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ENOGASTRONOMIA: CIBO E
LETTERATURA,
RICETTE LOCALI E PIATTI
TIPICI DEL PASSATO.
CLASSE 2^Al. Liceo
linguistico I.I.S. G.Cossali
FILE 1:
Brescia in tavola,
Ricette tra
presente e
tradizione.
FILE 2
Storia globale
della Bassa
alimentare.
FILE 3
Baldus, La
Massera da
Be, “le venti
giornate ..”
FILE
3a
FILE 3b:
Agostino Gallo
“della Caccia”
FILE 4:
“ Ode alla
Polpetta.”
osteria e cibo
canti popolari.
FILE 5:
Osterie e cibo,
“i promessi
sposi.”
FILE 6:
Letteratura
latina.
FILE 3a:
Galeazzo dagli
orzi, “La
Massera da Be”
BIBLIOGRAFIA:
ANATRA RIPIENA DI CASTAGNE E PRUGNE
Ingredienti per 6 persone:
• Un’anatra di un kg circa
• 200 gr di castagne
• 100 gr di prugne secche
• 100 gr di burro
• Salvia, rosmarino, aglio, sale
Pulire accuratamente l’anatra, svuotarla dalle interiora, fiammeggiarla
e lavarla sotto un getto di acqua fredda. Asciugarla, salarla sia
all’interno che all’esterno. Arrostire le castagne e, dopo averle
sbucciate, introdurle insieme alle prugne e ad una grossa noce di
burro nel ventre dell’anatra, cucire bene con del robusto filo bianco;
adagiare in una pirofila insieme agli aromi e al restante burro e
metterla in forno già caldo alla temperatura di 200°, cuocerla per circa
un’ora e mezzo, avendo cura, di quando in quando, di versare
l’intingolo sull’anatra e di rigirarla in modo che colorisca
uniformemente.
GALLINA O CAPPONE LESSI RIPIENI
Ingredienti per 6 persone:
• Una gallina o un cappone
• 800 gr di costato di manzo
• Una carota
• Una cipolla
• 2 o 3 coste di sedano
• 1 ciuffetto di prezzemolo
• 3 patate
• Sale o 2 cubetti di dado di carne
Per il ripieno:
• 250 gr di pane grattugiato
• 200 gr di Parmigiano grattugiato
• 1 uovo
• 1 cucchiaino di spezie macinate miste
• 1 cucchiaio d’aglio e prezzemolo tritati
• 2 o 3 amaretti
• 50 gr di burro
In una terrina mettere il pane grattugiato e
il Parmigiano, gli amaretti sbriciolati, fare
un buco centrale nel quale mettere il
battuto di prezzemolo e aglio. Fare fondere
il burro e quando è nocciola versarlo nel
buco, rompervi l’uovo e cospargerlo di
spezie. Amalgamare tutti gli ingredienti e se
l’impasto risultasse un po’ duro
ammorbidirlo con del brodo o con
dell’acqua. Precedentemente preparare la
gallina o il cappone togliendo loro le
interiora, le zampe, la testa, lavandoli molto
bene e lasciandoli sgocciolare. Salare
internamente e introdurre il ripieno,
badando che non sia troppo. Ricomporlo
cucendolo con del filo da cucina e
accomodarlo in una pentola insieme alle
verdure, al manzo, al sale o ai dadi e
ricoprire tutto d’acqua. Far bollire adagio
per 2 ore, punzecchiare dopo circa un’ora e
mezza le cosce della gallina. Estrarla dal
brodo con cautela, lasciarla raffreddare per
15 minuti, poi aprirla facendo due metà.
POLLO CON CHIODINI E POLENTA
Ingredienti per 4 persone:
• Un pollo novello fatto a pezzi
• 500 gr di funghi chiodini
• 2 cipolle
• 100 gr di burro
• 2 cucchiai da tavola di
conserva di pomodoro
• 1 ciuffo di prezzemolo
• Sale e pepe
Per la polenta:
• 1/2 kg di farina gialla
• 2 lt di acqua
• 1 cucchiaio di sale grosso
Tritare la cipolla e farla soffriggere in un
tegame nel burro, poi fare rosolare lo
spezzatino di pollo, quindi unire i funghi,
salare e pepare. Lasciare che i funghi
cedano la loro acqua e far restringere un
poco l’intingolo, che si allungherà con
mezzo bicchiere di acqua calda nella quale
si stempererà la conserva. Continuare la
preparazione a fuoco lento e a tegame
incoperchiato. Nel frattempo preparare la
polenta che dovrà cuocere per 45 minuti e
che si verserà in una teglia da forno
imburrata, livellandola. Quando lo
spezzatino sarà giunto a metà cottura
dopo mezz’oretta, aromatizzarlo con il
trito di prezzemolo. Dopo un’altra
mezz’ora versare lo spezzatino con il sugo
di chiodini sulla polenta e infornare a 200°
per qualche minuto.
STUFATO DI CAVALLO
Ingredienti per 8-10 persone:
• 2 kg di sotto spalla di cavallo intero
• Un kg di cipolle bianche
• 2 litri di vino rosso
• 100 gr di burro
• 2 dl d’olio d’oliva
• Sale, pepe, noce moscata
• Un pizzico di spezie miste
Battere la carne con un mattarello di legno per intenerirla, quindi metterla in una terrina e
ricoprirla con il vino e le cipolle affettate lasciandola in infusione per 4 ore. In un tegame dai
bordi alti far sciogliere il burro e l’olio e appassirvi le cipolle, senza far loro prendere troppo
colore, e disporvi la carne che sarà salata e aromatizzata con le spezie e il pepe, facendola
rosolare, poi aggiungere il vino, incoperchiare e cuocere a fuoco lento per 3 ore. Alla fine
passare al setaccio le cipolle e affettare la carne disponendola in un piatto di portata caldo
ed accompagnarla con la polenta morbida
LA PANADA O MINESTRA DI PANE RAFFERMO
Ingredienti per 4 persone:
•400 gr di pane raffermo
•Lardo
•1 noce di burro
•Poche foglie di salvia
•1 ½ lt di brodo di carne
Va preparato un buon brodo di carne, messo a bollire a parte. Intanto, in una pentola
andrà messo il pane, fatto a pezzetti, un battuto di lardo, burro e una crosta di
formaggio ben pulita. Assieme a questa base non mancheranno salvia e sale. Coprire
tutto con il brodo bollente e proseguire la cottura a fiamma bassa per circa 60 minuti.
La minestra ottenuta va servita bollente, dividendo con equità la crosta di formaggio
LA FARAONA ALLA BRESCIANA
Ingredienti per 4 persone:
• Una faraone ruspante di circa 1 kg
• Un bicchiere di vino rosso
• Olio extravergine
• Brodo di carne
• 50 gr di pangrattato
• 50 gr di grana grattugiato
• rosmarino, burro, sale, pepe
Prendere 80 gr di burro, aggiungere il grana padano grattugiato e il pangrattato,
un poco di noce moscata, giusto una spolverata e un uovo per legare il tutto. A
questo punto il ripieno andrà ancora cotto, per qualche minuto, poi tolto dalla
fiamma e lavorato. Infine messo da parte. Inserirlo così nella faraona ( pulita e
lavata). Cucire con cura la faraona, con un filo da cucina, infine adagiarla in una
teglia leggermente unta con olio. Qualche rametto di rosmarino e dei fiocchetti
di burro completeranno la preparazione. In forno la faraona cuocerà per un paio
d’ore a 180° irrorata, quando necessario, con una spruzzata di vino e un
cucchiaio di brodo. Le patate al forno sono un contorno classico per la faraona,
da abbinare a una buona bottiglia di rosso.
LA COTOGNATA
Ingredienti:
• Mele cotogne
• Zucchero
• Polpa di un limone
• Scorze di arancia
Molte sono le interpretazioni della cotognata e pure le
imitazioni, ma possiamo evidenziare una delle possibili
base di lavorazione: le mele devono essere cotte a vapore
e poi pulite con cura, eliminando torsolo e buccia.
Successivamente queste verranno trasformate in una
sorta di pasta morbida che dovrà riposare in contenitori di
rame. Il dosaggio di zucchero e arance candite completerà
la procedura.
LA RESUMADA O ROSOLADA
Ingredienti per porzione:
• 1 uovo
• 2 cucchiai di zucchero
• Un bicchierino di marsala secco o mezza tazzina di
caffè
È un antico rimedio delle nonne per improvvisi cali di
zuccheri, debolezza, recupero post influenzale. Si
prepara così: montare a neve il bianco di un uovo, poi
aggiungerlo al suo tuorlo con un paio di cucchiai di
zucchero. Incorporare un bicchierino da marsala( o un
poco di caffè).
LE BILINE COTTE
Ingredienti per 4 persone.
• 300 gr di castagne secche
• ½ litro di latte
• ½ litro di acqua
• Cannella
• Sale
Rivenire in acqua le castagne, fino a quando non sarà possibile togliere ogni
traccia della buccia più scura. Poi, una volta scolate, verranno fatte cuocere in
acqua e latte, portate a bollore in identiche proporzioni. Aggiungere al brodo di
cottura un po’ di sale e una spolverata di cannella. C’è chi ama anche unire tre,
quattro pugni di riso. A nostro avviso è meglio gustare le biline nella maniera più
semplice. E accompagnarle con un buon rosso.
FILE 1:
Brescia in tavola,
Ricette tra
presente e
tradizione.
FILE 2
Storia globale
della Bassa
alimentare.
FILE 3
Baldus, La
Massera da
Be, “le venti
giornate ..”
FILE
3a
FILE 3b:
Agostino Gallo
“della Caccia”
FILE 4:
“ Ode alla
Polpetta.”
osteria e cibo
canti popolari.
FILE 5:
Osterie e cibo,
“i promessi
sposi.”
FILE 6:
Letteratura
latina.
FILE 3a:
Galeazzo dagli
orzi, “La
Massera da Be”
LA BASSA, STORIA ALIMENTARE
In ‘’la cucina bresciana tra arte e letteratura.
Le ricette di C. Boroni – A. Bassini, ed Vannini’’
Gussago, BS, 2000, pag. 135-138
Lavoro a cura di:
Bertocchi Cristina, Magli
Anita e Zatti Rebecca
La Bassa
Bruna e fumigante dai solchi profondi dell’aratro nelle giornate ottobrine, oppressa dalla calura di un sole greve in estate, grigia e persa
per molto più che una stagione tra le spire della nebbia è la Bassa Bresciana, propaggine settentrionale di quella pianura fertile dell
‘humus ricco del Po e per l ‘accanito lavoro dei contadini.
E’ dall’aspetto del territorio e dei suoi prodotti che la cucina
trae elementi e sviluppa la sua vena creatrice, perciò
parlando di Bassa Bresciana sotto il profilo gastronomico
è gioco forza pensare alle distese dei campi di granturco,
quindi alla polenta che ha costituito per secoli uno dei pochi
alimenti della popolazione contadina, fiaccata per questo
dalla pellagra.
La polenta, che in questi territori si presenta prevalentemente
dura, da tagliare col filo legato al tagliere, accompagna, oggi
che la miseria almeno qui non è più di casa, piatti di vario
genere, soprattutto a base di carne.
Un tempo, fino a cinquant’anni fa, la farina di granturco costituiva merce di scambio coi ‘’
montagnì’’ che passavano per le campagne coi carri colmi di castagne proponendole in baratto.
Nelle operose masserie, che in questi luoghi colpiscono per le loro dimensioni, tanto che in alcuni casi
comprendono una chiesetta, vengono allevati da sempre numerosi animali da cortile: galline, oche,
tacchini, anatre, faraone, conigli, destinati ad assumere l’aspetto di invitanti preparazioni
cucinarie.Le stalle, nelle quali si riunivano d’inverno le famiglie intere di contadini, costituivano
l’unico luogo caldo della fattoria, ad eccezione della cucina; il tepore era fornito dai corpi di mucche,
buoi, vitelli e cavalli, allevati principalmente per sostenere il lavoro nei campi e non per la
macellazione domestica. Solo i vitelli erano destinati ad essere venduti nei vari mercati, tra cui
famosissimo quello di Montichiari. Il latte prodotto, un tempo come ora, si utilizza per farne
formaggi.
All’esterno delle masserie venivano tenuti gli orti, nei quali si coltivavano erbe comuni a tutto il Bresciano, e che
caratterizzavano le zuppe, piatto base dell’alimentazione contadina.
La sopa dei morcc = porzione gratuita di zuppa, servita la sera della
ricorrenza dei defunti nelle osterie (della zona di Montichiari.)
Una pietra miliare su cui si basa la cucina di questa vasta zona del Bresciano è
l’allevamento del maiale, entrato nell’abitudine di ogni famiglia contadina sin dall’epoca di
Carlo Magno, intorno all’800 d.C. Il maiale, come risaputo, si utilizza in toto: le sue
carni, trattate dai cosiddetti masadur, vengono insaccate e trasformate in prelibatezze,
soprattutto salami, tra cui il famoso os de stomec, salsicce, coppe, pancette, cotechini. Fiesse
è rinomata per i suoi insaccati, e ogni anno qui si rinnova la Sagra del Pursel, dove i
maestri di quest’arte lavorano in pubblico. Tipica di queste parti è la preparazione del
brozadel, salame che nelle sere d’inverno veniva avvolto in carta da zucchero imbevuta
d’olio e poi fatto cuocere sotto la brace.
A lavoro di insaccatura ultimato, tutti gli scarti vengono messi in una capace
pignatta e fatti cuocere a fuoco lento. In tal modo le parti magre divengono
croccanti (= cicioi o grepole) separandosi dal grasso, che una volta raffreddato
costituirà il condimento e la base comune a tutti i piatti della cucina popolare locale:
lo strutto.
Risulta chiaro, guardando l’ubicazione geografica di questi territori, che l’uso dell’olio non poteva essere intrinseco, poiché i laghi
sulle cui rive cresce l’ulivo non ne fanno parte, ed il burro non era contemplato come derivato della lavorazione del latte, che
veniva utilizzato interamente per produrre formaggi soprattutto a pasta molle.
La caccia
La caccia costituiva uno dei grandi proventi di proteine per la popolazione, soprattutto quella che non poteva permettersi l’allevamento del
maiale e degli altri animali da cortile.
Nella pianura, quando ancora esistevano vaste zone boschive, veniva cacciato il cinghiale; oggi questo è solo un dato storico. La zona offriva
abbondanza di lepri, quaglie, fagiani, allodole, pernici grigie, passeri e stornelli, oltre alle numerose qualità ‘’dal becco gentile’’, delizia degli
appassionati dello spiedo, catturati un tempo non solo col fucile, che si potevano permettere i signori, ma con l’uso di metodi fantasiosi come reti,
archetti, vischio.
Oggi che la caccia è uno sport e non è più una necessità
alimentare, è sempre più raro ritrovare sulla tavola
questa selvaggina sotto forma di spiedi, salmì e arrosti,
poiché le specie sono giustamente protette da leggi
severe che ne tutelano la sopravvivenza. Lo spiedo
della Bassa si presenta essenziale ma gustosissimo: gli
uccellini (che di norma dovrebbero essere ‘’di becco
gentile’’), spiumati e privati degli occhi, alternati ai
mumbulì (fettine di lombo di maiale battute e rosolate
su se stesse), vengono infilzati sugli schidioni e cotti
lungamente rigirandoli sulle braci, con il solo ausilio,
in questo caso, del burro.
Lungo le zone fiancheggianti i fiumi Oglio, Chiese e Mella e i corsi d’acqua minori, il terreno offre funghi chiodini (Armillaria
mellea), da prepararsi preferibilmente in guazzetto…
E orecchioni (Pleorotus ostreatus) preferibili ai ferri…
Le bose, il pesce gatto, le anguille e le rane, fritte un tempo nell’onnipresente strutto e
accompagnate con polenta, sono i doni che le divinità acquatiche hanno elargito per saziare la
fame atavica del contadino povero; sono poi divenute autentiche leccornie per i palati stanchi alla
ricerca di sapori inconsueti, come quello delle lumache, che qui vengono cucinate a zbrunzù, lessate
e poi intinte in olio, pepe e sale, o quello delle erbe selvatiche, tra cui i grignos (Taraxacum
officinale o cicoria), o le sonze de galina (Cardamine hirsuta o cardamine).
Si è spesso parlato di una scarsa originalità della cucina
bresciana, i cui piatti risentono della vicinanza delle provincie
confinanti: Verona, Cremona, Mantova, Bergamo, Trento,
Milano; per questo si pensi al contestatissimo spiedo rivendicato
dai bergamaschi, o ai casoncelli, reclamati dai mantovani, ma
non risponde al vero che essa non presenti una sua autenticità,
che si manifesta in quello che Marini definisce come ‘’modo di
intendere la vita’, cioè nelle abitudini che qui ‘’assumono
un’importanza tale da conferire brescianità al loro attuarsi.
L’osteria, la caccia, la pesca, la raccolta di erbe e funghi, ma
anche di rane e lumache.
FILE 1:
Brescia in tavola,
Ricette tra
presente e
tradizione.
FILE 2
Storia globale
della Bassa
alimentare.
FILE 3
Baldus, La
Massera da
Be, “le venti
giornate ..”
FILE
3a
FILE 3b:
Agostino Gallo
“della Caccia”
FILE 4:
“ Ode alla
Polpetta.”
osteria e cibo
canti popolari.
FILE 5:
Osterie e cibo,
“i promessi
sposi.”
FILE 6:
Letteratura
latina.
FILE 3a:
Galeazzo dagli
orzi, “La
Massera da Be”
LA CUCINA BRESCIANA
FRA ARTE E LETTERATURA,
LE RICETTE, di C. Boroni-A.
Bassini, ed. Vannini,
GUSSAGO (BS), 2000.
Lavoro a cura di:
Alice Zanini,
Matteo Valcamonico,
Luca Streparola,
Sabrina Ranzenigo.
“le venti giornate
della vera
agricoltura et de
piaceri della villa”
(Agostino Gallo)
“BALDUS”
Per avere una visione delle abitudini mangerecce dei
bresciani, è utile consultare alcune opere scritte nel
XVI secolo da Merlin Cocai, pseudonimo di Teofilo
Folengo, che con il suo “Baldus”, ci fornisce
un’immagine efficace dei cibi allora consumati, cibi
non accessibili alla povera gente.
“Questo era quel che avveniva nei luoghi
opulenti del cibo… viene apparecchiato il
convito regale. Ci sono più di cento sguatteri
agli ordini dei cuochi: c’è chi scanna un
maiale, chi allunga il collo ai pollastri, chi si
adopera a cavar dalla pancia le interiora,
mentre un altro li scortica. Questi spenna i
capponi morti dopo averli immersi nell’acqua
bollente, quest’altro fa lessare le testine di
vitello.
Quello infila nello spiedo le porchette appena
raccolte dal grembo di una scrofa. Ficcando il
naso dell’una nel culo dell’altra e lardellandole
con uno stecco appuntito. Il cuoco maggiore
mastro Prosciutto, presiede all’arte leccatoria.
C’è chi rigira il fegato avvolto nella
reticella,c’è chi sparge lo zenzero piccante
sopra la gelatina.
“Questi intinge gli anatroccoli in una salsa
giallognola e quest’altro toglie i fagiani dallo
spiedo. Cinque pietre da macchina ruotano
senza posa con rapidi giri: da una parte esce
la salsa di mandorle, dall’altra scende la
peverata.
C’è chi estrae dal forno uno stufato di carne
grassa e sopra vi sparge cannella pestata,
altri toglie dal paiolo i capponi lessati e li
spruzza con acqua di rose e zucchero in
polvere. Si apparecchia insomma una cena in
grazia della quale i morti potrebbero
risuscitare e lascerebbero le loro tombe con le
casse attaccate al culo…
E, citando la nostra valle: ormai o
Valtrompia gozzuta, è ora che tu
richiami la tua musa, mi ha messo
in tavola i suoi fiadoni più che a
sufficienza e la mia pancia ha
smaltito a sazietà le sue minestre.
Siamo arrivati alla fine del pasto e
ogni cosa viene governata a dovere
nel ventre ormai pieno.
…Quanto a voi, leccate le scodelle!”
tratto da “Baldus” di Teofilo Folengo.
“le venti giornate
della vera
agricoltura et de
piaceri della villa”
(Agostino Gallo)
“LA MASSERA DA BE”
Un altro testo considerato pietra
miliare per mettere a fuoco la
situazione alimentare nello sfarzoso
tardo rinascimento bresciano è “La
Massera da Be”, opera di Galeazzo
degli Orzi, stampata del 1554 nella
nostra città. La massera è come
mille altre donne del tempo, ma
quante ne vediamo ancora così,
soprattutto nei nostri paesi … e
inevitabilmente erano così le
condizioni alimentar-essenziali di
molti uomini e donne il questo
strepitoso dialogo tratto dal libro di
Galeazzo degli Orzi:
“signora: ditemi un po’, verreste a star con me per massara?
Massera: piuttosto che star sull’aia tutto l’anno lavorare…
Veniamo alla città col cesto attaccato al braccio e quelle poche
uova che ci fanno le galline, e qualche pollastrello. Si mangia il
pane di miglio per tornare a seminare il frumento… Si vendono poi
i tralci delle viti per comperare un poco di miglio. Tutto il giorno
piangono qua là puttelli perché gelano dal freddo… So dir io che la
mi va bene ma poca gente lo sa. Tutto l’anno uscieri a casa per
qualche condanna ,o prigioni o qualche taglia. O che ci sono
scorrerie di soldati a cavallo, e lì siamo disperate… La va così la
nostra vita infino che non si è morti. Per cui, signora, vi dico che
voglio restare qui con voi…
Signora: Ditemi cosa sapreste fare, se vi prendo a star qui con me ?
Riguardo al far da cena e da desinare, come vi comportereste?
Massera: Secondo la sorte dei cibi. Se sarà arrosto o lesso,
torta, pollame o pesce, io me ne acquisterò onore. Se c’è
pesce da padella, lo apro e poi lo lavo molto bene… E quando
lo devo friggere lo prendo e l’infarino, lo giro e lo ungo con
mano delicata… Poi trito due manciatine dentro il prezzemolo,
e poi lo mescolo insieme e prendo poi dello zafferano e delle
spezie in polvere… Quando è cotto lo tolgo su, lo metto in un
piatto e prendo il pezzo più bello per la signora e il padrone. E
so fare del guazzetto, del sguazèt, metter le anguille arrosto,
cuocio aringhe, quando preparo le lumache con l’olio e il
sale… Se c’è della selvaggina, lepre o cinghiale, daino o
capriolo, io so meglio quel che ci vuole che non farebbero loro
stessi. Se mi porterete vitello, vedèl, vedrò che taglio è quello,
se è coscetto o lombata, o petto o schiena o braciola. O che
sia castrato, o manzo, starne, cappone, quaglie, tordi o fagiani,
e so fare del sapore, del savòr, di qualsiasi sorta voi vorrete.
Riguardo al ripieno, non me lo dite: fiadoni, torte, pasticci, tartare,
casoncelli… E so preparare delle uova in vesta di chierico e in
frittata, e so fare dell’agliata e salsa di guazzetti. Faccio la gelatina
perché ognuno si attacchi a quello che gli sa più buono. Torniamo
ora al vitello. Se sarà del cosciotto, faremo delle polpette.
Triteremo delle erbe odorifere, dell’aglio, del prezzemolo. Preparo
un po’ di lardo. Faremo un impasto, lo vado infilando nello spiedo,
un po’ di salvia intorno, preparo il fuoco con tutto quello che ci
vuole. Parlerei anche del lesso: mi piglio un pezzo di carne, vado al
secchiaio, la lavo e mondo delle rape, presto la vò a schiumà. Le
sfetto col cortello, le butto in un secchio, le lavo molto bene. Se
sono di qualità amara le si lascia nel laveggio. Quando hanno
bollito, ci pesto giù del lardo, lo fo poi bollire tanto che perdono
quel sapore. Torniamo a fare l’arrosto di starne e piccioni. Le
quaglie e i capponi ognuno li saprà infilare nello spiedo. Ma
bisogna guardare l’usanza delle corti. Non appena siano pelati, li
caccio nello spiedo e ci fo sopra un addobbo di farina stemperata e
metto sotto la leccarda. Se cucino le starne le apro di dietro. Polli,
anitrotti e piccioni si nettano senza tante storie. Le lonze del vitello
sono buone allo spiedo. Tutti questi si preparano delle braci in giro.
Prendete poi un poco di condimento perché lo possiate bagnare.
Lasciatelo poi macerare al fuoco di braci.
Signora: Ma orsù che sapete fare ancora?
Massera: Faccio della minestra, ci trito dentro il sapore, menta,
salvia, coso: e nei ceci il rosmarino. Se fo dei vermicelli li condisco
con il burro. Ma se faccio legume gozzuto, cicerchia o fava in
brodo, lo metto a bollire. Se è legume secco, lo metto in un
recipiente. Faccio delle confetture: aranciata, lecconerie, o cedri o
ginocchielli, zucche bianche, pere moscatelle con lo zucchero, con
il miele, fò cotognata e gelatina, mostarda con la senape e con
sapore d’uva…
Dell’evolversi di una cucina popolare le tracce sono maggiormente
presenti nella “letteratura”. La gente cucinava polenta di farina di
castagne e zuppe di pane, di fagioli, di ceci e piselli. Nei giorni di
festa si usava la mariconda, il solito impasto (con mille varianti) di
pangrattato, uova e formaggio cotto nel brodo a cucchiaiate. Erano
popolari anche gnocchi e maccheroni, cibi semplici e nutrienti, ma
non compare la carne, presente “con tanta monotona dovizia sulle
mense signorili”.
Tratto da “La Massera da Be”
libro di Galeazzo degli Orzi.
“le venti giornate
della vera
agricoltura et de
piaceri della villa”
(Agostino Gallo)
“LE VENTI GIORNATE DELLA VERA
AGRICOLTURA ET DE PIACERI DELLA
VILLA”
Un altro esempio potrebbe essere Agostino
Gallo, che pubblica nel 1569 “Le venti
giornate della vera agricoltura et de
piaceri della villa”. Ecco alcuni consigli
agricolo-gastronomici:
È talmente ben coltivato che di sterile, meritatamente
acquista il nome di fertilissimo. Come si trae da i
monti e dalle valli gran copia di legne e non poca
somma di fieni, di castagne e d’altri frutti; si colgono
dai colli buoni frumenti, ogli e bevande; specialmente
da quel di Cellatica e di Limone; luoghi che fanno le
migliori vernacce di tutta Italia. Et i tanti vini e grani
che produce il piano di Piedimonte e di Franciacurta e
delle terre vicine. Poi chi potrebbe mai esprimere la
grandissima fertilità delle innumerevoli possessioni,
che ampiamente si adacquano? Le quali rendono
gran copia di grani, fieni, vini e legne e abondano
talmente di lini bellissimi, che avanzano tutto il resto
di Lombardia.
Come si fa la polenta:
Si piglia tre libre, ponendola nel caldarino che
bolle al fuoco con cinque o sei libbre
d’acqua, faciendovi due tagli in croce con un
bastone, acciochè ella maggiormente possa
passar la farina fin’ in cima; lasciandola poi
bollire. Et levata al’hora dal fuoco, si mena
benissimo con un bastone tondo e netto fin
ch’è totalmente ben rotta e affinata e dapoi
tolta fuor dal caldarino si taglia in bei pezzi
sottili con un filo e si mangia così calda col
formaggio o con la ricotta salata.
Come si può far bel pane:
si come è bene battere il fumento, che va seminato quanto
più tosto si puote; cosi quello è migliore per far buon pane.
Il quale sia anco netto di pietrelle, di sabbia, di terra e di
cattive sementi d’herbe e specialmente loglio, quacciola,
giottoni e veccia. E poi si pone ben crivellato al sole sopra i
lenzuoli e si frega cosi caldo con le mani benissimo per
cavarli maggiormente la polvere e dapoi si spruzza
leggiermente d’acqua con una scopetta e manda all’hora al
molino per luna crescente, facendolo macinare con buone
pietre. E volendo il pane saporito, sia fatta la pasta dura e
gremolata fin tanto che ella si gonfia e gitta le vesciche e
dapoi sia tagliata in pastoni e menata ancora un poco inanzi
che si parta in pani.
Sapore delicato di ovi freschi
e modo di cuocerli:
si batte con un cucchiaro quella quantità di ovi freschi e
quel zucchero secondo che ti piacciono piu dolci e
manco: è vero che l’uva passa lo fa migliore e anco il
succo di limone in luogo dell’aceto. Et comincia à
bollire, non cessando finchè non cominciano a prender
corpoe all’hora subito si levano dal fuoco e si pongono
nei piatti sopra i quali si mette dell’altro zucchero e
delle spezie. Si possono cuocere aperti nell’acqua, o nel
latte e poi conciarli ne piatti con lo zucchero, succo di
limone e cannella; e non meno friggerli nella padella in
frittate semplici e con sapori tagliati di citrona, salvia,
rosmarino, dragone e altre erbicine simili.
Per conservar la carne:
è difficile il conservar le carni non salate al tempo del
caldo, però a conservarle per quattro o cinque giorni
si cuociono mezzanamente e si pongono in quantità
di farina e poi non occorre a farle altro quando si
vogliono mangiare, che levarle e finirle di cuocere.
Altre cose per honorar gli
amici:
si pigliano i ramoscelli ben teneri, lavati ,
infarinati e fritti che sono perfettamente
nell’oglio, si levano dalla padella
ben’asciutti e si conciano nei piatti caldi
col zucchero ben trito.
tratto dal libro “le venti giornate della
vera agricoltura et de
piaceri della villa di Agostino
Gallo, 1569.
FILE 1:
Brescia in tavola,
Ricette tra
presente e
tradizione.
FILE 2
Storia globale
della Bassa
alimentare.
FILE 3
Baldus, La
Massera da
Be, “le venti
giornate ..”
FILE
3a
FILE 3b:
Agostino Gallo
“della Caccia”
FILE 4:
“ Ode alla
Polpetta.”
osteria e cibo
canti popolari.
FILE 5:
Osterie e cibo,
“i promessi
sposi.”
FILE 6:
Letteratura
latina.
FILE 3a:
Galeazzo dagli
orzi, “La
Massera da Be”
Galeazzo dagli Orzi
“La massera da bé”,
a cura di Giuseppe Tonna,
Grafo edizioni,
BS 1978
GIUSEPPE
TONNA
Nato a Gramignazzo di Sissa
(Parma) nel 1920, ha studiato alla
normale di Pisa. Ha vissuto per
diversi anni a Brescia dove ha
insegnato al liceo-ginnasio
“Arnaldo”. In qualità di narratore e
traduttore, ha pubblicato: Le bestie
parlano, 1951, Al di qua della siepe,
1955, Il raccoglitore, Uomini,
bestie, prodigi, 1976.
Traduzioni: Il Baldo di Merlin Cocai,
1958, La cronaca di Salimbene de
Adam, 1964, Odissea, 1968, Iliade,
1974.
Ha collaborato a diversi giornali e
riviste: Palatina, Il Caffè, Il
Paragone, Il giornale storico della
letteratura italiana.
E’ deceduto a Brescia, l’11
Dicembre 1979.
Signora – Ditemi un po’, verreste
a star con me per massara?
Massara – Piuttosto che star sull’aia
Tutto l’anno a lavorare,
o che ho da andar a zapà,
o che c’è da mietere,
o che non si ha da bere
o che non si ha formento,
tutto l’anno va fuori, vien dentro,
porta qualcosa a vender,
e non ci si può difendere
da tanta miseria.
Veniamo alla città
col cesto attaccato al braccio
e quelle poche uova che ci fanno le galline,
e qualche pollastrello.
Si mangia il pane di miglio
per tornar a seminare frumento.
Quando è là fuori di gennaio,
si è nudi nudenti di tutto,
e lì restiamo all’asciutto, sul sut.
Vi so ben dir io che si stenta.
Si vendono poi i tralci secchi delle viti
per comperare un poco di miglio.
Tutto il giorno piangono qua là puttelli
perché gelano dal freddo,
e non abbiamo neanche un letto,
che si va a dormire sul fieno.
Ah, so dir io che la mi va bene
ma poca gente lo sa.
Tutto l’anno uscieri a casa
per qualche condanna,
o prigioni o qualche taglia.
O che ci sono scorrerie di soldati a cavallo,
e lì siamo disperate.
( versi 66 a 94)
La casa tutta gronda acqua quando piove:
non si ha neanche solo un uovo
che ci si possa cibare.
Ah, lo so che sanno vendemmiare, vendumià,
sti traditori sbirracci.
Abbiamo noi, almeno il letame
dove si sta dentro fino agli occhi:
pulci, cimici, pidocchi, piuğ
che ci scannano da ogni lato.
La va così la nostra vita
infino a che non si è morti.
( versi 149 a 159)
Per cui, signora, vi dico
che voglio restare qui con voi.
(versi 162 a 163)
E so fare del guazzetto, del sguazèt,
metter le anguille arrosto.
Faccio tutto per bene e alla svelta,
anche se sono mal messa.
( versi 308 a 311)
lo farei resuscitare.
E quando vuole desinare, disnà,
gli fo la panatella
una sola minestrina
con un po’ di erbe aromatiche peste
e un po’ di amandolata
per fargli venire appetito.
( versi 331 a 337)
Non vi dico della graticola.
Cuocio aringhe.
Oh, se porrete ben mente
quando preparo le lumache
col guscio, e disguaciate
con l’olio e il sale,
gli do un sapore che riesce
a far levare su un morto.
( versi 314 a 321)
Quando si mangia di grasso, de gras
che sono nella mia cucina,
se c’è della selvaggina
lepre o cinghiale
che ha quei dentoni che gli spuntano fuori,
o daino o capriolo
io so meglio quel che ci vuole
che non farebbero loro stessi,
(versi 370 a 377)
Se mi porterete vitello, vedèl,
vedrò che taglio è quello,
se l’è coscetto o lombata,
o petto o schiena o braciola.
O che sia castrato,
o manzo, starne, cappone,
quaglie, tordi o fagiani,
se non ve li so cucinare,
vi lamenterete di Fiore.
(versi 387 a 395)
370.Quant es mangia de gras
371.che so i la mia cosina,
372.se’l gh’è salvadisina,
373.legor o porc sengiàr
374.ch’ha quei dentò che’c pat,
375.o daina o cavriùl,
376.e so mei quel che’c vul
377.che no i farà lor stes.
371 i = in, la = nella. Dice la mia
cosina, perchè non si sente
forestiera della casa dei padroni,
in quella stanza è lei la regina.
372 salvadisina = selvaggina (legor
= lepre; porc sengiàr = cinghiale;
daina = daino e cavriùl = capriolo)
374 che’c par = che gli spuntano
fuori (par corrisponde quindi ad
apparire, in lingua, nel senso di
mostrarsi alla vista)
376 e = è, io
Riguardo al ripieno, non me lo dite:
fiadoni, torte, pasticci,
tartare, casoncelli…
Dico: che bocca vuoi?
E so preparare delle uova
in veste da chierico e in frittata
e so fare dell’agliata, de la iada,
e salsa e dei guazzetti.
Quando è il tempo dei capretti, dei cavreğ,
faccio la gelatina
perché ognuno si attacchi
a quello che gli sa più buono.
Se ci saranno piccioni,
se ne mangia arrosto, a lesso.
(versi 398 a 411)
Torniamo ora al vitello.
Se sarà del cosciotto,
faremo delle polpette.
Triteremo delle erbe odorifere,
dell’aglio, del prezzemolo.
Per farlo stare bene insieme,
preparo un po’ di lardo.
Faremo un impasto
a mò di ricciolone.
Lo si fa su un involto,
la vado infilando nello spiedo,
un po’ di salvia intorno
e così di mano in mano.
E quando l’avrò inschidoniato,
allora preparo il fuoco
con tutto quello che ci vuole.
(verso 414 a 429)
Poiché mi avanza tempo,
parlerei anche del lesso.
Siccome se ne fa così di
frequente,
mi vergogno quasi parlarne
(versi 439 a 442)
Mi piglio un pezzo di carne,
vado al secchiaio, la lavo,
e mondo delle rape,
la metto nel laveggio.
Come ho mondato un bel pezzo,
presto la vo a schiumà.
Quando ho finito di mondare,
le sfetto col cortello,
le butto in un secchio,
le lavo molto bene
fino a che succede
che l’acqua sia limpida.
Se sono di qualità amara,
le si lascia nel laveggio.
Quando hanno bollito un pezzo,
ci pesto giù del lardo,
le fo poi bollire tanto
che perdono quel sapore.
(versi 475 a 492)
Signora – Mo orsù, che sapete fare ancora?
Massara – Faccio della minestra.
Pensate che in quello sono così brava!
Non sbaglio mai a condire,
anche ben poco a salare.
Ci trito dentro il sapore,
menta, salvia, coso:
e nei ceci, il rosmarino.
Se fo dei vermicelli,
li condisco con il burro,
perché piacciono al padrone.
Ma se faccio legume gozzuto,
cicerchia o fava in brodo
lo fo prima mondare
e poi lo metto in un recipiente,
dentro della lisciva.
Essa lo lava e sì il legume si riprende
a star dentro tutta la notte.
(versi 649 a 667)
Faccio dei fagiolini bazzotti,
di quelli per buoni compagni.
Ne fo scottare un mucchio.
Quando li vado a preparare
prendo per ciascuno due manciate,
e per me fo tre pugnelli.
Quando è là verso giugno,
se sono nei baccelli,
se ho mortadelle,
ne cuocio dentro per un anno
quando li ho ben sgusciati,
e li metto in una stagnata
e li fo bollire in furia.Ne mangio una mezza pentola
prima che siano lessati,
e li tiro fuori dalla stagnata,
li butto in una pignatta di terracotta,
e con il mestolo da presso
li rigiro nella farina.
E chiamo la bambinella,
gliene do uno scodellino (versi 671 a 696)
Un’oca piene d’erbe aromatiche e lardo
è quella che fa la guerra.
Metto in terra il laveggio,
che ci sia sotto delle braci:
e bolle lì a suo bell’agio
fintanto che non asciuga fuori il brodo.
Metto la stagnata al fuoco,
preparo dello zafferano.
Quello non lo piglio per condire,
ma per darle la coloritura,
perché se ne abbia onore
tra la gente per bene.
Ne facciamo benanche assai
per darne pure ai vicini.
La metto poi a freddire.
(versi 739 a 753)
Faccio delle confetture:
aranciata, lecconerìe,
o cedri o ginocchielli,
zucche bianche, pere moscatelle
con lo zucchero, con il miele,
fo cotognata e gelatina,
mostarda con la senape e con sapore
d’uva: per farmi onòr.
(versi 1192 a 1199)
Per certo mi ho pensato
di contarvi come faccio del buon pane.
Oh statemi un po' ad ascoltare!
Prima piglio un bacino
ben fondo o come ci vuole:
Lo metto in un canto,
coperto molto bene di panni.
Quando vien su il mattino,
sento che viene il fornaio.
Batte alla porta che pare un fabbro.
Grida: - Olà, quanto pane? –
(versi 1234 a 1238 – 1271 a 1274)
1271.Quant vè su la domà,
1272.senti che’l vè el fornèr.
1273.El bat che’l sona u frèr.
1274.El crida: - Olà, quat pa? -
1271 vè su la domà = viene su il
mattino. Pare che per questa
donna non ci sia stata notte. Il
sonno per lei assomma nel
sentirsi riposata, fresca di
energie. Pronta di nuovo, nella
nuova giornata, a bodezà.
1272 senti = il passo, di lontano,
attraverso il cortile. Lei è già
sveglia.
1273 El bat …. = picchia la porta
del palazzo, nel suo giro di
città, il garzone del fornaio: con
colpi cadenzati, come quelli del
fabbro sull’incudine.
523.Pòi, nedroğ e
piviò
524.es neta almé de
bel.
525.Le lonzi del
vedèl,
526.a quelli es ga
pul stà
527.e i è ac bò
spedà.
523 Almeno i polli (pòi), gli
anitrotti e i piccioni si puliscono, si
svuotano delle interiora senza
tante storie (de bel).
525 Anche le lombate di vitello (le
lonzi de vedèl) possono andare allo
spiedo.
526 es ga pul stà = ci può stare, si
può acconsentire, dir di sì.
543.Farì po’ a sto partìt.
544.Pìè prest u cortèl,
545.vardè l’ o’ l’è più bel,
546.forèl in ogni lat,
547.e quant l’harì nasàt,
548.saverì se’l sarà cot.
545 Perché solo lì, dove è più
bello? E non dappertutto? Ma
perché alla massera interessa
servire bene il padrone! Quella è
la parte destinata a lui!
FILE 1:
Brescia in tavola,
Ricette tra
presente e
tradizione.
FILE 2
Storia globale
della Bassa
alimentare.
FILE 3
Baldus, La
Massera da
Be, “le venti
giornate ..”
FILE
3a
FILE 3b:
Agostino Gallo
“della Caccia”
FILE 4:
“ Ode alla
Polpetta.”
osteria e cibo
canti popolari.
FILE 5:
Osterie e cibo,
“i promessi
sposi.”
FILE 6:
Letteratura
latina.
FILE 3a:
Galeazzo dagli
orzi, “La
Massera da Be”
LA CACCIA
- Agostino Gallo “Della caccia”
-Ricette bresciane
A cura di: Nicoletta Giuliani
Laura Alberti
Silvia Zucchi
DELLA CACCIA
Agostino Gallo
Introduzione, trascrizione e note a cura di
Franco Nardini
Edizione Ramperto, BS, 1991
Introduzione: la caccia e la sua evoluzione
PREISTORIA
Caccia di animali
e pesca
accompagnata
da raccolta di
radici, erbe e
frutti
Strumenti
utilizzati:bastoni,
clave, fionde e
archi
MONDO CLASSICO
GRECI ROMANI
La caccia era considerata uno sport
divertente e utile a irrobustire il
corpo
La caccia era riconosciuta con piena
libertà, la selvaggina apparteneva a
chi la cacciava
Più tardi, la chiesa non ammise la caccia come
sport, ma la tollerava solo per le utilità legate al
nutrimento e per salvaguardare l’ uomo da
attacchi di lupi o orsi
Agostino Gallo
Agostino Gallo nacque a Cadignano, in provincia di
Brescia, da una famiglia benestante, forse nel 1499.
Rimase orfano del padre e crebbe i casa dello zio
paterno a Brescia e si dedicò al commercio dei tessuti.
Nel 1534 acquistò da più proprietari circa sette ettari
di terra a Borgo Poncarale, affidandola ad un fattore,
del quale seguì assiduamente l’ attività. Assunse anche
incarichi amministrativi e pubblici. Nel 1563 fu
chiamato a far parte nell’ accademia degli occulti, e
nel medesimo anno compose “Le dieci giornate della
vera agricoltura e de’ piaceri della villa”. il libro ebbe
molto successo e Gallo aggiunse prima altre tre
giornate, dopo altre dieci. L’opera uscì nella sua
versione definitiva nel 1569 a Venezia. L’autore passò a
miglior vita un anno dopo.
Le venti giornate
Il libro ebbe ventun edizioni e anche una
traduzione in francese. Gallo fu un interprete della
trasformazione dell’agricoltura nel suo secolo,
tanto che il suo libro venne utilizzato come
manuale dagli agricoltori. Nella prima metà del
Cinquecento infatti,con la scoperta dell’America, la
moneta perse valore e i capitali prima accumulati
con il commercio vennero investiti in fondi agricoli.
L’autore discute sulla scelta dei terreni da
acquistare, dell’ allevamento dei bovini, ovini ed
equini, di bachi da seta e di api. Gallo sostiene la
superiorità della vita in campagna rispetto a
quella cittadina. La forma espressiva scelta è il
dialogo, in cui l’autore non si mette mai in mostra.
Vengono fatti parlare alcuni suoi amici nobili,
come Giovan Battista Martinengo, di Bagnolo
Mella e Cornelio Ducco, di Quinzanello e Dello.
Il loro dialogo è animato dallo spirito del
cacciatore, dalla sua passione e dai suoi svaghi e
piaceri nel cacciare.
Dodicesima giornata
Del pigliar quantità di quaglie coi quagliotti
Dialogo tra Giovan Battista Martinengo e Cornelio Ducco
Il metodo più efficace per catturare le quaglie consiste nel pigliare un quagliotto, tenerlo in gabbia al buio dal mese
di aprile al mese di maggio e liberarlo successivamente. Cantando bene, il quagliotto attirerà gli altri animali.
-Le quaglie possono essere pigliate contraffacendo il loro
verso
Il periodo propizio
per pigliarle è verso
agosto
La cattura delle quaglie
La riproduzione delle quaglie
-Solitamente le quaglie generano due volte: la prima volta in agosto,la seconda mentre
dimorano in Africa.
-Ogni quaglia fa più o meno sedici uova; le femmine nate da queste per la prima volta ne fanno
almeno dieci per una.
La caccia delle quaglie
STRUSA
Poche quaglie riescono a
sfuggirgli. Se ne riescono
a catturare centinaia
RETE
Si uccella con il fresco. Si
usano le sonagliere, le
filastrocche e parlari rustici.
Le quaglie si impauriscono
e arrivano alla rete e i
cacciatori procurano più
rumore e così le quaglie s’
incastrano ancora di più
nella rete.
PIOMBINA
Si uccella con il caldo. Si
danneggiano i campi ma
è più piacevole e utile.
La caccia delle lepri
Ѐ piacevole quando si trovano lepri robuste che consentono di individuare i cani più capaci. La caccia è
divertente, più lunga e più economica. Piace vedere le lepri cacciate dai cani che le inseguono ed esse sono
costrette ad arrendersi per la stanchezza.
La caccia di pianura delle lepri
Fasi per la caccia in pianura:
1)Si suona il corno in piazza;
2) Giungono cittadini, servitori e contadini e ci si incammina per le vie (Il più delle volte verso le campagne);
3) Ci sono cani legati e cani liberi: quelli liberi trovano le lepri e successivamente i cani legati vengono a loro
volta sciolti e corrono per la campagna;
4) Più cani inseguono una lepre e allo stesso tempo ne compaiono altre.
( Alcuni cacciatori sono in grado di scoprire anche le volpi solo vedendo la punta dell’orecchio, l’unghia o
dall’ ansimare. )
I cacciatori
I cacciatori valenti
corrono dei pericoli per
cacciare certe specie di
animali, come cervi,
caprioli e daini. Ѐ una
caccia che soddisfa l’
udito e si può cacciare in
ogni stagione.
Si caccia sui monti, colli
e valli . Dà piacere
guardare questo tipo di
caccia
Uccellare con la civetta
Questa pratica è ritenuta da molti un passatempo
puerile e piacevole.
Ѐ possibile praticare questa attività in un luogo
ombroso, fresco, ricco di verdure, fiori, arboscelli e
verdure.
Qui vi si trovano molti uccelletti che cantano e
garrullano con diverse voci.
In questo modo è possibile attirare i volatili grazie
alla presenza della civetta, la quale continua a
civettare con diversi movimenti.
LA CACCIA
- Agostino Gallo “Della caccia”
-Ricette bresciane
A cura di: Nicoletta Giuliani
Laura Alberti
Silvia Zucchi
Tradizione e modernità della gastronomia
italiana. La cucina bresciana. L’arte di essere
felici.
A cura di C. Pellizzari
Edizione Sardini, Bornato BS, 2007
Beccacce allo spiedo
INGREDIENTI
6 beccacce
Alloro
Lardo
Burro
Sale q.b.
PREPARAZIONE
Pulire 6 beccacce , incrociare le zampette sotto le cosce in modo che si
trovino dietro il dorso. Servirsi del loro becco come asticciola per
accosciarle configgendolo fra le giunture delle cosce. Lardellare e fasciare
con foglie di vite e qualche frammento di alloro e mettere a cuocere allo
spiedo bagnandola di tanto in tanto con burro profumato al ginepro.
Quaglie allo spiedo
INGREDIENTI
8 quaglie
8 fette di prosciutto
8 foglie di vite
Burro
Sale q.b.
PREPARAZIONE
Pulire 7/8 quaglie molto grosse, fiammeggiarle, accosciarle
e fasciarle,con una fetta di prosciutto crudo e una foglie di
vite in modo che soltanto la metà delle gambe rimanga
scoperta; cuocerle allo spiedo e servirle con una fetta di
pane fritto al burro.
Quaglie in casseruola
INGREDIENTI
6 quaglie
7 fettine di lardo
7 fettine di prosciutto crudo
2 cipolle
2 carote
2 chiodi di garofano
2 bicchieri di brodo
1 bicchiere di madera
1 tazza di salsa spagnola
Sale q.b
½ limoni
PREPARAZIONE
Apparecchiate 6 quaglie accosciandole e
legandole con un filo, metterle in una
casseruola con fettine di lardo e
giambone crudo, qualche cipolla, e
carote tagliuzzate, 2 chiodi di garofano,
sale, poco sugo di limone, due bicchieri
di brodo ed uno di madera.
Poi far bollire schiumando a suo tempo,
indi coprire con carta pergamena e
chiudere col coperchio.
Quando sono morbide al tatto ripassarle
nel sugo e togliere il filo;fate restringere
per 20 minuti
Lepre in salmì bresciano
INGREDIENTI
1 lepre col sangue
1 bicchiere di Malaga
4 cipolle
1 cucchiaio di farina bianca
Rosmarino, salvia
Lardo buono
Sale, pepe q.b.
PREPARAZIONE
Tagliare la lepre in pezzi, steccati con chiodi di
garofano, mettere in un recipiente coperto di vino
rosso, con dentro rosmarino, salvia, qualche fette di
lardo, cipolla tagliata, il fegato e il cuore della lepre
ed altro.
Il tutto resterà in fusione per 24 ore. Il giorno dopo
far cuocere mettendo in un recipiente: burro, pestate
di lardo e cipolle; aggiungere un cucchiaio di farina e
incorporare quest’ultimo ai pezzi di lepre.
Quando quest’ultimo avranno assorbito l’ unto
aggiungere il vino in cui furono in fusione, insieme al
resto degli ingredienti e far cuocere per 2/3 ore.
A metà cottura levare le verdure e farle passare allo
staccio insieme al sangue della lepre, mettere il tutto
nella casseruola aggiungendo un bicchiere di Malaga
e finire di cuocere.
FILE 1:
Brescia in tavola,
Ricette tra
presente e
tradizione.
FILE 2
Storia globale
della Bassa
alimentare.
FILE 3
Baldus, La
Massera da
Be, “le venti
giornate ..”
FILE
3a
FILE 3b:
Agostino Gallo
“della Caccia”
FILE 4:
“ Ode alla
Polpetta.”
osteria e cibo
canti popolari.
FILE 5:
Osterie e cibo,
“i promessi
sposi.”
FILE 6:
Letteratura
latina.
FILE 3a:
Galeazzo dagli
orzi, “La
Massera da Be”
“Ode alla polpetta”
“La bell’arte dell’osteria”
Canti popolari
in “La cucina bresciana fra arte e letteratura – le
ricette -, Ed. Vannini, Gussago – BS 2000
Lavoro a cura di Sofia
Bresciani, Ilaria Gazzillo e
La bell’arte dell’osteria
di Gasparo Gozzi
Le polpette
di
Alessandro
Manzoni
Canti
popolari
Ode alla
polpetta
Il pastor fido
di G. Guarini
Il fachin
fedele di P.
Melloni
Nel XVI secolo vede il successo
un “dramma pastorale” in lingua
italiana dal titolo “Il pastor Fido”
opera del ferrarese Giambattista
Guarini, tradotta in bresciano con il
titolo “Il fachin fedele” da Persiano
Melloni
Ferrara, 10
dicembre 1538 –
Venezia, 7 ottobre 161
Il pastor fido è un dramma
pastorale in endecasillabi e settenari di
Gianbattista Guarini, composto tra
il 1583 ed il 1587 e ispirato a una pagina
di Pausania. L'opera venne pubblicata
per la prima volta a Venezia nel 1590,
per essere poi rappresentata nel 1595
a Ferrara e nel 1598 a Mantova.
O graturola polida e
garbada,
consolatio e dilett d’ol
me Polpeta;
ec fossi mi xi cara
com’t’he ti,
graturola, a stò
mond’aventurada
Quand pensi a Figadel quat
l’è lu bel
e ch’el smini dai pe fin al
mostazz,
el ma và na dolcezza fò per
i oss…
Em podès j fa i’ gnoc
bé fagg, bé cuzz e cògg,
ché so ch’elma mangia se
foss’in gnoc
quel’ol m’fa semper fa ol
Un elogio alla polpetta, alla carne
cotta nei tegami, mentre imperava la
carne affumicata e salata, compresi
gli insaccati freschi, come le salsicce,
o stagionati, come i salami
Nel settimo capitolo dei Promessi Sposi,
Manzoni fa entrare Renzo in una taverna, con
due amici, per chiedere un piatto di polpette. L'
oste gli assicura che saranno le migliori che
abbia mai mangiato, dicendo «E ora vi porterò
un piatto di polpette, che le simili non le avete
mai mangiate.»
Io ho udito più volte persone a lodare l’osteria sopra ogni
altro diletto del mondo. Quello è un luogo e un’abitazione
con una certa non intesa malia e un certo soave incantesimo
che abbaglia e prende il cuore, come l’amo, vestito d’esca, i
pesci. Quando si dica fra i compagni: io voglio che tale o tal
giorno andiamo a fare uno stravizzo all’oste; subito si ode un
sì sì universale, e si dispongono a mente gli spassi, le
vivande, la qualità de’ vini e fino al giorno assegnato quando
si rincontrano, uno dice all’altro: tenete bene a mente tal dì,
non mancate di parola; e chi si chiama compare, chi fratello
o con altri nomi di amicizia e tenerezza, perché l’osteria
forma una famiglia universale di tutti e una parentela legata
e congiunta col messo del dialetto.
La polenta, prodotto molto apprezzato nella nostra Brescia e non solo,
fatto con la farina della Bassa, è celebrata in due canti popolari. Il
primo, “Canzone in lode della polenta”, canta:
Oltre l’essere la polenta
All’uom cibo confacént,
Economic, che conténta,
Nutitìf ed innocent
Porta sec grand’otre glorie,
Che po’ tùte no’s pùl dì
Dei so effeg l’è de fan storie
Per stampàle a tut podì.
La polenta sia conténta
Ch’abbia dit ste quater vers
E sta uniò saggia discreta
compatisce sto me schers.
Il secondo, “Polenta e baccalà” recita:
[…]
Se’ l mare’l fosse de tòcio larillarà
e i monti de polenta larillarà
oi mamma che tociàde
oi mamma che tociàde
Se’l mare’l fosse de tòcio larillarà
e i monti de polenta larillarà
oi mamma che tociàde
polenta e baccalà
E perché non m’ami più?...
Un altro canto popolare è “Fé scaldà ché la poca
minestra”:
Fé scaldà chè la poca
minestra,
fè scaldà ch’el ris e fasöi,
déghen, déghen a la
Francesca,
e po déghen ai so fiöi.
Töte le sére sóm a chèla:
A coronamento della nostra rassegna proponiamo una
canzone “Fonne, fonne, gò i patatòcc”, dove sono vari i cibi
celebrati:
Fomne, fomne, gò i patatócc
Jè isé b ù quand ch’jè bén còcc.
I patatócc.
Fomne, fomne, gó i bèi fasöi
Che i ghé piòs a i voster fiöi.
I bèi fasöi.
Fomne, fomne, gó i versulì:
Jè isé bù coi salamì.
I versulì.
Fomne, fomne, gò i radicì:
Jè isé bù coi üfisì.
I radicì.
Fomne, fomne, gò i cornasei:
Jè isé bù coi polastrei.
I cornasei.
Fomne, fomne gó i bigoi d’ai:
Jè isé bù, ma no i ghè mai!
I bigoi d’ai.
FILE 1:
Brescia in tavola,
Ricette tra
presente e
tradizione.
FILE 2
Storia globale
della Bassa
alimentare.
FILE 3
Baldus, La
Massera da
Be, “le venti
giornate ..”
FILE
3a
FILE 3b:
Agostino Gallo
“della Caccia”
FILE 4:
“ Ode alla
Polpetta.”
osteria e cibo
canti popolari.
FILE 5:
Osterie e cibo,
“i promessi
sposi.”
FILE 6:
Letteratura
latina.
FILE 3a:
Galeazzo dagli
orzi, “La
Massera da Be”
A cura di: Claudia Saini,
Clara Cucchi, Giorgia Bruno
e Tania Santini.
All’interno del romanzo di
Alessandro Manzoni “I
promessi sposi”, si riscontrano
vicende seguite dalla sfera
alimentare, importante per la
vita quotidiana dei
personaggi. Si può dire che il
cibo rispecchi la posizione
sociale. Gli alimenti citati
sono il pane e il vino che
rappresentano l’essenza
dell’esistenza materiale e
religiosa ed alcuni piatti tipici
danno l’effetto di realtà.
I riferimenti sono presenti nei
capitoli III, IV, VI, VII, XIV.
Itemi principali:
• Introduzione
• Scorcio di campagna lombarda
• I capponi di Renzo
• La polenta
• Le polpette
Così, seguendo i passi di padre
Cristoforo nella vallata che porta alla
casa di Lucia ci immedesimiamo nel
paesaggio rurale lombardo.
“Un venticello d’autunno, staccando
da’ rami le foglie appassite del gelso, le
portava a cadere, qualche passo
distante dall’albero. A destra e a
sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor
tesi, brillavan le foglie rosseggianti a
varie tinte; e la terra lavorata di fresco,
spiccava bruna e distinta ne’ campi di
stoppie biancastre e luccicanti dalla
guazza. La scena era lieta”
Nella bassa bresciana circola una storiella sul cappone del tutto inventata,
ma che vuole giustificare le ragioni culinarie di questo piatto.
“Se non abbiamo un cavallo possiamo ben far trottare un
asino: potremmo andare ugualmente al passo, sfoggiare comunque un
trotto elegante e forse anche azzardare un repentino galoppo – in verità
non so se l’asino può galoppare. Ma se non abbiamo il cappone?”
E come dimenticare nel contesto alimentare e culturale contadino i famosi
“capponi di Renzo”?
“<<Bene,>> continuò Agnese:<< quello è una cima d’uomo! Dottor
Azzecca-garbugli. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! A cui dovevo
tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non
bisogna mai andar con le mani vote da que’ signori. Agnese, superba
d’averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stia, riunì le loro
otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse
con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; così, attraversando i campi
o, come dicon colà, i luoghi, se n’andò per viottole, fremendo, ripensando
alla sua disgrazia e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca-
garbugli. Lascio poi pensare al lettore come dovessero stare in viaggio
quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù,
nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava
col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva
il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria,
come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva
balzare, con le quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a
beccarsi l’un con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di
sventura.”
(cap. III)
I CAPPONIDI RENZO
Nel sesto capitolo si racconta di un contadino di
nome Tonio che ospita nella sua abitazione Renzo. La
scena ritrae Tonio nella cucina di casa sua con il
ginocchio sullo scalino del focolare, e che tenendo,
con una mano, l’orlo di un paiolo, messo sulle ceneri
calde, dimenava, col matterello ricurvo, una piccola
polenta bigia, di gran saraceno. Manzoni parla di
polenta bigia fatta con grano saraceno. Si tratta di un
grano povero, originario dell'Asia centrale, che può
essere coltivato anche nei paesi meno caldi.
Per il popolo bresciano, e quindi per la Bassa, la
polenta è una vera istituzione, piatto tipico della
tradizione contadina ed alimento base della vita di
una volta.
La polenta, così come il pane, poteva accompagnarsi
ad altro come succede a Renzo, Tonio e Gervasio
nell’osteria del paese.
“L’oste guardava in viso a lui, come per aspettar gli
ordini: egli lo fece venir con sé in una stanza vicina, e
ordinò da cena.”
(cap.VII)
Renzo si reca in un’osteria dove l’oste senza
permettergli di parlare ordina per lui e i suoi
compagni delle polpette, che a detta dell’oste,
sono uniche nel loro genere e che potrebbero
far resuscitare un morto.
(cap. VII)
La polpetta è una pietanza molto spesso a base di
carne tritata, spezie, aromi e ingredienti leganti
servita a tavola di norma come seconda portata.
Esistono comunque anche polpette vegetali di
melanzane, di ceci, o di agglomerati vegetali, oppure
di pesce: la parola polpetta si riferisce infatti alla
preparazione e non agli ingredienti, che possono
essere differenti. Una volta preparato l'impasto, si
prendono via via tante piccole porzioni le quali
vengono schiacciate e lavorate a mano, fino al
raggiungimento della caratteristica forma
rotondeggiante.
IL PRESENTE LAVORO È SVOLTO A
PURO TITOLO DIDATTICO E SENZA
ALCUN SCOPO DI LUCRO.

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Ricette locali e tipiche del passato

  • 1. ENOGASTRONOMIA: CIBO E LETTERATURA, RICETTE LOCALI E PIATTI TIPICI DEL PASSATO. CLASSE 2^Al. Liceo linguistico I.I.S. G.Cossali
  • 2. FILE 1: Brescia in tavola, Ricette tra presente e tradizione. FILE 2 Storia globale della Bassa alimentare. FILE 3 Baldus, La Massera da Be, “le venti giornate ..” FILE 3a FILE 3b: Agostino Gallo “della Caccia” FILE 4: “ Ode alla Polpetta.” osteria e cibo canti popolari. FILE 5: Osterie e cibo, “i promessi sposi.” FILE 6: Letteratura latina. FILE 3a: Galeazzo dagli orzi, “La Massera da Be”
  • 3.
  • 5. ANATRA RIPIENA DI CASTAGNE E PRUGNE Ingredienti per 6 persone: • Un’anatra di un kg circa • 200 gr di castagne • 100 gr di prugne secche • 100 gr di burro • Salvia, rosmarino, aglio, sale Pulire accuratamente l’anatra, svuotarla dalle interiora, fiammeggiarla e lavarla sotto un getto di acqua fredda. Asciugarla, salarla sia all’interno che all’esterno. Arrostire le castagne e, dopo averle sbucciate, introdurle insieme alle prugne e ad una grossa noce di burro nel ventre dell’anatra, cucire bene con del robusto filo bianco; adagiare in una pirofila insieme agli aromi e al restante burro e metterla in forno già caldo alla temperatura di 200°, cuocerla per circa un’ora e mezzo, avendo cura, di quando in quando, di versare l’intingolo sull’anatra e di rigirarla in modo che colorisca uniformemente.
  • 6. GALLINA O CAPPONE LESSI RIPIENI Ingredienti per 6 persone: • Una gallina o un cappone • 800 gr di costato di manzo • Una carota • Una cipolla • 2 o 3 coste di sedano • 1 ciuffetto di prezzemolo • 3 patate • Sale o 2 cubetti di dado di carne Per il ripieno: • 250 gr di pane grattugiato • 200 gr di Parmigiano grattugiato • 1 uovo • 1 cucchiaino di spezie macinate miste • 1 cucchiaio d’aglio e prezzemolo tritati • 2 o 3 amaretti • 50 gr di burro In una terrina mettere il pane grattugiato e il Parmigiano, gli amaretti sbriciolati, fare un buco centrale nel quale mettere il battuto di prezzemolo e aglio. Fare fondere il burro e quando è nocciola versarlo nel buco, rompervi l’uovo e cospargerlo di spezie. Amalgamare tutti gli ingredienti e se l’impasto risultasse un po’ duro ammorbidirlo con del brodo o con dell’acqua. Precedentemente preparare la gallina o il cappone togliendo loro le interiora, le zampe, la testa, lavandoli molto bene e lasciandoli sgocciolare. Salare internamente e introdurre il ripieno, badando che non sia troppo. Ricomporlo cucendolo con del filo da cucina e accomodarlo in una pentola insieme alle verdure, al manzo, al sale o ai dadi e ricoprire tutto d’acqua. Far bollire adagio per 2 ore, punzecchiare dopo circa un’ora e mezza le cosce della gallina. Estrarla dal brodo con cautela, lasciarla raffreddare per 15 minuti, poi aprirla facendo due metà.
  • 7. POLLO CON CHIODINI E POLENTA Ingredienti per 4 persone: • Un pollo novello fatto a pezzi • 500 gr di funghi chiodini • 2 cipolle • 100 gr di burro • 2 cucchiai da tavola di conserva di pomodoro • 1 ciuffo di prezzemolo • Sale e pepe Per la polenta: • 1/2 kg di farina gialla • 2 lt di acqua • 1 cucchiaio di sale grosso Tritare la cipolla e farla soffriggere in un tegame nel burro, poi fare rosolare lo spezzatino di pollo, quindi unire i funghi, salare e pepare. Lasciare che i funghi cedano la loro acqua e far restringere un poco l’intingolo, che si allungherà con mezzo bicchiere di acqua calda nella quale si stempererà la conserva. Continuare la preparazione a fuoco lento e a tegame incoperchiato. Nel frattempo preparare la polenta che dovrà cuocere per 45 minuti e che si verserà in una teglia da forno imburrata, livellandola. Quando lo spezzatino sarà giunto a metà cottura dopo mezz’oretta, aromatizzarlo con il trito di prezzemolo. Dopo un’altra mezz’ora versare lo spezzatino con il sugo di chiodini sulla polenta e infornare a 200° per qualche minuto.
  • 8. STUFATO DI CAVALLO Ingredienti per 8-10 persone: • 2 kg di sotto spalla di cavallo intero • Un kg di cipolle bianche • 2 litri di vino rosso • 100 gr di burro • 2 dl d’olio d’oliva • Sale, pepe, noce moscata • Un pizzico di spezie miste Battere la carne con un mattarello di legno per intenerirla, quindi metterla in una terrina e ricoprirla con il vino e le cipolle affettate lasciandola in infusione per 4 ore. In un tegame dai bordi alti far sciogliere il burro e l’olio e appassirvi le cipolle, senza far loro prendere troppo colore, e disporvi la carne che sarà salata e aromatizzata con le spezie e il pepe, facendola rosolare, poi aggiungere il vino, incoperchiare e cuocere a fuoco lento per 3 ore. Alla fine passare al setaccio le cipolle e affettare la carne disponendola in un piatto di portata caldo ed accompagnarla con la polenta morbida
  • 9. LA PANADA O MINESTRA DI PANE RAFFERMO Ingredienti per 4 persone: •400 gr di pane raffermo •Lardo •1 noce di burro •Poche foglie di salvia •1 ½ lt di brodo di carne Va preparato un buon brodo di carne, messo a bollire a parte. Intanto, in una pentola andrà messo il pane, fatto a pezzetti, un battuto di lardo, burro e una crosta di formaggio ben pulita. Assieme a questa base non mancheranno salvia e sale. Coprire tutto con il brodo bollente e proseguire la cottura a fiamma bassa per circa 60 minuti. La minestra ottenuta va servita bollente, dividendo con equità la crosta di formaggio
  • 10. LA FARAONA ALLA BRESCIANA Ingredienti per 4 persone: • Una faraone ruspante di circa 1 kg • Un bicchiere di vino rosso • Olio extravergine • Brodo di carne • 50 gr di pangrattato • 50 gr di grana grattugiato • rosmarino, burro, sale, pepe Prendere 80 gr di burro, aggiungere il grana padano grattugiato e il pangrattato, un poco di noce moscata, giusto una spolverata e un uovo per legare il tutto. A questo punto il ripieno andrà ancora cotto, per qualche minuto, poi tolto dalla fiamma e lavorato. Infine messo da parte. Inserirlo così nella faraona ( pulita e lavata). Cucire con cura la faraona, con un filo da cucina, infine adagiarla in una teglia leggermente unta con olio. Qualche rametto di rosmarino e dei fiocchetti di burro completeranno la preparazione. In forno la faraona cuocerà per un paio d’ore a 180° irrorata, quando necessario, con una spruzzata di vino e un cucchiaio di brodo. Le patate al forno sono un contorno classico per la faraona, da abbinare a una buona bottiglia di rosso.
  • 11. LA COTOGNATA Ingredienti: • Mele cotogne • Zucchero • Polpa di un limone • Scorze di arancia Molte sono le interpretazioni della cotognata e pure le imitazioni, ma possiamo evidenziare una delle possibili base di lavorazione: le mele devono essere cotte a vapore e poi pulite con cura, eliminando torsolo e buccia. Successivamente queste verranno trasformate in una sorta di pasta morbida che dovrà riposare in contenitori di rame. Il dosaggio di zucchero e arance candite completerà la procedura.
  • 12. LA RESUMADA O ROSOLADA Ingredienti per porzione: • 1 uovo • 2 cucchiai di zucchero • Un bicchierino di marsala secco o mezza tazzina di caffè È un antico rimedio delle nonne per improvvisi cali di zuccheri, debolezza, recupero post influenzale. Si prepara così: montare a neve il bianco di un uovo, poi aggiungerlo al suo tuorlo con un paio di cucchiai di zucchero. Incorporare un bicchierino da marsala( o un poco di caffè).
  • 13. LE BILINE COTTE Ingredienti per 4 persone. • 300 gr di castagne secche • ½ litro di latte • ½ litro di acqua • Cannella • Sale Rivenire in acqua le castagne, fino a quando non sarà possibile togliere ogni traccia della buccia più scura. Poi, una volta scolate, verranno fatte cuocere in acqua e latte, portate a bollore in identiche proporzioni. Aggiungere al brodo di cottura un po’ di sale e una spolverata di cannella. C’è chi ama anche unire tre, quattro pugni di riso. A nostro avviso è meglio gustare le biline nella maniera più semplice. E accompagnarle con un buon rosso.
  • 14. FILE 1: Brescia in tavola, Ricette tra presente e tradizione. FILE 2 Storia globale della Bassa alimentare. FILE 3 Baldus, La Massera da Be, “le venti giornate ..” FILE 3a FILE 3b: Agostino Gallo “della Caccia” FILE 4: “ Ode alla Polpetta.” osteria e cibo canti popolari. FILE 5: Osterie e cibo, “i promessi sposi.” FILE 6: Letteratura latina. FILE 3a: Galeazzo dagli orzi, “La Massera da Be”
  • 15. LA BASSA, STORIA ALIMENTARE In ‘’la cucina bresciana tra arte e letteratura. Le ricette di C. Boroni – A. Bassini, ed Vannini’’ Gussago, BS, 2000, pag. 135-138 Lavoro a cura di: Bertocchi Cristina, Magli Anita e Zatti Rebecca
  • 16. La Bassa Bruna e fumigante dai solchi profondi dell’aratro nelle giornate ottobrine, oppressa dalla calura di un sole greve in estate, grigia e persa per molto più che una stagione tra le spire della nebbia è la Bassa Bresciana, propaggine settentrionale di quella pianura fertile dell ‘humus ricco del Po e per l ‘accanito lavoro dei contadini.
  • 17. E’ dall’aspetto del territorio e dei suoi prodotti che la cucina trae elementi e sviluppa la sua vena creatrice, perciò parlando di Bassa Bresciana sotto il profilo gastronomico è gioco forza pensare alle distese dei campi di granturco, quindi alla polenta che ha costituito per secoli uno dei pochi alimenti della popolazione contadina, fiaccata per questo dalla pellagra. La polenta, che in questi territori si presenta prevalentemente dura, da tagliare col filo legato al tagliere, accompagna, oggi che la miseria almeno qui non è più di casa, piatti di vario genere, soprattutto a base di carne.
  • 18. Un tempo, fino a cinquant’anni fa, la farina di granturco costituiva merce di scambio coi ‘’ montagnì’’ che passavano per le campagne coi carri colmi di castagne proponendole in baratto. Nelle operose masserie, che in questi luoghi colpiscono per le loro dimensioni, tanto che in alcuni casi comprendono una chiesetta, vengono allevati da sempre numerosi animali da cortile: galline, oche, tacchini, anatre, faraone, conigli, destinati ad assumere l’aspetto di invitanti preparazioni cucinarie.Le stalle, nelle quali si riunivano d’inverno le famiglie intere di contadini, costituivano l’unico luogo caldo della fattoria, ad eccezione della cucina; il tepore era fornito dai corpi di mucche, buoi, vitelli e cavalli, allevati principalmente per sostenere il lavoro nei campi e non per la macellazione domestica. Solo i vitelli erano destinati ad essere venduti nei vari mercati, tra cui famosissimo quello di Montichiari. Il latte prodotto, un tempo come ora, si utilizza per farne formaggi.
  • 19. All’esterno delle masserie venivano tenuti gli orti, nei quali si coltivavano erbe comuni a tutto il Bresciano, e che caratterizzavano le zuppe, piatto base dell’alimentazione contadina. La sopa dei morcc = porzione gratuita di zuppa, servita la sera della ricorrenza dei defunti nelle osterie (della zona di Montichiari.) Una pietra miliare su cui si basa la cucina di questa vasta zona del Bresciano è l’allevamento del maiale, entrato nell’abitudine di ogni famiglia contadina sin dall’epoca di Carlo Magno, intorno all’800 d.C. Il maiale, come risaputo, si utilizza in toto: le sue carni, trattate dai cosiddetti masadur, vengono insaccate e trasformate in prelibatezze, soprattutto salami, tra cui il famoso os de stomec, salsicce, coppe, pancette, cotechini. Fiesse è rinomata per i suoi insaccati, e ogni anno qui si rinnova la Sagra del Pursel, dove i maestri di quest’arte lavorano in pubblico. Tipica di queste parti è la preparazione del brozadel, salame che nelle sere d’inverno veniva avvolto in carta da zucchero imbevuta d’olio e poi fatto cuocere sotto la brace.
  • 20. A lavoro di insaccatura ultimato, tutti gli scarti vengono messi in una capace pignatta e fatti cuocere a fuoco lento. In tal modo le parti magre divengono croccanti (= cicioi o grepole) separandosi dal grasso, che una volta raffreddato costituirà il condimento e la base comune a tutti i piatti della cucina popolare locale: lo strutto. Risulta chiaro, guardando l’ubicazione geografica di questi territori, che l’uso dell’olio non poteva essere intrinseco, poiché i laghi sulle cui rive cresce l’ulivo non ne fanno parte, ed il burro non era contemplato come derivato della lavorazione del latte, che veniva utilizzato interamente per produrre formaggi soprattutto a pasta molle.
  • 21. La caccia La caccia costituiva uno dei grandi proventi di proteine per la popolazione, soprattutto quella che non poteva permettersi l’allevamento del maiale e degli altri animali da cortile. Nella pianura, quando ancora esistevano vaste zone boschive, veniva cacciato il cinghiale; oggi questo è solo un dato storico. La zona offriva abbondanza di lepri, quaglie, fagiani, allodole, pernici grigie, passeri e stornelli, oltre alle numerose qualità ‘’dal becco gentile’’, delizia degli appassionati dello spiedo, catturati un tempo non solo col fucile, che si potevano permettere i signori, ma con l’uso di metodi fantasiosi come reti, archetti, vischio.
  • 22. Oggi che la caccia è uno sport e non è più una necessità alimentare, è sempre più raro ritrovare sulla tavola questa selvaggina sotto forma di spiedi, salmì e arrosti, poiché le specie sono giustamente protette da leggi severe che ne tutelano la sopravvivenza. Lo spiedo della Bassa si presenta essenziale ma gustosissimo: gli uccellini (che di norma dovrebbero essere ‘’di becco gentile’’), spiumati e privati degli occhi, alternati ai mumbulì (fettine di lombo di maiale battute e rosolate su se stesse), vengono infilzati sugli schidioni e cotti lungamente rigirandoli sulle braci, con il solo ausilio, in questo caso, del burro.
  • 23. Lungo le zone fiancheggianti i fiumi Oglio, Chiese e Mella e i corsi d’acqua minori, il terreno offre funghi chiodini (Armillaria mellea), da prepararsi preferibilmente in guazzetto… E orecchioni (Pleorotus ostreatus) preferibili ai ferri… Le bose, il pesce gatto, le anguille e le rane, fritte un tempo nell’onnipresente strutto e accompagnate con polenta, sono i doni che le divinità acquatiche hanno elargito per saziare la fame atavica del contadino povero; sono poi divenute autentiche leccornie per i palati stanchi alla ricerca di sapori inconsueti, come quello delle lumache, che qui vengono cucinate a zbrunzù, lessate e poi intinte in olio, pepe e sale, o quello delle erbe selvatiche, tra cui i grignos (Taraxacum officinale o cicoria), o le sonze de galina (Cardamine hirsuta o cardamine).
  • 24. Si è spesso parlato di una scarsa originalità della cucina bresciana, i cui piatti risentono della vicinanza delle provincie confinanti: Verona, Cremona, Mantova, Bergamo, Trento, Milano; per questo si pensi al contestatissimo spiedo rivendicato dai bergamaschi, o ai casoncelli, reclamati dai mantovani, ma non risponde al vero che essa non presenti una sua autenticità, che si manifesta in quello che Marini definisce come ‘’modo di intendere la vita’, cioè nelle abitudini che qui ‘’assumono un’importanza tale da conferire brescianità al loro attuarsi. L’osteria, la caccia, la pesca, la raccolta di erbe e funghi, ma anche di rane e lumache.
  • 25. FILE 1: Brescia in tavola, Ricette tra presente e tradizione. FILE 2 Storia globale della Bassa alimentare. FILE 3 Baldus, La Massera da Be, “le venti giornate ..” FILE 3a FILE 3b: Agostino Gallo “della Caccia” FILE 4: “ Ode alla Polpetta.” osteria e cibo canti popolari. FILE 5: Osterie e cibo, “i promessi sposi.” FILE 6: Letteratura latina. FILE 3a: Galeazzo dagli orzi, “La Massera da Be”
  • 26. LA CUCINA BRESCIANA FRA ARTE E LETTERATURA, LE RICETTE, di C. Boroni-A. Bassini, ed. Vannini, GUSSAGO (BS), 2000. Lavoro a cura di: Alice Zanini, Matteo Valcamonico, Luca Streparola, Sabrina Ranzenigo.
  • 27. “le venti giornate della vera agricoltura et de piaceri della villa” (Agostino Gallo)
  • 28. “BALDUS” Per avere una visione delle abitudini mangerecce dei bresciani, è utile consultare alcune opere scritte nel XVI secolo da Merlin Cocai, pseudonimo di Teofilo Folengo, che con il suo “Baldus”, ci fornisce un’immagine efficace dei cibi allora consumati, cibi non accessibili alla povera gente.
  • 29. “Questo era quel che avveniva nei luoghi opulenti del cibo… viene apparecchiato il convito regale. Ci sono più di cento sguatteri agli ordini dei cuochi: c’è chi scanna un maiale, chi allunga il collo ai pollastri, chi si adopera a cavar dalla pancia le interiora, mentre un altro li scortica. Questi spenna i capponi morti dopo averli immersi nell’acqua bollente, quest’altro fa lessare le testine di vitello. Quello infila nello spiedo le porchette appena raccolte dal grembo di una scrofa. Ficcando il naso dell’una nel culo dell’altra e lardellandole con uno stecco appuntito. Il cuoco maggiore mastro Prosciutto, presiede all’arte leccatoria. C’è chi rigira il fegato avvolto nella reticella,c’è chi sparge lo zenzero piccante sopra la gelatina.
  • 30. “Questi intinge gli anatroccoli in una salsa giallognola e quest’altro toglie i fagiani dallo spiedo. Cinque pietre da macchina ruotano senza posa con rapidi giri: da una parte esce la salsa di mandorle, dall’altra scende la peverata. C’è chi estrae dal forno uno stufato di carne grassa e sopra vi sparge cannella pestata, altri toglie dal paiolo i capponi lessati e li spruzza con acqua di rose e zucchero in polvere. Si apparecchia insomma una cena in grazia della quale i morti potrebbero risuscitare e lascerebbero le loro tombe con le casse attaccate al culo…
  • 31. E, citando la nostra valle: ormai o Valtrompia gozzuta, è ora che tu richiami la tua musa, mi ha messo in tavola i suoi fiadoni più che a sufficienza e la mia pancia ha smaltito a sazietà le sue minestre. Siamo arrivati alla fine del pasto e ogni cosa viene governata a dovere nel ventre ormai pieno. …Quanto a voi, leccate le scodelle!” tratto da “Baldus” di Teofilo Folengo.
  • 32. “le venti giornate della vera agricoltura et de piaceri della villa” (Agostino Gallo)
  • 33. “LA MASSERA DA BE” Un altro testo considerato pietra miliare per mettere a fuoco la situazione alimentare nello sfarzoso tardo rinascimento bresciano è “La Massera da Be”, opera di Galeazzo degli Orzi, stampata del 1554 nella nostra città. La massera è come mille altre donne del tempo, ma quante ne vediamo ancora così, soprattutto nei nostri paesi … e inevitabilmente erano così le condizioni alimentar-essenziali di molti uomini e donne il questo strepitoso dialogo tratto dal libro di Galeazzo degli Orzi:
  • 34. “signora: ditemi un po’, verreste a star con me per massara? Massera: piuttosto che star sull’aia tutto l’anno lavorare… Veniamo alla città col cesto attaccato al braccio e quelle poche uova che ci fanno le galline, e qualche pollastrello. Si mangia il pane di miglio per tornare a seminare il frumento… Si vendono poi i tralci delle viti per comperare un poco di miglio. Tutto il giorno piangono qua là puttelli perché gelano dal freddo… So dir io che la mi va bene ma poca gente lo sa. Tutto l’anno uscieri a casa per qualche condanna ,o prigioni o qualche taglia. O che ci sono scorrerie di soldati a cavallo, e lì siamo disperate… La va così la nostra vita infino che non si è morti. Per cui, signora, vi dico che voglio restare qui con voi… Signora: Ditemi cosa sapreste fare, se vi prendo a star qui con me ? Riguardo al far da cena e da desinare, come vi comportereste?
  • 35. Massera: Secondo la sorte dei cibi. Se sarà arrosto o lesso, torta, pollame o pesce, io me ne acquisterò onore. Se c’è pesce da padella, lo apro e poi lo lavo molto bene… E quando lo devo friggere lo prendo e l’infarino, lo giro e lo ungo con mano delicata… Poi trito due manciatine dentro il prezzemolo, e poi lo mescolo insieme e prendo poi dello zafferano e delle spezie in polvere… Quando è cotto lo tolgo su, lo metto in un piatto e prendo il pezzo più bello per la signora e il padrone. E so fare del guazzetto, del sguazèt, metter le anguille arrosto, cuocio aringhe, quando preparo le lumache con l’olio e il sale… Se c’è della selvaggina, lepre o cinghiale, daino o capriolo, io so meglio quel che ci vuole che non farebbero loro stessi. Se mi porterete vitello, vedèl, vedrò che taglio è quello, se è coscetto o lombata, o petto o schiena o braciola. O che sia castrato, o manzo, starne, cappone, quaglie, tordi o fagiani, e so fare del sapore, del savòr, di qualsiasi sorta voi vorrete.
  • 36. Riguardo al ripieno, non me lo dite: fiadoni, torte, pasticci, tartare, casoncelli… E so preparare delle uova in vesta di chierico e in frittata, e so fare dell’agliata e salsa di guazzetti. Faccio la gelatina perché ognuno si attacchi a quello che gli sa più buono. Torniamo ora al vitello. Se sarà del cosciotto, faremo delle polpette. Triteremo delle erbe odorifere, dell’aglio, del prezzemolo. Preparo un po’ di lardo. Faremo un impasto, lo vado infilando nello spiedo, un po’ di salvia intorno, preparo il fuoco con tutto quello che ci vuole. Parlerei anche del lesso: mi piglio un pezzo di carne, vado al secchiaio, la lavo e mondo delle rape, presto la vò a schiumà. Le sfetto col cortello, le butto in un secchio, le lavo molto bene. Se sono di qualità amara le si lascia nel laveggio. Quando hanno bollito, ci pesto giù del lardo, lo fo poi bollire tanto che perdono quel sapore. Torniamo a fare l’arrosto di starne e piccioni. Le quaglie e i capponi ognuno li saprà infilare nello spiedo. Ma bisogna guardare l’usanza delle corti. Non appena siano pelati, li caccio nello spiedo e ci fo sopra un addobbo di farina stemperata e metto sotto la leccarda. Se cucino le starne le apro di dietro. Polli, anitrotti e piccioni si nettano senza tante storie. Le lonze del vitello sono buone allo spiedo. Tutti questi si preparano delle braci in giro. Prendete poi un poco di condimento perché lo possiate bagnare. Lasciatelo poi macerare al fuoco di braci.
  • 37. Signora: Ma orsù che sapete fare ancora? Massera: Faccio della minestra, ci trito dentro il sapore, menta, salvia, coso: e nei ceci il rosmarino. Se fo dei vermicelli li condisco con il burro. Ma se faccio legume gozzuto, cicerchia o fava in brodo, lo metto a bollire. Se è legume secco, lo metto in un recipiente. Faccio delle confetture: aranciata, lecconerie, o cedri o ginocchielli, zucche bianche, pere moscatelle con lo zucchero, con il miele, fò cotognata e gelatina, mostarda con la senape e con sapore d’uva… Dell’evolversi di una cucina popolare le tracce sono maggiormente presenti nella “letteratura”. La gente cucinava polenta di farina di castagne e zuppe di pane, di fagioli, di ceci e piselli. Nei giorni di festa si usava la mariconda, il solito impasto (con mille varianti) di pangrattato, uova e formaggio cotto nel brodo a cucchiaiate. Erano popolari anche gnocchi e maccheroni, cibi semplici e nutrienti, ma non compare la carne, presente “con tanta monotona dovizia sulle mense signorili”. Tratto da “La Massera da Be” libro di Galeazzo degli Orzi.
  • 38. “le venti giornate della vera agricoltura et de piaceri della villa” (Agostino Gallo)
  • 39. “LE VENTI GIORNATE DELLA VERA AGRICOLTURA ET DE PIACERI DELLA VILLA” Un altro esempio potrebbe essere Agostino Gallo, che pubblica nel 1569 “Le venti giornate della vera agricoltura et de piaceri della villa”. Ecco alcuni consigli agricolo-gastronomici:
  • 40. È talmente ben coltivato che di sterile, meritatamente acquista il nome di fertilissimo. Come si trae da i monti e dalle valli gran copia di legne e non poca somma di fieni, di castagne e d’altri frutti; si colgono dai colli buoni frumenti, ogli e bevande; specialmente da quel di Cellatica e di Limone; luoghi che fanno le migliori vernacce di tutta Italia. Et i tanti vini e grani che produce il piano di Piedimonte e di Franciacurta e delle terre vicine. Poi chi potrebbe mai esprimere la grandissima fertilità delle innumerevoli possessioni, che ampiamente si adacquano? Le quali rendono gran copia di grani, fieni, vini e legne e abondano talmente di lini bellissimi, che avanzano tutto il resto di Lombardia.
  • 41. Come si fa la polenta: Si piglia tre libre, ponendola nel caldarino che bolle al fuoco con cinque o sei libbre d’acqua, faciendovi due tagli in croce con un bastone, acciochè ella maggiormente possa passar la farina fin’ in cima; lasciandola poi bollire. Et levata al’hora dal fuoco, si mena benissimo con un bastone tondo e netto fin ch’è totalmente ben rotta e affinata e dapoi tolta fuor dal caldarino si taglia in bei pezzi sottili con un filo e si mangia così calda col formaggio o con la ricotta salata.
  • 42. Come si può far bel pane: si come è bene battere il fumento, che va seminato quanto più tosto si puote; cosi quello è migliore per far buon pane. Il quale sia anco netto di pietrelle, di sabbia, di terra e di cattive sementi d’herbe e specialmente loglio, quacciola, giottoni e veccia. E poi si pone ben crivellato al sole sopra i lenzuoli e si frega cosi caldo con le mani benissimo per cavarli maggiormente la polvere e dapoi si spruzza leggiermente d’acqua con una scopetta e manda all’hora al molino per luna crescente, facendolo macinare con buone pietre. E volendo il pane saporito, sia fatta la pasta dura e gremolata fin tanto che ella si gonfia e gitta le vesciche e dapoi sia tagliata in pastoni e menata ancora un poco inanzi che si parta in pani.
  • 43. Sapore delicato di ovi freschi e modo di cuocerli: si batte con un cucchiaro quella quantità di ovi freschi e quel zucchero secondo che ti piacciono piu dolci e manco: è vero che l’uva passa lo fa migliore e anco il succo di limone in luogo dell’aceto. Et comincia à bollire, non cessando finchè non cominciano a prender corpoe all’hora subito si levano dal fuoco e si pongono nei piatti sopra i quali si mette dell’altro zucchero e delle spezie. Si possono cuocere aperti nell’acqua, o nel latte e poi conciarli ne piatti con lo zucchero, succo di limone e cannella; e non meno friggerli nella padella in frittate semplici e con sapori tagliati di citrona, salvia, rosmarino, dragone e altre erbicine simili.
  • 44. Per conservar la carne: è difficile il conservar le carni non salate al tempo del caldo, però a conservarle per quattro o cinque giorni si cuociono mezzanamente e si pongono in quantità di farina e poi non occorre a farle altro quando si vogliono mangiare, che levarle e finirle di cuocere.
  • 45. Altre cose per honorar gli amici: si pigliano i ramoscelli ben teneri, lavati , infarinati e fritti che sono perfettamente nell’oglio, si levano dalla padella ben’asciutti e si conciano nei piatti caldi col zucchero ben trito. tratto dal libro “le venti giornate della vera agricoltura et de piaceri della villa di Agostino Gallo, 1569.
  • 46. FILE 1: Brescia in tavola, Ricette tra presente e tradizione. FILE 2 Storia globale della Bassa alimentare. FILE 3 Baldus, La Massera da Be, “le venti giornate ..” FILE 3a FILE 3b: Agostino Gallo “della Caccia” FILE 4: “ Ode alla Polpetta.” osteria e cibo canti popolari. FILE 5: Osterie e cibo, “i promessi sposi.” FILE 6: Letteratura latina. FILE 3a: Galeazzo dagli orzi, “La Massera da Be”
  • 47. Galeazzo dagli Orzi “La massera da bé”, a cura di Giuseppe Tonna, Grafo edizioni, BS 1978
  • 48.
  • 49.
  • 50.
  • 51.
  • 52. GIUSEPPE TONNA Nato a Gramignazzo di Sissa (Parma) nel 1920, ha studiato alla normale di Pisa. Ha vissuto per diversi anni a Brescia dove ha insegnato al liceo-ginnasio “Arnaldo”. In qualità di narratore e traduttore, ha pubblicato: Le bestie parlano, 1951, Al di qua della siepe, 1955, Il raccoglitore, Uomini, bestie, prodigi, 1976. Traduzioni: Il Baldo di Merlin Cocai, 1958, La cronaca di Salimbene de Adam, 1964, Odissea, 1968, Iliade, 1974. Ha collaborato a diversi giornali e riviste: Palatina, Il Caffè, Il Paragone, Il giornale storico della letteratura italiana. E’ deceduto a Brescia, l’11 Dicembre 1979.
  • 53. Signora – Ditemi un po’, verreste a star con me per massara? Massara – Piuttosto che star sull’aia Tutto l’anno a lavorare, o che ho da andar a zapà, o che c’è da mietere, o che non si ha da bere o che non si ha formento, tutto l’anno va fuori, vien dentro, porta qualcosa a vender, e non ci si può difendere da tanta miseria. Veniamo alla città col cesto attaccato al braccio e quelle poche uova che ci fanno le galline, e qualche pollastrello. Si mangia il pane di miglio per tornar a seminare frumento.
  • 54. Quando è là fuori di gennaio, si è nudi nudenti di tutto, e lì restiamo all’asciutto, sul sut. Vi so ben dir io che si stenta. Si vendono poi i tralci secchi delle viti per comperare un poco di miglio. Tutto il giorno piangono qua là puttelli perché gelano dal freddo, e non abbiamo neanche un letto, che si va a dormire sul fieno. Ah, so dir io che la mi va bene ma poca gente lo sa. Tutto l’anno uscieri a casa per qualche condanna, o prigioni o qualche taglia. O che ci sono scorrerie di soldati a cavallo, e lì siamo disperate. ( versi 66 a 94)
  • 55. La casa tutta gronda acqua quando piove: non si ha neanche solo un uovo che ci si possa cibare. Ah, lo so che sanno vendemmiare, vendumià, sti traditori sbirracci. Abbiamo noi, almeno il letame dove si sta dentro fino agli occhi: pulci, cimici, pidocchi, piuğ che ci scannano da ogni lato. La va così la nostra vita infino a che non si è morti. ( versi 149 a 159) Per cui, signora, vi dico che voglio restare qui con voi. (versi 162 a 163)
  • 56. E so fare del guazzetto, del sguazèt, metter le anguille arrosto. Faccio tutto per bene e alla svelta, anche se sono mal messa. ( versi 308 a 311) lo farei resuscitare. E quando vuole desinare, disnà, gli fo la panatella una sola minestrina con un po’ di erbe aromatiche peste e un po’ di amandolata per fargli venire appetito. ( versi 331 a 337) Non vi dico della graticola. Cuocio aringhe. Oh, se porrete ben mente quando preparo le lumache col guscio, e disguaciate con l’olio e il sale, gli do un sapore che riesce a far levare su un morto. ( versi 314 a 321)
  • 57. Quando si mangia di grasso, de gras che sono nella mia cucina, se c’è della selvaggina lepre o cinghiale che ha quei dentoni che gli spuntano fuori, o daino o capriolo io so meglio quel che ci vuole che non farebbero loro stessi, (versi 370 a 377) Se mi porterete vitello, vedèl, vedrò che taglio è quello, se l’è coscetto o lombata, o petto o schiena o braciola. O che sia castrato, o manzo, starne, cappone, quaglie, tordi o fagiani, se non ve li so cucinare, vi lamenterete di Fiore. (versi 387 a 395)
  • 58. 370.Quant es mangia de gras 371.che so i la mia cosina, 372.se’l gh’è salvadisina, 373.legor o porc sengiàr 374.ch’ha quei dentò che’c pat, 375.o daina o cavriùl, 376.e so mei quel che’c vul 377.che no i farà lor stes. 371 i = in, la = nella. Dice la mia cosina, perchè non si sente forestiera della casa dei padroni, in quella stanza è lei la regina. 372 salvadisina = selvaggina (legor = lepre; porc sengiàr = cinghiale; daina = daino e cavriùl = capriolo) 374 che’c par = che gli spuntano fuori (par corrisponde quindi ad apparire, in lingua, nel senso di mostrarsi alla vista) 376 e = è, io
  • 59. Riguardo al ripieno, non me lo dite: fiadoni, torte, pasticci, tartare, casoncelli… Dico: che bocca vuoi? E so preparare delle uova in veste da chierico e in frittata e so fare dell’agliata, de la iada, e salsa e dei guazzetti. Quando è il tempo dei capretti, dei cavreğ, faccio la gelatina perché ognuno si attacchi a quello che gli sa più buono. Se ci saranno piccioni, se ne mangia arrosto, a lesso. (versi 398 a 411)
  • 60. Torniamo ora al vitello. Se sarà del cosciotto, faremo delle polpette. Triteremo delle erbe odorifere, dell’aglio, del prezzemolo. Per farlo stare bene insieme, preparo un po’ di lardo. Faremo un impasto a mò di ricciolone. Lo si fa su un involto, la vado infilando nello spiedo, un po’ di salvia intorno e così di mano in mano. E quando l’avrò inschidoniato, allora preparo il fuoco con tutto quello che ci vuole. (verso 414 a 429)
  • 61. Poiché mi avanza tempo, parlerei anche del lesso. Siccome se ne fa così di frequente, mi vergogno quasi parlarne (versi 439 a 442)
  • 62. Mi piglio un pezzo di carne, vado al secchiaio, la lavo, e mondo delle rape, la metto nel laveggio. Come ho mondato un bel pezzo, presto la vo a schiumà. Quando ho finito di mondare, le sfetto col cortello, le butto in un secchio, le lavo molto bene fino a che succede che l’acqua sia limpida. Se sono di qualità amara, le si lascia nel laveggio. Quando hanno bollito un pezzo, ci pesto giù del lardo, le fo poi bollire tanto che perdono quel sapore. (versi 475 a 492)
  • 63. Signora – Mo orsù, che sapete fare ancora? Massara – Faccio della minestra. Pensate che in quello sono così brava! Non sbaglio mai a condire, anche ben poco a salare. Ci trito dentro il sapore, menta, salvia, coso: e nei ceci, il rosmarino. Se fo dei vermicelli, li condisco con il burro, perché piacciono al padrone. Ma se faccio legume gozzuto, cicerchia o fava in brodo lo fo prima mondare e poi lo metto in un recipiente, dentro della lisciva. Essa lo lava e sì il legume si riprende a star dentro tutta la notte. (versi 649 a 667)
  • 64. Faccio dei fagiolini bazzotti, di quelli per buoni compagni. Ne fo scottare un mucchio. Quando li vado a preparare prendo per ciascuno due manciate, e per me fo tre pugnelli. Quando è là verso giugno, se sono nei baccelli, se ho mortadelle, ne cuocio dentro per un anno quando li ho ben sgusciati, e li metto in una stagnata e li fo bollire in furia.Ne mangio una mezza pentola prima che siano lessati, e li tiro fuori dalla stagnata, li butto in una pignatta di terracotta, e con il mestolo da presso li rigiro nella farina. E chiamo la bambinella, gliene do uno scodellino (versi 671 a 696)
  • 65. Un’oca piene d’erbe aromatiche e lardo è quella che fa la guerra. Metto in terra il laveggio, che ci sia sotto delle braci: e bolle lì a suo bell’agio fintanto che non asciuga fuori il brodo. Metto la stagnata al fuoco, preparo dello zafferano. Quello non lo piglio per condire, ma per darle la coloritura, perché se ne abbia onore tra la gente per bene. Ne facciamo benanche assai per darne pure ai vicini. La metto poi a freddire. (versi 739 a 753)
  • 66. Faccio delle confetture: aranciata, lecconerìe, o cedri o ginocchielli, zucche bianche, pere moscatelle con lo zucchero, con il miele, fo cotognata e gelatina, mostarda con la senape e con sapore d’uva: per farmi onòr. (versi 1192 a 1199)
  • 67. Per certo mi ho pensato di contarvi come faccio del buon pane. Oh statemi un po' ad ascoltare! Prima piglio un bacino ben fondo o come ci vuole: Lo metto in un canto, coperto molto bene di panni. Quando vien su il mattino, sento che viene il fornaio. Batte alla porta che pare un fabbro. Grida: - Olà, quanto pane? – (versi 1234 a 1238 – 1271 a 1274)
  • 68. 1271.Quant vè su la domà, 1272.senti che’l vè el fornèr. 1273.El bat che’l sona u frèr. 1274.El crida: - Olà, quat pa? - 1271 vè su la domà = viene su il mattino. Pare che per questa donna non ci sia stata notte. Il sonno per lei assomma nel sentirsi riposata, fresca di energie. Pronta di nuovo, nella nuova giornata, a bodezà. 1272 senti = il passo, di lontano, attraverso il cortile. Lei è già sveglia. 1273 El bat …. = picchia la porta del palazzo, nel suo giro di città, il garzone del fornaio: con colpi cadenzati, come quelli del fabbro sull’incudine.
  • 69. 523.Pòi, nedroğ e piviò 524.es neta almé de bel. 525.Le lonzi del vedèl, 526.a quelli es ga pul stà 527.e i è ac bò spedà. 523 Almeno i polli (pòi), gli anitrotti e i piccioni si puliscono, si svuotano delle interiora senza tante storie (de bel). 525 Anche le lombate di vitello (le lonzi de vedèl) possono andare allo spiedo. 526 es ga pul stà = ci può stare, si può acconsentire, dir di sì.
  • 70. 543.Farì po’ a sto partìt. 544.Pìè prest u cortèl, 545.vardè l’ o’ l’è più bel, 546.forèl in ogni lat, 547.e quant l’harì nasàt, 548.saverì se’l sarà cot. 545 Perché solo lì, dove è più bello? E non dappertutto? Ma perché alla massera interessa servire bene il padrone! Quella è la parte destinata a lui!
  • 71. FILE 1: Brescia in tavola, Ricette tra presente e tradizione. FILE 2 Storia globale della Bassa alimentare. FILE 3 Baldus, La Massera da Be, “le venti giornate ..” FILE 3a FILE 3b: Agostino Gallo “della Caccia” FILE 4: “ Ode alla Polpetta.” osteria e cibo canti popolari. FILE 5: Osterie e cibo, “i promessi sposi.” FILE 6: Letteratura latina. FILE 3a: Galeazzo dagli orzi, “La Massera da Be”
  • 72. LA CACCIA - Agostino Gallo “Della caccia” -Ricette bresciane A cura di: Nicoletta Giuliani Laura Alberti Silvia Zucchi
  • 73. DELLA CACCIA Agostino Gallo Introduzione, trascrizione e note a cura di Franco Nardini Edizione Ramperto, BS, 1991
  • 74. Introduzione: la caccia e la sua evoluzione PREISTORIA Caccia di animali e pesca accompagnata da raccolta di radici, erbe e frutti Strumenti utilizzati:bastoni, clave, fionde e archi MONDO CLASSICO GRECI ROMANI La caccia era considerata uno sport divertente e utile a irrobustire il corpo La caccia era riconosciuta con piena libertà, la selvaggina apparteneva a chi la cacciava Più tardi, la chiesa non ammise la caccia come sport, ma la tollerava solo per le utilità legate al nutrimento e per salvaguardare l’ uomo da attacchi di lupi o orsi
  • 75. Agostino Gallo Agostino Gallo nacque a Cadignano, in provincia di Brescia, da una famiglia benestante, forse nel 1499. Rimase orfano del padre e crebbe i casa dello zio paterno a Brescia e si dedicò al commercio dei tessuti. Nel 1534 acquistò da più proprietari circa sette ettari di terra a Borgo Poncarale, affidandola ad un fattore, del quale seguì assiduamente l’ attività. Assunse anche incarichi amministrativi e pubblici. Nel 1563 fu chiamato a far parte nell’ accademia degli occulti, e nel medesimo anno compose “Le dieci giornate della vera agricoltura e de’ piaceri della villa”. il libro ebbe molto successo e Gallo aggiunse prima altre tre giornate, dopo altre dieci. L’opera uscì nella sua versione definitiva nel 1569 a Venezia. L’autore passò a miglior vita un anno dopo.
  • 76. Le venti giornate Il libro ebbe ventun edizioni e anche una traduzione in francese. Gallo fu un interprete della trasformazione dell’agricoltura nel suo secolo, tanto che il suo libro venne utilizzato come manuale dagli agricoltori. Nella prima metà del Cinquecento infatti,con la scoperta dell’America, la moneta perse valore e i capitali prima accumulati con il commercio vennero investiti in fondi agricoli. L’autore discute sulla scelta dei terreni da acquistare, dell’ allevamento dei bovini, ovini ed equini, di bachi da seta e di api. Gallo sostiene la superiorità della vita in campagna rispetto a quella cittadina. La forma espressiva scelta è il dialogo, in cui l’autore non si mette mai in mostra. Vengono fatti parlare alcuni suoi amici nobili, come Giovan Battista Martinengo, di Bagnolo Mella e Cornelio Ducco, di Quinzanello e Dello. Il loro dialogo è animato dallo spirito del cacciatore, dalla sua passione e dai suoi svaghi e piaceri nel cacciare.
  • 77. Dodicesima giornata Del pigliar quantità di quaglie coi quagliotti Dialogo tra Giovan Battista Martinengo e Cornelio Ducco Il metodo più efficace per catturare le quaglie consiste nel pigliare un quagliotto, tenerlo in gabbia al buio dal mese di aprile al mese di maggio e liberarlo successivamente. Cantando bene, il quagliotto attirerà gli altri animali. -Le quaglie possono essere pigliate contraffacendo il loro verso Il periodo propizio per pigliarle è verso agosto La cattura delle quaglie
  • 78. La riproduzione delle quaglie -Solitamente le quaglie generano due volte: la prima volta in agosto,la seconda mentre dimorano in Africa. -Ogni quaglia fa più o meno sedici uova; le femmine nate da queste per la prima volta ne fanno almeno dieci per una.
  • 79. La caccia delle quaglie STRUSA Poche quaglie riescono a sfuggirgli. Se ne riescono a catturare centinaia RETE Si uccella con il fresco. Si usano le sonagliere, le filastrocche e parlari rustici. Le quaglie si impauriscono e arrivano alla rete e i cacciatori procurano più rumore e così le quaglie s’ incastrano ancora di più nella rete. PIOMBINA Si uccella con il caldo. Si danneggiano i campi ma è più piacevole e utile.
  • 80. La caccia delle lepri Ѐ piacevole quando si trovano lepri robuste che consentono di individuare i cani più capaci. La caccia è divertente, più lunga e più economica. Piace vedere le lepri cacciate dai cani che le inseguono ed esse sono costrette ad arrendersi per la stanchezza. La caccia di pianura delle lepri Fasi per la caccia in pianura: 1)Si suona il corno in piazza; 2) Giungono cittadini, servitori e contadini e ci si incammina per le vie (Il più delle volte verso le campagne); 3) Ci sono cani legati e cani liberi: quelli liberi trovano le lepri e successivamente i cani legati vengono a loro volta sciolti e corrono per la campagna; 4) Più cani inseguono una lepre e allo stesso tempo ne compaiono altre. ( Alcuni cacciatori sono in grado di scoprire anche le volpi solo vedendo la punta dell’orecchio, l’unghia o dall’ ansimare. )
  • 81. I cacciatori I cacciatori valenti corrono dei pericoli per cacciare certe specie di animali, come cervi, caprioli e daini. Ѐ una caccia che soddisfa l’ udito e si può cacciare in ogni stagione. Si caccia sui monti, colli e valli . Dà piacere guardare questo tipo di caccia
  • 82. Uccellare con la civetta Questa pratica è ritenuta da molti un passatempo puerile e piacevole. Ѐ possibile praticare questa attività in un luogo ombroso, fresco, ricco di verdure, fiori, arboscelli e verdure. Qui vi si trovano molti uccelletti che cantano e garrullano con diverse voci. In questo modo è possibile attirare i volatili grazie alla presenza della civetta, la quale continua a civettare con diversi movimenti.
  • 83. LA CACCIA - Agostino Gallo “Della caccia” -Ricette bresciane A cura di: Nicoletta Giuliani Laura Alberti Silvia Zucchi
  • 84. Tradizione e modernità della gastronomia italiana. La cucina bresciana. L’arte di essere felici. A cura di C. Pellizzari Edizione Sardini, Bornato BS, 2007
  • 85. Beccacce allo spiedo INGREDIENTI 6 beccacce Alloro Lardo Burro Sale q.b. PREPARAZIONE Pulire 6 beccacce , incrociare le zampette sotto le cosce in modo che si trovino dietro il dorso. Servirsi del loro becco come asticciola per accosciarle configgendolo fra le giunture delle cosce. Lardellare e fasciare con foglie di vite e qualche frammento di alloro e mettere a cuocere allo spiedo bagnandola di tanto in tanto con burro profumato al ginepro.
  • 86. Quaglie allo spiedo INGREDIENTI 8 quaglie 8 fette di prosciutto 8 foglie di vite Burro Sale q.b. PREPARAZIONE Pulire 7/8 quaglie molto grosse, fiammeggiarle, accosciarle e fasciarle,con una fetta di prosciutto crudo e una foglie di vite in modo che soltanto la metà delle gambe rimanga scoperta; cuocerle allo spiedo e servirle con una fetta di pane fritto al burro.
  • 87. Quaglie in casseruola INGREDIENTI 6 quaglie 7 fettine di lardo 7 fettine di prosciutto crudo 2 cipolle 2 carote 2 chiodi di garofano 2 bicchieri di brodo 1 bicchiere di madera 1 tazza di salsa spagnola Sale q.b ½ limoni PREPARAZIONE Apparecchiate 6 quaglie accosciandole e legandole con un filo, metterle in una casseruola con fettine di lardo e giambone crudo, qualche cipolla, e carote tagliuzzate, 2 chiodi di garofano, sale, poco sugo di limone, due bicchieri di brodo ed uno di madera. Poi far bollire schiumando a suo tempo, indi coprire con carta pergamena e chiudere col coperchio. Quando sono morbide al tatto ripassarle nel sugo e togliere il filo;fate restringere per 20 minuti
  • 88. Lepre in salmì bresciano INGREDIENTI 1 lepre col sangue 1 bicchiere di Malaga 4 cipolle 1 cucchiaio di farina bianca Rosmarino, salvia Lardo buono Sale, pepe q.b. PREPARAZIONE Tagliare la lepre in pezzi, steccati con chiodi di garofano, mettere in un recipiente coperto di vino rosso, con dentro rosmarino, salvia, qualche fette di lardo, cipolla tagliata, il fegato e il cuore della lepre ed altro. Il tutto resterà in fusione per 24 ore. Il giorno dopo far cuocere mettendo in un recipiente: burro, pestate di lardo e cipolle; aggiungere un cucchiaio di farina e incorporare quest’ultimo ai pezzi di lepre. Quando quest’ultimo avranno assorbito l’ unto aggiungere il vino in cui furono in fusione, insieme al resto degli ingredienti e far cuocere per 2/3 ore. A metà cottura levare le verdure e farle passare allo staccio insieme al sangue della lepre, mettere il tutto nella casseruola aggiungendo un bicchiere di Malaga e finire di cuocere.
  • 89. FILE 1: Brescia in tavola, Ricette tra presente e tradizione. FILE 2 Storia globale della Bassa alimentare. FILE 3 Baldus, La Massera da Be, “le venti giornate ..” FILE 3a FILE 3b: Agostino Gallo “della Caccia” FILE 4: “ Ode alla Polpetta.” osteria e cibo canti popolari. FILE 5: Osterie e cibo, “i promessi sposi.” FILE 6: Letteratura latina. FILE 3a: Galeazzo dagli orzi, “La Massera da Be”
  • 90. “Ode alla polpetta” “La bell’arte dell’osteria” Canti popolari in “La cucina bresciana fra arte e letteratura – le ricette -, Ed. Vannini, Gussago – BS 2000 Lavoro a cura di Sofia Bresciani, Ilaria Gazzillo e
  • 91. La bell’arte dell’osteria di Gasparo Gozzi Le polpette di Alessandro Manzoni Canti popolari Ode alla polpetta Il pastor fido di G. Guarini Il fachin fedele di P. Melloni
  • 92. Nel XVI secolo vede il successo un “dramma pastorale” in lingua italiana dal titolo “Il pastor Fido” opera del ferrarese Giambattista Guarini, tradotta in bresciano con il titolo “Il fachin fedele” da Persiano Melloni
  • 93. Ferrara, 10 dicembre 1538 – Venezia, 7 ottobre 161
  • 94. Il pastor fido è un dramma pastorale in endecasillabi e settenari di Gianbattista Guarini, composto tra il 1583 ed il 1587 e ispirato a una pagina di Pausania. L'opera venne pubblicata per la prima volta a Venezia nel 1590, per essere poi rappresentata nel 1595 a Ferrara e nel 1598 a Mantova.
  • 95. O graturola polida e garbada, consolatio e dilett d’ol me Polpeta; ec fossi mi xi cara com’t’he ti, graturola, a stò mond’aventurada
  • 96. Quand pensi a Figadel quat l’è lu bel e ch’el smini dai pe fin al mostazz, el ma và na dolcezza fò per i oss… Em podès j fa i’ gnoc bé fagg, bé cuzz e cògg, ché so ch’elma mangia se foss’in gnoc quel’ol m’fa semper fa ol
  • 97. Un elogio alla polpetta, alla carne cotta nei tegami, mentre imperava la carne affumicata e salata, compresi gli insaccati freschi, come le salsicce, o stagionati, come i salami
  • 98. Nel settimo capitolo dei Promessi Sposi, Manzoni fa entrare Renzo in una taverna, con due amici, per chiedere un piatto di polpette. L' oste gli assicura che saranno le migliori che abbia mai mangiato, dicendo «E ora vi porterò un piatto di polpette, che le simili non le avete mai mangiate.»
  • 99.
  • 100. Io ho udito più volte persone a lodare l’osteria sopra ogni altro diletto del mondo. Quello è un luogo e un’abitazione con una certa non intesa malia e un certo soave incantesimo che abbaglia e prende il cuore, come l’amo, vestito d’esca, i pesci. Quando si dica fra i compagni: io voglio che tale o tal giorno andiamo a fare uno stravizzo all’oste; subito si ode un sì sì universale, e si dispongono a mente gli spassi, le vivande, la qualità de’ vini e fino al giorno assegnato quando si rincontrano, uno dice all’altro: tenete bene a mente tal dì, non mancate di parola; e chi si chiama compare, chi fratello o con altri nomi di amicizia e tenerezza, perché l’osteria forma una famiglia universale di tutti e una parentela legata e congiunta col messo del dialetto.
  • 101. La polenta, prodotto molto apprezzato nella nostra Brescia e non solo, fatto con la farina della Bassa, è celebrata in due canti popolari. Il primo, “Canzone in lode della polenta”, canta: Oltre l’essere la polenta All’uom cibo confacént, Economic, che conténta, Nutitìf ed innocent Porta sec grand’otre glorie, Che po’ tùte no’s pùl dì Dei so effeg l’è de fan storie Per stampàle a tut podì.
  • 102. La polenta sia conténta Ch’abbia dit ste quater vers E sta uniò saggia discreta compatisce sto me schers.
  • 103. Il secondo, “Polenta e baccalà” recita: […] Se’ l mare’l fosse de tòcio larillarà e i monti de polenta larillarà oi mamma che tociàde oi mamma che tociàde Se’l mare’l fosse de tòcio larillarà e i monti de polenta larillarà oi mamma che tociàde polenta e baccalà E perché non m’ami più?...
  • 104. Un altro canto popolare è “Fé scaldà ché la poca minestra”: Fé scaldà chè la poca minestra, fè scaldà ch’el ris e fasöi, déghen, déghen a la Francesca, e po déghen ai so fiöi. Töte le sére sóm a chèla:
  • 105. A coronamento della nostra rassegna proponiamo una canzone “Fonne, fonne, gò i patatòcc”, dove sono vari i cibi celebrati: Fomne, fomne, gò i patatócc Jè isé b ù quand ch’jè bén còcc. I patatócc. Fomne, fomne, gó i bèi fasöi Che i ghé piòs a i voster fiöi. I bèi fasöi.
  • 106. Fomne, fomne, gó i versulì: Jè isé bù coi salamì. I versulì. Fomne, fomne, gò i radicì: Jè isé bù coi üfisì. I radicì. Fomne, fomne, gò i cornasei: Jè isé bù coi polastrei. I cornasei. Fomne, fomne gó i bigoi d’ai: Jè isé bù, ma no i ghè mai! I bigoi d’ai.
  • 107. FILE 1: Brescia in tavola, Ricette tra presente e tradizione. FILE 2 Storia globale della Bassa alimentare. FILE 3 Baldus, La Massera da Be, “le venti giornate ..” FILE 3a FILE 3b: Agostino Gallo “della Caccia” FILE 4: “ Ode alla Polpetta.” osteria e cibo canti popolari. FILE 5: Osterie e cibo, “i promessi sposi.” FILE 6: Letteratura latina. FILE 3a: Galeazzo dagli orzi, “La Massera da Be”
  • 108. A cura di: Claudia Saini, Clara Cucchi, Giorgia Bruno e Tania Santini.
  • 109. All’interno del romanzo di Alessandro Manzoni “I promessi sposi”, si riscontrano vicende seguite dalla sfera alimentare, importante per la vita quotidiana dei personaggi. Si può dire che il cibo rispecchi la posizione sociale. Gli alimenti citati sono il pane e il vino che rappresentano l’essenza dell’esistenza materiale e religiosa ed alcuni piatti tipici danno l’effetto di realtà. I riferimenti sono presenti nei capitoli III, IV, VI, VII, XIV.
  • 110. Itemi principali: • Introduzione • Scorcio di campagna lombarda • I capponi di Renzo • La polenta • Le polpette
  • 111. Così, seguendo i passi di padre Cristoforo nella vallata che porta alla casa di Lucia ci immedesimiamo nel paesaggio rurale lombardo. “Un venticello d’autunno, staccando da’ rami le foglie appassite del gelso, le portava a cadere, qualche passo distante dall’albero. A destra e a sinistra, nelle vigne, sui tralci ancor tesi, brillavan le foglie rosseggianti a varie tinte; e la terra lavorata di fresco, spiccava bruna e distinta ne’ campi di stoppie biancastre e luccicanti dalla guazza. La scena era lieta”
  • 112. Nella bassa bresciana circola una storiella sul cappone del tutto inventata, ma che vuole giustificare le ragioni culinarie di questo piatto. “Se non abbiamo un cavallo possiamo ben far trottare un asino: potremmo andare ugualmente al passo, sfoggiare comunque un trotto elegante e forse anche azzardare un repentino galoppo – in verità non so se l’asino può galoppare. Ma se non abbiamo il cappone?” E come dimenticare nel contesto alimentare e culturale contadino i famosi “capponi di Renzo”? “<<Bene,>> continuò Agnese:<< quello è una cima d’uomo! Dottor Azzecca-garbugli. Pigliate quei quattro capponi, poveretti! A cui dovevo tirare il collo, per il banchetto di domenica, e portateglieli; perché non bisogna mai andar con le mani vote da que’ signori. Agnese, superba d’averlo dato, levò, a una a una, le povere bestie dalla stia, riunì le loro otto gambe, come se facesse un mazzetto di fiori, le avvolse e le strinse con uno spago, e le consegnò in mano a Renzo; così, attraversando i campi o, come dicon colà, i luoghi, se n’andò per viottole, fremendo, ripensando alla sua disgrazia e ruminando il discorso da fare al dottor Azzecca- garbugli. Lascio poi pensare al lettore come dovessero stare in viaggio quelle povere bestie, così legate e tenute per le zampe, a capo all’in giù, nella mano d’un uomo il quale, agitato da tante passioni, accompagnava col gesto i pensieri che gli passavan a tumulto per la mente. Ora stendeva il braccio per collera, ora l’alzava per disperazione, ora lo dibatteva in aria, come per minaccia, e, in tutti i modi, dava loro di fiere scosse, e faceva balzare, con le quattro teste spenzolate; le quali intanto s’ingegnavano a beccarsi l’un con l’altra, come accade troppo sovente tra compagni di sventura.” (cap. III)
  • 114. Nel sesto capitolo si racconta di un contadino di nome Tonio che ospita nella sua abitazione Renzo. La scena ritrae Tonio nella cucina di casa sua con il ginocchio sullo scalino del focolare, e che tenendo, con una mano, l’orlo di un paiolo, messo sulle ceneri calde, dimenava, col matterello ricurvo, una piccola polenta bigia, di gran saraceno. Manzoni parla di polenta bigia fatta con grano saraceno. Si tratta di un grano povero, originario dell'Asia centrale, che può essere coltivato anche nei paesi meno caldi. Per il popolo bresciano, e quindi per la Bassa, la polenta è una vera istituzione, piatto tipico della tradizione contadina ed alimento base della vita di una volta. La polenta, così come il pane, poteva accompagnarsi ad altro come succede a Renzo, Tonio e Gervasio nell’osteria del paese. “L’oste guardava in viso a lui, come per aspettar gli ordini: egli lo fece venir con sé in una stanza vicina, e ordinò da cena.” (cap.VII)
  • 115. Renzo si reca in un’osteria dove l’oste senza permettergli di parlare ordina per lui e i suoi compagni delle polpette, che a detta dell’oste, sono uniche nel loro genere e che potrebbero far resuscitare un morto. (cap. VII) La polpetta è una pietanza molto spesso a base di carne tritata, spezie, aromi e ingredienti leganti servita a tavola di norma come seconda portata. Esistono comunque anche polpette vegetali di melanzane, di ceci, o di agglomerati vegetali, oppure di pesce: la parola polpetta si riferisce infatti alla preparazione e non agli ingredienti, che possono essere differenti. Una volta preparato l'impasto, si prendono via via tante piccole porzioni le quali vengono schiacciate e lavorate a mano, fino al raggiungimento della caratteristica forma rotondeggiante.
  • 116. IL PRESENTE LAVORO È SVOLTO A PURO TITOLO DIDATTICO E SENZA ALCUN SCOPO DI LUCRO.