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i
LE

MIE PRIGIONI.
DALLA STAMPERIA DI CRAPELET,
RUE DE VAUGIRARD, N°

9.
LE

MIE PRIGIONI,
MEMORIE
DI SILVIO PELLICO
DA SALUZZO.

Homo

natus de muliere

,

brevi vivens

tempore , repletur multìs miserila.
Job.

PARIGI.
BAUDRY, LIBRERIA EUROPEA
(),

RUE DU

C.OO,

PRÈS LE LOUVRE,

1833.
]233
,

JjLo

io scritto

me? Bramo che

di parlar di
e

queste Memorie per vanita
ciò

per quanto uno possa di

non

sia

,

se giudice

y

parmi d avere avuto alcune

costituirsi j

mire migliori

:

— quella di contribuire a
3

confortare qualche infelice coli esponi-

mento de' mali che patii e

delle consola-

3

zioni eh esperimentai essere conseguibili
nelle

somme

sventure ;

-

— quella

d' attes-

3

tarle

non
così

che in mezzo a miei lunghi tormenti
trovai

pur V umanità

così iniqua

}

indegna d indulgenza , così scarsa

d' egregie

anime, come suol venire rap-
presentata;
nobili

— quella

ad amare

d' invitare

assai,

a non odiare

cun mortale , ad odiar solo
bilmente

le

cuori

i

al-

irreconcilia-

basse finzioni , la pusillani-

mità , la perfidia, ogni morale degrada-

mene ;

— quella di

notissima,

ma

ridirle

una

verità già

spesso dimenticata

Religione e la Filosofia comandare

V altra energico volere

:

la

V una

e giudizio

pa-

cato y e senza queste unite condizioni

non

e

esservi ne giustizia, ne dignità, ne prin-

cipj securi.
LE

MIE PRIGIONI.

CAPO PRIMO.

Il venerdì i3 ottobre 1820 fui arrestalo a
Milano, e condotto a Santa Margherita. Erano
le tre

pomeridiane. Mi

si

fece

un lungo

rogatorio per tutto quel giorno e per
cora.

Ma di

ciò

altri

an-

non dirò nulla. Simile ad un

amante maltrattato
samente risoluto

inter-

dalla sua bella, e dignito-

di tenerle broncio, lascio la

politica ov' ella sta, e parlo d'altro.

Alle nove della sera di quel povero ve-

nerdì T attuario mi consegnò

al

quesli, condottomi nella stanza a
si

fece da

me

custode

,

e

me destinata,

rimettere con geniile invito,

per restituirmeli a tempo debito, orologio,

denaro
e

,

e ogni altra cosa eh' io avessi in tasca

m'augurò rispettosamente

la

buona

,

notte.
LE MIE PRIGIONI.

k

— Fermatevi
ho pranzato

—
tirà

Subito

la

,

signore

3

,

caro voi

gli dissi

,

;

oggi

non

fatemi portare qualche cosa.

-,

,

locanda

qui vicina

è

che buon vino

-,

e sen-

!

— Vino, non ne bevo.
A

questa risposta ,

guardò spaventato,
zassi

:

il

signor Angiolino

che tengono bet-

I custodi di carceri

tola, inorridiscono

mi

sperando ch'io scher-

e

d'un prigioniero astemio.

— Non ne bevo davvero.
— incresce per
,

lei;

IVI'

patirà al doppio la

solitudine....

E

vedendo ch'io non mutava proposito

meno

uscì; ed in

di mezz'ora ebbi

,

pranzo.

il

Mangiai pochi bocconi tracannai un bicchier
,

d'acqua,

La

e fui lasciato solo.

stanza era a pian terreno

cortile. Carceri di

,

carceri dirimpetto.

di sopra,

alla finestra

,

e metteva sul

qua, carceri di

e stetti

là

-,

carceri

M'appoggiai

qualche tempo ad ascol-

tare l'andare e venire de' carcerieri

,

ed

il

frenetico canto di parecchi de' rinchiusi.

Pensava
monastero

:

:

— Un

secolo fa

avrebbero mai

,

questo era un

le sante e penitenti

vergini che lo abitavano immaginato che le
loro celle sonerebbero oggi,

minei gemiti e d' inni divoti

,

non più

di

fem-

ma di bestemmie
CAPO PRIMO.
e di canzoni invereconde

uomini

d' ogni fatta, e

ergastoli o alle forche

,

!

che conterrebbero

e

per lo più destinati agli
?

E

un

fra

respirerà in queste celle

tempo

5

Oh

?

secolo

oh mobilità perpetua delle cose! Può

chi vi considera affliggersi

,

se fortuna cessò

di sorridergli, se vien sepolto in prigione
gii si

chi

,

fugacità del

minaccia

patibolo

il

de' più felici mortali del

Jeri

?

mondo

:

,

se

uno
non ho

io era

,

oggi

più alcune delle dolcezze che confortavano la

mia

non più libertà non più consorzio
d'amici, non più speranze! No: il lusingarsi
sarebbe follia. Di qui non uscirò se non per
vita

,

-,

essere gettato ne' più orribili covili

segnato al carnefice

mia morte
un palazzo,

la

il

il

il

fossi spirato in

l'animo.
la

,

Ma mi

madre

,

ed

i

ragionamenti

tempo

ricorsero

due

sorelle, un'altra famiglia ch'io

fratelli

,

mi
alia

,

due

amava quasi

filosofici

più valsero. M'intenerii, e piansi
fanciullo.

o con-

—

padre

fosse la mia-,

,

giorno dopo

riflettere alla fugacità del

invigoriva

mente

,

e portato alla sepoltura co' più

grandi onori.
Così

sarà

,

Ebbene
come s'io
!

nulla

come un
LE MIE PRIGIONI.

CAPO

Tre mesi prima,
ed avea riveduto
razione,
e le

due

i

,

IL

io era

andato a Torino,

dopo parecchi annidi sepa-

miei cari genitori, uno de'

sorelle.

Tutta

la

fratelli

nostra famiglia s'era

sempre tanto amata! Niun

figliuolo era stato

più dime colmato di benefizi dal padre e dalla
madre Oh come al rivedere i venerati vecchi
trovandoli notabilmente
io m'era commosso
più aggravati dall'età che non m'immaginava!
Quanto avrei allora voluto non abbandonarli
!

,

più

,

consacrarmi a sollevare colle mie cure

la loro

vecchiaja

Quanto mi

!

brevi giorni ch'io

stetti

a

dolse

Torino,

di

,

ne'

aver

parecchi doveri che mi portavano fuori del
tetto

paterno

mio tempo

e di dare cosi poca parte del

,

agli

amati congiunti! La povera

madre diceva con melanconica amarezza
Ah il nostro Silvio non è venuto a Torino
:

<c

!

per veder noi

Milano,

la

!

»

Il

mattino che ripartii per

separazione fu dolorosissima.

padre entrò in carrozza con

pagnò per un miglio

-,

me

,

e

Il

m' accom-

poi tornò indietro
CAPO

IL

7

mi voltava a guardarlo e piangeva
e baciava un anello che la madre m' avea dato
e mai non mi sentii così angosciato di allonsoletto. Io

,

,

tanarmi da' parenti.

Non

menti,

non poter vincere

dolore
((

io stupiva di
,

a'

presenti-

mio

il

ed era sforzato a dire con ispavento

Donde questa mia

dine

credulo

? »

;

straordinaria inquietu-

Pareami pur

di

prevedere qualche

grande sventura.

Ora nel carcere

mi risovvenivano quello
spavento, quell'angoscia; mi risovvenivano
,

,

tutte le parole udite

,

mesi innanzi

tre

,

da'

Quel lamento della madre « Ah!
il nostro Silvio non è venuto a Torino per
veder noi » mi ripiombava sul cuore. Io mi
rimproverava di non essermi mostrato loro
genitori.

:

!

mille volte più tenero.

volti!

e

,

e

!

mi

fui così

dell'amor mio!

e

debolmente Non dovea mai

ciò dissi loro cosi

più vederli

— Li amo cotanto,

saziai cosi

poco de' loro cari

avaro delle testimonianze

— Questi

pensieri

mi

stra-

ziavano l'anima.

Chiusila finestra, passeggiai un'ora, cre-

dendo

di

non aver requie

tutta la notte»

posi a letto, e la stanchezza

Mi

m'addormentò.
LE MIE PRIGIONI.
*

CAPO
Lo

—

III.

prima notte in carcere

svegliarsi la

cosa orrenda!

w-w w-v W-k

e

Possibile! (dissi ricordan-

domi dove io fossi) possibile Io qui? E non
è ora un sogno il mio ? Jeri dunque m' arrestarono? Jeri mi fecero quel lungo interrogatorio,
!

che domani
nuarsi

?

,

quando dovrà

e chi sa fin

conti-

Jer sera, avanti di addormentarmi, io
5

piansi tanto, pensando a miei genitori
Il

riposo

.

perfetto

il

sonno che avea ristorato
tali,

silenzio
le

?

breve

il

,

—

mie forze men-

sembravano avere centuplicato

me

in

la

possa del dolore. In quell'assenza totale di
distrazioni

,

l'affanno di tutti

i

miei cari, ed

in particolare del

padre e della madre

ché udrebbero

mio arresto, mi

il

nella fantasia con

— In

una forza

allor-

.

si

pingea

incredibile.

quest'istante, diceva io.

dormono

ancora tranquilli, o vegliano pensando forse
con dolcezza a

me

luogo ov'io sono!
gliesse dal

mondo

la notizia

della

,

,

non punto presaghi del

Oh

felici,

se

Dio

li

to-

avanti che giunga aTorino

mia sventura! Chi darà loro

la forza di sostenere

questo colpo?

—
,

CAPO
Una voce
Colui che

III.

9

interna parea rispondermi

!

Colui che dava la forza

ad una Madre di seguire

il

Figlio al Golgota

e di stare sotto la sua croce
infelici

,

T amico dei mortali

Quello fu

l'

!

!

amico

degl'

—

primo momento

il

—

invocano ed amano

tutti gli afflitti

e sentono in se stessi

:

,

che

la reli-

gione trionfò del mio cuore-, ed all'amor
filiale

debbo questo benefizio.

Per T addietro, senza essere avverso

alla

Le

vol-

religione

,

poco

io

gari obbiezioni,

tuta,

e

male

la seguiva.

con cui suole essere combat-

non mi parevano un gran che,

e tutta-

via mille sofistici dubbi infievolivano la

mia

fede. Già da lungo tempo questi dubbi non

cadevano più

sull' esistenza di

dava ridicendo che se Dio

Dio

esiste

,

,

cosi ingiusto

1'

:

uomo

,

mondo
somma ragionevolezza

di aspirare ai beni di quella
d'

è un'al-

che pati in un

quindi la

quindi un culto

m' an-

una conse-

guenza necessaria della sua giustizia
tra vita per

e

amore

di

seconda vita

:

Dio e del pros-

simo, un perpetuo aspirare a nobilitarsi con
generosi sacrifizi. Già da lungo tempo m'an-

dava ridicendo tutto ciò

E

che altro è

il

,

e

soggiungeva

:

—

Cristianesimo se non questo

perpetuo aspirare a nobilitarsi

?

— E mi me-
LE MIE PRI GIONI.

io
ravigliava

come

pura

sì

filosofica

sì

,

,

sì

inat-

taccabile manifestandosi l'essenza del Cristia-

nesimo

fosse

,

venuta un' epoca in cui

— Farò

sofia osasse dire

:

sue veci.

in qual

— Ed

veci? Insegnando

gnando

modo farai tu
No certo.
amore

sarà

sarà ciò che appunto



le

vizio?

il

Ebbene

la virtù ?

e del prossimo

la filo-

innanzi

io d' or

le

sue

Insedi
il

Dio
Cri-

stianesimo insegna.

Ad
tissi,

onta eh' io così da parecchi anni sensfuggiva di conchiudere

conseguente

I

sii

cristiano

zar più degli abusi

qualche punto
Chiesa

ed è lucidissimo

il

:

ti

dunque

scandalez-

non malignar più su

difficile

giacché

,

!

non

!

sii

:

della dottrina della

punto principale

ama Dio ed

è questo,

prossimo.

il

In prigione deliberai finalmente di strin-

gere tale conclusione, e

quanto

,

pensando che

la strinsi. Esitai al-

taluno veniva a

se

sapermi più religioso di prima,

si

crederebbe

in dovere di reputarmi bacchettone ed avvilito dalla disgrazia.

Ma

sentendo ch'io non

era ne bacchettone, né avvilito,

qui di non punto curare

non

meritati

rarmi

d'

,

e

fermai

i

mi compiac-

possibili biasimi

d' essere e di dichia-

or in avanti cristiano.
CAPO

IV.

VM%WWil1%V«>%WVVl%V«%VMVVVVi<VVVV»/VViW«

l

CAPO

Rimasi
tardi

j

ma

io

mattino

IV.

risoluzione più

stabile in questa

cominciai a ruminarla e quasi vo-

lerla in quella
il

WVW

le

prima notte

di cattura.

Verso

mie smanie erano calmate

ne stupiva. Ripensava

,

ed

genitori ed agli

a'

amati, e non disperava più della loro

altri

forza d'

animo

sentimenti
in essi,

,

,

eh' io

e la

memoria

de' virtuosi

aveva altre volte conosciuti

mi consolava.

Perchè dianzi cotanta perturbazione in me,

immaginando

la loro,

ed or cotanta fiducia

neir altezza del loro coraggio

?

Era questo

cangiamento un prodigio

?

era

felice

turale effetto della

Dio ?
no,

— E che importa
reali

i

A

un na-

mia ravvivata credenza in
il

chiamar prodigi

sublimi benefizi della religione

,

o

?

mezzanotte, due secondini (così chia-

mansi

i

carcerieri dipendenti dal

erano venuti a visitarmi, e
di pessimo

umore.

m

All' alba

J

custode)

aveano trovato

tornarono

,

e

mi

trovarono sereno e cordialmente scherzoso.

—

Stanotte, signore, ella aveva

una

faccia
,

le mie prigioni.

iÈ

da basilisco
e

,

disse

Tirola

il

;

ne godo, segno che non è

— un

pressione

birbante

:

ora è

perchè

(io sono vecchio del mestiere, e le

vazioni

hanno qualche peso),

più arrabbiati
resto, che

ne

il

i

es-

birbanti

i

mie

osser-

birbanti sono

secondo giorno dei loro ar-

il

primo. Prende tabacco?

prendere

soglio

tutt' altro

— perdoni V

,

ma non

— Non

vo' ricusare le

Quanto alla vostra osservanon è da quel sapiente che
sembrate. Se stamane non ho più faccia da
basilisco, non potrebb'egli essere che il muvostre

grazie.

zione, scusatemi,

tamento
lità

prova

fosse

ad illudermi

libertà

d' insensatezza

,

di faci-

a sognar prossima la

,

?

— Ne

dubiterei, signore, s'ella fosse in

prigione per altri motivi

ma

;

di stato, al giorno d'oggi,

per queste cose

non

è possibile di

credere che finiscano così su due piedi.
ella

non

selo.

Perdoni sa

:

pre fra disgraziati

— Crederà
dolori altrui
io

,

:

vuole un'altra presa?

Ma come

faccia cosi allegra

Ed

gonzo da immaginar-

è siffattamente

— Date qua.

mente

mia

come

,

si

può avere una

avete, vivendo sem-

?

che sia per indifferenza sui

non

lo so

a dir vero

;

nemmeno positivama Y assicuro che
CAPO
spesse volte

il

IV.

i3

veder piangere mi

male.

fa

talora fingo d' essere allegro, affinchè

E

poveri

i

prigionieri sorridano anch'essi.

— Mi viene, buon uomo, un pensiero che
non ho mai avuto

:

che

si

possa fare

carce-

il

riere ed essere d' ottima pasta.

—

Il

mestiere non fa niente, signore. Al

quel voltone eh'

di là di
cortile

,

v'è

tutte per

donne

di

un

vede

ella

altro cortile

oltre

,

donne. Sono.... non occorre

mala

dirlo...

Ebbene, signore, ve

vita.

che sono angeli, quanto

il

ed altre carceri

E

cuore.

al

n'

s'ella

fosse secondino....

— Io? — (e

scoppiai dal ridere.

)

Tirola restò sconcertato dal mio riso

non proseguì. Forse intendea

mi sarebbe

,

che

e

riuscito malage-

stato

secondino

vole

non affezionarmi ad alcuna

,

,

io fossi

s'

di quelle

disgraziate.

Mi
Uscì

,

chiese ciò ch'io volessi per colezione.
e qualche

minuto dopo mi portò

il

caffè.

Io lo guardava in faccia fissamente

un

sorriso malizioso

,

che voleva dire

:

«

,

con
Por-

un mio viglietto ad un altro infelice
al mio amico Piero ? » Ed egli mi rispose con un altro sorriso che voleva dire
teresti tu
,

,

:
,

LE MIE PRIGIONI.

i4
a

No

?

signore

miei compagni

che

e se vi dirigete

;

,

il

ad alcuno de

quale vi dica di

sì,

5

badate

vi tradirà. »

Non

sono veramente certo

capisse, ne ch'io capissi
fui dieci volte sul

pezzo di carta

,

punto

eh' egli

,

So bensì, ch'io

di

dimandargli un

ed una matita

,

e

non

ardii

?

perchè v era alcun che negli occhi suoi

sembrava avvertirmi
cuno,

e

meno

d'altri

di

mi

lui.

non fidarmi

che di

lui.

,

che

di al-
CAPO

i5

V.

»,•*.»•%/%, %^-%.

CAPO

Se Tirola

,

una fisionomia più no-

ceduto

io avrei

mio ambasciatore

alla tentazione di farlo

e forse

,

giunto a tempo all'amico

un mio

non

lui

ma

era scoperto,

,

viglietto

avrebbe dato

gli

forza di riparare qualche sbaglio
ciò salvava,

,

avuto quegli sguardi così

furbi; se fosse slata
,

bontà

colla sua espressione di

non avesse anche
bile

V.

,

—

la

e forse

poveretto, che già troppo

parecchi

altri e

me

!

Pazienza! doveva andar così.

Fui chiamato

alla

terrogatorio, e ciò

parecchi

altri

,

dell' in-

continuazione

durò tutto quel giorno, e

con nessun altro intervallo che

quello de' pranzi.

Finché

il

processo non

chiuse

si

,

i

giorni

volavano rapidi per me, cotanto era l'esercizio della

dere a

mente in queir interminabile rispon-

sì

varie dimancle

alle ore di

,

e nel raccogliermi

pranzo ed a sera

,

per riflettere a

tutto ciò

che mi s'era chiesto e ch'io aveva

risposto,

ed a tutto ciò, su cui probabilmente

sarei ancora interrogato.

Alla fine della prima settimana m'accadde
LE MIE PRIGIONI,

16

un gran dispiacere. Il mio povero Piero, bramoso quanto lo era io che potessimo metterci in qualche comunicazione, mi mandò
un viglietto, e si servì, non d'alcuno de se,

,

ma d'un disgraziato prigioniero,

condini,

veniva con

essi a fare

che

qualche servigio nelle

un uomo

nostre stanze. Era questi

dai ses-

non

santa ai settantanni, condannato a

so

quanti mesi di detenzione.

Con una
che rimisi

aveva

eh' io

spilla

,

mi

forai

un

sangue poche linee di risposta

dito, e feci col

messaggero. Egli ebbe la mala

al

ventura d'essere spiato, frugato, colto col
glietto addosso, e, se

non

vi-

erro, bastonato. In-

che mi parvero del misero vec-

tesi alte urla

chio, e noi rividi mai più.

Chiamato

veder-

io a processo, fremetti al

mi presentata
gue (la quale

mia cartolina vergata

la
,

grazie al cielo,

col san-

non parlava

di

cose nocive, ed avea l'aria d'un semplice saluto).

Mi

gue, mi

Ah,

io

occhi

il

sofferto

si

mi

chiese con che

si

tolse la spilla

non

risi

!

Io

fossi tratto

san-

e si rise dei burlati.

,

non poteva levarmi

dagli

vecchio messaggero. Avrei volentieri

qualunque

castigo,

purché

gli

perdo-

nassero; e quando mi giunsero quelle urla,

che dubitai essere di
di lacrime.

lui

,

il

cuore mi s'empi
CAPO

V.

i

Invano chiesi parecchie volte di esso
tode e

a'

cevano

:

secondini. Crollavano
<(

farà più di simili

poso.

]Ne

)>

il

L'ha pagata cara colui

— gode

un

1

al cus-

capo, e di-

— non ne

po' più di ri-

voleano spiegarsi di più.

Accennavano

essi la

prigionia ristretta in

cui veniva tenuto queir infelice, o parlavano
cosi

,

perch' egli fosse morto sotto le basto-

nate od in conseguenza di quelle

Un

cortile

gna

?

giorno mi parve di vederlo,
,

sotto

il

portico, con

sulle spalle. Il

rivedessi

un

un

al di là

del

fascio di le-

cuore mi palpitò, come s'ia

fratello,
LE MIE PRIGIONI.

18

k<V«VVWWVW

CAPO VL

Quando non
rogatorii, e
le

fui più martirato dagl' inter-

non ebbi più nulla che occupasse

mie giornate

amaramente

allora sentii

,

il

peso della solitudine.

ed

Ben mi si permise ch'io avessi una Bibbia
il Dante
ben fu messa a mia disposizione
;

dal custode la sua biblioteca

alcuni romanzi di Scuderi
gio

ma

-,

il

mio

,

spirito era

consistente in

,

del Piazzi

ogni giorno un

Dante

questo esercizio era tuttavia
ch'io lo faceva pensando

che

a' casi

gendo

Lo

miei.

altre cose

,

stesso

e peg-

troppo agitato, da

potersi applicare a qualsiasi lettura.

canto di

,

a

Imparava

memoria,

e

macchinale,

sì

meno

a que' versi

mi avveniva

leg-*

eccettualo alcune volte qual-

che passo della Bibbia. Questo divino libro
eh' io

aveva sempre amato molto, anche quan-

do pareami

me
che

d' essere

,

ad onta del buon volere

lo leggea colla

A

incredulo, veniva ora da

studiato con più rispetto che mai. Se

mente ad

,

non

spessissimo io

altro, e

non capiva.

poco a poco divenni capace di meditarvi
,

CAPO
più

fortemente

VI.

sempre meglio gus-

e di

,

19

tarlo.
.

non mi diede mai

Siffatta lettura

ma

la

disposizione alla bacchettoneria

minicioè a

,

quella divozione malintesa che rende pusilla-

nime o
Dio e

fanatico. Bensì

gli

uomini

m'insegnava ad amar

a bramare sempre più

,

il

regno della giustizia, ad abborrire l'iniquità,

perdonando

agl'iniqui. Il Cristianesimo, in-

vece di disfare in

me

ciò che la filosofia potea

avervi fatto di buono, lo confermava
lorava di ragioni più alte

incessantemente

e

,

che

più potenti.

,

Un giorno avendo letto

lo avva-

,

che bisogna pregare

il

vero pregare non è

borbottare molte parole alla guisa de' pagani

ma

adorar Dio con semplicità

in azioni, e fare che le

,

une

sì

in parole

,

sì

e le altre sieno

l'adempimento del suo santo volere, mi proposi di cominciare davvero quest'incessante

preghiera

,

cioè di

non permettermi più nep-

pure un pensiero, che non

animato dal

fosse

desiderio di conformarmi ai decreti di Dio.

Le formole

di preghiera

da

me

adorazione furono sempre poche

,

recitate in

non

già per

disprezzo (che anzi le credo saltuarissime
chi più, a chi

meno, per fermare

zione nel culto)

,

ma

perchè

io

,

a

l'atten-

mi sento

così
LE MIE PRIGIONI,

io
fatto,

da non essere capace di recitarne molte,

senza vagare in distrazioni e porre F idea del
culto in obblio.

L' intento di stare di continuo alla presenza
di Dio, invece di essere

un faticoso sforzo

della

mente ed un soggetto di tremore era per me
soavissima cosa. Non dimenticando che Dio
,

è

,

sempre vicino a noi

eh' egli è in noi

,

,

o

piuttosto che noi siamo in esso, la solitudine

perdeva ogni giorno più
ce

Non sono

suo orrore per

il

in ottima compagnia

io

E mi

dava dicendo.

? »

me

:

m'an-

rasserenava, e canterel-

lava, e zufolava con piacere e con tenerezza.

— Ebbene

,

pensai

non avrebbe potuto

,

venirmi una febbre e portarmi in sepoltura
Tutti

i

miei cari

nati al pianto,

,

che

si

?

sarebbero abbando-

perdendomi, avrebbero pure

acquistato a poco a poco la forza di rasse-

mia mancanza. Invece d'una tomba, mi divorò una prigione degg'io credere

gnarsi alla

:

che Dio non
Il

li

munisca

mio cuore alzava

loro, talvolta

grime

stesse

d'
i

egual forza

?

—

più fervidi voli per

con qualche lagrima

-,

ma

le la-

erano miste di dolcezza. Io aveva

piena fede che Dio sosterrebbe loro e me.

Non mi

sono ingannato.
CAPO

21

VII.

^%>*/%/%/VWV-^*^V*%/%^V%^'W*'». V»/%. *lV*VV»(W»,W*VV%V*'V'V*W%».

CAPO

VII.

Il vivere libero è assai più bello del vivere
in carcere;

chi ne dubita?

nelle miserie d'

un

carcere

,

Eppure anche
quando ivi si

pensa che Dio è presente, che

mondo

sono fugaci

coscienza e

non

,

che

il

le gioje del

vero bene sta nella

negli oggetti esteriori

puossi

,

meno d' un
non dirò perfettamente
ma in comportevole guisa, il mio partito.
Vidi che non volendo commettere l'indegna
azione di comprare l' impunità col procacla mia sorte non pociare la rovina altrui
essere se non il patibolo od una lunga
teva
Respiprigionia. Era necessità adattarvisi.
finche mi lasciano fiato dissi e quando
rerò
con piacere sentire

mese avea

pigliato

la vita. Io in

,

,

—

,

,

me

lo tofranno

allorché

Morrò.

Mi
dare
Il

,

farò

sono giunti

—

come
all'

tutti

i

malati

ultimo momento.

studiava di non lagnarmi di nulla
all'

anima mia

tutti

i

godimenti

più consueto godimento

si

,

e di

possibili.

era di andarmi

rinnovando V enumerazione dei beni che ave-
,

LE MIE PRIGIONI,

22

vano abbellito
dre

i

miei giorni

un' ottima madre

j

eccellenti,

tali e tali

i

un ottimo pa-

:

fratelli

,

amici

,

e

sorelle

una buona edu-

cazione, l'amore delle lettere ec. Chi più di

me

era stato dotato di felicità

ringraziarne Iddio

,

Perchè non

?

sebbene ora mi fosse tem-

perata dalla sventura? Talora facendo queir

enumerazione m' inteneriva e piangeva un
istante;

Fin

mail coraggio

amico. ISon era

il

Parlo per altro

Chi era

?

cinque o

— Un
sei

ladroni, e

la

d'

legge

Il
li

proces-

de' signori

una creatura umana.

fanciullo

anni.

aveva acquistato un

custode, non alcuno de'

non alcuno

secondini,
santi.

e la letizia tornavano.

da' primi giorni io

sordo e muto

,

padre

e la

aveva

,

dì

madre erano

colpiti. Il

misero

orfanello veniva mantenuto dalla Polizia con

parecchi

altri fanciulli della stessa

Abitavano

mia

tutti in

una stanza

condizione.

in faccia alla

ed a certe ore aprivasi loro

,

la

porta

affinchè uscissero a prender aria nel cortile.
Il

tava

e muto veniva sotto la mia finesmi sorrideva, e gesticolava. Io gli get-

sordo

tra, e

un

bel pezzo di pane

:

ei lo

prendeva,

facendo un salto di gioja, correva

compagni, ne dava a
mangiare

la

tutti,

e poi

a'

suoi

veniva a

sua porzioncella presso la mia
,

CAPO
finestra,

esprimendo

VII.

<23

sua gratitudine col

la

sorriso de' suoi begli occhi.

Gli

tano

altri fanciulli

ma non

,

mi guardavano da lon-

ardìano avvicinarsi

:

il

sordo-

muto aveva una gran simpatia per me
già per sola cagione d' interesse.
ei

non sapea che fare del pane
e mi facea segni eh' egli

tava

,

,

ne

Alcune volte
eh' io gli get-

e

i

com-

suoi

pagni aveano mangiato bene, e non potevano

prendere maggior cibo.

S' ei

vedea venire un

secondino nella mia stanza,

pane perchè

me

lo restituisse.

aspettasse allora da

zare innanzi alla

me

,

gli

ei

dava

il

Benché nulla

continuava a ruz-

ei

con una grazia

finestra,

amabilissima, godendo eh' io lo vedessi.

Una

un secondino permise al fanciullo d' enmia prigione questi appena entrato corse ad abbracciarmi le gambe mettendo un grido di gioja. Lo presi fra le
volta

trare nella

,

:

,

,

braccia

,

ed

mi colmava

è indicibile

il

di carezze.

quella cara animetta
terlo far

educare

,

in che

trovava

!

trasporto con cui

Quanto amore

Come

in

avrei voluto po-

e salvarlo dall' abbiezione

!

si

Non ho mai

saputo

il

suo nome. Egli stesso

non sapeva di averne uno. Era sempre lieto
e non lo vidi mai piangere se non una volta
,

LE BUE PRIGIONI,

24

che fu battuto

,

non

perchè

so

dal carce-

,

Cosa strana! Vivere in luoghi

riere.

sembra

il

fanciullo

colmo
avea

dell'

infortunio

certamente

,

simili

eppure quel

tanta

felicità
J

quanta possa averne a queir età

il

figlio

principe. Io facea questa riflessione

,

d un

ed im-

parava che puossi rendere Tumore indipendente dal luogo. Governiamo Y immaginativa, e staremo

bene quasi dappertutto. Vn

quando la sera uno
senza fame e senza acuti do-

giorno è presto passato
si

mette a

lori

e

che importa se quel

,

mura che
che

letto

,

si

si

letto è piuttosto fra

chiamino prigione

chiamino casa o palazzo

Ottimo ragionamento

!

,

Ma come

governare Y immaginativa? Io mi
e

ben pareami

glia

:

ma

o fra

mura

?

vi

si

fa

a

provava,

talvolta di riuscirvi a meravi-

altre volte la tiranna trionfava

io indispettito stupiva della

,

mia debolezza.

ed
,
.

,

CAPO

Vili.

CAPO

Vili.

Nella mia sventura son pur fortunato
diceva io

che m' abbiano dato una prigione

,

a pian terreno
tro passi da

su questo cortile

,

me

viene quel caro fanciullo

con cui converso

alla

Mirabile intelligenza

diciamo

egli

ove a quat-

,

ed

muta

dolcemente

si

umana Quante
!

!

cose ci

io colle infinite espressioni

Come comquando gli sorrido ? come li corregge quando vede che mi
spiacciono Come capisce che lo amo, quando
accarezza o regala alcuno de' suoi compagni
Nessuno al mondo se lo immagina, eppure io
degli sguardi e della fisonomia

pone

i

suoi moti con grazia

!

,

,

!

!

stando alla finestra, posso essere una specie

d'educatore per quella povera creaturina.
forza di ripetere

perfezioneremo

il

la

mutuo

A

esercizio de' segni

comunicazione delle nostre

idee. Più sentirà d'istruirsi e d'ingentilirsi

con
il

me

,

più mi

s'

affezionerà. Io sarò per lui

genio della ragione e della bontà

parerà a confidarmi
ceri

,

le

sue

brame

:

i

suoi dolori

,

i

io a consolarlo

egli

;

im-

suoi pia,

2

a nobi-
LE MIE PRIGIONI,

26

litarlo, a dirigerlo in tutta la sua condotta.

Chi

sa

che tenendosi indecisa

mia sorte

la

di

non mi lascino invecchiar
qui? Chi sa che quel fanciullo non cresca
sotto a' miei occhi e non sia adoprato a qual-

mese

in mese,

,

che servizio in questa casa? Con tanto inge-

gno quanto mostra
riuscire

?

Ahimè

!

d'

avere

,

che potrà

secondino o qualch' altra cosa di

bene

non avrò

j

egli

un ottimo
simile. Eb-

niente di più che

io fatto

buon* opera

contribuito ad ispirargli

il

se avrò

f

desiderio di pia-

cere alla gente onesta ed a se stesso

,

a dargli

V abitudine de' sentimenti amorevoli?
Questo soliloquio era naturalissimo. Ebbi
sempre molta inclinazione pe' fanciulli e
,

T ufficio d' educatore mi parea sublime. Io
adempiva simile ufficio da qualche anno
due giovaverso Giacomo e Giulio Porro
eh' io amava come
netti di belle speranze
figli miei e come tali amerò sempre. Dio
,

,

sa

quante volte in carcere

,

quanto m'

affliggessi

la loro educazione!

massi
tro

,

,

io pensassi a loro

!

di non poter compiere

quanto ardenti voti for-

perchè incontrassero un nuovo maes-

che mi fosse eguale

nell'

Talvolta esclamava tra

parodìa è questa

!

amarli

me

:

!

Che

brutta

Invece di Giacomo e Giù-
,

CAPO
lio

,

Vili.

27

fanciulli ornati de' più splendidi incanti

mi tocca
sordo muto

che natura e fortuna possano dare
per discepolo un poveretto
stracciato, figlio
al

po'

meno

Queste

garbato

si

Ma

il

!...

che

ai

più

che in termine

direbbe sbirro.

mi confondeano

riflessioni

sconfortavano.

,

d'un ladrone

più diverrà secondino-,

un

,

,

appena sentiva io

,

mi

lo strillo

mio mutolino che mi si rimescolava il
sangue come ad un padre che sente la voce

del

,

,

del figlio.

pavano in
guardo,

E quello strillo e la sua vista dissime ogni idea di bassezza a suo riE che colpa ha egli s'è stracciato

—

e difettoso, e di

razza di ladri?

umana, nell'età

dell'

innocenza, è sempre

rispettabile. Cosi diceva io; e

ogni giorno più con amore
crescesse in intelligenza, e

dolce divisamento
lirlo-,

d'

Un'anima

,

e

lo

guardava

mi parea che

confermavami nel

applicarmi ad ingenti-

e fantasticando su tutte le possibilità

,

pensava che forse sarei un giorno uscito di
carcere ed avrei avuto mezzo di far mettere

quel fanciullo nel collegio de' sordi e muti, e
d' aprirgli così la via

ad una fortuna più bella

che d'essere sbirro.

Mentre

io

m' occupava

cosi deliziosamente
LE MIE PRIGIONI,

28

del suo bene

un giorno due secondini ven-

,

gono a prendermi.

— cangia
— Che intendete
— C comandato
camera.
— Perchè
— Qualch'
grosso

alloggio, signore.

Si

dire

?

?

di trasportarla in un'

è

altra

?

altro

uccello

è

stato

preso, e questa essendo la miglior camera....
capisce bene....

— Capisco

:

è la

prima posa

de'

nuovi ar-

rivati.

E mi
opposta

trasportarono alla parte del cortile
,

non più

ma ohimè non
!

,

atta

al

Traversando quel

più a pian terreno,

conversare col mutolino.
cortile

,

vidi quel caro ra-

gazzo seduto a terra, attonito, mesto

mi perdeva. Dopo un

eh' ei

mi

corse incontro

ciarlo

com

5

rezza

,

i

e

mi

,

capì

secondini voleano cac-

io lo presi fra le braccia

egli era
,

;

:

istante s'alzò,

,

e

,

lo baciai e ribaciai

staccai da lui

— debbo

cogli occhi grondanti di lagrime.

sudicetto

con tenedirlo ?

—
,

CAPO

CAPO

IX.

29

IX.

Povero mio cuore! tu ami
sì

caldamente

,

già stato condannato

men

dolorosa

nuovo mio
zaccia

non

la

che

il

alloggio era tristissimo.
,

lurida

vetri alle imposte

sei

Questa non fu certo

!

e la sentii tanto più

;

oscura

,

facilmente e

sì

ed oh a quante separazioni

,

,

Una

stan-

con finestra avente

ma

carta

,

con pareti

contaminate da goffe pitturacce di colore

non oso

dir quale



e ne' luoghi

non

,

dipinti

erano iscrizioni. Molte portavano semplice-

mente nome, cognome
felice

,

e patria di qualche in-

colla data del giorno funesto della sua

cattura. Altre aggiungeano esclamazioni con-

una

tro falsi amici, contro se stesso, contro

donna, contro

il

giudice ec. Altre erano com-

;

pendi d autobiografia. Altre contenevano sentenze morali.
a

V erano queste parole di Pascal

Coloro che combattono

parino almeno qual
batterla.

,

prima

di

,

:

im-

com-

Se questa religione si vantasse d' avere

una veduta chiara
senza velo

che non

ella sia

la religione

si

,

di

Dio

,

e di possederlo

sarebbe un combatterla

il

dire

vede niente nel mondo che

,

lo
LE MIE PRIGIONI.

3o

Ma

mostri con tanta evidenza.
anzi, essere gli

da Dio

,

il

poiché dice

uomini nelle tenebre

quale

s'

zione, ed essere appunto

dà nelle Scritture

Deus

,

vantaggio possono

e lontani

è nascosto alia loro cogni-

nome

il

ch'egli

si

absconditus.... qual

essi trarre

,

allorché nella

negligenza che professano quanto alla scienza
della verità, gridano che la verità

loro mostrata

Più sotto era
autore)
a

non vien

? »

scritto (parole

dello stesso

:

Non

qui del lieve interesse di

trattasi

qualche persona straniera

;

trattasi di

noi me-

desimi e del nostro tutto. L'immortalità

dell'

anima è cosa che tanto importa o che toccaci
profondamente che bisogna aver perduto
,

sì

,

per essere nell'indifferenza di

ogni senno,

saper che ne

Un
<c

sia. »

altro scritto diceva

Benedico

la

prigione

conoscere l'ingratitudine

:

,

poiché
degli

ra'

ha

fatto

uomini,

la

mia miseria, e la bontà di Dio. »
Accanto a queste umili parole erano le più
violente e superbe imprecazioni d' uno che si
diceva ateo e che si scagliava contro Dio
come se si dimenticasse d' aver detto che non
,

v'

era Dio.

Dopo una colonna

di tali

bestemmie

,

ne
,

CAPO

IX.

3i

seguiva una d'ingiurie contro
così

chiamava

li

egli,

che

la

i

vigliacchi

sventura del

carcere fa religiosi.

Mostrai quelle scelleratezze ad uno de' secondini, e chiesi chi l'avesse scritta.

— Ho

piacere d'aver trovata quest'iscrizione, disse

ve ne son tante
cercare

E
tare

!

—

senz' altro

muro per

il

— Perchè
— Perchè

e fu

,

ciò

ed ho

,

diessi

sì

con un

coltello a grat-

farla sparire.
? dissi.

povero diavolo che

il

:

poco tempo da

l'

ha

scritta,

condannato a morte per omicidio preme-

ditato

,

se

ne pentì

,

e

mi fece pregare di questa

carità.

— Dio perdoni sclamai. Qual omicisuo
dio era
— Non potendo uccidere un suo nemico
vendicò uccidendogli
più
—
che
desse
gli

!

?

il

,

si

il

fanciullo

E

A

tanto

può giungere

mostro teneva

siffatto

,

bel

il

sulla terra.

si

Inorridii.

figlio

il

la ferocia!

linguaggio insul-

un uomo superiore a tutte le deboumane Uccidere un innocente un

tante d'
lezze

fanciullo

!

!

!
LE MIE PRIGIONI.

32

CAPO

Ijj

quella mia nuova stanza, così tetra e

immonda, privo della compagnia del
muto io era oppresso di tristezza. Stava

così

caro

,

molte ore

una

X.

alla finestra la

galleria

quale metteva sopra

e al di là della galleria vedeasi

,

r estremità del cortile e la finestra della mia

prima stanza. Chi erami succeduto colà
vi

?

Io

vedeva un uomo che molto passeggiava

colla rapidità di chi è pieno

o tre giorni dappoi

da scrivere

,

,

7

d agitazione.

vidi che gli

Due

avevano dato

ed allora se ne stava tutto

il

dì

al tavolino.

Finalmente

lo riconobbi. Egli usciva della

sua stanza accompagnato dal custode
agli esami.

Era Melchiorre Gioja

andava

:

!

Mi si strinse il cuore. Anche tu, valen(Fu più fortunato di me.
tuomo, sei qui
Dopo alcuni mesi di detenzione, venne ri!

messo in

La

libertà.

vista di

consola,

—
)

qualunque creatura buona mi

m'affeziona, mi fa pensare.

pensare ed amare sono un gran bene

!

Ah!
Avrei
,

CAPO
dato

mia

la

eppure

Dopo

33

per salvar Gioja di carcere

vita

vederlo

il

X.

mi

;

sollevava.

essere stato lungo

tempo

a guardarlo

a congetturare da' suoi moti se fosse tranquillo

d'animo od inquieto, a far voti per lui io
mi sentiva maggior forza maggiore abbon,

,

danza d'idee, maggior contento di me. Ciò
vuol dire che lo spettacolo d'una creatura

umana,

quale s'abbia amore, basta a

alla

temprare

M' avea dapprima
un povero bambino

solitudine.

la

recato questo benefizio

muto, ed or me

lo

recava la lontana vista

d'un uomo di gran merito.
Forse qualche secondino
era.

Un

mattino aprendo

sventolare

il

la

gli disse

dov'io

sua finestra, fece

fazzoletto in atto di saluto. Io gli

risposi collo stesso segno.

m'inondò l'anima

Oh, quale piacere
momento
Mi

in quel

!

pareva che la distanza fosse sparita, che fos-

simo insieme.

Il

cuore mi balzava come ad un

innamorato che rivede Y amata. Gesticolavamo
senza capirci, e colla stessa premura,
se ci capissimo

mente
-,

le

nostre

:

come

o piuttosto ci capivamo real-

que' gesti voleano dire tutto ciò che

anime sentivano, el'una non igno-

rava ciò che l'altra sentisse.

Qual conforto sembravanmi dover

essere
,

I

LE MIE PRIGIONI,

34

E l'avvenire

in avvenire que' saluti!

ma

que' saluti

volta

non furono più

giunse,

replicati

Ogni

!

ch'io rivedea Gioja alla finestra, io

faceva sventolare
secondini
d'eccitare

mi
i

guardavami
e così ci

il

fazzoletto.

Invano

!

I

dissero che gli era stato proibito

miei gesti o di rispondervi. Bensì
egli spesso

,

ed

io

guardava

dicevamo ancora molte

cose.

lui
CAPO

XI.

CAPO

Sulla
vano

XI.

galleria eh' era sotto la finestra

medesimo

livello

35

della

da mattina a sera

e ripassavano

,

al

mia prigione, passaaltri

prigionieri, accompagnati da secondino-, an-

esami, e ritornavano. Erano per

davano

agli

lo più

gente bassa. Vidi nondimeno anche
di condizione civile.

qualcheduno che parea

Benché non
su loro

,

potessi gran fatto fissare gli occhi

tanto era fuggevole

pure attraevano
più

la

mia

miei dolori:

feci, e fini

della

mia

loro passaggio,

meno mi commoveano. Questo

qual

tristo spettacolo, a'
i

il

attenzione-, tutti qual

ma

a

primi giorni, accresceva

poco a poco mi v'assue-

per diminuire anch' esso

1'

orrore

gli

occhi

solitudine.

Mi passavano parimente
molte donne arrestate. Da
s'andava, per un voltone,

sotto

quella

galleria

sopra un altro

cortile, e là erano le carceri muliebri e l'os-

pedale delle
assai sottile

sifilitiche.

Un muro

mi dividea da una

delle donne. Spesso le poverette

solo

,

ed

delle stanze

mi

assorda-
LE MIE PRIGIONI,

36

vano

colle loro canzoni,

risse.

A

talvolta colle loro

tarda sera, quando

romori erano

i

udiva conversare.

cessati, io le

Se avessi voluto entrare in colloquio, avrei

Me n'astenni, non

potuto.

midità
di

?

Per

so perchè.

ti-

per alterezza? per prudente riguardo

non affezionarmi

donne degradate? Do-

a

vevano esservi questi motivi
donna, quando

è ciò

me una

creatura

T udirla,

il

mi perturba

m'

,

sublime

mi

Ma

di nobili fantasie.

La

tre.

che debb' essere, è per

sì

parlarle

tutti

!

Il

vederla

arricchisce la

,

mente

avvilita, spregevole,

affligge

mi

,

spoetizza

il

cuore.

Eppure

(gli

eppure sono indispensabili

per dipingere l'uomo, ente

si

composto) fra

quelle voci femminili ve n' avea di soavi

queste
care.

—

e

perchè non dirlo?

Ed una

—

di quelle era più soave

altre, e s'udiva più di rado, e

,

e

m'erano
delle

non proferiva

pensieri volgari. Cantava poco, e-per lo più
questi soli

due

patetici versi

Chi rende

La sua

alla

meschina

felicità?

Alcune volte cantava

compagne

la

:

le

secondavano

,

litanie.

ma

io

Le sue
aveva

il
CAPO
dono

XI.

3

di discernere la voce di

Maddalena

dalle

che pur troppo sembravano accanile a

altre,

rapirmela.
Si, quella disgraziata chiamasi Maddalena.

Quando
dolori

teva

le

sue compagne raccon lavano

compativale e gemeva

ella

,

Coraggio

:

mia cara

,

5

i

loro

e ripe-

,

Signore non

il

abbandona alcuno.
Chi poteva impedirmi d'immaginarmela
bella e più infelice che colpevole, nata per la

virtù

capace di ritornarvi

,

,

erasene scos-

s'

tata? Chi potrebbe biasimarmi s'io m'inte-

neriva udendola, s'io l'ascoltava con venerazione

,

s'

particolare

io

pregava per

L'innocenza
pure

il

lei

con un fervore

?

è

veneranda,

pentimento!

Il

ma

l'Uomo-Dio, sdegnava
confusione

eh' ei più

tanto

onorava

,

?

d'

porre

egli di

pietoso sguardo sulle peccatrici
la loro

quanto

lo è

migliore degli uomini,

,

il

suo

di rispettare

aggregarle fra

le

anime

Perchè disprezziamo noi

Indonna caduta nell'ignominia?

Ragionando

cosi, fui cento volte tentato di

alzar la voce, e fare

una dichiarazione

fraterno a Maddalena.

Una

!

il

amor

volta avea già co-

minciato la prima sillaba vocativa

Cosa strana

d'

:

cuore mi batteva

«
,

Mad !... »
come ad
LE MIE PRIGIONI,

38

un ragazzo
sì

,

di quindici anni

eh' io ri avea trent'

uno

,

innamorato;
che non

e

è più

l'età dei palpiti infantili.

Non
«

potei

andar

Mad!... Mad!...

ridicolo

!

avanti.

E

Ricominciai

fu inutile.

gridai dalla rabbia

e

,

non Mad

»

»

:

«

Mi

:

trovai

Matto

!

e
,

CAPO

XII.

CAPO

Così

finì

retta se

39

XII.

mio romanzo con quella pove-

il

non che

le fui debitore di dolcissimi

sentimenti per parecchie settimane. Spesso
io era

rava

:

melanconico

e la sua voce

,

spesso pensando alla viltà ed

titudine degli uomini
loro

,

disamava

io

l'

,

m

esila-

all'

ingra-

m' irritava contro

io

universo

e la voce di

,

Maddalena tornava a dispormi a compassione
ed indulgenza.

— Possa tu,

o incognita peccatrice,

essere stata condannata a grave

qualunque pena

sii

!

lo

fosti

,

e vivere e

da

me

ti

che non

Possa tu ispirare, in ognuno che
pazienza

,

la

la fiducia in

Od

a

morir

Possa tu essere compianta e

rispettata da tutti quelli che

come

!

tu stata condannata, possa

tu profittarne e rinobilitarti

cara al Signore

pena

non

dolcezza

,

la

Dio, come

brama

conoscono
ti
ti

conobbi

!

vegga, la

della virtù

le ispiravi in

,

colui

amò senza vederti La mia immaginapuò errare figurandoti bella di corpo,
ma l'anima tua, ne son certo, era bella. Le
che

tiva

t'

!
,

LE MIE PRIGIONI,

40

tue compagne parlavano grossolanamente, e
tu con pudore e gentilezza

-,

bestemmiavano

benedicevi Dio*, garrivano, e tu compo-

e tu

nevi le loro

liti.

Se alcuno

t'

ha porto

la

mano

per sottrarti dalla carriera del disonore

,

se

t'ha beneficata con delicatezza, se ha asciugate le tue lagrime, tutte le consolazioni pio-

vano su

lui

su' suoi figli

,

,

e sui figli de' suoi

figli!Contigua

Uno

parlare.

non

torità,

dizione
cia.

alla

mia, era una prigione abi-

da parecchi uomini. Io

tata

di loro superava gli altri in au-

maggiore finezza di con-

forse per

ma

,

per maggior facondia ed auda-

Questi facea

come

,

si

dice,

Rissava e metteva in silenzio
coli'

udiva anche

li

i

il

dottore.

contendenti

imperiosità della voce, e colla foga delle

parole

-,

dettava loro ciò che doveano pensare

e sentire

,

e quelli

,

dopo qualche renitenza

,

finivano per dargli ragione in tutto.
Infelici!
le

non uno

di loro, che temperasse

spiacevolezze della prigione

,

esprimendo

qualche soave sentimento, qualche poco di
religione e d'amore!
Il

posi.

caporione di que' vicini mi salutò, e

Mi

ris-

chiese com'io passassi quella male-

detta vita. Gli

dissi

,

che

,

sebben

trista

,
CAPO

XII.

4i

niuna vita era maledetta per me, e che
alla

morte

,

piacer di pensare e d'amare.

—

Mi

Si spieghi, signore,

non

spiegai, e

si

fui capito.

coraggio d'accennare,

me

Maddalena
una grandissima risata,

dalla voce di

,

cos'è

compagni. —

che cos'è

?

Il

il

?

il

E quando,
,

come esempio,

nerezza carissima che in

— Che

sino

—

spieghi.

dopo ingegnose ambagi preparatorie

in

,

bisognava procacciar di godere

ebbi

il

la te-

veniva destata

caporione diede

gridarono

i

suoi

profano ridisse con carica-

tura le mie parole, e le risate scoppiarono in
coro, ed io feci

lì

pienamente

la figura dello

sciocco.

Avviene in prigione come nel mondo. Quelli
che pongono

la lor saviezza

lagnarsi, nel vilipendere,

compatire, l'amare,

il

nel fremere, nel

credono

il

consolarsi con belle

fantasie, che onorino l'umanità ed
tore.

follia

il

suo

Au-
LE MIE PRIGIONI,

42

% *»"W *^*^V*^**"W%/*^k %•»/*»

CAPO

XIII.

Lasciai ridere, e non opposi sillaba.
cini

mi

diressero

due o

I vi-

tre volte la parola

;

io

stetti zitto.

— Non più
— tenderà Y orecchio
lena —
sarà

ne sarà

ai sospiri di

ito

si

Madda-

sarà offeso delle nostre risa.

Così andarono dicendo per

mente

il

—

se

alla finestra

—

un poco. E

caporione impose silenzio agli

finalaltri

che susurravano sul mio conto.

— Tacete,

non sapete quel
non è un si
grand' asino come credete. Voi non siete cabestioni, che

che diavolo vi

dite.

Qui

vicino

il

paci di riflettere su niente. Io sghignazzo,

poi rifletto

sanno

Un

io.

Tutti

i

far gli arrabbiati,

villani

un

,

po' più di fede ne' benefizii del cielo,

che cosa vi pare sinceramente, che

dizio

ma

mascalzoni

come facciamo noi.
un po' più di ca-

po' più di dolce allegria

rità,

di

,

sia in-

?

— Or che

ci rifletto

anch'

io,

rispose uno,

mi pare che sia indizio d' essere alquanto meno
mascalzone.
CAPO

— Bravo
toreo

!

gridò

il

XIII.

43

caporione con urlo sten-

questa volta torno ad aver qualche

;

stima della tua zucca.

—

Io non insuperbiva molto, d'essere solamente reputato alquanto meno mascalzone
di loro
eppur provava una specie di gioja
;

,

che que' disgraziati

si

portanza di coltivare

ricredessero, circa Y imi

sentimenti benevoli.

Mossi T imposta della finestra , come se tornassi allora. Il caporione

mi chiamò.

Risposi,

sperando che avesse voglia di moralizzare a

modo mio. M'ingannai.
sfuggono

ragionamenti

i

Gli spiriti volgari
serii

:

se

una nobile

verità traluce loro, sono capaci di applaudirla

un

istante

,

ma tosto dopo

ritorcono da essa lo

sguardo, e non resistono alla libidine d' ostentar senno,

ponendo quella

scherzando.

Mi

verità in dubbio e

'

chiese poscia, s'io era in prigione per

debiti.

— No.
— Forse accusato
falsamente
— Sono accusato
— Di cose amore
— No.

di truffa ? Intendo accu-

sato

,

sa.

di tutt' altro.

d'

— D' omicidio

«

?

?
LE

44

3IIE

— No.
— Di carboneria
— Appunto.
— E che sono
— Li conosco
—

PRIGIONI

?

questi carbonari
così poco,

?

che non saprei

dirvelo.

Un
lera,

secondino c'interruppe con gran cole

dopo d'aver colmato d'improperii

miei vicini

,

si

d'uno sbirro,

volse a

me

ma d'un

colla gravità

.

maestro, e disse

i

non
:

—

,



ergogna

signore

,

con ogni sorta
son ladri

?

Arrossii

—
.

!

degnarsi di conversare

di gente

!

Sa

ella

che costoro

e poi arrossii d'aver arrossito, e

mi parve, che

il

degnarsi di conversare con

ogni specie d'infelici sia piuttosto bontà che
colpa.
CAPO XIV.

CAPO

45

XIV.

Il mattino seguente andai alla finestra

vedere Melchiorre Gioja,
più

co' ladri.

ma non

,

per

conversai

Risposi al loro saluto, e dissi

che m'era vietato di parlare.

Venne

l'attuario che

m'avea

fatto gì' inter-

rogatomi, e m'annunciò con mistero una visita

parve

E quando

che m'avrebbe recato piacere.

gli

disse

d'

avermi abbastanza preparato

Insomma

:

è

suo padre

,

compiaccia

si



di seguirmi.

Lo

seguii abbasso negli uffici

di contento e

di tenerezza

,

e

,

palpitando

sforzandomi

d'avere un aspetto sereno che tranquillasse

il

mio povero padre.
Allorché avea saputo

il

mio

arresto,

egli

avea sperato che ciò fosse per sospetti da nulla,
e ch'io tosto uscissi.

Ma

vedendo che

la

de-

tenzione durava, era venuto a sollecitare

il

Governo Austriaco per la mia liberazione.
Misere illusioni dell' amor paterno Ei non
!

potea credere, ch'io
rio da

espormi

fossi stato cosi

al rigore delle leggi

,

temerae la stu-
LE MIE PRIGIONI.

46

diala ilarità con che gli parlai

lo persuase

,

ch'io non avea sciagure a temere.
Il

breve colloquio che

m'agitò indicibilmente

;

ci

conceduto

fu

tanto più ch'io re-

primeva ogni apparenza d'agitazione.
difficile fu di

più

Il

non manifestarla quando con,

venne separarci.
Nelle circostanze in cui era

i'

Italia

,

io

tenea per fermo che l'Austria avrebbe dato
esempii straordinarii di rigore

,

e eh' io sarei

condannato a morte od a molti anni

di

prigionia. Dissimulare questa credenza ad

un

stato

padre

lusingarlo colla dimostrazione di fon-

!

date speranze di prossima libertà! non pro-

rompere

in lagrime abbracciandolo, parlan-

madre de' fratelli e delle sorelle,
non riveder più mai sulla
pregarlo con voce non angosciata, che

dogli della

,

eh' io .pensava

terra!

venisse ancora a vedermi se poteva

mai mi
Egli

!

Nulla

costò tanta violenza.
si

tornai nel

divise consolatissimo da

mio carcere

col cuore

me, ed

io

straziato.

Appena mi vidi solo, sperai di potermi solabbandonandomi al pianto. Questo
sollievo mi mancò. Io scoppiava in singhiozzi,
e non potea versare una lagrima. La disgrazia
di non piangere è una delle più crudeli ne'
levare,
CAPO
sommi
vata

dolori

,

XIV.

4:

ed oh quante volte Y ho pro-

!

Mi

una febbre ardente con fortissimo
mal di capo. Non inghiottii un cucehiajo di
minestra in tutto il giorno. Fosse questa una
prese

malattia mortale, diceva io, che abbreviasse
i

miei martirii

!

Stolta e codarda

brama Iddio non

ed or ne lo ringrazio.

!

E ne

l'esaudì,

lo ringrazio

,

solo perchè dopo dieci anni di carcere

riveduto
felice

*,

la

ma

mia cara famiglia,
anche perchè

gono valore

non sieno

all'

uomo

stati inutili

,

i

non
ho

,

e posso dirmi

patimenti aggiun-

e voglio sperare

per me.

che
LE MIE PRIGIONI.

AB

CAPO
Due

giorni appresso

aveva dormito bene
febbre.

,

XV.

mio padre tornò.

la notte,

Mi ricomposi

a disinvolte e liete

niere, e niuno dubitò di ciò che

avesse sofferto

ma-

mio cuore

disse

il

padre, che fra pochi

mandato a Torino. Già t'abbiamo

apparecchiata

grande

il

e soffrisse ancora.

,

— Confido, mi
giorni sarai

Io

ed era senza

la stanza,

ansietà.

miei

I

e t'aspettiamo

doveri

m'obbligano a ripartire. Procura,

d'

te

go, procura di raggiungermi presto.

con

impiego

ne pre-

—

La sua tenera e melanconica amorevolezza
mi squarciava 1' anima. Il fingere mi pareva
comandato da pietà, eppure

una

specie di rimorso.

mio padre

cosa più degna di
gli

avessi detto

:

—

con

io fingeva

Non

sarebbe stato
e di

me

,

s'

Probabilmente non

io
ci

vedremo più in questo mondo Separiamoci
da uomini senza mormorare, senza gemere
e ch'io oda pronunciare sul mio capo la pa!

,

5

terna benedizione

!

—

Questo linguaggio mi sarebbe mille volte
CAPO XV.
più piaciuto della finzione.

Ma

io

guardava

occhi di quel venerando vecchio

gli

lineamenti

,

suoi

i

capelli

grigi

,

sembrava che V infelice potesse aver
udire

d'

E

se

suoi

non mi

e

,

i

la forza

tai cose.

per non volerlo ingannare, io l'avessi

veduto abbandonarsi

disperazione, forse

alla

svenire, forse (orribile idea!) essere colpito

da morte nelle mie braccia

Non

potei dirgli

tralucere!

La mia

?

vero, né lasciarglielo

il

foggiata serenità lo illuse

pienamente. Ci dividemmo senza lagrime.

Ma

ritornato nel carcere/ fui angosciato come
l'altra volta, o più

vano pure invocai

fieramente ancora; ed inil

dono del pianto.

Rassegnarmi a tutto l'orrore d'una lunga
prigionia, rassegnarmi

patibolo, era nella

al

Ma rassegnarmi all'immenso done avrebbero provato padre, madre,
lore che
mia

forza.

fratelli e sorelle

la

mia

Mi

forza

,

ah

!

questo era quello a cui

non bastava.

prostrai allora in terra con

quale io non aveva mai avuto
nunciai questa preghiera

— Mio Dio
ma

,

invigorisci

si

un fervore

forte

,

e

pro-

:

accetto tutto dalla tua

mano

prodigiosamente

cuori a

sì

i

;

cui io era necessario, eh' io cessi d' esser loro
3
LE MIE PRIGIONI,

5o
tale

ciò

non abbia perun giorno

e la vita d' alcun di loro

,

ad abbreviarsi pur

Oh

d'

!

beneficio della preghiera

ore colla mente elevata a Dio
cia cresceva a

Stetti più

!

e la

,

—

mia fidu-

misura ch'io meditava sulla

bontà divina, a misura ch'io meditava sulla
grandezza

dell'

anima umana

del suo egoismo

che

altro volere

,

e si sforza di

,

quando esce
non aver più

volere dell' infinita Sa-

il

pienza.
Sì ciò si può
La ragione, che è
,

!

ciò è
la

il

dovere

dell'

voce di Dio

,

la

uomo

ne dice che bisogna tutto sacrificare
virtù.

E

sarebbe compiuto

siamo debitori

alla virtù

rosi luttassimo contro

d'ogni virtù è

Quando

il

il

alla

sacrificio di cui

il

se nei casi più dolo-

volere di Colui che

principio

?

patibolo o qualunque altro mar-

tirio è inevitabile,
il

,

il

!

ragione

il

temerlo codardamente,

non saper muovere ad

esso

benedicendo

il

Signore, è segno di miserabile degradazione

od ignoranza. Ed

è

non solamente d'uopo

consentire alla propria morte,
zione che ne proveranno

non
peri

lice se
,

i

ma

non dimandare che Dio

che Dio

tutti ci

sempre esaudita.

all'affli-

nostri cari. Altro

regga

;

tal

la

tem-

preghiera è
,

CAPO XYI.

CAPO

XVI.

Volsero alcuni giorni
desimo

stato



5i

ed

,

io era nel

me-

cioè in una mestizia dolce

piena di pace e di pensieri

Pareami

religiosi.

d' aver trionfato d' ogni debolezza

e di

,

non

essere più accessibile ad alcuna inquietudine.

Folle illusione

perfetta costanza
terra.

U uomo

!

,

ma non

Che mi turbò

infelice

-,

dee tendere
vi

— La

?

giunge mai sulla

un amico

vista d'

mio buon Piero

la vista del

alla

,

che

passò a pochi palmi di distanza da

me

galleria, mentr'io era alla finestra.

L'aveano

tratto del suo covile

per condurlo

,

sulla

alle carceri

criminali.

Egli, e coloro che l'accompagnavano, pas-

sarono così presto, che appena ebbi
riconoscerlo, a vedere

un suo cenno

campo a

di saluto,

ed a restituirglielo.

Povero giovane Nel
!

fiore dell' età

,

con un

ingegno di splendide speranze con un carat,

tere onesto

,

delicato

,

amantissimo, fatto per

godere gloriosamente della vita

,

in prigione per cose politiche

in

,

precipitato

tempo da
LE MIE PRIGIONI.

52

non poter certamente evitare
mini della legge

più severi ful-

i

!

Mi

prese tal compassione di lui

,

tale af-

fanno di non poterlo redimere, di non poterlo

almeno confortare

colla

mia presenza

mie parole, che nulla valeva

a

e colle

rendermi un

poco di calma. Io sapeva quant'

egli

amasse

sua madre, suo fratello, le sue sorelle,

cognato

nipotini

i

,

;

il

agognasse

quant' egli

contribuire alla loro felicità, quanto, fosse

riamato da

tutti

quei cari oggetti. Io sentiva

qual dovesse essere l'afflizione di ciascun
loro a tanta disgrazia.

per esprimere

me.

dronì di

la

E

Non

di

vi sono termini

smania che allora
questa smania

si

s'

impa-

prolungò

cotanto, eh' io disperava di più sedarla.

Anche questo spavento

O

afflitti

tabile

,

,

era un' illusione.

che vi credete preda d'un inelut-

orrendo

,

sempre crescente dolore

pazientate alquanto, e vi disingannerete

somma
durare

pace, né

somma

quaggiù.

!

,

Né

inquietudine possono

Conviene

persuadersi di

questa verità, per non insuperbire nelle ore
felici e

non

avvilirsi in quelle del perturba-

mento.

A

lunga smania

apatia.

Ma

l'apatia

successe

stanchezza

neppure non

é

ed

durevole,
CAPO XVI.
e temelti di

53

dover, quindi in poi, alternare

senza rifugio, tra questa e V opposto eccesso.
Inorridii alla prospettiva di simile avvenire
e ricorsi

anche questa volta ardentemente

alla preghiera.

Io dimandai a Dio d' assistere

Piero come

me,

e la sua casa

il mio misero
come la mia.

Solo ripetendo questi voti, potei veramente
tranquillarmi.
LE MIE PRIGIONI.

54

CAPO
Ma

XVII.

quando l'animo era quetato,

io riflet-

teva alle smanie sofferte, e adirandomi della

mia debolezza, studiava

Giovommi

a tal

il

modo

di guarirne.

uopo questo espediente. Ogni

mia prima occupazione dopo breve
omaggio al Creatore era il fare una diligente

mattina

,

,

,

e coraggiosa rassegna d'ogni possibile evento

commuovermi. Su ciascuno fermava
e mi vi preparava
la fantasia

atto a

vivamente

dalle più care visite

nefice

,

io le

esercizio

portevole

:

,

,

—

fino alla visita del car-

immaginava

tutte.

Questo

tristo

sembrava per alcuni giorni incom,

ma

volli essere perseverante

,

ed

in breve ne fui contento.

Al primo dell'anno (1821) il conte Luigi
Porro ottenne di venirmi a vedere. La tenera
,

e calda amicizia eh' era tra noi

avevamo
che

a.

di dirci tante cose,

,

il

bisogno che

l'impedimento

questa effusione era posto dalla presenza

d'un attuario,

il

troppo breve tempo che

fu dato di stare insieme

,

i

menti che mi angosciavano,

ci

sinistri presenti-

lo sforzo

che

fa-
,

CAPO
cevamo

egli

55

parer tranquilli, tutto

io di

dovermi mettere una delle più ter-

ciò parea

tempeste nel cuore. Separato da quel

ribili

caro amico

ma

ed

XVII.

,

mi

calma

sentii in

intenerito

-,

in calma.

Tale è

l'efficacia del

premunirsi contro

le

emozioni.

forti

mio impegno

Il

stante

,

d'

acquistare una calma codi dimi-

non movea tanto dal desiderio

nuire la mia infelicità

,

quanto dall' apparirmi

brutta, indegna dell'uomo, l'inquietudine.

Una mente

agitata

non ragiona più

avvolta

:

un turbine irresistibile d'idee esagerate si
forma una logica sciocca furibonda maligna è in uno stato assolutamente antifilosofra

,

,

:

fico, anticristiano.

S' io fossi predicatore, insisterei spesso sulla

necessità di bandire l'inquietudine

può

esser

cifico

buono ad

con

altro patto.

sé e cogli altri

:

non

si

Com'era pa-

Colui che dobbiamo

tutti imitare! Non v'è grandezza d'animo,
non v'è giustizia senza idee moderate, senza
uno spirito tendente più a sorridere che ad

adirarsi degli avvenimenti di questa breve
vita. L'ira

non ha qualche valore

caso rarissimo

,

che

sia

,

se

presumibile

non nel
d' umi-
LE MIE PRIGIONI.

56

con essa un malvagio e di rilrarlo

Ilare

dall'

iniquità.

Forse

si

danno smanie

quelle eh' io conosco, e

Ma

di natura diversa da

meno condannevoli.

quella che m'avea fin allora fatto suo

schiavo
zione

:

non era una smania

,

vi si

pura

di

affli-

mescolava sempre molto odio,

molto prurito di maledire

di

,

dipingermi

la

società, o questi o quegli individui, conco-

più esecrabili. Malattia epidemica nel

lori

mondo! L'uomo
rendo

gli altri.

Pare che

cano all'orecchio
noi

5

reputa migliore, abbor-

si

gridando che

:

si

difra

tutti

tutti gli

sono ciurmaglia

brerà che siamo semidei.

Curioso

fatto,

Vi

cia tanto!

si

che

il

si

fremeva

ne cerca subito un altro.

mostro

amici

,

?...

Oh

gioja

laceriamolo

Così va

il

sem-

vivere arrabbiato piac-

menterò oggi ? chi odierò
il

,

»

pone una specie d'eroismo. Se

l'oggetto contro cui jeri
se

amici

Amiamoci solamente

«

mondo

!

:

!

—

?

— Di

è

chi

morto,

mi

la-

sarebbe mai quello

l'ho trovato. Venite

,

e senza lacerarlo, posso

ben dire che va male.
capo xvnr.
fc»^V"V%^WX^.-V«»'*'WV*'%i w»*«*

CAPO

Non v

»•*/>. w*-%

XVIII.

era molta malignità nel lamentarmi

dell' orridezza della stanza,
to.

Per buona ventura

gliore

,

e

5?

«/-v^i

mi

fece

si

ove m'aveano pos-

restò vota una miY amabile sorpresa di dar,

mela.

Non
tale

avrei io dovuto esser contentissimo a

tuto

—

Tant' è non ho poEppure
pensare a Maddalena senza rincresci-

annuncio

?

mento. Che fanciullaggine

;

!

affezionarsi sem-

pre a qualche cosa, anche con motivi, per
verità

,

non molto

cameraccia
la

,

forti

!

Uscendo

di quella

voltai indietro lo sguardo, verso

parete alla quale io m' era

poggiato, mentre, forse

sì

sovente ap-

un palmo più

vi s'appoggiava dal lato opposto

la

in là

peccatrice. Avrei voluto sentire ancora
volta

que'due

patetici versi

Chi rende

La sua

Vano

,

misera

una

:

meschina

alla

felicità ?

desiderio

!

Ecco una separazione

di
LE MIE PRIGIONI,
più nella mia sciagurata vita.
larne lungamente

ma sarei un
fui

,

non

ipocrita, se

,

andarmene

miei vicini

,

me

:

ne

confessassi che

,

salutai

due

de' poveri la-

eh' erano alla finestra. Il ca-

,

ma

porione non v'era,
gni

voglio par-

mesto per più giorni.

Neil'

dri

Non

per non far ridere di

mi

v'accorse, e

compa-

avvertito dai

risalutò anch' egli.

mise quindi a canterellare l'aria

:

alla meschina. Voleva egli hurlarsi di

Scommetto che
« Sì.

:

,

a

quaranlanove risponde-

Ebbene ad onta

))

—

me ?

dimanda

se facessi questa

cinquanta persone

rebbero

Si

Chi rende

pluralità di voti, inclino a

di

tanta

credere che

il

buon ladro intendea di farmi una gentilezza.
Io la ricevetti come tale e gliene fui grato e
,

,

gli

diedi ancora un' occhiata

gendo
in

il

:

ed

egli

spor-

braccio fuori de' ferri col berretto

mano, faceami ancor cenno,

allorch'io

voltava per discendere la scala.

Quando

fui

lazione. V'era

Mi

nel cortile, ebbi
il

mutolino sotto

una consoil

portico.

mi riconobbe, e volea corrermi incontro. La moglie del custode, chi sa pervide,

chè?

Mi
i

l'afferrò pel collare e lo cacciò in casa.

spiacque di non poterlo abbracciare,

saltetti eh' ei fece

per correre a

ma

me mi com-
CAPO

XVIII.

mossero deliziosamente.
sere amato

passi più in là

stanza già mia

Ahi

«

:

!

di

giorno, Melchiorre?»

capo

il

,

e

dissi

gli

balzando verso me,

—

Buon giorno, Silvio! »
non mi fu dato di fermarmi un
portone,

il

salii

una

sca-

venni posto in una cameruccia pu-

letta, e

lita, al di

sopra di quella di Gioja.

Fatto portar

muri.

Due

grandi avventure.

e nella quale ora stava Gioja.

,

istante. Voltai sotto

condini

dolce Y es-

mossi vicino alla finestra della

,

passando. Alzò
gridò

sì

!

Era giornata

— «Buon

È

s9

cosa

il

letto

,

e lasciato solo dai se-

,

mio primo

affare fu di visitare

V erano alcune memorie scritte

i

quali

,

con matita, quali con carbone, quali con

punta incisiva. Trovai graziose due strofe
francesi, che or m' incresce di

non avere im-

parate a memoria. Erano firmate le due de

Normandie. Presi
alla

lena

meglio
-,

ma

l'

cantarle

a

aria della

Bravo

!

»

Ed

mente, chiedendomi

— No; sono
Pellico.

adattandovi

mia povera Madda-

ecco una voce vicinissima che

ricanta con altr' aria.
gridai «

,

le

Com'ebbe finito, gli
mi salutò gentil-

egli

s'io era

Italiano, e

Francese.

mi chiamo

Silvio
,

LE MIE PRIGIONI.

6o

— L'autore
— Appunto. —

della

E
rali

Francesca da Rimini?

qui un gentile complimento

condoglienze sentendo eh' io

,

e le natu-

fossi in car-

cere.

Mi dimandò

di qual parte d' Italia fossi na-

tivo.

— Di Piemonte,
E

dissi

-,

sono Salurzese.

—

qui nuovo gentile complimento sul ca-

rattere e sul!' ingegno de' Piemontesi
ticolare

menzione

e in ispecie di

,

e

par-

de' valentuomini Saluzzesi

Bodoni.

Quelle poche lodi erano fine, come
fanno da persona

di

buona educazione.

si

— Or mi
chiedere
— Avete cantata una mia canzoncina.
— Quelle due
che stanno
muro sono
—
— Voi
dunque....
—
duca
Normandia. —
sia lecito

,

gli dissi

,

a voi, signore, chi siete.

belle strofette

sul

vostre

,

Sì

,

?

signore.
siete

L'infelice

di

di
,

CAPO XIX.

61

CAPO XIX.

Il custode passava sotto le nostre finestre
e ci fece tacere.

io

Quale infelice duca di Normandia? andava
ruminando. Non è questo il titolo che da-

vasi al figlio di Luigi

fanciullo

è

XVI ? Ma

quel povero

— Eb-

indubitatamente morto.

mio vicino sarà uno

bene,

il

che

sono provati a farlo rivivere.

si

de' disgraziati

Già parecchi si spacciarono per Luigi XVII
e

furono riconosciuti impostori

gior credenza

Sebbene

dovrebbe questi ottenere

io cercassi di stare in

,

qual mag-

:

me

invincibile incredulità prevaleva in

—

?

dubbio

,

,

un
ed

ognor continuò a prevalere. Nondimeno determinai di non mortificare Y infelice

lunque

,

qua-

frottola fosse per raccontarmi.

Pochi

istanti

dappoi

,

ricominciò a cantare,

indi ripigliammo la conversazione.

Alla mia dimanda
eh' egli era

sull' esser

suo

appunto Luigi XVII,

e

rispose

,

si

:

diede a
LE MIE PRIGIONI.

6<i

declamare con forza contro Luigi XVIII suo
zio, usurpatore de' suoi diritti.

— Ma
valere
tempo
— mi trovava

questi diritti

,

come non

li

faceste

della Ristorazione?

al

Io

allora

mortalmente am-

malato a Bologna. Appena risanalo, volai a

mi presentai

Parigi,

alle Alte

quel eh' era fatto era fatto

non
lui

volle riconoscermi;

per opprimermi.

Condé m'

Il

:

mia

solo

Una

di Parigi, fui assalito

da

Dopo

sorella s'unì a

ma

lì,

sua

armati di

sicarii,

loro colpi.

a'

mi fermai

scrivendo incessantemente

d'Europa,

la

di

sera, perle vie

ed a stento mi sottrassi

,

ma

buon principe

Norman-

aver vagato qualche tempo in

dia, tornai in Italia, e

Di

Potenze,

iniquo mio zio

accolse a braccia aperte,

amicizia nulla poteva.

pugnali

1'

a

Modena.

monarchi

ai

e particolarmente all'imperatore

Alessandro, che mi rispondea colla massima
gentilezza

mente

io

,

non disperava d'ottenere

final-

giustizia, o se, per politica, voleano

sacrificare

i

miei

diritti al

trono di Francia,

che almeno mi s'assegnasse un decente appannaggio.

del ducalo

confini

gnato

Venni

al

arrestato,
di

condotto

Modena

e

,

governo Austriaco. Or

,

ai

conse-

da

otto
,

CAPO XIX.
mesi

sono qui sepolto

,

uscirò

e

,

63

Dio

sa

quando

,

!

Non

Ma

prestai fede a tutte le sue parole.

eh' ei fosse

lì

una

sepolto era

verità

,

m'

e

is-

pirò una viva compassione.

Lo

pregai di raccontarmi in compendio la

Mi

sua vita.

disse

con minutezza

tutti

i

misero collo scellerato Simon

quando

lo

zolaio-,

quando

vera regina sua madre

,

i

notte a prenderlo;

fu trafugato.

un

,

-,

lo

Là

il

generale

—

lo ricordo)

mandò
il

,

,

ed

ei

al

Reno

(mi

,

disse

e passati
il

i

nome,

che Tavea liberato,

tempo da educatore, da

o condusse quindi in

Ame-

giovane re senza regno,

ebbe

molte peripezie, patì
litò

fanciullo stupido per

ed uno de' cavalli era una

fece per qualche

padre

finalmente

di legno, nella quale ei fu celato.

ma non me

rica.

E

venne gente una

fu posto in sua vece

Andarono felicemente

gli

,

V era nella strada una carrozza

a quattro cavalli

confini,

,

cal-

costumi della po-

ec. ec.

che essendo in carcere

nome Mathurin

,

indussero ad attestare un'

lo

infame calunnia contro

macchina

parti-

XVII

colari eh' io già sapeva intorno Luigi

la

fame

ne' deserti,

mi-

visse onorato e felice alla corte del re

del Brasile, fu calunniato, perseguitato, co-
LE MIE PRIGIONI,

64

stretto a fuggire.

Tornò

in

Europa

nire deli' impero Napoleonico

gione

a ZSapoli

quando

il

fu tenuto pri-

da Giovacchino Murat^

rivide libero ed

si

riclamare

-,

in sul fi-

trono di Francia

e

in procinto di
,

logna quella funesta malattia

lo colpì a
,

quale Luigi XYIII fu incoronato.

durante

Bola
CAPO XX.
»,%. %^»/%. *s*. •+, m.

65

•

CAPO XX.

Ei raccontava questa

con una sor-

storia

prendente aria di verità. Io non potendo crederlo

pur T ammirava. Tutti

,

rivoluzione francese

gli

i

della

fatti

erano notissimi

parlava con molto spontanea eloquenza

,

ne

;

e

ri-

feriva ad ogni proposito aneddoti curiosissimi.

V'era alcun che di soldatesco nel suo

dire,

ma

senza mancare di quella eleganza

oh' è data dall' uso delia fina società.

— Mi

permetterete,

buona, ch'io non

tratti alla

— Questo

sventura

Dalla

guadagno

,

V assicuro
Mattina
;

vi dia titoli.

ho almeno

,

,

tratto

che mi pregio più

—

e sera

ch'io vi

che desidero, rispose.

che so sorridere di tutte

che d'esser re.

insieme

ciò

è

dissi,

gli

questo

le vanità.

d' esser

uomo

conversavamo lungamente

,

e, ad onta di ciò ch'io riputava

commedia in lui l'anima sua mi parea
buona candida desiderosa d' ogni bene moesser

,

,

rale.

Più volte

,

fui

io vorrei credere

per dirgli

:

— Perdonate

che foste Luigi XVII

,

,

ma
LE MIE PRIGIONI,

66

sinceramente vi confesso che
contraria

domina

in

me

,

la

persuasione

abbiate tanta fran-

chezza da rinunciare a questa finzione.

ruminava

tra

me una

—E

bella predicuccia da

fargli sulla vanità d' ogni

bugia

,

anche delle

bugie che sembrano innocue.

Di giorno

in giorno differiva

-,

sempre aspet-

tava che l'intimità nostra crescesse ancora di

qualche grado, e mai non ebbi ardire
guire

il

mio intento.

Quando
dire

questa mancanza d' ar-

come urbanità neces-

onesto timore d' affliggere

,

Ma

io.

rifletto a

talvolta la scuso

,

saria

d' ese-

,

e che so

queste scuse non m'accontentano, e

non posso dissimulare che sarei più soddisse non mi fossi tenuta nel gozzo
fatto di me
,

,

T ideata predicuccia. Fingere di prestar fede
parmi
ad un'impostura, è pusillanimità
:

che noi farei più.
Sì, pusillanimilà! Certo, che per quanto

s'involva in delicati preamboli, è aspra cosa

uno « Non vi credo. » Ei si sdegnerà perderemo il piacere della sua amiciil

dire ad

:

,

zia,

ci

perdita è più onorevole del
il

Ma
mentire. E

colmerà forse d'ingiurie.

disgraziato che ci

ogni
forse

colmerebbe d'ingiurie,

vedendo che una sua impostura non

è ere-
CAPO XX.

67

duta, ammirerebbe poscia in secreto la nostra sincerità

sioni

che

il

,

e gli sarebbe

motivo di

rifles-

ritrarrebbero a miglior via.

secondini inclinavano a credere eh'

I

fosse

ei

veramente Luigi XVII, ed avendo già

veduto tante mutazioni di fortune

,

non

di-

speravano che costui non fosse per ascendere

un giorno

al

trono di Francia

,

della loro devotissima servitù.

vorire la sua fuga

,

usavano

gli

e

si

ricordasse

Tranne
tutti

i

il

fa-

riguardi

eh' ei desiderava.

Fui debitore a

ciò

,

dell'

onore di vedere

il

gran personaggio. Era di statura mediocre,

45 anni, alquanto pingue,

dai 4° a i

e di

fisonomia propriamente Borbonica. Egli è
verisimile
coi

,

che un' accidentale somiglianza

Borboni l'abbia indotto a rappresentare

quella trista parte.
LE MIE PRIGIONI.

68

CAPO XXL

umano

D' ra altro indegno rispetto

gna eh'

m' accusi.

io

Il

biso-

mio vicino non era

ateo, ed anzi parlava talvolta de' sentimenti

come uomo che

religiosi,

v'è straniero-,

ma

li

venzioni irragionevoli contro
il

quale

ei

il

Cristianesimo,

guardava meno nella sua vera

senza, che nei suoi abusi.
filosofia

apprezza e non

serbava tuttavia molte pre-

La

es-

superficiale

che in Francia precedette e seguì

la

rivoluzione, Y aveva abbagliato. Gli pareva

che

si

rezza

,

potesse adorar Dio con maggior pu-

che secondo

la religione del

Vangelo.

Senza aver gran cognizione di Condillac e

li venerava come sommi pensatori
e
immaginava che quest' ultimo avesse dato
compimento a tutte le possibili indagini

Tracy,
s'

il

di
,

metafisiche.
Io che aveva spinto più oltre
filosofici

,

che sentiva

la

trina sperimentale, che conosceva

errori di critica con cui

miei studi

i

debolezza della dot-

il

i

grossolani

secolo di Voltaire

aveva preso a voler diffamare

il

Cristianesi-
CAPO XXI.

mo

;

69

che avea letto Guénée ed

io

altri valenti
5

smascheratori di quella falsa critica io eh era
-,

persuaso non potersi con rigore di logica am-

mettere Dio e ricusare

il

trovava tanto volgar cosa

Vangelo; io che
il

seguire la cor-

rente delle opinioni anticristiane, e non sapersi elevare a conoscere quanto

cattoli-

il

cismo, non veduto in caricatura, sia semplice
e sublime,* io ebbi la viltà di sacrificare al

umano. Le

rispetto

confondevano

mi

la loro

denza

e volli

sebbene non potesse sfuggir-

,

leggerezza. Dissimulai la

esitai

,

pestivo

riflettei se fosse

,

contraddire,

il

persuadermi

mi dissi

non crede.

Ma

za, e modestia ad

mente

ma

,

il

un tempo,

ciò che

anche laddove non
approvato
,

,

irritare

confessare con franchez-

d' essere

scherno

senza fon-

può maggiormente

fessarlo

né

fermail

con-

presumibile

è

d' evitare

egli è preciso dovere.

bile confessione

tem-

baldanzoso

il

tiene per importante verità,

si

,

che uno zelo intempestivo

è indiscrezione, e

chi

no

d' essere giustificato.

vigore d' opinioni accreditate

E vero

o

,

mia cre-

eh' era inutile,

Che importa

Viltà! viltà!

damento?

mio vicino mi

facezie del

E

un poco
siffatta

di

no-

può sempre adempirsi senza
,
,

LE MIE PRIGIONI.

7o

prendere inopportunamente

il

carattere di

missionario.
Egli è dovere di confessare un' importante
verità

in ogni

tempo

,

perocché se non

sperabile che venga subito riconosciuta

pure dare
il

tal

preparamento

all'

anima

7

è

può

altrui

quale produca un giorno maggiore impar-

zialità

di giudizi ed

della luce.

il

conseguente trionfo
CAPO XXII.

CAPO

71

XXII.

Stetti in quella stanza un mese e qualche
dì.

La

notte dei 18 ai 19 di febbrajo

(

1821)

sono svegliato da romore di catenacci e di

vedo entrare parecchi uomini con

chiavi-,

lanterna

prima idea che mi

la

:

si

Ma

fu che venissero a scannarmi.

presentò

mentre

,

io

guardava perplesso quelle figure, ecco avanzarsi

gentilmente

eh' io abbia la

conte B.,

il

compiacenza

il

quale mi dice

di vestirmi presto

per partire.
Quest' annunzio mi sorprese
follia di

sperare che

fini del

Piemonte.

tempesta
ancora

si

la

mi

—

si

conducesse

Possibile che

dileguasse così

dolce libertà

carissimi genitori,

i

ed ebbi

,

?

?

la

ai

con-

sì

gran

Io racquisterei

io rivedrei

i

fratelli, le sorelle ?

miei

—

Questi lusinghevoli pensieri m'agitarono
brevi istanti.
e

seguii

i

Mi

vestii

poter salutare ancora

d'aver udito

non

con grande celerità,

miei accompagnatori

la

il

,

senza pur

mio vicino. Mi pare

sua voce, e m' increbbe di

potergli rispondere.

— Dove

si

va

? dissi al

conte

,

montando

in
LE MIE PRIGIONI,

72

carrozza con lui e con

un

uffiziale di

gendar-

meria.

— Non

posso significarglielo

siamo un miglio
Vidi che

al di là di

finché non

—

Milano.

non andava verso
mie speranze furono

carrozza

la

porta Vercellina, e le
svanite

,

!

Tacqui. Era una bellissima notte con lume
di luna. Io

guardava quelle care vie, nelle

quali io aveva passeggiato tanti anni
felice; quelle case, quelle chiese.

,

così

Tutto mi

rinnovava mille soavi rimembranze.

Oh

corsìa di porta Orientale

giardini

oh pubblici

!

ov' io avea tante volte vagato

,

con

Foscolo, con Monti, con Lodovico di Breme,

con Pietro Borsieri

,

con Porro e

co' suoi fi-

gliuoli, con tanti altri diletti mortali, con-

versando in
ranze

!

sì

gran pienezza di vita e di spe-

Oh come

per V ultima volta
fuggire

amato

,

oh come

miei sguardi

a'

e

nel dirmi ch'io vi vedeva

amarvi

d'

della porta,

tirai

occhi, e piansi

,

!

al vostro

rapido

io sentiva d' avervi

,

Quando fummo

alquanto

il

usciti

cappello sugli

non osservato.

Lasciai passare più d'un miglio, poi dissi
al

conte B.

:

— Suppongo che

si

vada a Ve-

rona.

—

Si va più in là

,

rispose

;

andiamo
CAPO XXII.
Venezia

,

7

3

ove debbo consegnarla ad una com-

missione speciale.

Viaggiammo per posta
giungemmo il 20 febbrajo

senza fermarci

,

,

e

a Venezia.

Nel settembre dell'anno precedente, un

mese prima cbe m' arrestassero,
nezia

ed avea fatto un pranzo in numerosa

,

e lietissima

compagnia all'albergo della Luna.

Cosa strana

!

sono appunto dal conte e dal

gendarme condotto

Un

all'

,

il

gendarme

e

,

ed ac-

,

due

i

che faceano figura di servitori

travestiti)

Mi

albergo della Luna.

cameriere strabili vedendomi

corgendosi (sebbene
telliti

Ve-

io era a

,

sa-

fossero

ch'io era nelle mani della forza.

rallegrai di quest* incontro

,

persuaso che

il

cameriere parlerebbe del mio arrivo a più

d'

uno.

Pranzammo,
del doge, ove

indi fui condotto al palazzo

ora sono

i

tribunali. Passai

sotto quei cari portici delle Procuratìe

innanzi
si

al caffè

Florian

belle sere nell'

,

,

ed

ov' io avea goduto

autunno trascorso

non

:

m' imbattei in alcuno de' miei conoscenti.
Si traversa la piazzetta.... e su quella piazzetta, nel settembre addietro,

un mendico

mi avea

detto queste singolari parole

vede eh'

ella è forestiero, signore:
ri

ma

:

—

io

Si

non
.

LE MIE PRIGIONI,

74

capisco com' ella e tutti

questo luogo
e vi passo

— Vi
—
Sì

a

me

me

per

signore

;

un malanno
scampi

andò in

,

orribile

signore

,

,

,

e

?

non

Iddio

la

era impossibile che

le parole del

fu ancora su quella piazzetta

seguente io ascesi
la

il

palco

,

,

donde

mendico.

che V anno
intesi leg-

sentenza di morte eia commutazione

di questa

duro

malanno

fretta.

ripassando io colà

germi

ammirino

di disgrazia,

!

non mi sovvenissero

E

un luogo

sarà qui accaduto qualche
,

se n'

Or

è

forestieri

unicamente per necessità.

solo. Iddio la

scampi

E

:

i

,

pena in quindici anni di carcere

!

S'io fossi testa

cismo

,

farei

un

po' delirante di misti-

gran caso di quel mendico

,

pre-

dicentemi cosi energicamente esser quello un
luogo di disgrazia. Io non noto questo fatto

non come uno strano accidente.
il
conte B.
Salimmo al palazzo
co' giudici j indi mi consegnò al carceriere
se

;

e congedandosi da
rito.

me, m'abbracciò

]

int

,
.
,

CAPO XXIIL

75

CAPO XXIIL

Seguii in silenzio

il

carceriere.

Dopo aver

traversato parecchi anditi e parecchie sale

arrivammo ad una scaletta che
sotto i Piombi, famose prigioni
dal

tempo

Ivi

il

nome

,

della

ci

condusse

di stato fin

Repubblica Veneta.

mio

carceriere prese registro del

indi mi chiuse nella stanza destinatami

I cosi detti

Piombi sono

del già palazzo del doge

la parte superiore
,

coperta tutta di

piombo.

La mia stanza avea una gran finestra con
enorme inferriata, e guardava sul tetto, parimente di piombo della chiesa di S. Marco.
,

,

Ài di
il

là della chiesa

,

termine della piazza

finità di

io
,

vedeva in lontananza
e

da tutte parti un' in-

cupole e di campanili.

Il

gigantesco

campanile di S. Marco era solamente separato da
io

me

dalla lunghezza della chiesa

,

ed

udiva coloro che in cima di esso parlavano

alquanto forte. Vedevasi anche

,

al lato si-
,

LE MIE PRIGIONI.

76

Bistro della chiesa

una porzione del gran
una delle entrate. In
cortile sta un pozzo pub-

,

palazzo ed

cortile del

quella porzione di

blico, ed ivi continuamente veniva gente a

Ma la mia prigione

cavare acqua.
alta,
ciulli

ed

,

non discerneva

io

non quando gridavano.

se

essendo così

uomini laggiù mi parevano fan-

gli

le loro

parole

mi trovava

Io

più solitario che non era nelle carceri

assai

di Milano.

jNV primi giorni

cure del processo crimi-

le

mi veniva

nale che dalla commissione speciale
intentato

,

m'attristarono alquanto

,

evi

s'

ag-

giungea forse quel penoso sentimento di maggior solitudine. Inoltre io era più lontano dalla

mia famiglia

Le

facce

,

e

nuove

ma

antipatiche,

spaventata.

non avea più
eh' io

trame dei Milanesi
,

e

tutti

,

erano

e del resto d'Italia per
io fossi

uno

motori di quel delirio.

piccola celebrità letteraria era nota al

custode

maschi

;

esagerato loro le

dubitavano eh'

de' più imperdonabili

La mia

m

serbavano una serietà quasi

La fama aveva

T indipendenza

di essa notizie.

vedeva non

,

,

a sua moglie
e persino ai

chi sa

,

,

alla figlia

,

che non

s'

due

ai

due secondini

:

i

figli

quali

immaginassero che
,

CA.PO XXIII.

77

autore di tragedie fosse una specie

di

un
mago
Erano
!

dessi

diffidenti, avidi ch'io loro

serii,

me

maggior contezza di

ma

,

pieni di

garbo.

Dopo i primi
e

li

giorni

trovai buoni.

più manteneva
carceriere.
asciutto

mansuefecero

non dante

,

,

carattere di

il

di viso asciutto

quarant' anni

i

asciutte asciutte

tutti

era quella che

contegno ed

il

Era una donna

verso

,

si

La moglie

il

di parole

,

minimo segno

d' essere capace di qualche benevolenza ad
altri

che

a'

suoi

figli.

Solea portarmi

pranzo

,

acqua

e

i

anni

due

,

non

figliuoli

mattina e dopo

,

biancheria ec.

,

ordinariamente sua
dici

caffè

il

figlia

bella
,

uno

ma

,

La seguivano

fanciulla di quin-

di pietosi sguardi

di tredici anni

di dieci. Si ritiravano quindi colla
i

,

l'altro

madre

,

ed

tre giovani sembianti si rivoltavano dolce-

mente a guardarmi chiudendo
custode non veniva da

me

,

se

porta.

la

Il

non quando
si adunava

aveva da condurmi nella sala ove
la

commissione per esaminarmi.

venivano poco

,

gioni di polizia

,

I

secondini

perchè attendevano
collocate ad

alle pri-

un piano

info-
8

LE MIE PRIGIONI,

7
?

riore

,

ov erano sempre molti ladri.

?

que secondini era un vecchio
settantanni

9

ma atto

vita di correre

,

di

di

più di

ancora a quella faticosa

sempre su e giù per

ai diversi carceri.

Uno

L'altro era

un

le scale

giovinotto

di 24 o 25 anni, più voglioso di raccontare
i

suoi amori che di badare al suo servizio.
,

CAPO XXIV

79

klVMA^W^M

CAPO XXIV.

Ah
sono

le

sì!

orribili

allo stato

quanta
cuse

!

cure d'un processo criminale

per un prevenuto

Quanto timore

difficoltà di lottare

contro tanti sospetti

,

glianza che tutto

funestamente
presto

,

se

?

non
il

s

nuove imprudenze

si

altrui

!

contro tante ac-

quanta verisimi-

intrichi

sempre più

processo non termina

scoprono

persone non conosciute

Ho

!

nuocere

nuovi arresti vengono

se

,

desima

di

(T inimicizia

ma

,

della

fatti

se

,

non che di
fazione me-

!

fermato di non parlare di politica

i

t

bisogna quindi eh' io sopprima ogni relazione

concernente

il

processo-

Solo

dirò

,

che

spesso dopo essere stato lunghe ore al costituto

9

io

cerbato
se la

,

tornava nella mia stanza così esacosì

fremente

,

che mi sarei ucciso

la memoria
non m' avessero contenuto.

voce della religione e

cari parenti

L' abitudine di tranquillità che già

de'

mi pa-
,

LE MIE PRIGIONI,

8o

reva a Milano
fatta.

e

d'

avere acquistato

Per alcuni giorni disperai di

,

era dis-

ripigliarla

furono giorni d'inferno. Allora cessai di

pregare

,

dubitai della giustizia di Dio

uomini ed

ledissi agli

nella

mente

tutti

all'

universo

,

,

ma-

e rivolsi

possibili sofismi sulla va-

i

nità della virtù.

L'

uomo

infelice

ed arrabbiato è tremen-

damente ingegnoso a calunniare

i

suoi simili

immorale,

e lo stesso Creatore. L'ira è più

più scellerata che generalmente non

Siccome non

si

pensa.

può ruggire dalla mattina alla
sera per settimane e V anima la più dominata dai furore ha di necessità i suoi intersi

,

valli

di

riposo

risentirsi dell'

quegli intervalli sogliono

•,

immoralità che

li

ha preceduti.

Allora sembra d'essere in pace,

ma

è

una

pace maligna, irreligiosa j un sorriso selvaggio

,

senza carità

disordine,

d'

,

senza digmtà

-,

un amore

di

ebbrezza, di scherno.

In simile stato io cantava per ore intere

con una specie

d' allegrezza affatto sterile di

buoni sentimenti;

io celiava

con

che entravano nella mia

stanza-,

zava di considerare tutte

le cose

tutti quelli
io

mi

sfor-

con una sa-

pienza volgare, la sapienza de' cinici.
,,

CAPO XXIV.

Si

Quel!' infame tempo durò poco

sei

:

o sette

giorni.

La mia Bibbia

Uno

era polverosa.

gazzi del custode, accarezzandomi,

— Dacché non legge più quel
melanconia, mi
non ha più
—
— Ti pare?
ella

tanta

de' radisse

:

libraccio

pare.

gli dissi.

E

presa la Bibbia, ne

tolsi col fazzoletto la

polvere, e sbadatamente apertala, mi cad-

dero sotto

gli

occhi queste parole

discipulos suos

:

niant scandala

:

:

Et

ait

ad

Impossibile est ut non ve-

vae autem

veniuntl Utilius est

itti)

ponatur circa collum ejus

per quem

itti

si lapis

molaris im-

et projiciatur in

mare > quam ut scandalizet unum de

pusillis

istis.

Fui colpito di trovare queste parole
arrossii

che quel ragazzo

si

la

Bibbia, e eh'

ed

fosse accorto

dalla polvere eh' ei sopra vedeavi

non leggeva

,

,

eh' io più

presumesse

ei

ch'io fossi divenuto più amabile, divenendo

incurante di Dio.

—

Scapestratalo

!

(gli dissi

con amorevole

rimprovero e dolendomi d'averlo scandalezzato).

Questo non

è

giorni che noi leggo

,

un

libraccio

,

e

da alcuni

sto assai peggio.

Quando
LE MIE PRIGIONI,

82

tua madre

permette di stare un momento
con me, m'industrio di cacciar via il mal

umore;
vince

,

ti

ma

se tu

sapessi

allorché son solo

cantare qual forsennato

!

,

come questo mi
allorché tu

m

J

odi
CAPO XXV,
».

83

*^»/W "«.Ik x/-»--».

CAPO XXY.

Il ragazzo era uscito; ed io

provava un

certo godimento d'aver ripreso in

Bibbia

d'

-,

aver confessato eh'

mano

io stava

la

peggio

zione ad

Mi parea d' aver dato soddisfaun amico generoso, ingiustamente

offeso

essermi riconciliato con esso.

senza di

lei.

d'

;

— Et' aveva abbandonato

dai.

E m' era

dere che
nisse alla

mio Dio

gri-

?

Ed

avea potuto cre-

riso del

cinismo conve-

pervertito

infame

l'

,

?

mia disperata situazione?

—

Pronunciai queste parole con una emo-

una

zione indicibile; posi la Bibbia sopra
sedia

,

queir

m' inginocchiai in terra a leggere
io

che

si

piango

diffìcilmente

,

e

pro-

,

ruppi in lagrime.

Quelle lagrime erano mille volte più dolci
di

ogni

allegrezza

nuovo Dio
oltraggiato

!

lo

Io

bestiale.

amava

!

sentiva

mi pentiva

degradandomi!

non separarmi mai più da

.

di

averlo

protestar

e

lui

d'

mai piò

!
LE MIE PRIGIONI.

84

Oh come un

ritorno sincero alla religione

consola ed eleva lo spirito!
Lessi,

piansi più d'un' ora

e

e m'alzai

;

pieno di fiducia che Dio fosse con me, che

Dio mi avesse perdonato ogni
le

mie sventure,

il

mi sembrarono poca cosa.
poiché ciò mi dava occa-

verisimile patibolo

Esultai di soffrire

stoltezza. Allora

tormenti del processo,

i

,

J

sione d adempiere qualche dovere; poiché,
soffrendo con rassegnato animo, io obbediva
al

Signore.

La Bibbia
gerla.

Non

,

grazie al cielo, io sapea leg-

era più

il

tempo ch'io

la

giudi-

cava colia meschina critica di Voltaire ,

vili-

le quali non sono
pendendo espressioni
se non quando
risibili o false
per vera
per malizia non si penetra nel
ignoranza o
,

,

,

,

loro senso.
foss' ella

M' appariva chiaramente quanto
codice della santità

il

della verità;

sue imperfezioni di
fica,

stile fosse

e simile all'orgoglio

tutto ciò che

non ha forme

fosse cosa assurda

collezione

avessero

di

,

e

quindi

quanto l'offendersi per certe
cosa infiloso-

di chi disprezza
eleganti-,

quanto

V immaginare che una

libri

tal

religiosamente venerati

un principio non autentico; quanto
,
,

CAPO XXY.
superiorità di

la

85

scritture sul corano e

tali

sulla teologia degl'Indi fosse innegabile.

Molti ne abusarono

un codice

molti vollero farne

,

d'ingiustizia,

una sanzione

loro passioni scellerate. Ciò è vero

sempre

mai

l'

lì

di tutto puossi abusare

:

;

:

alle

ma siamo
e

quando

abuso di cosa ottima dovrà far dire

eh' ella è in se stessa

Gesù Cristo

io

malvagia

dichiarò

:

?

tutta la legge ed

i

Profeti, tutta questa collezione di sacri libri
si

riduce

E

tali scritture

tutti

i

precetto d'

al

Ridestate in
vai

non sarebbero

non sarebbero
Spirito Santo?

secoli?

viva dello

il

amar Dio

me

tutte le

i

,

I

parola sempre

di coordinare alla reli-

mia

la

filantropia,

pochi giorni eh'

umane

sui progressi deli' inci-

patrio, tutti gli affetti dell'

nismo

verità adatta a

miei pensieri sulle cose

mie opinioni

vilimento

uomini.

queste riflessioni, rinno-

proponimento

gione tutti

la

e gli

io

il

mio amor

anima mia.

avea passato nel

m' aveano molto contaminato.

sentii gli effetti

per lungo tempo, e dovetti

faticare per vincerli.

cede alquanto
suo intelletto

ci-

Ne

Ogni volta che l'uomo

alla tentazione di snobilitare
,

di

guardare

le

il

opere di Dio
LE MIE PRIGIONI.

S6

colla infernal lente dello

dal

benefico

scherno

,

di cessare

della preghiera

esercizio

,

il

guasto eh' egli opera nella propria ragione lo

dispone a facilmente ricadere. Per più

mane

fui assalito

,

quasi ogni gioito

?

pensieri d incredulità
del

mio

:

,

da

setti-

forti

volsi tutta la potenza

spirito a respingerli,
,

CAPO XXVI.

87

CAPO XXVI.

Quando questi combattimenti furono cessati, e sembrommi d'esser di nuovo fermo
nel!'

abitudine

d'

onorar Dio in tutte

mie

le

volontà, gustai per qualche tempo una dolcissima pace. Gli esami

a cui sottoponeami

,

ogni due o tre giorni la commissione, per

quanto fossero tormentosi, non mi traeano
più a durevole inquietudine. Io procurava,
in quel!'

ardua posizione

miei doveri

d'

,

di

Faccia Dio il resto.
Tornava ad essere esatto

dicea

non mancare

onestà e d' amicizia

e

,

U*

poi

:

nella pratica di

prevedere giornalmente ogni sorpresa, ogni

emozione

,

ogni sventura supponibile

fatto esercizio

La mia
due

giovavami novamente

solitudine intanto

figliuoli del

s'

;

e sif-

assai.

accrebbe.

I

custode, che dapprima mi

faceano talvolta un po' di compagnia, furono
messi a scuola, e stando quindi pochissimo
in caàa,

non venivano più da me. La madre

e la sorella
si

,

che allorché c'erano

i

ragazzi

fermavano anche spesso a favellar meco
,

.

LE MIE PRIGIONI,

S8

or non comparivano più se non per portarmi

mi

lasciavano. Per la

madre mi
rincresceva poco, perchè non mostrava animo
compassionevole. Ma la figlia, benché brutil

caffè, e

tina

,

avea certa soavità di sguardi e di parole

che non erano per

me

questa mi portava

il

mi parea sempre

fatto io »

dicea

:

« L'

ha

Quando

senza pregio.

caffè e diceva

fatto la

:

ho

Quando

eccellente.

mamma

« L'

acqua

» era

calda

Vedendo
retta

mia

sì

di

rado creature umane, diedi

ad alcune formiche che venivano sulla

sontuosamente, quelle

finestra, le cibai

andarono a chiamare un esercito di compagne, e

piena di

la finestra fu

Diedi parimente retta ad

siffatti

un

animali.

bel ragno che

tappezzava una delle mie pareti. Cibai questo

con moscherini e zanzare

,

a venirmi sul Lello e sulla
la

preda dalle mie
Fossero quelli

sero visitato

!

e

mi

stati

si

amicò

,

,

sino

prendere

e

dita.
i

soli insetti

Eravamo ancora

e già le zanzare

si

mano

in

moltiplicavano

che m' aves-

primavera
,

posso pro-

prio dire, spaventosamente. L'inverno era
stato di

una straordinaria dolcezza

pochi venti in marzo, seguì
indicibile

,

come

s*

il

,

e

caldo.

,

E

dopo
cosa

infocò V aria del covile
CAPO XXVI.

&9

mezzogiorno,

eh' io abitava. Situato a pretto

sotto

un

tetto di

piombo

Marco pure

tetto di S.

,

,

avea mai avuto idea

d'

A

zanzare in

m'
il

letto
,

,

il

,

cui ri-

il

non

io soffocava. Io

un

calore
J

tanto supplizio

oppri-

sì

aggiungeano

s

le

moltitudine

,

che per quanto

ne struggessi

,

io

tal

agitassi e

reti

piombo

di

verbero era tremendo

mente.

e colla finestra sul

,

tavolino

la volta

3

la sedia

,

tutto

io

J

,

n era coperto
il

suolo

n era coperto

,

e

,

le

-,

pa-

V am-

biente ne conteneva infinite, sempre andanti
e venienti perla finestra, e facienti

infernale.

Le punture

dolorose

e

,

quando

se

un ronzio

di quegli animali

sono

ne riceve da mattina a

sera e da sera a mattina

e

,

si

dee avere

la

perenne molestia di pensare a diminuirne

numero

,

si

soffre

veramente

assai e di

il

corpo

e di spirito.

Allorché

nobbi

la

veduto simile flagello

gravezza

,

e

ne co-

,

non potei conseguire

che mi mutassero di carcere, qualche tentazione di suicidio
d'

impazzare.

Ma

mi prese,
,

e talvolta

temei

cielo

,

erano

la religione

conti-

grazie

smanie non durevoli, e

al

nuava a sostenermi. Essa mi persuadeva che
l'uomo dee patire e patire con forza mi
5

facea sentire

una certa voluttà del dolore

,
LE MIE PRIGIONI.

90
la

compiacenza di non soggiacere

di vincer

,

tutto.

Io dicea

Quanto più dolorosa mi

:

meno

si

fa la

,

se, giovane

come sono, mi vedrò condannato

al supplicio.

vita, tanto

sarò atterrito

Senza questi patimenti preliminari sarei forse

morto codardamente.
da meritare

felicità ?

E

poi

,

ho

Dove son

Ed esaminandomi con giusto
me vissuti

trovava negli anni da

chi tratti alquanto plausibili

:

io tali virtù

esse ?

non
non po-

rigore,
,

se

tutto

il

resto

erano passioni stolte, idolatrie, orgogliosa e
falsa virtù.

indegno

!

— Ebbene, concludeva

Se

gli

uomini

io, soffri,

e le zanzare

dessero anche per furore

t*

ucci-

e senza diritto

riconoscili stromenti della giustizia divina
taci

!

,

,

e
CAPO XXVII,

91

CAPO XXVIL
Ha

T

uomo

bisogno di sforzo per umiliarsi

Non

sinceramente

?

è egli vero

che in generale sprechiamo

,

per ravvisarsi peccatore

gioventù in vanità

ed invece

,

forze tutte ad avanzare

d'

?

adoprare

la
le

nella carriera del

bene, ne adopriamo gran parte a degradarci

Vi saranno eccezioni

non riguardano

la

;

ma

?

confesso che queste

E non
di me

mia povera persona.

ho alcun merito ad essere scontento
quando si vede una lucerna dar più fumo che
fuoco, non vi vuol gran sincerità a dire, che
:

non arde come dovrebbe.
senza avvilimento, senza scrupoli di

Si-,

pinzochero

,

guardandomi con

quillità possibile d' intelletto

,

tutta la tranio

mi scorgeva

degno dei castighi di Dio. Una voce interna

mi diceva
ti

:

Simili castighi

,

se

non per questo,

sono dovuti per quello; valgano a ricon-

durti verso Colui eh' è perfetto, e che
tali

forze

sono chiamati
,

secondo

,

le

i

finite

morloro

ad imitare.

Con qual ragione

,

mentr'

io era costretto
LE MIE PRIGIONI,

92

a condannarmi di mille infedeltà a Dio
sarei lagnato se alcuni uomini

del

altri iniqui;

ed alcuni

vili

mondo m' erano

sumarmi
lenta

in carcere

fatto

mi pareano

se le prosperità
s'

-,

io

dovea con-

o perire di morte vio-

,

?

Procacciai
tali

rapite

mi

,

d'

riflessioni
,

e sì sentite

non poteva

e che

,

giuste

:

e ciò

vedeva che bisognava essere conse-

io

guente

imprimermi bene nel cuore
sì

guisa, se

non benedicendo

esserlo in altra
i

retti giudizii di

Dio, amandoli, ed estinguendo in
volontà contraria ad

me

ogni

essi.

Per viemeglio divenir costante in questo
proposito
d' or

,

pensai di svolgere con diligenza

innanzi tutti

doli. Il

male

si

i

miei sentimenti, scriven-

era che la commissione, per-

mettendo ch'io avessi calamajo

numerava

i

fogli di questa

,

con proibizione

di distruggerne alcuno, e riservandosi

minare

in che

alla carta,

levigare con

li

mi

e carta,

avessi adoperati.

ad

esa-

Per supplire

ricorsi all'innocente artifizio di

un pezzo

lino eh' io aveva

,

di vetro

un rozzo tavo-

e su quello quindi scriveva

ogni giorno lunghe meditazioni intorno
doveri degli uomini e di

Non

me

ai

in particolare.

esagero dicendo che le ore così impie-
CAPO XXVII.

93

malgrado

gate m' erano talvolta deliziose

,

difficoltà di respiro ch'io pativa

per renorme

le

caldo e le morsicature dolorosissime delle
zanzare.

Per diminuire

moltiplieità di

la

queste ultime, io era obbligato, ad onta del
caldo, d' involgermi
e di scrivere
i

polsi

,

,

non

bene

il

le

gambe,

ma

fasciato

capo e

solo co' guanti

affinchè le zanzare

,

non entrassero

nelle maniche.

Quelle mie meditazioni aveano un carattere piuttosto biografico. Io facea la storia di
tutto

il

bene ed

il

me

male che in

s'erano

formati dall'infanzia in poi, discutendo
stesso,

ingegnandomi

ordinando quanto meglio

mie cognizioni,

tutte le

meco

dubbio,

di sciorre ogni

sapea tutte le

io

mie idee sopra ogni

cosa.

Quando

tutta la superficie adoprabile del

tavolino era piena di scrittura

,

io

leggeva e

rileggeva, meditava sul già meditato
fine

a raschiar via ogni cosa col vetro,
atta quella superficie a ricevere
i

,

ed al-

mi risolveva (sovente con rincrescimento)
per riavere

nuovamente

miei pensieri.

Continuava quindi

la

mia

storia

rallentata da digressioni d' ogni
analisi or di questo or di quel

?

sempre

specie

punto

di

,

da

meta-
,

LE MIE PRIGIONI,

94

morale, di politica, di religione

fisica, di

quando

tutto era pieno

rileggere

Non

,

,

>

e

tornava a leggere e

poi a raschiare.

volendo avere alcuna ragione d'im-

pedimento nel ridire a
libera fedeltà

i

me

fatti eh' io

stesso colla più

ricordava e

le opi-

nioni mie, e prevedendo possibile qualche
visita inquisitoria

,

io scriveva in

gergo

,

cioè

con trasposizioni di lettere ed abbreviazioni
alle quali io era avvezzatissimo.

cadde però mai alcuna
s

Non m'ac-

visita siffatta

accorgeva che io passassi così bene

tristissimo

tempo. Quand'

o altri aprire la porta

con una tovaglia

maio ed

il

,

,

io

udiva

copriva

il

mio

custode

il

il

niuno

e

,

tavolino

e vi mettea sopra

il

legale quinternetto di carta.

cala-
CAPO XX Vili.

CAPO
Quel
delle

io

aveva anche alcune

lui consacrate

od un' intera

intero giorno

veva

XXVIII.

quinternetto

mie ore a

95

,

e talvolta

un

notte. Ivi scri-

Composi

di cose letterarie.

allora

T Ester aV Engaddi e Y Iginio, d'Asti, e
cantiche intitolate

:

le

Tancreda > Rosilde, Eligi

e Valafrido, Adelfo, oltre parecchi scheletri
di tragedie e di altre produzioni

quello d'un poema

d'un

sulla

altro su Cristoforo

o

altri frutti.

mi

e

il

non era semil primo

faceva

io

componimento

cartaccia in cui

rinnovasse

si

quinternetto, quand'era finito,

getto d' ogni

e fra altri

Colombo.

Siccome Y ottenere che mi
pre cosa facile e pronta ,

,

Lega lombarda

sul tavolino o su

facea portare fichi secchi

Talvolta dando

il

mio pranzo

ad uno dei secondini, e facendogli credere
ch'io non aveva punto appetito, io

l'

indu-

ceva a regalarmi qualche foglio di carta. Ciò

avveniva solo in certi casi, che
già

ingombro

di scrittura, e

il

tavolino era

non poteva an-

cora decidermi a raschiarla. Allora io pativa
Silvio Pellico - Le mie prigioni (1833)
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Silvio Pellico - Le mie prigioni (1833)

  • 1.
  • 4.
  • 6. DALLA STAMPERIA DI CRAPELET, RUE DE VAUGIRARD, N° 9.
  • 7. LE MIE PRIGIONI, MEMORIE DI SILVIO PELLICO DA SALUZZO. Homo natus de muliere , brevi vivens tempore , repletur multìs miserila. Job. PARIGI. BAUDRY, LIBRERIA EUROPEA (), RUE DU C.OO, PRÈS LE LOUVRE, 1833.
  • 9. , JjLo io scritto me? Bramo che di parlar di e queste Memorie per vanita ciò per quanto uno possa di non sia , se giudice y parmi d avere avuto alcune costituirsi j mire migliori : — quella di contribuire a 3 confortare qualche infelice coli esponi- mento de' mali che patii e delle consola- 3 zioni eh esperimentai essere conseguibili nelle somme sventure ; - — quella d' attes- 3 tarle non così che in mezzo a miei lunghi tormenti trovai pur V umanità così iniqua } indegna d indulgenza , così scarsa d' egregie anime, come suol venire rap-
  • 10. presentata; nobili — quella ad amare d' invitare assai, a non odiare cun mortale , ad odiar solo bilmente le cuori i al- irreconcilia- basse finzioni , la pusillani- mità , la perfidia, ogni morale degrada- mene ; — quella di notissima, ma ridirle una verità già spesso dimenticata Religione e la Filosofia comandare V altra energico volere : la V una e giudizio pa- cato y e senza queste unite condizioni non e esservi ne giustizia, ne dignità, ne prin- cipj securi.
  • 11. LE MIE PRIGIONI. CAPO PRIMO. Il venerdì i3 ottobre 1820 fui arrestalo a Milano, e condotto a Santa Margherita. Erano le tre pomeridiane. Mi si fece un lungo rogatorio per tutto quel giorno e per cora. Ma di ciò altri an- non dirò nulla. Simile ad un amante maltrattato samente risoluto inter- dalla sua bella, e dignito- di tenerle broncio, lascio la politica ov' ella sta, e parlo d'altro. Alle nove della sera di quel povero ve- nerdì T attuario mi consegnò al quesli, condottomi nella stanza a si fece da me custode , e me destinata, rimettere con geniile invito, per restituirmeli a tempo debito, orologio, denaro e , e ogni altra cosa eh' io avessi in tasca m'augurò rispettosamente la buona , notte.
  • 12. LE MIE PRIGIONI. k — Fermatevi ho pranzato — tirà Subito la , signore 3 , caro voi gli dissi , ; oggi non fatemi portare qualche cosa. -, , locanda qui vicina è che buon vino -, e sen- ! — Vino, non ne bevo. A questa risposta , guardò spaventato, zassi : il signor Angiolino che tengono bet- I custodi di carceri tola, inorridiscono mi sperando ch'io scher- e d'un prigioniero astemio. — Non ne bevo davvero. — incresce per , lei; IVI' patirà al doppio la solitudine.... E vedendo ch'io non mutava proposito meno uscì; ed in di mezz'ora ebbi , pranzo. il Mangiai pochi bocconi tracannai un bicchier , d'acqua, La e fui lasciato solo. stanza era a pian terreno cortile. Carceri di , carceri dirimpetto. di sopra, alla finestra , e metteva sul qua, carceri di e stetti là -, carceri M'appoggiai qualche tempo ad ascol- tare l'andare e venire de' carcerieri , ed il frenetico canto di parecchi de' rinchiusi. Pensava monastero : : — Un secolo fa avrebbero mai , questo era un le sante e penitenti vergini che lo abitavano immaginato che le loro celle sonerebbero oggi, minei gemiti e d' inni divoti , non più di fem- ma di bestemmie
  • 13. CAPO PRIMO. e di canzoni invereconde uomini d' ogni fatta, e ergastoli o alle forche , ! che conterrebbero e per lo più destinati agli ? E un fra respirerà in queste celle tempo 5 Oh ? secolo oh mobilità perpetua delle cose! Può chi vi considera affliggersi , se fortuna cessò di sorridergli, se vien sepolto in prigione gii si chi , fugacità del minaccia patibolo il de' più felici mortali del Jeri ? mondo : , se uno non ho io era , oggi più alcune delle dolcezze che confortavano la mia non più libertà non più consorzio d'amici, non più speranze! No: il lusingarsi sarebbe follia. Di qui non uscirò se non per vita , -, essere gettato ne' più orribili covili segnato al carnefice mia morte un palazzo, la il il il fossi spirato in l'animo. la , Ma mi madre , ed i ragionamenti tempo ricorsero due sorelle, un'altra famiglia ch'io fratelli , mi alia , due amava quasi filosofici più valsero. M'intenerii, e piansi fanciullo. o con- — padre fosse la mia-, , giorno dopo riflettere alla fugacità del invigoriva mente , e portato alla sepoltura co' più grandi onori. Così sarà , Ebbene come s'io ! nulla come un
  • 14. LE MIE PRIGIONI. CAPO Tre mesi prima, ed avea riveduto razione, e le due i , IL io era andato a Torino, dopo parecchi annidi sepa- miei cari genitori, uno de' sorelle. Tutta la fratelli nostra famiglia s'era sempre tanto amata! Niun figliuolo era stato più dime colmato di benefizi dal padre e dalla madre Oh come al rivedere i venerati vecchi trovandoli notabilmente io m'era commosso più aggravati dall'età che non m'immaginava! Quanto avrei allora voluto non abbandonarli ! , più , consacrarmi a sollevare colle mie cure la loro vecchiaja Quanto mi ! brevi giorni ch'io stetti a dolse Torino, di , ne' aver parecchi doveri che mi portavano fuori del tetto paterno mio tempo e di dare cosi poca parte del , agli amati congiunti! La povera madre diceva con melanconica amarezza Ah il nostro Silvio non è venuto a Torino : <c ! per veder noi Milano, la ! » Il mattino che ripartii per separazione fu dolorosissima. padre entrò in carrozza con pagnò per un miglio -, me , e Il m' accom- poi tornò indietro
  • 15. CAPO IL 7 mi voltava a guardarlo e piangeva e baciava un anello che la madre m' avea dato e mai non mi sentii così angosciato di allonsoletto. Io , , tanarmi da' parenti. Non menti, non poter vincere dolore (( io stupiva di , a' presenti- mio il ed era sforzato a dire con ispavento Donde questa mia dine credulo ? » ; straordinaria inquietu- Pareami pur di prevedere qualche grande sventura. Ora nel carcere mi risovvenivano quello spavento, quell'angoscia; mi risovvenivano , , tutte le parole udite , mesi innanzi tre , da' Quel lamento della madre « Ah! il nostro Silvio non è venuto a Torino per veder noi » mi ripiombava sul cuore. Io mi rimproverava di non essermi mostrato loro genitori. : ! mille volte più tenero. volti! e , e ! mi fui così dell'amor mio! e debolmente Non dovea mai ciò dissi loro cosi più vederli — Li amo cotanto, saziai cosi poco de' loro cari avaro delle testimonianze — Questi pensieri mi stra- ziavano l'anima. Chiusila finestra, passeggiai un'ora, cre- dendo di non aver requie tutta la notte» posi a letto, e la stanchezza Mi m'addormentò.
  • 16. LE MIE PRIGIONI. * CAPO Lo — III. prima notte in carcere svegliarsi la cosa orrenda! w-w w-v W-k e Possibile! (dissi ricordan- domi dove io fossi) possibile Io qui? E non è ora un sogno il mio ? Jeri dunque m' arrestarono? Jeri mi fecero quel lungo interrogatorio, ! che domani nuarsi ? , quando dovrà e chi sa fin conti- Jer sera, avanti di addormentarmi, io 5 piansi tanto, pensando a miei genitori Il riposo . perfetto il sonno che avea ristorato tali, silenzio le ? breve il , — mie forze men- sembravano avere centuplicato me in la possa del dolore. In quell'assenza totale di distrazioni , l'affanno di tutti i miei cari, ed in particolare del padre e della madre ché udrebbero mio arresto, mi il nella fantasia con — In una forza allor- . si pingea incredibile. quest'istante, diceva io. dormono ancora tranquilli, o vegliano pensando forse con dolcezza a me luogo ov'io sono! gliesse dal mondo la notizia della , , non punto presaghi del Oh felici, se Dio li to- avanti che giunga aTorino mia sventura! Chi darà loro la forza di sostenere questo colpo? —
  • 17. , CAPO Una voce Colui che III. 9 interna parea rispondermi ! Colui che dava la forza ad una Madre di seguire il Figlio al Golgota e di stare sotto la sua croce infelici , T amico dei mortali Quello fu l' ! ! amico degl' — primo momento il — invocano ed amano tutti gli afflitti e sentono in se stessi : , che la reli- gione trionfò del mio cuore-, ed all'amor filiale debbo questo benefizio. Per T addietro, senza essere avverso alla Le vol- religione , poco io gari obbiezioni, tuta, e male la seguiva. con cui suole essere combat- non mi parevano un gran che, e tutta- via mille sofistici dubbi infievolivano la mia fede. Già da lungo tempo questi dubbi non cadevano più sull' esistenza di dava ridicendo che se Dio Dio esiste , , cosi ingiusto 1' : uomo , mondo somma ragionevolezza di aspirare ai beni di quella d' è un'al- che pati in un quindi la quindi un culto m' an- una conse- guenza necessaria della sua giustizia tra vita per e amore di seconda vita : Dio e del pros- simo, un perpetuo aspirare a nobilitarsi con generosi sacrifizi. Già da lungo tempo m'an- dava ridicendo tutto ciò E che altro è il , e soggiungeva : — Cristianesimo se non questo perpetuo aspirare a nobilitarsi ? — E mi me-
  • 18. LE MIE PRI GIONI. io ravigliava come pura sì filosofica sì , , sì inat- taccabile manifestandosi l'essenza del Cristia- nesimo fosse , venuta un' epoca in cui — Farò sofia osasse dire : sue veci. in qual — Ed veci? Insegnando gnando modo farai tu No certo. amore sarà sarà ciò che appunto le vizio? il Ebbene la virtù ? e del prossimo la filo- innanzi io d' or le sue Insedi il Dio Cri- stianesimo insegna. Ad tissi, onta eh' io così da parecchi anni sensfuggiva di conchiudere conseguente I sii cristiano zar più degli abusi qualche punto Chiesa ed è lucidissimo il : ti dunque scandalez- non malignar più su difficile giacché , ! non ! sii : della dottrina della punto principale ama Dio ed è questo, prossimo. il In prigione deliberai finalmente di strin- gere tale conclusione, e quanto , pensando che la strinsi. Esitai al- taluno veniva a se sapermi più religioso di prima, si crederebbe in dovere di reputarmi bacchettone ed avvilito dalla disgrazia. Ma sentendo ch'io non era ne bacchettone, né avvilito, qui di non punto curare non meritati rarmi d' , e fermai i mi compiac- possibili biasimi d' essere e di dichia- or in avanti cristiano.
  • 19. CAPO IV. VM%WWil1%V«>%WVVl%V«%VMVVVVi<VVVV»/VViW« l CAPO Rimasi tardi j ma io mattino IV. risoluzione più stabile in questa cominciai a ruminarla e quasi vo- lerla in quella il WVW le prima notte di cattura. Verso mie smanie erano calmate ne stupiva. Ripensava , ed genitori ed agli a' amati, e non disperava più della loro altri forza d' animo sentimenti in essi, , , eh' io e la memoria de' virtuosi aveva altre volte conosciuti mi consolava. Perchè dianzi cotanta perturbazione in me, immaginando la loro, ed or cotanta fiducia neir altezza del loro coraggio ? Era questo cangiamento un prodigio ? era felice turale effetto della Dio ? no, — E che importa reali i A un na- mia ravvivata credenza in il chiamar prodigi sublimi benefizi della religione , o ? mezzanotte, due secondini (così chia- mansi i carcerieri dipendenti dal erano venuti a visitarmi, e di pessimo umore. m All' alba J custode) aveano trovato tornarono , e mi trovarono sereno e cordialmente scherzoso. — Stanotte, signore, ella aveva una faccia
  • 20. , le mie prigioni. iÈ da basilisco e , disse Tirola il ; ne godo, segno che non è — un pressione birbante : ora è perchè (io sono vecchio del mestiere, e le vazioni hanno qualche peso), più arrabbiati resto, che ne il i es- birbanti i mie osser- birbanti sono secondo giorno dei loro ar- il primo. Prende tabacco? prendere soglio tutt' altro — perdoni V , ma non — Non vo' ricusare le Quanto alla vostra osservanon è da quel sapiente che sembrate. Se stamane non ho più faccia da basilisco, non potrebb'egli essere che il muvostre grazie. zione, scusatemi, tamento lità prova fosse ad illudermi libertà d' insensatezza , di faci- a sognar prossima la , ? — Ne dubiterei, signore, s'ella fosse in prigione per altri motivi ma ; di stato, al giorno d'oggi, per queste cose non è possibile di credere che finiscano così su due piedi. ella non selo. Perdoni sa : pre fra disgraziati — Crederà dolori altrui io , : vuole un'altra presa? Ma come faccia cosi allegra Ed gonzo da immaginar- è siffattamente — Date qua. mente mia come , si può avere una avete, vivendo sem- ? che sia per indifferenza sui non lo so a dir vero ; nemmeno positivama Y assicuro che
  • 21. CAPO spesse volte il IV. i3 veder piangere mi male. fa talora fingo d' essere allegro, affinchè E poveri i prigionieri sorridano anch'essi. — Mi viene, buon uomo, un pensiero che non ho mai avuto : che si possa fare carce- il riere ed essere d' ottima pasta. — Il mestiere non fa niente, signore. Al quel voltone eh' di là di cortile , v'è tutte per donne di un vede ella altro cortile oltre , donne. Sono.... non occorre mala dirlo... Ebbene, signore, ve vita. che sono angeli, quanto il ed altre carceri E cuore. al n' s'ella fosse secondino.... — Io? — (e scoppiai dal ridere. ) Tirola restò sconcertato dal mio riso non proseguì. Forse intendea mi sarebbe , che e riuscito malage- stato secondino vole non affezionarmi ad alcuna , , io fossi s' di quelle disgraziate. Mi Uscì , chiese ciò ch'io volessi per colezione. e qualche minuto dopo mi portò il caffè. Io lo guardava in faccia fissamente un sorriso malizioso , che voleva dire : « , con Por- un mio viglietto ad un altro infelice al mio amico Piero ? » Ed egli mi rispose con un altro sorriso che voleva dire teresti tu , , :
  • 22. , LE MIE PRIGIONI. i4 a No ? signore miei compagni che e se vi dirigete ; , il ad alcuno de quale vi dica di sì, 5 badate vi tradirà. » Non sono veramente certo capisse, ne ch'io capissi fui dieci volte sul pezzo di carta , punto eh' egli , So bensì, ch'io di dimandargli un ed una matita , e non ardii ? perchè v era alcun che negli occhi suoi sembrava avvertirmi cuno, e meno d'altri di mi lui. non fidarmi che di lui. , che di al-
  • 23. CAPO i5 V. »,•*.»•%/%, %^-%. CAPO Se Tirola , una fisionomia più no- ceduto io avrei mio ambasciatore alla tentazione di farlo e forse , giunto a tempo all'amico un mio non lui ma era scoperto, , viglietto avrebbe dato gli forza di riparare qualche sbaglio ciò salvava, , avuto quegli sguardi così furbi; se fosse slata , bontà colla sua espressione di non avesse anche bile V. , — la e forse poveretto, che già troppo parecchi altri e me ! Pazienza! doveva andar così. Fui chiamato alla terrogatorio, e ciò parecchi altri , dell' in- continuazione durò tutto quel giorno, e con nessun altro intervallo che quello de' pranzi. Finché il processo non chiuse si , i giorni volavano rapidi per me, cotanto era l'esercizio della dere a mente in queir interminabile rispon- sì varie dimancle alle ore di , e nel raccogliermi pranzo ed a sera , per riflettere a tutto ciò che mi s'era chiesto e ch'io aveva risposto, ed a tutto ciò, su cui probabilmente sarei ancora interrogato. Alla fine della prima settimana m'accadde
  • 24. LE MIE PRIGIONI, 16 un gran dispiacere. Il mio povero Piero, bramoso quanto lo era io che potessimo metterci in qualche comunicazione, mi mandò un viglietto, e si servì, non d'alcuno de se, , ma d'un disgraziato prigioniero, condini, veniva con essi a fare che qualche servigio nelle un uomo nostre stanze. Era questi dai ses- non santa ai settantanni, condannato a so quanti mesi di detenzione. Con una che rimisi aveva eh' io spilla , mi forai un sangue poche linee di risposta dito, e feci col messaggero. Egli ebbe la mala al ventura d'essere spiato, frugato, colto col glietto addosso, e, se non vi- erro, bastonato. In- che mi parvero del misero vec- tesi alte urla chio, e noi rividi mai più. Chiamato veder- io a processo, fremetti al mi presentata gue (la quale mia cartolina vergata la , grazie al cielo, col san- non parlava di cose nocive, ed avea l'aria d'un semplice saluto). Mi gue, mi Ah, io occhi il sofferto si mi chiese con che si tolse la spilla non risi ! Io fossi tratto san- e si rise dei burlati. , non poteva levarmi dagli vecchio messaggero. Avrei volentieri qualunque castigo, purché gli perdo- nassero; e quando mi giunsero quelle urla, che dubitai essere di di lacrime. lui , il cuore mi s'empi
  • 25. CAPO V. i Invano chiesi parecchie volte di esso tode e a' cevano : secondini. Crollavano <( farà più di simili poso. ]Ne )> il L'ha pagata cara colui — gode un 1 al cus- capo, e di- — non ne po' più di ri- voleano spiegarsi di più. Accennavano essi la prigionia ristretta in cui veniva tenuto queir infelice, o parlavano cosi , perch' egli fosse morto sotto le basto- nate od in conseguenza di quelle Un cortile gna ? giorno mi parve di vederlo, , sotto il portico, con sulle spalle. Il rivedessi un un al di là del fascio di le- cuore mi palpitò, come s'ia fratello,
  • 26. LE MIE PRIGIONI. 18 k<V«VVWWVW CAPO VL Quando non rogatorii, e le fui più martirato dagl' inter- non ebbi più nulla che occupasse mie giornate amaramente allora sentii , il peso della solitudine. ed Ben mi si permise ch'io avessi una Bibbia il Dante ben fu messa a mia disposizione ; dal custode la sua biblioteca alcuni romanzi di Scuderi gio ma -, il mio , spirito era consistente in , del Piazzi ogni giorno un Dante questo esercizio era tuttavia ch'io lo faceva pensando che a' casi gendo Lo miei. altre cose , stesso e peg- troppo agitato, da potersi applicare a qualsiasi lettura. canto di , a Imparava memoria, e macchinale, sì meno a que' versi mi avveniva leg-* eccettualo alcune volte qual- che passo della Bibbia. Questo divino libro eh' io aveva sempre amato molto, anche quan- do pareami me che d' essere , ad onta del buon volere lo leggea colla A incredulo, veniva ora da studiato con più rispetto che mai. Se mente ad , non spessissimo io altro, e non capiva. poco a poco divenni capace di meditarvi
  • 27. , CAPO più fortemente VI. sempre meglio gus- e di , 19 tarlo. . non mi diede mai Siffatta lettura ma la disposizione alla bacchettoneria minicioè a , quella divozione malintesa che rende pusilla- nime o Dio e fanatico. Bensì gli uomini m'insegnava ad amar a bramare sempre più , il regno della giustizia, ad abborrire l'iniquità, perdonando agl'iniqui. Il Cristianesimo, in- vece di disfare in me ciò che la filosofia potea avervi fatto di buono, lo confermava lorava di ragioni più alte incessantemente e , che più potenti. , Un giorno avendo letto lo avva- , che bisogna pregare il vero pregare non è borbottare molte parole alla guisa de' pagani ma adorar Dio con semplicità in azioni, e fare che le , une sì in parole , sì e le altre sieno l'adempimento del suo santo volere, mi proposi di cominciare davvero quest'incessante preghiera , cioè di non permettermi più nep- pure un pensiero, che non animato dal fosse desiderio di conformarmi ai decreti di Dio. Le formole di preghiera da me adorazione furono sempre poche , recitate in non già per disprezzo (che anzi le credo saltuarissime chi più, a chi meno, per fermare zione nel culto) , ma perchè io , a l'atten- mi sento così
  • 28. LE MIE PRIGIONI, io fatto, da non essere capace di recitarne molte, senza vagare in distrazioni e porre F idea del culto in obblio. L' intento di stare di continuo alla presenza di Dio, invece di essere un faticoso sforzo della mente ed un soggetto di tremore era per me soavissima cosa. Non dimenticando che Dio , è , sempre vicino a noi eh' egli è in noi , , o piuttosto che noi siamo in esso, la solitudine perdeva ogni giorno più ce Non sono suo orrore per il in ottima compagnia io E mi dava dicendo. ? » me : m'an- rasserenava, e canterel- lava, e zufolava con piacere e con tenerezza. — Ebbene , pensai non avrebbe potuto , venirmi una febbre e portarmi in sepoltura Tutti i miei cari nati al pianto, , che si ? sarebbero abbando- perdendomi, avrebbero pure acquistato a poco a poco la forza di rasse- mia mancanza. Invece d'una tomba, mi divorò una prigione degg'io credere gnarsi alla : che Dio non Il li munisca mio cuore alzava loro, talvolta grime stesse d' i egual forza ? — più fervidi voli per con qualche lagrima -, ma le la- erano miste di dolcezza. Io aveva piena fede che Dio sosterrebbe loro e me. Non mi sono ingannato.
  • 29. CAPO 21 VII. ^%>*/%/%/VWV-^*^V*%/%^V%^'W*'». V»/%. *lV*VV»(W»,W*VV%V*'V'V*W%». CAPO VII. Il vivere libero è assai più bello del vivere in carcere; chi ne dubita? nelle miserie d' un carcere , Eppure anche quando ivi si pensa che Dio è presente, che mondo sono fugaci coscienza e non , che il le gioje del vero bene sta nella negli oggetti esteriori puossi , meno d' un non dirò perfettamente ma in comportevole guisa, il mio partito. Vidi che non volendo commettere l'indegna azione di comprare l' impunità col procacla mia sorte non pociare la rovina altrui essere se non il patibolo od una lunga teva Respiprigionia. Era necessità adattarvisi. finche mi lasciano fiato dissi e quando rerò con piacere sentire mese avea pigliato la vita. Io in , , — , , me lo tofranno allorché Morrò. Mi dare Il , farò sono giunti — come all' tutti i malati ultimo momento. studiava di non lagnarmi di nulla all' anima mia tutti i godimenti più consueto godimento si , e di possibili. era di andarmi rinnovando V enumerazione dei beni che ave-
  • 30. , LE MIE PRIGIONI, 22 vano abbellito dre i miei giorni un' ottima madre j eccellenti, tali e tali i un ottimo pa- : fratelli , amici , e sorelle una buona edu- cazione, l'amore delle lettere ec. Chi più di me era stato dotato di felicità ringraziarne Iddio , Perchè non ? sebbene ora mi fosse tem- perata dalla sventura? Talora facendo queir enumerazione m' inteneriva e piangeva un istante; Fin mail coraggio amico. ISon era il Parlo per altro Chi era ? cinque o — Un sei ladroni, e la d' legge Il li proces- de' signori una creatura umana. fanciullo anni. aveva acquistato un custode, non alcuno de' non alcuno secondini, santi. e la letizia tornavano. da' primi giorni io sordo e muto , padre e la aveva , dì madre erano colpiti. Il misero orfanello veniva mantenuto dalla Polizia con parecchi altri fanciulli della stessa Abitavano mia tutti in una stanza condizione. in faccia alla ed a certe ore aprivasi loro , la porta affinchè uscissero a prender aria nel cortile. Il tava e muto veniva sotto la mia finesmi sorrideva, e gesticolava. Io gli get- sordo tra, e un bel pezzo di pane : ei lo prendeva, facendo un salto di gioja, correva compagni, ne dava a mangiare la tutti, e poi a' suoi veniva a sua porzioncella presso la mia
  • 31. , CAPO finestra, esprimendo VII. <23 sua gratitudine col la sorriso de' suoi begli occhi. Gli tano altri fanciulli ma non , mi guardavano da lon- ardìano avvicinarsi : il sordo- muto aveva una gran simpatia per me già per sola cagione d' interesse. ei non sapea che fare del pane e mi facea segni eh' egli tava , , ne Alcune volte eh' io gli get- e i com- suoi pagni aveano mangiato bene, e non potevano prendere maggior cibo. S' ei vedea venire un secondino nella mia stanza, pane perchè me lo restituisse. aspettasse allora da zare innanzi alla me , gli ei dava il Benché nulla continuava a ruz- ei con una grazia finestra, amabilissima, godendo eh' io lo vedessi. Una un secondino permise al fanciullo d' enmia prigione questi appena entrato corse ad abbracciarmi le gambe mettendo un grido di gioja. Lo presi fra le volta trare nella , : , , braccia , ed mi colmava è indicibile il di carezze. quella cara animetta terlo far educare , in che trovava ! trasporto con cui Quanto amore Come in avrei voluto po- e salvarlo dall' abbiezione ! si Non ho mai saputo il suo nome. Egli stesso non sapeva di averne uno. Era sempre lieto e non lo vidi mai piangere se non una volta
  • 32. , LE BUE PRIGIONI, 24 che fu battuto , non perchè so dal carce- , Cosa strana! Vivere in luoghi riere. sembra il fanciullo colmo avea dell' infortunio certamente , simili eppure quel tanta felicità J quanta possa averne a queir età il figlio principe. Io facea questa riflessione , d un ed im- parava che puossi rendere Tumore indipendente dal luogo. Governiamo Y immaginativa, e staremo bene quasi dappertutto. Vn quando la sera uno senza fame e senza acuti do- giorno è presto passato si mette a lori e che importa se quel , mura che che letto , si si letto è piuttosto fra chiamino prigione chiamino casa o palazzo Ottimo ragionamento ! , Ma come governare Y immaginativa? Io mi e ben pareami glia : ma o fra mura ? vi si fa a provava, talvolta di riuscirvi a meravi- altre volte la tiranna trionfava io indispettito stupiva della , mia debolezza. ed
  • 33. , . , CAPO Vili. CAPO Vili. Nella mia sventura son pur fortunato diceva io che m' abbiano dato una prigione , a pian terreno tro passi da su questo cortile , me viene quel caro fanciullo con cui converso alla Mirabile intelligenza diciamo egli ove a quat- , ed muta dolcemente si umana Quante ! ! cose ci io colle infinite espressioni Come comquando gli sorrido ? come li corregge quando vede che mi spiacciono Come capisce che lo amo, quando accarezza o regala alcuno de' suoi compagni Nessuno al mondo se lo immagina, eppure io degli sguardi e della fisonomia pone i suoi moti con grazia ! , , ! ! stando alla finestra, posso essere una specie d'educatore per quella povera creaturina. forza di ripetere perfezioneremo il la mutuo A esercizio de' segni comunicazione delle nostre idee. Più sentirà d'istruirsi e d'ingentilirsi con il me , più mi s' affezionerà. Io sarò per lui genio della ragione e della bontà parerà a confidarmi ceri , le sue brame : i suoi dolori , i io a consolarlo egli ; im- suoi pia, 2 a nobi-
  • 34. LE MIE PRIGIONI, 26 litarlo, a dirigerlo in tutta la sua condotta. Chi sa che tenendosi indecisa mia sorte la di non mi lascino invecchiar qui? Chi sa che quel fanciullo non cresca sotto a' miei occhi e non sia adoprato a qual- mese in mese, , che servizio in questa casa? Con tanto inge- gno quanto mostra riuscire ? Ahimè ! d' avere , che potrà secondino o qualch' altra cosa di bene non avrò j egli un ottimo simile. Eb- niente di più che io fatto buon* opera contribuito ad ispirargli il se avrò f desiderio di pia- cere alla gente onesta ed a se stesso , a dargli V abitudine de' sentimenti amorevoli? Questo soliloquio era naturalissimo. Ebbi sempre molta inclinazione pe' fanciulli e , T ufficio d' educatore mi parea sublime. Io adempiva simile ufficio da qualche anno due giovaverso Giacomo e Giulio Porro eh' io amava come netti di belle speranze figli miei e come tali amerò sempre. Dio , , sa quante volte in carcere , quanto m' affliggessi la loro educazione! massi tro , , io pensassi a loro ! di non poter compiere quanto ardenti voti for- perchè incontrassero un nuovo maes- che mi fosse eguale nell' Talvolta esclamava tra parodìa è questa ! amarli me : ! Che brutta Invece di Giacomo e Giù-
  • 35. , CAPO lio , Vili. 27 fanciulli ornati de' più splendidi incanti mi tocca sordo muto che natura e fortuna possano dare per discepolo un poveretto stracciato, figlio al po' meno Queste garbato si Ma il !... che ai più che in termine direbbe sbirro. mi confondeano riflessioni sconfortavano. , d'un ladrone più diverrà secondino-, un , , appena sentiva io , mi lo strillo mio mutolino che mi si rimescolava il sangue come ad un padre che sente la voce del , , del figlio. pavano in guardo, E quello strillo e la sua vista dissime ogni idea di bassezza a suo riE che colpa ha egli s'è stracciato — e difettoso, e di razza di ladri? umana, nell'età dell' innocenza, è sempre rispettabile. Cosi diceva io; e ogni giorno più con amore crescesse in intelligenza, e dolce divisamento lirlo-, d' Un'anima , e lo guardava mi parea che confermavami nel applicarmi ad ingenti- e fantasticando su tutte le possibilità , pensava che forse sarei un giorno uscito di carcere ed avrei avuto mezzo di far mettere quel fanciullo nel collegio de' sordi e muti, e d' aprirgli così la via ad una fortuna più bella che d'essere sbirro. Mentre io m' occupava cosi deliziosamente
  • 36. LE MIE PRIGIONI, 28 del suo bene un giorno due secondini ven- , gono a prendermi. — cangia — Che intendete — C comandato camera. — Perchè — Qualch' grosso alloggio, signore. Si dire ? ? di trasportarla in un' è altra ? altro uccello è stato preso, e questa essendo la miglior camera.... capisce bene.... — Capisco : è la prima posa de' nuovi ar- rivati. E mi opposta trasportarono alla parte del cortile , non più ma ohimè non ! , atta al Traversando quel più a pian terreno, conversare col mutolino. cortile , vidi quel caro ra- gazzo seduto a terra, attonito, mesto mi perdeva. Dopo un eh' ei mi corse incontro ciarlo com 5 rezza , i e mi , capì secondini voleano cac- io lo presi fra le braccia egli era , ; : istante s'alzò, , e , lo baciai e ribaciai staccai da lui — debbo cogli occhi grondanti di lagrime. sudicetto con tenedirlo ? —
  • 37. , CAPO CAPO IX. 29 IX. Povero mio cuore! tu ami sì caldamente , già stato condannato men dolorosa nuovo mio zaccia non la che il alloggio era tristissimo. , lurida vetri alle imposte sei Questa non fu certo ! e la sentii tanto più ; oscura , facilmente e sì ed oh a quante separazioni , , Una stan- con finestra avente ma carta , con pareti contaminate da goffe pitturacce di colore non oso dir quale e ne' luoghi non , dipinti erano iscrizioni. Molte portavano semplice- mente nome, cognome felice , e patria di qualche in- colla data del giorno funesto della sua cattura. Altre aggiungeano esclamazioni con- una tro falsi amici, contro se stesso, contro donna, contro il giudice ec. Altre erano com- ; pendi d autobiografia. Altre contenevano sentenze morali. a V erano queste parole di Pascal Coloro che combattono parino almeno qual batterla. , prima di , : im- com- Se questa religione si vantasse d' avere una veduta chiara senza velo che non ella sia la religione si , di Dio , e di possederlo sarebbe un combatterla il dire vede niente nel mondo che , lo
  • 38. LE MIE PRIGIONI. 3o Ma mostri con tanta evidenza. anzi, essere gli da Dio , il poiché dice uomini nelle tenebre quale s' zione, ed essere appunto dà nelle Scritture Deus , vantaggio possono e lontani è nascosto alia loro cogni- nome il ch'egli si absconditus.... qual essi trarre , allorché nella negligenza che professano quanto alla scienza della verità, gridano che la verità loro mostrata Più sotto era autore) a non vien ? » scritto (parole dello stesso : Non qui del lieve interesse di trattasi qualche persona straniera ; trattasi di noi me- desimi e del nostro tutto. L'immortalità dell' anima è cosa che tanto importa o che toccaci profondamente che bisogna aver perduto , sì , per essere nell'indifferenza di ogni senno, saper che ne Un <c sia. » altro scritto diceva Benedico la prigione conoscere l'ingratitudine : , poiché degli ra' ha fatto uomini, la mia miseria, e la bontà di Dio. » Accanto a queste umili parole erano le più violente e superbe imprecazioni d' uno che si diceva ateo e che si scagliava contro Dio come se si dimenticasse d' aver detto che non , v' era Dio. Dopo una colonna di tali bestemmie , ne
  • 39. , CAPO IX. 3i seguiva una d'ingiurie contro così chiamava li egli, che la i vigliacchi sventura del carcere fa religiosi. Mostrai quelle scelleratezze ad uno de' secondini, e chiesi chi l'avesse scritta. — Ho piacere d'aver trovata quest'iscrizione, disse ve ne son tante cercare E tare ! — senz' altro muro per il — Perchè — Perchè e fu , ciò ed ho , diessi sì con un coltello a grat- farla sparire. ? dissi. povero diavolo che il : poco tempo da l' ha scritta, condannato a morte per omicidio preme- ditato , se ne pentì , e mi fece pregare di questa carità. — Dio perdoni sclamai. Qual omicisuo dio era — Non potendo uccidere un suo nemico vendicò uccidendogli più — che desse gli ! ? il , si il fanciullo E A tanto può giungere mostro teneva siffatto , bel il sulla terra. si Inorridii. figlio il la ferocia! linguaggio insul- un uomo superiore a tutte le deboumane Uccidere un innocente un tante d' lezze fanciullo ! ! !
  • 40. LE MIE PRIGIONI. 32 CAPO Ijj quella mia nuova stanza, così tetra e immonda, privo della compagnia del muto io era oppresso di tristezza. Stava così caro , molte ore una X. alla finestra la galleria quale metteva sopra e al di là della galleria vedeasi , r estremità del cortile e la finestra della mia prima stanza. Chi erami succeduto colà vi ? Io vedeva un uomo che molto passeggiava colla rapidità di chi è pieno o tre giorni dappoi da scrivere , , 7 d agitazione. vidi che gli Due avevano dato ed allora se ne stava tutto il dì al tavolino. Finalmente lo riconobbi. Egli usciva della sua stanza accompagnato dal custode agli esami. Era Melchiorre Gioja andava : ! Mi si strinse il cuore. Anche tu, valen(Fu più fortunato di me. tuomo, sei qui Dopo alcuni mesi di detenzione, venne ri! messo in La libertà. vista di consola, — ) qualunque creatura buona mi m'affeziona, mi fa pensare. pensare ed amare sono un gran bene ! Ah! Avrei
  • 41. , CAPO dato mia la eppure Dopo 33 per salvar Gioja di carcere vita vederlo il X. mi ; sollevava. essere stato lungo tempo a guardarlo a congetturare da' suoi moti se fosse tranquillo d'animo od inquieto, a far voti per lui io mi sentiva maggior forza maggiore abbon, , danza d'idee, maggior contento di me. Ciò vuol dire che lo spettacolo d'una creatura umana, quale s'abbia amore, basta a alla temprare M' avea dapprima un povero bambino solitudine. la recato questo benefizio muto, ed or me lo recava la lontana vista d'un uomo di gran merito. Forse qualche secondino era. Un mattino aprendo sventolare il la gli disse dov'io sua finestra, fece fazzoletto in atto di saluto. Io gli risposi collo stesso segno. m'inondò l'anima Oh, quale piacere momento Mi in quel ! pareva che la distanza fosse sparita, che fos- simo insieme. Il cuore mi balzava come ad un innamorato che rivede Y amata. Gesticolavamo senza capirci, e colla stessa premura, se ci capissimo mente -, le nostre : come o piuttosto ci capivamo real- que' gesti voleano dire tutto ciò che anime sentivano, el'una non igno- rava ciò che l'altra sentisse. Qual conforto sembravanmi dover essere
  • 42. , I LE MIE PRIGIONI, 34 E l'avvenire in avvenire que' saluti! ma que' saluti volta non furono più giunse, replicati Ogni ! ch'io rivedea Gioja alla finestra, io faceva sventolare secondini d'eccitare mi i guardavami e così ci il fazzoletto. Invano ! I dissero che gli era stato proibito miei gesti o di rispondervi. Bensì egli spesso , ed io guardava dicevamo ancora molte cose. lui
  • 43. CAPO XI. CAPO Sulla vano XI. galleria eh' era sotto la finestra medesimo livello 35 della da mattina a sera e ripassavano , al mia prigione, passaaltri prigionieri, accompagnati da secondino-, an- esami, e ritornavano. Erano per davano agli lo più gente bassa. Vidi nondimeno anche di condizione civile. qualcheduno che parea Benché non su loro , potessi gran fatto fissare gli occhi tanto era fuggevole pure attraevano più la mia miei dolori: feci, e fini della mia loro passaggio, meno mi commoveano. Questo qual tristo spettacolo, a' i il attenzione-, tutti qual ma a primi giorni, accresceva poco a poco mi v'assue- per diminuire anch' esso 1' orrore gli occhi solitudine. Mi passavano parimente molte donne arrestate. Da s'andava, per un voltone, sotto quella galleria sopra un altro cortile, e là erano le carceri muliebri e l'os- pedale delle assai sottile sifilitiche. Un muro mi dividea da una delle donne. Spesso le poverette solo , ed delle stanze mi assorda-
  • 44. LE MIE PRIGIONI, 36 vano colle loro canzoni, risse. A talvolta colle loro tarda sera, quando romori erano i udiva conversare. cessati, io le Se avessi voluto entrare in colloquio, avrei Me n'astenni, non potuto. midità di ? Per so perchè. ti- per alterezza? per prudente riguardo non affezionarmi donne degradate? Do- a vevano esservi questi motivi donna, quando è ciò me una creatura T udirla, il mi perturba m' , sublime mi Ma di nobili fantasie. La tre. che debb' essere, è per sì parlarle tutti ! Il vederla arricchisce la , mente avvilita, spregevole, affligge mi , spoetizza il cuore. Eppure (gli eppure sono indispensabili per dipingere l'uomo, ente si composto) fra quelle voci femminili ve n' avea di soavi queste care. — e perchè non dirlo? Ed una — di quelle era più soave altre, e s'udiva più di rado, e , e m'erano delle non proferiva pensieri volgari. Cantava poco, e-per lo più questi soli due patetici versi Chi rende La sua alla meschina felicità? Alcune volte cantava compagne la : le secondavano , litanie. ma io Le sue aveva il
  • 45. CAPO dono XI. 3 di discernere la voce di Maddalena dalle che pur troppo sembravano accanile a altre, rapirmela. Si, quella disgraziata chiamasi Maddalena. Quando dolori teva le sue compagne raccon lavano compativale e gemeva ella , Coraggio : mia cara , 5 i loro e ripe- , Signore non il abbandona alcuno. Chi poteva impedirmi d'immaginarmela bella e più infelice che colpevole, nata per la virtù capace di ritornarvi , , erasene scos- s' tata? Chi potrebbe biasimarmi s'io m'inte- neriva udendola, s'io l'ascoltava con venerazione , s' particolare io pregava per L'innocenza pure il lei con un fervore ? è veneranda, pentimento! Il ma l'Uomo-Dio, sdegnava confusione eh' ei più tanto onorava , ? d' porre egli di pietoso sguardo sulle peccatrici la loro quanto lo è migliore degli uomini, , il suo di rispettare aggregarle fra le anime Perchè disprezziamo noi Indonna caduta nell'ignominia? Ragionando cosi, fui cento volte tentato di alzar la voce, e fare una dichiarazione fraterno a Maddalena. Una ! il amor volta avea già co- minciato la prima sillaba vocativa Cosa strana d' : cuore mi batteva « , Mad !... » come ad
  • 46. LE MIE PRIGIONI, 38 un ragazzo sì , di quindici anni eh' io ri avea trent' uno , innamorato; che non e è più l'età dei palpiti infantili. Non « potei andar Mad!... Mad!... ridicolo ! avanti. E Ricominciai fu inutile. gridai dalla rabbia e , non Mad » » : « Mi : trovai Matto ! e
  • 47. , CAPO XII. CAPO Così finì retta se 39 XII. mio romanzo con quella pove- il non che le fui debitore di dolcissimi sentimenti per parecchie settimane. Spesso io era rava : melanconico e la sua voce , spesso pensando alla viltà ed titudine degli uomini loro , disamava io l' , m esila- all' ingra- m' irritava contro io universo e la voce di , Maddalena tornava a dispormi a compassione ed indulgenza. — Possa tu, o incognita peccatrice, essere stata condannata a grave qualunque pena sii ! lo fosti , e vivere e da me ti che non Possa tu ispirare, in ognuno che pazienza , la la fiducia in Od a morir Possa tu essere compianta e rispettata da tutti quelli che come ! tu stata condannata, possa tu profittarne e rinobilitarti cara al Signore pena non dolcezza , la Dio, come brama conoscono ti ti conobbi ! vegga, la della virtù le ispiravi in , colui amò senza vederti La mia immaginapuò errare figurandoti bella di corpo, ma l'anima tua, ne son certo, era bella. Le che tiva t' !
  • 48. , LE MIE PRIGIONI, 40 tue compagne parlavano grossolanamente, e tu con pudore e gentilezza -, bestemmiavano benedicevi Dio*, garrivano, e tu compo- e tu nevi le loro liti. Se alcuno t' ha porto la mano per sottrarti dalla carriera del disonore , se t'ha beneficata con delicatezza, se ha asciugate le tue lagrime, tutte le consolazioni pio- vano su lui su' suoi figli , , e sui figli de' suoi figli!Contigua Uno parlare. non torità, dizione cia. alla mia, era una prigione abi- da parecchi uomini. Io tata di loro superava gli altri in au- maggiore finezza di con- forse per ma , per maggior facondia ed auda- Questi facea come , si dice, Rissava e metteva in silenzio coli' udiva anche li i il dottore. contendenti imperiosità della voce, e colla foga delle parole -, dettava loro ciò che doveano pensare e sentire , e quelli , dopo qualche renitenza , finivano per dargli ragione in tutto. Infelici! le non uno di loro, che temperasse spiacevolezze della prigione , esprimendo qualche soave sentimento, qualche poco di religione e d'amore! Il posi. caporione di que' vicini mi salutò, e Mi ris- chiese com'io passassi quella male- detta vita. Gli dissi , che , sebben trista ,
  • 49. CAPO XII. 4i niuna vita era maledetta per me, e che alla morte , piacer di pensare e d'amare. — Mi Si spieghi, signore, non spiegai, e si fui capito. coraggio d'accennare, me Maddalena una grandissima risata, dalla voce di , cos'è compagni. — che cos'è ? Il il ? il E quando, , come esempio, nerezza carissima che in — Che sino — spieghi. dopo ingegnose ambagi preparatorie in , bisognava procacciar di godere ebbi il la te- veniva destata caporione diede gridarono i suoi profano ridisse con carica- tura le mie parole, e le risate scoppiarono in coro, ed io feci lì pienamente la figura dello sciocco. Avviene in prigione come nel mondo. Quelli che pongono la lor saviezza lagnarsi, nel vilipendere, compatire, l'amare, il nel fremere, nel credono il consolarsi con belle fantasie, che onorino l'umanità ed tore. follia il suo Au-
  • 50. LE MIE PRIGIONI, 42 % *»"W *^*^V*^**"W%/*^k %•»/*» CAPO XIII. Lasciai ridere, e non opposi sillaba. cini mi diressero due o I vi- tre volte la parola ; io stetti zitto. — Non più — tenderà Y orecchio lena — sarà ne sarà ai sospiri di ito si Madda- sarà offeso delle nostre risa. Così andarono dicendo per mente il — se alla finestra — un poco. E caporione impose silenzio agli finalaltri che susurravano sul mio conto. — Tacete, non sapete quel non è un si grand' asino come credete. Voi non siete cabestioni, che che diavolo vi dite. Qui vicino il paci di riflettere su niente. Io sghignazzo, poi rifletto sanno Un io. Tutti i far gli arrabbiati, villani un , po' più di fede ne' benefizii del cielo, che cosa vi pare sinceramente, che dizio ma mascalzoni come facciamo noi. un po' più di ca- po' più di dolce allegria rità, di , sia in- ? — Or che ci rifletto anch' io, rispose uno, mi pare che sia indizio d' essere alquanto meno mascalzone.
  • 51. CAPO — Bravo toreo ! gridò il XIII. 43 caporione con urlo sten- questa volta torno ad aver qualche ; stima della tua zucca. — Io non insuperbiva molto, d'essere solamente reputato alquanto meno mascalzone di loro eppur provava una specie di gioja ; , che que' disgraziati si portanza di coltivare ricredessero, circa Y imi sentimenti benevoli. Mossi T imposta della finestra , come se tornassi allora. Il caporione mi chiamò. Risposi, sperando che avesse voglia di moralizzare a modo mio. M'ingannai. sfuggono ragionamenti i Gli spiriti volgari serii : se una nobile verità traluce loro, sono capaci di applaudirla un istante , ma tosto dopo ritorcono da essa lo sguardo, e non resistono alla libidine d' ostentar senno, ponendo quella scherzando. Mi verità in dubbio e ' chiese poscia, s'io era in prigione per debiti. — No. — Forse accusato falsamente — Sono accusato — Di cose amore — No. di truffa ? Intendo accu- sato , sa. di tutt' altro. d' — D' omicidio « ? ?
  • 52. LE 44 3IIE — No. — Di carboneria — Appunto. — E che sono — Li conosco — PRIGIONI ? questi carbonari così poco, ? che non saprei dirvelo. Un lera, secondino c'interruppe con gran cole dopo d'aver colmato d'improperii miei vicini , si d'uno sbirro, volse a me ma d'un colla gravità . maestro, e disse i non : — , ergogna signore , con ogni sorta son ladri ? Arrossii — . ! degnarsi di conversare di gente ! Sa ella che costoro e poi arrossii d'aver arrossito, e mi parve, che il degnarsi di conversare con ogni specie d'infelici sia piuttosto bontà che colpa.
  • 53. CAPO XIV. CAPO 45 XIV. Il mattino seguente andai alla finestra vedere Melchiorre Gioja, più co' ladri. ma non , per conversai Risposi al loro saluto, e dissi che m'era vietato di parlare. Venne l'attuario che m'avea fatto gì' inter- rogatomi, e m'annunciò con mistero una visita parve E quando che m'avrebbe recato piacere. gli disse d' avermi abbastanza preparato Insomma : è suo padre , compiaccia si di seguirmi. Lo seguii abbasso negli uffici di contento e di tenerezza , e , palpitando sforzandomi d'avere un aspetto sereno che tranquillasse il mio povero padre. Allorché avea saputo il mio arresto, egli avea sperato che ciò fosse per sospetti da nulla, e ch'io tosto uscissi. Ma vedendo che la de- tenzione durava, era venuto a sollecitare il Governo Austriaco per la mia liberazione. Misere illusioni dell' amor paterno Ei non ! potea credere, ch'io rio da espormi fossi stato cosi al rigore delle leggi , temerae la stu-
  • 54. LE MIE PRIGIONI. 46 diala ilarità con che gli parlai lo persuase , ch'io non avea sciagure a temere. Il breve colloquio che m'agitò indicibilmente ; ci conceduto fu tanto più ch'io re- primeva ogni apparenza d'agitazione. difficile fu di più Il non manifestarla quando con, venne separarci. Nelle circostanze in cui era i' Italia , io tenea per fermo che l'Austria avrebbe dato esempii straordinarii di rigore , e eh' io sarei condannato a morte od a molti anni di prigionia. Dissimulare questa credenza ad un stato padre lusingarlo colla dimostrazione di fon- ! date speranze di prossima libertà! non pro- rompere in lagrime abbracciandolo, parlan- madre de' fratelli e delle sorelle, non riveder più mai sulla pregarlo con voce non angosciata, che dogli della , eh' io .pensava terra! venisse ancora a vedermi se poteva mai mi Egli ! Nulla costò tanta violenza. si tornai nel divise consolatissimo da mio carcere col cuore me, ed io straziato. Appena mi vidi solo, sperai di potermi solabbandonandomi al pianto. Questo sollievo mi mancò. Io scoppiava in singhiozzi, e non potea versare una lagrima. La disgrazia di non piangere è una delle più crudeli ne' levare,
  • 55. CAPO sommi vata dolori , XIV. 4: ed oh quante volte Y ho pro- ! Mi una febbre ardente con fortissimo mal di capo. Non inghiottii un cucehiajo di minestra in tutto il giorno. Fosse questa una prese malattia mortale, diceva io, che abbreviasse i miei martirii ! Stolta e codarda brama Iddio non ed or ne lo ringrazio. ! E ne l'esaudì, lo ringrazio , solo perchè dopo dieci anni di carcere riveduto felice *, la ma mia cara famiglia, anche perchè gono valore non sieno all' uomo stati inutili , i non ho , e posso dirmi patimenti aggiun- e voglio sperare per me. che
  • 56. LE MIE PRIGIONI. AB CAPO Due giorni appresso aveva dormito bene febbre. , XV. mio padre tornò. la notte, Mi ricomposi a disinvolte e liete niere, e niuno dubitò di ciò che avesse sofferto ma- mio cuore disse il padre, che fra pochi mandato a Torino. Già t'abbiamo apparecchiata grande il e soffrisse ancora. , — Confido, mi giorni sarai Io ed era senza la stanza, ansietà. miei I e t'aspettiamo doveri m'obbligano a ripartire. Procura, d' te go, procura di raggiungermi presto. con impiego ne pre- — La sua tenera e melanconica amorevolezza mi squarciava 1' anima. Il fingere mi pareva comandato da pietà, eppure una specie di rimorso. mio padre cosa più degna di gli avessi detto : — con io fingeva Non sarebbe stato e di me , s' Probabilmente non io ci vedremo più in questo mondo Separiamoci da uomini senza mormorare, senza gemere e ch'io oda pronunciare sul mio capo la pa! , 5 terna benedizione ! — Questo linguaggio mi sarebbe mille volte
  • 57. CAPO XV. più piaciuto della finzione. Ma io guardava occhi di quel venerando vecchio gli lineamenti , suoi i capelli grigi , sembrava che V infelice potesse aver udire d' E se suoi non mi e , i la forza tai cose. per non volerlo ingannare, io l'avessi veduto abbandonarsi disperazione, forse alla svenire, forse (orribile idea!) essere colpito da morte nelle mie braccia Non potei dirgli tralucere! La mia ? vero, né lasciarglielo il foggiata serenità lo illuse pienamente. Ci dividemmo senza lagrime. Ma ritornato nel carcere/ fui angosciato come l'altra volta, o più vano pure invocai fieramente ancora; ed inil dono del pianto. Rassegnarmi a tutto l'orrore d'una lunga prigionia, rassegnarmi patibolo, era nella al Ma rassegnarmi all'immenso done avrebbero provato padre, madre, lore che mia forza. fratelli e sorelle la mia Mi forza , ah ! questo era quello a cui non bastava. prostrai allora in terra con quale io non aveva mai avuto nunciai questa preghiera — Mio Dio ma , invigorisci si un fervore forte , e pro- : accetto tutto dalla tua mano prodigiosamente cuori a sì i ; cui io era necessario, eh' io cessi d' esser loro 3
  • 58. LE MIE PRIGIONI, 5o tale ciò non abbia perun giorno e la vita d' alcun di loro , ad abbreviarsi pur Oh d' ! beneficio della preghiera ore colla mente elevata a Dio cia cresceva a Stetti più ! e la , — mia fidu- misura ch'io meditava sulla bontà divina, a misura ch'io meditava sulla grandezza dell' anima umana del suo egoismo che altro volere , e si sforza di , quando esce non aver più volere dell' infinita Sa- il pienza. Sì ciò si può La ragione, che è , ! ciò è la il dovere dell' voce di Dio , la uomo ne dice che bisogna tutto sacrificare virtù. E sarebbe compiuto siamo debitori alla virtù rosi luttassimo contro d'ogni virtù è Quando il il alla sacrificio di cui il se nei casi più dolo- volere di Colui che principio ? patibolo o qualunque altro mar- tirio è inevitabile, il , il ! ragione il temerlo codardamente, non saper muovere ad esso benedicendo il Signore, è segno di miserabile degradazione od ignoranza. Ed è non solamente d'uopo consentire alla propria morte, zione che ne proveranno non peri lice se , i ma non dimandare che Dio che Dio tutti ci sempre esaudita. all'affli- nostri cari. Altro regga ; tal la tem- preghiera è
  • 59. , CAPO XYI. CAPO XVI. Volsero alcuni giorni desimo stato 5i ed , io era nel me- cioè in una mestizia dolce piena di pace e di pensieri Pareami religiosi. d' aver trionfato d' ogni debolezza e di , non essere più accessibile ad alcuna inquietudine. Folle illusione perfetta costanza terra. U uomo ! , ma non Che mi turbò infelice -, dee tendere vi — La ? giunge mai sulla un amico vista d' mio buon Piero la vista del alla , che passò a pochi palmi di distanza da me galleria, mentr'io era alla finestra. L'aveano tratto del suo covile per condurlo , sulla alle carceri criminali. Egli, e coloro che l'accompagnavano, pas- sarono così presto, che appena ebbi riconoscerlo, a vedere un suo cenno campo a di saluto, ed a restituirglielo. Povero giovane Nel ! fiore dell' età , con un ingegno di splendide speranze con un carat, tere onesto , delicato , amantissimo, fatto per godere gloriosamente della vita , in prigione per cose politiche in , precipitato tempo da
  • 60. LE MIE PRIGIONI. 52 non poter certamente evitare mini della legge più severi ful- i ! Mi prese tal compassione di lui , tale af- fanno di non poterlo redimere, di non poterlo almeno confortare colla mia presenza mie parole, che nulla valeva a e colle rendermi un poco di calma. Io sapeva quant' egli amasse sua madre, suo fratello, le sue sorelle, cognato nipotini i , ; il agognasse quant' egli contribuire alla loro felicità, quanto, fosse riamato da tutti quei cari oggetti. Io sentiva qual dovesse essere l'afflizione di ciascun loro a tanta disgrazia. per esprimere me. dronì di la E Non di vi sono termini smania che allora questa smania si s' impa- prolungò cotanto, eh' io disperava di più sedarla. Anche questo spavento O afflitti tabile , , era un' illusione. che vi credete preda d'un inelut- orrendo , sempre crescente dolore pazientate alquanto, e vi disingannerete somma durare pace, né somma quaggiù. ! , Né inquietudine possono Conviene persuadersi di questa verità, per non insuperbire nelle ore felici e non avvilirsi in quelle del perturba- mento. A lunga smania apatia. Ma l'apatia successe stanchezza neppure non é ed durevole,
  • 61. CAPO XVI. e temelti di 53 dover, quindi in poi, alternare senza rifugio, tra questa e V opposto eccesso. Inorridii alla prospettiva di simile avvenire e ricorsi anche questa volta ardentemente alla preghiera. Io dimandai a Dio d' assistere Piero come me, e la sua casa il mio misero come la mia. Solo ripetendo questi voti, potei veramente tranquillarmi.
  • 62. LE MIE PRIGIONI. 54 CAPO Ma XVII. quando l'animo era quetato, io riflet- teva alle smanie sofferte, e adirandomi della mia debolezza, studiava Giovommi a tal il modo di guarirne. uopo questo espediente. Ogni mia prima occupazione dopo breve omaggio al Creatore era il fare una diligente mattina , , , e coraggiosa rassegna d'ogni possibile evento commuovermi. Su ciascuno fermava e mi vi preparava la fantasia atto a vivamente dalle più care visite nefice , io le esercizio portevole : , , — fino alla visita del car- immaginava tutte. Questo tristo sembrava per alcuni giorni incom, ma volli essere perseverante , ed in breve ne fui contento. Al primo dell'anno (1821) il conte Luigi Porro ottenne di venirmi a vedere. La tenera , e calda amicizia eh' era tra noi avevamo che a. di dirci tante cose, , il bisogno che l'impedimento questa effusione era posto dalla presenza d'un attuario, il troppo breve tempo che fu dato di stare insieme , i menti che mi angosciavano, ci sinistri presenti- lo sforzo che fa-
  • 63. , CAPO cevamo egli 55 parer tranquilli, tutto io di dovermi mettere una delle più ter- ciò parea tempeste nel cuore. Separato da quel ribili caro amico ma ed XVII. , mi calma sentii in intenerito -, in calma. Tale è l'efficacia del premunirsi contro le emozioni. forti mio impegno Il stante , d' acquistare una calma codi dimi- non movea tanto dal desiderio nuire la mia infelicità , quanto dall' apparirmi brutta, indegna dell'uomo, l'inquietudine. Una mente agitata non ragiona più avvolta : un turbine irresistibile d'idee esagerate si forma una logica sciocca furibonda maligna è in uno stato assolutamente antifilosofra , , : fico, anticristiano. S' io fossi predicatore, insisterei spesso sulla necessità di bandire l'inquietudine può esser cifico buono ad con altro patto. sé e cogli altri : non si Com'era pa- Colui che dobbiamo tutti imitare! Non v'è grandezza d'animo, non v'è giustizia senza idee moderate, senza uno spirito tendente più a sorridere che ad adirarsi degli avvenimenti di questa breve vita. L'ira non ha qualche valore caso rarissimo , che sia , se presumibile non nel d' umi-
  • 64. LE MIE PRIGIONI. 56 con essa un malvagio e di rilrarlo Ilare dall' iniquità. Forse si danno smanie quelle eh' io conosco, e Ma di natura diversa da meno condannevoli. quella che m'avea fin allora fatto suo schiavo zione : non era una smania , vi si pura di affli- mescolava sempre molto odio, molto prurito di maledire di , dipingermi la società, o questi o quegli individui, conco- più esecrabili. Malattia epidemica nel lori mondo! L'uomo rendo gli altri. Pare che cano all'orecchio noi 5 reputa migliore, abbor- si gridando che : si difra tutti tutti gli sono ciurmaglia brerà che siamo semidei. Curioso fatto, Vi cia tanto! si che il si fremeva ne cerca subito un altro. mostro amici , ?... Oh gioja laceriamolo Così va il sem- vivere arrabbiato piac- menterò oggi ? chi odierò il , » pone una specie d'eroismo. Se l'oggetto contro cui jeri se amici Amiamoci solamente « mondo ! : ! — ? — Di è chi morto, mi la- sarebbe mai quello l'ho trovato. Venite , e senza lacerarlo, posso ben dire che va male.
  • 65. capo xvnr. fc»^V"V%^WX^.-V«»'*'WV*'%i w»*«* CAPO Non v »•*/>. w*-% XVIII. era molta malignità nel lamentarmi dell' orridezza della stanza, to. Per buona ventura gliore , e 5? «/-v^i mi fece si ove m'aveano pos- restò vota una miY amabile sorpresa di dar, mela. Non tale avrei io dovuto esser contentissimo a tuto — Tant' è non ho poEppure pensare a Maddalena senza rincresci- annuncio ? mento. Che fanciullaggine ; ! affezionarsi sem- pre a qualche cosa, anche con motivi, per verità , non molto cameraccia la , forti ! Uscendo di quella voltai indietro lo sguardo, verso parete alla quale io m' era poggiato, mentre, forse sì sovente ap- un palmo più vi s'appoggiava dal lato opposto la in là peccatrice. Avrei voluto sentire ancora volta que'due patetici versi Chi rende La sua Vano , misera una : meschina alla felicità ? desiderio ! Ecco una separazione di
  • 66. LE MIE PRIGIONI, più nella mia sciagurata vita. larne lungamente ma sarei un fui , non ipocrita, se , andarmene miei vicini , me : ne confessassi che , salutai due de' poveri la- eh' erano alla finestra. Il ca- , ma porione non v'era, gni voglio par- mesto per più giorni. Neil' dri Non per non far ridere di mi v'accorse, e compa- avvertito dai risalutò anch' egli. mise quindi a canterellare l'aria : alla meschina. Voleva egli hurlarsi di Scommetto che « Sì. : , a quaranlanove risponde- Ebbene ad onta )) — me ? dimanda se facessi questa cinquanta persone rebbero Si Chi rende pluralità di voti, inclino a di tanta credere che il buon ladro intendea di farmi una gentilezza. Io la ricevetti come tale e gliene fui grato e , , gli diedi ancora un' occhiata gendo in il : ed egli spor- braccio fuori de' ferri col berretto mano, faceami ancor cenno, allorch'io voltava per discendere la scala. Quando fui lazione. V'era Mi nel cortile, ebbi il mutolino sotto una consoil portico. mi riconobbe, e volea corrermi incontro. La moglie del custode, chi sa pervide, chè? Mi i l'afferrò pel collare e lo cacciò in casa. spiacque di non poterlo abbracciare, saltetti eh' ei fece per correre a ma me mi com-
  • 67. CAPO XVIII. mossero deliziosamente. sere amato passi più in là stanza già mia Ahi « : ! di giorno, Melchiorre?» capo il , e dissi gli balzando verso me, — Buon giorno, Silvio! » non mi fu dato di fermarmi un portone, il salii una sca- venni posto in una cameruccia pu- letta, e lita, al di sopra di quella di Gioja. Fatto portar muri. Due grandi avventure. e nella quale ora stava Gioja. , istante. Voltai sotto condini dolce Y es- mossi vicino alla finestra della , passando. Alzò gridò sì ! Era giornata — «Buon È s9 cosa il letto , e lasciato solo dai se- , mio primo affare fu di visitare V erano alcune memorie scritte i quali , con matita, quali con carbone, quali con punta incisiva. Trovai graziose due strofe francesi, che or m' incresce di non avere im- parate a memoria. Erano firmate le due de Normandie. Presi alla lena meglio -, ma l' cantarle a aria della Bravo ! » Ed mente, chiedendomi — No; sono Pellico. adattandovi mia povera Madda- ecco una voce vicinissima che ricanta con altr' aria. gridai « , le Com'ebbe finito, gli mi salutò gentil- egli s'io era Italiano, e Francese. mi chiamo Silvio
  • 68. , LE MIE PRIGIONI. 6o — L'autore — Appunto. — della E rali Francesca da Rimini? qui un gentile complimento condoglienze sentendo eh' io , e le natu- fossi in car- cere. Mi dimandò di qual parte d' Italia fossi na- tivo. — Di Piemonte, E dissi -, sono Salurzese. — qui nuovo gentile complimento sul ca- rattere e sul!' ingegno de' Piemontesi ticolare menzione e in ispecie di , e par- de' valentuomini Saluzzesi Bodoni. Quelle poche lodi erano fine, come fanno da persona di buona educazione. si — Or mi chiedere — Avete cantata una mia canzoncina. — Quelle due che stanno muro sono — — Voi dunque.... — duca Normandia. — sia lecito , gli dissi , a voi, signore, chi siete. belle strofette sul vostre , Sì , ? signore. siete L'infelice di di
  • 69. , CAPO XIX. 61 CAPO XIX. Il custode passava sotto le nostre finestre e ci fece tacere. io Quale infelice duca di Normandia? andava ruminando. Non è questo il titolo che da- vasi al figlio di Luigi fanciullo è XVI ? Ma quel povero — Eb- indubitatamente morto. mio vicino sarà uno bene, il che sono provati a farlo rivivere. si de' disgraziati Già parecchi si spacciarono per Luigi XVII e furono riconosciuti impostori gior credenza Sebbene dovrebbe questi ottenere io cercassi di stare in , qual mag- : me invincibile incredulità prevaleva in — ? dubbio , , un ed ognor continuò a prevalere. Nondimeno determinai di non mortificare Y infelice lunque , qua- frottola fosse per raccontarmi. Pochi istanti dappoi , ricominciò a cantare, indi ripigliammo la conversazione. Alla mia dimanda eh' egli era sull' esser suo appunto Luigi XVII, e rispose , si : diede a
  • 70. LE MIE PRIGIONI. 6<i declamare con forza contro Luigi XVIII suo zio, usurpatore de' suoi diritti. — Ma valere tempo — mi trovava questi diritti , come non li faceste della Ristorazione? al Io allora mortalmente am- malato a Bologna. Appena risanalo, volai a mi presentai Parigi, alle Alte quel eh' era fatto era fatto non lui volle riconoscermi; per opprimermi. Condé m' Il : mia solo Una di Parigi, fui assalito da Dopo sorella s'unì a ma lì, sua armati di sicarii, loro colpi. a' mi fermai scrivendo incessantemente d'Europa, la di sera, perle vie ed a stento mi sottrassi , ma buon principe Norman- aver vagato qualche tempo in dia, tornai in Italia, e Di Potenze, iniquo mio zio accolse a braccia aperte, amicizia nulla poteva. pugnali 1' a Modena. monarchi ai e particolarmente all'imperatore Alessandro, che mi rispondea colla massima gentilezza mente io , non disperava d'ottenere final- giustizia, o se, per politica, voleano sacrificare i miei diritti al trono di Francia, che almeno mi s'assegnasse un decente appannaggio. del ducalo confini gnato Venni al arrestato, di condotto Modena e , governo Austriaco. Or , ai conse- da otto
  • 71. , CAPO XIX. mesi sono qui sepolto , uscirò e , 63 Dio sa quando , ! Non Ma prestai fede a tutte le sue parole. eh' ei fosse lì una sepolto era verità , m' e is- pirò una viva compassione. Lo pregai di raccontarmi in compendio la Mi sua vita. disse con minutezza tutti i misero collo scellerato Simon quando lo zolaio-, quando vera regina sua madre , i notte a prenderlo; fu trafugato. un , -, lo Là il generale — lo ricordo) mandò il , , ed ei al Reno (mi , disse e passati il i nome, che Tavea liberato, tempo da educatore, da o condusse quindi in Ame- giovane re senza regno, ebbe molte peripezie, patì litò fanciullo stupido per ed uno de' cavalli era una fece per qualche padre finalmente di legno, nella quale ei fu celato. ma non me rica. E venne gente una fu posto in sua vece Andarono felicemente gli , V era nella strada una carrozza a quattro cavalli confini, , cal- costumi della po- ec. ec. che essendo in carcere nome Mathurin , indussero ad attestare un' lo infame calunnia contro macchina parti- XVII colari eh' io già sapeva intorno Luigi la fame ne' deserti, mi- visse onorato e felice alla corte del re del Brasile, fu calunniato, perseguitato, co-
  • 72. LE MIE PRIGIONI, 64 stretto a fuggire. Tornò in Europa nire deli' impero Napoleonico gione a ZSapoli quando il fu tenuto pri- da Giovacchino Murat^ rivide libero ed si riclamare -, in sul fi- trono di Francia e in procinto di , logna quella funesta malattia lo colpì a , quale Luigi XYIII fu incoronato. durante Bola
  • 73. CAPO XX. »,%. %^»/%. *s*. •+, m. 65 • CAPO XX. Ei raccontava questa con una sor- storia prendente aria di verità. Io non potendo crederlo pur T ammirava. Tutti , rivoluzione francese gli i della fatti erano notissimi parlava con molto spontanea eloquenza , ne ; e ri- feriva ad ogni proposito aneddoti curiosissimi. V'era alcun che di soldatesco nel suo dire, ma senza mancare di quella eleganza oh' è data dall' uso delia fina società. — Mi permetterete, buona, ch'io non tratti alla — Questo sventura Dalla guadagno , V assicuro Mattina ; vi dia titoli. ho almeno , , tratto che mi pregio più — e sera ch'io vi che desidero, rispose. che so sorridere di tutte che d'esser re. insieme ciò è dissi, gli questo le vanità. d' esser uomo conversavamo lungamente , e, ad onta di ciò ch'io riputava commedia in lui l'anima sua mi parea buona candida desiderosa d' ogni bene moesser , , rale. Più volte , fui io vorrei credere per dirgli : — Perdonate che foste Luigi XVII , , ma
  • 74. LE MIE PRIGIONI, 66 sinceramente vi confesso che contraria domina in me , la persuasione abbiate tanta fran- chezza da rinunciare a questa finzione. ruminava tra me una —E bella predicuccia da fargli sulla vanità d' ogni bugia , anche delle bugie che sembrano innocue. Di giorno in giorno differiva -, sempre aspet- tava che l'intimità nostra crescesse ancora di qualche grado, e mai non ebbi ardire guire il mio intento. Quando dire questa mancanza d' ar- come urbanità neces- onesto timore d' affliggere , Ma io. rifletto a talvolta la scuso , saria d' ese- , e che so queste scuse non m'accontentano, e non posso dissimulare che sarei più soddisse non mi fossi tenuta nel gozzo fatto di me , , T ideata predicuccia. Fingere di prestar fede parmi ad un'impostura, è pusillanimità : che noi farei più. Sì, pusillanimilà! Certo, che per quanto s'involva in delicati preamboli, è aspra cosa uno « Non vi credo. » Ei si sdegnerà perderemo il piacere della sua amiciil dire ad : , zia, ci perdita è più onorevole del il Ma mentire. E colmerà forse d'ingiurie. disgraziato che ci ogni forse colmerebbe d'ingiurie, vedendo che una sua impostura non è ere-
  • 75. CAPO XX. 67 duta, ammirerebbe poscia in secreto la nostra sincerità sioni che il , e gli sarebbe motivo di rifles- ritrarrebbero a miglior via. secondini inclinavano a credere eh' I fosse ei veramente Luigi XVII, ed avendo già veduto tante mutazioni di fortune , non di- speravano che costui non fosse per ascendere un giorno al trono di Francia , della loro devotissima servitù. vorire la sua fuga , usavano gli e si ricordasse Tranne tutti i il fa- riguardi eh' ei desiderava. Fui debitore a ciò , dell' onore di vedere il gran personaggio. Era di statura mediocre, 45 anni, alquanto pingue, dai 4° a i e di fisonomia propriamente Borbonica. Egli è verisimile coi , che un' accidentale somiglianza Borboni l'abbia indotto a rappresentare quella trista parte.
  • 76. LE MIE PRIGIONI. 68 CAPO XXL umano D' ra altro indegno rispetto gna eh' m' accusi. io Il biso- mio vicino non era ateo, ed anzi parlava talvolta de' sentimenti come uomo che religiosi, v'è straniero-, ma li venzioni irragionevoli contro il quale ei il Cristianesimo, guardava meno nella sua vera senza, che nei suoi abusi. filosofia apprezza e non serbava tuttavia molte pre- La es- superficiale che in Francia precedette e seguì la rivoluzione, Y aveva abbagliato. Gli pareva che si rezza , potesse adorar Dio con maggior pu- che secondo la religione del Vangelo. Senza aver gran cognizione di Condillac e li venerava come sommi pensatori e immaginava che quest' ultimo avesse dato compimento a tutte le possibili indagini Tracy, s' il di , metafisiche. Io che aveva spinto più oltre filosofici , che sentiva la trina sperimentale, che conosceva errori di critica con cui miei studi i debolezza della dot- il i grossolani secolo di Voltaire aveva preso a voler diffamare il Cristianesi-
  • 77. CAPO XXI. mo ; 69 che avea letto Guénée ed io altri valenti 5 smascheratori di quella falsa critica io eh era -, persuaso non potersi con rigore di logica am- mettere Dio e ricusare il trovava tanto volgar cosa Vangelo; io che il seguire la cor- rente delle opinioni anticristiane, e non sapersi elevare a conoscere quanto cattoli- il cismo, non veduto in caricatura, sia semplice e sublime,* io ebbi la viltà di sacrificare al umano. Le rispetto confondevano mi la loro denza e volli sebbene non potesse sfuggir- , leggerezza. Dissimulai la esitai , pestivo riflettei se fosse , contraddire, il persuadermi mi dissi non crede. Ma za, e modestia ad mente ma , il un tempo, ciò che anche laddove non approvato , , irritare confessare con franchez- d' essere scherno senza fon- può maggiormente fessarlo né fermail con- presumibile è d' evitare egli è preciso dovere. bile confessione tem- baldanzoso il tiene per importante verità, si , che uno zelo intempestivo è indiscrezione, e chi no d' essere giustificato. vigore d' opinioni accreditate E vero o , mia cre- eh' era inutile, Che importa Viltà! viltà! damento? mio vicino mi facezie del E un poco siffatta di no- può sempre adempirsi senza ,
  • 78. , LE MIE PRIGIONI. 7o prendere inopportunamente il carattere di missionario. Egli è dovere di confessare un' importante verità in ogni tempo , perocché se non sperabile che venga subito riconosciuta pure dare il tal preparamento all' anima 7 è può altrui quale produca un giorno maggiore impar- zialità di giudizi ed della luce. il conseguente trionfo
  • 79. CAPO XXII. CAPO 71 XXII. Stetti in quella stanza un mese e qualche dì. La notte dei 18 ai 19 di febbrajo ( 1821) sono svegliato da romore di catenacci e di vedo entrare parecchi uomini con chiavi-, lanterna prima idea che mi la : si Ma fu che venissero a scannarmi. presentò mentre , io guardava perplesso quelle figure, ecco avanzarsi gentilmente eh' io abbia la conte B., il compiacenza il quale mi dice di vestirmi presto per partire. Quest' annunzio mi sorprese follia di sperare che fini del Piemonte. tempesta ancora si la mi — si conducesse Possibile che dileguasse così dolce libertà carissimi genitori, i ed ebbi , ? ? la ai con- sì gran Io racquisterei io rivedrei i fratelli, le sorelle ? miei — Questi lusinghevoli pensieri m'agitarono brevi istanti. e seguii i Mi vestii poter salutare ancora d'aver udito non con grande celerità, miei accompagnatori la il , senza pur mio vicino. Mi pare sua voce, e m' increbbe di potergli rispondere. — Dove si va ? dissi al conte , montando in
  • 80. LE MIE PRIGIONI, 72 carrozza con lui e con un uffiziale di gendar- meria. — Non posso significarglielo siamo un miglio Vidi che al di là di finché non — Milano. non andava verso mie speranze furono carrozza la porta Vercellina, e le svanite , ! Tacqui. Era una bellissima notte con lume di luna. Io guardava quelle care vie, nelle quali io aveva passeggiato tanti anni felice; quelle case, quelle chiese. , così Tutto mi rinnovava mille soavi rimembranze. Oh corsìa di porta Orientale giardini oh pubblici ! ov' io avea tante volte vagato , con Foscolo, con Monti, con Lodovico di Breme, con Pietro Borsieri , con Porro e co' suoi fi- gliuoli, con tanti altri diletti mortali, con- versando in ranze ! sì gran pienezza di vita e di spe- Oh come per V ultima volta fuggire amato , oh come miei sguardi a' e nel dirmi ch'io vi vedeva amarvi d' della porta, tirai occhi, e piansi , ! al vostro rapido io sentiva d' avervi , Quando fummo alquanto il usciti cappello sugli non osservato. Lasciai passare più d'un miglio, poi dissi al conte B. : — Suppongo che si vada a Ve- rona. — Si va più in là , rispose ; andiamo
  • 81. CAPO XXII. Venezia , 7 3 ove debbo consegnarla ad una com- missione speciale. Viaggiammo per posta giungemmo il 20 febbrajo senza fermarci , , e a Venezia. Nel settembre dell'anno precedente, un mese prima cbe m' arrestassero, nezia ed avea fatto un pranzo in numerosa , e lietissima compagnia all'albergo della Luna. Cosa strana ! sono appunto dal conte e dal gendarme condotto Un all' , il gendarme e , ed ac- , due i che faceano figura di servitori travestiti) Mi albergo della Luna. cameriere strabili vedendomi corgendosi (sebbene telliti Ve- io era a , sa- fossero ch'io era nelle mani della forza. rallegrai di quest* incontro , persuaso che il cameriere parlerebbe del mio arrivo a più d' uno. Pranzammo, del doge, ove indi fui condotto al palazzo ora sono i tribunali. Passai sotto quei cari portici delle Procuratìe innanzi si al caffè Florian belle sere nell' , , ed ov' io avea goduto autunno trascorso non : m' imbattei in alcuno de' miei conoscenti. Si traversa la piazzetta.... e su quella piazzetta, nel settembre addietro, un mendico mi avea detto queste singolari parole vede eh' ella è forestiero, signore: ri ma : — io Si non
  • 82. . LE MIE PRIGIONI, 74 capisco com' ella e tutti questo luogo e vi passo — Vi — Sì a me me per signore ; un malanno scampi andò in , orribile signore , , , e ? non Iddio la era impossibile che le parole del fu ancora su quella piazzetta seguente io ascesi la il palco , , donde mendico. che V anno intesi leg- sentenza di morte eia commutazione di questa duro malanno fretta. ripassando io colà germi ammirino di disgrazia, ! non mi sovvenissero E un luogo sarà qui accaduto qualche , se n' Or è forestieri unicamente per necessità. solo. Iddio la scampi E : i , pena in quindici anni di carcere ! S'io fossi testa cismo , farei un po' delirante di misti- gran caso di quel mendico , pre- dicentemi cosi energicamente esser quello un luogo di disgrazia. Io non noto questo fatto non come uno strano accidente. il conte B. Salimmo al palazzo co' giudici j indi mi consegnò al carceriere se ; e congedandosi da rito. me, m'abbracciò ] int ,
  • 83. . , CAPO XXIIL 75 CAPO XXIIL Seguii in silenzio il carceriere. Dopo aver traversato parecchi anditi e parecchie sale arrivammo ad una scaletta che sotto i Piombi, famose prigioni dal tempo Ivi il nome , della ci condusse di stato fin Repubblica Veneta. mio carceriere prese registro del indi mi chiuse nella stanza destinatami I cosi detti Piombi sono del già palazzo del doge la parte superiore , coperta tutta di piombo. La mia stanza avea una gran finestra con enorme inferriata, e guardava sul tetto, parimente di piombo della chiesa di S. Marco. , , Ài di il là della chiesa , termine della piazza finità di io , vedeva in lontananza e da tutte parti un' in- cupole e di campanili. Il gigantesco campanile di S. Marco era solamente separato da io me dalla lunghezza della chiesa , ed udiva coloro che in cima di esso parlavano alquanto forte. Vedevasi anche , al lato si-
  • 84. , LE MIE PRIGIONI. 76 Bistro della chiesa una porzione del gran una delle entrate. In cortile sta un pozzo pub- , palazzo ed cortile del quella porzione di blico, ed ivi continuamente veniva gente a Ma la mia prigione cavare acqua. alta, ciulli ed , non discerneva io non quando gridavano. se essendo così uomini laggiù mi parevano fan- gli le loro parole mi trovava Io più solitario che non era nelle carceri assai di Milano. jNV primi giorni cure del processo crimi- le mi veniva nale che dalla commissione speciale intentato , m'attristarono alquanto , evi s' ag- giungea forse quel penoso sentimento di maggior solitudine. Inoltre io era più lontano dalla mia famiglia Le facce , e nuove ma antipatiche, spaventata. non avea più eh' io trame dei Milanesi , e tutti , erano e del resto d'Italia per io fossi uno motori di quel delirio. piccola celebrità letteraria era nota al custode maschi ; esagerato loro le dubitavano eh' de' più imperdonabili La mia m serbavano una serietà quasi La fama aveva T indipendenza di essa notizie. vedeva non , , a sua moglie e persino ai chi sa , , alla figlia , che non s' due ai due secondini : i figli quali immaginassero che
  • 85. , CA.PO XXIII. 77 autore di tragedie fosse una specie di un mago Erano ! dessi diffidenti, avidi ch'io loro serii, me maggior contezza di ma , pieni di garbo. Dopo i primi e li giorni trovai buoni. più manteneva carceriere. asciutto mansuefecero non dante , , carattere di il di viso asciutto quarant' anni i asciutte asciutte tutti era quella che contegno ed il Era una donna verso , si La moglie il di parole , minimo segno d' essere capace di qualche benevolenza ad altri che a' suoi figli. Solea portarmi pranzo , acqua e i anni due , non figliuoli mattina e dopo , biancheria ec. , ordinariamente sua dici caffè il figlia bella , uno ma , La seguivano fanciulla di quin- di pietosi sguardi di tredici anni di dieci. Si ritiravano quindi colla i , l'altro madre , ed tre giovani sembianti si rivoltavano dolce- mente a guardarmi chiudendo custode non veniva da me , se porta. la Il non quando si adunava aveva da condurmi nella sala ove la commissione per esaminarmi. venivano poco , gioni di polizia , I secondini perchè attendevano collocate ad alle pri- un piano info-
  • 86. 8 LE MIE PRIGIONI, 7 ? riore , ov erano sempre molti ladri. ? que secondini era un vecchio settantanni 9 ma atto vita di correre , di di più di ancora a quella faticosa sempre su e giù per ai diversi carceri. Uno L'altro era un le scale giovinotto di 24 o 25 anni, più voglioso di raccontare i suoi amori che di badare al suo servizio.
  • 87. , CAPO XXIV 79 klVMA^W^M CAPO XXIV. Ah sono le sì! orribili allo stato quanta cuse ! cure d'un processo criminale per un prevenuto Quanto timore difficoltà di lottare contro tanti sospetti , glianza che tutto funestamente presto , se ? non il s nuove imprudenze si altrui ! contro tante ac- quanta verisimi- intrichi sempre più processo non termina scoprono persone non conosciute Ho ! nuocere nuovi arresti vengono se , desima di (T inimicizia ma , della fatti se , non che di fazione me- ! fermato di non parlare di politica i t bisogna quindi eh' io sopprima ogni relazione concernente il processo- Solo dirò , che spesso dopo essere stato lunghe ore al costituto 9 io cerbato se la , tornava nella mia stanza così esacosì fremente , che mi sarei ucciso la memoria non m' avessero contenuto. voce della religione e cari parenti L' abitudine di tranquillità che già de' mi pa-
  • 88. , LE MIE PRIGIONI, 8o reva a Milano fatta. e d' avere acquistato Per alcuni giorni disperai di , era dis- ripigliarla furono giorni d'inferno. Allora cessai di pregare , dubitai della giustizia di Dio uomini ed ledissi agli nella mente tutti all' universo , , ma- e rivolsi possibili sofismi sulla va- i nità della virtù. L' uomo infelice ed arrabbiato è tremen- damente ingegnoso a calunniare i suoi simili immorale, e lo stesso Creatore. L'ira è più più scellerata che generalmente non Siccome non si pensa. può ruggire dalla mattina alla sera per settimane e V anima la più dominata dai furore ha di necessità i suoi intersi , valli di riposo risentirsi dell' quegli intervalli sogliono •, immoralità che li ha preceduti. Allora sembra d'essere in pace, ma è una pace maligna, irreligiosa j un sorriso selvaggio , senza carità disordine, d' , senza digmtà -, un amore di ebbrezza, di scherno. In simile stato io cantava per ore intere con una specie d' allegrezza affatto sterile di buoni sentimenti; io celiava con che entravano nella mia stanza-, zava di considerare tutte le cose tutti quelli io mi sfor- con una sa- pienza volgare, la sapienza de' cinici.
  • 89. ,, CAPO XXIV. Si Quel!' infame tempo durò poco sei : o sette giorni. La mia Bibbia Uno era polverosa. gazzi del custode, accarezzandomi, — Dacché non legge più quel melanconia, mi non ha più — — Ti pare? ella tanta de' radisse : libraccio pare. gli dissi. E presa la Bibbia, ne tolsi col fazzoletto la polvere, e sbadatamente apertala, mi cad- dero sotto gli occhi queste parole discipulos suos : niant scandala : : Et ait ad Impossibile est ut non ve- vae autem veniuntl Utilius est itti) ponatur circa collum ejus per quem itti si lapis molaris im- et projiciatur in mare > quam ut scandalizet unum de pusillis istis. Fui colpito di trovare queste parole arrossii che quel ragazzo si la Bibbia, e eh' ed fosse accorto dalla polvere eh' ei sopra vedeavi non leggeva , , eh' io più presumesse ei ch'io fossi divenuto più amabile, divenendo incurante di Dio. — Scapestratalo ! (gli dissi con amorevole rimprovero e dolendomi d'averlo scandalezzato). Questo non è giorni che noi leggo , un libraccio , e da alcuni sto assai peggio. Quando
  • 90. LE MIE PRIGIONI, 82 tua madre permette di stare un momento con me, m'industrio di cacciar via il mal umore; vince , ti ma se tu sapessi allorché son solo cantare qual forsennato ! , come questo mi allorché tu m J odi
  • 91. CAPO XXV, ». 83 *^»/W "«.Ik x/-»--». CAPO XXY. Il ragazzo era uscito; ed io provava un certo godimento d'aver ripreso in Bibbia d' -, aver confessato eh' mano io stava la peggio zione ad Mi parea d' aver dato soddisfaun amico generoso, ingiustamente offeso essermi riconciliato con esso. senza di lei. d' ; — Et' aveva abbandonato dai. E m' era dere che nisse alla mio Dio gri- ? Ed avea potuto cre- riso del cinismo conve- pervertito infame l' , ? mia disperata situazione? — Pronunciai queste parole con una emo- una zione indicibile; posi la Bibbia sopra sedia , queir m' inginocchiai in terra a leggere io che si piango diffìcilmente , e pro- , ruppi in lagrime. Quelle lagrime erano mille volte più dolci di ogni allegrezza nuovo Dio oltraggiato ! lo Io bestiale. amava ! sentiva mi pentiva degradandomi! non separarmi mai più da . di averlo protestar e lui d' mai piò !
  • 92. LE MIE PRIGIONI. 84 Oh come un ritorno sincero alla religione consola ed eleva lo spirito! Lessi, piansi più d'un' ora e e m'alzai ; pieno di fiducia che Dio fosse con me, che Dio mi avesse perdonato ogni le mie sventure, il mi sembrarono poca cosa. poiché ciò mi dava occa- verisimile patibolo Esultai di soffrire stoltezza. Allora tormenti del processo, i , J sione d adempiere qualche dovere; poiché, soffrendo con rassegnato animo, io obbediva al Signore. La Bibbia gerla. Non , grazie al cielo, io sapea leg- era più il tempo ch'io la giudi- cava colia meschina critica di Voltaire , vili- le quali non sono pendendo espressioni se non quando risibili o false per vera per malizia non si penetra nel ignoranza o , , , , loro senso. foss' ella M' appariva chiaramente quanto codice della santità il della verità; sue imperfezioni di fica, stile fosse e simile all'orgoglio tutto ciò che non ha forme fosse cosa assurda collezione avessero di , e quindi quanto l'offendersi per certe cosa infiloso- di chi disprezza eleganti-, quanto V immaginare che una libri tal religiosamente venerati un principio non autentico; quanto
  • 93. , , CAPO XXY. superiorità di la 85 scritture sul corano e tali sulla teologia degl'Indi fosse innegabile. Molti ne abusarono un codice molti vollero farne , d'ingiustizia, una sanzione loro passioni scellerate. Ciò è vero sempre mai l' lì di tutto puossi abusare : ; : alle ma siamo e quando abuso di cosa ottima dovrà far dire eh' ella è in se stessa Gesù Cristo io malvagia dichiarò : ? tutta la legge ed i Profeti, tutta questa collezione di sacri libri si riduce E tali scritture tutti i precetto d' al Ridestate in vai non sarebbero non sarebbero Spirito Santo? secoli? viva dello il amar Dio me tutte le i , I parola sempre di coordinare alla reli- mia la filantropia, pochi giorni eh' umane sui progressi deli' inci- patrio, tutti gli affetti dell' nismo verità adatta a miei pensieri sulle cose mie opinioni vilimento uomini. queste riflessioni, rinno- proponimento gione tutti la e gli io il mio amor anima mia. avea passato nel m' aveano molto contaminato. sentii gli effetti per lungo tempo, e dovetti faticare per vincerli. cede alquanto suo intelletto ci- Ne Ogni volta che l'uomo alla tentazione di snobilitare , di guardare le il opere di Dio
  • 94. LE MIE PRIGIONI. S6 colla infernal lente dello dal benefico scherno , di cessare della preghiera esercizio , il guasto eh' egli opera nella propria ragione lo dispone a facilmente ricadere. Per più mane fui assalito , quasi ogni gioito ? pensieri d incredulità del mio : , da setti- forti volsi tutta la potenza spirito a respingerli,
  • 95. , CAPO XXVI. 87 CAPO XXVI. Quando questi combattimenti furono cessati, e sembrommi d'esser di nuovo fermo nel!' abitudine d' onorar Dio in tutte mie le volontà, gustai per qualche tempo una dolcissima pace. Gli esami a cui sottoponeami , ogni due o tre giorni la commissione, per quanto fossero tormentosi, non mi traeano più a durevole inquietudine. Io procurava, in quel!' ardua posizione miei doveri d' , di Faccia Dio il resto. Tornava ad essere esatto dicea non mancare onestà e d' amicizia e , U* poi : nella pratica di prevedere giornalmente ogni sorpresa, ogni emozione , ogni sventura supponibile fatto esercizio La mia due giovavami novamente solitudine intanto figliuoli del s' ; e sif- assai. accrebbe. I custode, che dapprima mi faceano talvolta un po' di compagnia, furono messi a scuola, e stando quindi pochissimo in caàa, non venivano più da me. La madre e la sorella si , che allorché c'erano i ragazzi fermavano anche spesso a favellar meco
  • 96. , . LE MIE PRIGIONI, S8 or non comparivano più se non per portarmi mi lasciavano. Per la madre mi rincresceva poco, perchè non mostrava animo compassionevole. Ma la figlia, benché brutil caffè, e tina , avea certa soavità di sguardi e di parole che non erano per me questa mi portava il mi parea sempre fatto io » dicea : « L' ha Quando senza pregio. caffè e diceva fatto la : ho Quando eccellente. mamma « L' acqua » era calda Vedendo retta mia sì di rado creature umane, diedi ad alcune formiche che venivano sulla sontuosamente, quelle finestra, le cibai andarono a chiamare un esercito di compagne, e piena di la finestra fu Diedi parimente retta ad siffatti un animali. bel ragno che tappezzava una delle mie pareti. Cibai questo con moscherini e zanzare , a venirmi sul Lello e sulla la preda dalle mie Fossero quelli sero visitato ! e mi stati si amicò , , sino prendere e dita. i soli insetti Eravamo ancora e già le zanzare si mano in moltiplicavano che m' aves- primavera , posso pro- prio dire, spaventosamente. L'inverno era stato di una straordinaria dolcezza pochi venti in marzo, seguì indicibile , come s* il , e caldo. , E dopo cosa infocò V aria del covile
  • 97. CAPO XXVI. &9 mezzogiorno, eh' io abitava. Situato a pretto sotto un tetto di piombo Marco pure tetto di S. , , avea mai avuto idea d' A zanzare in m' il letto , , il , cui ri- il non io soffocava. Io un calore J tanto supplizio oppri- sì aggiungeano s le moltitudine , che per quanto ne struggessi , io tal agitassi e reti piombo di verbero era tremendo mente. e colla finestra sul , tavolino la volta 3 la sedia , tutto io J , n era coperto il suolo n era coperto , e , le -, pa- V am- biente ne conteneva infinite, sempre andanti e venienti perla finestra, e facienti infernale. Le punture dolorose e , quando se un ronzio di quegli animali sono ne riceve da mattina a sera e da sera a mattina e , si dee avere la perenne molestia di pensare a diminuirne numero , si soffre veramente assai e di il corpo e di spirito. Allorché nobbi la veduto simile flagello gravezza , e ne co- , non potei conseguire che mi mutassero di carcere, qualche tentazione di suicidio d' impazzare. Ma mi prese, , e talvolta temei cielo , erano la religione conti- grazie smanie non durevoli, e al nuava a sostenermi. Essa mi persuadeva che l'uomo dee patire e patire con forza mi 5 facea sentire una certa voluttà del dolore ,
  • 98. LE MIE PRIGIONI. 90 la compiacenza di non soggiacere di vincer , tutto. Io dicea Quanto più dolorosa mi : meno si fa la , se, giovane come sono, mi vedrò condannato al supplicio. vita, tanto sarò atterrito Senza questi patimenti preliminari sarei forse morto codardamente. da meritare felicità ? E poi , ho Dove son Ed esaminandomi con giusto me vissuti trovava negli anni da chi tratti alquanto plausibili : io tali virtù esse ? non non po- rigore, , se tutto il resto erano passioni stolte, idolatrie, orgogliosa e falsa virtù. indegno ! — Ebbene, concludeva Se gli uomini io, soffri, e le zanzare dessero anche per furore t* ucci- e senza diritto riconoscili stromenti della giustizia divina taci ! , , e
  • 99. CAPO XXVII, 91 CAPO XXVIL Ha T uomo bisogno di sforzo per umiliarsi Non sinceramente ? è egli vero che in generale sprechiamo , per ravvisarsi peccatore gioventù in vanità ed invece , forze tutte ad avanzare d' ? adoprare la le nella carriera del bene, ne adopriamo gran parte a degradarci Vi saranno eccezioni non riguardano la ; ma ? confesso che queste E non di me mia povera persona. ho alcun merito ad essere scontento quando si vede una lucerna dar più fumo che fuoco, non vi vuol gran sincerità a dire, che : non arde come dovrebbe. senza avvilimento, senza scrupoli di Si-, pinzochero , guardandomi con quillità possibile d' intelletto , tutta la tranio mi scorgeva degno dei castighi di Dio. Una voce interna mi diceva ti : Simili castighi , se non per questo, sono dovuti per quello; valgano a ricon- durti verso Colui eh' è perfetto, e che tali forze sono chiamati , secondo , le i finite morloro ad imitare. Con qual ragione , mentr' io era costretto
  • 100. LE MIE PRIGIONI, 92 a condannarmi di mille infedeltà a Dio sarei lagnato se alcuni uomini del altri iniqui; ed alcuni vili mondo m' erano sumarmi lenta in carcere fatto mi pareano se le prosperità s' -, io dovea con- o perire di morte vio- , ? Procacciai tali rapite mi , d' riflessioni , e sì sentite non poteva e che , giuste : e ciò vedeva che bisognava essere conse- io guente imprimermi bene nel cuore sì guisa, se non benedicendo esserlo in altra i retti giudizii di Dio, amandoli, ed estinguendo in volontà contraria ad me ogni essi. Per viemeglio divenir costante in questo proposito d' or , pensai di svolgere con diligenza innanzi tutti doli. Il male si i miei sentimenti, scriven- era che la commissione, per- mettendo ch'io avessi calamajo numerava i fogli di questa , con proibizione di distruggerne alcuno, e riservandosi minare in che alla carta, levigare con li mi e carta, avessi adoperati. ad esa- Per supplire ricorsi all'innocente artifizio di un pezzo lino eh' io aveva , di vetro un rozzo tavo- e su quello quindi scriveva ogni giorno lunghe meditazioni intorno doveri degli uomini e di Non me ai in particolare. esagero dicendo che le ore così impie-
  • 101. CAPO XXVII. 93 malgrado gate m' erano talvolta deliziose , difficoltà di respiro ch'io pativa per renorme le caldo e le morsicature dolorosissime delle zanzare. Per diminuire moltiplieità di la queste ultime, io era obbligato, ad onta del caldo, d' involgermi e di scrivere i polsi , , non bene il le gambe, ma fasciato capo e solo co' guanti affinchè le zanzare , non entrassero nelle maniche. Quelle mie meditazioni aveano un carattere piuttosto biografico. Io facea la storia di tutto il bene ed il me male che in s'erano formati dall'infanzia in poi, discutendo stesso, ingegnandomi ordinando quanto meglio mie cognizioni, tutte le meco dubbio, di sciorre ogni sapea tutte le io mie idee sopra ogni cosa. Quando tutta la superficie adoprabile del tavolino era piena di scrittura , io leggeva e rileggeva, meditava sul già meditato fine a raschiar via ogni cosa col vetro, atta quella superficie a ricevere i , ed al- mi risolveva (sovente con rincrescimento) per riavere nuovamente miei pensieri. Continuava quindi la mia storia rallentata da digressioni d' ogni analisi or di questo or di quel ? sempre specie punto di , da meta-
  • 102. , LE MIE PRIGIONI, 94 morale, di politica, di religione fisica, di quando tutto era pieno rileggere Non , , > e tornava a leggere e poi a raschiare. volendo avere alcuna ragione d'im- pedimento nel ridire a libera fedeltà i me fatti eh' io stesso colla più ricordava e le opi- nioni mie, e prevedendo possibile qualche visita inquisitoria , io scriveva in gergo , cioè con trasposizioni di lettere ed abbreviazioni alle quali io era avvezzatissimo. cadde però mai alcuna s Non m'ac- visita siffatta accorgeva che io passassi così bene tristissimo tempo. Quand' o altri aprire la porta con una tovaglia maio ed il , , io udiva copriva il mio custode il il niuno e , tavolino e vi mettea sopra il legale quinternetto di carta. cala-
  • 103. CAPO XX Vili. CAPO Quel delle io aveva anche alcune lui consacrate od un' intera intero giorno veva XXVIII. quinternetto mie ore a 95 , e talvolta un notte. Ivi scri- Composi di cose letterarie. allora T Ester aV Engaddi e Y Iginio, d'Asti, e cantiche intitolate : le Tancreda > Rosilde, Eligi e Valafrido, Adelfo, oltre parecchi scheletri di tragedie e di altre produzioni quello d'un poema d'un sulla altro su Cristoforo o altri frutti. mi e il non era semil primo faceva io componimento cartaccia in cui rinnovasse si quinternetto, quand'era finito, getto d' ogni e fra altri Colombo. Siccome Y ottenere che mi pre cosa facile e pronta , , Lega lombarda sul tavolino o su facea portare fichi secchi Talvolta dando il mio pranzo ad uno dei secondini, e facendogli credere ch'io non aveva punto appetito, io l' indu- ceva a regalarmi qualche foglio di carta. Ciò avveniva solo in certi casi, che già ingombro di scrittura, e il tavolino era non poteva an- cora decidermi a raschiarla. Allora io pativa