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“...I vasi antichi forniscono
preziose informazioni sul
faticoso cammino della
scienza medica, con i loro
cartigli, i decori e le figure
allegoriche di difficile
interpretazione.”
(On. Dott. Giacomo
V
A
S
I
L’arte della maiolica
Dopo l’anno Mille molti centri italiani
conobbero l’arte della maiolica che si
caratterizzò in tutta la Penisola con
manufatti di un colore verde bruno su
fondo bianco maiolicato definiti
ceramiche arcaiche.
Il nome maiolica sembra derivare
dall’isola di Maiorca, il cui porto costituì
un grande centro di smistamento dei
prodotti ceramici spagnoli e nord-africani
(generalmente decorati con lustro
metallico) destinati all’Europa medievale.
Dal Cinquecento in poi comparvero in
Italia le maioliche istoriate e irruppe il
raffaellismo.
La committenza desiderava miniaturiz-
zate sulle ceramiche i grandi cicli di
affreschi, specialmente romani.
A metà del Cinquecento, dopo la grande
stagione policroma, il gusto cambiò. Le
ceramiche divennero bianche e il bianco divenne
faiance.
Per dare lustro si usa un’iridescenza, pellicola
sottilissima di piccole particelle metalliche
ottenuta applicando sull’oggetto finito un
preparato di sali che possono essere d’argento o
di rame, a seconda che si voglia ottenere un
riflesso argentato o rosso. L’oggetto così trattato
viene posto a cuocere.
Questa terza cottura avviene a temperatura più
bassa delle precedenti in un’atmosfera riducente
ottenuta mettendo dentro il forno chiuso sostanze
fumogene che sottraggono ossigeno, tipo unghie
di cavallo o stracci unti. Terminata la cottura, la
superficie degli oggetti viene strofinata con
panni.
Questa è un’antica tecnica d’origine araba già
conosciuta in Persia e in Mesopotamia prima
dell’anno Mille, come testimoniato da
ritrovamenti di anfore.
Attraverso l’Islam questo metodo arrivò e fu
diffuso nell’Africa Settentrionale e da qui,
poi, giunse ai Mori di Spagna.
Le fornaci di Deruta e di Gubbio si
impossessarono della formula araba e si
specializzarono, agli inizi del Cinquecento,
in questa tecnica del lustro metallico (o “del
lustro”) che caratterizzò la produzione
italiana, al punto tale che in Italia per
maioliche si intendevano proprio queste
ceramiche a lustro che venivano
commercializzate attraverso l’isola di
Maiorca.
Solamente dopo il nome maiolica venne a
indicare, in senso estensivo, il prodotto
maiolicato.
La ceramica è tutto ciò che è fatto d’argilla
manipolato dall’uomo e consolidato a caldo
con l’azione della fornace, questo concetto è
universale e accomuna i popoli di tutte le
civiltà.
A seconda dell’argilla utilizzata e del grado di cottura,
vi sono diversi tipi di ceramica:
* Terraglie: ceramiche a impasto bianco poroso;
* Gres: ceramica con impasto colorato compatto;
* Terrecotte: laterizi, vasi da giardino;
* Terrecotte rivestite: rivestimento terroso bianco;
* Terrecotte con invetriatura: con rivestimento di
invetriatura per rendere l’oggetto impermeabile.
L’invetriatura può essere dipinta o incisa;
* Terrecotte ingobbiate: con un rivestimento bianco
terroso, detto appunto ingobbio o ingubbio, su cui
viene messa un’invetriatura per rendere l’oggetto
impermeabile. L’invetriatura può essere dipinta o
incisa;
* Porcellane: argille bianche, ceramiche a impasto
bianco compatto, cotte ad alta temperatura; con o senza
invetriatura come, ad esempio, il bisquit francese;
* Maioliche: terracotte smaltate con rivestimento
bianco coprente vetroso impermeabile e lucido, detto
smalto maiolico, costituito da ossidi di piombo e di
stagno miscelati insieme.
La miscela di questi ossidi viene calcinata fino a
ottenere una massa bianca che, triturata fine, viene
messa in una vasca di sospensione.
Maiolica napoletana
La vitalità delle botteghe maiolicare
napoletane nel rinascimento è testimoniata
non soltanto da cospicui esempi
pavimentali, ma anche da corredi di
farmacia, come è stato dimostrato da
approfondite ricerche effettuate da Guido
Donatone, illustre studioso della ceramica
meridionale; prezioso vasellame, recante lo
stemma di Alfonso d’Aragona duca di
Calabria, era nella spezieria del re in
Castelnuovo (Maschio Angioino), reggia e
fortezza aragonese, e in altre spezierie delle
reggie aragonesi.
Dalla spezieria monumentale di
Castelnuovo ha avuto origine il gusto
fastoso delle spezierie napoletane dei secoli
successivi. Oltre che a Napoli (Museo di
Capodimonte), albarelli di detta spezieria si
trovano in vari Musei (Parigi: Louvre;
Londra: British Museum e Victoria & Albert
Museum); Lione: Musée des Arts
Décoratifs) ed in collezioni private.
La produzione di vasellame farmaceutico nel XVI secolo è stata ragguardevole, con caratteri
ornamentali e cromatici di particolare bellezza.
Tra i vasai partenopei attivi nel ‘500 a Napoli e di cui si è trovata documentazione sono da
ricordare Mastro Cesare “cretaro”, artefice del
corredo farmaceutico della spezieria di San Dome-
nico Maggiore, e Luca Iodice. Nel XVI secolo, inoltre,
si registrarono presenze di maioli-
cari napoletani in alcune regio-
ni centro settentrionali della pe
penisola: Leonardo Grilli, a
Ravenna; Giovanni Maria
da Capua, prima ad An-
versa e poi a Milano;
Gian Pietro Leyna, a
Milano.
Per tutto l’arco del XVII e
XVIII secolo Napoli ha for-
nito nuove forme espressive
all’arte ceramica attraverso le
splendide realizzazioni dell’età
barocca. Nei primi decenni del
Seicento la tradizione rinascimentale
persiste a Napoli nella produzione di vasel
lame di farmacia.
Sullo scorcio del XVII secolo si diffonde l’impiego della
decorazione en camaieu bleu per interi corredi di vasi da
spezieria recanti figurazioni devozionali, rappresentazioni
paesistiche, scene mitologiche; ma la decorazione “en
camaieu bleu” fu impiegata per programmi più contenuti,
quali gli ambienti di piccole spezierie conventuali o
private, mentre nei cospicui corredi in maiolica delle
grandi farmacie monumentali era affidato al ceramista un
ruolo di maggiore libertà inventiva. Nei vasti ambienti
delle spezierie del Santuario della Madonna dell’Arco, del
Convento di S. Domenico Maggiore, della Certosa di San
Martino, del Monastero dei Santi Severino e Sossio, come
in quella settecentesca degli Incurabili, spesso impreziosite
da eleganti affreschi e da soffitti dipinti, si imponeva una
decorazione a smalti policromi.
Nel Seicento i vasai napoletani produssero corredi ceramici
farmaceutici di gusto compendiario, faentino e più ancora
urbinate (tra l’altro, grandi idrie), con sommarie
figurazioni, desunte dal tradizionale repertorio manieristico
e, poi, da quello barocco, e circondate da un calligrafico
ornato policromo; esse sono inoltre caratterizzate da
elaborate anse a tralci floreali.
In piena età di viceregno si verifica un fenomeno
culturale particolarmente fecondo per l’arte della
maiolica: quello della osmosi tra Napoli e Castelli,
famoso centro abruzzese; tra i migliori artefici
castellani che si trasferirono a Napoli, la figura di
maggiore rilievo è Carlo Antonio Grue, uno dei
protagonisti della maiolica italiana del Seicento.
Negli ultimi decenni del secolo, l’influenza della
ceramica ligure sulle fabbriche napoletane riveste
la stessa importanza di quella delle manifatture
abruzzesi: alcuni ricchi farmacisti napoletani
ordinarono, infatti, l’intero corredo ceramico delle
loro spezierie a fabbriche liguri.
Spesso le manifatture napoletane aderiscono al
gusto della decorazione turchina producendo
vasellame farmaceutico “alla maniera di Genova”.
In questo tipo di lavori emerge una personalità di
primo piano: Paolo Francesco Brandi.
La maiolica napoletana nel settecento ha avuto una
straordinaria fioritura, con il fenomeno
dell’incessante immigrazione dei ceramisti abruzzesi
di Castelli, intensificato alla fine del Seicento e, poi,
proseguito per tutto l’arco del Settecento.
La Farmacia degli Incurabili costituisce uno
stupendo esempio del decorativismo settecentesco
napoletano: nel laboratorio dello speziale
(controspezieria) che precede la farmacia è
conservata una prima serie di idrie ed albarelli (240
vasi circa, di varie misure) decorati con paesaggi e
figure in chiaro scuro turchino (camaieu bleu);
alcuni vasi recanolo stemma della Santa Casa degli
Incurabili; nello stiglio
del salone è conservato un raro ed intatto corredo di
oltre 400 vasi policromi di maiolica istoriati di cui i
più grandi recano dipinte scene bibliche mentre nei
più piccoli sono rappresentate allegorie delle virtù,
delle stagioni e del lavoro; i vasi sono di tre
dimensioni: di altezza 35 cm, 26 cm e 24 cm, alcuni
sono sormontati da coperchi a cupola con pomo,
altri da coperchi schiacciati e sono decorati solo
nella parte anteriore; non portano iscrizione del
nome del medicamento.
Alcuni vasi sono segnati per esteso dal
ceramista Lorenzo Salandra, attivo tra il
1727 ed il 1748; su di uno il Salandra ha
anche scritto che Donato Massa (morto
nel 1747) è stato il “Maestro di questi
vasi”. Le storie dipinte sui vasi sono
quelle dell’Antico Testamento; la loro
fonte iconografica è identificabile nelle
incisioni a stampa tratte dagli affreschi
di Raffaello nelle Logge Vaticane.
La tavolozza dei maiolicari napoletani
aveva timbri pastosi ed i toni caldi, il
repertorio si avvaleva di accostamenti
del giallo arancio (ottenuto con
l’aggiunta all’ossido di antimonio
dell’ossido di ferro) con il translucido
verde ramina, oltre che di misurati
impieghi del blu e del paonazzo vinoso
di manganese.
Maiolica cerretese
Molti vasi napoletani emigrarono a Cerreto; è
pertanto difficile distinguere le produzioni di
ceramica fine delle fabbriche di Cerreto da
quelle napoletane, mentre risulta più facile
identificare come cerretesi quelle maioliche
che presentano una più marcata impronta
rustica e popolaresca.
Ad un ceramista napoletano della famiglia
Giustiniani, forse Domenico, va attribuita
l’introduzione nel repertorio delle fabbriche
cerretesi della decorazione paesistica a
chiaroscuro turchino (camaieu bleu),
peculiare delle fabbriche sei-settecentesche
napoletane.
Questa decorazione in chiaroscuro turchino
uniforma la considerevole produzione di vasi
farmaceutici delle fornaci di Cerreto dopo il
1721; esempi di tali corredi farmaceutici sono
gli albarelli attualmente conservati al Museo
del Sannio, a Benevento.
A partire dalla seconda metà del ‘700 la produzione cerretese di artistici vasi
da
spezieria si indirizza verso le più eleganti e sinuose forme rococò: i manufatti
perdono
la svelta e semplice linea cilindrica degli albarelli per assumere la forma
comunemente
detta “a pera capovolta”; la tavolozza diventa ricercata; raffinati accostamenti
cromatici vengono impiegati nelle rappresentazioni “alla cinese” e nei motivi
“a rocaille” che le racchiudono. Il repertorio è naturalmente mediato dalle
vicine
officine napoletane
Celebre fu la manifattura di Nicola Giustiniani, capostipite di una dinastia di
ceramisti, che approntava vasellame raffinato destinato alle spezierie dei
monasteri
(come, ad esempio, l’Abbazia benedettina di Loreto di Monte Vergine in
provincia
di Avellino. Intorno al 1754 Nicola Giustiniani trasferì la sua bottega a
Napoli, ove
rimase aperta per oltre un secolo.
Tra i ceramisti cerretesi si devono ricordare, inoltre, Giovanni Festa e
Tommaso
Marchitto.
Dopo i primi decenni del secolo diciannovesimo le fornaci cerretesi decaddero
ed il processo è comune a tutti gli altri centri meridionali minori: quelli abruzzesi,
campani e salentini.
L’attività dei figuli venne continuata solo nelle sue più umili forme e per il fabbisogno
del semplice vasellame in terracotta verniciata.
L’origine della scuola della ceramica di Castelli, Comune in
provincia di Teramo in Abruzzo alle falde del Gran Sasso, una
delle più famose manifatture di maioliche d’arte del centro
Italia, risale ai monaci benedettini di San Salvatore, che
intorno all’anno mille si insediarono in quelle contrade sotto la
tutela dei Conti di Pagliara.
Da quel momento e fino al Quattrocento
inoltrato la produzione ceramica contempla
una ricca realizzazione di ingobbiate, dipinte,
graffite e invetriate.
La produzione di maioliche vere e proprie non
comincia prima degli inizi del Cinquecento,
con l’impiego dello smalto stannito introdotto
dai contatti con la cultura ispano-moresca e
quando giunsero i primi artisti noti, Polidoro e
Remo da Lanciano. In quegli anni prese
corpo la produzione delle ceramiche della
tipologia del Corredo Farnese e quella detta
Orsini-Colonna.
Ceramica di Castelli
Nel Seicento e nel Settecento le “dinastie” dei Grue, dei Cappelletti e dei Gentile
fecero raggiungere alla lavorazione i massimi livelli con maioliche ricche di riferimenti
iconografici agli ordini monastici, a vedute lacustri e montane o scene bucoliche ed alle
casate nobiliari - napoletane in particolare - tra i più importanti committenti della
scuola castellana.
In particolare, Francescantonio Grue oltre ad essere uno dei più famosi maiolicari di
Castelli, attivo intorno alla prima metà del XVII, fu per lungo tempo anche attivo
presso la Real fabbrica di Capodimonte a Napoli mentre Gesualdo Fuina fu uno dei
principali innovatori dei modi espressivi della maiolica di Castelli.
Verso la fine del Settecento la maiolica va incontro a una profonda crisi, principalmente
dovuta all’avvento della porcellana. Tuttavia, la tradizione di Castelli perdura
ancora: sono molti i laboratori che ancora oggi producono ceramica e la esportano
in tutto il mondo.
Ceramica di Deruta
Le prime espressioni della ceramica di Deruta sono
documentate dai manufatti in maiolica arcaica databili
alla seconda metà del ‘300: si tratta di oggetti di
uso comune come catini, scodelle, boccali e
piatti, decorati con motivi geometrici e floreali
in verde e bruno. La fase più famosa e celebrata
della maiolica derutese è quella del Rinascimento.
Agli inizi del ‘500 si collocano
le tipologie della “petal-back family”,
con semplici decorazioni a forma di petali
sul retro di piatti e coppe. Nello stesso periodo
si afferma la produzione di maiolica a
lustro dalle caratteristiche iridescenze metalliche
e dorate, che renderà nota Deruta in tutto
il mondo.
La coeva produzione policroma è caratterizzata
dagli ornati a “corona di spine”,
a “girali floreali”, alla “porcellana”; i soggetti
preferiti sono il ritratto di “belle donne”,
scene allegoriche, mitologiche e sacre,
spesso ispirate alla scuola pittorica
umbra del tempo.
Verso la metà del ‘500 il pittore G. Mancini,
detto il Frate, porterà a Deruta la tipologia della
pittura istoriata, cioè la riproduzione su piatti e
vasi di scene di ispirazione mitologica o sacra.
Dalla seconda metà del ‘500 fino a tutto il
‘600, si caratterizza lo stile compendiario: essenziale e riassuntivo (da cui il nome)
sia nei soggetti rappresentati che nel tratto.
Fra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento si distinguono le
opere pittoriche su maiolica di significativi artisti come A. Micheletti, A. Magnini,
U. Grazia, D. Zipirovic: la loro opera contribuì a rinnovare, con gusto storicista, la
grande stagione rinascimentale della maiolica di Deruta ricca non solo di copie ingegnose
del passato ma anche di un lavoro di recupero dei motivi decorativi classici:
tra cui il preferito era il ritratto.
Altre produzioni
• I prodotti di Faenza alla fine del
Quattrocento erano tra i più ammirati d’Italia;
famosi, poi, erano i cosiddetti “bianchi” di
Faenza tardo-rinascimentali e barocchi
(seconda metà sec. XVI - fine sec. - XVII).
• Le maioliche a ‘lustro metallico’ di Valenza
fra il XV e XVII secolo, particolare tipo di
ceramica moresca imitante i riflessi dell’oro,
ottenuti per mezzo di una teza cottura, secondo
una formula nelle terre dell’Islam.
• Vasellame delle manifatture rinascimentali di
Pesaro e Perugia.
• Prodotti della famosa bottega del castello di
Cafaggiolo e della vicina Galliano.
• Esemplari di Montelupo documentano
l’attività di questa manifattura toscana che, nel
secolo XVI ha esportato una enorme quantità
di vasellame da spezieria, coprendo il
fabbisogno di Firenze e lasciando tracce della
propria operosità in aree lontane nel
Mediterraneo.
• I prodotti di Venezia si distinguono per
la vivacità dei colori e degli ornati, oltre
che dalla qualità degli smalti.
• Le maioliche rinascimentali
marchigiane: in particolare, esemplari di
Urbino
e vasellame di Casteldurante.
• Prodotti tardo-rinascimentali e barocchi
(seconda metà sec. XVI - fine sec. -
XVII) di stile ‘compendiario’ destinati a
rivoluzionare la storia della ceramica.
• La rarissima produzione fiorentina di
porcellana medicea.
• Le manifatture italiane attive fra il
XVII e il XIX secolo di Milano e
Palermo,
Pavia e Laterza.

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  • 1. “...I vasi antichi forniscono preziose informazioni sul faticoso cammino della scienza medica, con i loro cartigli, i decori e le figure allegoriche di difficile interpretazione.” (On. Dott. Giacomo V A S I
  • 2. L’arte della maiolica Dopo l’anno Mille molti centri italiani conobbero l’arte della maiolica che si caratterizzò in tutta la Penisola con manufatti di un colore verde bruno su fondo bianco maiolicato definiti ceramiche arcaiche. Il nome maiolica sembra derivare dall’isola di Maiorca, il cui porto costituì un grande centro di smistamento dei prodotti ceramici spagnoli e nord-africani (generalmente decorati con lustro metallico) destinati all’Europa medievale. Dal Cinquecento in poi comparvero in Italia le maioliche istoriate e irruppe il raffaellismo. La committenza desiderava miniaturiz- zate sulle ceramiche i grandi cicli di affreschi, specialmente romani.
  • 3. A metà del Cinquecento, dopo la grande stagione policroma, il gusto cambiò. Le ceramiche divennero bianche e il bianco divenne faiance. Per dare lustro si usa un’iridescenza, pellicola sottilissima di piccole particelle metalliche ottenuta applicando sull’oggetto finito un preparato di sali che possono essere d’argento o di rame, a seconda che si voglia ottenere un riflesso argentato o rosso. L’oggetto così trattato viene posto a cuocere. Questa terza cottura avviene a temperatura più bassa delle precedenti in un’atmosfera riducente ottenuta mettendo dentro il forno chiuso sostanze fumogene che sottraggono ossigeno, tipo unghie di cavallo o stracci unti. Terminata la cottura, la superficie degli oggetti viene strofinata con panni. Questa è un’antica tecnica d’origine araba già conosciuta in Persia e in Mesopotamia prima dell’anno Mille, come testimoniato da ritrovamenti di anfore.
  • 4. Attraverso l’Islam questo metodo arrivò e fu diffuso nell’Africa Settentrionale e da qui, poi, giunse ai Mori di Spagna. Le fornaci di Deruta e di Gubbio si impossessarono della formula araba e si specializzarono, agli inizi del Cinquecento, in questa tecnica del lustro metallico (o “del lustro”) che caratterizzò la produzione italiana, al punto tale che in Italia per maioliche si intendevano proprio queste ceramiche a lustro che venivano commercializzate attraverso l’isola di Maiorca. Solamente dopo il nome maiolica venne a indicare, in senso estensivo, il prodotto maiolicato. La ceramica è tutto ciò che è fatto d’argilla manipolato dall’uomo e consolidato a caldo con l’azione della fornace, questo concetto è universale e accomuna i popoli di tutte le civiltà.
  • 5. A seconda dell’argilla utilizzata e del grado di cottura, vi sono diversi tipi di ceramica: * Terraglie: ceramiche a impasto bianco poroso; * Gres: ceramica con impasto colorato compatto; * Terrecotte: laterizi, vasi da giardino; * Terrecotte rivestite: rivestimento terroso bianco; * Terrecotte con invetriatura: con rivestimento di invetriatura per rendere l’oggetto impermeabile. L’invetriatura può essere dipinta o incisa; * Terrecotte ingobbiate: con un rivestimento bianco terroso, detto appunto ingobbio o ingubbio, su cui viene messa un’invetriatura per rendere l’oggetto impermeabile. L’invetriatura può essere dipinta o incisa; * Porcellane: argille bianche, ceramiche a impasto bianco compatto, cotte ad alta temperatura; con o senza invetriatura come, ad esempio, il bisquit francese; * Maioliche: terracotte smaltate con rivestimento bianco coprente vetroso impermeabile e lucido, detto smalto maiolico, costituito da ossidi di piombo e di stagno miscelati insieme. La miscela di questi ossidi viene calcinata fino a ottenere una massa bianca che, triturata fine, viene messa in una vasca di sospensione.
  • 6. Maiolica napoletana La vitalità delle botteghe maiolicare napoletane nel rinascimento è testimoniata non soltanto da cospicui esempi pavimentali, ma anche da corredi di farmacia, come è stato dimostrato da approfondite ricerche effettuate da Guido Donatone, illustre studioso della ceramica meridionale; prezioso vasellame, recante lo stemma di Alfonso d’Aragona duca di Calabria, era nella spezieria del re in Castelnuovo (Maschio Angioino), reggia e fortezza aragonese, e in altre spezierie delle reggie aragonesi. Dalla spezieria monumentale di Castelnuovo ha avuto origine il gusto fastoso delle spezierie napoletane dei secoli successivi. Oltre che a Napoli (Museo di Capodimonte), albarelli di detta spezieria si trovano in vari Musei (Parigi: Louvre; Londra: British Museum e Victoria & Albert Museum); Lione: Musée des Arts Décoratifs) ed in collezioni private.
  • 7. La produzione di vasellame farmaceutico nel XVI secolo è stata ragguardevole, con caratteri ornamentali e cromatici di particolare bellezza. Tra i vasai partenopei attivi nel ‘500 a Napoli e di cui si è trovata documentazione sono da ricordare Mastro Cesare “cretaro”, artefice del corredo farmaceutico della spezieria di San Dome- nico Maggiore, e Luca Iodice. Nel XVI secolo, inoltre, si registrarono presenze di maioli- cari napoletani in alcune regio- ni centro settentrionali della pe penisola: Leonardo Grilli, a Ravenna; Giovanni Maria da Capua, prima ad An- versa e poi a Milano; Gian Pietro Leyna, a Milano. Per tutto l’arco del XVII e XVIII secolo Napoli ha for- nito nuove forme espressive all’arte ceramica attraverso le splendide realizzazioni dell’età barocca. Nei primi decenni del Seicento la tradizione rinascimentale persiste a Napoli nella produzione di vasel lame di farmacia.
  • 8. Sullo scorcio del XVII secolo si diffonde l’impiego della decorazione en camaieu bleu per interi corredi di vasi da spezieria recanti figurazioni devozionali, rappresentazioni paesistiche, scene mitologiche; ma la decorazione “en camaieu bleu” fu impiegata per programmi più contenuti, quali gli ambienti di piccole spezierie conventuali o private, mentre nei cospicui corredi in maiolica delle grandi farmacie monumentali era affidato al ceramista un ruolo di maggiore libertà inventiva. Nei vasti ambienti delle spezierie del Santuario della Madonna dell’Arco, del Convento di S. Domenico Maggiore, della Certosa di San Martino, del Monastero dei Santi Severino e Sossio, come in quella settecentesca degli Incurabili, spesso impreziosite da eleganti affreschi e da soffitti dipinti, si imponeva una decorazione a smalti policromi. Nel Seicento i vasai napoletani produssero corredi ceramici farmaceutici di gusto compendiario, faentino e più ancora urbinate (tra l’altro, grandi idrie), con sommarie figurazioni, desunte dal tradizionale repertorio manieristico e, poi, da quello barocco, e circondate da un calligrafico ornato policromo; esse sono inoltre caratterizzate da elaborate anse a tralci floreali.
  • 9. In piena età di viceregno si verifica un fenomeno culturale particolarmente fecondo per l’arte della maiolica: quello della osmosi tra Napoli e Castelli, famoso centro abruzzese; tra i migliori artefici castellani che si trasferirono a Napoli, la figura di maggiore rilievo è Carlo Antonio Grue, uno dei protagonisti della maiolica italiana del Seicento. Negli ultimi decenni del secolo, l’influenza della ceramica ligure sulle fabbriche napoletane riveste la stessa importanza di quella delle manifatture abruzzesi: alcuni ricchi farmacisti napoletani ordinarono, infatti, l’intero corredo ceramico delle loro spezierie a fabbriche liguri. Spesso le manifatture napoletane aderiscono al gusto della decorazione turchina producendo vasellame farmaceutico “alla maniera di Genova”. In questo tipo di lavori emerge una personalità di primo piano: Paolo Francesco Brandi.
  • 10. La maiolica napoletana nel settecento ha avuto una straordinaria fioritura, con il fenomeno dell’incessante immigrazione dei ceramisti abruzzesi di Castelli, intensificato alla fine del Seicento e, poi, proseguito per tutto l’arco del Settecento. La Farmacia degli Incurabili costituisce uno stupendo esempio del decorativismo settecentesco napoletano: nel laboratorio dello speziale (controspezieria) che precede la farmacia è conservata una prima serie di idrie ed albarelli (240 vasi circa, di varie misure) decorati con paesaggi e figure in chiaro scuro turchino (camaieu bleu); alcuni vasi recanolo stemma della Santa Casa degli Incurabili; nello stiglio del salone è conservato un raro ed intatto corredo di oltre 400 vasi policromi di maiolica istoriati di cui i più grandi recano dipinte scene bibliche mentre nei più piccoli sono rappresentate allegorie delle virtù, delle stagioni e del lavoro; i vasi sono di tre dimensioni: di altezza 35 cm, 26 cm e 24 cm, alcuni sono sormontati da coperchi a cupola con pomo, altri da coperchi schiacciati e sono decorati solo nella parte anteriore; non portano iscrizione del nome del medicamento.
  • 11. Alcuni vasi sono segnati per esteso dal ceramista Lorenzo Salandra, attivo tra il 1727 ed il 1748; su di uno il Salandra ha anche scritto che Donato Massa (morto nel 1747) è stato il “Maestro di questi vasi”. Le storie dipinte sui vasi sono quelle dell’Antico Testamento; la loro fonte iconografica è identificabile nelle incisioni a stampa tratte dagli affreschi di Raffaello nelle Logge Vaticane. La tavolozza dei maiolicari napoletani aveva timbri pastosi ed i toni caldi, il repertorio si avvaleva di accostamenti del giallo arancio (ottenuto con l’aggiunta all’ossido di antimonio dell’ossido di ferro) con il translucido verde ramina, oltre che di misurati impieghi del blu e del paonazzo vinoso di manganese.
  • 12. Maiolica cerretese Molti vasi napoletani emigrarono a Cerreto; è pertanto difficile distinguere le produzioni di ceramica fine delle fabbriche di Cerreto da quelle napoletane, mentre risulta più facile identificare come cerretesi quelle maioliche che presentano una più marcata impronta rustica e popolaresca. Ad un ceramista napoletano della famiglia Giustiniani, forse Domenico, va attribuita l’introduzione nel repertorio delle fabbriche cerretesi della decorazione paesistica a chiaroscuro turchino (camaieu bleu), peculiare delle fabbriche sei-settecentesche napoletane. Questa decorazione in chiaroscuro turchino uniforma la considerevole produzione di vasi farmaceutici delle fornaci di Cerreto dopo il 1721; esempi di tali corredi farmaceutici sono gli albarelli attualmente conservati al Museo del Sannio, a Benevento.
  • 13. A partire dalla seconda metà del ‘700 la produzione cerretese di artistici vasi da spezieria si indirizza verso le più eleganti e sinuose forme rococò: i manufatti perdono la svelta e semplice linea cilindrica degli albarelli per assumere la forma comunemente detta “a pera capovolta”; la tavolozza diventa ricercata; raffinati accostamenti cromatici vengono impiegati nelle rappresentazioni “alla cinese” e nei motivi “a rocaille” che le racchiudono. Il repertorio è naturalmente mediato dalle vicine officine napoletane Celebre fu la manifattura di Nicola Giustiniani, capostipite di una dinastia di ceramisti, che approntava vasellame raffinato destinato alle spezierie dei monasteri (come, ad esempio, l’Abbazia benedettina di Loreto di Monte Vergine in provincia di Avellino. Intorno al 1754 Nicola Giustiniani trasferì la sua bottega a Napoli, ove rimase aperta per oltre un secolo. Tra i ceramisti cerretesi si devono ricordare, inoltre, Giovanni Festa e Tommaso Marchitto.
  • 14. Dopo i primi decenni del secolo diciannovesimo le fornaci cerretesi decaddero ed il processo è comune a tutti gli altri centri meridionali minori: quelli abruzzesi, campani e salentini. L’attività dei figuli venne continuata solo nelle sue più umili forme e per il fabbisogno del semplice vasellame in terracotta verniciata.
  • 15. L’origine della scuola della ceramica di Castelli, Comune in provincia di Teramo in Abruzzo alle falde del Gran Sasso, una delle più famose manifatture di maioliche d’arte del centro Italia, risale ai monaci benedettini di San Salvatore, che intorno all’anno mille si insediarono in quelle contrade sotto la tutela dei Conti di Pagliara. Da quel momento e fino al Quattrocento inoltrato la produzione ceramica contempla una ricca realizzazione di ingobbiate, dipinte, graffite e invetriate. La produzione di maioliche vere e proprie non comincia prima degli inizi del Cinquecento, con l’impiego dello smalto stannito introdotto dai contatti con la cultura ispano-moresca e quando giunsero i primi artisti noti, Polidoro e Remo da Lanciano. In quegli anni prese corpo la produzione delle ceramiche della tipologia del Corredo Farnese e quella detta Orsini-Colonna. Ceramica di Castelli
  • 16. Nel Seicento e nel Settecento le “dinastie” dei Grue, dei Cappelletti e dei Gentile fecero raggiungere alla lavorazione i massimi livelli con maioliche ricche di riferimenti iconografici agli ordini monastici, a vedute lacustri e montane o scene bucoliche ed alle casate nobiliari - napoletane in particolare - tra i più importanti committenti della scuola castellana. In particolare, Francescantonio Grue oltre ad essere uno dei più famosi maiolicari di Castelli, attivo intorno alla prima metà del XVII, fu per lungo tempo anche attivo presso la Real fabbrica di Capodimonte a Napoli mentre Gesualdo Fuina fu uno dei principali innovatori dei modi espressivi della maiolica di Castelli. Verso la fine del Settecento la maiolica va incontro a una profonda crisi, principalmente dovuta all’avvento della porcellana. Tuttavia, la tradizione di Castelli perdura ancora: sono molti i laboratori che ancora oggi producono ceramica e la esportano in tutto il mondo.
  • 17. Ceramica di Deruta Le prime espressioni della ceramica di Deruta sono documentate dai manufatti in maiolica arcaica databili alla seconda metà del ‘300: si tratta di oggetti di uso comune come catini, scodelle, boccali e piatti, decorati con motivi geometrici e floreali in verde e bruno. La fase più famosa e celebrata della maiolica derutese è quella del Rinascimento. Agli inizi del ‘500 si collocano le tipologie della “petal-back family”, con semplici decorazioni a forma di petali sul retro di piatti e coppe. Nello stesso periodo si afferma la produzione di maiolica a lustro dalle caratteristiche iridescenze metalliche e dorate, che renderà nota Deruta in tutto il mondo.
  • 18. La coeva produzione policroma è caratterizzata dagli ornati a “corona di spine”, a “girali floreali”, alla “porcellana”; i soggetti preferiti sono il ritratto di “belle donne”, scene allegoriche, mitologiche e sacre, spesso ispirate alla scuola pittorica umbra del tempo. Verso la metà del ‘500 il pittore G. Mancini, detto il Frate, porterà a Deruta la tipologia della pittura istoriata, cioè la riproduzione su piatti e vasi di scene di ispirazione mitologica o sacra. Dalla seconda metà del ‘500 fino a tutto il ‘600, si caratterizza lo stile compendiario: essenziale e riassuntivo (da cui il nome) sia nei soggetti rappresentati che nel tratto. Fra la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento si distinguono le opere pittoriche su maiolica di significativi artisti come A. Micheletti, A. Magnini, U. Grazia, D. Zipirovic: la loro opera contribuì a rinnovare, con gusto storicista, la grande stagione rinascimentale della maiolica di Deruta ricca non solo di copie ingegnose del passato ma anche di un lavoro di recupero dei motivi decorativi classici: tra cui il preferito era il ritratto.
  • 19. Altre produzioni • I prodotti di Faenza alla fine del Quattrocento erano tra i più ammirati d’Italia; famosi, poi, erano i cosiddetti “bianchi” di Faenza tardo-rinascimentali e barocchi (seconda metà sec. XVI - fine sec. - XVII). • Le maioliche a ‘lustro metallico’ di Valenza fra il XV e XVII secolo, particolare tipo di ceramica moresca imitante i riflessi dell’oro, ottenuti per mezzo di una teza cottura, secondo una formula nelle terre dell’Islam. • Vasellame delle manifatture rinascimentali di Pesaro e Perugia. • Prodotti della famosa bottega del castello di Cafaggiolo e della vicina Galliano. • Esemplari di Montelupo documentano l’attività di questa manifattura toscana che, nel secolo XVI ha esportato una enorme quantità di vasellame da spezieria, coprendo il fabbisogno di Firenze e lasciando tracce della propria operosità in aree lontane nel Mediterraneo.
  • 20. • I prodotti di Venezia si distinguono per la vivacità dei colori e degli ornati, oltre che dalla qualità degli smalti. • Le maioliche rinascimentali marchigiane: in particolare, esemplari di Urbino e vasellame di Casteldurante. • Prodotti tardo-rinascimentali e barocchi (seconda metà sec. XVI - fine sec. - XVII) di stile ‘compendiario’ destinati a rivoluzionare la storia della ceramica. • La rarissima produzione fiorentina di porcellana medicea. • Le manifatture italiane attive fra il XVII e il XIX secolo di Milano e Palermo, Pavia e Laterza.