque freatiche e meteoriche.
Torbiera soligena: torbiera intermedia tra le torbiere alte e le torbiere basse.
Torbiera topogena: torbiera il cui sviluppo è condizionato dalla topografia, nei siti
concavi soggetti a inondazione permanente. Si sviluppano in acqua, sotto la
superficie e originano una torba più o meno mineralizzata
I CASI DI STUDIO:
MASSICCIO DEL POLLINO
Il Massiccio del Pollino è un vasto complesso montuoso, prevalentemente di origine calcarea, che si colloca tra Basilicata,
Campania e Calabria. Durante le passate ere glaciali, questo massiccio è stato uno dei limiti Sud delle glaciazioni Riss e Würm. A
testimonianza di ciò, si possono trovare relitti glaciali, come il pino loricato. Da uno studio geomorfologico, l'attuale profilo delle
vette più elevate risulta fortemente modellato dall'azione di antichi ghiacciai risalenti alle ultime glaciazioni, le cui tracce più
evidenti si rinvengono sul versante nord-occidentale di Serra Dolcedorme con la conca denominata Fossa del Lupo, antica zona
occupata dal ghiacciaio del Frido; sul versante nord-orientale del Monte Pollino con i due distinti circhi glaciali; e sul versante
settentrionale di Serra del Prete con il vasto circo glaciale alla cui base si può notare la morena frontale dell’antico ghiacciaio
ormai ricoperta da una faggeta. Il ritiro dei ghiacciai ha fatto sì che ora si possano ritrovare massi erratici di notevoli dimensioni
facilmente osservabili sugli altopiani del Pollino e Acquafredda, a un'altitudine compresa tra i 1.800 e i 2.000 metri.
Ad oggi sono presenti nevai stagionali, alcuni dei quali di notevoli dimensioni, su tutte le vette più alte del massiccio:
CONCLUSIONI
I due siti presi in esame risultano essere un unicum mondiale per lo studio dei cambiamenti climatici, in quanto sono sicuramente stati interessati dalle passate glaciazioni Riss e Würm, ma con differenti intensità e durata della glaciazione. Le torbiere d’alta quota
riscontrabili su Sile e Pollino, oltre che in altri siti lungo la catena Appenninica e le Alpi, possono essere usate come habitat indicatore del cambiamento climatico. Una caratterizzazione di tale ambiente dal punto di vista non solo vegetazionale, ma anche pedologico e
biologico, attraverso l’applicazione di adeguate metodologie può servire a creare una banca dati dalla quale si possono ricavare importanti considerazioni sull’evoluzione di questi ambienti molto delicati, sulla loro gestione e conservazione.
Nel suolo è presente il maggior stock di carbonio del pianeta, e la maggior parte di questo stock è presente nei suoli organici di questi ambienti, presenti prevalentemente nel nord Europa, nord Asia e nord America, e con lo studio di questo peculiare transetto
Appenninico-Alpino, che riproduce un ipotetico andamento temporale di aumento della temperatura, si possono ricavare notevoli informazioni “early-warning” per la salvaguardia, non solo dell’ambiente in sé, ma dell’intero pianeta.
SILA
Con il termine Sila si intende una grossa parte dell’appennino Calabrese composta dai massicci della Sila Greca, della Sila Grande e
della Sila Piccola. È un ambiente caratterizzato da altipiani ricoperti da boschi, da qui il nome Sila (Silva). I rilievi principali sono
Monte Botte Donato (1.928 m), Monte Nero (1.881 m), montagne della Porcina (1.826 m), Serra Stella (1.813 m, monte
Curcio (1.788 m), Colli Pirilli (1766 m), Monte Gariglione (1.765 m), Monte Scorcuavuoi (1745 m), Monte
femminamorta (1.730 m), Monte Volpintesta (1.729 m). Pur essendo situata a latitudine inferiore e non raggiungendo altitudini
elevate come quelle del Pollino la Sila risulta essere il sito più meridionale dove sono riscontrabili tracce delle passate glaciazioni,
specialmente presso il monte Botte Donato.
mese T°max (°C) T°min (°C)
Gennaio 1,2 -17,6
Febbraio 11,5 -5,9
Marzo 13,2 -6,9
Aprile 17,4 -7,8
Maggio 20,2 1,1
Giugno 25,2 4,6
Luglio 25,5 6,0
Agosto 28,2 7,0
Settembre 21,4 2,1
Ottobre 16,7 -1,3
Novembre 7,7 -2,4
Nella tabella accanto, sono riportate le
temperature minime e massime registrate
mensilmente dalla stazione meteo di Monte
Botte Donato (CS), la più alta della Sila, per il
2017. Sono evidenti le escursioni termiche
presenti nel sito, sia circadiane che stagionali
Questa ricchezza di biodiversità è stata anche coadiuvata dalla
successione di ere glaciali che hanno interessato il continente europeo.
L’ultima glaciazione, quella del Würm, si è conclusa circa 12.000 anni fa,
tuttavia in alcune isole orografiche si è mantenuto un regime periglaciale
anche in pieno Mediterraneo. Esempi caratteristici di questo ambiente
periglaciale mediterraneo possono essere considerati i massicci della
Majella e del Gran Sasso (con il ghiacciaio del Calderone, uno dei
ghiacciai più meridionali d’Europa).
2.267 m Serra Dolcedorme
2.248 m Monte Pollino
2.181 m Serra del Prete
2.127 m Serra delle Ciavole
2.054 m Serra di Crispo

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Ad oggi, i limiti glaciali sono molto limitati rispetto ai livelli massimi raggiunti, tuttavia si possono ancora ritrovare evidenti morfologie periglaciali sul massiccio del Pollino, nevai (conche di neve) sui monti Alburni e torbiere acide attive sul massiccio della Sila. In un’ottica di conoscenza degli ambienti del Mediterraneo più facilmente “aggrediti” dal cambiamento climatico, abbiamo deciso di esplorare Pollino e Sila. I siti da noi studiati sono probabilmente tra i più meridionali nel nostro paese, se non in Europa, dove sia riscontrabile l’effetto delle passate glaciazioni e dove il cambio climatico, essendo arrivato prima, è ora già in “fase avanzata”. Avendo l’opportunità di analizzare questi siti e compararli con altri, situati a una latitudine maggiore, si potranno comprendere meglio i cambiamenti climatici e creare ipotesi di gestione per mitigarli e combatterli. IL MEDITERRANEO: Il Bacino del Mediterraneo è un’area geografica precisa e delimitata dalle coste del nord Africa, del sud Europa e dell’Asia. È caratterizzato da un clima e da una biodiversità caratteristici, con inverni miti ed estati con almeno due mesi di siccità continuativa, oltre a due stagioni intermedie umide (primavera e autunno). La biodiversità che si può riscontrare nel Mediterraneo è altissima, il mediterraneo è un hotspot di biodiversità con 2400 taxa censiti (circa il 60% endemico), nella sola penisola italiana si possono contare oltre 7000 taxa vegetali, con un tasso di endemismi compreso tra il 13 e il 20 %. Per la fauna del suolo italiana, i tassi di endemismo sono ancora maggiori, arrivando a superare il 60%. IL REGIME PERIGLACIALE: L’ambiente periglaciale è caratterizzato dal freddo, un regime climatico non glaciale, e considerevolmente esposto a un rapido e drastico cambiamento ambientale a causa del riscaldamento atmosferico (Serreze et al., 2000). Si tratta dell’ambiente che si riscontra nei pressi dei ghiacciai, un ambiente che accerchia il freddo, aree non ghiacciate del mondo indipendentemente dalla loro vicinanza a ghiacciai nel tempo o nello spazio (Ballantyne e Harris, 1994; Gutiérrez, 2005; French, 2007). L’ambiente periglaciale, inoltre è caratterizzato dalla dominanza di ghiaccio giornaliero, stagionale o perenne (Thorm, 1993) con poca influenza dei processi nevosi, fluviali, lacustri e eolici (Thorn, 1992; French, 2007). L’ambiente periglaciale è riscontrabile nella provincia dell’Antartico e le isole di Peary, nelle provincie a suoli aridi del Nord America e Eurasia; la provincia a tundra dell’Alaska e ovest del Canada; le steppe periglaciali della Mongolia, del nord ovest dell’Islanda e Alberta; la taiga associata ai residui del permafrost formatosi nel Pleistocene (Tricart, 1970); inoltre è riscontrabile nei climi artici dell’alto artico canadese e Spitsbergen, nei climi continentali del centro Siberia, nelle fasce climatiche alpine delle Montagne Rocciose del Nord America, delle Alpi in Europa e dell’altopiano del Tibet (French, 2007) LE TORBIERE: Sono ambienti caratterizzati dalla presenza di acqua (sponde di laghi e torrenti, oppure zone di accumulo idrico come conche di valli chiuse, dove l’acqua permane per la maggior parte dell’anno) e da una scarsa o nulla degradazione della componente organica che proviene dalle essenze vegetali presenti. 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I vegetali guida determinano le differenti tipologie di torbiera, e di conseguenza le cenosi animali e microbiche che le popolano. A specie endemiche di questo habitat, si associano specie tipiche degli ecosistemi confinanti, con una vasta varietà di comunità biologiche corrispondenti. Tra gli invertebrati, scarsi i molluschi, soprattutto nelle torbiere acide, e diffusi ma poco diversi gli oligocheti, con specie dominanti Lumbriculus variegatus ed Eiseniella tetraedra, mentre aracnidi ed esapodi predominano tra gli artropodi. Molte specie vivono in questi ambienti da migliaia o milioni di anni, risultando identiche a quelle attribuite ai resti fossili ritrovati negli strati conservativi delle torbiere. Tra i vertebrati, molte specie sono tipiche di questi ambienti, e anche in alta quota riescono a sopravvivere grazie anche alla riserva idrica che le torbiere rappresentano. Direttiva Habitat: Torbiera alta (cod: 7110*): torbiera ombrogena, acida, a sfagni alimentata dalle acque meteoriche. Tende ad avere profili convessi, la cui bombatura è dovuta ad un ottimale sviluppo degli sfagni nella parte centrale. Torbiera bassa (cod: 7230): torbiera piatta che si forma per riempimenti progressivi d’acqua o nelle zone di affioramento permanente di una falda freatica. Torbiere di transizione (cod: 7140): corrispondono alle torbiere minero- ombrotrofiche o soligene, alimentate dalle acque freatiche e meteoriche. Torbiera soligena: torbiera intermedia tra le torbiere alte e le torbiere basse. Torbiera topogena: torbiera il cui sviluppo è condizionato dalla topografia, nei siti concavi soggetti a inondazione permanente. Si sviluppano in acqua, sotto la superficie e originano una torba più o meno mineralizzata I CASI DI STUDIO: MASSICCIO DEL POLLINO Il Massiccio del Pollino è un vasto complesso montuoso, prevalentemente di origine calcarea, che si colloca tra Basilicata, Campania e Calabria. Durante le passate ere glaciali, questo massiccio è stato uno dei limiti Sud delle glaciazioni Riss e Würm. A testimonianza di ciò, si possono trovare relitti glaciali, come il pino loricato. Da uno studio geomorfologico, l'attuale profilo delle vette più elevate risulta fortemente modellato dall'azione di antichi ghiacciai risalenti alle ultime glaciazioni, le cui tracce più evidenti si rinvengono sul versante nord-occidentale di Serra Dolcedorme con la conca denominata Fossa del Lupo, antica zona occupata dal ghiacciaio del Frido; sul versante nord-orientale del Monte Pollino con i due distinti circhi glaciali; e sul versante settentrionale di Serra del Prete con il vasto circo glaciale alla cui base si può notare la morena frontale dell’antico ghiacciaio ormai ricoperta da una faggeta. Il ritiro dei ghiacciai ha fatto sì che ora si possano ritrovare massi erratici di notevoli dimensioni facilmente osservabili sugli altopiani del Pollino e Acquafredda, a un'altitudine compresa tra i 1.800 e i 2.000 metri. Ad oggi sono presenti nevai stagionali, alcuni dei quali di notevoli dimensioni, su tutte le vette più alte del massiccio: CONCLUSIONI I due siti presi in esame risultano essere un unicum mondiale per lo studio dei cambiamenti climatici, in quanto sono sicuramente stati interessati dalle passate glaciazioni Riss e Würm, ma con differenti intensità e durata della glaciazione. Le torbiere d’alta quota riscontrabili su Sile e Pollino, oltre che in altri siti lungo la catena Appenninica e le Alpi, possono essere usate come habitat indicatore del cambiamento climatico. Una caratterizzazione di tale ambiente dal punto di vista non solo vegetazionale, ma anche pedologico e biologico, attraverso l’applicazione di adeguate metodologie può servire a creare una banca dati dalla quale si possono ricavare importanti considerazioni sull’evoluzione di questi ambienti molto delicati, sulla loro gestione e conservazione. Nel suolo è presente il maggior stock di carbonio del pianeta, e la maggior parte di questo stock è presente nei suoli organici di questi ambienti, presenti prevalentemente nel nord Europa, nord Asia e nord America, e con lo studio di questo peculiare transetto Appenninico-Alpino, che riproduce un ipotetico andamento temporale di aumento della temperatura, si possono ricavare notevoli informazioni “early-warning” per la salvaguardia, non solo dell’ambiente in sé, ma dell’intero pianeta. SILA Con il termine Sila si intende una grossa parte dell’appennino Calabrese composta dai massicci della Sila Greca, della Sila Grande e della Sila Piccola. È un ambiente caratterizzato da altipiani ricoperti da boschi, da qui il nome Sila (Silva). I rilievi principali sono Monte Botte Donato (1.928 m), Monte Nero (1.881 m), montagne della Porcina (1.826 m), Serra Stella (1.813 m, monte Curcio (1.788 m), Colli Pirilli (1766 m), Monte Gariglione (1.765 m), Monte Scorcuavuoi (1745 m), Monte femminamorta (1.730 m), Monte Volpintesta (1.729 m). Pur essendo situata a latitudine inferiore e non raggiungendo altitudini elevate come quelle del Pollino la Sila risulta essere il sito più meridionale dove sono riscontrabili tracce delle passate glaciazioni, specialmente presso il monte Botte Donato. mese T°max (°C) T°min (°C) Gennaio 1,2 -17,6 Febbraio 11,5 -5,9 Marzo 13,2 -6,9 Aprile 17,4 -7,8 Maggio 20,2 1,1 Giugno 25,2 4,6 Luglio 25,5 6,0 Agosto 28,2 7,0 Settembre 21,4 2,1 Ottobre 16,7 -1,3 Novembre 7,7 -2,4 Nella tabella accanto, sono riportate le temperature minime e massime registrate mensilmente dalla stazione meteo di Monte Botte Donato (CS), la più alta della Sila, per il 2017. Sono evidenti le escursioni termiche presenti nel sito, sia circadiane che stagionali Questa ricchezza di biodiversità è stata anche coadiuvata dalla successione di ere glaciali che hanno interessato il continente europeo. L’ultima glaciazione, quella del Würm, si è conclusa circa 12.000 anni fa, tuttavia in alcune isole orografiche si è mantenuto un regime periglaciale anche in pieno Mediterraneo. Esempi caratteristici di questo ambiente periglaciale mediterraneo possono essere considerati i massicci della Majella e del Gran Sasso (con il ghiacciaio del Calderone, uno dei ghiacciai più meridionali d’Europa). 2.267 m Serra Dolcedorme 2.248 m Monte Pollino 2.181 m Serra del Prete 2.127 m Serra delle Ciavole 2.054 m Serra di Crispo