Donatella Natoli - La Biblioteca Le Balate di Palermo
3 mazzetto, la stazione ferroviaria, da contenitore multifunzionale ...
1. Seminario
Nuove opere di mobilità e riqualificazione urbana
organizzato da
Franco Mazzetto *
La stazione ferroviaria:
da contenitore multifunzionale
ad occasione di rigenerazione urbana
* Architetto, urbanista
2. TRACCIA INTERVENTO: DA CONTENITORE MULTIFUNZIONALE A NUOVA OCCASIONE DI RIGENERAZIONE URBANA
1 | FRANCO MAZZETTO – riproduzione riservata
PREMESSA
Tenuto conto del contesto accademico e del pubblico di esperti, l’intervento è mirato ad indicare
alcuni elementi di base per affrontare il tema “stazioni ferroviarie” e fornire qualche spunto di
riflessione al successivo dibattito.
Inizierò il ragionamento con un breve excursus storico, partendo dalla nascita del contenitore
stazione e del contesto urbano in cui si collocano le ferrovie. Ricorderò i passaggi più significativi
nello sviluppo del sistema ferroviario, le macrostagioni della stazione come opera d’architettura e
di ingegneria, l’edificio pubblico ed il rapporto con la città, focalizzando infine ed in particolare
l’attenzione sulle trasformazioni e l’eredità degli anni ’90/2000.
Vorrei concludere ponendo l’attenzione su alcuni quesiti di maggior attualità, connessi alla
trasformazione del sistema organizzativo e di gestione delle ferrovie e indicando alcune ipotesi di
intervento per il prossimo futuro.
STAZIONI FERROVIARIE: LE STAGIONI
1. Le origini dalla metà dell‘800 ai primi decenni del ‘900
ferrovia come attività economica a ciclo completo, da impresa privata a servizio pubblico
Nell’ambito dell’organizzazione del sistema di trasporto ferroviario, la stazione è il luogo ove si
incontrano in forma stabile impresa e clientela (molto più del vettore stesso, il treno). La stazione,
un manufatto pubblico con poco più di 150 anni – Napoli/Portici 1939-, che dopo una prima fase
pionieristica (la pensilina e/o il semplice edificio a capanna) ha dato vita a grandi opere di
ingegneria ed architettura, facenti riferimento sostanzialmente a due differenti tipologie edilizie (a
loro volta evolutesi nel tempo): la prima terminale o “di testa”, la seconda passante – in superficie o
in sotterranea – a cui si è aggiunta la variante “a ponte” (che collega di parti di città passando
sopra il fascio binari).
Nella realtà la “stazione” è un insieme più complesso di fabbricati, dove si svolgono differenti
compiti e lavorazioni, rispondendo a molteplici funzioni: ricoveri per locomotive e carrozze,
magazzini per il carbone e depositi d’acqua, officine per grandi e piccole riparazioni, centrali
elettriche, torri di segnalamento e spazi per gestire la circolazione, depositi merci. Il più noto tra gli
edifici è il “fabbricato viaggiatori” dedicato agli arrivi e partenze (è il luogo di “passaggio” da
cittadino a viaggiatore, di “mediazione” tra città e impresa ferroviaria).
L’insieme di edifici si sviluppano, dalle origini, attorno ai binari con una consistente occupazione di
aree agricole o residuali alla edificazione (in particolare nelle stazioni di testa che si innestano
spesso al limite urbanizzato della città storica), con funzioni nuove estranee alla città,
modificandone il paesaggio, ma anche determinando profonde trasformazioni nella qualità della
vita e nell’economia (abitare vicino o lontano dalla ferrovia e dalla stazione diviene forte elemento
di modifica delle dinamiche abitative).
Fin dalla seconda metà dell’800 si sviluppa una ingegneria di stazione, diversificata nella tipologia
in rapporto sia alle dimensioni del centro attraversato e servito, che del contesto industriale
(portuale, minerario ecc.). La stazione delle capitali è già un edificio altamente rappresentativo
(vedi Parigi, N.Y., Londra ma anche Torino e Firenze) con un ampio corpo centrale “la galleria”,
accompagnato verso la periferia da numerosi edifici di servizio che occupano aree agricole ancor
oggi spesso non edificate. Sia nelle maggiori realtà come nelle più piccole, la stazione assume le
seguenti caratteristiche distributive:
piano terra atrio, biglietterie, servizi al viaggiatore – clientela – ed esercizio
piano superiore – di solito un piano - uffici (alloggi capostazione ecc.).
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Rimanendo la frammentazione nei gestori (in Italia la statalizzazione delle ferrovie è del 1905)
persistono molti edifici di rappresentanza esterni alla stazione (quelli che poi saranno i palazzi
compartimentali, sede del “cervello dell’impresa”). Comunque l’edificio è senza dubbio fin dalla sua
nascita un simbolo del moderno (architettura del ferro, razionalismo italiano ecc.) e logo/brand
della società di gestione.
2. La fase del razionalismo italiano
la ferrovia/stazione diventa luogo collettivo – le architetture di Angiolo Mazzoni
Partendo dall’immagine della stazione/aeroporto di Sant’Elia (il modernismo futurista) si sviluppa
un simbolismo urbano che porta alle grandi opere del razionalismo italiano, nei manufatti pubblici
legati al movimento: ogni fabbricato industriale, diventa simbolo ed occasione di architettura, in
rapporto ad un territorio oramai conquistato (il deposito d’acqua, la torre di guardia, le nuove
officine ed i magazzini, i dormitori e le case dei ferrovieri, il DLF dopo-lavoro-ferroviario, ecc.)
Angiolo Mazzoni (architetto ed ingegnere) professionista e funzionario pubblico che realizza in un
parallelismo significativo edifici postali (Sabaudia, Nuoro, Ragusa, ecc.) e stazioni (da Messina a
Montecatini). Senza dimenticare una delle opere più note nel mondo la stazione SMN di Firenze
del Gruppo Toscano (Giovanni Michelucci).
La stazione diventa un bene collettivo, un simbolo della comunità e della modernità (ed in quanto
tale, è esempio e fonte di liberazione sociale). Ancora oggi, le maggiori critiche che vengono
mosse alle Ferrovie dello Stato, partono dalla “comune certezza” che nella gestione delle ferrovie
deve essere prevalente il concetto di servizio alla società/comunità prima che quello di
salvaguardia dell’impresa economica.
Come per le Poste, peraltro anche esse oggi totalmente modificate nell’impianto societario, le
Ferrovie e la stazione diventano e sono, un punto di riferimento unificante per tutte le classi sociali
(vedi il caffè ristoratore, la farmacia, la stazione di montagna), il luogo dove lo Stato, spesso
assente, è invece sempre presente a protezione della Comunità (allora il ferroviere è ritenuto –
come oggi - un funzionario pubblico e, come ogni mito che si rispetti, ciascun italiano ha un
parente ferroviere ed una storia sulle ferrovie da narrare).
Cosa più importante, nasce in quel periodo, il concetto di “mobilità come diritto dei cittadini” e la
stazione ne incarna il diritto (ci si stupisce se non rimane sempre aperta).
3. Da anni ’80/’90 ad oggi
l’eredità di un progetto che si sta realizzando dopo 20 anni
Con la trasformazione delle FFSS – Azienda di Stato - in Ente avvenuta nel 1985 e poi in SpA nel
1992 (e la creazione di un patrimonio “a bilancio” costituito dai beni “strumentali” all’esercizio) le
ferrovie e quindi le stazioni sono divenute una realtà socialmente nuova e non del tutto compresa
dai cittadini (non sono più “un bene di tutti” – se mai lo sono state - ma una impresa industriale al
pari degli altri grandi comparti industriali del Paese ).
Tale processo di privatizzazione (società pubblica di diritto privato) si accompagna (ma non credo
ne derivi direttamente) alla importante trasformazione industriale, urbana e territoriale, avvenuta
tra la fine degli anni’70 ed ’80 nel nostro Paese, il passaggio da: la città fabbrica alla fabbrica
diffusa.
Le nuove tecnologie informatiche nella gestione dell’esercizio, la progettazione di treni completi da
sottoporre a manutenzione ciclica, i moderni sistemi di approvvigionamento delle merci, hanno
comportato una drastica riduzione di mano d’opera (-100.000 unità in pochi anni a cavallo tra la
fine degli anni’80 e i primi anni ‘90) e la dismissione e trasformazione di una elevata quantità di
aree e manufatti (cessione avviata subito dopo il loro conferimento alla FS SpA).
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Ma l’aspetto più evidente è la modifica del fabbricato viaggiatori, che si trasforma in una macchina
di intermodalità, un contenitore di servizi alla mobilità ed alla città. Tale processo è connesso a:
programma AV (liberazione grandi quantità di aree e nuove opportunità)
sistema SFM/SFR (interscambio modale)
dismissione e riqualificazione aree ed edifici non più necessari (soc. Metropolis/Ferservizi)
recupero e riqualificazione stazioni storiche
società specializzate per la gestione di servizi all’utente (Metropark)
società specializzate per la gestione di servizi di commerciali e di stazione Grandi Stazioni
(13 aree urbane e stazioni AV), Centostazioni (103 stazioni di secondo livello)
mantenimento in capo ad RFI delle restanti stazioni/fermate (5/6.000 realtà, diversificate
nel territorio)
Altra “questione” di non minore importanza la liberalizzazione del sistema di gestione ed esercizio
con la possibilità di aprire al “mercato nazionale ed internazionale” il servizio di trasporto
passeggeri e merci (commercializzazione delle “tracce”).
CONCLUSIONE: RIFLESSIONI E FUTURI SCENARI
Provando a riassumere, qualche riflessione finale:
con la realizzazione del programma AV (nuove linee e stazioni, liberalizzazione e
specializzazione del servizio) e la costituzione di Grandi e Cento Stazioni, si puntava a
creare, in aree urbane centrali, importanti centri di servizio alla mobilità e di interscambio
(programma realizzatosi in parte e con una particolare attenzione agli aspetti commerciali e
di marketing);
dopo venti anni dall’avvio del programma, si può certamente convenire che c’è stata un
miglioramento alla qualità degli interni delle stazioni, ma essenzialmente in rapporto alle
nuove funzioni allocate (quasi sempre di carattere commerciale);
le nuove stazioni, o gli interventi di restyling previsti, sono state realizzate senza la
creazione di significativi spazi pubblici (abbiamo stazioni meno aperte al cittadino e che non
sono diventate i “nuovi luoghi urbani” previsti nel programma iniziale);
inoltre, nella realizzazione delle opere progettate, vi è stata scarsa cura nel restauro degli
esterni, nel rapporto con la piazza antistante e con gli edifici “di ala” (va ricordato che,
sempre o quasi, i piazzali antistati le stazioni sono di proprietà FS, spesso ceduti in
concessione alle Amministrazioni);
di contro, assistiamo sia nelle stazioni (di diverso livello organizzativo e di servizi) che nelle
fermate, ad una consistente riduzione di spazi per esigenze connesse al servizio
ferroviario (anche in funzione della elevata automazione e della liberalizzazione del
servizio). Nella sostanza ad RFI non servono più stazioni (fabbricati viaggiatori) così ampie,
ma anzi la loro gestione affatica il piano industriale, se non accompagnandola da una
politica di sviluppo commerciale;
peraltro anche gli interventi di recupero previsti per le aree di riqualificazione urbana, sono
stati realizzati solo in minima parte e mai valorizzati dalle opportunità offerte dal trasporto
ferroviario ed in generale dalla potenziale elevata accessibilità (vedi l’ipotesi pensata per
Bologna di quartieri in cui abitare senza auto o del direzionale accessibile via treno con il
SFM, previsto per Roma Tiburtina);
infine, l’eredità degli anni ’90, ci sta portando a stazioni che si configurano come sedi di
nuovi centri di attività commerciali piuttosto che luoghi di incontro, di socialità, di funzioni
pubbliche.
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In parallelo il tema emergente della “rigenerazione urbana”, sta ponendo la questione della
riqualificazione di parti di città (settori di centri storici degradati, ex-aree industriali e commerciali) in
rapporto più stretto ed organico con la gestione sociale del recupero.
Così come il ritorno del concetto di bene comune, di cosa pubblica, di rigenerazione intesa come
attività urbanistica finalizzata anche alla soluzione sociale dei conflitti, alla produzione lavoro e
ridistribuzione della ricchezza, pone su un nuovo e diverso piano il tema del riutilizzo degli spazi
pubblici. La città, gli spazi ed i manufatti pubblici (compreso il verde urbano) sono tornati ad essere
un bene di tutti e fioriscono movimenti ed associazioni finalizzate al loro riuso (dai forti, alle
caserme, all’uso di parti residuali di parchi per realizzare orti urbani).
Quindi, se la città ed i cittadini si riappropriano degli spazi costruiti dismessi, le “stazioni al tempo
della crisi” non possono evitare di essere considerati oggetto di “recupero sociale”.
Resta il fatto che le ferrovie garantiscono l’accessibilità e mobilità attraverso un sistema di
spostamenti a basso consumo energetico e le stazioni rappresentano i terminali della mobilità
intermodale su ferro (e non solo), possono inoltre modificare al meglio il paesaggio urbano e
creare importanti luoghi di interscambio e socialità.
Poniamoci qualche domanda: se le esigenze di spazi del proprietario della rete (RFI) e dei gestori
del servizio, sono fortemente ridotte, le stazione possono ancora considerarsi importanti fabbricati
strumentali alle necessità ed al “core business” delle Ferrovie dello Stato? Andando oltre,
servono ancora i “fabbricati viaggiatori” ?
Potrebbe essere un compito delle comunità dei cittadini, delle amministrazioni locali ripensare a
stazioni come luogo aperto e pubblico, recuperato per l’avvio di politiche di rigenerazione urbana ?
Certo c’è una problematica connessa alla gestione ed all’esercizio ferroviario (in particolare sotto il
profilo della normativa e della sicurezza), ma se le stazioni non servono più, non corrispondono più
alla loro funzione primaria di edificio per l’interscambio modale, in quale misura potrebbe
competere alle ferrovie stesse la loro trasformazione ?
In tal senso l’esempio della nuova stazione di Roma Tiburtina è emblematico e rappresentativo di
una possibile nuova impostazione. Importante opera di architettura di grande impatto sul
paesaggio urbano, “macchina” pensata per gestire l’intero sistema AV di Roma e per connettere la
prima periferia storica (quartiere Italia-Bologna) con il Sistema Direzionale Orientale SDO, mai
realizzato, si presenta oggi, a pochi mesi dalla sua inaugurazione, come un’opera incompiuta, al
centro di polemiche politiche e grandi discussioni sul suo utilizzo.
Le problematiche, condivise da tutti, sono molteplici:
di inserimento territoriale – un collegamento che lascia e genera spazi di forte degrado sui
due lati, collocandosi in una situazione non organizzata sotto il profilo urbanistico;
di funzionalità – una stazione su più livelli, non gerarchicamente strutturata, che crea
difficoltà distributive agli utenti invece che offrire opportunità e migliorare l’interscambio;
di uso degli spazi – un importante complesso di volumi costruiti (ed in previsione) con
ipotesi di inserimento di attività direzionali e commerciali decontestualizzate.
Un programma di rigenerazione urbana, per sua natura condiviso e concordato con il territorio, la
rilettura della stazione come era stata concepita in origine (una “piazza pubblica” sempre aperta,
sospesa e luogo di incontro integrato nel territorio), l’inserimento di spazi direttamente gestiti dalla
amministrazione pubblica, potrebbero rappresentare una soluzione? Per ora ci fermiamo qui.