Assisi 20092. Assisi, agosto 2009 pag. 2
affrescate da noti artisti
le pareti della cappella
del SS. Corporale e della
Tribuna, il 14 giugno
1447 il Beato Angelico
fu incaricato di illustrare
la spoglia Cappella detta
Nuova o di San Brizio.
L'Angelico iniziò la sua
opera dalla volta della
seconda campata con la splendida figura del
Cristo Giudice e la vela dei Profeti, ma subito
dopo, il 28 settembre 1447, il lavoro venne
sospeso definitivamente per ragioni ancora
sconosciute. Fu Luca Signorelli a realizzare il
compimento, nella Cappella Nuova, della
tradizione decorativa ad affresco quattrocen‐
tesca.
Il lavoro del Signorelli durò cinque anni, dal
1499 al 1504, a cavallo di due secoli e di due
tradizioni estetiche, mentre al mutamento
del panorama artistico dell'Italia Centrale si
accompagnava il progressivo trasferimento
del potere politico dalla Firenze Medicea alla
Roma Papale. In probabile successione ven‐
nero illustrate le "Storie dell'Anticristo", il
"Finimondo", la "Resurrezione della carne", i
"Dannati", gli "Eletti", il "Paradiso" e
l'"Inferno".
Il quadro d'insieme della rappresentazione
del Signorelli può rendere esplicito il giudizio
del giovane Berenson che vede in lui "il primo
artista capace di illustrare la nostra casa ter‐
rena", intendendo con questo che il suo sen‐
so della forma è già il nostro, così come lo è la
sua visione del mondo.
Oggi la Cappella Nuova è di nuovo aperta ai
visitatori dopo i lavori di restauro che hanno
interessato le strutture architettoniche e gli
interventi sulla pellicola pittorica. La Cappella
appare così in una scenografia rigenerata. Un
sistema di illuminazione diffusa dal basso
produce una sensazione insolita di distacco
dalla realtà e induce una riflessione profonda
che dalla bellezza della rappresentazione si
traspone a itinerario dello spirito. Si dissolvo‐
no i fatti storici riferibili alle vicende di quel
fine secolo e tutto qui appare riconnettersi
con la vicenda eterna dell'uomo, nella risco‐
perta che il male è una condizione naturale
dell'uomo e che, se "il mistero dell'iniquità è
già in atto", nessuno può sottrarsi al dovere
di guardare avanti e misurarsi con la necessità
della redenzione.
LE ORIGINI: La posa della prima pietra, bene‐
detta da papa Nicola IV e calata nell'area
della vecchia chiesa cattedrale di S. Maria e di
quella capitolare di S. Costanzo, risale al
1290. Il progetto iniziale, elaborato dal primo
architetto del Duomo, rimasto sconosciuto,
prevedeva una pianta basilicale a tre navate
con sei cappelle laterali semicircolari per lato,
transetto voltato a crociera e non sporgente e
abside semicilindrica. Nella prima fase i lavori
erano diretti da fra' Bevignate e la responsa‐
bilità artistica affidata a Ramo di Paganello.
L'INTERVENTO DI MAITANI: Edificate le nava‐
te ed il transetto, quando l'apparato murario
era giunto al livello d'imposta del tetto, si
verificò un momento critico per il cantiere,
risolto con la chiamata ad Orvieto di Lorenzo
Maitani. Ufficialmente giustificato dalla pre‐
sunta instabilità delle pareti del transetto, in
realtà l'intervento dell'architetto senese tra‐
valicava l'ambito puramente tecnico ed espri‐
meva un profondo mutamento del gusto e
del programma artistico, che affondava le sue
radici nel contesto più ampio della storia
politica e sociale della città.
Alterando l'armonica unità e continuità
dell'architettura primitiva del Duomo, il Mai‐
tani costruì le inutili e "antiestetiche" struttu‐
re di sostegno: contrafforti, speroni, archi
rampanti e, dopo aver concentrato la sua
attenzione sulla decorazione della parte infe‐
riore della facciata, ne modificò la parte supe‐
riore progettando la soluzione tricuspidale.
IL COMPLETAMENTO: l'impianto originario
della cattedrale fu ulteriormente modificato
dalla sostituzione dell'abside semicircolare
con l'attuale tribuna quadrata (1328‐1335);
tra il 1335 e il 1338 fu voltato il transetto e
successivamente, negli spazi ricavati tra i
contrafforti e i rampanti, furono erette la
Domenica 23
3. Assisi, agosto 2009 pag. 3
Cappella del Corporale (1350‐1356), la nuova
Sacrestia (1350‐1365) e la cappella Nuova o di
S.Brizio (1408‐1444).
Dopo il Maitani, morto nel 1330, numerosi
capomaestri assunsero la direzione dei lavori:
suo figlio Vitale, Niccolò Nuti (1331‐5), Meo
Nuti (1337‐9), ancora Niccolò (1345‐7), An‐
drea Pisano (1347‐8), Nino Pisano (1349),
forse Matteo di Ugolino da Bologna (1352‐6),
Andrea di Cecco da Siena (1356‐9), Andrea di
Cione detto l'Orcagna (1359‐80), cui si deve il
rosone, e altri architetti senesi, tra cui Anto‐
nio Federighi (1451‐6), che introdusse le for‐
me rinascimentali con l'inserimento delle
dodici edicole della facciata.
Nel 1422‐5 fu realizzata la gradinata esterna
con marmi bianchi e rossi; circa trent'anni più
tardi veniva concluso il corpo di fabbrica
dell'edificio con il completamento del tetto
della tribuna e delle Cappelle.
Le realizzazioni cinquecentesche:
nel XVI sec. un'ansia di rinnovamento, rom‐
pendo la conformità al progetto trecentesco,
determinò una profonda trasformazione del
Duomo in chiesa controriformata, secondo i
dettami del Concilio di Trento ed il gusto ma‐
nieristico. La controfacciata e le navate late‐
rali furono decorate con stucchi, affreschi,
pale d'altare, tutti elementi previsti, insieme
alle statue marmoree disposte in tutta la
chiesa, da un programma stilistico ed icono‐
grafico unitario elaborato ed eseguito, tra gli
altri, da: Raffaello da Montelupo, Federico e
Taddeo Zuccari, Girolamo Muziano, Simone
Mosca e dagli orvietani Ippolito Scalza e Cesa‐
re Nebbia.
Sempre nel '500 venne rifatto il pavimento e
fu completata la facciata, che due secoli do‐
po, fu privata dei mosaici più antichi, sostituiti
da copie.
I RESTAURI: l'ultima fase di interventi sul Duo‐
mo si apre alla fine del '700 con i restauri
della facciata e culmina con la rimozione delle
decorazioni barocche promossa dal l'ing.
Carlo Franci, dallo storico e archivista Luigi
Fumi e dall'ing. Paolo Zampi "per riportare la
cattedrale alla sua primitiva bellezza" (1877‐
1888).
Anche nel XX secolo non sono mancati rifaci‐
menti e restauri; sono da ricordare quelli del
pavimento, della nuova cripta, dei cicli pittori‐
ci delle Cappelle e della tribuna, dei bassori‐
lievi, dei mosaici e la sistemazione delle nuo‐
ve porte dello scultore Emilio Greco (1970).
MIRACOLO DI BOLSENA:
Miracolo d'arte sorto per custodire un
Miracolo di fede, il Duomo di Orvieto,
secondo un'antichissima tradizione, fu
edificato "dal cuore religioso, l'animo fermo
[…] di una piccola popolazione" (L. Fumi) per
celebrare un evento fondamentale per tutta
la Cristianità: durante la Messa miracolosa di
Bolsena, come narra una sacra
rappresentazione, presumibilmente della
prima metà del XIV sec, "accadè miracolo che
sopra del Corporale l'ostia diventò vermiglia
et fecesi carne e sangue".
Secondo la stessa sacra rappresentazione e la
tradizione popolare da essa scaturita,
nell'estate del 1263 un prete dell'Alta Magna,
tormentato dal dubbio circa l'effettiva
presenza del corpo e del sangue di Cristo
nell'ostia consacrata, si recò in pellegrinaggio
a Roma per espiare la sua incredulità e
rafforzare la sua fede. Fermatosi a Bolsena
sulla via del ritorno, chiese di poter celebrare
la messa sull'altare di S. Cristina; al momento
della consacrazione, dopo aver implorato il
Signore di dissolvere i suoi dubbi, vide stillare
dall'ostia spezzata delle gocce di sangue che
bagnarono il Corporale (il panno di lino usato
nelle funzioni per appoggiare e poi ricoprire
gli elementi consacrati).
Appresa la notizia del prodigio, il papa,
residente sulla rupe dal 1262, inviò il vescovo
di Orvieto a prendere il sacro lino. La reliquia
fu portata ad Orvieto, dove fu accolta, sul
ponte di Rio Chiaro, da una solenne
processione di prelati, clero e popolo guidata
dal pontefice, che, inginocchiatosi, lo adorò e,
dopo averlo mostrato ai fedeli, lo ripose nella
cattedrale di S. Maria Prisca.
Domenica 23
4. Assisi, agosto 2009 pag. 4
Affidato a S. Tommaso d'Aquino l'incarico di
comporre l'Ufficio del Corpus Domini, l'11
agosto 1264 il papa promulgò la bolla
Transiturus, che segnò l'istituzione di questa
festività nell'ecumene cristiano.
La cattedrale allora esistente parve alla
cittadinanza orvietana vecchia, cadente ed
indegna di custodire la reliquia, segno
prezioso della presenza divina; si
cominciarono dunque a raccogliere offerte
per edificare una nuova chiesa che avrebbe
superato tutte le altre in splendore e
magnificenza.
Per secoli il tradizionale legame tra il Duomo
e il Miracolo di Bolsena ha continuato a
sopravvivere nella devozione cittadina,
condiviso anche da storici e studiosi come
Luigi Fumi. Papa Giovanni Paolo II ha
recentemente cercato di far chiarezza su
questa "leggenda" affermando, nell'omelia
pronunciata dal Duomo di Orvieto il 17
giugno 1990, giorno del Corpus Domini, che:
"anche se la sua costruzione [del Duomo] non
è collegata direttamente alla solennità del
Corpus Domini, istituita dal papa Urbano IV
con la Bolla Transiturus, nel 1264, né al
miracolo avvenuto a Bolsena l'anno
precedente, è però indubbio che il mistero
eucaristico è qui potentemente evocato dal
corporale di Bolsena, per il quale venne
appositamente fabbricata la cappella, che ora
lo custodisce gelosamente".
CAPPELLA DEL CORPORALE:
Nata per serbare la perpetua memoria del
Miracolo Eucaristico di Bolsena (1263) custo‐
dendo degnamente la reliquia del Sacro lino,
la Cappella del SS.mo Corporale rappresenta,
con l'intero schema decorativo, un atto di
riverenza verso il Corpo di Cristo e la piena
affermazione del culto eucaristico ad Orvieto
nel tardo Medioevo.
I Soprastanti dell'Opera deliberarono la co‐
struzione della Cappella nel 1350, scegliendo
la testata nord del transetto; il nuovo am‐
biente, a pianta trapezoidale, fu innalzato
sopra gli speroni e gli archi rampanti del Mai‐
tani e completato nel 1356 ca.
La decorazione pittorica iniziò l'anno successi‐
vo e fu affidata al maestro orvietano Ugolino
di Prete Ilario, tra i primi pittori attivi nel Duo‐
mo, il quale, successivamente, affrescò le
pareti della tribuna (1370‐84).
Insieme ai suoi aiuti (fra' Giovanni di Buccio
Leonardelli, Petrucciolo di Marco, Domenico
di Meo, Antonio di Andreuccio e Pietro di
Puccio), i quali ebbero probabilmente un
ruolo piuttosto limitato, visto che l'unica fir‐
ma presente è quella di Ugolino, il maestro
avviò il ciclo pittorico dalle volte, traendo
sicuramente ispirazione, per l'impianto com‐
positivo delle scene e per i soggetti della pa‐
rete di destra, dagli smalti del Reliquiario, che
dal 1338 conservava il Corporale.
Terminati i lavori l'otto giugno del 1364, come
precisato allo stesso Ugolino nella sua
"sottoscrizione" posta sulla parete dietro
l'altare, stando alle notizie del Fumi, si aprì
per gli affreschi della Cappella una nuova e
brevissima stagione tra il 1494‐5, quando gli
artisti Crisostomo da Orvieto, Giulio di Nicola
orafo, fra' Tommaso da Cortona e Jacomo da
Bologna intervennero nella parete più vicina
all'ingresso, forse tralasciata o non completa‐
ta da Ugolino, oppure in cattivo stato di con‐
servazione.
Nel corso dei secoli la Cappella subì alcune
modificazioni, soprattutto nel periodo baroc‐
co e manierista. Nel 1561 fu messo in opera il
Sepolcro di Orsino e Rodolfo Marsciano
(parete destra), opera attribuita al Sanmicheli
e al Montelupo, mentre nel 1571 Ippolito
Scalza scolpì la Tomba del vescovo Sebastiano
Vanzi; sono opere cinquecentesche anche le
tavole in marmo rosso con la storia del Mira‐
colo di Bolsena, collocate nella parete destra,
eseguite sempre dallo Scalza (1601‐2).
Nel XVIII sec. furono aggiunte ai lati dell'altare
due statue di Arcangeli di Agostino Cornacchi‐
ni (1729).
E' a metà dell'Ottocento che si registrano gli
interventi più "invasivi", ovvero quei restauri
delle pitture che tolsero "a tutta la Cappella il
suo carattere" (L.Fumi). Inviati dal pontefice
Pio IX perché provvedessero a recuperare gli
Domenica 23
5. Assisi, agosto 2009 pag. 5
affreschi trecenteschi molto deteriorati, i
pittori Antonio Bianchini e Luigi Lais, espon‐
tenti del gusto purista, allora imperante, luci‐
darono le antiche pitture per rifarle sopra i
loro lucidi, ma il risultato fu un'alterazione
delle forme originarie, una sorta di
"contraffazione", a lungo lamentata dagli
storici dell'arte, dello stile e del colore di Ugo‐
lino.
Il restauro degli affreschi, eseguito nel 1975‐
78, con la scoperta delle sinopie ha permesso
di constatare che i deplorati interventi otto‐
centeschi non sono stati così invasivi come
supposto. Le sinopie, distaccate durante il
restauro, sono ora conservate nel Museo
dell'Opera del Duomo.
Tra il secondo e terzo decennio del Novecen‐
to fu inoltre realizzato, su progetto
dell'arch.Ugo Tarchi, un nuovo altare in mar‐
mo e transenne di bronzo dorato, collocato
sotto l'arco della parete sinistra della Cappel‐
la e recentemente rimosso per ospitare il
Reliquiario del Corporale.
LE PITTURE DELLA CAPPELLA DEL CORPORALE
Il programma pittorico della Cappella del
SS.mo Corporale fu concepito come "un vasto
complesso di carattere storico, dottrinario e
simbolico" (E. Carli), volto a sostenere la
devozione al mistero della
Transustanziazione.
Nelle volte e nelle pareti si susseguono storie
eucaristiche che fanno riferimento al Vecchio
e al Nuovo Testamento, ai Padri della Chiesa
e a S. Agostino; gli episodi, densi di pathos e
di forte impatto didattico‐dimostrativo, sono
tratti, per lo più, dai "repertori" dei pensatori
e predicatori del tempo, veicolati ad Orvieto
in particolare dal convento domenicano di
Orvieto, probabile ideatore o collaboratore
nella definizione dello schema decorativo
della Cappella.
In un'epoca in cui, per fugare i dubbi di fede e
percepire la presenza divina nel mondo reale,
l'immaginario collettivo aveva bisogno di
identificarsi con modelli semplici, fatti di
immagini e parole, una Verità ineffabile come
quella della natura dell'Eucarestia, vero
sangue e vero corpo di Cristo, è resa fruibile
attraverso una serie di exempla chiarificatori,
corredati da didascalie esplicative, i c. d. tituli;
gli esempi mostrano ai fedeli i prodigi ed i
pericoli legati all'ostia miracolosa,
inducendoli al pentimento e alla conversione.
Il ciclo si apre con i simboli, le profezie e la
dottrina eucaristici raffigurati nelle volta
sopra l'altare; le storie di personaggi biblici
come Mosè, Abramo, Elia, Melchisedech
"prefigurano" il Miracolo del corpo di Cristo,
promettendone il compimento, mentre i
Dottori della Chiesa (nei lunettoni)
sottolineano il valore profetico delle scene
suddette; S. Agostino, S. Tommaso e S. Paolo
sono ritratti, con allegorie, nel momento della
rivelazione eucaristica.
Il mistero della Transustanziazione acquista
una profonda e concreta contestualizzazione
storico‐geografica nelle scene del Miracolo di
Bolsena della parete destra, la cui
ambientazione si caratterizza come
"orvietana", con luoghi facilmente
riconoscibili e familiari per favorire, come
avviene negli smalti del Reliquiario,
l'immedesimazione da parte degli osservatori.
Sono ripercorsi i momenti più salienti del
culto della sacra reliquia, dal dubbio del prete
boemo al trasporto ad Orvieto, accolto con
grandi festeggiamenti della cittadinanza
orvietana, la quale, eletta da papa Urbano IV
custode del Corporale, Lo assunse ben presto
anche come simbolo civico, oltre che
religioso. L'ostensione pubblica della reliquia
raffigurata in una piazza (anziché nel
tradizionale spazio chiuso della chiesa),
potrebbe alludere ad una fase più tarda del
culto, riproducendo l'annuale processione del
Corpus Domini, in particolare il momento in
cui l'ostia viene mostrata al popolo fuori delle
porte della cattedrale.
Storie di miracoli dell'Eucarestia, con ostie
che si trasformano in fanciulli, che stillano
sangue e salvano bambini ebrei, oppure che
sono oggetto di abusi e dissacrazioni,
confermano e avvalorano, con il forte
carattere persuasivo, la dottrina eucaristica,
Domenica 23
6. Assisi, agosto 2009 pag. 6
la quale, a conclusione del ciclo, risulta
inserita in una dimensione cristologica,
rappresentata dalla scena della parete
d'ingresso (l'Ultima cena) e di quelle dietro
l'altare (in particolare la Resurrezione). Il
sacramento dell'Eucarestia rinnova
continuamente la presenza di Cristo tra gli
uomini e ne attualizza il sacrificio nell'ambito
di una prospettiva di salvezza e di vita eterna.
Apertura: 7.30‐12.45 e 14.30‐19.15
IL POZZO DI SAN PATRIZIO
Il nome del Pozzo non ha alcun'attinenza con
personaggi del luogo, ma fa riferimento all'a‐
bisso irlandese dove era solito pregare San
Patrizio. La costruzione del Pozzo iniziò dopo
il 1527, anno in cui il Papa Clemente VII si
rifugiò ad Orvieto in seguito alla discesa dei
Lanzichenecchi. Durante
quel periodo il Pontefice
ordinò la costruzione di
cisterne e pozzi per assi‐
curare alla città un'auto‐
nomia idrica in caso di
invasione. Il più importante doveva essere
quello a servizio della Rocca, il cui progetto fu
affidato ad Antonio da Sangallo il Giovane,
architetto di fiducia del Papa. La concezione
del Pozzo fu basata su una struttura a doppia
elica che, raggiungendo le sorgenti a oltre 50
metri di profondità, permettesse il trasporto
in superficie dell'acqua senza intralci per uo‐
mini e muli. Le operazioni di scavo furono
eseguite in corrispondenza delle fonti di San
Zeno ai piedi della rupe. I lavori proseguirono
sotto la direzione di Giovan Battista da Corto‐
na e terminarono nel 1537, sotto il pontifica‐
to di Paolo III (Alessandro Farnese), che ordi‐
nò di coronare il cilindro esterno del pozzo
con i gigli farnesiani a testimonianza della sua
presenza in Orvieto.
Il Pozzo di San Patrizio, a sezione circolare, è
profondo quasi 62 metri e largo circa 13,40
metri. Due portoni diametralmente opposti
danno l'accesso alle due scale a chiocciola,
una per la discesa e l'altra per la risalita, con‐
cepite in modo tale da essere indipendenti e
non comunicanti tra loro. Ogni scala conta
248 scalini che in passato consentivano alle
bestie da soma di raggiungere agevolmente il
fondo, dove è collocato un ponte di legno
sopra il livello dell'acqua. Terminate le opera‐
zioni di riempimento si attraversava il ponte
per poi risalire dalla parte opposta senza
intralciare il passo ad altri impegnati nella
discesa. Il Pozzo è illuminato da 70 finestroni
da cui è possibile affacciarsi e visualizzare la
sua profondità.
Lunedì 24
Lunedì 24 agosto
PROGRAMMA MATTINO:
ore 9.00 Partenza per Assisi
ore 9.30 Basilica di San Francesco (Ufficio informazioni di fronte all’ingresso della Basilica Inferio‐
re ‐ Introduzione alla visita per 45 minuti in una sala con gigantografie alle pareti )
ore 12.00 pranzo (pizzeria in centro)
PROGRAMMA POMERIGGIO: Basilica Santa Chiara, Piazza del Vescovado, Santa Maria Maggiore,
Piazza del Comune, Tempio di Minerva (Santa Maria sopra Minerva), Santo Stefano, Duomo di
San Ruffino, San Pietro, San Damiano
SERATA: VISITA ALLA CITTÀ
7. Assisi, agosto 2009 pag. 7
BASILICA DI SAN FRANCESCO
Non erano passati due anni dalla morte di S.
Francesco che già Frate Elia, il successore al
comando dell'Ordine, riceveva in dono un
appezzamento di terreno, fuori dalla porta
occidentale di Assisi, un luogo scosceso del
monte Subasio dove si impiccavano i malfat‐
tori e perciò chiamato il Colle dell'Inferno. Su
quel luogo già maledetto sarebbe sorta una
grandissima chiesa che avrebbe accolto la
salma del grande Santo.
Dal Vescovado, dov’era stato ospite del Pre‐
sule assisiate, San Francesco si era fatto por‐
tare, in barella, alla Porziuncola. Morì sulla
terra del suo "luogo" preferito. Ma i compa‐
gni non tennero neppure un giorno la salma
di S. Francesco nei pressi della chiesina. La
mattina dei 4 ottobre lo ricondussero in città,
passando da S. Damiano, perchè Chiara e le
sue compagne ne potessero finalmente ba‐
ciare le stigmate.
Da S. Damiano fu portato a seppellire nella
Chiesetta di S. Giorgio, che si trovava dentro
la città e nelle vicinanze della casa paterna. In
quella chiesetta il 16 luglio 1228 Gregorio IX
proclamò solennemente la santità del gran
figlio di Assisi e il giorno dopo, invitato da
Frate Elia il Papa si recava sul Colle dell'Infer‐
no per benedire la prima pietra della nuova
grande costruzione in onore dei Santo.
Il 25 maggio 1230, cioè meno di quattro anni
dalla morte del Santo, la chiesa inferiore era
ultimata e poteva esservi portato il corpo del
Santo.
Da S. Maria degli Angeli, guardando verso il
Subasio, all'estremità occidentale della città si
scorge nitidamente la poderosa costruzione
di Frate Elia, sorretta sullo strapiombo da
giganteschi contrafforti. Par quasi un edificio
fortificato e suscita immediatamente l'idea di
una roccaforte. E quella eretta da Frate Elia fu
la materiale e spirituale roccaforte del Fran‐
cescanesimo, oltre ad essere una delle più
splendide manifestazioni d'arte ispirata dalla
gloria del Santo assisiate
BASILICA SUPERIORE
L'esterno della basilica ha richiami evidenti al
gotico francese nella cuspide della facciata,
nello slancio, ma il tutto ha un carattere total‐
mente diverso dal gotico d’oltralpe anche se il
portale bipartito può richiamare quello stile.
Le mensole orizzontali e soprattutto il rosone
hanno un'aria decisamente italiana ed umbra
che ci fa ripensare alla cattedrale di S. Rufino
e di cui ne richiama gli elementi.
Il campanile inoltre è greve con un largo im‐
pianto che si alleggerisce con le cornici oriz‐
zontali divisorie e appena si rianima con profi‐
lature salienti, verticali, verso aperture molto
alte.
Il coronamento propone l'orizzontalità e il
senso della chiusura delle pareti sottolineano
l'importanza delle superfici tutte colore in
quella bella pietra del Subasio che si accende
nelle ore della luce di rosa e s'imbianca forte‐
mente sotto la luna.
Le finestre così misurate nella loro forma
sono note di canto con le vetrate di colore,
ma lasciano un largo spazio alla narrazione
che cammina con l'uomo dentro la navata.
I contrafforti sono costituiti da pilastri cilindri‐
ci che si staccano quasi come rilievo plastico
dalla superficie, piuttosto che riassumere la
tensione verticale delle pareti, e si diversifica‐
no nel colore dall'insieme della costruzione.
Colore e linea dunque piuttosto che tensione
o slancio acuto, nervoso, dinamico, sono i
caratteri di tutta la basilica che si offre come
un messaggio di spiritualità semplice, senza
presupposti tecnici complicati o raziocini
teologici, tomistici e francesi.
Infatti, anche nella parte posteriore della
basilica gli archi rampanti non sono determi‐
nati dai giochi di scarico della basilica ma dal
terreno scosceso dello sperone su cui si erge
l'edificio all'estremo ovest della città. E il
gioco di essi, da contemplarsi più in basso,
non è che il gioco necessario per costruzioni
che si sono aggiunte e affiancate alla Chiesa,
con un impianto più allargato dei previsto
progetto che si svilupperà poi nel pieno Rina‐
scimento.
Lunedì 24
8. Assisi, agosto 2009 pag. 8
La Francia era presente ad Assisi attraverso il
commercio delle stoffe e la cultura conventu‐
ale di altri ordini religiosi cistercensi che ave‐
vano percorso da Vercelli, Chiaravalle e Casa‐
mari le terre piemontesi, lombarde, laziali,
toscane coi monaci di S. Bernardo. Tale stile
architettonico si diffonde e diventa moda, ma
una moda che nella Toscana e nell'Umbria ha
un altro sapore e si adatta al carattere locale
e ne riassume lo spirito umano, la semplicità
e la chiarezza ed elimina dello stesso ogni
virtuosismo. ogni acutezza, ogni forzatura.
In tal modo anche la struttura poligonale
dell'abside si inserisce serenamente in questo
discorso di colore e di misura serena ed uma‐
na.
Dio aleggia ovunque, è vicino all'uomo, cam‐
mina con lui per le strade del mondo per
innalzare lo spirito sì, ma senza strappi violen‐
ti.
L'interno propone una sola navata a quattro
campate di ampio respiro con largo transetto
e abside poligonale
I pilastri che sostengono le volte si inserisco‐
no quasi nella parete con le loro polistili linee
ascendenti a fasci di colonnine su cui poggia‐
no senza grossi sforzi i costoloni delle volte a
crociera.
Le pareti, con un'ascendenza
calma ed ampia, ad una certa
altezza rientrano formando
un ballatoio che corre lungo la
navata e nella parete della
facciata sale sopra il portale
sottostante il rosone.
L'insieme architettonico crea un senso di
luminosità, di colore, di serenità che contra‐
sta fortemente con l'austerità della basilica
inferiore.
Dal profondo dell'essere turbato dal peccato
e dalle passioni nasce al contatto purificatore
di Francesco questo respiro di liberazione e di
gioia pura.
Se si vuoi capire lo spirito religioso e artistico
di questa chiesa occorre tener presente che i
francescani si dedicavano particolarmente
l'istruzione religiosa del popolo minuto. Per‐
ciò essi, da bravi maestri, oltre alla parola
parlata, usavano la parola dipinta. L'immagine
visiva fu sempre uno strumento didattico
efficacissimo, usato dalla Chiesa sia per i dotti
che per i semplici i quali sono più colpiti dalle
figure che dai discorsi. Ecco perchè le chiese
dei Medio Evo e particolarmente quelle fran‐
cescane e domenicane furono spesso ricoper‐
te di pitture.
Al popolo, per lo più analfabeta, che non
sapeva o non poteva leggere un testo scritto,
veniva offerto un testo dipinto sulle pareti
della Chiesa. La decorazione pittorica della
chiesa francescana non aveva scopi ornativi,
ma didattici, e perciò veniva chiamata la
"Bibbia dei poveri". Vi si trovavano infatti
descritti e rappresentati, per episodi salienti,
tutti i testi della Rivelazione divina.
Il grandioso ciclo pittorico della basilica Supe‐
riore è il più unitario e logico che si conosca, e
si presenta come un'opera storica e religiosa.
Tutto l'insieme della decorazione esprime,
con ordine rigoroso ed evidente, l'unità e la
finalità della Chiesa raffigurata concretamen‐
te nell'edificio della Basilica, costruita in for‐
ma di Croce, cioè sulla passione dell'Uomo?
Dio.
Il centro della Chiesa è
costituito dall'Altare, cioè
del mistico Calvario, sul
quale il Cristo rinnova il suo
sacrificio.
Nelle Vele sopra l'altare
sono rappresentati i propa‐
gatori del messaggio di Gesù, i Quattro Evan‐
gelisti, opera di Cimabue, con lo sfondo delle
città capoluoghi di quelle regioni nelle quali si
svolse il loro insegnamento.
Alla destra del Cristo vivente si svolge la raffi‐
gurazione della Chiesa celeste, per mezzo
delle simboliche visioni del 'Ubro dell'Apoca‐
lisse" ? ( l. Adorazione dell'Agnello, figura dei
fedeli che nella Messa adorano la Vittima
immolata ? 2. Visione dei quattro Angeli ? 3.
Visione del giudizio di Dio ? 4. Visione della
distruzione di Babilonia, cioè della sconfitta
finale del male).
Lunedì 24
9. Assisi, agosto 2009 pag. 9
La grande scena della Crocifissione, di Cima‐
bue, nella parete di destra, ricorda ai fedeli
che Gesù, per vincere il peccato, si è immola‐
to sulla Croce. (La Chiesa e il cristiano devono
accettare la Croce di Gesù per vincere il ma‐
le).
A sinistra dell'altare è rappresentata nelle
storie di San Pietro e di San Paolo la vicenda
della Chiesa terrena. Anche in questo braccio
si trova una Crocifissione che è sempre il fatto
culminante della Redenzione.
Intermediaria fra la Chiesa celeste e la Chiesa
terrestre è Maria, alla quale è riservata la
parte centrale del Coro.
Lungo la navata, nelle due zone in lato si svi‐
luppano gli episodi del Vecchio Testamento, a
sinistra, e del Nuovo Testamento, a destra.
La Bibbia dei poveri è così compiuta con la
viva rappresentazione dell'Antico Testamen‐
to, del Nuovo Testamento, dell'Apocalisse,
degli Atti degli Apostoli, della Madonna, nel
magistero infallibile della Chiesa.
Ma c'era una aggiunta da fare alla Bibbia dei
poveri, ed era la Storia di S. Francesco, cioè la
storia dell'Alter Christus che ripeteva nella
propria vita la gaudiosa, dolorosa e gloriosa
vita del Salvatore, dalla nascita alle stigmate
sul monte della Verna.
Interessa a questo punto soffermarci per
considerare l'arte insigne dei due massimi
pittori della Basilica di S. Francesco.
CIMABUE E GIOTTO
La decorazione della Basilica Superiore ha
come punto di partenza il 1272 ed è CIMA‐
BUE che qui domina veramente con una
drammaticità che lo distacca fortemente dalla
Pala della Maestà degli Uffizi Fiorentini.
Se in lui altrove era indubbia l'influenza bizan‐
tina, nei fondi d'oro e nelle lumeggiature
delle vesti e nell'impostazione statica frontale
di alcune figure, ad Assisi questa impostazio‐
ne lascia posto ad un nuovo modo di sentire e
soprattutto ad una nuova impostazione tecni‐
co artistica.
Certamente egli fu colpito profondamente
dalla patetica arte di Giunta Pisano espressa
nei Crocifissi che da trionfanti diventano sof‐
ferenti; per questo la rappresentazione si
impregna di una realtà che va al di là della
nostra piccola vicenda umana e scava nello
spazio una profondità che mette in risalto il
rigore quasi plastico delle figure su cui si in‐
centra la sua attenzione.
Questo rigore è creato innanzi tutto da una
linea che distacca dal fondo e che con lumeg‐
giature particolari, non ancora giochi chiaro‐
scurali, evidenzia figure ed oggetti.
E' proprio questa linea che si fa atto, sicurez‐
za, espressione, interiorità di sentimenti e
non più limite del semplice colore come nei
bizantini quando serviva alla distinzione delle
partiture cromatiche, la protagonista assoluta
dell'arte nuova di Cimabue. Inoltre tutto
quanto circonda la figura centrale sente que‐
sto brivido nuovo e sembra gemere intorno
alla presentazione del fatto evangelico con un
partecipazione viva, gestita, sofferta e non
totalmente espressa.
Per questo il messaggio della sua pittura ri‐
mane al di là della prosa poetica e umana di
Giotto e mantiene quel tanto di aristocratico
tono che si fa denso di bagliori e fortemente
drammatico.
GIOTTO fu chiamato ad Assisi dai Francescani
dopo che per loro aveva creato la Maestà per
la bella Chiesa d'Ognissanti e per sempre
rimarrà legato all'Ordine fino alla morte. I
critici sono incerti sulla data dei lavori giotte‐
schi della Basilica Superiore. Il Vasari parla
nelle "Vite" degli anni 1296? ‐ 1304, mentre
sappiamo che in tale anno è già tutto assorbi‐
to per gli affreschi della Cappella degli Scrove‐
gni di Padova.
Il ciclo di Assisi abbina due meraviglie: quella
della vera prima narrazione prosastica di una
vita di S. Francesco in un ritmo continuo nar‐
rativo e quella dell'arte di Giotto: "clel ritrarre
bene, di naturale, le persone vive come dirà il
Vasari.
Non basta. Giotto doveva necessariamente
sintetizzare il messaggio umano cristiano di
Francesco: semplicità, rispetto di ogni creatu‐
ra e penetrazione dei suo essere e dei suo
messaggio in comunione con l'uomo; amore
Lunedì 24
10. Assisi, agosto 2009 pag. 10
della creazione come opera di Dio e come
scala per ritornare alla sua contemplazione:
perdono in senso orizzontale e verticale per
ristabilire l'armonia dentro cui l'anima degli
uomini può trovare la pace e la gioia.
Le pitture di Giotto destinate a colpire viva‐
mente la fantasia popolare hanno il carattere
dell’immediatezza narrativa e di plastica evi‐
denza. Le scene si affiancano ciascuna con un
evidentissimo centro compositivo di chiara
impostazione drammatica con personaggi
psicologicamente ben definiti, con forte rilie‐
vo plastico e con efficace e geniale evidenza
pittorica.
Il cosiddetto naturalismo di Giotto ebbe buon
gioco in queste pitture che
avevano il compito di nar‐
rare di commuovere col‐
pendo direttamente la
semplice fantasia popolare
senza sottigliezze dottrinali
e senza astrattezze allego‐
riche.
Il pennello di Giotto segue
fedelmente nella narrazio‐
ne la vita scritto da S. Bonaventura.
Uniamo il commento di qualche affresco.
1. “Fu un uomo d'Assisi che, quando egli alcu‐
na volta vedeva Francesco... si poneva giù
le vestimenta e spazzavagli la via per la
città innanzi e poneale sotto i piedi...” (S.
Bonaventura ? Vita di S. Francesco ? 1,1).
Due gruppi di persone ai quali corrispondo‐
no due gruppi architettonici, più calmo
quello della parte del Santo, impennato e
rotto quello dalla parte degli spettatori
sorpresi. In mezzo il Tempio di Minerva,
reso più aperto e leggero. Bellissimo esem‐
pio della partecipazione scenografica del
paesaggio al fatto rappresentato.
2. “... Si incontrò in un cavaliere nobile, ma
era povero e mal vestito, del quale piglian‐
do pietà e misericordia si spogliò di quei
panni, e al povero cavaliere per amore di
Dio li diede... " (Id. 1,2).
La scena è divisa, dai profili dei monti, in
diagonale. All’incrocio delle diagonali, la
testa del santo. La sagoma del cavallo fa
quasi grotta, mentre i paesi in alto sono
come stupiti della generosità del donatore.
4. “...essendo uscito fuori nel campo a pensa‐
re, e andato presso alla chiesa di San Da‐
miano, la quale per troppo vecchiezza pu‐
rea che volesse cadere, ... udì una voce
divina nell'aere che disse: Francesco, va'
racconcio la chiesa, che vedi ch'ella si di‐
strugge tutta" (Id. 2,1).
Le rotture della chiesa permettono la visio‐
ne della scena. Il Santo è chiuso tra le due
colonne e un architrave, ma il Crocifisso
appare, tra gli strappi dei muro, in desolato
abbandono.
6. “… il Papa... vide un'altra
visione in questo modo, ch’ei
veda la chiesa di San Giovan‐
ni Laterano che parea che
cadesse, e un povero piccolo
e spregiato vi mettea sotto il
dosso e sosteneala che non
cadesse” (Id 3, 10).
Quieto il sonno del Papa
vegliato dai vecchi seduti,
nella camera a formelle. La figura del Santo
è di potente volume come un pilastro, al
confronto delle esili colonne.
14. “Il beato Francesco scese dall'asino e
gittassi in orazione con le mani levate al
cielo, e disse al povero: "Va ci quella pietra
e troverai acqua viva che Iddio t'ha appa‐
recchiato per la suo misericordia". (Id 7,12).
La roccia del monte s'impenna con la pre‐
ghiera, mentre l'assetato si schiaccia sulle
falde orizzontali. Il gruppo di sinistra, coi
soprastante monte, fa quasi da contrappe‐
so allo slancio mistico del Santo.
15. “Fratelli miei, lodate Dio che vi creò e
havvi vestiti di penne per volare e havvi
conceduto la purità dell'aria e davvi l'esca
per la vostra vita” (Id. 12,3).
Tra i due alberi fronzuti, un ampio spazio
dal quale l'amoroso gesto del Santo evoca
e attrae.
19. “...un Serafino discese dal cielo... di sì
grande splendore che parea che ardesse...
Lunedì 24
12. Assisi, agosto 2009 pag. 12
inferiore, è quella di un'oscurità nella quale
difficilmente si riesce ad orientarsi.
La Chiesa superiore slanciata, spaziosa, ario‐
sa, luminosa è in netto contrasto con la Basili‐
ca inferiore che si presenta come una grave,
potente, oscura costruzione ad archi schiac‐
ciati e a volte prone.
La Chiesa superiore par che canti impennata
verso il cielo. La Chiesa inferiore par che pre‐
ghi inginocchiata sulla tomba del Santo.
La Chiesa superiore invita all'espansione e
alla letizia; questa alla meditazione, alla peni‐
tenza e al silenzio.
I due edifici sovrastanti par che alludano alla
doppia vicenda della vita umana, prima nella
fase terrena e dolorosa, poi
in quella celeste e gaudiosa.
L'unione dei due edifici e‐
sprime anche il concetto
tipicamente francescano che
la perfetta letizia (Chiesa
superiore) può nascere sol‐
tanto sul sacrificio libera‐
mente accettato (Chiesa
inferiore).
La navata centrale si presenta come una gal‐
leria oscura formata dalle potenti costolature
degli archi impostati ad altezza d'uomo. Lo
sguardo è attratto da una incerta luminosità
dell'altare maggiore e dalle vele della Crocie‐
ra. Le quattro pitture allegoriche. iscritte in
quattro triangoli della volta non sono pura
decorazione o piacevole ornamento ma rap‐
presentano le –u8209 – ommecose" del Fran‐
cescanesimo e sono le figurazioni allegoriche
della santità a cui pervenne Francesco nell'os‐
servanza dell'Obbedienza, della Castità e
della Povertà.
La sottile trattazione sistematica e pittorica
rivela che l’opera fu eseguita sotto la rigorosa
e costante vigilanza di un teologo francescano
al quale il pittore doveva obbedire,
Le vele sono uno degli esempi più luminosi
della collaborazione fra l'ideatore religioso
del "soggetto" e l'esecutore laico dell'opera
d'arte, secondo le consuetudini e la tradizio‐
ne di tutto il Medio Evo.
LE VELE
VELA DELL'OBBEDIENZA
L'Obbedienza impone silenzio – mentre ap‐
poggia il giogo sulle spalle di un frate. E' assi‐
stita dalla Prudenza con doppio volto e da
una fanciulla bellissima che rappresenta l'U‐
miltà. Un Angelo alla destra allontana un
Centauro simbolo della bestialità.
VELA DELLA POVERTA'
Nella seconda vela è rappresentato il mistico
sposalizio di S. Francesco con la Povertà. Il
figlio del ricco mercante di lana "francesca"
ha ritrovato sulla vetta di un altro monte la
sposa che cercava: una triste, scarna, sfiorita
donna che nessuno voleva e che tutti disprez‐
zavano.
"Questa, privata dal primo
marito, millecent’anni e
più dispetta e scura fino a
costui si stette senza invi‐
to".
Madonna Povertà sta coi
piedi scalzi sui rovi, simbo‐
lo delle tribolazioni pun‐
genti della vita materiale;
ma i rami più alti dei roveto fioriscono di rose
cioè di consolazioni spirituali. Gesù benedice
le nozze. La Speranza offre l'anello. La Carità,
coronata con tre fiammelle offre il cuore. La
Carità è in se stessa sterile se non è accompa‐
gnata dalla Fede, dalla Speranza e dalla Cari‐
tà.
VELA DELLA CASTITA'
Entro un castello eretto sulla vetta di un mon‐
te, nella più alta stanza della torre centrale si
è chiusa spontaneamente la Castità difesa
dalla Purità e dalla Fortezza. Alla difesa ester‐
na del castello provvederanno gli anziani.
Fuori dalle mura un giovane dopo il bagno
purificatore riceve la bianca insegna e lo scu‐
do d'oro.
Nell'ultima vela è rappresentata la GLORIA DI
FRANCESCO. S. Francesco siede sul trono tra
angeli, è ornato da una splendida veste.
Tutta la decorazione indica il senso della glo‐
ria raggiunta. I colori si sciolgono nella luce
mentre le linee si restringono nella vela a
Lunedì 24
13. Assisi, agosto 2009 pag. 13
dare il senso della leggerezza del movimento
ascensionale, in piena armonia con le linee
architettoniche.
Nel braccio destro della Crociera la volta è
interamente ricoperta da fasce di affreschi
per lo più attribuiti a Giotto e ai suoi scolari.
Nella prima fascia spicca una grandiosa opera
di Cimabue rappresentante una Madonna col
Bambino posta in trono tra quattro angeli. E'
questa l'unica opera superstite della primitiva
decorazione, è di respiro ampio e solenne,
che richiama la pala dello stesso agli Uffizi.
Questa però è più ricca di umanità, più forte
nella semplicità della composizione, più in‐
tensa nella scelta dei colori che si concentra‐
no in un rapporto immediato di rispetto e di
dialogo.
Il braccio sinistro della Crociera rispecchia in
certo qual modo la parte destra per la deco‐
razione che ricopre tutte le pareti, ma mostra
più varietà nella rappresentazione e nella
disposizione dei riquadri spesso irregolari.
Infatti qui operò un altro grande artista di
scuola senese PIETRO LORENZETTI coi suoi
aiuti. Egli espresse in queste opere la forza
lirica e drammatica del suo sentire, in un
crescendo potente ed insolito per questa
scuola senese che si abbandona più facilmen‐
te alla dolcezza con una umanità nuova ri‐
spetto a tutti gli altri pittori.
Notevole è la Crocifissione che ha una impo‐
stazione di profonda drammaticità forse ispi‐
ratagli dall'affresco di Cimabue. La forza è
espressa oltre che dai volti, dalla densità del
colore, dal movimento che sembra coinvolge‐
re il cielo e la terra, le persone e le cose e
prende motivazione di espressività che si
allontana dalla liricità solita a Pietro Lorenzet‐
ti.
Come possiamo subito sperimentare nell'in‐
cantevole Madonna tra S. Francesco e Gio‐
vanni, c'è qui un'atmosfera di colloquio inti‐
mo e pacato, un timido appartarsi di France‐
sco, un isolarsi di Giovanni. La Vergine col
dito fà cenno al Bimbo di volgersi verso Fran‐
cesco, quasi esprimendo una preferenza. La
luce chiara investe la composizione, segnata
da spazi che aumentano il senso di silenzio e
di delicata comunicazione tra questi spiriti
eletti.
Nulla turba questo incontro così ricco di moti‐
vazioni umane in cui la linea senese si sposa
al colore, mai acceso ma diluito nella chiarità
espressiva della forma e del contenuto.
LA CRIPTA
Quanto vi è di affascinante e di straordinario
per le strade, le case, le chiese di Assisi, sem‐
bra risolversi, attraverso il gioco delle sue vie
tortuose e delle sue lunghe scale, con grazia
toccante, verso le viscere della roccia viva,
ove, ragione di ogni altra meraviglia, in que‐
sta cripta severa e disadorna, riposa Colui
«che fu tutto serafico ardore». Tuttavia San
Francesco è qui più vivo che mai, poiché a Lui
salgono da ogni angolo della terra milioni di
pellegrini di ogni razza e continente.
La luce che parte dalla sua Tomba benedetta
è un continuo richiamo agli uomini smarriti
per le vie del mondo alla ricerca di un po’ di
pace. Sembra di vederla ancora la tormentata
immagine del Santo di Assisi adergersi in un
nimbo di luce, tendere al mondo le mani stig‐
matizzate e ripetere a tutte le creature il suo
saluto serafico di «Pace e bene»! San Bona‐
ventura lo chiamava il banditore di pace per‐
ché annunciava pace in ogni predica, auspica‐
va pace in ogni saluto, sospirava l’ineffabile
pace dell’estasi negli istanti di contemplazio‐
ne. Ben possiamo dirlo ora cittadino di quella
Gerusalemme, per la quale il Salmista, uomo
della pace, pacifico dinanzi a coloro che la
pace odiarono, cantava: «Chiedete pace per
Gerusalemme» (S. Bonaventura).
Qui, nel rozzo sarcofago di sasso, contenuto
nel pilastro eretto al centro del vano a crocie‐
ra, è il Sacro Corpo del Poverello. In quel pun‐
to lo nascose, integro, Frate Elia, nel 1230,
rendendolo inaccessibile a qualunque possibi‐
le violazione.
Nel 1818, dopo 52 notti di lavoro, i Frati del
sacro Convento, autorizzati da Pio VII, giunge‐
vano col piccone a rimettere in luce il prezio‐
so Tesoro che fu racchiuso in un’urna di bron‐
zo sigillata della Santa Sede; nel 1820 fu aper‐
Lunedì 24
14. Assisi, agosto 2009 pag. 14
ta la vasta cripta, scavata nella viva pietra;
1932 su disegno dell’Arch. Ugo Tarchi venne
realizzata l’attuale sistemazione, in luogo di
quella neoclassica dell’800. Nelle nicchie –
agli angoli del vano – sono state sistemate le
tombe di quattro discepoli del Santo: Fra’
Leone, Fra’ Masseo, Fra’ Rufino, Fra’ Angelo,
originariamente sepolti nella Chiesa inferiore;
mentre nel punto di congiunzione delle due
scale che conducono alla cripta, sono i resti
della Nobil Donna romana Jacopa de’ Sotteso‐
li, devota benefattrice del Santo, il quale era
solito chimarla Frate Jacopa.
Apertura ore 08.30 chiusura ore 18.45
CHIESA DI SANTA CHIARA
La bella Basilica di Santa Chiara sorge
sull’omonima piazza ed è stata edificata sopra
la preesistente chiesa di San Giorgio, tanto
cara ai due Santi d’Assisi. In essa Francesco fu
sepolto, dopo la morte avvenuta alla
Porziuncola; in essa egli fu canonizzato. Le
sue spoglie restarono qui per quattro anni
prima della traslazione nella grande Basilica
che porta il suo nome. La chiesa di San
Giorgio era prediletta anche da Chiara, che vi
fu sepolta. Edificata tra il 1257 ed il 1265, su
progetto di fra’ Filippo da Campello, la
Basilica è in stile gotico‐italiano, detto anche
"francescano": fu consacrata nel 1265.
La facciata, molto semplice, è costituita da
pietra bianca e rosa, assemblata a strisce
orizzontali. La pietra rossa proviene dalle cave
del Monte Subasio ed è particolarmente
luminosa. Nella parte mediana è il bellissimo
rosone a cerchi concentrici con colonnine. La
parte superiore, a triangolo, ha un'apertura
circolare. Nel Trecento, per motivi di stabilità,
sono stati costruiti tre contrarchi esterni (altri
tre sono incorporati nelle strutture del
convento) che non mutano la grazia
dell'edificio. Il campanile, alla destra
dell'abside, è a pianta quadrata. Il portale è
preceduto da due leoni.
L'interno evidenzia tutta la severa semplicità
dell’Ordine Francescano. L’impianto è a unica
navata, in stile gotico, con volte a crociera. La
navata si presenta spoglia, anche se sulla
parete sinistra dell'ingresso vi sono tracce
d’affreschi. Fra i molti capolavori d’arte che la
Basilica contiene, si citano:
La Cappella di San Giorgio In questa Cappella
sono i resti della preesistente chiesa di San
Giorgio, quindi essa
rappresenta la zona più
antica dell’edificio. E’ divisa
in due ambienti:
la Cappella del SS.
Sacramento, con affreschi di
Pace di Bartolo
(Annunciazione, San Giorgio,
Presepio, Epifania), il
meraviglioso “Madonna col
Bambino in trono e santi” di Puccio Capanna
ed altri;
l’Oratorio del Crocefisso, o delle Reliquie.
L’Oratorio contiene il Crocefisso dipinto su
tavola che, secondo la tradizione, avrebbe
invitato S. Francesco nella chiesa di S.
Damiano a "rifondare la Chiesa". Il Crocefisso
fu trasferito qui dalle Clarisse.
La Cappella di S. Agnese Nell’altare sono
conservate le spoglie di varie beate
compagne di S. Chiara. Sulle pareti notevoli
affreschi di G. Martinelli e di S. Spagnoli.
La Cripta Costruita tra il 1850 e il 1872, la
Cripta conserva i resti terreni di Santa Chiara
e alcune reliquie particolarmente ben
conservate: un saio di S. Francesco ed una
veste ‐ fra altre ‐ realizzata dalla Santa. I resti
erano stati ritrovati nel 1850, nel sepolcro
sotto l'altare. Di recente sono stati rifatti ‐ in
resina ‐ la maschera, le mani e i piedi, per
preservarli dall’inclemente azione del tempo.
Si può salire per una strettissima scala da cui
è visibile il sepolcro ove la salma era stata
tumulata.
La Tavola di S. Chiara Preziosa opera del
Trecento, eseguita dal Maestro di Santa
Chiara. La Tavola raffigura la Santa, mentre ai
lati, otto riquadri ricordano i momenti più
Lunedì 24
15. Assisi, agosto 2009 pag. 15
significativi della sua vita. La tavola va
interpretata dal basso a cominciare da
sinistra: allora avremo il Vescovo Guido che
porge a Chiara un ramoscello d’ulivo, quindi
Chiara che è accolta alla Porziuncola dai frati,
la vestizione, il padre che vuole costringere la
figlia ad abbandonare l'intenzione di
prendere i voti; a destra è Agnese che viene
trattenuta dal seguire la sorella, sul pane
compare la croce davanti agli occhi del Papa,
la Santa sul letto di morte e i funerali
presenziati dal Papa. Stupendi gli Affreschi
della Volta, opera del Maestro di Santa
Chiara.
STORIA DI SANTA CHIARA
Nel 1194, da una nobile famiglia di Assisi
nasce Chiara da Favarone di Offreduccio di
Bernardino e Ortolana.
La madre, recatasi a pregare alla vigilia del
parto presso la chiesa di San Rufino sentì una
voce dall'alto che le preannunciava la nascita
di una bambina. Queste le parole" Donna non
temere, perché felicemente partorirai una
chiara luce che illuminerà il mondo".
Per questo motivo la bambina fu chiamata
Chiara e verrà battezzata nella stessa chiesa.
Il clima religioso e la spiritualità che pervade‐
va la famiglia della giovane lasciò un' impron‐
ta indelebile nel carattere e nell'educazione
di Chiara.
In particolar modo, la madre Ortolana fu don‐
na di grande carisma, tanto da essere una
delle prime dame che ebbero la grande fortu‐
na di raggiungere la Terra Santa a seguito dei
Crociati.
Le predicazioni e la vita di San Francesco su‐
scitarono nell'animo della fanciulla profonda
ammirazione.
La notte dopo la Domenica delle Palme, il 18
marzo 1212, Chiara accompagnata da Pacifica
di Guelfuccio si recò di nascosto alla Porziun‐
cola, dove l'attendeva Francesco ed i suoi
frati. Qui fu vestita del saio francescano e le
furono tagliati gli splendidi capelli, per consa‐
crarla così alla vita di penitenza. Francesco
poi la condusse presso le suore benedettine
di San Paolo di Bastia Umbra. Il padre di lei
tentò con ogni mezzo di farla ritornare a casa,
ma senza riuscirvi.
Chiara si rifugiò successivamente, su consiglio
di Francesco, presso la chiesetta di San Da‐
miano, che divenne la casa madre di tutte le
consorelle, chiamate inizialmente "Povere
Dame recluse di San Damiano" poi, dopo la
morte di Chiara, "clarisse".
Qui visse per ben 42 anni, ed iniziò alla vita
religiosa anche la madre Ortolana, oltre alle
sue due sorelle, Beatrice e Agnese.
Nel 1215 Francesco la nominò badessa e for‐
mulò una prima regola dell'Ordine, che dove‐
va espandersi in tutta Europa.
La mitezza del suo carattere, la dolcezza
dell'animo ed il modo di governare la sua
piccola comunità le procurarono la stima dei
Papi, che vollero persino recarsi a visitarla.
Dopo la morte di Francesco e le notizie che
alcuni monasteri accettavano donazioni e
rendite, Chiara si allarmò e volle salvare ad
ogni costo la povertà del suo convento, sep‐
pur sempre più sofferente e malata.
Compose allora, una regola simile a quella
dell'Ordine dei frati minori, che fu approvata
dal Cardinale Rainaldo nel 1252 e, alla vigilia
della sua morte, da papa Innocenzo IV, reca‐
tosi a San Damiano per portarle la sua bene‐
dizione e consegnarle la bolla papale che
confermava la sua regola.
Chiara muore il giorno dopo, l'11 agosto
1253,
offi‐
ciata
dal
Papa
che
volle
canta‐
re per
lei non l'ufficio dei morti, ma quello festivo
delle vergini.
Il suo corpo venne prima sepolto a San Gior‐
gio, poi trasferito nella chiesa che porta il suo
nome e dove tutt'ora è conservato.
Chiara venne proclamata santa nel 1255.
CHIESA DI SAN RUFINO
Lunedì 24
16. Assisi, agosto 2009 pag. 16
San Rufino non è soltanto la cattedrale di
Assisi ma rappresenta una pietra miliare nella
storia francescana. In questa chiesa infatti
San Francesco tenne la sua prima predicazio‐
ne, e proprio qui Santa Chiara incontro' il
Vescovo Guido. Questa antica chiesa sorse
nel 1140, intitolata a San Rufino vescovo e
martire del III secolo. Una prima piccola chie‐
sa lui dedicata fu eretta in questo luogo già
nell' VIII secolo sulle rovine di un tempio ro‐
mano dedicato, secondo una cronaca del
1085, a Cerere dea delle messi. La chiesa che
possiamo visitare attualmente è opera di
Giovanni da Gubbio, fu consacrata nel 1253,
si narra che le spoglie del santo furono conte‐
se tra il Vescovo Ugone, che voleva trasferirle
nel vecchio Duomo di Santa Maria Maggiore e
il popolo che non voleva muoverle di qui . La
disputa fu risolta con un tiro alla fune tra la
rappresentanza popolare e quella vescovile:
vinse il popolo e le reliquie rimasero lì dove
erano sempre state.
La facciata in stile romanico, capolavoro del
romanico umbro, è sovrastata da uno splen‐
dido rosone centrale che sembra sorretto da
tre telamoni poggiati su animali ed è circon‐
dato dai simboli degli Evangelisti. L'arco mag‐
giore riporta le vite dei santi incorniciate da
motivi floreali. Nella lunetta all'interno del
cerchio è Cristo in trono; alla sinistra, sempre
in trono, è la Madonna che allatta Gesù; nella
destra è San Rufino. Alla base del portone
principale sono due leoni. I grifi invece sono
posti ai lati dei portali secondari (in quello di
sinistra è ubicato generalmente l'ingresso);
all'interno dei cerchi trovano posto alternati‐
vamente motivi floreali e animali simbolici.
Nella zona mediana della facciata, al di sopra
dell'elegante piccolo colonnato si stagliano i
tre rosoni di imponente bellezza.
La parte superiore della facciata, a forma di
triangolo, ha un arco a sesto acuto, postumo
e certamente doveva servire da supporto ad
un fregio che non fu mai messo in opera.
L'interno a tre navate è quello ridisegnato da
Galeazzo Alessi nel 1571 con dieci cappelle
laterali. All'inizio della navata destra è l'antico
fonte battesimale dove furono battezzati
Francesco e Chiara. Particolarmente ricca di
affreschi e tele è la cappella del Sacramento,
ma la parte piu' suggestiva la abbiamo nei
sottrerranei della chiesa con i resti di un chio‐
stro di epoca carolingia che ospitano la cripta
con i resti di San Rufino. È da notare il bel
campanile con base a forma quadrata pog‐
giante forse su una cisterna romana. Al di
sotto del campanile sorge una costruzione
che alcuni studiosi riconoscono nella casa
natale di Santa Chiara.
A fianco della chiesa si trova anche un ricco
museo diocesano.
CHIESA DI SAN PIETRO
La Chiesa di S. Pietro fu costruita nel X sec. e
ristrutturata nel 1200.
La facciata, portata a termine nel 1268, è in
stile romanico, con un portale maggiore, alla
cui base sono posti due leoni in pietra, e due
porte laterali.
Sulla sommità e a metà dell'altezza della fac‐
ciata, si può notare un cornicione ad archetti
in stile romanico con accenni gotici. Nella
sezione superiore si possono ammirare inol‐
tre tre eleganti rosoni.
L'interno è a tre navate, con robusti pilastri
che conferiscono austerità all'ambiente.
All'ingresso ci sono due tombe del XIV sec. e il
presbiterio, sopraelevato rispetto alle navate,
nel quale ci sono diversi affreschi del XIV sec.
Il tempio è stato eretto alla fine del X sec., ma
ristrutturato nel '200 e la facciata è stata
finita nel 1268; nella parte esterna da notare
è la deliziosa cupola ed il campanile a pianta
quadrata.
L'Abbazia di S.Pietro è abitata da una piccola
comunità di Monaci Appartenenti alla Con‐
gregazione Benedettina Cassinese. Essi vivo‐
no seguendo la Regola di S.Benedetto, che
riassume la sua vitalità nel famoso detto"Ora
et Labora".
CHIESA DI SANTA MARIA MAGGIORE
La Chiesa di Santa Maria Maggiore si trova in
Piazza del Vescovado, ed è stata edificata
sopra un tempio cristiano, ricavato da un
edificio di culto romano. La facciata in pietra
Lunedì 24
17. Assisi, agosto 2009 pag. 17
ha due ingressi e al centro vi è un rosone
molto grazioso; il campanile fu eretto nel
Trecento e l'interno della Chiesa è a tre nava‐
te e presenta numerose tracce di affreschi.
Nel Tempio è stato battezzato San Francesco.
A pochi passi vi è il Vescovado dove San Fran‐
cesco rinunciò ai beni del padre davanti a
Guido II, e nelle vicinanze vi si trova il Mona‐
stero di San Giuseppe al cui interno troviamo
affreschi di Puccio Capanna e di Anonimo
grottesco. Scendendo verso Via Antonio Cri‐
sofani, troviamo l'Oratorio di San Francescuc‐
cio. È sicuramente piena di fascino proprio
perché immersa in una piazzetta di verde.
CHIESA DI SAN GIACOMO
La Chiesa di S. Giacomo venne costruita nel
1088 con i beni donati da Ubertino di Guitto‐
ne di Assisi al monastero di Farfa. La Chiesa
venne chiamata de murorupto poiché si trova
presso le rovine delle mura della città. L'inter‐
no della Chiesa romanica è ad una sola navata
con transetto, divisa in tre campate con volta
a crociera e archi di sostegno. Nell'abside
sono presenti due affreschi del '500, uno
rappresentante Santa Caterina d'Alessandria
e l'altro la Madonna col Bambino. Sull'arcone
dell'abside c'è un Crocifisso seicentesco e
nella sacrestia un affresco votivo con la Ma‐
donna del Latte e i SS.Francesco, Rocco, Be‐
nedetto, Rufino, Chiara e Sebastiano. Passan‐
do per una piccola porta sul transetto si esce
sul muro di cinta della città, dove dalla terraz‐
za si gode un bellissimo panorama, da Porta
San Giacomo fino alla torre della Rocca Mag‐
giore, sino alla valle del Tescio. A sinistra c'è il
Palazzo Vallemani sede della Biblioteca Co‐
munale e dell'Accademia Properziana del
Subasio.Al lato del portale si trova la lapide di
Arnaldo Fortini, uno dei più cari di Assisi. La
Biblioteca Comunale è la più fornita del Com‐
prensorio della Valle Umbra Nord ed una
parte dei testi sono stati trasferiti al Fondo
Antico del Sacro Convento. Un po' più avanti
sulla destra, c'è l'Oratorio dei Pellegrini del XV
secolo dove sono conservati affreschi di Pier
Antonio Mezastris e di Matteo da Gualdo
CHIESA NUOVA
"I frati minori che custodiscono il Santuario
della Chiesa Nuova, noto anche come Casa
Paterna di S. Francesco, ti danno il benvenu‐
to."
Qui per secoli la tradizione ha indicato la casa
di S. Francesco. Finché nel 1615 i Frati Minori,
con il contributo finanziario di Filippo III, Re di
Spagna, la trasformarono in chiesa.
La chiesa è una elegante costruzione a croce
greca, con una cupola maggiore e quattro
minori sui bracci della crociera, ispirata al
disegno raffaellesco di Sant'Eligio degli Orafi
in Roma.
L'interno è decorato da affreschi di Cesare
Sermei e di Giacomo Giorgetti, entrambi del
secolo XVII.
Nell'area della casa paterna si ricordano due
decisivi avvenimenti della vita del Santo.
Qui il Signore in un sogno fece intravedere al
giovane Francesco il suo piano di predilezione
divina.
Qui il giovane, incarcerato dal padre nel sot‐
toscala, decise di rispondere alla chiamata
con un gesto evangelico: la rinuncia all'eredi‐
tà.
La casa era a tre piani. A piano terra il negozio
di stoffe del ricco mercante Pietro di Bernar‐
done e forse anche i laboratori e la tintoria. Al
primo piano, il piano attuale della chiesa, i
locali diurni della famiglia. Al secondo piano,
ora scomparso, le camere da letto.
La tela del Sermei sull'Altare Maggiore è quasi
all'altezza della camera del giovane France‐
sco.
Dal 1400 nei documenti si parla di una cap‐
pella nella casa di Francesco.
E' ancora conservata la vecchia strada della
città, su cui si affacciava l'ingresso della casa
dove, come dice Dante Alighieri: "nacque al
mondo un sole".
Quella strada è dedicata a Pietro di Bernardo‐
ne. Vi si apre un antico locale, indicato come
il fondaco o negozio dove S. Francesco fece la
sua prima esperienza di mercante.
Qui avvenne un altro episodio di generosità:
si era presentato al giovane un povero a chie‐
dere l'elemosina. Francesco lo aveva trascura‐
Lunedì 24
18. Assisi, agosto 2009 pag. 18
to ed il mendico se ne era andato. Ma quando
il giovane mercante si avvide della propria
grettezza, lo rincorse lungo queste viuzze e gli
riversò generosamente in mano quanto aveva
in tasca.
CHIESA DI SANTO STEFANO
La chiesetta di Santo Stefano si raggiunge
percorrendo i vicoli di Assisi. Fu costruita
nella metà del XII secolo ed è caratterizzata
da una semplice facciata.
Il suo interno è composto da una sola navata
con archi di stile gotico e le pareti sono rive‐
stite da affreschi del '400 e '500. Ci sono delle
feritoie che permettono alla luce di entrare e
il campanile della chiesetta si dice che abbia
suonato l'agonia di San Francesco. La bellezza
naturale di Santo Stefano invita alla preghiera
e alla meditazione francescana.
CHIESA DI SAN FRANCESCO PICCOLINO
San Francesco piccolino è uno tra i luoghi più
significativi del francescanesimo e del mondo
cristiano, fin dal XIII secolo. In questo luogo
Lello di Guido fece nel 1286, un testamento
chiedendo di deporre la sua salma nella Basi‐
lica di San Francesco.
Fu Piccardo di Angelo, nipote di San France‐
sco a trasformare questa piccola stanza della
casa, in luogo Sacro per ricordare ai concitta‐
dini e al mondo intero il Luogo della nascita
del Santo.Piccardo per 29 anni fu un peniten‐
te della Basilica di San Francesco, ed è anche
per questo che l'Oratorio di San Francesco
passerà in dono al Sacro Convento.
L'interno dell'oratorio è caratterizzato da una
volta in pietra rustica, molto simile a quella
della Porziuncola e di San Damiano, e negli
anni le pareti vennero rivestite da afffre‐
schi,mentre nel 1926 vennero riportate alle
origini.
La facciata di questo piccolo Oratorio è di stile
romanico‐gotico, molto simile all'interno del
Loggiato che si trova nel Sacro Convento rea‐
lizzato dai Maestri Comancini.Sull'arco ogiva‐
le troviamo una frase molto significativa scrit‐
ta in latino : " Questo Oratorio fu stalla del
bove e dell'asinello dove nacque San France‐
sco,specchio del Mondo".
Questo luogo tanto caro ad Assisi, possiamo
definirlo come Santuario in memoria della
nascita del Santo.
PIAZZA DEL COMUNE
Situata sul luogo ove sorgeva l’antico Foro
romano, la Piazza del Comune è il “cuore
laico” di Assisi, il fulcro della vita sociale,
culturale e politica della città. Gli importanti
monumenti che la circondano ‐ e che fanno
da corona alla bella fontana costruita da
Giovanni Martinucci nel 1762 ‐ sono stati
testimoni dei principali avvenimenti politici e
storici di Assisi. Fra questi monumenti sono
particolarmente da notare: il Foro romano e
la sua collezione archeologica, il Palazzo dei
Priori, sede municipale, il Palazzo del
Capitano del Popolo, sede della Società
Internazionale di Studi Francescani, la Torre
del Popolo e il famoso Tempio di Minerva,
riconvertito nella Chiesa di S. Maria Sopra
Minerva.
PALAZZO DEI PRIORI
Il fronte irregolare del Palazzo dei Priori de‐
nota l‘inglobamento di quattro diversi edifici
preesistenti e include un passaggio stradale
voltato a botte, detto Volta Pinta per le deco‐
razioni a grottesche dipinte nel 1556.
Questo palazzo, costruito nel 1337, ha subito
nel 1927 dei pesanti restauri.
Oggi è sede del Municipio, dell‘Azienda di
Turismo e della Pinacoteca.
Questa comprende affreschi staccati di scuola
giottesca dal XIV al XVI secolo: fra i più impor‐
tanti, Tiberio d‘Assisi, Dono Doni, il Gonfalo‐
ne della Madonna della Carità dell‘Alunno,
una Madonna in trono col Bambino e santi di
Ottaviano Nelli.
TORRE DEL POPOLO
La Torre del Popolo svetta sulla Piazza del
Comune ed è a pianta quadrata. La sua
costruzione risale alla seconda metà del
Duecento. Tuttavia, la Torre fu costruita a più
riprese, e solo nel 1305 fu completato
l'ultimo piano. L'orologio vi fu installato alla
metà del XV secolo. La Torre è stata sede del
Catasto Comunale e del Collegio del Notari.
Nel 1926 fu collocata sulla Torre la Campana
Lunedì 24
19. Assisi, agosto 2009 pag. 19
delle Laudi, del peso di 40 quintali, donata ad
Assisi dai Comuni d'Italia. Sulla campana è
inciso il Cantico delle Creature, massima e
sublime espressione poetica di S. Francesco.
PALAZZO CAPITANO DEL POPOLO
Costruito tra il 1212 e il 1305, è il primo palaz‐
zo pubblico che si insedia nella piazza del
Comune, a ridosso del tempio.
Nella sua facciata sono murati le misure per
la seta, il lino e la lana, ma anche le sagome
dei mattoni e delle tegole per l‘edilizia. Nel
primo riquadro del ciclo di S. Francesco nella
chiesa superiore si nota che la Torre del Po‐
polo manca ancora della sua parte terminale,
finita solamente nel 1305.
Un restauro del 1927 ha piuttosto sfalsato
l‘aspetto originario del palazzo.
Sotto ad un portico sul lato corto della piazza,
accanto all‘imbocco di Via Portica, si trova un
affresco di notevole qualità di un allievo di
Simone Martini, Madonna del Popolo.
TEMPIO DI MINERVA
Il Tempio di Minerva, che prospetta su Piazza
del Comune, risa‐
le al I secolo a.C. e
fu eretto dai
quattuorviri Gneo
Cesio e Tito Cesio
Prisco. Probabil‐
mente l’edificio
non era dedicato
a Minerva, come
si pensò in seguito al ritrovamento di una
statua femminile, bensì ad Ercole, di cui è
stata scoperta una lapide votiva. Il tempio è
un vero gioiello dell'arte antica. Goethe ‐ che
ebbe occasione di visitarlo nel corso del suo
viaggio in Italia ‐ lo descrisse con queste effi‐
caci parole:
“Esso è di ordine corinzio, e la distanza fra le
colonne è un po' maggiore di due diametri. Le
basi coi loro plinti sembrano posare sopra
piedestalli, ma solo in apparenza: poiché lo
stilobate (il basamento) è stato aperto nei
cinque spazi fra le colonne, per far posto a
cinque gradini, che salgono fino al piano, in
cui le colonne posano realmente, e nel quale
s'apre la porta d'accesso al tempio. Ragione‐
volissima fu l'adozione di questi gradini inca‐
strati entro lo stilobate: giacché, essendo il
tempio costrutto in collina, la scalinata d'ac‐
cesso avrebbe occupato una troppo grande
parte del foro, se non si fosse adottato que‐
sto espediente".
Le colonne erano in origine coperte di cemen‐
to durissimo e perfettamente liscio, che si
conserva tuttora in gran parte, e che era forse
dipinto a vari colori. Sulle pareti interne del
portico sono state collocate molte iscrizioni
romane trovate negli scavi, fra cui varie della
famiglia Properzia. Nel 1539 nella sua cella a
pianta rettangolare, si costruì la Chiesa di
Santa Maria sopra Minerva, ulteriormente
modificata in stile barocco nel XVII secolo. Le
decorazioni della volta sono opera
dell’Appiani, mentre i quadri degli altari sono
del Conneler
CHIESA DI SAN DAMIANO
A mezza costa del Monte Subasio, poco fuori
Assisi, sprofondato fra gli ulivi, chiaro e sere‐
no, si trova il Convento di San Damiano, defi‐
nito come “la gemma più pura, il luogo più
francescano, più commovente di tutta l'Um‐
bria”. Qui tutto è stato conservato come un
tempo: se appena si riesce a dimenticare il
presente e ad immaginare il passato, si posso‐
no ancora vedere le bianche clarisse raccolte
nel piccolo spiazzo, al sole; la sublime sorella
Chiara, affacciarsi, dalla terrazzina, sul portico
d'entrata, e guardare giù, nella piana, una
macchia oscura d'alberi: la povera Porziunco‐
la di Francesco. In S. Damiano è la sorgente di
quanto c’è di più dolce, più commovente, più
vero, più umano nell’epopea francescana.
La storia del Santuario è breve: San France‐
sco, appena convertito alla sua nuova missio‐
ne umana, cominciò a restaurare la piccola
cappella campestre che cadeva in rovina.
Quando Chiara volle seguire il serafico fratel‐
lo nella vita di serena umiltà, Francesco pose
in S. Damiano Chiara e le sue prime compa‐
gne (1212). Da quel tempo la cappella, arric‐
chitasi di un modesto edificio adibito a con‐
vento, restò l'asilo delle Beate compagne di
Lunedì 24
20. Assisi, agosto 2009 pag. 20
Chiara. Se la Porziuncola fu il nido del movi‐
mento francescano, S. Damiano fu il cuore di
tutta l'Epopea. Qui il Santo trovò sempre
conforto alle amarezze suscitategli abbondan‐
temente dai malvagi, fin dentro le mura del
suo amato convento. In San Damiano, S. Fran‐
cesco, già sfinito dalle sofferenze fisiche e
prossimo
al trapas‐
so, com‐
pose quel
Cantico
del Sole,
che è il
primo e
più puro
esempio di poesia italiana.
Morto Francesco, S. Damiano rimase il focola‐
re inviolabile della sua più alta idealità, del
suo più rigido pensiero. Invano fu proposto a
Chiara di accettare conventi e terre; invano si
tentò di spingerla a modificare, a raddolcire la
Regola ricevuta dal Santo. E quando alcune
orde di Saraceni, calati in Italia, giunsero ad
Assisi, rubando e distruggendo, S. Chiara,
preso il Sacramento fra le mani, uscì ad incon‐
trarli, sulla soglia del suo Asilo. E i barbari
piegarono il capo e si ritirarono dal territorio,
senz'altro danno.
Trasferite le clarisse nel nuovo monastero per
esse preparato in città, accanto alla tomba
della loro Fondatrice ‐ morta nel 1253 ‐ la
veneranda chiesa fu data in custodia ai Frati
Minori che tuttora vi officiano.
Appena entrati nella piazzetta del Santuario,
ornata d'una mediocre statua in bronzo della
Santa, si presenta la facciata della chiesa, col
piccolo portico affondato di pochi gradini nel
suolo. Sotto il portico v'è una cappella dedica‐
ta a S. Gerolamo, nella quale è conservato un
pregevole affresco di Tiberio d’Assisi (secolo
XVI). Varcata la porta centrale, si entra nella
piccola chiesa, con la volta a botte, disadorna
e annerita dal tempo. Nella parete a destra, è
visibile la “finestra del denaro”, dove S. Fran‐
cesco nascose i denari destinati al restauro
della chiesa, ricavati dalla vendita delle stoffe
sottratte dal fondaco paterno.
Più avanti è la Cappella del Crocifisso, che
contiene la pregevole scultura lignea di fra’
Innocenzo da Palermo (secolo XVI). Notevoli i
tre diversi aspetti del volto di questo Crocifis‐
so visto di fronte, da sinistra e da destra. L'al‐
tar maggiore, ricostruito in travertino di Ra‐
polano, ricorda quello riprodotto da Giotto
nella Basilica di S. Francesco. Il Crocifisso
posto sopra I'altare è una copia fedele del
Crocifisso che qui parlò a S. Francesco e che
ora si conserva presso le religiose di Santa
Chiara in Assisi.
Il Coro è arricchito da una bellissima immagi‐
ne della Madonna, opera del secolo XII. Dalla
Sacrestia, si giunge al più mistico recesso del
Santuario: il Coro di Santa Chiara. Qui Chiara
si raccoglieva a pregare, insieme alle compa‐
gne. Da notare le spalliere e i sedili con gli
inginocchiatoi di legno, che s'addossano ai tre
lati della cappella, dirimpetto all’altare, e i
due leggii a doppia faccia rizzati ai due angoli.
Il Refettorio di Santa Chiara conserva ancora
tutta la sua semplicità e povertà primitiva: le
stesse tavole, gli stessi sedili, l'antico armadio
e l'antica porta; la tradizione indica ancora il
posto di Chiara, segnato da una piccola croce.
Uscendo dal Coro, una vecchia scala conduce
alla parte superiore del monastero. Prima di
arrivare all'oratorio, si può visitare il giardino,
dove la Santa, abitualmente malata, prende‐
va un po’ d'aria, coltivava i fiori e si deliziava
alla vista della campagna.
S. Damiano custodisce il prezioso armadio
delle Reliquie. Le principali sono: il libro di
preghiera di S. Chiara scritto da fra’ Leone;
l'Ostensorio di S. Chiara (quello che pose in
fuga i Saraceni); la scatola d'avorio con l'Euca‐
ristia; un pezzo di pane benedetto da S. Chia‐
ra; la campanella di S. Chiara e un rimasuglio
dell'impiastro applicato sulla piaga del costa‐
to di S. Francesco.
Lunedì 24
21. Assisi, agosto 2009 pag. 21
Perugia
Alt. m 493 slm. Ab. 160.724 (2005)
I primi insediamenti risalgono al IX secolo a.C.
Dal VI a.C. si struttura la città con un impianto
che realizza quel connubio tra città e colle in
un mu tuo adattarsi nel corso dei secoli, co‐
noscendo la massima espansione nel Medioe‐
vo. Perugia etrusca, una delle dodecadopoli
più importanti, dotata di possenti mura, si
sviluppa collegando colle Landone e colle
Sole. L’Arco Etrusco e gli ipogei di San Man no
e dei Volumni sono testimonianze eloquenti.
Nel I secolo a.C. è sotto i Romani: nel 40 la
città è incendiata in seguito agli avvenimenti
della guerra civile tra Ottaviano e Marco An‐
tonio; conosce un restauro e una crescita
edilizia sotto lo stesso Ottaviano che per sot‐
tolinearne il dominio la chiamerà ‘Augusta
Perusia’. In epoca paleocristiana si definisce
l’espansione fuori le mura. Nel 548 To tila la
distrugge. Dopo la dominazione bizantina, nel
XII secolo nascono le autonomie comunali: si
assiste a un radicale riassetto sia urbanistico,
assumendo la forma stellare ed edificando
quelli che sono i gioielli cittadini come il Pa‐
lazzo dei Priori e la Fontana Maggiore, sia
amministrativo, strutturando quella cintura di
borghi fortificati che ancora oggi caratterizza
il paesaggio. Nasce la prestigiosa università.
Segue una stagione tumultuosa sotto il con‐
trollo di diversi signori, da Biordo Michelotti a
Braccio da Montone. Nel 1425 la città si sot‐
tomette alla Chiesa, ma a governare è in real‐
tà la cripto‐signoria dei Baglioni. Del 1540 è la
“guerra del sale”: la costruzione della Rocca
Paolina è il segno della sconfitta, il quartiere
dei Baglioni è distrutto e in parte inglobato
nella fortezza. Le tensioni con la Chiesa resta‐
no una costante: nel 1859 la città è saccheg‐
giata dalle truppe papaline in risposta
all’insurrezione popolare che aveva portato
alla parziale distruzione dell’odiata Rocca.
PALAZZETTO DEI NOTARI
Realizzato in forme gotiche tra il 1438 e il
1446, conserva fra le trifore di facciata lo
stemma del Collegio dei Notari, un grifo su
calamaio. Nel 1591 l’apertura di via Pinella –
oggi Calderini – comportò l’abbattimento
dell’ala sinistra del palazzo.
PALAZZO DEI PRIORI
Verso la fine dell’anno Duecento, fu deciso di
erigere un Palazzo del Popolo disposto fron‐
talmente rispetto alla Fontana Maggiore,
corrispondente alla porzione di edificio in cui
si trova l’attuale Sala dei Notari. Nel corso del
Trecento e del Quattrocento il palazzo subì
numerosiampliamenti, fino a raggiungere
l’aspetto attuale. L’ala meridionale risale
invece alla seconda metà del XVI secolo e fu
realizzata in forme rinascimentali.
Al primo piano dell’edificio prevalgono gli
arconi ogivali, in cui si aprono gli spazi che
ospitano negozi e botteghe, mentre la fascia
superiore è occupata da finestre trifore. Il
portale che si affaccia su corso Vannucci fu
realizzato in epoca posteriore, negli anni im‐
mediatamente successivi al 1346, con carat‐
teri romanici e un grande arco a tutto sesto.
Sull’altro lato del palazzo si affaccia la gran‐
diosa Sala dei Notari, alla quale si accede
Martedì 25 agosto
PROGRAMMA MATTINO:
ore 8.30 Partenza per Perugia
ore 12.00 pranzo (pizzeria in centro LA BOTTE Indirizzo: Via Volte della pace 33 Telefono: 075
5722679, ci è richiesta puntualità, menù turistico)
PROGRAMMA POMERIGGIO: Basilica Santa Maria degli Angeli, Eremo delle Carceri e/o Rocca di
Assisi
SERATA: VISITA ALLA CITTÀ
Martedì 25
22. Assisi, agosto 2009 pag. 22
tramite la scala detta “della Vaccara”.
All’interno risiede una interessante e rara
decorazione pittorica, con gli stemmi dei
podestà, dei capitani del popolo e un ciclo
allegorico con scene bibliche e tratte dalla
storia cittadina, risalente al XIII secolo, proba‐
bilmente opera di autori locali.
Al fianco della scala si apre un bel portico a
tre arcate retto da capitelli trecenteschi.
Sopra il portale della Sala dei Notari si trova‐
no le mensole su cui poggiavano le sculture
bronzee del Grifo e del Leone. Le sculture
oggi esposte sono delle copie, mentre gli
originali, veri e propri capolavori dell’arte
medievale (il Grifo è stato fuso nel 1274),
sono conservati nelle sale interne.
FONTANA MAGGIORE
Tra i massimi esempi di scultura medievale
italiana (v. scheda p. 24). Fu realizzata tra il
1278 e il 1280 da Nicola e Giovanni Pisano su
progetto di Fra Bevignate, con l’ausilio per la
parte idraulica di Boninsegna da Venezia, per
celebrare il compimento del nuovo acquedot‐
to.
È composta di due vasche poligonali concen‐
triche, sormontate da una tazza bronzea a
sua volta coronata da un gruppo di tre figure
femminili. La vasca inferiore reca, a bassori‐
lievo, raffigurazioni dei dodici mesi, accompa‐
gnate dai segni zodiacali e da altri soggetti
allegorici. Quella superiore si compone di
ventiquattro lastre, separate da figure allego‐
riche sacre e storiche.
CATTEDRALE DI SAN LORENZO
Progettata intorno al 1300 in sostituzione
della preesistente cattedrale romanica, la
costruzione si protrasse fino al secolo succes‐
sivo. La facciata, incompiuta, su piazza Danti è
contraddistinta dal portale barocco realizzato
da Pietro Carattoli nel 1729. Il fianco verso la
fontana, anch’esso incompiuto, reca un por‐
tale del 1568, opera di Galeazzo Alessi, un
pregevole pulpito quattrocentesco e un croci‐
fisso ligneo, opera di Polidoro Ciburri, qui
posto durante la guerra del sale (1540).
L’interno, con la caratteristica struttura a sala,
fu totalmente rifatto e decorato nel ’700.
Conserva, nella cappella di San Bernardino, la
Deposizione di Federico Barocci (1569). Nella
cappella di San Giuseppe sono conservati il
reliquiario cesellato del Santo Anello e una
copia di Wicar dello Sposalizio di Maria del
Perugino, trafugato dai francesi in periodo
napoleonico. Le vetrate furono realizzate dal
celebre laboratorio perugino Morettini‐
Caselli. Nell’abside il coro ligneo di Giuliano
da Maiano e Domenico del Tasso (1491) fu
restaurato a seguito di un incendio nel 1985.
Nella sagrestia è il ciclo pittorico del Martirio
di San Lorenzo di Giovanni Antonio Pandolfi
(1573‐76).
Assisi:
BASILICA DI SANTA MARIA DEGLI ANGELI
La Basilica di Santa Maria degli Angeli si trova
a pochi chilometri da Assisi, in pianura, al
centro della Valle Umbra. E’ uno dei maggiori
templi della cristianità, ed è sorta con un
duplice scopo: anzitutto, custodire e proteg‐
gere la Porziuncola ‐ la culla preziosa
dell’Ordine francescano ‐ la piccola chiesetta‐
oratorio che ospitò Francesco e i suoi frati
all’inizio della loro missione; in secondo luo‐
go, accogliere l’enorme folla dei pellegrini
attratta ogni anno dalla Festa del Perdono (il
Perdono d’Assisi è un’indulgenza istituita dal
Santo e confermata poi da Papa Onorio III).
Il tempio, imponente nelle linee architettoni‐
che, ma austero nella decorazione, fu eretto
tra il 1569 e il 1679, per volere del Vescovo
Geri e su progetto di Galeazzo Alessi.
Quest’ultimo si avvalse della collaborazione
del Vignola e di Giulio Danti.
La base della facciata fu gettata alla fine del
Cinquecento. L’edificio fu gravemente dan‐
neggiato dal terremoto del 1832 e fu rico‐
struito su disegno del Poletti, che introdusse
inutili e banali modificazioni. Le nuove porte
scolpite in noce furono messe in opera nel
1892. L'attuale facciata neo‐rinascimentale,
con il portico, fu aggiunta tra il 1924 e il 1930.
Nel 1930 venne pure collocata la statua aurea
della Madonna degli Angeli, opera dello scul‐
tore Colasanti. Sulla grandiosa mole della
chiesa si libra la bella cupola ‐ completata nel
Martedì 25