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“MUNICIPIUM”

municipium ottobre 2013_municipium dicembre.qxd 10/10/2013 07:44 Pagina 1

ANNO V

La ragione
dell’anno della Fede
Papa Francesco, parlando ai Gesuiti
dopo la visita della Specula vaticana, li
invitava a percorrere le periferie dell’esistenza e a stare sulle frontiere tra la
fede e il sapere umano. All’inizio del
nuovo anno scolastico, la sua voce
programma una Chiesa che sa farsi
ascoltare, ci stimola alla ricerca della
verità avvertendoci di tenerci lontani
dalla tentazione di crederci al centro
dell’universo. Siamo il terzo pianeta
vicino al Sole, che fa parte della periferia della nostra galassia (siamo a
28.000 anni luce dal centro galattico)
una tra cento miliardi di galassie,
ognuna delle quali con miliardi di stelle e pianeti: non ci sorprenda la vertigine della mente ma la mancanza di
umiltà. Possiamo far nostre le parole
di Isaac Newton: “Io mi vedo come un
fanciullo che gioca sulla riva del mare, e di
tanto in tanto si diverte a scoprire un ciottolo più levigato o una conchiglia più bella
del consueto, mentre davanti a me si stende inesplorato l’immenso oceano della verità”. Cristo dal Vangelo ci raggiunge:
“Io sono la verità”. La fede non è cosa
di sola ragione ma di cuore che fa
esperienza di una Persona: per capirlo
bisogna viverlo. Non è sapere di un
libro riletto saltuariamente o di abitudini nelle quali ci accomodiamo. Alla
luce della fede cristiana ripensiamo la
tragedia dell’Olocausto: una vera
incarnazione dello spirito del male (criminali al potere assoluto, conquistato
democraticamente): evento indicato
nell’Apocalisse nell’enorme “drago rosso”
che ponendosi dinanzi alla Donna luogo
della vita (Maria di Nazareth), sembra
trionfare. Su tanta tragedia nella quale
l’antico Caino torna ad uccidere l’innocente Abele mandato a morire nelle
camere a gas col volto dei bimbi che
entrano tenendosi per mano e costretti a cantare, si erge Cristo presente in
un uomo, Padre Massimiliano Maria
Kolbe che si offre al posto di un padre
di famiglia con sette figli, presente in
una donna Edith Stein, undicesima
figlia di una coppia di ebrei, convertita
al Cattolicesimo al quale offre il frutto
di una brillante intelligenza che
impianta quanto appreso alla scuola
della fenomenologia di E. Husserl,
nell’architettura razionale della tomistica; presente in Bonhoeffer, pastore
protestante, che alla domanda: dov’era
Dio ad Auschwitz? Risponde: “Il
Signore è impotente e debole. Così e solo
così rimane con noi e ci aiuta in virtù della
sua sofferenza. Non della sua
Onnipotenza”. Tutti e tre martiri uccisi
con Cristo presente in croce ad
Auschwitz: San Massimiliano Kolbe,
Santa Teresa Benedetta della Croce,
Bonhoeffer. Questa è la storia nella
quale tre cristiani, nostri fratelli, hanno
dato ragione della stessa fede che noi
oggi professiamo.
don Franco Ranaldi

Il Presidente dell’Associazione Ex
alunni ed amici del Tulliano, prof.
Loreto Marco D’Emilia, riceve il
Premio Fiuggi-Storia per il libro dedicato ad allievi e docenti del Tulliano
“Un’istituzione e i suoi protagonisti, cento biografie rappr esentative
di una storia secolare”.

Periodico della Città di Arpino
Ottobre 2013

DISTRIBUZIONE GRATUITA

Lettera aperta al Presidente della Regione Nicola Zingaretti
An ch e a d Ar pin o la CAS A D ELLA S ALU TE

Egregio Presidente Zingaretti
Chi Le scrive è la redazione di un
periodico a carattere locale che ha
raccolto diverse segnalazioni di dissenso di tanti cittadini in merito
alla vicenda che veniamo di seguito
a sottoporre alla Sua attenzione.
Nel mese di luglio c/a. è stato
siglato un accordo tra i commissari
dell’ASL di Frosinone e dell’amministrazione
provinciale
di
Frosinone che individua la struttura dell’ ex ospedale di Arpino quale
nuova sede per un indirizzo scolastico, nello specifico il Liceo
Classico Tulliano. L’ Ospedale
Civile Santa Croce era un presidio
sanitario a gestione diretta che
negli ultimi anni accoglieva i
pazienti di tutto il comprensorio
nel suo efficiente reparto di lungodegenza; chiuso definitivamente
circa 2 anni addietro a causa dei
tagli imposti dalla spending review.
Si tratta di una costruzione nuova, in ottimo stato, situata appena fuori il
centro storico. A nostro avviso la decisione di convertire l’ospedale in scuola contrasta con la riqualificazione della struttura stessa e sosteniamo che la
cittadinanza arpinate possa così essere privata di un diritto fondamentale.
Lei ha recentemente idealizzato “Le Case della salute”, ovvero un modello
nuovo di concepire la sanità, mirato a ripristinare i servizi assistenziali come
prioritari per i cittadini, una sorta di alternativa al Pronto Soccorso, dove
ogni anno arrivano oltre 1milione di codici bianche e verdi, facilmente curabili dai medici di famiglia; le Case della Salute offriranno assistenza e cura e
produrranno risparmi consistenti attraverso il decongestionamento degli
ospedali, rispondendo oltremodo alle esigenze di una popolazione che vede
crescere l’età media; le Case della Salute accoglieranno quindi i medici ospedalieri, di famiglia, specialisti ambulatoriali, fisioterapisti, infermieri e tecni-

colle

ci, pronti ad intervenire tempestivamente; il pronto soccorso si occuperà
degli acuti e gli ospedali torneranno
ad essere centri specializzati ad alta
intensità di cure. 15 Case della Salute
verranno aperte a Roma e 33 nelle
altre province laziali, con l’obiettivo di
recuperare i centri chiusi per i tagli
subiti.
In quest’ottica la nostra speranza è
che la struttura dell’ ospedale Santa
Croce di Arpino, possa essere riconsiderata in tal senso e nuovamente
destinata alle attività socio-sanitarie, a
beneficio della comunità locale e di
tutto il comprensorio. Noi non vogliamo ostacolare il nobile intento di trovare una sede definitiva per il prestigioso Liceo, ma altri edifici potrebbero essere considerati per lo scopo e
sicuramente a costi di ripristino ed
adeguamento più contenuti; edifici
oltremodo ubicati nel centro storico
del paese, con tutto il vantaggio di
essere facilmente raggiungibili dagli studenti e la quale presenza apporterebbe un contributo sostanziale all’economia locale stessa. Solamente per citarne qualcuno: la sede storica del Liceo in questione, che ospita anche il
Convitto Nazionale, ora annesso all’Istituto Comprensivo MTC ed il quale
Preside si è già dimostrato disponibile ed ospitale in tal senso; il Palazzo
Ladislao, già proprietà dell’ Ente provinciale; il Palazzo Sangermano, che
necessita di una tempestiva ristrutturazione, quale occasione migliore per
investire denaro pubblico al fine di restituire alla comunità un patrimonio
storico, nell’ottica della salvaguardia e della riqualificazione del bene comune.Fiduciosi di aver suscitato la Sua attenzione in merito, ci auguriamo un
Suo tempestivo intervento mirato ad affrontare la questione con la dovuta
considerazione, in modo opportunamente lungimirante, a favore di un compromesso dalle larghe intese che risponda alle esigenze di tutti.

un
quartiere
diviso
in
due

parata

Il sito istituzionale del
Comune sarà aggiornato?!?
Le disposizioni dettate dal legislatore (D.Lgs. n. 33/2013) al fine di realizzare un’amministrazione
aperta, al servizio del cittadino, assicurando la totale accessibilità delle informazioni relative all’attività e all’organizzazione degli enti pubblici, non trova ancora applicazione nel nostro Comune.
Difatti, non appare, sulla home page del sito istituzionale del Comune di Arpino, la sezione dedicata
alla “Amministrazione Trasparente”.
La responsabilità è da attribuire a chi nel recente passato è stato immobile e non, sicuramente, al funzionario individuato soltanto lo scorso 30 settembre …
Ci auguriamo che nel breve periodo anche questo problema venga risolto, così i cittadini finalmente
potranno accedere – tramite l’apposita sezione di tipo aperta e senza filtri - a tutte le informazioni
(testuale: “integre, complete, costantemente aggiornate, semplici da consultare, comprensibili e di
facile accessibilità”) relative a quanto si decide nelle stanze del Comune.
In sintesi, a mero titolo esemplificativo, i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria riguardano: gli
obiettivi strategici e operativi e quelli assegnati ai dirigenti; i compensi relativi ai rapporti di lavoro,
alle consulenze o collaborazioni; i regolamenti comunali; l’organizzazione degli uffici ed i premi distribuiti ai dipendenti; gli incarichi, retribuiti e non, conferiti ai dipendenti; la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e vantaggi economici superiori a mille euro; per gli organi politici, i curricula,
compensi, rimborsi per viaggi e missioni; i bandi di concorso e gli avvisi.
Il mancato rispetto di tali obblighi comporterà una responsabilità dirigenziale e potrà dar luogo a
responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione
Infine, si evidenzia che è stato introdotto un nuovo istituto quale espressione dei principi di trasparenza e pubblicità: il diritto di accesso civico. L’accesso civico, rappresentando un ampliamento del
potere di controllo dei cittadini sull’operato della Pubblica Amministrazione, è riconosciuto “a chiunque”, è gratuito e non deve essere motivato.

Martedì 8 ottobre 2013, ore 8.15. Sorpresa
in Municipio. Il segretario generale dottor
Antonio Marasca è tornato al lavoro dopo
due settimane di ferie. Fin qui nulla di strano, se non fosse per la volontà dell’amministrazione comunale del sindaco Renato Rea
di individuare un nuovo segretario per il
Comune di Arpino. Poco dopo la metà del
settembre scorso, infatti, al dottor Marasca
venne notificato un atto con cui lo stesso
primo cittadino lo metteva a conoscenza
dell’intenzione di voler cambiare. Per farlo
occorre tuttavia rispettare tempi e procedure
stabiliti dalla legge. In Comune ritengono di
essere nel giusto, evidentemente di parere
contrario è il segretario generale che ha
ripreso possesso del suo ufficio e lo ha fatto,
a quanto pare, facendosi accompagnare da
un avvocato.
Ora si profila un rebus: che farà l’amministrazione?
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PA G I N A 2

GLI

INFOIBATI

Chi ritiene che le foibe siano state un fenomeno, drammatico nella sua dolorosa evoluzione,
ma pur sempre limitato perché confinato
esclusivamente nel settore nord orientale della
Penisola, commette un errore gravissimo. In
quelle orride cavità carsiche, infatti, a più ondate, tra il settembre del 1943 e il maggio/giugno
del 1945, furono scaraventati più di 10 mila
nostri connazionali provenienti da ogni parte
d'Italia mentre in 350 mila furono costretti ad
abbandonare quelle terre da sempre italiane
(Venezia Giulia, Istria e Dalmazia su tutte)
dopo l'entrata in vigore dell'iniquo trattato del
10 febbraio 1947 che consegnò le province di
Pola, Fiume, Zara e parte cospicua di quelle di
Gorizia e di Trieste, alla Jugoslavia. Senza
dimenticare quelli che furono gettati in mare
con un pesante masso al collo e non più ritrovati oppure chi morì di stenti, torture e privazioni nei disumani campi di concentramento
titini. Qualche anno fa un collega giornalista de
“Il Piccolo” di Trieste mi inviò un lungo elenco di nomi (1048 per l'esattezza) di italiani,
militari e non, infoibati dai comunisti slavi.
Quell'elenco proveniva da una ricerca espletata
da una coraggiosa studiosa slovena, Natascha
Nemec (rimasta poi senza lavoro proprio a
causa delle sue pericolose incursioni negli
archivi segreti dell'Ozna: lì, in Slovenia e in
Croazia, non è ancora consentito parlare delle
foibe) ed era stato trasmesso, dopo tante vicissitudini, dal sindaco di Nova Gorica al collega
di Gorizia. Scorrendo quella interminabile
sequela di nomi la mia attenzione si concentrò
su quelli dell'Italia meridionale. Era da tempo,
infatti, che tentavo di indagare se anche il sud
della Penisola avesse avuto le sue vittime nelle
foibe. Iniziai da quelli della regione laziale e, in
primo luogo, della provincia di Frosinone, non
fosse altro che per motivi di comunanza geografica. Incrociando quei semplici nomi con
altre preziose notizie fornitemi dalla sezione
della Lega Nazionale di Gorizia, associazione
storica che vive e lavora in difesa della italianità di Trieste e della Venezia Giulia, dall'associazione Libero Comune di Fiume in esilio e,
soprattutto, dalla Società di Studi Fiumani e
dell'Archivio-Museo Storico di Fiume (via

DI

CU LTU RA

ARPINO

Antonio Cippico 10, Roma), ottimamente
diretto dall'amico Marino Micich, con il quale
sono in contatto ormai da anni, sono riuscito
ad estrapolare una decina di nostri conterranei
che finirino per essere inghiottiti dal buio pesto
e tenebroso delle foibe titine scomparendo
senza lasciare traccia. In questa esigua schiera
compare anche Felice Gavallotti, nato ad
Arpino nel 1908. Il padre si chiamava
Giuseppe. Era un ingegnere che lavorava a
Udine. Scomparve a Villanova del Iudrio, frazione del comune di San Giovanni al Natisone,
il 2 dicembre del 1944. Il torrente Iudrio, il cui
corso in gran parte separa oggi l'Italia dalla
Slovenia, fu teatro della soppressione e della
sparizione di molti nostri connazionali per
mano delle bande comuniste slave.
Drammatica poi la testimonianza del signor
Attilio De Arcangelis, originario di Arpino, la
cui vicenda è a dir poco avventurosa. Fatto prigioniero dai tedeschi fu rinchiuso nel carcere di
Pola da dove evase nell'aprile del 1945. Il 14
maggio, però, venne catturato dalla milizia
slava.A “Dopo un'altra settimana di carcere, il
20 maggio ho dovuto camminare fino a Fasana
per imbarcarmi al mattino presto sulla motocisterna 'Lino Campanella'. Arrivati nei pressi del
canale Area la nave urtò contro una mina.
Ognuno cercò di salvarsi come poteva. Mentre
eravamo in mare i partigiani titini di scorta ci
mitragliarono ammazzando una ventina dei
nostri” (Gianni Oliva, “Foibe. Le stragi negate
degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria”,
Mondadori 2002, p. 27).
Si tratta soltanto di tracce pallide ed indistinte
che affiorano a fatica nel mare sconfinato di
quella immane tragedia. Pertanto chi avesse
notizie su quelle persone di cui sopra oppure,
più in generale, sugli infoibati della provincia di
Frosinone, può contattarmi direttamente tramite e-mail (riccardifernando@libero.it) oppure telefonicamente al 333.1042718.
Voglio continuare a pensare, infatti, che l'esigenza di ricostruire fedelmente una vicenda
storica possa prevalere, sempre e comunque,
su qualsivoglia distinguo di natura politica o
ideologica.
Fernando Riccardi

L e ci oce, i t r a di z i ona l i ca l z a r i
i dent i t a r i del Ba sso L a z i o

Nelle cioce più recenti, con il diffondersi della motorizzazione ed in particolare nel periodo della
seconda guerra mondiale, furono usati per rinforzo della suola, al posto dei tacconi, dei pezzi di
coper tone. Qualcuno, volendo risparmiare l’acquisto del cuoio, legò direttamente ai pezzi di
copertone le stringhe. Calzature simili, costruite con copertoni di motocicli e laccioli di materiali vari, sono oggi molto diffuse tra alcune popolazioni africane, in particolare tra i Masai.
In Ciociaria, in casi molto sporadici venivano usati pezzi di camera d’aria di pneumatici: in tal
caso si ricavava una ciocia morbida, simile ad una babbuccia o a una galoscia, ma non adatta ai
pesanti lavori di campagna. Ancora oggi nelle zone rurali della Romania vengono usate calzature autocostruite con pezzi di camera d’aria.
Sotto le cioce di cuoio della nostra tradizione spesso venivano applicati, come accennato, due
ampi pezzi di cuoio, detti tacconi (taccune), mediante chiodi o grappe artigianali di fil di ferro
(ciappe). La loro funzione era di protezione del plantare dall’usura: periodicamente i taccune
potevano essere sostituiti con nuovi e integrati nei settori logoCioce di Frosinone
ri con l’aggiunta di altri frammenti di cuoio. L’usura era dovuta
soprattutto ai percorsi su terreni rocciosi o sassosi e ai lavori che
richiedevano la spinta continua dei piedi sulla lama metallica
della vanga. Spesso sui taccune venivano applicate le bollette
(ullétte, vellétte, bullétte), consistenti in chiodi molto corti,
dotati di una testa ampia e rigata, utili sia per la funzione antisdrucciolo che antiusura.
Da un punto di vista formale la ciocia è costituita da un plantar e di cuoio o altro materiale curvato a forma quasi di barchetta, con una punta, a seconda delle zone, più o meno accartocciata ed inarcata. Questo plantare era legato da lunghe stringhe
di cuoio flessibile, avvolgenti il polpaccio fino al ginocchio, terminanti all’estremità con due pezzi di spago che ne consentivano un’agevole annodatura finale. Il modello formale poteva
variare da zona a zona, nel rispetto di alcune proporzioni fondamentali e la maggiore differenza era dovuta al “corno” della ciocia, assente del tutto in alcune
aree, più o meno pronunciato in altre.
Come accessori erano indispensabili due panni di canapa, cotone o lino di color bianco, detti le
pèzz e; due calz ettoni di lana (bianchi o colorati, messi sotto le pezz e nei mesi freddi, o a protezione del morso delle vipere). Spesso veniva usato, specie dai pastori il guardamacchia, per proteggere le gambe da rovi e sterpi. Il guardamacchia era formato da una pelle, in genere di capra
dal lungo intonso pelame, che dalla vita scendeva lungo le gambe ed oltre il ginocchio, indossato sopra i calzoni e legato alla cintura e ai polpacci, molto utile come protezione dai rovi e dall’umidità della vegetazione, bagnata da pioggia o da rugiada (macchia, da intendere siepe e non
chiazza di sporco).
Questi calzari di cuoio, diffusi su ampi territori, in particolar modo del Centro e del Sud d’Italia,
erano chiamati: cioce nel Lazio (nel Settecento cioccera o cioccia); sciòscio nel Napoletano; ciòcchi in Umbria; cioccòle in Toscana; chiòchie e chiòchier e
in Abruzzo; scar pitti o zampitti o zumpitti in Abruzzo
e Molise, chiòchiara, zar riccu, pur cinu, sampittu o
zammitta in Calabria; zampitti, in Lucania; zampitto in
Puglia; zzampitta in Sicilia.
Le stringhe erano chiamate: cor rée, cor réoli, curiuóle,
strénghe. L’avvolgimento delle stringhe: abbuóte (famoso
il detto: i trìdece abbuóte). La punta della ciocia era chiamata in modi di-versi da luogo a luogo: bécche, bìf f era,
ciafròcca, ciuf fa, cricca, fizza, fr eciaròla, fròcia,
musse, picche, pizz e, pónta, ma può darsi che cercando,
Cioce di V eroli
se ne scoprano altri sinonimi.
Ugo Iannazzi

MUNICIPIUM

R ov i s t a n do t r a v ecchi e ca r t e
“RICORDI DEL TULLIANO”

Tra qualche mese ricorrerà il bicentenario del decreto murattiano che sancì l’ istituzione del
Liceo Tulliano ed io desidero portare una piccola testimonianza dell’ importanza che ebbe nella
formazione di tutti i giovani che lo frequentarono. In tante vecchie lettere ho trovato accenni
anche indiretti che dimostrano il senso di
appartenenza e, quasi, lo spirito di corpo
che univa gli studenti. In una di queste
diretta a mio zio Antonio da Torino il 22
maggio 1917 il giovane Captano scrive:
“Ieri abbiamo incontrato in Piazza Castello
Fanelli, Visocchi, Caccia, quello studente
che abitava del maestro Addrizza, in una
parola tutto il Convitto Tulliano!”. In altre
lettere gli ex-compagni di mio zio, originari di località diverse, anche della Marsica,
con brevi ma significativi cenni raccontano
di essere rientrati dalla licenza trascorsa
quasi tutta ad Arpino, anziché nella cittadina di origine, per rivedere molti amici.
Il professor Luigi Venturini con alcuni alunni di
Infine una mia testimonianza personale.
fronte al Tulliano negli anni trenta del ‘900
A metà degli anni Sessanta ero studente di
Giurisprudenza a Roma e svolgevo le mansioni di sostituto-segretario-autista di mio padre
avvocato. Quando mi recavo in un ufficio pubblico e dovevo “affrontare” un funzionario, spesso accadeva che, presentatomi, questi mi scrutava con attenzione e mi domandava se avessi una
qualche relazione con il prof. Luigi Venturini di Arpino. Quando rispondevo che si trattava di
mio nonno, vedevo aprirsi un grande sorriso sul viso del funzionario che mi diceva: “Io ho studiato al Liceo Tulliano e sono stato alunno di suo nonno!”. Luigi V enturini

E RICCIO DA MONTECHIA RO DISTRUSSE MONTENERO

Era il 1414. Arpino viveva da ormai sette
secoli in simbiosi con il territorio che era
stato dapprima Ducato di Benevento per poi
confluire nel Regno di Sicilia e diventare, infine, Regno di Napoli.
Il “matrimonio”, nella buona e nella cattiva
sorte, sarebbe durato per ben 1158 anni finché la morte, del Regno delle Due Sicilie, non
li avrebbe separati nel 1860. Si profilava,
intanto, l’ennesimo periodo di cattiva sorte.
Al sognatore Ladislao era succeduta la sorella Giovanna II, che non era altrettanto sognatrice, ma aveva in comune con il defunto fratello la passione smodata per l’altra metà del
cielo. Già vedova del primo marito
Guglielmo d’Austria fece perdere la testa
all’amante ufficiale Pandolfello Piscopo
(detto Alopo), che nel 1415 fu decapitato in
Piazza del Mercato per divergenze con il suo
nuovo marito Giacomo II di Borbone.
Quest’ultimo voleva ad ogni costo la corona
di re, negatagli dalla regina e dai contratti prematrimoniali.
Nel 1418, dopo tre anni di inutili tentativi,
finì per tornarsene sconfitto in Francia, dove
si ritirò in convento e trascorse gli ultimi
venti anni della vita da monaco francescano.
Giovanna, intanto, già dal 1416, si consolava
con Giovanni Caracciolo (detto Sergianni),
che ne approfittava per diventare ricchissimo
e potente, nonché responsabile di decisioni
che si sarebbero rivelate nefaste per il regno.
Ad egli si deve la rottura con Papa Martino V
che, non vedendo riconosciuti i diritti feudali che riteneva di vantare, nel 1420 inviò Luigi
III d'Angiò a vendicare le offese, nominandolo anche erede al trono del Regno di
Napoli.
Sergianni, con Napoli sotto assedio, cercò
l’aiuto di Alfonso V d'Aragona, che fu ugualmente nominato erede al trono. Alfonso liberò Napoli dall’assedio e cercò, subito dopo,
di liberarsi anche della coppia regnante.

Giovanna e Sergianni furono costretti a fuggire ad Aversa, dove ottennero l’appoggio di
Luigi III, in cambio del titolo di erede al
trono. Alfonso V, per il momento, se ne
tornò in Spagna.
Seguì un decennio di strapotere di Sergianni,
terminato di colpo il 19 agosto 1432, quando
un gruppo di sicari lo “divorziarono” da
Giovanna e dalla vita terrena. Dopo circa due
anni morì anche Giovanna che, pur non
avendo figli suoi, riuscì a lasciare ben due
eredi in lotta per la successione.
Iniziò così la guerra tra Renato D’Angiò, fratello del defunto Luigi III, ed Alfonso V, tornato nel frattempo dalla Spagna.
Arpino fu conquistata e riconquistata più
volte dalle soldataglie di ventura di ambo gli
schieramenti, che si produssero nel meglio
del loro repertorio di distruzioni e saccheggi.
In quei frangenti terminò la storia della fortezza di Montenero, completamente distrutta
dall’aragonese Riccio da Montechiaro
(Ever tit etiam Riccius Montem Nigr um
pr ope Ar pinum).
Raimondo Rotondi

LE MOSCHE BIANCHE:
Zappa - Zappetta - Zappone

La “zappa” è un
attrezzo agricolo usato
sia nell’orto per assolcare, cioè fare i solchi
atti a far scorrere l’acqua per innaffiare le
piante, sia per rincalzare le piante du mais. La
rincalzatura consisteva
nel togliere la terra dal
solco riportandola per coprire alla base le piantine. La
“zappa” è di dimensioni varie a seconda dell’uso che se
ne fa, quella più piccola, la “zappetta”, serviva esclusivamente per la cura dell’orto. “I zappone” serviva soprattutto per la scozza, frantumare le cozze, cioè le zolle di
terra prodotte dalla vangatura in modo da rendere la terra
fine e pronta per la semina. Il termine “zappa” è identico sia in lingua italiana che nel nostro dialetto e la sua etimologia è controversa. Secondo alcuni il termine deriverebbe da “zappo”, caprone, secondo altri dal tardo
medioevale “sappa”, (la “z” al posto dellsa “s” sarebbe
una introduzione del nord). Infine potrebbe derivare, più
verosimilmente, dal longobardo “zappa”.
A ntonio Errico Rea

Autorizzazione Trib. Cassino n. 196 del 12-2-76

Direttore responsabile: Paolo Carnevale
Direttore
Giampaolo Palma
Coordinatore
Collaboratori

Domenico Rea
Fabio Lucchetti
Raimondo Rotondi
A ntonio Errico Rea
Paola Di Scanno
Sara Pacitto

REDAZIONE
Piazza Municipio - Arpino (FR)
EDIZIONI
GSI - Gruppo Sistema Italia
Viale Mazzini, 224 - Frosinone

Il materiale ricevuto non sarà restituito Le collaborazioni s’intendono gratuite
Per chiarimenti e/o precisazioni
rivolgersi a Domenico Rea - cell. 339.5798895

www.ciociariaturismo.it
municipium.arpino@gmail.com
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MUNICIPIUM

GLI AMICI DI MUNICIPIUM

ATTU ALI TÀ

E L IS A C A RD IN A L I C A N TA N TE
DE I “ M A G D A L E N G R A A L ”

Origini arpinati per il fascino e la voce di
“Magdalen”
Il modo più semplice per conoscere e presentare Elisa Cardinali è digitare il nome della
sua band su “YouTube” ed ascoltare la sua bellissima voce. Chi scrive invece, l’ha incontrata
per caso su internet, una domenica d’agosto,

discutendo con lei sull’opportunità che la giuria del Gonfalone si pronunciasse sulla regolarità del “tiro alla fune”, con conseguente vittoria finale del “suo” Vallone. Troppa adrenalina
in quei momenti per accorgersi che si stava
bisticciando on line con l’interprete dei
“Magdalen Graal”, rock band già nota
oltreoceano, con all’attivo album, tournèe,
riconoscimenti internazionali ed un recente
importante contratto discografico con la
Warner. Con alle spalle una formazione lirica
(diplomata al Conservatorio di Frosinone),
insegnante di canto presso il CUT di Cassino,
sebbene ancor giovanissima Elisa Cardinali è
un’artista completa, con tanta passione e infinito talento prestati alla musica rock che interpreta con voce dolce, sofferta e palpitante. La
sua malcelata attenzione per i colori rossoblu,
tuttavia, ci ha svelato un profondo legame con
Arpino. Ce lo descrive confidandoci la sua storia, che sembra scritta in altri tempi “Accade
tutto quando il mio papà, A ngelo Cardinali, dopo
essere diventato per la seconda volta campione mondiale di fisarmonica, cominciò ad insegnare nella
sua terra natale, Cassino. Giunta voce della popolarità di questo giovane maestro, il mio caro e adorato nonno Elio Gabriele della contrada
Arpinate “Morroni”, decise di accompagnare mia
madre, allora tredicenne e studentessa di fisarmonica, da questo nuovo maestro. Qualche anno dopo la
proposta di matrimonio ed eccomi qua!” Anche il
nome d’arte è legato alle origini Arpinati: “Poco
prima che nascessi, la mamma di nonno Elio,
Maddalena, venne a mancare. La notte in cui sono
nata, mia madre sognò proprio nonna Maddalena
che le disse ‘questa bambina deve chiamarsi come
me’. Il mio nome completo infatti è Elisa
Maddalena Cardinali. Da qui il nome d’arte,
Magdalen”. Il progetto artistico che porta il suo
nome è nato nel 2006 dopo l’incontro con
Antonio Nardone, il compositore delle canzoni interpretate da Elisa Cardinali conciliando rock e melodia classica. Raccolto un rapido
ed incoraggiante apprezzamento di pubblico

per i brani lanciati sul web, già nel 2008 la band
raggiunge un notevole successo testimoniato
prima dalla “Florida Motion Pictures and
Television Association” che le conferisce il
“Crystal Reel Award” (miglior voce femminile), ed in seguito dalla prestigiosa marca di
strumenti Gibson che pubblica le loro canzoni sul proprio sito, selezionando i Magdalene
Graal tra le migliori nuove proposte pop-rock
al mondo. Contestualmente la band inizia una
lunga serie di concerti in Europa e America del
Nord e si esibisce anche in Italia al fianco di
Pino Scotto e Kee Marcello. “L’amore per la
musica nasce con me, cominciai a studiare con i
miei genitori all’età di 4 anni ma al di là della
didattica in sé, ho sempre sentito il bisogno di accumulare melodie, armonie, e suoni fin da quando ero
bambina... era come se cercassi di allegare alla mia
vita una personale colonna sonora e lo facevo ogni
qual volta arrivava musica alle mie orecchie. Con
l’opera e la lirica è stato amore al primo vocalizzo!
Avevo 14 anni quando i miei genitori si resero
conto che la mia vocina aveva qualcosa di particolare, e mi indirizzarono allo studio del bel canto.
Un percorso fantastico che mi vedeva indossare i
panni di "Mimì" dalla Boheme, di "Gilda" dal
Rigoletto e così via. A conclusione degli studi di

canto lirico però mi resi conto che avevo bisogno di
dare ai personaggi che interpretavo una identità
diversa, la mia. Per questo cominciai a scrivere
musica, la mia musica e cominciai ad adattare la
mia voce ad un nuovo genere, il rock. Il progetto
Magdalen nasce così, un po’ per gioco un po’ come
esperimento e si rivela la mia opera autobiografica
per eccellenza”. A dicembre, durante le vacanze
natalizie, Elisa Cardinali si esibirà in un concerto per piano e voce, a San Sosio, occasione
da non perdere per ascoltare dal vivo la sua
incantevole voce. L’invito è esteso a tutti i concittadini, perché nonostante tutto “Attualmente
ad Arpino vive una bella fetta della mia storia: i
miei nonni! Anche se non passo di lì molto spesso,
non posso negare di avere delle profonde radici tra
le fresche colline dei Morroni, e di questo ne vado
fiera! Forza Vallone!!”… Ecco, quasi quasi,
ricominciamo a bisticciare. Fabio Lucchetti

F o t o r i c o r d o : I MOTOCICLISTI

Negli anni ’70 una delle grandi iniziative, patrocinata dalla Proloco, grazie all’apporto del
Presidente del tempo, Massimo Struffi, e dal Moto Club Castelliri, fu la “Cronoscalata Isola del
Liri- Arpino”, dedicata al compianto Franco Mancini, motociclista isolano. Alla terza edizione,
che si svolse nel luglio del 1973, vi partecipò anche il nostro concittadino Mario Zautzik, oggi
affermato ortopedico a Napoli. L’ho incontrato per sottoporgli alcune domande.
-Quando nacque la tua passione per le moto? Ricordo che già dalla prima infanzia ero affascinato dalle due ruote e il passaggio dalla bicicletta alla moto fu breve. La mia prima moto fu
la Moto Bi 250, con questa iniziai la mia carriera da motociclista.
-Abbiamo saputo che nel lontano 1973 partecipasti alla “Cronoscalata” del trofeo
Mancini. Puoi raccontare qualcosa in merito? Sì, vi partecipai. Era il 29 luglio del 1973, 40
anni fa. Mi invogliò a partecipare Franco Villa, detto “Scheggia”. Questi mi iscrisse al Moto Club
Castelliri e il fatto che qualcuno credesse in me mi rese molto orgoglioso. Mia madre non era
tanto contenta, considerata l’estrema pericolosità della gara. Ricordo che venne addirittura sulla
linea di partenza per cercare di convincermi a non correre, ma io, pur di partecipare, mi celai
dietro ad un casco integrale di colore azzurro. Erano i primi caschi integrali presenti in commercio.
-Come andò la gara? Io, giovane sedicenne, riuscii ad arrivare tredicesimo, con una media di
87 chilometri orari e con un tempo di 4 minuti e 13 secondi; superai anche piloti affermati nel
panorama regionale, come Paolucci, Passeri, Frasca e Piccirilli, vincitore della precedente edizione della “Cronoscalata” nella categoria dei 500 cc.
-Con quale moto gareggiasti? Corsi con una Honda 450 Scambler, numero di gara 152.
All’epoca, erano pochi i modelli di questa
casa di produzione immessi sul mercato
foto archivio Cianfarani
italiano. Questa moto, oggi, varrebbe
migliaia di euro. Dopo la corsa la vendetti
al Dottor Abbruzzese, che a sua volta la
vendette ai fratelli Rea, poi, finì a Napoli.
-Hai più partecipato a corse di tale
spessore? No, ho partecipato a qualche
altra corsa di trial, essendomi iscritto al
Moto Club di Ripi. Rimasi iscritto per
circa 5 anni… ma il fascino della
Cronoscalata era cosa ben diversa.
Grazie per la tua disponibilità. A presto,
Mario! Domenico Manente

PA G I N A 3

ARPINATI ALL’ESTERO

L au ra, a Parigi con A rp in o n el cu ore

Benché si ripeta ogni anno, non ci si abitua mai alla
simpatica scenetta dei bambini che si rincorrono per i
vicoli di Arpino, con gli uni che parlano -magari- in dialetto e gli altri in francese! Ovviamente non esistono tra
di loro eventuali problemi di comprensione, tanto che
continuano a giocare a nascondino, anzi a cache-cache.
L’estate 2013 si è distinta per una cospicua presenza in
città di turisti provenienti proprio dalla Francia, la
nazione che ha accolto la maggiore comunità arpinate
presente all’estero. A ritornare ad Arpino, però, sono
soprattutto gli eredi dei nostri immigrati, nuove generazioni nate e cresciute oltralpe, senza rinunciare a mantenere vivo un forte legame con la terra di origine. Ci
piace pensare che queste generazioni possano essere
rappresentate dal sorriso giovane ed europeo di Laura Rea, studentessa a Parigi, originaria del
Vignepiane. Ci ha scritto una bellissima e-mail che volentieri pubblichiamo, dedicandola a tutti gli
Arpinati di Francia: “Mi chiamo Rea Laura, studio giurisprudenza a Parigi da tre anni. Sono Arpinate
da parte di mio padre, i suoi genitori erano originari del Vignepiane che, come molta gente nel dopoguerra
è immigrata all'estero. Io e la mia famiglia torniamo ogni estate e la cosa straordinaria è che ci innamoriamo ogni volta, come se fosse la prima, di questa meravigliosa città e dei suoi, a dire poco bellissimi, paesaggi. Ogni volta ritroviamo la convivialità che manca nelle grandi metropoli. Insomma tornare ad Arpino e
ritrovare le nostre origini resta per noi un momento privilegiato che assaporiamo pienamente ogni secondo.
Per l'occasione mi viene in mente una frase che mia madre mi ripete spesso: tieni lo sguardo verso
Arpino ed il tuo cuore non sarà altro che libertà ed amore”. F. L.

VOX POPULI
Di chi è la colpa della “sospensione degli stipendi”!?

Abbiamo più volte ricordato come il profilo
facebook di Municipium voglia rappresentare
una piazza virtuale in cui i concittadini possano
esprimersi su ciò che accade in città condividendo foto, post e commenti. E proprio come
la piazza reale si riempie durante le manifestazioni più importanti, anche la nostra bacheca
registra un incremento di interventi in occasione dei fatti di maggior rilievo. In particolare,
nelle ultime settimane, con la sospensione degli
stipendi dei dipendenti comunali di Arpino,
effetto del gravissimo squilibrio economico in
cui versa il Comune. La notizia ha suscitato un
vespaio di polemiche, che su internet, ormai
una seconda pelle da cui non siamo più in
grado di uscire, si è trasformata in un serrato
dibattito su come venir fuori da questa delicata
situazione, sulle responsabilità da chiarire, sulla
solidarietà ai dipendenti. Proponiamo qui solo
alcuni dei commenti rilasciati dai nostri lettori,
scusandoci per la sintesi operata ai loro post
(per ragioni di stampa), e lasciando la libertà di
approfondire e replicare direttamente sulla
nostra bacheca. In ordine cronologico, tra i primissimi commenti alla notizia, pubblicata dapprima su Arpino24.it, quello di Angelo
Contucci che si chiede “Chi ha determinato questa situazione? Che paghi e paghi pesantemente..
Troppo comodo "amministrare" la cosa pubblica
senza subirne le conseguenze.. in questo modo ne ero
capace anch'io. Chiunque esso sia che venga denunciato alle autorità: Procura della Repubblica (per il
penale) e corte dei conti (per l’amministrativo)”.
Michele Summa ricorda che “l'allegra gestione
del Comune di Arpino, io l'ho denunciata sin dal
2004. Nessuno ha creduto in quanto evidenziavo,
nessuno ha preso provvedimenti in tempo, questo è il
risultato”. Sulla presunta inerzia di politici e non
solo, interviene con rammarico anche l’associa-

zione Aurora Arpinate: “Osserviamo con vero
malincuore che l'Arpinate è taciturno a tutto ciò che
avviene nel proprio territorio, anzi direi quasi rassegnato! Licenziamenti, e non si lamenta! Non viene
pagato lo stipendio, e tace! Non esistono più i servizi sociali, e annuisce! Non si puliscono più le strade, alza le spalle! (…) Arpinate ricorda che sei
nobile e colto!”. Edmondo Zuffranieri in un
lungo post leggibile sul profilo di Municipium
Arpino, ricorda le tante spese fatte per
l’Azienda "Comune di Arpino", e si fa portavoce
di chi vuole “che venga fatta chiarezza sul deficit”
volendo da un lato “sapere di chi sono state le
responsabilità che hanno causato tutto questo”, ed
annunciando dall’altro che “se tale situazione non
verrà chiarita da parte degli attuali Amministratori
(…) si è in procinto di costituire un comitato cittadino per denunciare alle autorità competenti tutti
questi soprusi che si sono verificati in questi anni”.
Chiudiamo con l’augurio di Carlo Scappaticci
che da questa delicata situazione possa venir
fuori una pagina di “dignità e speranza” per la
città:”Nel 2012 con un volantino in piazza affermai che chiunque avesse vinto le elezioni (…) avrebbe immediatamente dovuto dichiarare il dissesto
finanziario. Fui accusato di estremismo ed anche
irriso (…) Proprio oggi però mi è arrivata voce che
sarebbe questa la strada maestra anche per questa
giovane amministrazione. Se veritiera (…) potremmo fare un passo avanti e liberarci dei fantasmi del
passato (…). Ma nutro ancora delle riserve dal
momento che il dissesto finanziario dichiarato da
un'amministrazione prevede, fra l'altro, un riesame
dei conti e delle responsabilità civili e penali di
parecchi anni prima... Auguro a me stesso ed a tutti
voi concittadini che un atto di coraggio renda reali
queste voci di corridoio. Quel giorno sarà senza dubbio il giorno della rifondazione di Arpino.” F. L.

UN TAG PER MUNICIPIUM

Gli scatti d’autore di Piero Albery

Nei negozi di elettronica si possono acquistare giocattolini digitali equipaggiati con sensori da dozzine di megapixel, zoom ottici 21x, obiettivi grandangolari da 23mm, PowerShot per riprese
Full HD, e magari anche la Creative Shot che analizza in modo
intelligente la scena da fotografare. migliorandola (all’evenienza)
con “elementi creativi”. Le macchinette di ultima generazione consentono pure di scattare e condividere tramite inclusa connettività Wi-Fi ed implicite funzioni di Social-Sharing. In pratica, con un
po’ di euro ci si assicura un biglietto di ingresso nell’”empireo”
della fotografia, avendo in dotazione la creatività promessa dall’apposita “app” scaricata on line. Purtroppo non esiste un
magazzino dove acquistare la bellezza oggettiva della fotografia,
quella da riscoprire come antidoto alla confusione che sta stravolgendo gli stessi codici dell’immagine. Perché se da un lato
migliorano disponibilità e definizione, diffusione e condivisione,
le migliaia di foto che inondano quotidianamente i nostri profili, per quanto perfette e coloratissime, sembrano essere sempre
più senza anima e finiscono per somigliarsi tutte quante. Il giocattolino digitale non offre gli optional più importanti come la tecnica, il punto di osservazione, lo
sguardo, il talento: ovvero le caratteristiche da cui dipende quella “qualità” di una fotografia, che esiste a prescindere dall’oggetto e dal gusto di ciò che rappresenta (e che magari può anche non essere
di nostro piacimento). Ma se la foto è bella, il suo valore resta intatto, nel tempo. E si spiega così il
fatto che le fotografie di Piero Albery rappresentino da anni un punto di riferimento per molti, tra
cui noi, semplici osservatori ed amanti della fotografia! Una gioia immensa scoprire che abbia deciso
di promuovere on line, sul suo profilo facebook, le foto dei suoi archivi personali, quelle che eravamo abituati ad apprezzare nelle cartoline della città, nei calendari, nelle mostre. Con l’inevitabile conseguenza che il social network le ripropone all’infinito, anche e soprattutto le immagini datate, simbolo di bellezza e di arte tipiche di uno scatto d’autore. L’immagine che proponiamo risale a diversi anni
fa, quando non esistevano ancora le macchinette digitali... e ciononostante Albery riesce comunque a
ricreare profondità e tridimensionalità, solo giocando con il bianco e nero, in uno straordinario e
soprattutto “autentico” effetto luce. Insomma, con Piero, la Creative-Shot può attendere. F. L.
municipium ottobre 2013_municipium dicembre.qxd 10/10/2013 07:44 Pagina 4

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  • 1. “MUNICIPIUM” municipium ottobre 2013_municipium dicembre.qxd 10/10/2013 07:44 Pagina 1 ANNO V La ragione dell’anno della Fede Papa Francesco, parlando ai Gesuiti dopo la visita della Specula vaticana, li invitava a percorrere le periferie dell’esistenza e a stare sulle frontiere tra la fede e il sapere umano. All’inizio del nuovo anno scolastico, la sua voce programma una Chiesa che sa farsi ascoltare, ci stimola alla ricerca della verità avvertendoci di tenerci lontani dalla tentazione di crederci al centro dell’universo. Siamo il terzo pianeta vicino al Sole, che fa parte della periferia della nostra galassia (siamo a 28.000 anni luce dal centro galattico) una tra cento miliardi di galassie, ognuna delle quali con miliardi di stelle e pianeti: non ci sorprenda la vertigine della mente ma la mancanza di umiltà. Possiamo far nostre le parole di Isaac Newton: “Io mi vedo come un fanciullo che gioca sulla riva del mare, e di tanto in tanto si diverte a scoprire un ciottolo più levigato o una conchiglia più bella del consueto, mentre davanti a me si stende inesplorato l’immenso oceano della verità”. Cristo dal Vangelo ci raggiunge: “Io sono la verità”. La fede non è cosa di sola ragione ma di cuore che fa esperienza di una Persona: per capirlo bisogna viverlo. Non è sapere di un libro riletto saltuariamente o di abitudini nelle quali ci accomodiamo. Alla luce della fede cristiana ripensiamo la tragedia dell’Olocausto: una vera incarnazione dello spirito del male (criminali al potere assoluto, conquistato democraticamente): evento indicato nell’Apocalisse nell’enorme “drago rosso” che ponendosi dinanzi alla Donna luogo della vita (Maria di Nazareth), sembra trionfare. Su tanta tragedia nella quale l’antico Caino torna ad uccidere l’innocente Abele mandato a morire nelle camere a gas col volto dei bimbi che entrano tenendosi per mano e costretti a cantare, si erge Cristo presente in un uomo, Padre Massimiliano Maria Kolbe che si offre al posto di un padre di famiglia con sette figli, presente in una donna Edith Stein, undicesima figlia di una coppia di ebrei, convertita al Cattolicesimo al quale offre il frutto di una brillante intelligenza che impianta quanto appreso alla scuola della fenomenologia di E. Husserl, nell’architettura razionale della tomistica; presente in Bonhoeffer, pastore protestante, che alla domanda: dov’era Dio ad Auschwitz? Risponde: “Il Signore è impotente e debole. Così e solo così rimane con noi e ci aiuta in virtù della sua sofferenza. Non della sua Onnipotenza”. Tutti e tre martiri uccisi con Cristo presente in croce ad Auschwitz: San Massimiliano Kolbe, Santa Teresa Benedetta della Croce, Bonhoeffer. Questa è la storia nella quale tre cristiani, nostri fratelli, hanno dato ragione della stessa fede che noi oggi professiamo. don Franco Ranaldi Il Presidente dell’Associazione Ex alunni ed amici del Tulliano, prof. Loreto Marco D’Emilia, riceve il Premio Fiuggi-Storia per il libro dedicato ad allievi e docenti del Tulliano “Un’istituzione e i suoi protagonisti, cento biografie rappr esentative di una storia secolare”. Periodico della Città di Arpino Ottobre 2013 DISTRIBUZIONE GRATUITA Lettera aperta al Presidente della Regione Nicola Zingaretti An ch e a d Ar pin o la CAS A D ELLA S ALU TE Egregio Presidente Zingaretti Chi Le scrive è la redazione di un periodico a carattere locale che ha raccolto diverse segnalazioni di dissenso di tanti cittadini in merito alla vicenda che veniamo di seguito a sottoporre alla Sua attenzione. Nel mese di luglio c/a. è stato siglato un accordo tra i commissari dell’ASL di Frosinone e dell’amministrazione provinciale di Frosinone che individua la struttura dell’ ex ospedale di Arpino quale nuova sede per un indirizzo scolastico, nello specifico il Liceo Classico Tulliano. L’ Ospedale Civile Santa Croce era un presidio sanitario a gestione diretta che negli ultimi anni accoglieva i pazienti di tutto il comprensorio nel suo efficiente reparto di lungodegenza; chiuso definitivamente circa 2 anni addietro a causa dei tagli imposti dalla spending review. Si tratta di una costruzione nuova, in ottimo stato, situata appena fuori il centro storico. A nostro avviso la decisione di convertire l’ospedale in scuola contrasta con la riqualificazione della struttura stessa e sosteniamo che la cittadinanza arpinate possa così essere privata di un diritto fondamentale. Lei ha recentemente idealizzato “Le Case della salute”, ovvero un modello nuovo di concepire la sanità, mirato a ripristinare i servizi assistenziali come prioritari per i cittadini, una sorta di alternativa al Pronto Soccorso, dove ogni anno arrivano oltre 1milione di codici bianche e verdi, facilmente curabili dai medici di famiglia; le Case della Salute offriranno assistenza e cura e produrranno risparmi consistenti attraverso il decongestionamento degli ospedali, rispondendo oltremodo alle esigenze di una popolazione che vede crescere l’età media; le Case della Salute accoglieranno quindi i medici ospedalieri, di famiglia, specialisti ambulatoriali, fisioterapisti, infermieri e tecni- colle ci, pronti ad intervenire tempestivamente; il pronto soccorso si occuperà degli acuti e gli ospedali torneranno ad essere centri specializzati ad alta intensità di cure. 15 Case della Salute verranno aperte a Roma e 33 nelle altre province laziali, con l’obiettivo di recuperare i centri chiusi per i tagli subiti. In quest’ottica la nostra speranza è che la struttura dell’ ospedale Santa Croce di Arpino, possa essere riconsiderata in tal senso e nuovamente destinata alle attività socio-sanitarie, a beneficio della comunità locale e di tutto il comprensorio. Noi non vogliamo ostacolare il nobile intento di trovare una sede definitiva per il prestigioso Liceo, ma altri edifici potrebbero essere considerati per lo scopo e sicuramente a costi di ripristino ed adeguamento più contenuti; edifici oltremodo ubicati nel centro storico del paese, con tutto il vantaggio di essere facilmente raggiungibili dagli studenti e la quale presenza apporterebbe un contributo sostanziale all’economia locale stessa. Solamente per citarne qualcuno: la sede storica del Liceo in questione, che ospita anche il Convitto Nazionale, ora annesso all’Istituto Comprensivo MTC ed il quale Preside si è già dimostrato disponibile ed ospitale in tal senso; il Palazzo Ladislao, già proprietà dell’ Ente provinciale; il Palazzo Sangermano, che necessita di una tempestiva ristrutturazione, quale occasione migliore per investire denaro pubblico al fine di restituire alla comunità un patrimonio storico, nell’ottica della salvaguardia e della riqualificazione del bene comune.Fiduciosi di aver suscitato la Sua attenzione in merito, ci auguriamo un Suo tempestivo intervento mirato ad affrontare la questione con la dovuta considerazione, in modo opportunamente lungimirante, a favore di un compromesso dalle larghe intese che risponda alle esigenze di tutti. un quartiere diviso in due parata Il sito istituzionale del Comune sarà aggiornato?!? Le disposizioni dettate dal legislatore (D.Lgs. n. 33/2013) al fine di realizzare un’amministrazione aperta, al servizio del cittadino, assicurando la totale accessibilità delle informazioni relative all’attività e all’organizzazione degli enti pubblici, non trova ancora applicazione nel nostro Comune. Difatti, non appare, sulla home page del sito istituzionale del Comune di Arpino, la sezione dedicata alla “Amministrazione Trasparente”. La responsabilità è da attribuire a chi nel recente passato è stato immobile e non, sicuramente, al funzionario individuato soltanto lo scorso 30 settembre … Ci auguriamo che nel breve periodo anche questo problema venga risolto, così i cittadini finalmente potranno accedere – tramite l’apposita sezione di tipo aperta e senza filtri - a tutte le informazioni (testuale: “integre, complete, costantemente aggiornate, semplici da consultare, comprensibili e di facile accessibilità”) relative a quanto si decide nelle stanze del Comune. In sintesi, a mero titolo esemplificativo, i dati oggetto di pubblicazione obbligatoria riguardano: gli obiettivi strategici e operativi e quelli assegnati ai dirigenti; i compensi relativi ai rapporti di lavoro, alle consulenze o collaborazioni; i regolamenti comunali; l’organizzazione degli uffici ed i premi distribuiti ai dipendenti; gli incarichi, retribuiti e non, conferiti ai dipendenti; la concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi e vantaggi economici superiori a mille euro; per gli organi politici, i curricula, compensi, rimborsi per viaggi e missioni; i bandi di concorso e gli avvisi. Il mancato rispetto di tali obblighi comporterà una responsabilità dirigenziale e potrà dar luogo a responsabilità per danno all’immagine dell’amministrazione Infine, si evidenzia che è stato introdotto un nuovo istituto quale espressione dei principi di trasparenza e pubblicità: il diritto di accesso civico. L’accesso civico, rappresentando un ampliamento del potere di controllo dei cittadini sull’operato della Pubblica Amministrazione, è riconosciuto “a chiunque”, è gratuito e non deve essere motivato. Martedì 8 ottobre 2013, ore 8.15. Sorpresa in Municipio. Il segretario generale dottor Antonio Marasca è tornato al lavoro dopo due settimane di ferie. Fin qui nulla di strano, se non fosse per la volontà dell’amministrazione comunale del sindaco Renato Rea di individuare un nuovo segretario per il Comune di Arpino. Poco dopo la metà del settembre scorso, infatti, al dottor Marasca venne notificato un atto con cui lo stesso primo cittadino lo metteva a conoscenza dell’intenzione di voler cambiare. Per farlo occorre tuttavia rispettare tempi e procedure stabiliti dalla legge. In Comune ritengono di essere nel giusto, evidentemente di parere contrario è il segretario generale che ha ripreso possesso del suo ufficio e lo ha fatto, a quanto pare, facendosi accompagnare da un avvocato. Ora si profila un rebus: che farà l’amministrazione?
  • 2. municipium ottobre 2013_municipium dicembre.qxd 10/10/2013 07:44 Pagina 2 PA G I N A 2 GLI INFOIBATI Chi ritiene che le foibe siano state un fenomeno, drammatico nella sua dolorosa evoluzione, ma pur sempre limitato perché confinato esclusivamente nel settore nord orientale della Penisola, commette un errore gravissimo. In quelle orride cavità carsiche, infatti, a più ondate, tra il settembre del 1943 e il maggio/giugno del 1945, furono scaraventati più di 10 mila nostri connazionali provenienti da ogni parte d'Italia mentre in 350 mila furono costretti ad abbandonare quelle terre da sempre italiane (Venezia Giulia, Istria e Dalmazia su tutte) dopo l'entrata in vigore dell'iniquo trattato del 10 febbraio 1947 che consegnò le province di Pola, Fiume, Zara e parte cospicua di quelle di Gorizia e di Trieste, alla Jugoslavia. Senza dimenticare quelli che furono gettati in mare con un pesante masso al collo e non più ritrovati oppure chi morì di stenti, torture e privazioni nei disumani campi di concentramento titini. Qualche anno fa un collega giornalista de “Il Piccolo” di Trieste mi inviò un lungo elenco di nomi (1048 per l'esattezza) di italiani, militari e non, infoibati dai comunisti slavi. Quell'elenco proveniva da una ricerca espletata da una coraggiosa studiosa slovena, Natascha Nemec (rimasta poi senza lavoro proprio a causa delle sue pericolose incursioni negli archivi segreti dell'Ozna: lì, in Slovenia e in Croazia, non è ancora consentito parlare delle foibe) ed era stato trasmesso, dopo tante vicissitudini, dal sindaco di Nova Gorica al collega di Gorizia. Scorrendo quella interminabile sequela di nomi la mia attenzione si concentrò su quelli dell'Italia meridionale. Era da tempo, infatti, che tentavo di indagare se anche il sud della Penisola avesse avuto le sue vittime nelle foibe. Iniziai da quelli della regione laziale e, in primo luogo, della provincia di Frosinone, non fosse altro che per motivi di comunanza geografica. Incrociando quei semplici nomi con altre preziose notizie fornitemi dalla sezione della Lega Nazionale di Gorizia, associazione storica che vive e lavora in difesa della italianità di Trieste e della Venezia Giulia, dall'associazione Libero Comune di Fiume in esilio e, soprattutto, dalla Società di Studi Fiumani e dell'Archivio-Museo Storico di Fiume (via DI CU LTU RA ARPINO Antonio Cippico 10, Roma), ottimamente diretto dall'amico Marino Micich, con il quale sono in contatto ormai da anni, sono riuscito ad estrapolare una decina di nostri conterranei che finirino per essere inghiottiti dal buio pesto e tenebroso delle foibe titine scomparendo senza lasciare traccia. In questa esigua schiera compare anche Felice Gavallotti, nato ad Arpino nel 1908. Il padre si chiamava Giuseppe. Era un ingegnere che lavorava a Udine. Scomparve a Villanova del Iudrio, frazione del comune di San Giovanni al Natisone, il 2 dicembre del 1944. Il torrente Iudrio, il cui corso in gran parte separa oggi l'Italia dalla Slovenia, fu teatro della soppressione e della sparizione di molti nostri connazionali per mano delle bande comuniste slave. Drammatica poi la testimonianza del signor Attilio De Arcangelis, originario di Arpino, la cui vicenda è a dir poco avventurosa. Fatto prigioniero dai tedeschi fu rinchiuso nel carcere di Pola da dove evase nell'aprile del 1945. Il 14 maggio, però, venne catturato dalla milizia slava.A “Dopo un'altra settimana di carcere, il 20 maggio ho dovuto camminare fino a Fasana per imbarcarmi al mattino presto sulla motocisterna 'Lino Campanella'. Arrivati nei pressi del canale Area la nave urtò contro una mina. Ognuno cercò di salvarsi come poteva. Mentre eravamo in mare i partigiani titini di scorta ci mitragliarono ammazzando una ventina dei nostri” (Gianni Oliva, “Foibe. Le stragi negate degli italiani della Venezia Giulia e dell'Istria”, Mondadori 2002, p. 27). Si tratta soltanto di tracce pallide ed indistinte che affiorano a fatica nel mare sconfinato di quella immane tragedia. Pertanto chi avesse notizie su quelle persone di cui sopra oppure, più in generale, sugli infoibati della provincia di Frosinone, può contattarmi direttamente tramite e-mail (riccardifernando@libero.it) oppure telefonicamente al 333.1042718. Voglio continuare a pensare, infatti, che l'esigenza di ricostruire fedelmente una vicenda storica possa prevalere, sempre e comunque, su qualsivoglia distinguo di natura politica o ideologica. Fernando Riccardi L e ci oce, i t r a di z i ona l i ca l z a r i i dent i t a r i del Ba sso L a z i o Nelle cioce più recenti, con il diffondersi della motorizzazione ed in particolare nel periodo della seconda guerra mondiale, furono usati per rinforzo della suola, al posto dei tacconi, dei pezzi di coper tone. Qualcuno, volendo risparmiare l’acquisto del cuoio, legò direttamente ai pezzi di copertone le stringhe. Calzature simili, costruite con copertoni di motocicli e laccioli di materiali vari, sono oggi molto diffuse tra alcune popolazioni africane, in particolare tra i Masai. In Ciociaria, in casi molto sporadici venivano usati pezzi di camera d’aria di pneumatici: in tal caso si ricavava una ciocia morbida, simile ad una babbuccia o a una galoscia, ma non adatta ai pesanti lavori di campagna. Ancora oggi nelle zone rurali della Romania vengono usate calzature autocostruite con pezzi di camera d’aria. Sotto le cioce di cuoio della nostra tradizione spesso venivano applicati, come accennato, due ampi pezzi di cuoio, detti tacconi (taccune), mediante chiodi o grappe artigianali di fil di ferro (ciappe). La loro funzione era di protezione del plantare dall’usura: periodicamente i taccune potevano essere sostituiti con nuovi e integrati nei settori logoCioce di Frosinone ri con l’aggiunta di altri frammenti di cuoio. L’usura era dovuta soprattutto ai percorsi su terreni rocciosi o sassosi e ai lavori che richiedevano la spinta continua dei piedi sulla lama metallica della vanga. Spesso sui taccune venivano applicate le bollette (ullétte, vellétte, bullétte), consistenti in chiodi molto corti, dotati di una testa ampia e rigata, utili sia per la funzione antisdrucciolo che antiusura. Da un punto di vista formale la ciocia è costituita da un plantar e di cuoio o altro materiale curvato a forma quasi di barchetta, con una punta, a seconda delle zone, più o meno accartocciata ed inarcata. Questo plantare era legato da lunghe stringhe di cuoio flessibile, avvolgenti il polpaccio fino al ginocchio, terminanti all’estremità con due pezzi di spago che ne consentivano un’agevole annodatura finale. Il modello formale poteva variare da zona a zona, nel rispetto di alcune proporzioni fondamentali e la maggiore differenza era dovuta al “corno” della ciocia, assente del tutto in alcune aree, più o meno pronunciato in altre. Come accessori erano indispensabili due panni di canapa, cotone o lino di color bianco, detti le pèzz e; due calz ettoni di lana (bianchi o colorati, messi sotto le pezz e nei mesi freddi, o a protezione del morso delle vipere). Spesso veniva usato, specie dai pastori il guardamacchia, per proteggere le gambe da rovi e sterpi. Il guardamacchia era formato da una pelle, in genere di capra dal lungo intonso pelame, che dalla vita scendeva lungo le gambe ed oltre il ginocchio, indossato sopra i calzoni e legato alla cintura e ai polpacci, molto utile come protezione dai rovi e dall’umidità della vegetazione, bagnata da pioggia o da rugiada (macchia, da intendere siepe e non chiazza di sporco). Questi calzari di cuoio, diffusi su ampi territori, in particolar modo del Centro e del Sud d’Italia, erano chiamati: cioce nel Lazio (nel Settecento cioccera o cioccia); sciòscio nel Napoletano; ciòcchi in Umbria; cioccòle in Toscana; chiòchie e chiòchier e in Abruzzo; scar pitti o zampitti o zumpitti in Abruzzo e Molise, chiòchiara, zar riccu, pur cinu, sampittu o zammitta in Calabria; zampitti, in Lucania; zampitto in Puglia; zzampitta in Sicilia. Le stringhe erano chiamate: cor rée, cor réoli, curiuóle, strénghe. L’avvolgimento delle stringhe: abbuóte (famoso il detto: i trìdece abbuóte). La punta della ciocia era chiamata in modi di-versi da luogo a luogo: bécche, bìf f era, ciafròcca, ciuf fa, cricca, fizza, fr eciaròla, fròcia, musse, picche, pizz e, pónta, ma può darsi che cercando, Cioce di V eroli se ne scoprano altri sinonimi. Ugo Iannazzi MUNICIPIUM R ov i s t a n do t r a v ecchi e ca r t e “RICORDI DEL TULLIANO” Tra qualche mese ricorrerà il bicentenario del decreto murattiano che sancì l’ istituzione del Liceo Tulliano ed io desidero portare una piccola testimonianza dell’ importanza che ebbe nella formazione di tutti i giovani che lo frequentarono. In tante vecchie lettere ho trovato accenni anche indiretti che dimostrano il senso di appartenenza e, quasi, lo spirito di corpo che univa gli studenti. In una di queste diretta a mio zio Antonio da Torino il 22 maggio 1917 il giovane Captano scrive: “Ieri abbiamo incontrato in Piazza Castello Fanelli, Visocchi, Caccia, quello studente che abitava del maestro Addrizza, in una parola tutto il Convitto Tulliano!”. In altre lettere gli ex-compagni di mio zio, originari di località diverse, anche della Marsica, con brevi ma significativi cenni raccontano di essere rientrati dalla licenza trascorsa quasi tutta ad Arpino, anziché nella cittadina di origine, per rivedere molti amici. Il professor Luigi Venturini con alcuni alunni di Infine una mia testimonianza personale. fronte al Tulliano negli anni trenta del ‘900 A metà degli anni Sessanta ero studente di Giurisprudenza a Roma e svolgevo le mansioni di sostituto-segretario-autista di mio padre avvocato. Quando mi recavo in un ufficio pubblico e dovevo “affrontare” un funzionario, spesso accadeva che, presentatomi, questi mi scrutava con attenzione e mi domandava se avessi una qualche relazione con il prof. Luigi Venturini di Arpino. Quando rispondevo che si trattava di mio nonno, vedevo aprirsi un grande sorriso sul viso del funzionario che mi diceva: “Io ho studiato al Liceo Tulliano e sono stato alunno di suo nonno!”. Luigi V enturini E RICCIO DA MONTECHIA RO DISTRUSSE MONTENERO Era il 1414. Arpino viveva da ormai sette secoli in simbiosi con il territorio che era stato dapprima Ducato di Benevento per poi confluire nel Regno di Sicilia e diventare, infine, Regno di Napoli. Il “matrimonio”, nella buona e nella cattiva sorte, sarebbe durato per ben 1158 anni finché la morte, del Regno delle Due Sicilie, non li avrebbe separati nel 1860. Si profilava, intanto, l’ennesimo periodo di cattiva sorte. Al sognatore Ladislao era succeduta la sorella Giovanna II, che non era altrettanto sognatrice, ma aveva in comune con il defunto fratello la passione smodata per l’altra metà del cielo. Già vedova del primo marito Guglielmo d’Austria fece perdere la testa all’amante ufficiale Pandolfello Piscopo (detto Alopo), che nel 1415 fu decapitato in Piazza del Mercato per divergenze con il suo nuovo marito Giacomo II di Borbone. Quest’ultimo voleva ad ogni costo la corona di re, negatagli dalla regina e dai contratti prematrimoniali. Nel 1418, dopo tre anni di inutili tentativi, finì per tornarsene sconfitto in Francia, dove si ritirò in convento e trascorse gli ultimi venti anni della vita da monaco francescano. Giovanna, intanto, già dal 1416, si consolava con Giovanni Caracciolo (detto Sergianni), che ne approfittava per diventare ricchissimo e potente, nonché responsabile di decisioni che si sarebbero rivelate nefaste per il regno. Ad egli si deve la rottura con Papa Martino V che, non vedendo riconosciuti i diritti feudali che riteneva di vantare, nel 1420 inviò Luigi III d'Angiò a vendicare le offese, nominandolo anche erede al trono del Regno di Napoli. Sergianni, con Napoli sotto assedio, cercò l’aiuto di Alfonso V d'Aragona, che fu ugualmente nominato erede al trono. Alfonso liberò Napoli dall’assedio e cercò, subito dopo, di liberarsi anche della coppia regnante. Giovanna e Sergianni furono costretti a fuggire ad Aversa, dove ottennero l’appoggio di Luigi III, in cambio del titolo di erede al trono. Alfonso V, per il momento, se ne tornò in Spagna. Seguì un decennio di strapotere di Sergianni, terminato di colpo il 19 agosto 1432, quando un gruppo di sicari lo “divorziarono” da Giovanna e dalla vita terrena. Dopo circa due anni morì anche Giovanna che, pur non avendo figli suoi, riuscì a lasciare ben due eredi in lotta per la successione. Iniziò così la guerra tra Renato D’Angiò, fratello del defunto Luigi III, ed Alfonso V, tornato nel frattempo dalla Spagna. Arpino fu conquistata e riconquistata più volte dalle soldataglie di ventura di ambo gli schieramenti, che si produssero nel meglio del loro repertorio di distruzioni e saccheggi. In quei frangenti terminò la storia della fortezza di Montenero, completamente distrutta dall’aragonese Riccio da Montechiaro (Ever tit etiam Riccius Montem Nigr um pr ope Ar pinum). Raimondo Rotondi LE MOSCHE BIANCHE: Zappa - Zappetta - Zappone La “zappa” è un attrezzo agricolo usato sia nell’orto per assolcare, cioè fare i solchi atti a far scorrere l’acqua per innaffiare le piante, sia per rincalzare le piante du mais. La rincalzatura consisteva nel togliere la terra dal solco riportandola per coprire alla base le piantine. La “zappa” è di dimensioni varie a seconda dell’uso che se ne fa, quella più piccola, la “zappetta”, serviva esclusivamente per la cura dell’orto. “I zappone” serviva soprattutto per la scozza, frantumare le cozze, cioè le zolle di terra prodotte dalla vangatura in modo da rendere la terra fine e pronta per la semina. Il termine “zappa” è identico sia in lingua italiana che nel nostro dialetto e la sua etimologia è controversa. Secondo alcuni il termine deriverebbe da “zappo”, caprone, secondo altri dal tardo medioevale “sappa”, (la “z” al posto dellsa “s” sarebbe una introduzione del nord). Infine potrebbe derivare, più verosimilmente, dal longobardo “zappa”. A ntonio Errico Rea Autorizzazione Trib. Cassino n. 196 del 12-2-76 Direttore responsabile: Paolo Carnevale Direttore Giampaolo Palma Coordinatore Collaboratori Domenico Rea Fabio Lucchetti Raimondo Rotondi A ntonio Errico Rea Paola Di Scanno Sara Pacitto REDAZIONE Piazza Municipio - Arpino (FR) EDIZIONI GSI - Gruppo Sistema Italia Viale Mazzini, 224 - Frosinone Il materiale ricevuto non sarà restituito Le collaborazioni s’intendono gratuite Per chiarimenti e/o precisazioni rivolgersi a Domenico Rea - cell. 339.5798895 www.ciociariaturismo.it municipium.arpino@gmail.com
  • 3. municipium ottobre 2013_municipium dicembre.qxd 10/10/2013 07:44 Pagina 3 MUNICIPIUM GLI AMICI DI MUNICIPIUM ATTU ALI TÀ E L IS A C A RD IN A L I C A N TA N TE DE I “ M A G D A L E N G R A A L ” Origini arpinati per il fascino e la voce di “Magdalen” Il modo più semplice per conoscere e presentare Elisa Cardinali è digitare il nome della sua band su “YouTube” ed ascoltare la sua bellissima voce. Chi scrive invece, l’ha incontrata per caso su internet, una domenica d’agosto, discutendo con lei sull’opportunità che la giuria del Gonfalone si pronunciasse sulla regolarità del “tiro alla fune”, con conseguente vittoria finale del “suo” Vallone. Troppa adrenalina in quei momenti per accorgersi che si stava bisticciando on line con l’interprete dei “Magdalen Graal”, rock band già nota oltreoceano, con all’attivo album, tournèe, riconoscimenti internazionali ed un recente importante contratto discografico con la Warner. Con alle spalle una formazione lirica (diplomata al Conservatorio di Frosinone), insegnante di canto presso il CUT di Cassino, sebbene ancor giovanissima Elisa Cardinali è un’artista completa, con tanta passione e infinito talento prestati alla musica rock che interpreta con voce dolce, sofferta e palpitante. La sua malcelata attenzione per i colori rossoblu, tuttavia, ci ha svelato un profondo legame con Arpino. Ce lo descrive confidandoci la sua storia, che sembra scritta in altri tempi “Accade tutto quando il mio papà, A ngelo Cardinali, dopo essere diventato per la seconda volta campione mondiale di fisarmonica, cominciò ad insegnare nella sua terra natale, Cassino. Giunta voce della popolarità di questo giovane maestro, il mio caro e adorato nonno Elio Gabriele della contrada Arpinate “Morroni”, decise di accompagnare mia madre, allora tredicenne e studentessa di fisarmonica, da questo nuovo maestro. Qualche anno dopo la proposta di matrimonio ed eccomi qua!” Anche il nome d’arte è legato alle origini Arpinati: “Poco prima che nascessi, la mamma di nonno Elio, Maddalena, venne a mancare. La notte in cui sono nata, mia madre sognò proprio nonna Maddalena che le disse ‘questa bambina deve chiamarsi come me’. Il mio nome completo infatti è Elisa Maddalena Cardinali. Da qui il nome d’arte, Magdalen”. Il progetto artistico che porta il suo nome è nato nel 2006 dopo l’incontro con Antonio Nardone, il compositore delle canzoni interpretate da Elisa Cardinali conciliando rock e melodia classica. Raccolto un rapido ed incoraggiante apprezzamento di pubblico per i brani lanciati sul web, già nel 2008 la band raggiunge un notevole successo testimoniato prima dalla “Florida Motion Pictures and Television Association” che le conferisce il “Crystal Reel Award” (miglior voce femminile), ed in seguito dalla prestigiosa marca di strumenti Gibson che pubblica le loro canzoni sul proprio sito, selezionando i Magdalene Graal tra le migliori nuove proposte pop-rock al mondo. Contestualmente la band inizia una lunga serie di concerti in Europa e America del Nord e si esibisce anche in Italia al fianco di Pino Scotto e Kee Marcello. “L’amore per la musica nasce con me, cominciai a studiare con i miei genitori all’età di 4 anni ma al di là della didattica in sé, ho sempre sentito il bisogno di accumulare melodie, armonie, e suoni fin da quando ero bambina... era come se cercassi di allegare alla mia vita una personale colonna sonora e lo facevo ogni qual volta arrivava musica alle mie orecchie. Con l’opera e la lirica è stato amore al primo vocalizzo! Avevo 14 anni quando i miei genitori si resero conto che la mia vocina aveva qualcosa di particolare, e mi indirizzarono allo studio del bel canto. Un percorso fantastico che mi vedeva indossare i panni di "Mimì" dalla Boheme, di "Gilda" dal Rigoletto e così via. A conclusione degli studi di canto lirico però mi resi conto che avevo bisogno di dare ai personaggi che interpretavo una identità diversa, la mia. Per questo cominciai a scrivere musica, la mia musica e cominciai ad adattare la mia voce ad un nuovo genere, il rock. Il progetto Magdalen nasce così, un po’ per gioco un po’ come esperimento e si rivela la mia opera autobiografica per eccellenza”. A dicembre, durante le vacanze natalizie, Elisa Cardinali si esibirà in un concerto per piano e voce, a San Sosio, occasione da non perdere per ascoltare dal vivo la sua incantevole voce. L’invito è esteso a tutti i concittadini, perché nonostante tutto “Attualmente ad Arpino vive una bella fetta della mia storia: i miei nonni! Anche se non passo di lì molto spesso, non posso negare di avere delle profonde radici tra le fresche colline dei Morroni, e di questo ne vado fiera! Forza Vallone!!”… Ecco, quasi quasi, ricominciamo a bisticciare. Fabio Lucchetti F o t o r i c o r d o : I MOTOCICLISTI Negli anni ’70 una delle grandi iniziative, patrocinata dalla Proloco, grazie all’apporto del Presidente del tempo, Massimo Struffi, e dal Moto Club Castelliri, fu la “Cronoscalata Isola del Liri- Arpino”, dedicata al compianto Franco Mancini, motociclista isolano. Alla terza edizione, che si svolse nel luglio del 1973, vi partecipò anche il nostro concittadino Mario Zautzik, oggi affermato ortopedico a Napoli. L’ho incontrato per sottoporgli alcune domande. -Quando nacque la tua passione per le moto? Ricordo che già dalla prima infanzia ero affascinato dalle due ruote e il passaggio dalla bicicletta alla moto fu breve. La mia prima moto fu la Moto Bi 250, con questa iniziai la mia carriera da motociclista. -Abbiamo saputo che nel lontano 1973 partecipasti alla “Cronoscalata” del trofeo Mancini. Puoi raccontare qualcosa in merito? Sì, vi partecipai. Era il 29 luglio del 1973, 40 anni fa. Mi invogliò a partecipare Franco Villa, detto “Scheggia”. Questi mi iscrisse al Moto Club Castelliri e il fatto che qualcuno credesse in me mi rese molto orgoglioso. Mia madre non era tanto contenta, considerata l’estrema pericolosità della gara. Ricordo che venne addirittura sulla linea di partenza per cercare di convincermi a non correre, ma io, pur di partecipare, mi celai dietro ad un casco integrale di colore azzurro. Erano i primi caschi integrali presenti in commercio. -Come andò la gara? Io, giovane sedicenne, riuscii ad arrivare tredicesimo, con una media di 87 chilometri orari e con un tempo di 4 minuti e 13 secondi; superai anche piloti affermati nel panorama regionale, come Paolucci, Passeri, Frasca e Piccirilli, vincitore della precedente edizione della “Cronoscalata” nella categoria dei 500 cc. -Con quale moto gareggiasti? Corsi con una Honda 450 Scambler, numero di gara 152. All’epoca, erano pochi i modelli di questa casa di produzione immessi sul mercato foto archivio Cianfarani italiano. Questa moto, oggi, varrebbe migliaia di euro. Dopo la corsa la vendetti al Dottor Abbruzzese, che a sua volta la vendette ai fratelli Rea, poi, finì a Napoli. -Hai più partecipato a corse di tale spessore? No, ho partecipato a qualche altra corsa di trial, essendomi iscritto al Moto Club di Ripi. Rimasi iscritto per circa 5 anni… ma il fascino della Cronoscalata era cosa ben diversa. Grazie per la tua disponibilità. A presto, Mario! Domenico Manente PA G I N A 3 ARPINATI ALL’ESTERO L au ra, a Parigi con A rp in o n el cu ore Benché si ripeta ogni anno, non ci si abitua mai alla simpatica scenetta dei bambini che si rincorrono per i vicoli di Arpino, con gli uni che parlano -magari- in dialetto e gli altri in francese! Ovviamente non esistono tra di loro eventuali problemi di comprensione, tanto che continuano a giocare a nascondino, anzi a cache-cache. L’estate 2013 si è distinta per una cospicua presenza in città di turisti provenienti proprio dalla Francia, la nazione che ha accolto la maggiore comunità arpinate presente all’estero. A ritornare ad Arpino, però, sono soprattutto gli eredi dei nostri immigrati, nuove generazioni nate e cresciute oltralpe, senza rinunciare a mantenere vivo un forte legame con la terra di origine. Ci piace pensare che queste generazioni possano essere rappresentate dal sorriso giovane ed europeo di Laura Rea, studentessa a Parigi, originaria del Vignepiane. Ci ha scritto una bellissima e-mail che volentieri pubblichiamo, dedicandola a tutti gli Arpinati di Francia: “Mi chiamo Rea Laura, studio giurisprudenza a Parigi da tre anni. Sono Arpinate da parte di mio padre, i suoi genitori erano originari del Vignepiane che, come molta gente nel dopoguerra è immigrata all'estero. Io e la mia famiglia torniamo ogni estate e la cosa straordinaria è che ci innamoriamo ogni volta, come se fosse la prima, di questa meravigliosa città e dei suoi, a dire poco bellissimi, paesaggi. Ogni volta ritroviamo la convivialità che manca nelle grandi metropoli. Insomma tornare ad Arpino e ritrovare le nostre origini resta per noi un momento privilegiato che assaporiamo pienamente ogni secondo. Per l'occasione mi viene in mente una frase che mia madre mi ripete spesso: tieni lo sguardo verso Arpino ed il tuo cuore non sarà altro che libertà ed amore”. F. L. VOX POPULI Di chi è la colpa della “sospensione degli stipendi”!? Abbiamo più volte ricordato come il profilo facebook di Municipium voglia rappresentare una piazza virtuale in cui i concittadini possano esprimersi su ciò che accade in città condividendo foto, post e commenti. E proprio come la piazza reale si riempie durante le manifestazioni più importanti, anche la nostra bacheca registra un incremento di interventi in occasione dei fatti di maggior rilievo. In particolare, nelle ultime settimane, con la sospensione degli stipendi dei dipendenti comunali di Arpino, effetto del gravissimo squilibrio economico in cui versa il Comune. La notizia ha suscitato un vespaio di polemiche, che su internet, ormai una seconda pelle da cui non siamo più in grado di uscire, si è trasformata in un serrato dibattito su come venir fuori da questa delicata situazione, sulle responsabilità da chiarire, sulla solidarietà ai dipendenti. Proponiamo qui solo alcuni dei commenti rilasciati dai nostri lettori, scusandoci per la sintesi operata ai loro post (per ragioni di stampa), e lasciando la libertà di approfondire e replicare direttamente sulla nostra bacheca. In ordine cronologico, tra i primissimi commenti alla notizia, pubblicata dapprima su Arpino24.it, quello di Angelo Contucci che si chiede “Chi ha determinato questa situazione? Che paghi e paghi pesantemente.. Troppo comodo "amministrare" la cosa pubblica senza subirne le conseguenze.. in questo modo ne ero capace anch'io. Chiunque esso sia che venga denunciato alle autorità: Procura della Repubblica (per il penale) e corte dei conti (per l’amministrativo)”. Michele Summa ricorda che “l'allegra gestione del Comune di Arpino, io l'ho denunciata sin dal 2004. Nessuno ha creduto in quanto evidenziavo, nessuno ha preso provvedimenti in tempo, questo è il risultato”. Sulla presunta inerzia di politici e non solo, interviene con rammarico anche l’associa- zione Aurora Arpinate: “Osserviamo con vero malincuore che l'Arpinate è taciturno a tutto ciò che avviene nel proprio territorio, anzi direi quasi rassegnato! Licenziamenti, e non si lamenta! Non viene pagato lo stipendio, e tace! Non esistono più i servizi sociali, e annuisce! Non si puliscono più le strade, alza le spalle! (…) Arpinate ricorda che sei nobile e colto!”. Edmondo Zuffranieri in un lungo post leggibile sul profilo di Municipium Arpino, ricorda le tante spese fatte per l’Azienda "Comune di Arpino", e si fa portavoce di chi vuole “che venga fatta chiarezza sul deficit” volendo da un lato “sapere di chi sono state le responsabilità che hanno causato tutto questo”, ed annunciando dall’altro che “se tale situazione non verrà chiarita da parte degli attuali Amministratori (…) si è in procinto di costituire un comitato cittadino per denunciare alle autorità competenti tutti questi soprusi che si sono verificati in questi anni”. Chiudiamo con l’augurio di Carlo Scappaticci che da questa delicata situazione possa venir fuori una pagina di “dignità e speranza” per la città:”Nel 2012 con un volantino in piazza affermai che chiunque avesse vinto le elezioni (…) avrebbe immediatamente dovuto dichiarare il dissesto finanziario. Fui accusato di estremismo ed anche irriso (…) Proprio oggi però mi è arrivata voce che sarebbe questa la strada maestra anche per questa giovane amministrazione. Se veritiera (…) potremmo fare un passo avanti e liberarci dei fantasmi del passato (…). Ma nutro ancora delle riserve dal momento che il dissesto finanziario dichiarato da un'amministrazione prevede, fra l'altro, un riesame dei conti e delle responsabilità civili e penali di parecchi anni prima... Auguro a me stesso ed a tutti voi concittadini che un atto di coraggio renda reali queste voci di corridoio. Quel giorno sarà senza dubbio il giorno della rifondazione di Arpino.” F. L. UN TAG PER MUNICIPIUM Gli scatti d’autore di Piero Albery Nei negozi di elettronica si possono acquistare giocattolini digitali equipaggiati con sensori da dozzine di megapixel, zoom ottici 21x, obiettivi grandangolari da 23mm, PowerShot per riprese Full HD, e magari anche la Creative Shot che analizza in modo intelligente la scena da fotografare. migliorandola (all’evenienza) con “elementi creativi”. Le macchinette di ultima generazione consentono pure di scattare e condividere tramite inclusa connettività Wi-Fi ed implicite funzioni di Social-Sharing. In pratica, con un po’ di euro ci si assicura un biglietto di ingresso nell’”empireo” della fotografia, avendo in dotazione la creatività promessa dall’apposita “app” scaricata on line. Purtroppo non esiste un magazzino dove acquistare la bellezza oggettiva della fotografia, quella da riscoprire come antidoto alla confusione che sta stravolgendo gli stessi codici dell’immagine. Perché se da un lato migliorano disponibilità e definizione, diffusione e condivisione, le migliaia di foto che inondano quotidianamente i nostri profili, per quanto perfette e coloratissime, sembrano essere sempre più senza anima e finiscono per somigliarsi tutte quante. Il giocattolino digitale non offre gli optional più importanti come la tecnica, il punto di osservazione, lo sguardo, il talento: ovvero le caratteristiche da cui dipende quella “qualità” di una fotografia, che esiste a prescindere dall’oggetto e dal gusto di ciò che rappresenta (e che magari può anche non essere di nostro piacimento). Ma se la foto è bella, il suo valore resta intatto, nel tempo. E si spiega così il fatto che le fotografie di Piero Albery rappresentino da anni un punto di riferimento per molti, tra cui noi, semplici osservatori ed amanti della fotografia! Una gioia immensa scoprire che abbia deciso di promuovere on line, sul suo profilo facebook, le foto dei suoi archivi personali, quelle che eravamo abituati ad apprezzare nelle cartoline della città, nei calendari, nelle mostre. Con l’inevitabile conseguenza che il social network le ripropone all’infinito, anche e soprattutto le immagini datate, simbolo di bellezza e di arte tipiche di uno scatto d’autore. L’immagine che proponiamo risale a diversi anni fa, quando non esistevano ancora le macchinette digitali... e ciononostante Albery riesce comunque a ricreare profondità e tridimensionalità, solo giocando con il bianco e nero, in uno straordinario e soprattutto “autentico” effetto luce. Insomma, con Piero, la Creative-Shot può attendere. F. L.
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