34 _-infortunio mortale del trattorista trascinato dalla presa di forza della trattrice e dell'albero cardanico di collegamento, privi di qualsiasi protezione. nessun comportamento abnorme
massimario della Commissione Centrale per gli esercenti delle professioni san...
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1. Cassazione Penale, Sez. 4, 16 febbraio 2018, n. 7685 - Infortunio
mortale del trattorista trascinato dalla presa di forza della trattrice e
dell'albero cardanico di collegamento, privi di qualsiasi protezione.
Nessun comportamento abnorme
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Cassazione Penale, Sez. 4, 16 febbraio 2018, n. 7685 - Infortunio mortale del trattorista trascinato dalla presa di
forza della trattrice e dell'albero cardanico di collegamento, privi di qualsiasi protezione. Nessun comportamento
abnorme
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Presidente: IZZO FAUSTO Relatore: MONTAGNI ANDREA Data Udienza: 16/01/2018
Fatto
1. La Corte di Appello di Brescia, con la sentenza indicata in epigrafe, in parziale riforma della sentenza di condanna del
Tribunale di Brescia resa in data 01.04.2015, nei confronti di B.G., in relazione al reato di omicidio colposo indicato in
rubrica, rideterminava la pena originariamente inflitta e confermava nel resto. La Corte territoriale condannava il prevenuto
alla rifusione delle spese sostenute dalle parti civili, per il giudizio di appello.
Al B.G., nella sua qualità di titolare dell'omonima impresa individuale e datore di lavoro di D.A., trattorista adibito ad attività
agricole, si contesta di aver cagionato la morte del predetto dipendente. Ciò in quanto il D.A., mentre era intento alla
manutenzione del sistema di collegamento fra la trattrice agricola in dotazione ed il braccio decespugliatore, veniva
trascinato dalla presa di forza della trattrice e dell'albero cardanico di collegamento, che erano privi di qualsiasi protezione,
subendo lesioni da strappamento e schiacciamento che determinavano l'immediato decesso. All'imputato si contesta
specificamente l'inosservanza degli artt. 70 e 71, T.U. n. 81 del 2008 (/index.php?
option=com_content&view=category&id=73:aggiornamenti-dlgs-9-aprile-2008-n-81&Itemid=59&layout=default), per aver
omesso di dotare la presa di forza e l'albero cardanico di collegamento al braccio decespugliatore, di apposite protezioni
antinfortunistiche atte ad impedire il contatto accidentale dei lavoratori con gli elementi in rotazione.
La Corte di merito confermava l'affermazione di responsabilità penale osservando che i cardani dotati delle necessarie e
prescritte protezioni, pure presenti in azienda, non erano stati installati sul macchinario utilizzato dal D.A.. Al riguardo, il
Collegio osservava che i cardani utilizzati in azienda, lasciati dal datore di lavoro a disposizione dei dipendenti, erano quelli
obsoleti, non dotati di protezioni. Escludeva poi il carattere abnorme della manovra svolta dal D.A..
2. Avverso la predetta sentenza della Corte di Appello di Brescia ha proposto ricorso per cassazione B.G., a mezzo dei
nominati difensori.
Dopo aver ripercorso i termini dell'intera vicenda processuale ed aver sintetizzato il percorso motivazionale espresso dalla
Corte di Appello, con il primo motivo l'esponente denuncia violazione di legge e vizio motivazionale.
La parte osserva che i giudici di merito non hanno fatto buon governo delle norme che regolano il comportamento del datore
di lavoro e del dipendente, anche in riferimento al nesso di derivazione causale.
Il ricorrente ribadisce che il datore di lavoro non è tenuto ad una vigilanza continuativa sul dipendente; e, nel caso di
microimprese, neppure alla nomina di un preposto a ciò addetto. L'esponente sottolinea che D.A. era stato richiamato in
2. forma scritta a causa di sue precedenti violazioni delle norme antinfortunistiche. Sul punto, nel ricorso vengono richiamate
plurime prove dichiarative.
Sotto altro aspetto, la parte censura le valutazioni espresse dalla Corte territoriale sulla non abnormità della condotta del
lavoratore. Osserva che l'azione del D.A. neppure può essere inquadrata tra le mansioni di manutenzione.
Con il secondo motivo la parte denuncia la violazione di legge rispetto all'art. 43 cod. pen., con riferimento al profilo della
colpa sia in forma generiche che in forma specifica.
Rileva che ogni misura preventiva risulta inefficace, rispetto a condotte sconsiderate come quella posta in essere dal
lavoratore infortunato, che si posizionò in equilibrio precario sui bracci inferiori dell'attacco a te punte del sollevatore.
Con il terzo motivo viene dedotto il vizio motivazionale. La parte contesta il ragionamento probatorio sviluppato dalla Corte di
Appello, in riferimento ai richiami all'osservanza delle prescrizioni antinfortunistiche ed alla prassi lavorativa adottata dai
lavoratori che agivano alle dipendenze del B.G..
Con il quarto motivo il ricorrente si duole del giudizio di bilanciamento delle circostanze. Osserva che la Corte di Appello ha
negato il riconoscimento della prevalenza delle attenuanti generiche e dell'attenuante ex art. 62, n. 6, cod. pen., già
concesse in primo grado. Sottolinea che sul riconoscimento dell'attenuante del danno risarcito neppure le parti civili ebbero
a sollevare doglianze in sede di appello.
Con il quinto motivo viene denunciata la violazione di legge rispetto al mancato riconoscimento del beneficio della non
menzione della condanna. L'esponente osserva che la Corte di Appello ha giustificato il diniego richiamando un precedente
penale ritenuto ostativo; la parte evidenzia che si tratta di un decreto penale di condanna, non ostativo alla concessione del
beneficio.
3. La parte civile C.T., anche per la figlia minore Omissis, ha depositato memoria di replica, oltre a conclusioni scritte.
4. Il ricorrente ha depositato memoria. L'esponente sviluppa argomentazioni afferenti ai temi già oggetto del ricorso
originario, relativi alle modalità di vigilanza, alle conseguenze della condotta inosservante posta in essere dalla stessa
vittima, alle dotazioni in uso presso l'azienda, alle mansioni svolte dal D.A. ed al trattamento sanzionatorio.
Diritto
1. Il ricorso impone i seguenti rilievi.
2. I primi tre motivi di ricorso, che si esaminano congiuntamente, si pongono ai limiti della inammissibilità.
Giova ricordare che questa Suprema Corte ha chiarito che il vizio logico della motivazione deducibile in sede di legittimità
deve risultare dal testo della decisione impugnata e deve essere riscontrato tra le varie proposizioni inserite nella
motivazione, senza alcuna possibilità di ricorrere al controllo delle risultanze processuali; con la conseguenza che il
sindacato di legittimità "deve essere limitato soltanto a riscontrare l'esistenza di un logico apparato argomentativo, senza
spingersi a verificare l'adeguatezza delle argomentazioni, utilizzate dal giudice del merito per sostanziare il suo
convincimento, o la loro rispondenza alle acquisizioni processuali" (tra le altre Sez. 3, n. 4115 del 27.11.1995, dep.
10.01.1996, Rv. 203272).
Tale principio, più volte ribadito dalle varie sezioni di questa Corte, è stato altresì avallato dalle stesse Sezioni Unite le quali
hanno precisato che esula dai poteri della Corte di Cassazione quello di una "rilettura" degli elementi di fatto, posti a
sostegno della decisione, il cui apprezzamento è riservato in via esclusiva al giudice di merito, senza che possa integrare il
vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per i ricorrenti più adeguata, valutazione delle risultanze
processuali (Sez. U, Sentenza n. 6402 del 30/04/1997, dep. 02/07/1997, Rv. 207945). E la Corte regolatrice ha rilevato che
anche dopo la modifica dell'art. 606 lett. e) cod. proc. pen., per effetto della legge 20 febbraio 2006 n. 46, resta immutata la
natura del sindacato che la Corte di Cassazione può esercitare sui vizi della motivazione, essendo rimasto preclusa, per il
giudice di legittimità, la pura e semplice rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione o l'autonoma
adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione o valutazione dei fatti (Sez. 5, Sentenza n. 17905 del 23.03.2006, Rv.
234109). Pertanto, in sede di legittimità, non sono consentite le censure che si risolvono nella prospettazione di una diversa
valutazione delle circostanze esaminate dal giudice di merito (ex multis Sez. 1, Sentenza n. 1769 del 23/03/1995, Rv.
201177; Sez. 6, Sentenza n. 22445 in data 8.05.2009, Rv. 244181).
Deve poi considerarsi che la Corte regolatrice ha da tempo chiarito che non è consentito alle parti dedurre censure che
riguardano la selezione delle prove effettuata da parte del giudice di merito. A tale approdo, si perviene considerando che,
nel momento del controllo di legittimità, la Corte di cassazione non deve stabilire se la decisione di merito proponga
effettivamente la migliore possibile ricostruzione dei fatti, né deve condividerne la giustificazione, dovendo limitarsi a
verificare se questa giustificazione sia compatibile con il senso comune e con "i limiti di una plausibile opinabilità di
apprezzamento", secondo una formula giurisprudenziale ricorrente (Sez. 5, Sentenza n. 1004 del 30/11/1999, dep. 2000, Rv.
215745; Sez. 2, Sentenza n. 2436 del 21/12/1993, dep. 1994, Rv. 196955). Come già sopra si è considerato, secondo la
comune interpretazione giurisprudenziale, l'art. 606 cod. proc. pen. non consente alla Corte di Cassazione una diversa
"lettura" dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove, perché è estraneo al giudizio di legittimità il controllo
3. sulla correttezza della motivazione in rapporto ai dati processuali. E questa interpretazione non risulta superata in ragione
delle modifiche apportate all'art. 606, comma primo lett. e) cod. proc. pen. ad opera della Legge n. 46 del 2006; ciò in quanto
la selezione delle prove resta attribuita in via esclusiva al giudice del merito e permane il divieto di accesso agli atti istruttori,
quale conseguenza dei limiti posti aN'ambito di cognizione della Corte di Cassazione. Ebbene, si deve in questa sede
ribadire l'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità, per condivise ragioni, in base al quale si è rilevato che
nessuna prova, in realtà, ha un significato isolato, slegato dal contesto in cui è inserita; che occorre necessariamente
procedere ad una valutazione complessiva di tutto il materiale probatorio disponibile; che il significato delle prove lo deve
stabilire il giudice del merito e che il giudice di legittimità non può ad esso sostituirsi sulla base della lettura necessariamente
parziale suggeritagli dal ricorso per cassazione (Sez. 5, Sentenza n. 16959 del 12/04/2006, Rv. 233464).
A tale riguardo, occorre altresì sottolineare che, in tema di ricorso per cassazione, non è possibile dedurre come motivo il
"travisamento del fatto", giacché è preclusa la possibilità per il giudice di legittimità di sovrapporre la propria valutazione
delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito. Mentre è consentito, (art. 606 lett. e cod. proc.
pen.), dedurre il "travisamento della prova", che ricorre nei casi in cui si sostiene che il giudice di merito abbia fondato il suo
convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale (Sez. 4,
Sentenza n. 4675 del 17/05/2006, dep. 06/02/2007, Rv. 235656; si veda anche Sez. 6, Sentenza n. 25255 del 14/02/2012,
dep. 26/06/2012, Rv. 253099 ove si è precisato che, anche a seguito della modifica apportata all'art. 606, lett. e, cod. proc.
pen. dalla legge n. 46 del 2006, resta non deducibile nel giudizio di legittimità il travisamento del fatto, stante la preclusione
per la Corte di cassazione di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti
gradi di merito).
2.1 Delineato nei superiori termini l'orizzonte del presente scrutinio di legittimità, si osserva che il ricorrente invoca, in realtà,
una inammissibile riconsiderazione alternativa del compendio probatorio, con riguardo alla ricostruzione della dinamica del
fatto ed alla affermazione di penale responsabilità. Tanto si osserva, con specifico riferimento al tema relativo alla prassi
aziendale, come accertata in giudizio, in base alla quale i dipendenti ordinariamente utilizzavano alberi cardanici privi di
protezione, alberi che erano infatti installati sui mezzi in uso. Sul punto, la Corte territoriale ha sviluppato un percorso
motivazionale immune da aporie di ordine logico e saldamente ancorato all'acquisito compendio probatorio, che non risulta
sindacabile in questa sede di legittimità. In sentenza, invero, si specifica che pur essendo presenti in azienda cardani nuovi,
dotati delle protezioni necessarie, ancora imballati, sulle macchine utilizzate ordinariamente per le lavorazioni erano montati
cardani vecchi, privi di ogni protezione, come prive di protezione erano le prese di forza. Ed il Collegio ha pure rilevato: che
la promiscuità delle diverse dotazioni meccaniche, comprese quelle prive di protezioni, come chiarito, era indicativa della
scarsa attenzione prestata dall'imputato, quale datore di lavoro, alla necessità di dare effettività alle prescrizioni
antinfortunistiche; e che in tale contesto era lasciata al lavoratore la scelta relativa alle modalità con le quali procedere al
collegamento tra trattrice e macchina agricola.
A margine di tali rilievi, la Corte territoriale ha poi considerato che l'attività di pulizia che stava svolgendo il dipendente
deceduto, con un macchinario privo di dotazioni di sicurezza, non era iniziata il giorno dell'infortunio; ed ha rilevato che il
datore di lavoro era perciò a conoscenza del fatto che le operazioni si svolgevano senza il rispetto delle prescrizioni
antinfortunistiche.
2.2 Rispetto al mancato apprezzamento del carattere abnorme della condotta posta in essere dal dipendente, in sentenza si
sottolinea: che l'attività che, in maniera imprudente, stava svolgendo D.A. rientrava pienamente nelle mansioni affidate al
lavoratore; e che l'imputato era venuto meno all'adempimento del debito di sicurezza.
E bene: in tali termini, la Corte di appello ha insindacabilmente censito il tema relativo al contenuto dell'obbligo di vigilanza
che grava sui garanti, in caso di condotta colposa del lavoratore.
Il richiamato percorso argomentativo si colloca nell'alveo dell'insegnamento espresso dalla giurisprudenza di legittimità.
Invero, la Corte di cassazione ha ripetutamente affermato che le norme antinfortunistiche sono destinate a garantire la
sicurezza delle condizioni di lavoro, anche in considerazione della disattenzione con la quale gli stessi lavoratori effettuano
le prestazioni. Segnatamente, si è chiarito che, nel campo della sicurezza del lavoro, gli obblighi di vigilanza che gravano sul
datore di lavoro risultano funzionali anche rispetto alla possibilità che il lavoratore si dimostri imprudente o negligente verso
la propria incolumità; che può escludersi l'esistenza del rapporto di causalità unicamente nei casi in cui sia provata
l’abnormità del comportamento del lavoratore infortunato e sia provato che proprio questa abnormità abbia dato causa
all'evento; che, nella materia che occupa, deve considerarsi abnorme il comportamento che, per la sua stranezza e
imprevedibilità, si ponga al di fuori di ogni possibilità di controllo da parte delle persone preposte all'applicazione delle
misure di prevenzione contro gli infortuni sul lavoro; e che l'eventuale colpa concorrente del lavoratore non può spiegare
alcuna efficacia esimente per i soggetti aventi l'obbligo di sicurezza che si siano comunque resi responsabili - come
avvenuto nel caso di specie - della violazione di prescrizioni in materia antinfortunistica (cfr. Sez. 4, sentenza n. 3580 del
14.12.1999, dep. 2000, Rv. 215686). E preme altresì evidenziare che la Suprema Corte ha chiarito che non può affermarsi
che abbia queste caratteristiche il comportamento del lavoratore che abbia compiuto un'operazione rientrante pienamente,
oltre che nelle sue attribuzioni, nel segmento di lavoro attribuitogli (Sez. 4, Sentenza n. 10121 (/index.php?
option=com_content&view=article&id=13002:cassazione-penale-sez-4-09-marzo-2007-n-10121-infortunio-con-la-macchina-
qcluster-baulettatriceq-esclusione-di-un-comportamento-abnorme-della-lavoratrice&catid=17&Itemid=138) del 23.01.2007,
Rv. 236109).
Non sfugge che la Corte regolatrice ha pure considerato che il datore di lavoro che, dopo avere effettuato una valutazione
4. preventiva del rischio connesso allo svolgimento di una determinata attività, abbia fornito al lavoratore i relativi dispositivi di
sicurezza ed abbia adempiuto a tutte le obbligazioni proprie della sua posizione di garanzia, non risponde delle lesioni
personali derivate da una condotta esorbitante ed imprevedibilmente colposa del lavoratore; ciò in quanto il sistema della
normativa antinfortunistica si è evoluto, passando da un modello "iperprotettivo", interamente incentrato sulla figura del
datore di lavoro, quale soggetto garante investito di un obbligo di vigilanza assoluta sui lavoratori, ad un modello
"collaborativo", in cui gli obblighi sono ripartiti tra più soggetti, compresi i lavoratori (Sez. 4, Sentenza n. 8883 (/index.php?
option=com_content&view=article&id=14770:cassazione-penale-sez-4-03-marzo-2016-n-8883-caduta-dal-tetto-del-
capannone-assoluzione-di-un-datore-di-lavoro-e-di-un-rspp-tutte-le-cautele-possibili-da-assumersi-ex-ante-erano-
st&Itemid=138) del 10/02/2016, dep. 03/03/2016, Rv. 266073). Occorre peraltro considerare che, nel caso di specie, le
indicazioni emergenti dalla sentenza impugnata evidenziano che il datore di lavoro non aveva adempiuto alle obbligazioni
discendenti dalla posizione assunta.
Conseguentemente, il caso di giudizio resta estraneo dall'ambito di operatività della teorica da ultimo citata, per
insussistenza delle specifiche condizioni fattuali di riferimento.
3. Il quarto motivo di ricorso non ha pregio.
Come noto, in tema di valutazione dei vari elementi per la concessione delle attenuanti generiche, ovvero in ordine al
giudizio di comparazione e per quanto riguarda la dosimetria della pena ed i limiti del sindacato di legittimità su detti punti, la
giurisprudenza di questa Suprema Corte non solo ammette la c.d. motivazione implicita (Sez. 6, 22 settembre 2003, n.
36382 Rv. 227142) o con formule sintetiche (tipo "si ritiene congrua", Sez. 4, 4 agosto 1998 n. 9120, Rv. 211583), ma
afferma anche che le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra circostanze aggravanti ed attenuanti, effettuato in
riferimento ai criteri di cui all'art. 133 cod. pen., sono censurabili in cassazione solo quando siano frutto di mero arbitrio o
ragionamento illogico (Sez. 3, 16 giugno 2004 n. 26908, Rv. 229298).
Si tratta di evenienza che non sussiste nel caso di specie. La Corte di Appello, infatti, ha chiarito che il bilanciamento delle
circostanze non poteva che essere espresso in termini di equivalenza. Sul punto, non può sindacarsi il rilievo espresso dalla
Corte di Appello, laddove ha osservato che la concessione della circostanza attenuante del danno risarcito, ad opera del
primo giudice, mal si conciliava con la perdurante costituzione delle parti civili alle quali era pure stata assegnata una
provvisionale, nei limi del danno per cui si è ritenuta raggiunta la prova (ex art. 539, comma 2, cod. proc. pen.). Non di
meno, in considerazione della imprudenza della stessa vittima e tenuto conto della sensibilità antinfortunistica deN'imputato,
che aveva già acquistato alberi cardanici regolari, il Collegio ha mitigato il trattamento sanzionatorio originariamente inflitto.
4. Il quinto motivo non ha pregio.
L'imputato, secondo quanto risulta dal casellario, ha commesso il delitto per cui oggi si procede nei due anni dalla
irrevocabilità del decreto penale di condanna. Conseguentemente, neppure opera l'effetto estintivo previsto dall'art. 460,
comma 5, cod. proc. pen.
Ciò posto, nell'altro che rilevare che la valutazione espressa dalla Corte di Appello, nell'evidenziare la sussistenza di
condizioni ostative alla concessione del beneficio della non menzione, appare giuridicamente corretta. Dal Casellario risulta
che nei confronti del B.G. è stato emesso in data 8.10.2012 decreto penale di condanna, non opposto, in riferimento al fatto
di reato commesso dal 30.06.2008 al 16.07.2010.
Non sfugge che la giurisprudenza ha chiarito che, in tema di decreto penale di condanna, tra i benefici previsti dall'art. 460,
comma quinto, cod. proc. pen. non rientra, quale effetto dell'estinzione del reato, anche la cancellazione dell'iscrizione nel
casellario giudiziale, non essendo quest'ultima tassativamente elencata dall'art. 5 del d.P.R. n. 313 del 2002, lett. g) ed h),
che si pone quale unica norma applicabile a seguito dell'abrogazione dell'art. 687 cod. proc. pen. per effetto dell'art. 52 del
citato D.P.R. (Sez. 1, n. 25041 del 11/01/2012 - dep. 22/06/2012, P.G. in proc. Aguzzi, Rv. 25273201).
Nel caso di specie, risulta dirimente il rilievo circa la non decorrenza del termine biennale previsto dalla legge, poto che il
nuovo reato è stato commesso sino al 16.07.2010, mentre il fatto per cui si procede risale al 13.10.2011.
5. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, oltre alla rifusione delle
spese sostenute dalle costituite parti civili, liquidate sulla base degli atti come a dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed alla rifusione delle spese sostenute dalle
parti civili che si liquidano in complessivi € 3.000,00 oltre accessori di legge.
Così deciso il 16 gennaio 2018.