7. LE
MIE PRIGIONI,
MEMORIE
DI SILVIO PELLICO
DA SALUZZO.
Homo
natus de muliere
,
brevi vivens
tempore , repletur multìs miserila.
Job.
PARIGI.
BAUDRY, LIBRERIA EUROPEA
(),
RUE DU
C.OO,
PRÈS LE LOUVRE,
1833.
9. ,
JjLo
io scritto
me? Bramo che
di parlar di
e
queste Memorie per vanita
ciò
per quanto uno possa di
non
sia
,
se giudice
y
parmi d avere avuto alcune
costituirsi j
mire migliori
:
— quella di contribuire a
3
confortare qualche infelice coli esponi-
mento de' mali che patii e
delle consola-
3
zioni eh esperimentai essere conseguibili
nelle
somme
sventure ;
-
— quella
d' attes-
3
tarle
non
così
che in mezzo a miei lunghi tormenti
trovai
pur V umanità
così iniqua
}
indegna d indulgenza , così scarsa
d' egregie
anime, come suol venire rap-
10. presentata;
nobili
— quella
ad amare
d' invitare
assai,
a non odiare
cun mortale , ad odiar solo
bilmente
le
cuori
i
al-
irreconcilia-
basse finzioni , la pusillani-
mità , la perfidia, ogni morale degrada-
mene ;
— quella di
notissima,
ma
ridirle
una
verità già
spesso dimenticata
Religione e la Filosofia comandare
V altra energico volere
:
la
V una
e giudizio
pa-
cato y e senza queste unite condizioni
non
e
esservi ne giustizia, ne dignità, ne prin-
cipj securi.
11. LE
MIE PRIGIONI.
CAPO PRIMO.
Il venerdì i3 ottobre 1820 fui arrestalo a
Milano, e condotto a Santa Margherita. Erano
le tre
pomeridiane. Mi
si
fece
un lungo
rogatorio per tutto quel giorno e per
cora.
Ma di
ciò
altri
an-
non dirò nulla. Simile ad un
amante maltrattato
samente risoluto
inter-
dalla sua bella, e dignito-
di tenerle broncio, lascio la
politica ov' ella sta, e parlo d'altro.
Alle nove della sera di quel povero ve-
nerdì T attuario mi consegnò
al
quesli, condottomi nella stanza a
si
fece da
me
custode
,
e
me destinata,
rimettere con geniile invito,
per restituirmeli a tempo debito, orologio,
denaro
e
,
e ogni altra cosa eh' io avessi in tasca
m'augurò rispettosamente
la
buona
,
notte.
12. LE MIE PRIGIONI.
k
— Fermatevi
ho pranzato
—
tirà
Subito
la
,
signore
3
,
caro voi
gli dissi
,
;
oggi
non
fatemi portare qualche cosa.
-,
,
locanda
qui vicina
è
che buon vino
-,
e sen-
!
— Vino, non ne bevo.
A
questa risposta ,
guardò spaventato,
zassi
:
il
signor Angiolino
che tengono bet-
I custodi di carceri
tola, inorridiscono
mi
sperando ch'io scher-
e
d'un prigioniero astemio.
— Non ne bevo davvero.
— incresce per
,
lei;
IVI'
patirà al doppio la
solitudine....
E
vedendo ch'io non mutava proposito
meno
uscì; ed in
di mezz'ora ebbi
,
pranzo.
il
Mangiai pochi bocconi tracannai un bicchier
,
d'acqua,
La
e fui lasciato solo.
stanza era a pian terreno
cortile. Carceri di
,
carceri dirimpetto.
di sopra,
alla finestra
,
e metteva sul
qua, carceri di
e stetti
là
-,
carceri
M'appoggiai
qualche tempo ad ascol-
tare l'andare e venire de' carcerieri
,
ed
il
frenetico canto di parecchi de' rinchiusi.
Pensava
monastero
:
:
— Un
secolo fa
avrebbero mai
,
questo era un
le sante e penitenti
vergini che lo abitavano immaginato che le
loro celle sonerebbero oggi,
minei gemiti e d' inni divoti
,
non più
di
fem-
ma di bestemmie
13. CAPO PRIMO.
e di canzoni invereconde
uomini
d' ogni fatta, e
ergastoli o alle forche
,
!
che conterrebbero
e
per lo più destinati agli
?
E
un
fra
respirerà in queste celle
tempo
5
Oh
?
secolo
oh mobilità perpetua delle cose! Può
chi vi considera affliggersi
,
se fortuna cessò
di sorridergli, se vien sepolto in prigione
gii si
chi
,
fugacità del
minaccia
patibolo
il
de' più felici mortali del
Jeri
?
mondo
:
,
se
uno
non ho
io era
,
oggi
più alcune delle dolcezze che confortavano la
mia
non più libertà non più consorzio
d'amici, non più speranze! No: il lusingarsi
sarebbe follia. Di qui non uscirò se non per
vita
,
-,
essere gettato ne' più orribili covili
segnato al carnefice
mia morte
un palazzo,
la
il
il
il
fossi spirato in
l'animo.
la
,
Ma mi
madre
,
ed
i
ragionamenti
tempo
ricorsero
due
sorelle, un'altra famiglia ch'io
fratelli
,
mi
alia
,
due
amava quasi
filosofici
più valsero. M'intenerii, e piansi
fanciullo.
o con-
—
padre
fosse la mia-,
,
giorno dopo
riflettere alla fugacità del
invigoriva
mente
,
e portato alla sepoltura co' più
grandi onori.
Così
sarà
,
Ebbene
come s'io
!
nulla
come un
14. LE MIE PRIGIONI.
CAPO
Tre mesi prima,
ed avea riveduto
razione,
e le
due
i
,
IL
io era
andato a Torino,
dopo parecchi annidi sepa-
miei cari genitori, uno de'
sorelle.
Tutta
la
fratelli
nostra famiglia s'era
sempre tanto amata! Niun
figliuolo era stato
più dime colmato di benefizi dal padre e dalla
madre Oh come al rivedere i venerati vecchi
trovandoli notabilmente
io m'era commosso
più aggravati dall'età che non m'immaginava!
Quanto avrei allora voluto non abbandonarli
!
,
più
,
consacrarmi a sollevare colle mie cure
la loro
vecchiaja
Quanto mi
!
brevi giorni ch'io
stetti
a
dolse
Torino,
di
,
ne'
aver
parecchi doveri che mi portavano fuori del
tetto
paterno
mio tempo
e di dare cosi poca parte del
,
agli
amati congiunti! La povera
madre diceva con melanconica amarezza
Ah il nostro Silvio non è venuto a Torino
:
<c
!
per veder noi
Milano,
la
!
»
Il
mattino che ripartii per
separazione fu dolorosissima.
padre entrò in carrozza con
pagnò per un miglio
-,
me
,
e
Il
m' accom-
poi tornò indietro
15. CAPO
IL
7
mi voltava a guardarlo e piangeva
e baciava un anello che la madre m' avea dato
e mai non mi sentii così angosciato di allonsoletto. Io
,
,
tanarmi da' parenti.
Non
menti,
non poter vincere
dolore
((
io stupiva di
,
a'
presenti-
mio
il
ed era sforzato a dire con ispavento
Donde questa mia
dine
credulo
? »
;
straordinaria inquietu-
Pareami pur
di
prevedere qualche
grande sventura.
Ora nel carcere
mi risovvenivano quello
spavento, quell'angoscia; mi risovvenivano
,
,
tutte le parole udite
,
mesi innanzi
tre
,
da'
Quel lamento della madre « Ah!
il nostro Silvio non è venuto a Torino per
veder noi » mi ripiombava sul cuore. Io mi
rimproverava di non essermi mostrato loro
genitori.
:
!
mille volte più tenero.
volti!
e
,
e
!
mi
fui così
dell'amor mio!
e
debolmente Non dovea mai
ciò dissi loro cosi
più vederli
— Li amo cotanto,
saziai cosi
poco de' loro cari
avaro delle testimonianze
— Questi
pensieri
mi
stra-
ziavano l'anima.
Chiusila finestra, passeggiai un'ora, cre-
dendo
di
non aver requie
tutta la notte»
posi a letto, e la stanchezza
Mi
m'addormentò.
16. LE MIE PRIGIONI.
*
CAPO
Lo
—
III.
prima notte in carcere
svegliarsi la
cosa orrenda!
w-w w-v W-k
e
Possibile! (dissi ricordan-
domi dove io fossi) possibile Io qui? E non
è ora un sogno il mio ? Jeri dunque m' arrestarono? Jeri mi fecero quel lungo interrogatorio,
!
che domani
nuarsi
?
,
quando dovrà
e chi sa fin
conti-
Jer sera, avanti di addormentarmi, io
5
piansi tanto, pensando a miei genitori
Il
riposo
.
perfetto
il
sonno che avea ristorato
tali,
silenzio
le
?
breve
il
,
—
mie forze men-
sembravano avere centuplicato
me
in
la
possa del dolore. In quell'assenza totale di
distrazioni
,
l'affanno di tutti
i
miei cari, ed
in particolare del
padre e della madre
ché udrebbero
mio arresto, mi
il
nella fantasia con
— In
una forza
allor-
.
si
pingea
incredibile.
quest'istante, diceva io.
dormono
ancora tranquilli, o vegliano pensando forse
con dolcezza a
me
luogo ov'io sono!
gliesse dal
mondo
la notizia
della
,
,
non punto presaghi del
Oh
felici,
se
Dio
li
to-
avanti che giunga aTorino
mia sventura! Chi darà loro
la forza di sostenere
questo colpo?
—
17. ,
CAPO
Una voce
Colui che
III.
9
interna parea rispondermi
!
Colui che dava la forza
ad una Madre di seguire
il
Figlio al Golgota
e di stare sotto la sua croce
infelici
,
T amico dei mortali
Quello fu
l'
!
!
amico
degl'
—
primo momento
il
—
invocano ed amano
tutti gli afflitti
e sentono in se stessi
:
,
che
la reli-
gione trionfò del mio cuore-, ed all'amor
filiale
debbo questo benefizio.
Per T addietro, senza essere avverso
alla
Le
vol-
religione
,
poco
io
gari obbiezioni,
tuta,
e
male
la seguiva.
con cui suole essere combat-
non mi parevano un gran che,
e tutta-
via mille sofistici dubbi infievolivano la
mia
fede. Già da lungo tempo questi dubbi non
cadevano più
sull' esistenza di
dava ridicendo che se Dio
Dio
esiste
,
,
cosi ingiusto
1'
:
uomo
,
mondo
somma ragionevolezza
di aspirare ai beni di quella
d'
è un'al-
che pati in un
quindi la
quindi un culto
m' an-
una conse-
guenza necessaria della sua giustizia
tra vita per
e
amore
di
seconda vita
:
Dio e del pros-
simo, un perpetuo aspirare a nobilitarsi con
generosi sacrifizi. Già da lungo tempo m'an-
dava ridicendo tutto ciò
E
che altro è
il
,
e
soggiungeva
:
—
Cristianesimo se non questo
perpetuo aspirare a nobilitarsi
?
— E mi me-
18. LE MIE PRI GIONI.
io
ravigliava
come
pura
sì
filosofica
sì
,
,
sì
inat-
taccabile manifestandosi l'essenza del Cristia-
nesimo
fosse
,
venuta un' epoca in cui
— Farò
sofia osasse dire
:
sue veci.
in qual
— Ed
veci? Insegnando
gnando
modo farai tu
No certo.
amore
sarà
sarà ciò che appunto
le
vizio?
il
Ebbene
la virtù ?
e del prossimo
la filo-
innanzi
io d' or
le
sue
Insedi
il
Dio
Cri-
stianesimo insegna.
Ad
tissi,
onta eh' io così da parecchi anni sensfuggiva di conchiudere
conseguente
I
sii
cristiano
zar più degli abusi
qualche punto
Chiesa
ed è lucidissimo
il
:
ti
dunque
scandalez-
non malignar più su
difficile
giacché
,
!
non
!
sii
:
della dottrina della
punto principale
ama Dio ed
è questo,
prossimo.
il
In prigione deliberai finalmente di strin-
gere tale conclusione, e
quanto
,
pensando che
la strinsi. Esitai al-
taluno veniva a
se
sapermi più religioso di prima,
si
crederebbe
in dovere di reputarmi bacchettone ed avvilito dalla disgrazia.
Ma
sentendo ch'io non
era ne bacchettone, né avvilito,
qui di non punto curare
non
meritati
rarmi
d'
,
e
fermai
i
mi compiac-
possibili biasimi
d' essere e di dichia-
or in avanti cristiano.
19. CAPO
IV.
VM%WWil1%V«>%WVVl%V«%VMVVVVi<VVVV»/VViW«
l
CAPO
Rimasi
tardi
j
ma
io
mattino
IV.
risoluzione più
stabile in questa
cominciai a ruminarla e quasi vo-
lerla in quella
il
WVW
le
prima notte
di cattura.
Verso
mie smanie erano calmate
ne stupiva. Ripensava
,
ed
genitori ed agli
a'
amati, e non disperava più della loro
altri
forza d'
animo
sentimenti
in essi,
,
,
eh' io
e la
memoria
de' virtuosi
aveva altre volte conosciuti
mi consolava.
Perchè dianzi cotanta perturbazione in me,
immaginando
la loro,
ed or cotanta fiducia
neir altezza del loro coraggio
?
Era questo
cangiamento un prodigio
?
era
felice
turale effetto della
Dio ?
no,
— E che importa
reali
i
A
un na-
mia ravvivata credenza in
il
chiamar prodigi
sublimi benefizi della religione
,
o
?
mezzanotte, due secondini (così chia-
mansi
i
carcerieri dipendenti dal
erano venuti a visitarmi, e
di pessimo
umore.
m
All' alba
J
custode)
aveano trovato
tornarono
,
e
mi
trovarono sereno e cordialmente scherzoso.
—
Stanotte, signore, ella aveva
una
faccia
20. ,
le mie prigioni.
iÈ
da basilisco
e
,
disse
Tirola
il
;
ne godo, segno che non è
— un
pressione
birbante
:
ora è
perchè
(io sono vecchio del mestiere, e le
vazioni
hanno qualche peso),
più arrabbiati
resto, che
ne
il
i
es-
birbanti
i
mie
osser-
birbanti sono
secondo giorno dei loro ar-
il
primo. Prende tabacco?
prendere
soglio
tutt' altro
— perdoni V
,
ma non
— Non
vo' ricusare le
Quanto alla vostra osservanon è da quel sapiente che
sembrate. Se stamane non ho più faccia da
basilisco, non potrebb'egli essere che il muvostre
grazie.
zione, scusatemi,
tamento
lità
prova
fosse
ad illudermi
libertà
d' insensatezza
,
di faci-
a sognar prossima la
,
?
— Ne
dubiterei, signore, s'ella fosse in
prigione per altri motivi
ma
;
di stato, al giorno d'oggi,
per queste cose
non
è possibile di
credere che finiscano così su due piedi.
ella
non
selo.
Perdoni sa
:
pre fra disgraziati
— Crederà
dolori altrui
io
,
:
vuole un'altra presa?
Ma come
faccia cosi allegra
Ed
gonzo da immaginar-
è siffattamente
— Date qua.
mente
mia
come
,
si
può avere una
avete, vivendo sem-
?
che sia per indifferenza sui
non
lo so
a dir vero
;
nemmeno positivama Y assicuro che
21. CAPO
spesse volte
il
IV.
i3
veder piangere mi
male.
fa
talora fingo d' essere allegro, affinchè
E
poveri
i
prigionieri sorridano anch'essi.
— Mi viene, buon uomo, un pensiero che
non ho mai avuto
:
che
si
possa fare
carce-
il
riere ed essere d' ottima pasta.
—
Il
mestiere non fa niente, signore. Al
quel voltone eh'
di là di
cortile
,
v'è
tutte per
donne
di
un
vede
ella
altro cortile
oltre
,
donne. Sono.... non occorre
mala
dirlo...
Ebbene, signore, ve
vita.
che sono angeli, quanto
il
ed altre carceri
E
cuore.
al
n'
s'ella
fosse secondino....
— Io? — (e
scoppiai dal ridere.
)
Tirola restò sconcertato dal mio riso
non proseguì. Forse intendea
mi sarebbe
,
che
e
riuscito malage-
stato
secondino
vole
non affezionarmi ad alcuna
,
,
io fossi
s'
di quelle
disgraziate.
Mi
Uscì
,
chiese ciò ch'io volessi per colezione.
e qualche
minuto dopo mi portò
il
caffè.
Io lo guardava in faccia fissamente
un
sorriso malizioso
,
che voleva dire
:
«
,
con
Por-
un mio viglietto ad un altro infelice
al mio amico Piero ? » Ed egli mi rispose con un altro sorriso che voleva dire
teresti tu
,
,
:
22. ,
LE MIE PRIGIONI.
i4
a
No
?
signore
miei compagni
che
e se vi dirigete
;
,
il
ad alcuno de
quale vi dica di
sì,
5
badate
vi tradirà. »
Non
sono veramente certo
capisse, ne ch'io capissi
fui dieci volte sul
pezzo di carta
,
punto
eh' egli
,
So bensì, ch'io
di
dimandargli un
ed una matita
,
e
non
ardii
?
perchè v era alcun che negli occhi suoi
sembrava avvertirmi
cuno,
e
meno
d'altri
di
mi
lui.
non fidarmi
che di
lui.
,
che
di al-
23. CAPO
i5
V.
»,•*.»•%/%, %^-%.
CAPO
Se Tirola
,
una fisionomia più no-
ceduto
io avrei
mio ambasciatore
alla tentazione di farlo
e forse
,
giunto a tempo all'amico
un mio
non
lui
ma
era scoperto,
,
viglietto
avrebbe dato
gli
forza di riparare qualche sbaglio
ciò salvava,
,
avuto quegli sguardi così
furbi; se fosse slata
,
bontà
colla sua espressione di
non avesse anche
bile
V.
,
—
la
e forse
poveretto, che già troppo
parecchi
altri e
me
!
Pazienza! doveva andar così.
Fui chiamato
alla
terrogatorio, e ciò
parecchi
altri
,
dell' in-
continuazione
durò tutto quel giorno, e
con nessun altro intervallo che
quello de' pranzi.
Finché
il
processo non
chiuse
si
,
i
giorni
volavano rapidi per me, cotanto era l'esercizio della
dere a
mente in queir interminabile rispon-
sì
varie dimancle
alle ore di
,
e nel raccogliermi
pranzo ed a sera
,
per riflettere a
tutto ciò
che mi s'era chiesto e ch'io aveva
risposto,
ed a tutto ciò, su cui probabilmente
sarei ancora interrogato.
Alla fine della prima settimana m'accadde
24. LE MIE PRIGIONI,
16
un gran dispiacere. Il mio povero Piero, bramoso quanto lo era io che potessimo metterci in qualche comunicazione, mi mandò
un viglietto, e si servì, non d'alcuno de se,
,
ma d'un disgraziato prigioniero,
condini,
veniva con
essi a fare
che
qualche servigio nelle
un uomo
nostre stanze. Era questi
dai ses-
non
santa ai settantanni, condannato a
so
quanti mesi di detenzione.
Con una
che rimisi
aveva
eh' io
spilla
,
mi
forai
un
sangue poche linee di risposta
dito, e feci col
messaggero. Egli ebbe la mala
al
ventura d'essere spiato, frugato, colto col
glietto addosso, e, se
non
vi-
erro, bastonato. In-
che mi parvero del misero vec-
tesi alte urla
chio, e noi rividi mai più.
Chiamato
veder-
io a processo, fremetti al
mi presentata
gue (la quale
mia cartolina vergata
la
,
grazie al cielo,
col san-
non parlava
di
cose nocive, ed avea l'aria d'un semplice saluto).
Mi
gue, mi
Ah,
io
occhi
il
sofferto
si
mi
chiese con che
si
tolse la spilla
non
risi
!
Io
fossi tratto
san-
e si rise dei burlati.
,
non poteva levarmi
dagli
vecchio messaggero. Avrei volentieri
qualunque
castigo,
purché
gli
perdo-
nassero; e quando mi giunsero quelle urla,
che dubitai essere di
di lacrime.
lui
,
il
cuore mi s'empi
25. CAPO
V.
i
Invano chiesi parecchie volte di esso
tode e
a'
cevano
:
secondini. Crollavano
<(
farà più di simili
poso.
]Ne
)>
il
L'ha pagata cara colui
— gode
un
1
al cus-
capo, e di-
— non ne
po' più di ri-
voleano spiegarsi di più.
Accennavano
essi la
prigionia ristretta in
cui veniva tenuto queir infelice, o parlavano
cosi
,
perch' egli fosse morto sotto le basto-
nate od in conseguenza di quelle
Un
cortile
gna
?
giorno mi parve di vederlo,
,
sotto
il
portico, con
sulle spalle. Il
rivedessi
un
un
al di là
del
fascio di le-
cuore mi palpitò, come s'ia
fratello,
26. LE MIE PRIGIONI.
18
k<V«VVWWVW
CAPO VL
Quando non
rogatorii, e
le
fui più martirato dagl' inter-
non ebbi più nulla che occupasse
mie giornate
amaramente
allora sentii
,
il
peso della solitudine.
ed
Ben mi si permise ch'io avessi una Bibbia
il Dante
ben fu messa a mia disposizione
;
dal custode la sua biblioteca
alcuni romanzi di Scuderi
gio
ma
-,
il
mio
,
spirito era
consistente in
,
del Piazzi
ogni giorno un
Dante
questo esercizio era tuttavia
ch'io lo faceva pensando
che
a' casi
gendo
Lo
miei.
altre cose
,
stesso
e peg-
troppo agitato, da
potersi applicare a qualsiasi lettura.
canto di
,
a
Imparava
memoria,
e
macchinale,
sì
meno
a que' versi
mi avveniva
leg-*
eccettualo alcune volte qual-
che passo della Bibbia. Questo divino libro
eh' io
aveva sempre amato molto, anche quan-
do pareami
me
che
d' essere
,
ad onta del buon volere
lo leggea colla
A
incredulo, veniva ora da
studiato con più rispetto che mai. Se
mente ad
,
non
spessissimo io
altro, e
non capiva.
poco a poco divenni capace di meditarvi
27. ,
CAPO
più
fortemente
VI.
sempre meglio gus-
e di
,
19
tarlo.
.
non mi diede mai
Siffatta lettura
ma
la
disposizione alla bacchettoneria
minicioè a
,
quella divozione malintesa che rende pusilla-
nime o
Dio e
fanatico. Bensì
gli
uomini
m'insegnava ad amar
a bramare sempre più
,
il
regno della giustizia, ad abborrire l'iniquità,
perdonando
agl'iniqui. Il Cristianesimo, in-
vece di disfare in
me
ciò che la filosofia potea
avervi fatto di buono, lo confermava
lorava di ragioni più alte
incessantemente
e
,
che
più potenti.
,
Un giorno avendo letto
lo avva-
,
che bisogna pregare
il
vero pregare non è
borbottare molte parole alla guisa de' pagani
ma
adorar Dio con semplicità
in azioni, e fare che le
,
une
sì
in parole
,
sì
e le altre sieno
l'adempimento del suo santo volere, mi proposi di cominciare davvero quest'incessante
preghiera
,
cioè di
non permettermi più nep-
pure un pensiero, che non
animato dal
fosse
desiderio di conformarmi ai decreti di Dio.
Le formole
di preghiera
da
me
adorazione furono sempre poche
,
recitate in
non
già per
disprezzo (che anzi le credo saltuarissime
chi più, a chi
meno, per fermare
zione nel culto)
,
ma
perchè
io
,
a
l'atten-
mi sento
così
28. LE MIE PRIGIONI,
io
fatto,
da non essere capace di recitarne molte,
senza vagare in distrazioni e porre F idea del
culto in obblio.
L' intento di stare di continuo alla presenza
di Dio, invece di essere
un faticoso sforzo
della
mente ed un soggetto di tremore era per me
soavissima cosa. Non dimenticando che Dio
,
è
,
sempre vicino a noi
eh' egli è in noi
,
,
o
piuttosto che noi siamo in esso, la solitudine
perdeva ogni giorno più
ce
Non sono
suo orrore per
il
in ottima compagnia
io
E mi
dava dicendo.
? »
me
:
m'an-
rasserenava, e canterel-
lava, e zufolava con piacere e con tenerezza.
— Ebbene
,
pensai
non avrebbe potuto
,
venirmi una febbre e portarmi in sepoltura
Tutti
i
miei cari
nati al pianto,
,
che
si
?
sarebbero abbando-
perdendomi, avrebbero pure
acquistato a poco a poco la forza di rasse-
mia mancanza. Invece d'una tomba, mi divorò una prigione degg'io credere
gnarsi alla
:
che Dio non
Il
li
munisca
mio cuore alzava
loro, talvolta
grime
stesse
d'
i
egual forza
?
—
più fervidi voli per
con qualche lagrima
-,
ma
le la-
erano miste di dolcezza. Io aveva
piena fede che Dio sosterrebbe loro e me.
Non mi
sono ingannato.
29. CAPO
21
VII.
^%>*/%/%/VWV-^*^V*%/%^V%^'W*'». V»/%. *lV*VV»(W»,W*VV%V*'V'V*W%».
CAPO
VII.
Il vivere libero è assai più bello del vivere
in carcere;
chi ne dubita?
nelle miserie d'
un
carcere
,
Eppure anche
quando ivi si
pensa che Dio è presente, che
mondo
sono fugaci
coscienza e
non
,
che
il
le gioje del
vero bene sta nella
negli oggetti esteriori
puossi
,
meno d' un
non dirò perfettamente
ma in comportevole guisa, il mio partito.
Vidi che non volendo commettere l'indegna
azione di comprare l' impunità col procacla mia sorte non pociare la rovina altrui
essere se non il patibolo od una lunga
teva
Respiprigionia. Era necessità adattarvisi.
finche mi lasciano fiato dissi e quando
rerò
con piacere sentire
mese avea
pigliato
la vita. Io in
,
,
—
,
,
me
lo tofranno
allorché
Morrò.
Mi
dare
Il
,
farò
sono giunti
—
come
all'
tutti
i
malati
ultimo momento.
studiava di non lagnarmi di nulla
all'
anima mia
tutti
i
godimenti
più consueto godimento
si
,
e di
possibili.
era di andarmi
rinnovando V enumerazione dei beni che ave-
30. ,
LE MIE PRIGIONI,
22
vano abbellito
dre
i
miei giorni
un' ottima madre
j
eccellenti,
tali e tali
i
un ottimo pa-
:
fratelli
,
amici
,
e
sorelle
una buona edu-
cazione, l'amore delle lettere ec. Chi più di
me
era stato dotato di felicità
ringraziarne Iddio
,
Perchè non
?
sebbene ora mi fosse tem-
perata dalla sventura? Talora facendo queir
enumerazione m' inteneriva e piangeva un
istante;
Fin
mail coraggio
amico. ISon era
il
Parlo per altro
Chi era
?
cinque o
— Un
sei
ladroni, e
la
d'
legge
Il
li
proces-
de' signori
una creatura umana.
fanciullo
anni.
aveva acquistato un
custode, non alcuno de'
non alcuno
secondini,
santi.
e la letizia tornavano.
da' primi giorni io
sordo e muto
,
padre
e la
aveva
,
dì
madre erano
colpiti. Il
misero
orfanello veniva mantenuto dalla Polizia con
parecchi
altri fanciulli della stessa
Abitavano
mia
tutti in
una stanza
condizione.
in faccia alla
ed a certe ore aprivasi loro
,
la
porta
affinchè uscissero a prender aria nel cortile.
Il
tava
e muto veniva sotto la mia finesmi sorrideva, e gesticolava. Io gli get-
sordo
tra, e
un
bel pezzo di pane
:
ei lo
prendeva,
facendo un salto di gioja, correva
compagni, ne dava a
mangiare
la
tutti,
e poi
a'
suoi
veniva a
sua porzioncella presso la mia
31. ,
CAPO
finestra,
esprimendo
VII.
<23
sua gratitudine col
la
sorriso de' suoi begli occhi.
Gli
tano
altri fanciulli
ma non
,
mi guardavano da lon-
ardìano avvicinarsi
:
il
sordo-
muto aveva una gran simpatia per me
già per sola cagione d' interesse.
ei
non sapea che fare del pane
e mi facea segni eh' egli
tava
,
,
ne
Alcune volte
eh' io gli get-
e
i
com-
suoi
pagni aveano mangiato bene, e non potevano
prendere maggior cibo.
S' ei
vedea venire un
secondino nella mia stanza,
pane perchè
me
lo restituisse.
aspettasse allora da
zare innanzi alla
me
,
gli
ei
dava
il
Benché nulla
continuava a ruz-
ei
con una grazia
finestra,
amabilissima, godendo eh' io lo vedessi.
Una
un secondino permise al fanciullo d' enmia prigione questi appena entrato corse ad abbracciarmi le gambe mettendo un grido di gioja. Lo presi fra le
volta
trare nella
,
:
,
,
braccia
,
ed
mi colmava
è indicibile
il
di carezze.
quella cara animetta
terlo far
educare
,
in che
trovava
!
trasporto con cui
Quanto amore
Come
in
avrei voluto po-
e salvarlo dall' abbiezione
!
si
Non ho mai
saputo
il
suo nome. Egli stesso
non sapeva di averne uno. Era sempre lieto
e non lo vidi mai piangere se non una volta
32. ,
LE BUE PRIGIONI,
24
che fu battuto
,
non
perchè
so
dal carce-
,
Cosa strana! Vivere in luoghi
riere.
sembra
il
fanciullo
colmo
avea
dell'
infortunio
certamente
,
simili
eppure quel
tanta
felicità
J
quanta possa averne a queir età
il
figlio
principe. Io facea questa riflessione
,
d un
ed im-
parava che puossi rendere Tumore indipendente dal luogo. Governiamo Y immaginativa, e staremo
bene quasi dappertutto. Vn
quando la sera uno
senza fame e senza acuti do-
giorno è presto passato
si
mette a
lori
e
che importa se quel
,
mura che
che
letto
,
si
si
letto è piuttosto fra
chiamino prigione
chiamino casa o palazzo
Ottimo ragionamento
!
,
Ma come
governare Y immaginativa? Io mi
e
ben pareami
glia
:
ma
o fra
mura
?
vi
si
fa
a
provava,
talvolta di riuscirvi a meravi-
altre volte la tiranna trionfava
io indispettito stupiva della
,
mia debolezza.
ed
33. ,
.
,
CAPO
Vili.
CAPO
Vili.
Nella mia sventura son pur fortunato
diceva io
che m' abbiano dato una prigione
,
a pian terreno
tro passi da
su questo cortile
,
me
viene quel caro fanciullo
con cui converso
alla
Mirabile intelligenza
diciamo
egli
ove a quat-
,
ed
muta
dolcemente
si
umana Quante
!
!
cose ci
io colle infinite espressioni
Come comquando gli sorrido ? come li corregge quando vede che mi
spiacciono Come capisce che lo amo, quando
accarezza o regala alcuno de' suoi compagni
Nessuno al mondo se lo immagina, eppure io
degli sguardi e della fisonomia
pone
i
suoi moti con grazia
!
,
,
!
!
stando alla finestra, posso essere una specie
d'educatore per quella povera creaturina.
forza di ripetere
perfezioneremo
il
la
mutuo
A
esercizio de' segni
comunicazione delle nostre
idee. Più sentirà d'istruirsi e d'ingentilirsi
con
il
me
,
più mi
s'
affezionerà. Io sarò per lui
genio della ragione e della bontà
parerà a confidarmi
ceri
,
le
sue
brame
:
i
suoi dolori
,
i
io a consolarlo
egli
;
im-
suoi pia,
2
a nobi-
34. LE MIE PRIGIONI,
26
litarlo, a dirigerlo in tutta la sua condotta.
Chi
sa
che tenendosi indecisa
mia sorte
la
di
non mi lascino invecchiar
qui? Chi sa che quel fanciullo non cresca
sotto a' miei occhi e non sia adoprato a qual-
mese
in mese,
,
che servizio in questa casa? Con tanto inge-
gno quanto mostra
riuscire
?
Ahimè
!
d'
avere
,
che potrà
secondino o qualch' altra cosa di
bene
non avrò
j
egli
un ottimo
simile. Eb-
niente di più che
io fatto
buon* opera
contribuito ad ispirargli
il
se avrò
f
desiderio di pia-
cere alla gente onesta ed a se stesso
,
a dargli
V abitudine de' sentimenti amorevoli?
Questo soliloquio era naturalissimo. Ebbi
sempre molta inclinazione pe' fanciulli e
,
T ufficio d' educatore mi parea sublime. Io
adempiva simile ufficio da qualche anno
due giovaverso Giacomo e Giulio Porro
eh' io amava come
netti di belle speranze
figli miei e come tali amerò sempre. Dio
,
,
sa
quante volte in carcere
,
quanto m'
affliggessi
la loro educazione!
massi
tro
,
,
io pensassi a loro
!
di non poter compiere
quanto ardenti voti for-
perchè incontrassero un nuovo maes-
che mi fosse eguale
nell'
Talvolta esclamava tra
parodìa è questa
!
amarli
me
:
!
Che
brutta
Invece di Giacomo e Giù-
35. ,
CAPO
lio
,
Vili.
27
fanciulli ornati de' più splendidi incanti
mi tocca
sordo muto
che natura e fortuna possano dare
per discepolo un poveretto
stracciato, figlio
al
po'
meno
Queste
garbato
si
Ma
il
!...
che
ai
più
che in termine
direbbe sbirro.
mi confondeano
riflessioni
sconfortavano.
,
d'un ladrone
più diverrà secondino-,
un
,
,
appena sentiva io
,
mi
lo strillo
mio mutolino che mi si rimescolava il
sangue come ad un padre che sente la voce
del
,
,
del figlio.
pavano in
guardo,
E quello strillo e la sua vista dissime ogni idea di bassezza a suo riE che colpa ha egli s'è stracciato
—
e difettoso, e di
razza di ladri?
umana, nell'età
dell'
innocenza, è sempre
rispettabile. Cosi diceva io; e
ogni giorno più con amore
crescesse in intelligenza, e
dolce divisamento
lirlo-,
d'
Un'anima
,
e
lo
guardava
mi parea che
confermavami nel
applicarmi ad ingenti-
e fantasticando su tutte le possibilità
,
pensava che forse sarei un giorno uscito di
carcere ed avrei avuto mezzo di far mettere
quel fanciullo nel collegio de' sordi e muti, e
d' aprirgli così la via
ad una fortuna più bella
che d'essere sbirro.
Mentre
io
m' occupava
cosi deliziosamente
36. LE MIE PRIGIONI,
28
del suo bene
un giorno due secondini ven-
,
gono a prendermi.
— cangia
— Che intendete
— C comandato
camera.
— Perchè
— Qualch'
grosso
alloggio, signore.
Si
dire
?
?
di trasportarla in un'
è
altra
?
altro
uccello
è
stato
preso, e questa essendo la miglior camera....
capisce bene....
— Capisco
:
è la
prima posa
de'
nuovi ar-
rivati.
E mi
opposta
trasportarono alla parte del cortile
,
non più
ma ohimè non
!
,
atta
al
Traversando quel
più a pian terreno,
conversare col mutolino.
cortile
,
vidi quel caro ra-
gazzo seduto a terra, attonito, mesto
mi perdeva. Dopo un
eh' ei
mi
corse incontro
ciarlo
com
5
rezza
,
i
e
mi
,
capì
secondini voleano cac-
io lo presi fra le braccia
egli era
,
;
:
istante s'alzò,
,
e
,
lo baciai e ribaciai
staccai da lui
— debbo
cogli occhi grondanti di lagrime.
sudicetto
con tenedirlo ?
—
37. ,
CAPO
CAPO
IX.
29
IX.
Povero mio cuore! tu ami
sì
caldamente
,
già stato condannato
men
dolorosa
nuovo mio
zaccia
non
la
che
il
alloggio era tristissimo.
,
lurida
vetri alle imposte
sei
Questa non fu certo
!
e la sentii tanto più
;
oscura
,
facilmente e
sì
ed oh a quante separazioni
,
,
Una
stan-
con finestra avente
ma
carta
,
con pareti
contaminate da goffe pitturacce di colore
non oso
dir quale
e ne' luoghi
non
,
dipinti
erano iscrizioni. Molte portavano semplice-
mente nome, cognome
felice
,
e patria di qualche in-
colla data del giorno funesto della sua
cattura. Altre aggiungeano esclamazioni con-
una
tro falsi amici, contro se stesso, contro
donna, contro
il
giudice ec. Altre erano com-
;
pendi d autobiografia. Altre contenevano sentenze morali.
a
V erano queste parole di Pascal
Coloro che combattono
parino almeno qual
batterla.
,
prima
di
,
:
im-
com-
Se questa religione si vantasse d' avere
una veduta chiara
senza velo
che non
ella sia
la religione
si
,
di
Dio
,
e di possederlo
sarebbe un combatterla
il
dire
vede niente nel mondo che
,
lo
38. LE MIE PRIGIONI.
3o
Ma
mostri con tanta evidenza.
anzi, essere gli
da Dio
,
il
poiché dice
uomini nelle tenebre
quale
s'
zione, ed essere appunto
dà nelle Scritture
Deus
,
vantaggio possono
e lontani
è nascosto alia loro cogni-
nome
il
ch'egli
si
absconditus.... qual
essi trarre
,
allorché nella
negligenza che professano quanto alla scienza
della verità, gridano che la verità
loro mostrata
Più sotto era
autore)
a
non vien
? »
scritto (parole
dello stesso
:
Non
qui del lieve interesse di
trattasi
qualche persona straniera
;
trattasi di
noi me-
desimi e del nostro tutto. L'immortalità
dell'
anima è cosa che tanto importa o che toccaci
profondamente che bisogna aver perduto
,
sì
,
per essere nell'indifferenza di
ogni senno,
saper che ne
Un
<c
sia. »
altro scritto diceva
Benedico
la
prigione
conoscere l'ingratitudine
:
,
poiché
degli
ra'
ha
fatto
uomini,
la
mia miseria, e la bontà di Dio. »
Accanto a queste umili parole erano le più
violente e superbe imprecazioni d' uno che si
diceva ateo e che si scagliava contro Dio
come se si dimenticasse d' aver detto che non
,
v'
era Dio.
Dopo una colonna
di tali
bestemmie
,
ne
39. ,
CAPO
IX.
3i
seguiva una d'ingiurie contro
così
chiamava
li
egli,
che
la
i
vigliacchi
sventura del
carcere fa religiosi.
Mostrai quelle scelleratezze ad uno de' secondini, e chiesi chi l'avesse scritta.
— Ho
piacere d'aver trovata quest'iscrizione, disse
ve ne son tante
cercare
E
tare
!
—
senz' altro
muro per
il
— Perchè
— Perchè
e fu
,
ciò
ed ho
,
diessi
sì
con un
coltello a grat-
farla sparire.
? dissi.
povero diavolo che
il
:
poco tempo da
l'
ha
scritta,
condannato a morte per omicidio preme-
ditato
,
se
ne pentì
,
e
mi fece pregare di questa
carità.
— Dio perdoni sclamai. Qual omicisuo
dio era
— Non potendo uccidere un suo nemico
vendicò uccidendogli
più
—
che
desse
gli
!
?
il
,
si
il
fanciullo
E
A
tanto
può giungere
mostro teneva
siffatto
,
bel
il
sulla terra.
si
Inorridii.
figlio
il
la ferocia!
linguaggio insul-
un uomo superiore a tutte le deboumane Uccidere un innocente un
tante d'
lezze
fanciullo
!
!
!
40. LE MIE PRIGIONI.
32
CAPO
Ijj
quella mia nuova stanza, così tetra e
immonda, privo della compagnia del
muto io era oppresso di tristezza. Stava
così
caro
,
molte ore
una
X.
alla finestra la
galleria
quale metteva sopra
e al di là della galleria vedeasi
,
r estremità del cortile e la finestra della mia
prima stanza. Chi erami succeduto colà
vi
?
Io
vedeva un uomo che molto passeggiava
colla rapidità di chi è pieno
o tre giorni dappoi
da scrivere
,
,
7
d agitazione.
vidi che gli
Due
avevano dato
ed allora se ne stava tutto
il
dì
al tavolino.
Finalmente
lo riconobbi. Egli usciva della
sua stanza accompagnato dal custode
agli esami.
Era Melchiorre Gioja
andava
:
!
Mi si strinse il cuore. Anche tu, valen(Fu più fortunato di me.
tuomo, sei qui
Dopo alcuni mesi di detenzione, venne ri!
messo in
La
libertà.
vista di
consola,
—
)
qualunque creatura buona mi
m'affeziona, mi fa pensare.
pensare ed amare sono un gran bene
!
Ah!
Avrei
41. ,
CAPO
dato
mia
la
eppure
Dopo
33
per salvar Gioja di carcere
vita
vederlo
il
X.
mi
;
sollevava.
essere stato lungo
tempo
a guardarlo
a congetturare da' suoi moti se fosse tranquillo
d'animo od inquieto, a far voti per lui io
mi sentiva maggior forza maggiore abbon,
,
danza d'idee, maggior contento di me. Ciò
vuol dire che lo spettacolo d'una creatura
umana,
quale s'abbia amore, basta a
alla
temprare
M' avea dapprima
un povero bambino
solitudine.
la
recato questo benefizio
muto, ed or me
lo
recava la lontana vista
d'un uomo di gran merito.
Forse qualche secondino
era.
Un
mattino aprendo
sventolare
il
la
gli disse
dov'io
sua finestra, fece
fazzoletto in atto di saluto. Io gli
risposi collo stesso segno.
m'inondò l'anima
Oh, quale piacere
momento
Mi
in quel
!
pareva che la distanza fosse sparita, che fos-
simo insieme.
Il
cuore mi balzava come ad un
innamorato che rivede Y amata. Gesticolavamo
senza capirci, e colla stessa premura,
se ci capissimo
mente
-,
le
nostre
:
come
o piuttosto ci capivamo real-
que' gesti voleano dire tutto ciò che
anime sentivano, el'una non igno-
rava ciò che l'altra sentisse.
Qual conforto sembravanmi dover
essere
42. ,
I
LE MIE PRIGIONI,
34
E l'avvenire
in avvenire que' saluti!
ma
que' saluti
volta
non furono più
giunse,
replicati
Ogni
!
ch'io rivedea Gioja alla finestra, io
faceva sventolare
secondini
d'eccitare
mi
i
guardavami
e così ci
il
fazzoletto.
Invano
!
I
dissero che gli era stato proibito
miei gesti o di rispondervi. Bensì
egli spesso
,
ed
io
guardava
dicevamo ancora molte
cose.
lui
43. CAPO
XI.
CAPO
Sulla
vano
XI.
galleria eh' era sotto la finestra
medesimo
livello
35
della
da mattina a sera
e ripassavano
,
al
mia prigione, passaaltri
prigionieri, accompagnati da secondino-, an-
esami, e ritornavano. Erano per
davano
agli
lo più
gente bassa. Vidi nondimeno anche
di condizione civile.
qualcheduno che parea
Benché non
su loro
,
potessi gran fatto fissare gli occhi
tanto era fuggevole
pure attraevano
più
la
mia
miei dolori:
feci, e fini
della
mia
loro passaggio,
meno mi commoveano. Questo
qual
tristo spettacolo, a'
i
il
attenzione-, tutti qual
ma
a
primi giorni, accresceva
poco a poco mi v'assue-
per diminuire anch' esso
1'
orrore
gli
occhi
solitudine.
Mi passavano parimente
molte donne arrestate. Da
s'andava, per un voltone,
sotto
quella
galleria
sopra un altro
cortile, e là erano le carceri muliebri e l'os-
pedale delle
assai sottile
sifilitiche.
Un muro
mi dividea da una
delle donne. Spesso le poverette
solo
,
ed
delle stanze
mi
assorda-
44. LE MIE PRIGIONI,
36
vano
colle loro canzoni,
risse.
A
talvolta colle loro
tarda sera, quando
romori erano
i
udiva conversare.
cessati, io le
Se avessi voluto entrare in colloquio, avrei
Me n'astenni, non
potuto.
midità
di
?
Per
so perchè.
ti-
per alterezza? per prudente riguardo
non affezionarmi
donne degradate? Do-
a
vevano esservi questi motivi
donna, quando
è ciò
me una
creatura
T udirla,
il
mi perturba
m'
,
sublime
mi
Ma
di nobili fantasie.
La
tre.
che debb' essere, è per
sì
parlarle
tutti
!
Il
vederla
arricchisce la
,
mente
avvilita, spregevole,
affligge
mi
,
spoetizza
il
cuore.
Eppure
(gli
eppure sono indispensabili
per dipingere l'uomo, ente
si
composto) fra
quelle voci femminili ve n' avea di soavi
queste
care.
—
e
perchè non dirlo?
Ed una
—
di quelle era più soave
altre, e s'udiva più di rado, e
,
e
m'erano
delle
non proferiva
pensieri volgari. Cantava poco, e-per lo più
questi soli
due
patetici versi
Chi rende
La sua
alla
meschina
felicità?
Alcune volte cantava
compagne
la
:
le
secondavano
,
litanie.
ma
io
Le sue
aveva
il
45. CAPO
dono
XI.
3
di discernere la voce di
Maddalena
dalle
che pur troppo sembravano accanile a
altre,
rapirmela.
Si, quella disgraziata chiamasi Maddalena.
Quando
dolori
teva
le
sue compagne raccon lavano
compativale e gemeva
ella
,
Coraggio
:
mia cara
,
5
i
loro
e ripe-
,
Signore non
il
abbandona alcuno.
Chi poteva impedirmi d'immaginarmela
bella e più infelice che colpevole, nata per la
virtù
capace di ritornarvi
,
,
erasene scos-
s'
tata? Chi potrebbe biasimarmi s'io m'inte-
neriva udendola, s'io l'ascoltava con venerazione
,
s'
particolare
io
pregava per
L'innocenza
pure
il
lei
con un fervore
?
è
veneranda,
pentimento!
Il
ma
l'Uomo-Dio, sdegnava
confusione
eh' ei più
tanto
onorava
,
?
d'
porre
egli di
pietoso sguardo sulle peccatrici
la loro
quanto
lo è
migliore degli uomini,
,
il
suo
di rispettare
aggregarle fra
le
anime
Perchè disprezziamo noi
Indonna caduta nell'ignominia?
Ragionando
cosi, fui cento volte tentato di
alzar la voce, e fare
una dichiarazione
fraterno a Maddalena.
Una
!
il
amor
volta avea già co-
minciato la prima sillaba vocativa
Cosa strana
d'
:
cuore mi batteva
«
,
Mad !... »
come ad
46. LE MIE PRIGIONI,
38
un ragazzo
sì
,
di quindici anni
eh' io ri avea trent'
uno
,
innamorato;
che non
e
è più
l'età dei palpiti infantili.
Non
«
potei
andar
Mad!... Mad!...
ridicolo
!
avanti.
E
Ricominciai
fu inutile.
gridai dalla rabbia
e
,
non Mad
»
»
:
«
Mi
:
trovai
Matto
!
e
47. ,
CAPO
XII.
CAPO
Così
finì
retta se
39
XII.
mio romanzo con quella pove-
il
non che
le fui debitore di dolcissimi
sentimenti per parecchie settimane. Spesso
io era
rava
:
melanconico
e la sua voce
,
spesso pensando alla viltà ed
titudine degli uomini
loro
,
disamava
io
l'
,
m
esila-
all'
ingra-
m' irritava contro
io
universo
e la voce di
,
Maddalena tornava a dispormi a compassione
ed indulgenza.
— Possa tu,
o incognita peccatrice,
essere stata condannata a grave
qualunque pena
sii
!
lo
fosti
,
e vivere e
da
me
ti
che non
Possa tu ispirare, in ognuno che
pazienza
,
la
la fiducia in
Od
a
morir
Possa tu essere compianta e
rispettata da tutti quelli che
come
!
tu stata condannata, possa
tu profittarne e rinobilitarti
cara al Signore
pena
non
dolcezza
,
la
Dio, come
brama
conoscono
ti
ti
conobbi
!
vegga, la
della virtù
le ispiravi in
,
colui
amò senza vederti La mia immaginapuò errare figurandoti bella di corpo,
ma l'anima tua, ne son certo, era bella. Le
che
tiva
t'
!
48. ,
LE MIE PRIGIONI,
40
tue compagne parlavano grossolanamente, e
tu con pudore e gentilezza
-,
bestemmiavano
benedicevi Dio*, garrivano, e tu compo-
e tu
nevi le loro
liti.
Se alcuno
t'
ha porto
la
mano
per sottrarti dalla carriera del disonore
,
se
t'ha beneficata con delicatezza, se ha asciugate le tue lagrime, tutte le consolazioni pio-
vano su
lui
su' suoi figli
,
,
e sui figli de' suoi
figli!Contigua
Uno
parlare.
non
torità,
dizione
cia.
alla
mia, era una prigione abi-
da parecchi uomini. Io
tata
di loro superava gli altri in au-
maggiore finezza di con-
forse per
ma
,
per maggior facondia ed auda-
Questi facea
come
,
si
dice,
Rissava e metteva in silenzio
coli'
udiva anche
li
i
il
dottore.
contendenti
imperiosità della voce, e colla foga delle
parole
-,
dettava loro ciò che doveano pensare
e sentire
,
e quelli
,
dopo qualche renitenza
,
finivano per dargli ragione in tutto.
Infelici!
le
non uno
di loro, che temperasse
spiacevolezze della prigione
,
esprimendo
qualche soave sentimento, qualche poco di
religione e d'amore!
Il
posi.
caporione di que' vicini mi salutò, e
Mi
ris-
chiese com'io passassi quella male-
detta vita. Gli
dissi
,
che
,
sebben
trista
,
49. CAPO
XII.
4i
niuna vita era maledetta per me, e che
alla
morte
,
piacer di pensare e d'amare.
—
Mi
Si spieghi, signore,
non
spiegai, e
si
fui capito.
coraggio d'accennare,
me
Maddalena
una grandissima risata,
dalla voce di
,
cos'è
compagni. —
che cos'è
?
Il
il
?
il
E quando,
,
come esempio,
nerezza carissima che in
— Che
sino
—
spieghi.
dopo ingegnose ambagi preparatorie
in
,
bisognava procacciar di godere
ebbi
il
la te-
veniva destata
caporione diede
gridarono
i
suoi
profano ridisse con carica-
tura le mie parole, e le risate scoppiarono in
coro, ed io feci
lì
pienamente
la figura dello
sciocco.
Avviene in prigione come nel mondo. Quelli
che pongono
la lor saviezza
lagnarsi, nel vilipendere,
compatire, l'amare,
il
nel fremere, nel
credono
il
consolarsi con belle
fantasie, che onorino l'umanità ed
tore.
follia
il
suo
Au-
50. LE MIE PRIGIONI,
42
% *»"W *^*^V*^**"W%/*^k %•»/*»
CAPO
XIII.
Lasciai ridere, e non opposi sillaba.
cini
mi
diressero
due o
I vi-
tre volte la parola
;
io
stetti zitto.
— Non più
— tenderà Y orecchio
lena —
sarà
ne sarà
ai sospiri di
ito
si
Madda-
sarà offeso delle nostre risa.
Così andarono dicendo per
mente
il
—
se
alla finestra
—
un poco. E
caporione impose silenzio agli
finalaltri
che susurravano sul mio conto.
— Tacete,
non sapete quel
non è un si
grand' asino come credete. Voi non siete cabestioni, che
che diavolo vi
dite.
Qui
vicino
il
paci di riflettere su niente. Io sghignazzo,
poi rifletto
sanno
Un
io.
Tutti
i
far gli arrabbiati,
villani
un
,
po' più di fede ne' benefizii del cielo,
che cosa vi pare sinceramente, che
dizio
ma
mascalzoni
come facciamo noi.
un po' più di ca-
po' più di dolce allegria
rità,
di
,
sia in-
?
— Or che
ci rifletto
anch'
io,
rispose uno,
mi pare che sia indizio d' essere alquanto meno
mascalzone.
51. CAPO
— Bravo
toreo
!
gridò
il
XIII.
43
caporione con urlo sten-
questa volta torno ad aver qualche
;
stima della tua zucca.
—
Io non insuperbiva molto, d'essere solamente reputato alquanto meno mascalzone
di loro
eppur provava una specie di gioja
;
,
che que' disgraziati
si
portanza di coltivare
ricredessero, circa Y imi
sentimenti benevoli.
Mossi T imposta della finestra , come se tornassi allora. Il caporione
mi chiamò.
Risposi,
sperando che avesse voglia di moralizzare a
modo mio. M'ingannai.
sfuggono
ragionamenti
i
Gli spiriti volgari
serii
:
se
una nobile
verità traluce loro, sono capaci di applaudirla
un
istante
,
ma tosto dopo
ritorcono da essa lo
sguardo, e non resistono alla libidine d' ostentar senno,
ponendo quella
scherzando.
Mi
verità in dubbio e
'
chiese poscia, s'io era in prigione per
debiti.
— No.
— Forse accusato
falsamente
— Sono accusato
— Di cose amore
— No.
di truffa ? Intendo accu-
sato
,
sa.
di tutt' altro.
d'
— D' omicidio
«
?
?
52. LE
44
3IIE
— No.
— Di carboneria
— Appunto.
— E che sono
— Li conosco
—
PRIGIONI
?
questi carbonari
così poco,
?
che non saprei
dirvelo.
Un
lera,
secondino c'interruppe con gran cole
dopo d'aver colmato d'improperii
miei vicini
,
si
d'uno sbirro,
volse a
me
ma d'un
colla gravità
.
maestro, e disse
i
non
:
—
,
ergogna
signore
,
con ogni sorta
son ladri
?
Arrossii
—
.
!
degnarsi di conversare
di gente
!
Sa
ella
che costoro
e poi arrossii d'aver arrossito, e
mi parve, che
il
degnarsi di conversare con
ogni specie d'infelici sia piuttosto bontà che
colpa.
53. CAPO XIV.
CAPO
45
XIV.
Il mattino seguente andai alla finestra
vedere Melchiorre Gioja,
più
co' ladri.
ma non
,
per
conversai
Risposi al loro saluto, e dissi
che m'era vietato di parlare.
Venne
l'attuario che
m'avea
fatto gì' inter-
rogatomi, e m'annunciò con mistero una visita
parve
E quando
che m'avrebbe recato piacere.
gli
disse
d'
avermi abbastanza preparato
Insomma
:
è
suo padre
,
compiaccia
si
di seguirmi.
Lo
seguii abbasso negli uffici
di contento e
di tenerezza
,
e
,
palpitando
sforzandomi
d'avere un aspetto sereno che tranquillasse
il
mio povero padre.
Allorché avea saputo
il
mio
arresto,
egli
avea sperato che ciò fosse per sospetti da nulla,
e ch'io tosto uscissi.
Ma
vedendo che
la
de-
tenzione durava, era venuto a sollecitare
il
Governo Austriaco per la mia liberazione.
Misere illusioni dell' amor paterno Ei non
!
potea credere, ch'io
rio da
espormi
fossi stato cosi
al rigore delle leggi
,
temerae la stu-
54. LE MIE PRIGIONI.
46
diala ilarità con che gli parlai
lo persuase
,
ch'io non avea sciagure a temere.
Il
breve colloquio che
m'agitò indicibilmente
;
ci
conceduto
fu
tanto più ch'io re-
primeva ogni apparenza d'agitazione.
difficile fu di
più
Il
non manifestarla quando con,
venne separarci.
Nelle circostanze in cui era
i'
Italia
,
io
tenea per fermo che l'Austria avrebbe dato
esempii straordinarii di rigore
,
e eh' io sarei
condannato a morte od a molti anni
di
prigionia. Dissimulare questa credenza ad
un
stato
padre
lusingarlo colla dimostrazione di fon-
!
date speranze di prossima libertà! non pro-
rompere
in lagrime abbracciandolo, parlan-
madre de' fratelli e delle sorelle,
non riveder più mai sulla
pregarlo con voce non angosciata, che
dogli della
,
eh' io .pensava
terra!
venisse ancora a vedermi se poteva
mai mi
Egli
!
Nulla
costò tanta violenza.
si
tornai nel
divise consolatissimo da
mio carcere
col cuore
me, ed
io
straziato.
Appena mi vidi solo, sperai di potermi solabbandonandomi al pianto. Questo
sollievo mi mancò. Io scoppiava in singhiozzi,
e non potea versare una lagrima. La disgrazia
di non piangere è una delle più crudeli ne'
levare,
55. CAPO
sommi
vata
dolori
,
XIV.
4:
ed oh quante volte Y ho pro-
!
Mi
una febbre ardente con fortissimo
mal di capo. Non inghiottii un cucehiajo di
minestra in tutto il giorno. Fosse questa una
prese
malattia mortale, diceva io, che abbreviasse
i
miei martirii
!
Stolta e codarda
brama Iddio non
ed or ne lo ringrazio.
!
E ne
l'esaudì,
lo ringrazio
,
solo perchè dopo dieci anni di carcere
riveduto
felice
*,
la
ma
mia cara famiglia,
anche perchè
gono valore
non sieno
all'
uomo
stati inutili
,
i
non
ho
,
e posso dirmi
patimenti aggiun-
e voglio sperare
per me.
che
56. LE MIE PRIGIONI.
AB
CAPO
Due
giorni appresso
aveva dormito bene
febbre.
,
XV.
mio padre tornò.
la notte,
Mi ricomposi
a disinvolte e liete
niere, e niuno dubitò di ciò che
avesse sofferto
ma-
mio cuore
disse
il
padre, che fra pochi
mandato a Torino. Già t'abbiamo
apparecchiata
grande
il
e soffrisse ancora.
,
— Confido, mi
giorni sarai
Io
ed era senza
la stanza,
ansietà.
miei
I
e t'aspettiamo
doveri
m'obbligano a ripartire. Procura,
d'
te
go, procura di raggiungermi presto.
con
impiego
ne pre-
—
La sua tenera e melanconica amorevolezza
mi squarciava 1' anima. Il fingere mi pareva
comandato da pietà, eppure
una
specie di rimorso.
mio padre
cosa più degna di
gli
avessi detto
:
—
con
io fingeva
Non
sarebbe stato
e di
me
,
s'
Probabilmente non
io
ci
vedremo più in questo mondo Separiamoci
da uomini senza mormorare, senza gemere
e ch'io oda pronunciare sul mio capo la pa!
,
5
terna benedizione
!
—
Questo linguaggio mi sarebbe mille volte
57. CAPO XV.
più piaciuto della finzione.
Ma
io
guardava
occhi di quel venerando vecchio
gli
lineamenti
,
suoi
i
capelli
grigi
,
sembrava che V infelice potesse aver
udire
d'
E
se
suoi
non mi
e
,
i
la forza
tai cose.
per non volerlo ingannare, io l'avessi
veduto abbandonarsi
disperazione, forse
alla
svenire, forse (orribile idea!) essere colpito
da morte nelle mie braccia
Non
potei dirgli
tralucere!
La mia
?
vero, né lasciarglielo
il
foggiata serenità lo illuse
pienamente. Ci dividemmo senza lagrime.
Ma
ritornato nel carcere/ fui angosciato come
l'altra volta, o più
vano pure invocai
fieramente ancora; ed inil
dono del pianto.
Rassegnarmi a tutto l'orrore d'una lunga
prigionia, rassegnarmi
patibolo, era nella
al
Ma rassegnarmi all'immenso done avrebbero provato padre, madre,
lore che
mia
forza.
fratelli e sorelle
la
mia
Mi
forza
,
ah
!
questo era quello a cui
non bastava.
prostrai allora in terra con
quale io non aveva mai avuto
nunciai questa preghiera
— Mio Dio
ma
,
invigorisci
si
un fervore
forte
,
e
pro-
:
accetto tutto dalla tua
mano
prodigiosamente
cuori a
sì
i
;
cui io era necessario, eh' io cessi d' esser loro
3
58. LE MIE PRIGIONI,
5o
tale
ciò
non abbia perun giorno
e la vita d' alcun di loro
,
ad abbreviarsi pur
Oh
d'
!
beneficio della preghiera
ore colla mente elevata a Dio
cia cresceva a
Stetti più
!
e la
,
—
mia fidu-
misura ch'io meditava sulla
bontà divina, a misura ch'io meditava sulla
grandezza
dell'
anima umana
del suo egoismo
che
altro volere
,
e si sforza di
,
quando esce
non aver più
volere dell' infinita Sa-
il
pienza.
Sì ciò si può
La ragione, che è
,
!
ciò è
la
il
dovere
dell'
voce di Dio
,
la
uomo
ne dice che bisogna tutto sacrificare
virtù.
E
sarebbe compiuto
siamo debitori
alla virtù
rosi luttassimo contro
d'ogni virtù è
Quando
il
il
alla
sacrificio di cui
il
se nei casi più dolo-
volere di Colui che
principio
?
patibolo o qualunque altro mar-
tirio è inevitabile,
il
,
il
!
ragione
il
temerlo codardamente,
non saper muovere ad
esso
benedicendo
il
Signore, è segno di miserabile degradazione
od ignoranza. Ed
è
non solamente d'uopo
consentire alla propria morte,
zione che ne proveranno
non
peri
lice se
,
i
ma
non dimandare che Dio
che Dio
tutti ci
sempre esaudita.
all'affli-
nostri cari. Altro
regga
;
tal
la
tem-
preghiera è
59. ,
CAPO XYI.
CAPO
XVI.
Volsero alcuni giorni
desimo
stato
5i
ed
,
io era nel
me-
cioè in una mestizia dolce
piena di pace e di pensieri
Pareami
religiosi.
d' aver trionfato d' ogni debolezza
e di
,
non
essere più accessibile ad alcuna inquietudine.
Folle illusione
perfetta costanza
terra.
U uomo
!
,
ma non
Che mi turbò
infelice
-,
dee tendere
vi
— La
?
giunge mai sulla
un amico
vista d'
mio buon Piero
la vista del
alla
,
che
passò a pochi palmi di distanza da
me
galleria, mentr'io era alla finestra.
L'aveano
tratto del suo covile
per condurlo
,
sulla
alle carceri
criminali.
Egli, e coloro che l'accompagnavano, pas-
sarono così presto, che appena ebbi
riconoscerlo, a vedere
un suo cenno
campo a
di saluto,
ed a restituirglielo.
Povero giovane Nel
!
fiore dell' età
,
con un
ingegno di splendide speranze con un carat,
tere onesto
,
delicato
,
amantissimo, fatto per
godere gloriosamente della vita
,
in prigione per cose politiche
in
,
precipitato
tempo da
60. LE MIE PRIGIONI.
52
non poter certamente evitare
mini della legge
più severi ful-
i
!
Mi
prese tal compassione di lui
,
tale af-
fanno di non poterlo redimere, di non poterlo
almeno confortare
colla
mia presenza
mie parole, che nulla valeva
a
e colle
rendermi un
poco di calma. Io sapeva quant'
egli
amasse
sua madre, suo fratello, le sue sorelle,
cognato
nipotini
i
,
;
il
agognasse
quant' egli
contribuire alla loro felicità, quanto, fosse
riamato da
tutti
quei cari oggetti. Io sentiva
qual dovesse essere l'afflizione di ciascun
loro a tanta disgrazia.
per esprimere
me.
dronì di
la
E
Non
di
vi sono termini
smania che allora
questa smania
si
s'
impa-
prolungò
cotanto, eh' io disperava di più sedarla.
Anche questo spavento
O
afflitti
tabile
,
,
era un' illusione.
che vi credete preda d'un inelut-
orrendo
,
sempre crescente dolore
pazientate alquanto, e vi disingannerete
somma
durare
pace, né
somma
quaggiù.
!
,
Né
inquietudine possono
Conviene
persuadersi di
questa verità, per non insuperbire nelle ore
felici e
non
avvilirsi in quelle del perturba-
mento.
A
lunga smania
apatia.
Ma
l'apatia
successe
stanchezza
neppure non
é
ed
durevole,
61. CAPO XVI.
e temelti di
53
dover, quindi in poi, alternare
senza rifugio, tra questa e V opposto eccesso.
Inorridii alla prospettiva di simile avvenire
e ricorsi
anche questa volta ardentemente
alla preghiera.
Io dimandai a Dio d' assistere
Piero come
me,
e la sua casa
il mio misero
come la mia.
Solo ripetendo questi voti, potei veramente
tranquillarmi.
62. LE MIE PRIGIONI.
54
CAPO
Ma
XVII.
quando l'animo era quetato,
io riflet-
teva alle smanie sofferte, e adirandomi della
mia debolezza, studiava
Giovommi
a tal
il
modo
di guarirne.
uopo questo espediente. Ogni
mia prima occupazione dopo breve
omaggio al Creatore era il fare una diligente
mattina
,
,
,
e coraggiosa rassegna d'ogni possibile evento
commuovermi. Su ciascuno fermava
e mi vi preparava
la fantasia
atto a
vivamente
dalle più care visite
nefice
,
io le
esercizio
portevole
:
,
,
—
fino alla visita del car-
immaginava
tutte.
Questo
tristo
sembrava per alcuni giorni incom,
ma
volli essere perseverante
,
ed
in breve ne fui contento.
Al primo dell'anno (1821) il conte Luigi
Porro ottenne di venirmi a vedere. La tenera
,
e calda amicizia eh' era tra noi
avevamo
che
a.
di dirci tante cose,
,
il
bisogno che
l'impedimento
questa effusione era posto dalla presenza
d'un attuario,
il
troppo breve tempo che
fu dato di stare insieme
,
i
menti che mi angosciavano,
ci
sinistri presenti-
lo sforzo
che
fa-
63. ,
CAPO
cevamo
egli
55
parer tranquilli, tutto
io di
dovermi mettere una delle più ter-
ciò parea
tempeste nel cuore. Separato da quel
ribili
caro amico
ma
ed
XVII.
,
mi
calma
sentii in
intenerito
-,
in calma.
Tale è
l'efficacia del
premunirsi contro
le
emozioni.
forti
mio impegno
Il
stante
,
d'
acquistare una calma codi dimi-
non movea tanto dal desiderio
nuire la mia infelicità
,
quanto dall' apparirmi
brutta, indegna dell'uomo, l'inquietudine.
Una mente
agitata
non ragiona più
avvolta
:
un turbine irresistibile d'idee esagerate si
forma una logica sciocca furibonda maligna è in uno stato assolutamente antifilosofra
,
,
:
fico, anticristiano.
S' io fossi predicatore, insisterei spesso sulla
necessità di bandire l'inquietudine
può
esser
cifico
buono ad
con
altro patto.
sé e cogli altri
:
non
si
Com'era pa-
Colui che dobbiamo
tutti imitare! Non v'è grandezza d'animo,
non v'è giustizia senza idee moderate, senza
uno spirito tendente più a sorridere che ad
adirarsi degli avvenimenti di questa breve
vita. L'ira
non ha qualche valore
caso rarissimo
,
che
sia
,
se
presumibile
non nel
d' umi-
64. LE MIE PRIGIONI.
56
con essa un malvagio e di rilrarlo
Ilare
dall'
iniquità.
Forse
si
danno smanie
quelle eh' io conosco, e
Ma
di natura diversa da
meno condannevoli.
quella che m'avea fin allora fatto suo
schiavo
zione
:
non era una smania
,
vi si
pura
di
affli-
mescolava sempre molto odio,
molto prurito di maledire
di
,
dipingermi
la
società, o questi o quegli individui, conco-
più esecrabili. Malattia epidemica nel
lori
mondo! L'uomo
rendo
gli altri.
Pare che
cano all'orecchio
noi
5
reputa migliore, abbor-
si
gridando che
:
si
difra
tutti
tutti gli
sono ciurmaglia
brerà che siamo semidei.
Curioso
fatto,
Vi
cia tanto!
si
che
il
si
fremeva
ne cerca subito un altro.
mostro
amici
,
?...
Oh
gioja
laceriamolo
Così va
il
sem-
vivere arrabbiato piac-
menterò oggi ? chi odierò
il
,
»
pone una specie d'eroismo. Se
l'oggetto contro cui jeri
se
amici
Amiamoci solamente
«
mondo
!
:
!
—
?
— Di
è
chi
morto,
mi
la-
sarebbe mai quello
l'ho trovato. Venite
,
e senza lacerarlo, posso
ben dire che va male.
65. capo xvnr.
fc»^V"V%^WX^.-V«»'*'WV*'%i w»*«*
CAPO
Non v
»•*/>. w*-%
XVIII.
era molta malignità nel lamentarmi
dell' orridezza della stanza,
to.
Per buona ventura
gliore
,
e
5?
«/-v^i
mi
fece
si
ove m'aveano pos-
restò vota una miY amabile sorpresa di dar,
mela.
Non
tale
avrei io dovuto esser contentissimo a
tuto
—
Tant' è non ho poEppure
pensare a Maddalena senza rincresci-
annuncio
?
mento. Che fanciullaggine
;
!
affezionarsi sem-
pre a qualche cosa, anche con motivi, per
verità
,
non molto
cameraccia
la
,
forti
!
Uscendo
di quella
voltai indietro lo sguardo, verso
parete alla quale io m' era
poggiato, mentre, forse
sì
sovente ap-
un palmo più
vi s'appoggiava dal lato opposto
la
in là
peccatrice. Avrei voluto sentire ancora
volta
que'due
patetici versi
Chi rende
La sua
Vano
,
misera
una
:
meschina
alla
felicità ?
desiderio
!
Ecco una separazione
di
66. LE MIE PRIGIONI,
più nella mia sciagurata vita.
larne lungamente
ma sarei un
fui
,
non
ipocrita, se
,
andarmene
miei vicini
,
me
:
ne
confessassi che
,
salutai
due
de' poveri la-
eh' erano alla finestra. Il ca-
,
ma
porione non v'era,
gni
voglio par-
mesto per più giorni.
Neil'
dri
Non
per non far ridere di
mi
v'accorse, e
compa-
avvertito dai
risalutò anch' egli.
mise quindi a canterellare l'aria
:
alla meschina. Voleva egli hurlarsi di
Scommetto che
« Sì.
:
,
a
quaranlanove risponde-
Ebbene ad onta
))
—
me ?
dimanda
se facessi questa
cinquanta persone
rebbero
Si
Chi rende
pluralità di voti, inclino a
di
tanta
credere che
il
buon ladro intendea di farmi una gentilezza.
Io la ricevetti come tale e gliene fui grato e
,
,
gli
diedi ancora un' occhiata
gendo
in
il
:
ed
egli
spor-
braccio fuori de' ferri col berretto
mano, faceami ancor cenno,
allorch'io
voltava per discendere la scala.
Quando
fui
lazione. V'era
Mi
nel cortile, ebbi
il
mutolino sotto
una consoil
portico.
mi riconobbe, e volea corrermi incontro. La moglie del custode, chi sa pervide,
chè?
Mi
i
l'afferrò pel collare e lo cacciò in casa.
spiacque di non poterlo abbracciare,
saltetti eh' ei fece
per correre a
ma
me mi com-
67. CAPO
XVIII.
mossero deliziosamente.
sere amato
passi più in là
stanza già mia
Ahi
«
:
!
di
giorno, Melchiorre?»
capo
il
,
e
dissi
gli
balzando verso me,
—
Buon giorno, Silvio! »
non mi fu dato di fermarmi un
portone,
il
salii
una
sca-
venni posto in una cameruccia pu-
letta, e
lita, al di
sopra di quella di Gioja.
Fatto portar
muri.
Due
grandi avventure.
e nella quale ora stava Gioja.
,
istante. Voltai sotto
condini
dolce Y es-
mossi vicino alla finestra della
,
passando. Alzò
gridò
sì
!
Era giornata
— «Buon
È
s9
cosa
il
letto
,
e lasciato solo dai se-
,
mio primo
affare fu di visitare
V erano alcune memorie scritte
i
quali
,
con matita, quali con carbone, quali con
punta incisiva. Trovai graziose due strofe
francesi, che or m' incresce di
non avere im-
parate a memoria. Erano firmate le due de
Normandie. Presi
alla
lena
meglio
-,
ma
l'
cantarle
a
aria della
Bravo
!
»
Ed
mente, chiedendomi
— No; sono
Pellico.
adattandovi
mia povera Madda-
ecco una voce vicinissima che
ricanta con altr' aria.
gridai «
,
le
Com'ebbe finito, gli
mi salutò gentil-
egli
s'io era
Italiano, e
Francese.
mi chiamo
Silvio
68. ,
LE MIE PRIGIONI.
6o
— L'autore
— Appunto. —
della
E
rali
Francesca da Rimini?
qui un gentile complimento
condoglienze sentendo eh' io
,
e le natu-
fossi in car-
cere.
Mi dimandò
di qual parte d' Italia fossi na-
tivo.
— Di Piemonte,
E
dissi
-,
sono Salurzese.
—
qui nuovo gentile complimento sul ca-
rattere e sul!' ingegno de' Piemontesi
ticolare
menzione
e in ispecie di
,
e
par-
de' valentuomini Saluzzesi
Bodoni.
Quelle poche lodi erano fine, come
fanno da persona
di
buona educazione.
si
— Or mi
chiedere
— Avete cantata una mia canzoncina.
— Quelle due
che stanno
muro sono
—
— Voi
dunque....
—
duca
Normandia. —
sia lecito
,
gli dissi
,
a voi, signore, chi siete.
belle strofette
sul
vostre
,
Sì
,
?
signore.
siete
L'infelice
di
di
69. ,
CAPO XIX.
61
CAPO XIX.
Il custode passava sotto le nostre finestre
e ci fece tacere.
io
Quale infelice duca di Normandia? andava
ruminando. Non è questo il titolo che da-
vasi al figlio di Luigi
fanciullo
è
XVI ? Ma
quel povero
— Eb-
indubitatamente morto.
mio vicino sarà uno
bene,
il
che
sono provati a farlo rivivere.
si
de' disgraziati
Già parecchi si spacciarono per Luigi XVII
e
furono riconosciuti impostori
gior credenza
Sebbene
dovrebbe questi ottenere
io cercassi di stare in
,
qual mag-
:
me
invincibile incredulità prevaleva in
—
?
dubbio
,
,
un
ed
ognor continuò a prevalere. Nondimeno determinai di non mortificare Y infelice
lunque
,
qua-
frottola fosse per raccontarmi.
Pochi
istanti
dappoi
,
ricominciò a cantare,
indi ripigliammo la conversazione.
Alla mia dimanda
eh' egli era
sull' esser
suo
appunto Luigi XVII,
e
rispose
,
si
:
diede a
70. LE MIE PRIGIONI.
6<i
declamare con forza contro Luigi XVIII suo
zio, usurpatore de' suoi diritti.
— Ma
valere
tempo
— mi trovava
questi diritti
,
come non
li
faceste
della Ristorazione?
al
Io
allora
mortalmente am-
malato a Bologna. Appena risanalo, volai a
mi presentai
Parigi,
alle Alte
quel eh' era fatto era fatto
non
lui
volle riconoscermi;
per opprimermi.
Condé m'
Il
:
mia
solo
Una
di Parigi, fui assalito
da
Dopo
sorella s'unì a
ma
lì,
sua
armati di
sicarii,
loro colpi.
a'
mi fermai
scrivendo incessantemente
d'Europa,
la
di
sera, perle vie
ed a stento mi sottrassi
,
ma
buon principe
Norman-
aver vagato qualche tempo in
dia, tornai in Italia, e
Di
Potenze,
iniquo mio zio
accolse a braccia aperte,
amicizia nulla poteva.
pugnali
1'
a
Modena.
monarchi
ai
e particolarmente all'imperatore
Alessandro, che mi rispondea colla massima
gentilezza
mente
io
,
non disperava d'ottenere
final-
giustizia, o se, per politica, voleano
sacrificare
i
miei
diritti al
trono di Francia,
che almeno mi s'assegnasse un decente appannaggio.
del ducalo
confini
gnato
Venni
al
arrestato,
di
condotto
Modena
e
,
governo Austriaco. Or
,
ai
conse-
da
otto
71. ,
CAPO XIX.
mesi
sono qui sepolto
,
uscirò
e
,
63
Dio
sa
quando
,
!
Non
Ma
prestai fede a tutte le sue parole.
eh' ei fosse
lì
una
sepolto era
verità
,
m'
e
is-
pirò una viva compassione.
Lo
pregai di raccontarmi in compendio la
Mi
sua vita.
disse
con minutezza
tutti
i
misero collo scellerato Simon
quando
lo
zolaio-,
quando
vera regina sua madre
,
i
notte a prenderlo;
fu trafugato.
un
,
-,
lo
Là
il
generale
—
lo ricordo)
mandò
il
,
,
ed
ei
al
Reno
(mi
,
disse
e passati
il
i
nome,
che Tavea liberato,
tempo da educatore, da
o condusse quindi in
Ame-
giovane re senza regno,
ebbe
molte peripezie, patì
litò
fanciullo stupido per
ed uno de' cavalli era una
fece per qualche
padre
finalmente
di legno, nella quale ei fu celato.
ma non me
rica.
E
venne gente una
fu posto in sua vece
Andarono felicemente
gli
,
V era nella strada una carrozza
a quattro cavalli
confini,
,
cal-
costumi della po-
ec. ec.
che essendo in carcere
nome Mathurin
,
indussero ad attestare un'
lo
infame calunnia contro
macchina
parti-
XVII
colari eh' io già sapeva intorno Luigi
la
fame
ne' deserti,
mi-
visse onorato e felice alla corte del re
del Brasile, fu calunniato, perseguitato, co-
72. LE MIE PRIGIONI,
64
stretto a fuggire.
Tornò
in
Europa
nire deli' impero Napoleonico
gione
a ZSapoli
quando
il
fu tenuto pri-
da Giovacchino Murat^
rivide libero ed
si
riclamare
-,
in sul fi-
trono di Francia
e
in procinto di
,
logna quella funesta malattia
lo colpì a
,
quale Luigi XYIII fu incoronato.
durante
Bola
73. CAPO XX.
»,%. %^»/%. *s*. •+, m.
65
•
CAPO XX.
Ei raccontava questa
con una sor-
storia
prendente aria di verità. Io non potendo crederlo
pur T ammirava. Tutti
,
rivoluzione francese
gli
i
della
fatti
erano notissimi
parlava con molto spontanea eloquenza
,
ne
;
e
ri-
feriva ad ogni proposito aneddoti curiosissimi.
V'era alcun che di soldatesco nel suo
dire,
ma
senza mancare di quella eleganza
oh' è data dall' uso delia fina società.
— Mi
permetterete,
buona, ch'io non
tratti alla
— Questo
sventura
Dalla
guadagno
,
V assicuro
Mattina
;
vi dia titoli.
ho almeno
,
,
tratto
che mi pregio più
—
e sera
ch'io vi
che desidero, rispose.
che so sorridere di tutte
che d'esser re.
insieme
ciò
è
dissi,
gli
questo
le vanità.
d' esser
uomo
conversavamo lungamente
,
e, ad onta di ciò ch'io riputava
commedia in lui l'anima sua mi parea
buona candida desiderosa d' ogni bene moesser
,
,
rale.
Più volte
,
fui
io vorrei credere
per dirgli
:
— Perdonate
che foste Luigi XVII
,
,
ma
74. LE MIE PRIGIONI,
66
sinceramente vi confesso che
contraria
domina
in
me
,
la
persuasione
abbiate tanta fran-
chezza da rinunciare a questa finzione.
ruminava
tra
me una
—E
bella predicuccia da
fargli sulla vanità d' ogni
bugia
,
anche delle
bugie che sembrano innocue.
Di giorno
in giorno differiva
-,
sempre aspet-
tava che l'intimità nostra crescesse ancora di
qualche grado, e mai non ebbi ardire
guire
il
mio intento.
Quando
dire
questa mancanza d' ar-
come urbanità neces-
onesto timore d' affliggere
,
Ma
io.
rifletto a
talvolta la scuso
,
saria
d' ese-
,
e che so
queste scuse non m'accontentano, e
non posso dissimulare che sarei più soddisse non mi fossi tenuta nel gozzo
fatto di me
,
,
T ideata predicuccia. Fingere di prestar fede
parmi
ad un'impostura, è pusillanimità
:
che noi farei più.
Sì, pusillanimilà! Certo, che per quanto
s'involva in delicati preamboli, è aspra cosa
uno « Non vi credo. » Ei si sdegnerà perderemo il piacere della sua amiciil
dire ad
:
,
zia,
ci
perdita è più onorevole del
il
Ma
mentire. E
colmerà forse d'ingiurie.
disgraziato che ci
ogni
forse
colmerebbe d'ingiurie,
vedendo che una sua impostura non
è ere-
75. CAPO XX.
67
duta, ammirerebbe poscia in secreto la nostra sincerità
sioni
che
il
,
e gli sarebbe
motivo di
rifles-
ritrarrebbero a miglior via.
secondini inclinavano a credere eh'
I
fosse
ei
veramente Luigi XVII, ed avendo già
veduto tante mutazioni di fortune
,
non
di-
speravano che costui non fosse per ascendere
un giorno
al
trono di Francia
,
della loro devotissima servitù.
vorire la sua fuga
,
usavano
gli
e
si
ricordasse
Tranne
tutti
i
il
fa-
riguardi
eh' ei desiderava.
Fui debitore a
ciò
,
dell'
onore di vedere
il
gran personaggio. Era di statura mediocre,
45 anni, alquanto pingue,
dai 4° a i
e di
fisonomia propriamente Borbonica. Egli è
verisimile
coi
,
che un' accidentale somiglianza
Borboni l'abbia indotto a rappresentare
quella trista parte.
76. LE MIE PRIGIONI.
68
CAPO XXL
umano
D' ra altro indegno rispetto
gna eh'
m' accusi.
io
Il
biso-
mio vicino non era
ateo, ed anzi parlava talvolta de' sentimenti
come uomo che
religiosi,
v'è straniero-,
ma
li
venzioni irragionevoli contro
il
quale
ei
il
Cristianesimo,
guardava meno nella sua vera
senza, che nei suoi abusi.
filosofia
apprezza e non
serbava tuttavia molte pre-
La
es-
superficiale
che in Francia precedette e seguì
la
rivoluzione, Y aveva abbagliato. Gli pareva
che
si
rezza
,
potesse adorar Dio con maggior pu-
che secondo
la religione del
Vangelo.
Senza aver gran cognizione di Condillac e
li venerava come sommi pensatori
e
immaginava che quest' ultimo avesse dato
compimento a tutte le possibili indagini
Tracy,
s'
il
di
,
metafisiche.
Io che aveva spinto più oltre
filosofici
,
che sentiva
la
trina sperimentale, che conosceva
errori di critica con cui
miei studi
i
debolezza della dot-
il
i
grossolani
secolo di Voltaire
aveva preso a voler diffamare
il
Cristianesi-
77. CAPO XXI.
mo
;
69
che avea letto Guénée ed
io
altri valenti
5
smascheratori di quella falsa critica io eh era
-,
persuaso non potersi con rigore di logica am-
mettere Dio e ricusare
il
trovava tanto volgar cosa
Vangelo; io che
il
seguire la cor-
rente delle opinioni anticristiane, e non sapersi elevare a conoscere quanto
cattoli-
il
cismo, non veduto in caricatura, sia semplice
e sublime,* io ebbi la viltà di sacrificare al
umano. Le
rispetto
confondevano
mi
la loro
denza
e volli
sebbene non potesse sfuggir-
,
leggerezza. Dissimulai la
esitai
,
pestivo
riflettei se fosse
,
contraddire,
il
persuadermi
mi dissi
non crede.
Ma
za, e modestia ad
mente
ma
,
il
un tempo,
ciò che
anche laddove non
approvato
,
,
irritare
confessare con franchez-
d' essere
scherno
senza fon-
può maggiormente
fessarlo
né
fermail
con-
presumibile
è
d' evitare
egli è preciso dovere.
bile confessione
tem-
baldanzoso
il
tiene per importante verità,
si
,
che uno zelo intempestivo
è indiscrezione, e
chi
no
d' essere giustificato.
vigore d' opinioni accreditate
E vero
o
,
mia cre-
eh' era inutile,
Che importa
Viltà! viltà!
damento?
mio vicino mi
facezie del
E
un poco
siffatta
di
no-
può sempre adempirsi senza
,
78. ,
LE MIE PRIGIONI.
7o
prendere inopportunamente
il
carattere di
missionario.
Egli è dovere di confessare un' importante
verità
in ogni
tempo
,
perocché se non
sperabile che venga subito riconosciuta
pure dare
il
tal
preparamento
all'
anima
7
è
può
altrui
quale produca un giorno maggiore impar-
zialità
di giudizi ed
della luce.
il
conseguente trionfo
79. CAPO XXII.
CAPO
71
XXII.
Stetti in quella stanza un mese e qualche
dì.
La
notte dei 18 ai 19 di febbrajo
(
1821)
sono svegliato da romore di catenacci e di
vedo entrare parecchi uomini con
chiavi-,
lanterna
prima idea che mi
la
:
si
Ma
fu che venissero a scannarmi.
presentò
mentre
,
io
guardava perplesso quelle figure, ecco avanzarsi
gentilmente
eh' io abbia la
conte B.,
il
compiacenza
il
quale mi dice
di vestirmi presto
per partire.
Quest' annunzio mi sorprese
follia di
sperare che
fini del
Piemonte.
tempesta
ancora
si
la
mi
—
si
conducesse
Possibile che
dileguasse così
dolce libertà
carissimi genitori,
i
ed ebbi
,
?
?
la
ai
con-
sì
gran
Io racquisterei
io rivedrei
i
fratelli, le sorelle ?
miei
—
Questi lusinghevoli pensieri m'agitarono
brevi istanti.
e
seguii
i
Mi
vestii
poter salutare ancora
d'aver udito
non
con grande celerità,
miei accompagnatori
la
il
,
senza pur
mio vicino. Mi pare
sua voce, e m' increbbe di
potergli rispondere.
— Dove
si
va
? dissi al
conte
,
montando
in
80. LE MIE PRIGIONI,
72
carrozza con lui e con
un
uffiziale di
gendar-
meria.
— Non
posso significarglielo
siamo un miglio
Vidi che
al di là di
finché non
—
Milano.
non andava verso
mie speranze furono
carrozza
la
porta Vercellina, e le
svanite
,
!
Tacqui. Era una bellissima notte con lume
di luna. Io
guardava quelle care vie, nelle
quali io aveva passeggiato tanti anni
felice; quelle case, quelle chiese.
,
così
Tutto mi
rinnovava mille soavi rimembranze.
Oh
corsìa di porta Orientale
giardini
oh pubblici
!
ov' io avea tante volte vagato
,
con
Foscolo, con Monti, con Lodovico di Breme,
con Pietro Borsieri
,
con Porro e
co' suoi fi-
gliuoli, con tanti altri diletti mortali, con-
versando in
ranze
!
sì
gran pienezza di vita e di spe-
Oh come
per V ultima volta
fuggire
amato
,
oh come
miei sguardi
a'
e
nel dirmi ch'io vi vedeva
amarvi
d'
della porta,
tirai
occhi, e piansi
,
!
al vostro
rapido
io sentiva d' avervi
,
Quando fummo
alquanto
il
usciti
cappello sugli
non osservato.
Lasciai passare più d'un miglio, poi dissi
al
conte B.
:
— Suppongo che
si
vada a Ve-
rona.
—
Si va più in là
,
rispose
;
andiamo
81. CAPO XXII.
Venezia
,
7
3
ove debbo consegnarla ad una com-
missione speciale.
Viaggiammo per posta
giungemmo il 20 febbrajo
senza fermarci
,
,
e
a Venezia.
Nel settembre dell'anno precedente, un
mese prima cbe m' arrestassero,
nezia
ed avea fatto un pranzo in numerosa
,
e lietissima
compagnia all'albergo della Luna.
Cosa strana
!
sono appunto dal conte e dal
gendarme condotto
Un
all'
,
il
gendarme
e
,
ed ac-
,
due
i
che faceano figura di servitori
travestiti)
Mi
albergo della Luna.
cameriere strabili vedendomi
corgendosi (sebbene
telliti
Ve-
io era a
,
sa-
fossero
ch'io era nelle mani della forza.
rallegrai di quest* incontro
,
persuaso che
il
cameriere parlerebbe del mio arrivo a più
d'
uno.
Pranzammo,
del doge, ove
indi fui condotto al palazzo
ora sono
i
tribunali. Passai
sotto quei cari portici delle Procuratìe
innanzi
si
al caffè
Florian
belle sere nell'
,
,
ed
ov' io avea goduto
autunno trascorso
non
:
m' imbattei in alcuno de' miei conoscenti.
Si traversa la piazzetta.... e su quella piazzetta, nel settembre addietro,
un mendico
mi avea
detto queste singolari parole
vede eh'
ella è forestiero, signore:
ri
ma
:
—
io
Si
non
82. .
LE MIE PRIGIONI,
74
capisco com' ella e tutti
questo luogo
e vi passo
— Vi
—
Sì
a
me
me
per
signore
;
un malanno
scampi
andò in
,
orribile
signore
,
,
,
e
?
non
Iddio
la
era impossibile che
le parole del
fu ancora su quella piazzetta
seguente io ascesi
la
il
palco
,
,
donde
mendico.
che V anno
intesi leg-
sentenza di morte eia commutazione
di questa
duro
malanno
fretta.
ripassando io colà
germi
ammirino
di disgrazia,
!
non mi sovvenissero
E
un luogo
sarà qui accaduto qualche
,
se n'
Or
è
forestieri
unicamente per necessità.
solo. Iddio la
scampi
E
:
i
,
pena in quindici anni di carcere
!
S'io fossi testa
cismo
,
farei
un
po' delirante di misti-
gran caso di quel mendico
,
pre-
dicentemi cosi energicamente esser quello un
luogo di disgrazia. Io non noto questo fatto
non come uno strano accidente.
il
conte B.
Salimmo al palazzo
co' giudici j indi mi consegnò al carceriere
se
;
e congedandosi da
rito.
me, m'abbracciò
]
int
,
83. .
,
CAPO XXIIL
75
CAPO XXIIL
Seguii in silenzio
il
carceriere.
Dopo aver
traversato parecchi anditi e parecchie sale
arrivammo ad una scaletta che
sotto i Piombi, famose prigioni
dal
tempo
Ivi
il
nome
,
della
ci
condusse
di stato fin
Repubblica Veneta.
mio
carceriere prese registro del
indi mi chiuse nella stanza destinatami
I cosi detti
Piombi sono
del già palazzo del doge
la parte superiore
,
coperta tutta di
piombo.
La mia stanza avea una gran finestra con
enorme inferriata, e guardava sul tetto, parimente di piombo della chiesa di S. Marco.
,
,
Ài di
il
là della chiesa
,
termine della piazza
finità di
io
,
vedeva in lontananza
e
da tutte parti un' in-
cupole e di campanili.
Il
gigantesco
campanile di S. Marco era solamente separato da
io
me
dalla lunghezza della chiesa
,
ed
udiva coloro che in cima di esso parlavano
alquanto forte. Vedevasi anche
,
al lato si-
84. ,
LE MIE PRIGIONI.
76
Bistro della chiesa
una porzione del gran
una delle entrate. In
cortile sta un pozzo pub-
,
palazzo ed
cortile del
quella porzione di
blico, ed ivi continuamente veniva gente a
Ma la mia prigione
cavare acqua.
alta,
ciulli
ed
,
non discerneva
io
non quando gridavano.
se
essendo così
uomini laggiù mi parevano fan-
gli
le loro
parole
mi trovava
Io
più solitario che non era nelle carceri
assai
di Milano.
jNV primi giorni
cure del processo crimi-
le
mi veniva
nale che dalla commissione speciale
intentato
,
m'attristarono alquanto
,
evi
s'
ag-
giungea forse quel penoso sentimento di maggior solitudine. Inoltre io era più lontano dalla
mia famiglia
Le
facce
,
e
nuove
ma
antipatiche,
spaventata.
non avea più
eh' io
trame dei Milanesi
,
e
tutti
,
erano
e del resto d'Italia per
io fossi
uno
motori di quel delirio.
piccola celebrità letteraria era nota al
custode
maschi
;
esagerato loro le
dubitavano eh'
de' più imperdonabili
La mia
m
serbavano una serietà quasi
La fama aveva
T indipendenza
di essa notizie.
vedeva non
,
,
a sua moglie
e persino ai
chi sa
,
,
alla figlia
,
che non
s'
due
ai
due secondini
:
i
figli
quali
immaginassero che
85. ,
CA.PO XXIII.
77
autore di tragedie fosse una specie
di
un
mago
Erano
!
dessi
diffidenti, avidi ch'io loro
serii,
me
maggior contezza di
ma
,
pieni di
garbo.
Dopo i primi
e
li
giorni
trovai buoni.
più manteneva
carceriere.
asciutto
mansuefecero
non dante
,
,
carattere di
il
di viso asciutto
quarant' anni
i
asciutte asciutte
tutti
era quella che
contegno ed
il
Era una donna
verso
,
si
La moglie
il
di parole
,
minimo segno
d' essere capace di qualche benevolenza ad
altri
che
a'
suoi
figli.
Solea portarmi
pranzo
,
acqua
e
i
anni
due
,
non
figliuoli
mattina e dopo
,
biancheria ec.
,
ordinariamente sua
dici
caffè
il
figlia
bella
,
uno
ma
,
La seguivano
fanciulla di quin-
di pietosi sguardi
di tredici anni
di dieci. Si ritiravano quindi colla
i
,
l'altro
madre
,
ed
tre giovani sembianti si rivoltavano dolce-
mente a guardarmi chiudendo
custode non veniva da
me
,
se
porta.
la
Il
non quando
si adunava
aveva da condurmi nella sala ove
la
commissione per esaminarmi.
venivano poco
,
gioni di polizia
,
I
secondini
perchè attendevano
collocate ad
alle pri-
un piano
info-
86. 8
LE MIE PRIGIONI,
7
?
riore
,
ov erano sempre molti ladri.
?
que secondini era un vecchio
settantanni
9
ma atto
vita di correre
,
di
di
più di
ancora a quella faticosa
sempre su e giù per
ai diversi carceri.
Uno
L'altro era
un
le scale
giovinotto
di 24 o 25 anni, più voglioso di raccontare
i
suoi amori che di badare al suo servizio.
87. ,
CAPO XXIV
79
klVMA^W^M
CAPO XXIV.
Ah
sono
le
sì!
orribili
allo stato
quanta
cuse
!
cure d'un processo criminale
per un prevenuto
Quanto timore
difficoltà di lottare
contro tanti sospetti
,
glianza che tutto
funestamente
presto
,
se
?
non
il
s
nuove imprudenze
si
altrui
!
contro tante ac-
quanta verisimi-
intrichi
sempre più
processo non termina
scoprono
persone non conosciute
Ho
!
nuocere
nuovi arresti vengono
se
,
desima
di
(T inimicizia
ma
,
della
fatti
se
,
non che di
fazione me-
!
fermato di non parlare di politica
i
t
bisogna quindi eh' io sopprima ogni relazione
concernente
il
processo-
Solo
dirò
,
che
spesso dopo essere stato lunghe ore al costituto
9
io
cerbato
se la
,
tornava nella mia stanza così esacosì
fremente
,
che mi sarei ucciso
la memoria
non m' avessero contenuto.
voce della religione e
cari parenti
L' abitudine di tranquillità che già
de'
mi pa-
88. ,
LE MIE PRIGIONI,
8o
reva a Milano
fatta.
e
d'
avere acquistato
Per alcuni giorni disperai di
,
era dis-
ripigliarla
furono giorni d'inferno. Allora cessai di
pregare
,
dubitai della giustizia di Dio
uomini ed
ledissi agli
nella
mente
tutti
all'
universo
,
,
ma-
e rivolsi
possibili sofismi sulla va-
i
nità della virtù.
L'
uomo
infelice
ed arrabbiato è tremen-
damente ingegnoso a calunniare
i
suoi simili
immorale,
e lo stesso Creatore. L'ira è più
più scellerata che generalmente non
Siccome non
si
pensa.
può ruggire dalla mattina alla
sera per settimane e V anima la più dominata dai furore ha di necessità i suoi intersi
,
valli
di
riposo
risentirsi dell'
quegli intervalli sogliono
•,
immoralità che
li
ha preceduti.
Allora sembra d'essere in pace,
ma
è
una
pace maligna, irreligiosa j un sorriso selvaggio
,
senza carità
disordine,
d'
,
senza digmtà
-,
un amore
di
ebbrezza, di scherno.
In simile stato io cantava per ore intere
con una specie
d' allegrezza affatto sterile di
buoni sentimenti;
io celiava
con
che entravano nella mia
stanza-,
zava di considerare tutte
le cose
tutti quelli
io
mi
sfor-
con una sa-
pienza volgare, la sapienza de' cinici.
89. ,,
CAPO XXIV.
Si
Quel!' infame tempo durò poco
sei
:
o sette
giorni.
La mia Bibbia
Uno
era polverosa.
gazzi del custode, accarezzandomi,
— Dacché non legge più quel
melanconia, mi
non ha più
—
— Ti pare?
ella
tanta
de' radisse
:
libraccio
pare.
gli dissi.
E
presa la Bibbia, ne
tolsi col fazzoletto la
polvere, e sbadatamente apertala, mi cad-
dero sotto
gli
occhi queste parole
discipulos suos
:
niant scandala
:
:
Et
ait
ad
Impossibile est ut non ve-
vae autem
veniuntl Utilius est
itti)
ponatur circa collum ejus
per quem
itti
si lapis
molaris im-
et projiciatur in
mare > quam ut scandalizet unum de
pusillis
istis.
Fui colpito di trovare queste parole
arrossii
che quel ragazzo
si
la
Bibbia, e eh'
ed
fosse accorto
dalla polvere eh' ei sopra vedeavi
non leggeva
,
,
eh' io più
presumesse
ei
ch'io fossi divenuto più amabile, divenendo
incurante di Dio.
—
Scapestratalo
!
(gli dissi
con amorevole
rimprovero e dolendomi d'averlo scandalezzato).
Questo non
è
giorni che noi leggo
,
un
libraccio
,
e
da alcuni
sto assai peggio.
Quando
90. LE MIE PRIGIONI,
82
tua madre
permette di stare un momento
con me, m'industrio di cacciar via il mal
umore;
vince
,
ti
ma
se tu
sapessi
allorché son solo
cantare qual forsennato
!
,
come questo mi
allorché tu
m
J
odi
91. CAPO XXV,
».
83
*^»/W "«.Ik x/-»--».
CAPO XXY.
Il ragazzo era uscito; ed io
provava un
certo godimento d'aver ripreso in
Bibbia
d'
-,
aver confessato eh'
mano
io stava
la
peggio
zione ad
Mi parea d' aver dato soddisfaun amico generoso, ingiustamente
offeso
essermi riconciliato con esso.
senza di
lei.
d'
;
— Et' aveva abbandonato
dai.
E m' era
dere che
nisse alla
mio Dio
gri-
?
Ed
avea potuto cre-
riso del
cinismo conve-
pervertito
infame
l'
,
?
mia disperata situazione?
—
Pronunciai queste parole con una emo-
una
zione indicibile; posi la Bibbia sopra
sedia
,
queir
m' inginocchiai in terra a leggere
io
che
si
piango
diffìcilmente
,
e
pro-
,
ruppi in lagrime.
Quelle lagrime erano mille volte più dolci
di
ogni
allegrezza
nuovo Dio
oltraggiato
!
lo
Io
bestiale.
amava
!
sentiva
mi pentiva
degradandomi!
non separarmi mai più da
.
di
averlo
protestar
e
lui
d'
mai piò
!
92. LE MIE PRIGIONI.
84
Oh come un
ritorno sincero alla religione
consola ed eleva lo spirito!
Lessi,
piansi più d'un' ora
e
e m'alzai
;
pieno di fiducia che Dio fosse con me, che
Dio mi avesse perdonato ogni
le
mie sventure,
il
mi sembrarono poca cosa.
poiché ciò mi dava occa-
verisimile patibolo
Esultai di soffrire
stoltezza. Allora
tormenti del processo,
i
,
J
sione d adempiere qualche dovere; poiché,
soffrendo con rassegnato animo, io obbediva
al
Signore.
La Bibbia
gerla.
Non
,
grazie al cielo, io sapea leg-
era più
il
tempo ch'io
la
giudi-
cava colia meschina critica di Voltaire ,
vili-
le quali non sono
pendendo espressioni
se non quando
risibili o false
per vera
per malizia non si penetra nel
ignoranza o
,
,
,
,
loro senso.
foss' ella
M' appariva chiaramente quanto
codice della santità
il
della verità;
sue imperfezioni di
fica,
stile fosse
e simile all'orgoglio
tutto ciò che
non ha forme
fosse cosa assurda
collezione
avessero
di
,
e
quindi
quanto l'offendersi per certe
cosa infiloso-
di chi disprezza
eleganti-,
quanto
V immaginare che una
libri
tal
religiosamente venerati
un principio non autentico; quanto
93. ,
,
CAPO XXY.
superiorità di
la
85
scritture sul corano e
tali
sulla teologia degl'Indi fosse innegabile.
Molti ne abusarono
un codice
molti vollero farne
,
d'ingiustizia,
una sanzione
loro passioni scellerate. Ciò è vero
sempre
mai
l'
lì
di tutto puossi abusare
:
;
:
alle
ma siamo
e
quando
abuso di cosa ottima dovrà far dire
eh' ella è in se stessa
Gesù Cristo
io
malvagia
dichiarò
:
?
tutta la legge ed
i
Profeti, tutta questa collezione di sacri libri
si
riduce
E
tali scritture
tutti
i
precetto d'
al
Ridestate in
vai
non sarebbero
non sarebbero
Spirito Santo?
secoli?
viva dello
il
amar Dio
me
tutte le
i
,
I
parola sempre
di coordinare alla reli-
mia
la
filantropia,
pochi giorni eh'
umane
sui progressi deli' inci-
patrio, tutti gli affetti dell'
nismo
verità adatta a
miei pensieri sulle cose
mie opinioni
vilimento
uomini.
queste riflessioni, rinno-
proponimento
gione tutti
la
e gli
io
il
mio amor
anima mia.
avea passato nel
m' aveano molto contaminato.
sentii gli effetti
per lungo tempo, e dovetti
faticare per vincerli.
cede alquanto
suo intelletto
ci-
Ne
Ogni volta che l'uomo
alla tentazione di snobilitare
,
di
guardare
le
il
opere di Dio
94. LE MIE PRIGIONI.
S6
colla infernal lente dello
dal
benefico
scherno
,
di cessare
della preghiera
esercizio
,
il
guasto eh' egli opera nella propria ragione lo
dispone a facilmente ricadere. Per più
mane
fui assalito
,
quasi ogni gioito
?
pensieri d incredulità
del
mio
:
,
da
setti-
forti
volsi tutta la potenza
spirito a respingerli,
95. ,
CAPO XXVI.
87
CAPO XXVI.
Quando questi combattimenti furono cessati, e sembrommi d'esser di nuovo fermo
nel!'
abitudine
d'
onorar Dio in tutte
mie
le
volontà, gustai per qualche tempo una dolcissima pace. Gli esami
a cui sottoponeami
,
ogni due o tre giorni la commissione, per
quanto fossero tormentosi, non mi traeano
più a durevole inquietudine. Io procurava,
in quel!'
ardua posizione
miei doveri
d'
,
di
Faccia Dio il resto.
Tornava ad essere esatto
dicea
non mancare
onestà e d' amicizia
e
,
U*
poi
:
nella pratica di
prevedere giornalmente ogni sorpresa, ogni
emozione
,
ogni sventura supponibile
fatto esercizio
La mia
due
giovavami novamente
solitudine intanto
figliuoli del
s'
;
e sif-
assai.
accrebbe.
I
custode, che dapprima mi
faceano talvolta un po' di compagnia, furono
messi a scuola, e stando quindi pochissimo
in caàa,
non venivano più da me. La madre
e la sorella
si
,
che allorché c'erano
i
ragazzi
fermavano anche spesso a favellar meco
96. ,
.
LE MIE PRIGIONI,
S8
or non comparivano più se non per portarmi
mi
lasciavano. Per la
madre mi
rincresceva poco, perchè non mostrava animo
compassionevole. Ma la figlia, benché brutil
caffè, e
tina
,
avea certa soavità di sguardi e di parole
che non erano per
me
questa mi portava
il
mi parea sempre
fatto io »
dicea
:
« L'
ha
Quando
senza pregio.
caffè e diceva
fatto la
:
ho
Quando
eccellente.
mamma
« L'
acqua
» era
calda
Vedendo
retta
mia
sì
di
rado creature umane, diedi
ad alcune formiche che venivano sulla
sontuosamente, quelle
finestra, le cibai
andarono a chiamare un esercito di compagne, e
piena di
la finestra fu
Diedi parimente retta ad
siffatti
un
animali.
bel ragno che
tappezzava una delle mie pareti. Cibai questo
con moscherini e zanzare
,
a venirmi sul Lello e sulla
la
preda dalle mie
Fossero quelli
sero visitato
!
e
mi
stati
si
amicò
,
,
sino
prendere
e
dita.
i
soli insetti
Eravamo ancora
e già le zanzare
si
mano
in
moltiplicavano
che m' aves-
primavera
,
posso pro-
prio dire, spaventosamente. L'inverno era
stato di
una straordinaria dolcezza
pochi venti in marzo, seguì
indicibile
,
come
s*
il
,
e
caldo.
,
E
dopo
cosa
infocò V aria del covile
97. CAPO XXVI.
&9
mezzogiorno,
eh' io abitava. Situato a pretto
sotto
un
tetto di
piombo
Marco pure
tetto di S.
,
,
avea mai avuto idea
d'
A
zanzare in
m'
il
letto
,
,
il
,
cui ri-
il
non
io soffocava. Io
un
calore
J
tanto supplizio
oppri-
sì
aggiungeano
s
le
moltitudine
,
che per quanto
ne struggessi
,
io
tal
agitassi e
reti
piombo
di
verbero era tremendo
mente.
e colla finestra sul
,
tavolino
la volta
3
la sedia
,
tutto
io
J
,
n era coperto
il
suolo
n era coperto
,
e
,
le
-,
pa-
V am-
biente ne conteneva infinite, sempre andanti
e venienti perla finestra, e facienti
infernale.
Le punture
dolorose
e
,
quando
se
un ronzio
di quegli animali
sono
ne riceve da mattina a
sera e da sera a mattina
e
,
si
dee avere
la
perenne molestia di pensare a diminuirne
numero
,
si
soffre
veramente
assai e di
il
corpo
e di spirito.
Allorché
nobbi
la
veduto simile flagello
gravezza
,
e
ne co-
,
non potei conseguire
che mi mutassero di carcere, qualche tentazione di suicidio
d'
impazzare.
Ma
mi prese,
,
e talvolta
temei
cielo
,
erano
la religione
conti-
grazie
smanie non durevoli, e
al
nuava a sostenermi. Essa mi persuadeva che
l'uomo dee patire e patire con forza mi
5
facea sentire
una certa voluttà del dolore
,
98. LE MIE PRIGIONI.
90
la
compiacenza di non soggiacere
di vincer
,
tutto.
Io dicea
Quanto più dolorosa mi
:
meno
si
fa la
,
se, giovane
come sono, mi vedrò condannato
al supplicio.
vita, tanto
sarò atterrito
Senza questi patimenti preliminari sarei forse
morto codardamente.
da meritare
felicità ?
E
poi
,
ho
Dove son
Ed esaminandomi con giusto
me vissuti
trovava negli anni da
chi tratti alquanto plausibili
:
io tali virtù
esse ?
non
non po-
rigore,
,
se
tutto
il
resto
erano passioni stolte, idolatrie, orgogliosa e
falsa virtù.
indegno
!
— Ebbene, concludeva
Se
gli
uomini
io, soffri,
e le zanzare
dessero anche per furore
t*
ucci-
e senza diritto
riconoscili stromenti della giustizia divina
taci
!
,
,
e
99. CAPO XXVII,
91
CAPO XXVIL
Ha
T
uomo
bisogno di sforzo per umiliarsi
Non
sinceramente
?
è egli vero
che in generale sprechiamo
,
per ravvisarsi peccatore
gioventù in vanità
ed invece
,
forze tutte ad avanzare
d'
?
adoprare
la
le
nella carriera del
bene, ne adopriamo gran parte a degradarci
Vi saranno eccezioni
non riguardano
la
;
ma
?
confesso che queste
E non
di me
mia povera persona.
ho alcun merito ad essere scontento
quando si vede una lucerna dar più fumo che
fuoco, non vi vuol gran sincerità a dire, che
:
non arde come dovrebbe.
senza avvilimento, senza scrupoli di
Si-,
pinzochero
,
guardandomi con
quillità possibile d' intelletto
,
tutta la tranio
mi scorgeva
degno dei castighi di Dio. Una voce interna
mi diceva
ti
:
Simili castighi
,
se
non per questo,
sono dovuti per quello; valgano a ricon-
durti verso Colui eh' è perfetto, e che
tali
forze
sono chiamati
,
secondo
,
le
i
finite
morloro
ad imitare.
Con qual ragione
,
mentr'
io era costretto
100. LE MIE PRIGIONI,
92
a condannarmi di mille infedeltà a Dio
sarei lagnato se alcuni uomini
del
altri iniqui;
ed alcuni
vili
mondo m' erano
sumarmi
lenta
in carcere
fatto
mi pareano
se le prosperità
s'
-,
io
dovea con-
o perire di morte vio-
,
?
Procacciai
tali
rapite
mi
,
d'
riflessioni
,
e sì sentite
non poteva
e che
,
giuste
:
e ciò
vedeva che bisognava essere conse-
io
guente
imprimermi bene nel cuore
sì
guisa, se
non benedicendo
esserlo in altra
i
retti giudizii di
Dio, amandoli, ed estinguendo in
volontà contraria ad
me
ogni
essi.
Per viemeglio divenir costante in questo
proposito
d' or
,
pensai di svolgere con diligenza
innanzi tutti
doli. Il
male
si
i
miei sentimenti, scriven-
era che la commissione, per-
mettendo ch'io avessi calamajo
numerava
i
fogli di questa
,
con proibizione
di distruggerne alcuno, e riservandosi
minare
in che
alla carta,
levigare con
li
mi
e carta,
avessi adoperati.
ad
esa-
Per supplire
ricorsi all'innocente artifizio di
un pezzo
lino eh' io aveva
,
di vetro
un rozzo tavo-
e su quello quindi scriveva
ogni giorno lunghe meditazioni intorno
doveri degli uomini e di
Non
me
ai
in particolare.
esagero dicendo che le ore così impie-
101. CAPO XXVII.
93
malgrado
gate m' erano talvolta deliziose
,
difficoltà di respiro ch'io pativa
per renorme
le
caldo e le morsicature dolorosissime delle
zanzare.
Per diminuire
moltiplieità di
la
queste ultime, io era obbligato, ad onta del
caldo, d' involgermi
e di scrivere
i
polsi
,
,
non
bene
il
le
gambe,
ma
fasciato
capo e
solo co' guanti
affinchè le zanzare
,
non entrassero
nelle maniche.
Quelle mie meditazioni aveano un carattere piuttosto biografico. Io facea la storia di
tutto
il
bene ed
il
me
male che in
s'erano
formati dall'infanzia in poi, discutendo
stesso,
ingegnandomi
ordinando quanto meglio
mie cognizioni,
tutte le
meco
dubbio,
di sciorre ogni
sapea tutte le
io
mie idee sopra ogni
cosa.
Quando
tutta la superficie adoprabile del
tavolino era piena di scrittura
,
io
leggeva e
rileggeva, meditava sul già meditato
fine
a raschiar via ogni cosa col vetro,
atta quella superficie a ricevere
i
,
ed al-
mi risolveva (sovente con rincrescimento)
per riavere
nuovamente
miei pensieri.
Continuava quindi
la
mia
storia
rallentata da digressioni d' ogni
analisi or di questo or di quel
?
sempre
specie
punto
di
,
da
meta-
102. ,
LE MIE PRIGIONI,
94
morale, di politica, di religione
fisica, di
quando
tutto era pieno
rileggere
Non
,
,
>
e
tornava a leggere e
poi a raschiare.
volendo avere alcuna ragione d'im-
pedimento nel ridire a
libera fedeltà
i
me
fatti eh' io
stesso colla più
ricordava e
le opi-
nioni mie, e prevedendo possibile qualche
visita inquisitoria
,
io scriveva in
gergo
,
cioè
con trasposizioni di lettere ed abbreviazioni
alle quali io era avvezzatissimo.
cadde però mai alcuna
s
Non m'ac-
visita siffatta
accorgeva che io passassi così bene
tristissimo
tempo. Quand'
o altri aprire la porta
con una tovaglia
maio ed
il
,
,
io
udiva
copriva
il
mio
custode
il
il
niuno
e
,
tavolino
e vi mettea sopra
il
legale quinternetto di carta.
cala-
103. CAPO XX Vili.
CAPO
Quel
delle
io
aveva anche alcune
lui consacrate
od un' intera
intero giorno
veva
XXVIII.
quinternetto
mie ore a
95
,
e talvolta
un
notte. Ivi scri-
Composi
di cose letterarie.
allora
T Ester aV Engaddi e Y Iginio, d'Asti, e
cantiche intitolate
:
le
Tancreda > Rosilde, Eligi
e Valafrido, Adelfo, oltre parecchi scheletri
di tragedie e di altre produzioni
quello d'un poema
d'un
sulla
altro su Cristoforo
o
altri frutti.
mi
e
il
non era semil primo
faceva
io
componimento
cartaccia in cui
rinnovasse
si
quinternetto, quand'era finito,
getto d' ogni
e fra altri
Colombo.
Siccome Y ottenere che mi
pre cosa facile e pronta ,
,
Lega lombarda
sul tavolino o su
facea portare fichi secchi
Talvolta dando
il
mio pranzo
ad uno dei secondini, e facendogli credere
ch'io non aveva punto appetito, io
l'
indu-
ceva a regalarmi qualche foglio di carta. Ciò
avveniva solo in certi casi, che
già
ingombro
di scrittura, e
il
tavolino era
non poteva an-
cora decidermi a raschiarla. Allora io pativa