SlideShare ist ein Scribd-Unternehmen logo
1 von 29
Downloaden Sie, um offline zu lesen
ernesto hofmann2011
premessa

         Per comprendere la natura dell’attuale crisi economica riteniamo che occorra
inquadrarla in una cornice di riferimento che sia la più ampia possibile.
         Ciò è necessario perchè pensiamo che questa crisi dipenda dal concorso e
dall’interazione delle quattro fondamentali componenti dell’odierna società umana
che sono la religione, la tecnologia, la politica e l’economia. Per ciascuna di esse
cercheremo di individuarne l’etimologia al fine di averne ben chiara la natura.
         Si vedrà anche come ognuna di esse presenti un’intima contraddizione che
indica la simultanea presenza di due realtà conflittuali. La profondità dell’attuale
crisi discende secondo noi anche dall’intersezione di queste quattro contraddizioni.
         La premessa che segueè quanto mai semplificata e il suo scopo è
esclusivamente quello di essere, oltre che uno stimolo alla riflessione personale,
un’introduzione alla successiva più approfondita analisi.

-       la religione

        Tra le innumerevoli etimologie della parola religione ci sembra che la più
significativa (soprattutto in termini linguistici) sia quella che Cicerone dette ne La
natura divina (Libro II, 72) : “…coloro che trascorrevano le intere giornate a pregare e a
far sacrifici perché i loro figli sopravvivessero, perché fossero cioè dei « superstiti », furono
detti « superstiziosi »,... coloro invece che riconsideravano e, per così dire, « rileggevano »
tutte le pratiche del culto furono detti religiosi dal verbo rélegere così come elegantes deriva
da eligere, diligentes da diligere e intellegentes da intellegere…”.
        Di cosa si occupa la religione? Dell’individuo e del ruolo di quest’ultimo nel
mondo nel quale vive. La religione intende trascendere le contingenze della vita per
dare all’uomo una dimensione meno soggetta alla casualità della vita stessa. La
religione, e il senso del sacro, sono probabilmente connaturati nella stessa natura
umana, indipendentemente dal fatto che si creda o meno, nel senso banale o riduttivo
che può avere quest’ultima frase. La finalità della religione è il governo delle anime.
        La società Occidentale con l’avvento del Cristianesimo ha sviluppato un
senso di unicità della persona umana che conferisce a quest’ultima un valore
originale e inalienabile: la libertà individuale.
        Ma nel mondo c’è il male e ovunque si guardi si riconosce la sofferenza
umana. L’unicità del dio cristiano è proprio nell’essersi fatto persona e quindi aver
accettato anche per sè la sofferenza e la morte.
        Nella religione Cristiana c’è tuttavia una sottile contraddizione: se l’uomo è
libero è libero anche di peccare. E l’uomo tende a peccare. Ma perchè ?
        Il mondo protestante, nato dopo lo scisma di Lutero e Calvino, ha risposto che
la causa della fragilità umana è soprattutto la miseria. Bisogna lottare contro la
miseria e creare una forte economia per migliorare la vita e peccare di meno.
        Poco alla volta l’economia e la religione hanno cominciato così a convergere
verso un comune sentire e non ci può quindi stupire che siano apparsi economisti
quali Adam Smith, John Mill, Karl Marx e Robert Owen, che in un certo senso
sembravano anch’essi dei profeti.

-       la tecnologia
      Tecnologia è una parola nata dalla fusione di due termini: technè e loghia.
Technè è una parola sfuggente, usata già da Eschilo nel Prometeo incatenato (254 e
segg.) :” E oltre a questo ho dato loro il fuoco,.., dal quale essi hanno imparato molte
tecniche… (pollas technas)”.
         Tecnica vuol dire genericamente un insieme di regole da applicare
nell’esercizio di un’attività intellettiva o manuale. Ma, come esiste una “loghia”
dell’anima (la psicologia), o una “loghia” della società (la sociologia) serve una
“loghia” della technè: una tecnologia.
         La tecnologia, poi, non è sempre la figlia della scienza, come talora si è
sostenuto, ma anzi storicamente l’ha spesso preceduta. L’uomo ha imparato a fare
ancor prima di comprendere e ha così costruito la macchina a vapore prima ancora
di comprendere i principi della termodinamica, dando così inizio alla Rivoluzione
Industriale.
         Di cosa si occupa la tecnologia? Di eliminare la fatica dell’uomo. In questo
senso, e solo in questo, la finalità della tecnologia è il progresso, per quello che questo
termine così ambiguo vuol significare.
         Ma anche qui si nasconde una contraddizione. Infatti per utilizzare le machine,
quali che esse siano, bisogna saperle usare. La macchina riduce la fatica e apre nuove
prospettive. Ma, in questo passaggio da un mondo naturale a un mondo artificiale a
chi non ha le machine, o a chi non le sa sa usarle, non resta quasi nulla da poter
offrire.        La tecnologia che doveva creare progresso quindi può in realtà creare
forti disuguaglianze. Pochi ben preparati saranno sempre più efficienti (e ricchi)
mentre una moltitudine di persone non qualificate dovrà lottare per sopravvivere.
-       la politica
       La prima definizione di politica risale ad Aristotele che nella Politica scrisse
(1253 a) “…da queste considerazioni è evidente che lo Stato è un prodotto naturale e che
l’uomo per natura è un essere socievole (politicon zoon)”.
       Ma Platone era stato persino più sottile di Aristotele e nel Protagora (321 E)
aveva detto :”All’uomo fu concessa in tal modo la perizia tecnica necessaria per la vita, ma
non la virtù politica. Questa si trovava presso Zeus, e a Prometeo non era più possibile
accedere all’Acropoli, la dimora di Zeus, protetta da temibili guardie. …la perizia pratica
era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata… Zeus dunque, temendo che
la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e
giustizia…”.
        La politica si occupa quindi del governo degli uomini e a questo scopo emana
regole e norme e pianifica strategie. La sua finalità è quindi proprio quello di
favorire la comunità alla quale inerisce. Dovrebbe quindi proteggere i singoli,
alleviare le diseguaglianze, favorire i più deboli, e in sostanza assicurare il benessere
generale della comunità.
        Ma anche nella politica è latente una contraddizione che in un certo senso
ricorda quella della religione. Lo stato che pensa solo in termini di se stesso finisce
col diventare autoritario, mentre un eccesso di liberismo può sfociare nell’anarchia.
        E nella politica può essere insita una volontà di potenza che porta una
comunità a voler prevalere su altre con conseguenze in generale deleterie.

-       l’economia
         Ancora Aristotele ci fornisce una definizione di economia nel suo Trattato
sull’economia (1343 a): “…L’amministrazione domestica (oikovomichè) e la politica
differiscono non solo quanto famiglia e stato…”; da cui si comprende che egli aveva in
mente l’utilizzo di scarse risorse, mentre successivamente il termine si è esteso a
un’intera comunità, per quanto grande sia quest’ultima.
        L’economia si occupa quindi dell’amministrazione delle risorse di una
comunità e la sua finalità è proprio quella di mantenere o accrescere il benessere di
quella comunità.
        Fin quando la comunità umana si è evoluta più o meno in accordo con i ritmi e
i meccanismi della natura c’è stato un certo equilibrio tra economia e società.
        Ma da un paio di secoli sembra essere apparsa un’ulteriore contraddizione.
Come ha per primo osservato Karl Polanyi, con la Rivoluzione Industriale e la
cosiddetta economia di mercato (La grande trasformazione, Capitolo V): "…Non è più
l’economia a essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali a essere inseriti
nel sistema economico…. La società deve essere formata in modo da permettere a questo
sistema di funzionare secondo le proprie leggi".
        In sostanza dopo la Rivoluzione Industriale, secondo Polanyi, non è l’uomo
che fa l’economia, ma è quest’ultima che determina il comportamento dell’uomo.

-       l’intersezione delle contraddizioni e l’attuale crisi

        Si è detto quindi che in ciascuna delle quattro fondamentali componenti
dell’attuale società umana è insita una sostanziale contraddizione.
        A ciò occorre aggiungere tre fenomeni concorrenti che sono la
sovrappopolazione, l’invecchiamento e la necessità di energia, fenomeni che tuttavia
non hanno realmente concorso all’attuale crisi economica. Quest’ultima sembra
piuttosto determinata, in estrema sintesi, sia da una confusione di ruoli sia da attriti
tra le quattro componenti.
        Da alcuni decenni la cosiddetta tettonica delle placche è il modello su cui si
fonda la dinamica della Terra, modello che sembra in grado di spiegare, in maniera
integrata e con conclusioni interdisciplinari, la natura dei terremoti.
        Con un’azzardata metafora, proprio quella del terremoto, si può forse intuire
che l’attuale crisi economica sia dovuta anch’essa alle collisioni tra le componenti
della società, quasi anch’esse fossero delle placche tettoniche.
        C’è stato innanzitutto uno scontro tra le placche della tecnologia e
dell’economia, soprattutto negli USA. La tecnologia (e con essa la globalizzazione)
ha cambiato le carte in tavola distruggendo posti di lavoro: milioni di lavoratori dei
paesi industralizzati si sono dovuti mettere in competizione con un numero molto
maggiore di lavoratori dei paesi emergenti poco pagati e senza diritti. Ciò ha finito per
creare     forti disuguaglianze economiche in paesi come USA e UK con
l’impoverimento di un’ampia fascia di lavoratori.
        Allora è subentrato un ulteriore attrito tra la placca dell’ economia e quella
della politica. Negli USA e in UK i politici, invece di migliorare la competitività
industriale delle loro nazioni, hanno creduto che la soluzione fosse quella di fornire
denaro a basso costo a chi (pur non potendolo fare) volesse acquistare una casa: cioè
patrimonio a debito contro reddito.
        E il denaro è arrivato sotto forma di obbligazioni finanziare di varia natura,
abilmente costruite intorno ai mutui erogati dalle banche di USA e UK, e acquistate
da cittadini e istituzioni di paesi come la Cina e la Germania dove la decisione politica
era invece quella di puntare al massimo sull’industrializzazione e sull’esportazione,
piuttosto che sui mercati interni, e quindi di creare liquidità da investire.
Come si può facilmente intuire questa confusione di ruolo tra politica ed
economia ha portato a forti contrasti e distorsioni negli equilibri esistenti tra le varie
placche tecnologiche, economiche e politiche.
       Il terremoto finanziario del 2008 era quindi prevedibile.

                                                          Alcuni ritengono la moneta un non
                                                 senso, una semplice convenzione legale,
                                                 senz’alcun fondamento in natura, perchè,
                                                 cambiato l’accordo tra quelli che se ne
                                                 servono, non ha più valore alcuno e non è
                                                 più utile per alcuna delle necessità della
                                                 vita, e un uomo ricco di denari può spesso
                                                 mancare del cibo necessario…
                                                            Aristotele, Politica I (A), 9, 1257b



        La grande depressione, ovvero la crisi del 1929, viene tuttora considerata la
più grande crisi economica del Novecento e spesso viene usata come termine di
paragone per valutare l’entita delle crisi successive.
        Intorno al 1929 la domanda interna americana era fortemente diminuita e una
conseguente crisi di sovrapproduzione iniziò a colpire le principali industrie e le
attività agricole. Dopo diverse settimane di oscillazioni il 24 ottobre 1929 - il
cosiddetto “giovedì nero” - tredici milioni di azioni vennero vendute a prezzi irrisori.
Salvo brevi periodi di ripresa, il ribasso continuò fino all'8 luglio 1932.
        Poco prima di questa crisi, nel 1928, il grande economista inglese John
Maynard Keynes aveva parlato di fronte a un gruppo di studenti a Cambridge
affrontando un tema che avrebbe ripreso a Madrid nel 1930, per poi darlo alle stampe
nel 1931 col titolo Possibilità economiche per i nostri nipoti.
        Il saggio si apriva con alcune affermazioni che sembravano preludere alla crisi
imminente, ma che sono interessanti anche a fronte dell’attuale crisi economica: “
Negli ultimi tempi ci troviamo a soffrire di una forma particolarmente virulenta di
pessimismo economico. E’ opinione comune, o quasi, che l’enorme progresso economico che
ha segnato l’Ottocento sia finito per sempre; che il rapido miglioramento del tenore di vita
abbia imboccato, almeno in Inghilterra, una parabola discendente; e che per il prossimo
decennio ci si debba aspettare non un incremento, ma un declino della prosperità…. La fase
di assestamento fra un periodo economico e l'altro non è mai indolore. La tecnica ha
progredito talmente in fretta da non consentire un adeguato riassorbimento della forza
lavoro; il miglioramento del tenore di vita è stato persino troppo rapido…”
        In realtà le conclusioni del breve discorso di Keynes erano comunque
ottimistiche: “…si tratta di uno scompenso temporaneo. Nel lungo periodo l’umanità è
destinata a risolvere tutti i problemi di natura economica. Mi spingo a prevedere che di qui a
cento anni il tenore di vita nei Paesi avanzati sarà fra le quattro e le otto volte superiore a
quello attuale….”
        E’ proprio tale ottimismo che deve far riflettere sull’attuale crisi economica
che forse è ancora più profonda di quella del 1929 perchè quest’ultima è
probabilmente di natura strutturale.
        Si è più volte indicata la crisi dei mutui subprime come la causa della crisi
attuale, ma ciò forse non è vero. A nostro parere è come confondere la febbre con la
malattia. I mutui subprime, così come la rapida industrializzazione di India e Cina, la
crescente globalizzazione e la distruzione creativa dei posti di lavoro causata dalla
tecnologia informatica, sono piuttosto manifestazioni che non cause di un
malfunzionamento dell’economia insito nella sua stessa attuale struttura.
         In termini molto generali l’economia è quella disciplina che studia la gestione
delle risorse per soddisfare necessità individuali e collettive. In realtà l’economia ha
anche ambizioni previsionali in quanto si propone di pronosticare quali possano
essere in futuro le possibilità della comunità umana che si vale di quel tipo di
economia.
         Gli economisti tuttavia tendono, in generale, a occuparsi piuttosto degli
aspetti tecnici, certamente sempre più complessi al crescere delle comunità, che non
degli aspetti sociali e storici di quelle stessa comunità.
         L’economia peraltro si evolve come si evolvono le diverse comunità umane, e
quindi per essere compresa deve essere collocata in un contesto evolutivo che possa
aiutare a capire fenomeni che potrebbero risultare di difficile comprensione se
considerati esclusivamente nell’ambito tecnico.
         Per individuare la natura dell’attuale crisi economica, le cui dimensioni e i cui
effetti non sono ancora pienamente valutabili, può allora essere utile cercare di capire
come si sia arrivati a fruire, quasi su scala mondiale, di un modello economico ormai
diffuso presso le nazioni più evolute, un modello che in maniera molto semplificata si
può anche definire come capitalistico.
         Questo modello, che è oggi ben più complesso di quel capitalismo cui si
riferiva Karl Marx, si è affermato di fatto persino in Russia e Cina, ossia in nazioni
che fino a pochi decenni erano le antesignane di un’economia di tipo comunista.

economia e religione

        Sigmund Freud, in un saggio che può essere considerato il suo testamento
spirituale (il disagio della civiltà, 1929), aveva affermato che: ” …il programma del
principio di piacere stabilisce lo scopo dell’esistenza umana… gli uomini tendono alla
felicità, vogliono diventare e rimanere felici”. Ma Freud aggiungeva anche che : ”…la
sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo, destinato a deperire e a disfarsi,…dal
mondo esterno che contro di noi può infierire con forze distruttive inesorabili… e infine dalle
nostre relazioni con gli altri uomini”.
        In un certo senso Freud accennava al problema del male presente nel mondo,
quasi insito in esso. E una simile convinzione è tipica di molte religioni, e in
particolare del Cristianesimo.
        Il male, viene spesso visto secondo una concezione dualistica che fa
discendere bene e male rispettivamente da una divinità buona e da una cattiva.
Persino Platone affermava nelle Leggi che che esistono due anime, una che produce il
bene e l'altra che produce il male:” … ponendo l’anima come causa di tutte le cose si
finisce con l’attribuirle anche la causa del bene e del male… e si tratterà di un’anima sola o
di una pluralità di anime? Ammettiamone almeno due: quella che è operatrice di bene e
quella che, all’opposto, può operare il male” (Leggi, X 896 B-897 C)
        Platone peraltro negava che il male derivasse da Dio: la responsabilità dei vizi
umani è interamente degli uomini. Un pensiero simile sarebbe stato riproposto da
sant’Agostino, ma in maniera più complessa rispetto a Platone, perchè Agostino
intuiva le difficoltà che nascono nel voler raccordare la libertà del volere umano con
la prescienza di Dio, con i dogmi della grazia e della predestinazione, e in definitiva
con il rapporto che esiste tra grazia e giustizia.
Il tema verrà ripreso quasi mille anni dopo dal grande poeta John Milton che nel
Paradiso perduto disegnerà un personaggio, Lucifero, che si staglia come una delle
figure più straordinarie della poesia mondiale. Lucifero, l’angelo portatore di luce,
era il più bello degli angeli ma era anche terribilmente orgoglioso. Già Dante lo
aveva così descritto: “S'el fu sì bel com' elli è ora brutto, e contra 'l suo fattore alzò le
ciglia, ben dee da lui procedere ogne lutto “ (Inferno, XXXIV, 34-36)
         Il giorno in cui Dio nominò il Figlio suo successore al potere, Lucifero si
ribellò e riuscì a portare via con con sé un terzo degli angeli del Paradiso,
abbandonando quest’ultimo e nascondendosi all’interno della Terra.
         Non è questa la sede nella quale affrontare un poema epico nel quale vengono
affrontate sottili questioni teologiche, come il fato, la predestinazione, la Trinità…
         Ma il riferimento è significativo perchè il Paradiso Perduto, il peccato
originale e il Redentore sono entità sorprendentemente presenti nei vari modelli
economici che l’ Occidente ha costruito nel corso degli ultimi due secoli.
         In un simile schema è insito un meccanismo che dalla colpa originale, causa
del male, cerca il riscatto verso una realtà ultraterrena, il Paradiso, che ricompenserà
gli uomini del male terreno.
         L’uomo aveva maturato una simile sensibilità nel corso di alcuni millenni
osservando la realtà della miseria e del lavoro umano. E non è casuale che nella
cacciata dall’Eden Dio dica ad Adamo: “…col sudore del tuo volto mangerai il pane,
finchè tornerai alla terra, perchè da essa sei stato tratto: infatti sei polvere e polvere
ritornerai ” (Genesi, 3,19).
        E non c’è dubbio che l’uomo moderno (per moderno si intenda l’uomo delle
grandi civiltà) si sia evoluto attraverso la comunità sociale e la produzione. Ma le
disuguaglianze dei terreni acquisiti dai singoli, il miglioramento dei mezzi di
produzione, le guerre di vario genere, hanno via via creato ineguaglianze sociali che
alla lunga si sono cristallizzate tanto da generare continue lotte tra gruppi diversi
anche nell’ambito di una stessa comunità.
        Dalla schiavitù alla servitù feudale, al lavoro sulla catena di montaggio, si è
così assistito alla perenne presenza di disuguaglianze sociali.

il paradosso della libertà

        Il fatto è che fin dall’inizio, l’economia come la religione, è fondata su di un
paradosso che è quello della libertà. Nella religione se l’uomo è completamente libero
è anche libero di fare il male, con conseguenze che ben si possono immaginare.
        La religione, concepita come collante sociale, è allora stata fondamentale nel
mutare l’egocentrismo istintivo nell’ altruismo universale per mezzo di norme che
potessero istituzionalizzare il reciproco rispetto tra gli individui di una comunità.
        E la religione è stata anche fondamentale per consentire all’uomo di
razionalizzare il suo rapporto con il male, purtroppo così diffuso.
        Così per oltre un millennio il Cristianesimo ha plasmato e unificato la
coscienza del mondo occidentale
        Poi sono arrivati il Rinascimento italiano, le prime forme di capitale create
dalle nascenti banche italiane, la scienza e alla fine del Settecento l’industria.
        In questo stesso periodo il Cristianesimo si è frantumato in due grandi
correnti, quella cattolica e quella protestante, che hanno guardato all’economia in
modo molto diverso.
Nella visione protestante di Lutero e Calvino l’uomo diventa più autonomo
rispetto alla Chiesa e più responsabile individualmente, potendo accedere direttamente
alle Sacre Scritture, ma dovendo anche contribuire in maniera più fattiva alla crescita
economica della comunità cui appartiene.
        E questo perchè inizia a farsi strada l’idea che il male discenda dalla miseria e
che l’uomo povero sia più fragile moralmente: se l’economia va meglio anche l’uomo
è più buono.
        In sostanza occorre una forte economia per migliorare la vita e peccare di
meno. Poco alla volta l’economia e la religione convergono così verso un comune
sentire e non ci può quindi stupire che appaiano degli economisti che in un certo
senso sembrano anch’essi dei profeti.

i profeti dell’economia

        Con Adam Smith, e il suo “Saggio sulla ricchezza delle nazioni”, nasce
probabilmente la scienza economica moderna che viene fondata sostanzialmente su di
un’unica idea: l’apparente contrapposizione di interessi tra i tanti componenti di una
società non genera un conflitto permanente, ma piuttosto si crea e si stabilizza una
una situazione di equilibrio tra i reciproci interessi che genera un vantaggio generale
per la comunità.
        Nella visione ottimistica di Adam Smith, l'equilibrio nato dalla
contrapposizione di interessi personali rappresenta una condizione economica
naturale, che può essere peggiorata dall'intervento di uno Stato che voglia
regolamentare l'economia e limitare le libertà di commercio.
        Se il mercantilismo seicentesco, figlio delle repubbliche italiane, prevedeva
l’intervento dello Stato, con Adam Smith nasceva un totale liberismo economico.
Ognuno poteva perseguire i propri interessi perchè esisteva una mano invisibile che
regolava la somma dei comportamenti egoistici individuali secondo il più generale
interesse della collettività.
        Adam Smith aveva probabilmente derivato la sua mano invisibile dal terzo
atto del Macbeth di Shakespeare, nel quale lo stesso Macbeth esclama :” Vieni notte
che sigilli le palpebre. Fascia il tenero occhio pietoso, e con la mano sanguinaria e invisibile
annulla e fà a pezzi il grande contratto che mi fa impallidire.” Se per un attimo si riflette
sull’attuale situazione economica, nell’ambito di una visione liberista, ci si accorge
che la mano invisibile è veramente sanguinaria, come dice Macbeth!
        Pochi decenni dopo la teoria di Smith veniva perfezionata da un altro grande
profeta liberista, John Stuart Mill, che proponeva un’altra metafora di grande
successo: quella del mulino. L’economia è come un grande mulino per il quale
occorrono sia una forza naturale, come l’acqua o il vento, capace di produrre l'energia
necessaria al funzionamento della macchina, sia un meccanismo in grado di
trasformare l’energia stessa in lavoro, e quindi in ricchezza.
        L’energia umana presente in una società sarebbe inutile, e potenzialmente
dannosa, se non fosse guidata e trasformata da un meccanismo sociale, determinato
secondo le leggi dell'etica, capace di distribuire questa ricchezza e di trasformarla in
ricchezza sociale.
        E all’incirca nello stesso periodo, di fronte ai grandi sacrifici imposti dalla
prima industrializzazione che egli osservava in Inghilterra, il terzo grande profeta
dell’economia, Karl Marx, arrivava ad affermare che il lavoro non è la fonte ma
addirittura la ricchezza stessa. Secondo Marx l’elemento chiave dell’economia era la
merce, ma quale prodotto dell’uomo. La merce non è altro che lavoro umano
cristallizzato, e come tale è il fondamento di ogni economia.
         Marx paradossalmente era un vero e proprio profeta cristiano. Credeva nel
progresso, nell’uguaglianza generale, in una società a venire che qualcuno ha
scherzosamente definito il paradiso rosso. Il suo era un vero e proprio universo
religioso in cui il Ggiudizio sarebbe stato rinviato a più tardi.

Marx e il Paradiso in Terra

        Lo schema di Marx è abbastanza semplice. Il valore di una merce discende
dalla quantità di lavoro che la produce. Ma se il capitalista riesce a impegnare il
lavoratore più di quanto dovuto quello che acquisisce è un plusvalore che alla lunga
arrichisce il primo e immiserisce il secondo. Il lavoro viene suddiviso mentre la
necessità di nuove macchine industriali richiede ulteriori investimenti che finiscono
col far sì che i piccoli capitalisti vengano assorbiti dai grandi.
        I profitti in parte vengono investiti in ulteriori macchine e in parte vanno ad
aumentare la parte stabile del capitale e così ad arricchire i proprietari, e via dicendo.
Alla fine resteranno solo pochi padroni e la classe dei lavoratori si potrà rivoltare
contro di loro.
        Sarà possibile allora far nascere una società nella quale capitale e lavoro si
potranno finalmente integrare in un modello superiore e più etico di produzione.
        La visione religiosa di Marx è così completa. Il male è nel modello
economico, il redentore che deve soffrire ed essere crocifisso è il proletariato, ma il
paradiso è alle porte.
        Marx non giustifica tuttavia la violenza. Anzi afferma con chiarezza che un
fine che abbia bisogno di mezzi ingiusti non è un fine giusto; e la sua protesta contro i
privilegi dei pochi non è affatto ingiustificata. Come i profeti Marx credeva che
l’evoluzione dell’uomo fosse razionale e destinata al bene.
        Conosceva Darwin, ma non lo aveva ben compreso. Non si era reso conto
dell’intima aggressività dell’uomo, ossia di ciò che Freud avrebbe indicato come una
delle tre sofferenze dell’uomo. Credere che la storia dell’uomo potesse in breve
tempo diventare razionale e morale è un po’ lo stesso errore che commettevano gli
evangelisti quando promettevano il paradiso a venire in pochi anni.
        “In verità vi dico che non passerà questa generazione che tali cose non accadano”
(Marco 13,30); “In verità vi dico che non passerà questa generazione prima che tutto
avvenga” (Matteo 24, 34); “In verità vi dico che qui vi sono taluni i quali non moriranno
prima di aver veduto il regno di Dio” (Luca, 9,26)…
        La Storia che, da tedesco qual era, Marx credeva dialettica gli ha finito col
dare torto in diversi modi. Le nazioni nelle quali credeva che il suo modello
economico si sarebbe affermato, e tra queste soprattutto la Germania, si sono rivelate
restie a diventare comuniste. Invece di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, che
verranno assassinati, si affermerà un fascista, Adolf Hitler, con un modello economico
nel quale il capitalismo verrà in un certo senso portato agli estremi eccessi perché
esiste un unico capitalista e questo è lo Stato: ein Volk, ein Reich, ein Fuehrer.
        Il modello di Marx si affermerà invece in una paese, la Russia, nel quale
proprio la formidabile base religiosa si prestava a una fede rivoluzionaria disposta a
sacrificare l’oggi per un domani a venire. E così piuttosto che il Capitale di Marx il
testo di riferimento sarebbe diventato Stato e Rivoluzione di Lenin. La socializzazione
dei mezzi di produzione sarebbe durata un tempo indeterminato e sarebbe stata una
sparuta classe di dirigenti a guidare l’economia e il popolo socialisti.
        Ma in realtà lo stesso modello capitalista si è evoluto perchè il capitalismo ha
imparato a pianificarsi meglio, ha creato società per azioni, ha coinvolto lo Stato, si è
servito dei progressi tecnologici per alleviare la fatica di certe attività, ha fatto nascere
nuovi proprietari e nuove professioni, ha creato reti di imprese grandi e epiccole che
lavorano in sinergia.


dal Capitale al progressismo nordamericano

        Intanto negli Stati Uniti, alla fine dell’Ottocento, si affermava impetuosamente
un protestantesimo imprenditoriale che enfatizzava anch’esso una forma di
progresso economico in grado di condurre al paradiso, ma in tutt’altro modo.
        Gli economisti nordamericani pensavano che se prevaleva l’idea che il
mercato fosse di per sè dannoso allora si sarebbe generata l’illusione che lo Stato
fosse l’unica soluzione. Ma l’uno e l’altro sono creazioni dell’uomo e quindi
naturalmente imperfette. Anche lo Stato può fallire, con enormi conseguenze quali la
mancanza di libertà, di democrazia , di diritti civili, e l’apparizione di tiranni.
        Un’economia liberista offrirebbe invece grandi virtù, quali soprattutto il senso
del rischio e della libertà individuale, e soprattutto della responsabilità.
        Gli economisti nordamericani, e tra loro soprattutto Richard T. Ely, si
servirono anche di un'impostazione evoluzionistica per affermare che l'evoluzionismo
liberale, per non cadere nella barbarie del dominio del più forte o nella lotta di classe,
dovesse servirsi di istituzioni razionali affidate a esperti capaci di organizzare in modo
efficiente i singoli comparti della vita sociale.
        In tal modo essi si rivelarono assai creativi e svilupparono teorie sociali che,
abbandonando gradualmente il naturalismo biologico a favore di approcci
psicosociologici, si dimostrarono in grado di misurarsi con le trasformazioni in corso
e con gli aspetti potenzialmente pericolosi della lotta politica, ideando riforme
tecnocratiche e solidaristiche che divennero tipiche del liberalismo nordamericano.
        Il contributo del più originale economista nordamericano di quel periodo,
Thorstein Veblen, The theory of the leisure class, nacque nel 1899 da un'analisi quasi
darwinistica del susseguirsi delle istituzioni economiche, susseguirsi determinato da
interessi economici che si evolvevano in base ai principî della selezione naturale.
        Nasceva in quegli anni anche un sentimento della nazione americana che
nell’immaginario collettivo avrebbe preso il nome di Mito della frontiera e che era
intimamente legato al senso di progressismo protestante.
        Il Mito della frontiera rimase per decenni nell'immaginario di molti storici
degli Stati uniti come l’ideale che determinava la formazione di un'identità americana.
Tale mito era popolato di un insieme di ostacoli il cui progressivo superamento
avrebbe contribuito a creare il carattere della Nazione.
        Il Mito della frontiera, e non la frontiera stessa, venne così a costituire
l’essenza di una presa di coscienza della propria identità nordamericana. I cowboy e
gli squadroni di cavalleria, la melodia irlandese Garry Owen che sarebbe diventata la
marcia del Settimo cavalleggeri di tanti film, le innumerevoli tribù indiane, la
devozione dei pastori che citavano a memoria la Bibbia, la brutalità dei cacciatori di
pellicce o dei cercatori d'oro, vennero a costituire le diverse realtà sociali dell' Ovest
nordamericano che, ancorchè selvaggio, era tuttora intriso di quella civiltà europea
che idealmente si lasciava alle spalle.
        Una scena cinematografica tra tutte potrebbe riassumere questo sentimento.
Nel capolavoro di John Ford, Sentieri selvaggi, che viene considerato oggi il miglior
film western di tutti i tempi, si vede il protagonista Ethan (John Wayne), che ha
appena riportato a casa la giovane Debbie che era stata rapita da una tribù indiana,
allontanarsi da solo verso il deserto della Monument Valley nel controluce di una
porta.
        La porta che si chiude alle sue spalle potrebbe rappresentare quasi il simbolo
della separazione fra il mondo civile della casa e il mondo selvaggio che sta al di
fuori, mentre in sottofondo si può udire una maliconica canzone: “A man will search his
heart and soul; Go searchin' way out there; His peace of mind he knows he'll find; But where,
oh Lord, Lord where? Ride away, ride away, ride away”.
        In un simile contesto etnie diverse e differenti realtà socioeconomiche si
sarebbero dovute adattare a una reciproca accettazione, creando così una società nella
quale le varie culture si sarebbero amalgamate nel creare la società nordamericana.

dal progressismo alla crisi del 1929

         Nel solco di questo pensare, fatto di progressismo tecnico-religioso e di senso
di avventura, l’America costruiva intanto una prodigiosa tecnostruttura fatta di
ferrovie, di elettricità, di grandi imprese come anche di una grande moltitudine di
piccole officine che andavano a creare uno strato sociale intermedio.
         Un contributo determinante alla produttività dell’economia nordamericana
venne da un ingegnere, Frederick Winslow Taylor, che osservando attentamente le
attività di dirigenti e operai specializzati ritenne che esistesse un solo modo (one best
way) per compiere una qualsiasi operazione. La teoria di Taylor prevedeva lo studio
accurato dei singoli movimenti del lavoratore per poter ottimizzare il tempo di lavoro:
nasceva la catena di montaggio.
         Henry Ford avrebbe fatto proprie le idee di Taylor creando la Ford Motor
Company nella quale, ottimizzando la riduzione dei tempi di lavorazione, avrebbe
prodotto su grande scala la Ford T, un’autovettura economica, semplice e disponibile
solo nel colore nero, e soprattutto la prima ad essere prodotta su grande scala: dal
1908 al 1927 ne furono costruite 15 milioni di esemplari.
         Con Ford sembrava che il paradosso tra libertà imprenditoriale e principi di
socialità venisse in gran parte attenuato. Ma era in agguato un’enorme crisi
economica che sarebbe scoppiata nel 1929.

dalla crisi del 1929 alla Seconda Guerra Mondiale

         Nel 1929, come apparentemente oggi, la grande crisi dei consumi aveva
impoverito una gran parte della popolazione, soprattutto a causa di una crescente
disoccupazione. Secondo Keynes la crisi economica del 1929 era dovuta ad
un’insufficienza di domanda, da parte dei consumatori per i beni di consumo, e da
parte delle imprese per i beni di investimento.
         Era stato, secondo Keynes, il basso livello della spesa per i consumi e per gli
investimenti (da parte delle imprese) ad aver causato la crisi e l’allontanamento del
sistema dalla piena occupazione. Occorreva un intervento dello Stato per uscire dalla
crisi e per evitarla in futuro: manovra pubblica in grado di rialimentare la domanda
sia dei consumatori sia quella delle imprese.
        Keynes pensava che la strategia migliore fosse quella di un’accorta politica
fiscale e di un’altrettanto vivace politica di investimenti statali nella costruzione di
opere pubbliche, nei servizi d’istruzione, di difesa, e di assistenza sanitaria.
Attraverso la spesa pubblica lo Stato poteva aumentare la domanda complessiva di
beni e quindi la conseguente ripresa dei consumi che avrebbe a sua volta spinto
l’intero sistema verso il pieno impiego.
        Dopo crisi del 1929, il messaggio di Keynes era comunque abbastanza
pessimistico ed esso sembra oggi ancor più attuale alla luce dell’odierna crisi
economica. Keynes diceva infatti che: “… il capitalismo internazionale, eppure
individualistico, nelle cui mani siamo finiti non è un successo. Non è intelligente, non è bello,
non è giusto, non è virtuoso, non fornisce alcun bene…”.
        Sono parole amare ma forse profetiche. Quando dice ancora: …è opinione
comune che il progresso economico sia finito per sempre; che il miglioramento della vita
abbia imboccato una parabola discendente,..” sembra quasi riecheggiare il pessimismo di
Oswald Spengler sul tramonto dell’Occidente.
        Eppure alcuni decenni dopo queste parole, e soprattutto dopo il trauma della
Seconda Guerra Mondiale, il mondo sembrava aver ripreso la sua marcia verso un
comune benessere e quindi aver smentito le profezie di Keynes.
        Ma non è facile ancor oggi comprendere quale ruolo abbia avuto la Seconda
Guerra Mondiale nell’evoluzione dell’economia.
        Forse il testo più intrigante, ancorchè arduo, per comprendere come questa
guerra abbia modificato il contesto dell’economia è un romanzo di Thomas Pynchon,
L’arcobaleno della gravità, nel quale viene affrontata proprio la grande
contraddizione di una guerra combattuta tra scoperte tecniche incredibili e aberrazioni
inimmaginabili, come soprattutto l’Olocausto.
        La V2, l’arma di rappresaglia che i tedeschi lanciano a centinaia
sull’Inghilterra, percorre un arco di cielo che sembra proprio un arcobaleno e diventa
quasi l’emblema della rottura del patto con Dio. “Quindi Dio disse:…io pongo il mio
arco nelle nubi e sarà il segno del patto fra me e la terra” (Genesi, 9,13).
        L'ultima guerra mondiale prelude alla rivoluzione elettronica di un’epoca
protesa verso l’immateriale del software e del ciberspazio, della realtà virtuale e delle
biotecnologie, insieme a una fede incondizionata nel progresso. Il romanzo di
Pynchon è molto importante perché affronta in modo nuovo e originale, come solo un
grande narratore saprebbe fare, un tema così inquietante come la moderna pretesa di
un progresso continuo e inarrestabile.
        Ma progresso di cosa? Della felicità umana, della qualità della vita, dei
rapporti tra le persone, della giustizia? Nel romanzo tecnologia e misticismo, ragione
e irrazionalità, morale e immoralità, si confrontano in maniera ora drammatica ora
ironica perchè le componenti irrazionali prevalgono spesso su quelle razionali.
         Secondo Pynchon, non è il progresso che sta alla base della civiltà, bensì il
mistero, il magico, l’inesprimibile.
        Le grandi industrie (come soprattutto la IG Farben) hanno utilizzato la guerra
come banco di prova delle nuove tecnologie. E il castigo sarà tremendo, sarà la nostra
“trasformazione silenziosa in macchine di indifferenza”.
        La storia del Ventesimo Secolo è una storia spaventosa solitudine e
desolazione che il razzo attraversa nella sua parabola matematicamente calcolata
come un algoritmo.
Ma c’è chi può controllare la tecnologia e se necessario rallentarla, guidarla,
fermarla: essa è la politica. La politica, essendo sapienza e temperanza, (sophia kai
sophrosune aveva detto Platone nel Protagora) è soprattutto ragione.
       E lo stato moderno nasce nel Rinascimento come frutto della prodigiosa
razionalità italiana. Scriveva Jacob Burckhardt “ La più elevata coscienza politica e la
maggior varietà nello sviluppo delle forme di Stato si trovano riunite nella storia di Firenze,
la quale in questo rispetto merita il nome di primo fra gli stati del mondo moderno… La
mente meravigliosa del fiorentino, ragionatrice acuta e al tempo stesso creatrice in fatto
d’arte, muta e rimuta incessantemente le sue condizioni politiche e sociali, e incessantemente
pure le giudica.” (La civiltà del rinascimento in Italia).
        Non è quindi sorprendente che proprio in una città come Firenze sia apparso
un gigante quale Machiavelli che, quasi riecheggiando Platone, riteneva che la
competizione tra gli uomini potesse determinare confusioni e ingiustizie che solo lo
Stato, con le sue leggi razionali, avrebbe potuto impedire. L’indagine di Machiavelli
sulla natura umana, affermando il primato della politica, diventava allora una vera
scienza politica e apriva la strada ai futuri scontri tra politica ed economia.
        Oggi però sembra essere la tecnologia a dare potenza a Stati ed economie, e
Pynchon infatti scrive: “ la politica … segretamente era dettata dalle necessità della
tecnologia … le vere crisi erano crisi di stanziamenti e di priorità, non fra le varie aziende,
ma fra le varie Tecnologie, la Plastica, l’Elettronica, l’Aviazione, e le loro necessità,
comprese solo dall’élite dominante “
        E forse oggi la politica non è solo dettata dalla tecnologia ma ancor più
dall’economia.

L’economia di Paul Samuelson

        Non è casuale quindi che dopo la Seconda Guerra Mondiale venisse
pubblicato un testo, L’economia, di Paul Samuelson nel quale veniva tentata una
vera prima matematizzazione dell’economia, e che avrebbe costituito un punto di
riferimento per generazioni di economisti e di politici nordamericani.
        Ne L’economia Samuelson cercava di innestare la nuova teoria
macroeconomica di derivazione keynesiana, e con essa le nuove concezioni sul ruolo
attivo dell'intervento pubblico in economia, sul corpo della più antica teoria
microeconomica neoclassica, favorevole alla libertà dei mercati.
        Samuelson voleva così mostrare quali fossero i vantaggi di un’economia
"mista" (mercati liberi, ma corretti dalla presenza della politica economica e dalle
redistribuzioni di reddito dello Stato assistenziale) nei confronti sia dei sistemi
economici collettivistici sia dei sistemi di mercato non regolati.
        Ma quella di Samuelson non era solo teoria, ma anche soluzione di problemi
attraverso modelli matematici necessari per affrontare e spiegare i rapporti causa
effetto. Insieme a Wolfgang Friedrich Stolper, uno studente di Schumpeter,
Samuelson dimostrò, per esempio, che le importazioni tessili e di prodotti di
abbigliamento da un paese sottosviluppato si traducevano in un calo dei salari negli
Stati Uniti.
        In un’intervista data a Piergiorgio Odifreddi nel 2004 (Incontri con menti
straordinarie), Samuelson avrebbe peraltro affermato: “Non c’è motivo di credere che il
capitalismo selvaggio sia ottimale, da un punto di vista pragmatico. La cura per una
regolamentazione sbagliata non è la deregolamentazione, ma una regolamentazione
razionale e fattibile: in medio stat virtus.”
Più avanti nella stessa intervista: “Personalmente sono sfavorevole alle
disuguaglianze, e favorevole a un’azione governativa che attenui quelle che dipendono dai
meccanismi di mercato. Non cullando sogni napoleonici. Non pretendo che tutti concordino
con me, ma devo dire che gli economisti dell’ultima generazione stanno diventando tanto
meno altruistici, quanto più ci allontaniamo dalla Grande Depressione, che ci aveva
insegnato la dipendenza e l’aiuto reciproco.”
        E in un saggio della fine del 2008 (Farewell to Friedman-Hayek libertarian
capitalism) parlando della recente crisi economica Samuelson aggiungeva con molto
pessimismo: ”All' origine di quello che risulta essere il peggior terremoto finanziario da
un secolo a questa parte, troviamo il capitalismo libertario e all'insegna del laissez-faire di
Milton Friedman e Friedrich Hayek, cui è stata permessa una crescita selvaggia e senza il
rispetto di alcuna regola. È questa la causa principe delle tribolazioni odierne….
         …le mie considerazioni si riallacciano direttamente alle numerose incognite che
gravano sulle operazioni di salvataggio messe in campo in tutti e cinque i continenti.
Innanzitutto, occorre fare chiarezza sui responsabili della deriva che, dal trend di stabilità e
crescita di metà anni '90, ci ha fatto scivolare nel caos odierno, destinato a protrarsi ancora
per chissà quanto…
         …la promozione mirata della sperequazione non è servita a rilanciare la produttività
totale dei fattori negli Stati uniti. Piuttosto, la scandalosa impennata delle remunerazioni dei
top manager ha compromesso la funzionalità dell'intero sistema di governance aziendale.
Spregiudicati Ceo hanno curato soltanto i propri interessi a suon di bugie sugli utili effettivi
delle società…
         …La gran parte delle perdite oggi accusate saranno permanenti, come avvenne nel
1929-'32… È indubbio, tuttavia, che il meltdown globale di questi giorni rechi in bella vista
le parole Made in America. Le generazioni future, dall'Islanda all'Antartide, impareranno a
rabbrividire al nome di Bush, Greenspan e Pitt. Sto esagerando, naturalmente. Ma non
troppo.”

Karl Polanyi e La grande trasformazione

         Il recente pessimismo di Samuelson, che pure era stato per decenni il teorico
dell’economia nordamericana era in realtà già stato proposto, in una visione ancora
più strutturale di una crisi dell’economia, una vera e propria crisi di civiltà, in un testo
del 1944, La grande trasformazione, del sociologo ungherese Karl Polanyi.
         La grande trasformazione è un libro molto originale ancorchè complesso.
L’essere apparso nel 1944, mentre infuriava la fase finale della Seconda Guerra
Mondiale, e soprattutto l’aver criticato alla radice il modello economico liberista, in
un'ottica non marxista ma essenzialmente umanitaria e culturale, non ne ha
certamente favorito il successo che invece avrebbe meritato e che invece sta
sorprendentemente avendo oggi.
         Il mercato autoregolato è destinato a concludersi, secondo Polanyi, con una
crisi violenta; forse quella cui si sta assistendo oggi.
         Ne La grande trasformazione la critica centrale è rivolta a un’utopia, quella di
un libero mercato autoregolato, i cui effetti, dopo un secolo e mezzo dalla sua
invenzione saranno, secondo Polanyi, una completa desertificazione dell'ambiente
sociale e culturale.
         Non è possibile sintetizzare brevemente una tesi così complessa che, partendo
dalla definizione della società di mercato, passa quindi a esaminare le tensioni che la
affliggono e che alla lunga ne determineranno la caduta oppure la trasformazione.
E’ forse possibile, tuttavia, intuirne l’importanza culturale attraverso alcune
tra le affermazioni più significative che vengono via via proposte nel testo.
         Secondo Polanyi: “Tutti i tipi di società sono limitati da fattori economici. Tuttavia
la civiltà del diciannovesimo secolo era economica in un senso diverso e distinto poiché
sceglieva di fondarsi su di un motivo soltanto raramente riconosciuto come valido nella
storia delle società umane e certamente mai prima sollevato al livello di una giustificazione
di azione e di comportamento nella vita quotidiana, e cioè il guadagno. Il sistema del mercato
autoregolantesi era derivato da questo principio.”
         E poco più avanti aggiunge: “La nostra tesi è che l'idea di un mercato
autoregolato implicasse una grande utopia. Un'istituzione del genere non poteva esistere per
un qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza naturale e sociale della società;
essa avrebbe distrutto l'uomo fisicamente e avrebbe trasformato il suo ambiente in un
deserto.”
       L’economia è un fatto sociale prima ancora di essere una fatto squisitamente
mercantile: “… l’economia dell’uomo, di regola, è immersa nei suoi rapporti sociali.
L’uomo non agisce in modo da salvaguardare il suo interesse individuale nel possesso di beni
materiali, agisce in modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue pretese sociali, i
suoi vantaggi sociali. Egli valuta i beni materiali soltanto nella misura in cui essi servono a
questo fine. Né il processo di produzione né quello di distribuzione sono legati a specifici
interessi economici vincolati al possesso dei beni; tuttavia ogni passo di questo processo è
collegato a una molteplicità di interessi sociali, che alla fine assicurano che il passo
necessario venga compiuto" .
         Ossia, detto molto più sinteticamente, "il sistema economico è in realtà una
semplice funzione dell’organizzazione sociale"
         Con l’invenzione del mercato autoregolato, invece: "Non è più l’economia a
essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali a essere inseriti nel sistema
economico…. La società deve essere formata in modo da permettere a questo sistema di
funzionare secondo le proprie leggi".
         E aggiunge poco dopo che: “ Un’economia di mercato è un sistema economico
controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e nella
distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi”.
        Sembra quasi di udire Martin Heidegger nella sua ormai celebre conferenza La
questione della tecnica (tenuta a Monaco nel 1953), quando affermava che si era
ormai verificato un vero e proprio capovolgimento di ruoli tra uomo e tecnologia. Se
nel Prometeo incatenato di Eschilo l’uomo era padrone della tecnologia, pur nelle
limitazioni di quest’ultima, con Heidegger appariva un uomo “a disposizione” della
tecnologia.
        L’ambizione di quest’ultima è infatti di fare tutto ciò che può fare, mentre
l’uomo vorrebbe capire cosa si deve fare e cosa non si deve fare. La tecnica
(tecnologia), secondo Heidegger, appare ormai indipendente dalle finalità dell’uomo e
si evolve secondo una propria volontà di potenza, che sembra inarrestabile.
L’economia e le tendenze della società sembrano completamente determinate dalle
evoluzioni tecnologiche. Le onde distruttive di Schumpeter ridefiniscono, in funzione
delle tecnostrutture disponibili, gli scenari economici e le tendenze sociali seguono,
per così dire, a ruota.
        Nella visione di Polanyi l’uomo finisce in ugual modo per dipendere da
un’economia che in definitiva persegue solo le proprie intrinsiche finalità, quasi che
queste fossero sfuggite all’uomo stesso: “Un’economia di mercato è un sistema
economico controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e
nella distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi. Un’economia
di questo tipo deriva dall’aspettativa che gli esseri umani si comportino in modo tale da
raggiungere un massimo di guadagno monetario…. Essa assume la presenza della moneta
come potere di acquisto nelle mani dei suoi possessori. La produzione sarà poi controllata
dai prezzi poiché i profitti di coloro che dirigono la produzione dipenderanno da essi …
L’autoregolazione implica che tutta la produzione è in vendita sul mercato e che tutti i redditi
derivino da questa vendita. Di conseguenza vi sono mercati per tutti gli elementi
dell’industria, non soltanto per le merci (e i servizi) ma anche per il lavoro, la terra e la
moneta"
         E ancora:” Il lavoro è soltanto un altro nome per un’attività umana che si
accompagna alla vita stessa la quale a sua volta non è prodotta per essere venduta ma per
ragioni del tutto diverse… La terra è soltanto un altro nome per la natura che non è prodotta
dall’uomo. La moneta infine è soltanto un simbolo del potere d’acquisto che di regola non è
affatto prodotto ma si sviluppa attraverso il meccanismo della banca o della finanza di stato.
Nessuno di questi elementi è prodotto per la vendita. La descrizione, quindi, del lavoro, della
terra e della moneta come merci è interamente fittizia.”
         Allora il liberismo si deve spiritualizzare e divenire: “il principio organizzativo
di una società impegnata nella creazione di un sistema di mercato. Nato come semplice
inclinazione verso metodi non burocratici esso si evolse in una vera fede nella salvazione
secolare dell’uomo attraverso un mercato autoregolato….il credo liberale assumeva il suo
ferovre evangelico soltanto in risposta alel necessità di un’economia di mercato pienamente
sviluppata”.
        In sostanza, dice Polanyi, l’aggressività del liberismo non consiste soltanto del
grado di sfruttamento dell’uomo e della natura che esso provoca, ma soprattutto nella
sua ambizione di creare una nuova cultura che tagli i legami che l’uomo ha sempre
avuto con società e natura, legami che costituiscono il tessuto umano e naturale della
vita sociale, per creare alla fine un individuo che abbia come unica finalità quella di
perseguire soltanti i propri interessi.
        Ma : "separare il lavoro dalle altre attività della vita e assoggettarlo alle leggi di
mercato significa annullare tutte le forme organiche di esistenza e sostituirle con un tipo
diverso di organizzazione, atomistico e individualistico".
        La conclusione di Polanyi (qui estremamente abbreviata) è sopratttutto di
ordine morale, e non potrebbe essere diversamente in una visione così pessimistica
dell’economia liberista: “ Se la civiltà industriale non si disgregherà o non volgerà verso
soluzioni degenerative, una ricostituzione delle fondamenta della coscienza umana si
presenta come imperativa. Soltanto a questo prezzo potrà essere conservata la libertà.”
        La grande trasformazione non è soltanto un testo di economia, ma anche di
storia e di sociologia, e come tale permette di inquadrare l’attuale crisi economica in
una visione più ampia, generale e soprattutto non settoriale.

l’attuale crisi economica

       L’attuale situazione economica sembra manifestare alcune macrotendenze ben
evidenti. L’odierna crisi potrebbe innanzitutto sembrare una delle cicliche crisi che
accompagnano di volta in volta l’affermarsi di una nuova tecnostruttura: quelle che
Schumpeter denominava onde di distruzione creativa.
       Inoltre non c’è dubbio che i computer, e più in generale l’Information and
Communication Techonology (ICT),            eliminano lavori algoritmici e ripetitivi
creando di fatto disoccupazione.
Infine la globalizzazione dell’economia si accompagna anche a un’intensa e
rapida industrializzazione di due giganti come l’India e la Cina, con le conseguenze
economiche per il mondo occidentale che ben si possono intuire.
         Ma se si riflette un poco su quanto detto da Polanyi si deve fare l’ipotesi che
la crisi attuale sia molto più complessa di quanto possa sembrare a prima vista. Essa
sembra ancora una volta essere frutto dell’eterno paradosso che esiste tra liberismo e
socialità, ovvero tra libertà individuale e società.
         Inoltre si comincia a comprendere che l’attuale modello capitalista neo-
liberista si fondi su alcuni assunti che in realtà non sono veri. Il mercato non si
autoregola e non c’è alcuna mano invisibile che lo possa regolare. Il capitale non
sempre arriva. E infine i rischi non sono sempre calcolabili.
         Di fatto quello che si è invece constatato è che la rapida evoluzione della
tecnologia e la delocalizzazione della manodopera in paesi industrialmente emergenti
hanno consentito di creare fin troppe merci da distribuire a un numero non
sufficientemente ampio di consumatori.
         La pubblicità è stata quindi costretta a iniettare desideri e fiducia e ha finito
con l’investire oltre 500 miliardi di dollari nel solo 2009.
         Ma soprattutto liberalizzare i capitali e muoverli con i computer è diventata
l’essenza della globalizzazione finanziaria.
         Nel corso degli ultimi 30 anni si è così assistito all’affermarsi di un’economia
globalizzata, al crollo delle tariffe doganali, a rilevanti miglioramenti
nell’organizzazione della produzione, e ancor più ai mutamenti tecnologici avvenuti
nell’ ICT. Tutti questi elementi, insieme ad altri che verranno esaminati più avanti,
hanno contribuito alla crisi economica del 2008 che sembra aver impoverito non solo
gli operai e i precari, ma anche i bancari, gli impiegati, e perfino certi professionisti.
          Ma alcune élite (manager, grandi professionisti, star del mondo dello
spettacolo e dello sport, stilisti, cantanti, conduttori televisivi,…) hanno acquistato
potere e denaro, creando enormi diseguaglianze che la stessa crisi economica ha reso
addirittura ancor più vistose.
         Sembra ormai che persino il normale lavoro professionale, creativo e orientato
alla soluzione di problemi, svolto nei servizi avanzati e nell’industria manifatturiera,
stia perdendo di valore.
         Tuttavia se si riflette per un attimo sul semplice schema del mulino di Mill si
può osservare che, oltre alla tecnologia, nella produzione economica ci sono due
componenti che si erano più o meno bilanciate fino a un paio di decenni fa, ossia il
capitale e il lavoro.
         Se allora si analizzano i dati economici ci si accorge che nel corso degli ultimi
trent’anni la quota di ricchezza (ossia di prodotto interno lordo: PIL) prodotta dal
capitale è cresciuta più rapidamente della quota prodotta dal lavoro (ossia dai salari).
         Il PIL delle nazioni OECD ( ovvero l'Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico (OCSE)) era intorno ai 40 mila miliardi di dollari nel 2007. In
tale quota la parte capitale si era avvantaggiata di circa il 5% rispetto alla parte lavoro,
e quindi di circa 2000 miliardi di dollari che non andavano in salari, il che per una
popolazione di oltre un miliardo di persone vuol dire quasi demila dollari a testa.
         C’è stato quindi un sostanziale impoverimento soprattutto delle classi medie.
In realtà il fenomeno sembra ancora più complesso. Probabilmente il meccanismo è
stato innescato negi USA dove l’economia dei consumi è stata sempre molto vivace.
         Tuttavia a fronte della minore liquidità disposibile negli ultime decenni il
mercato ha cercato di adattarsi creando una forma artificiale di liquidità giocando
sulla speranza di guadagni a venire. E simili guadagni potevano apparire concreti
soprattutto nel settore immobiliare.
        Allora perchè non indebitarsi per alcuni decenni verso un bene che comunque
col tempo si sarebbe rivalutato più del debito contratto? E così sono entrati in gioco
meccanismi finanziari molto complicati e soprattutto audaci. Per dirla con grande
semplicità sono stati concessi mutui quanto mai facilitati, e pressochè a tutti. La
crescita dell’edilizia ha stimolato a sua volta un’ampia infraststuttura industriale e di
servizi. E le banche sono diventate il motore del flusso denaro.
        E tale flusso di denaro è dilagato negli USA soprattutto attraverso i cosiddetti
mutui subprime, ossia mutui concessi a persone che non avevano accesso a un tasso
più favorevole perchè considerati a rischio di insolvenza. Le condizioni dei mutui
subprime imponevano quindi tassi di interesse più alti. A partire dal 2000, molte
banche americane hanno così concesso mutui a persone che forse non sarebbero state
in grado di restituire il denaro.
        Ma come è potuto accadere, e in una misura così grande? Il fatto è che dal
2000, e fino a quasi tutto il 2006, il prezzo delle abitazioni è cresciuto così tanto da
creare una vera e propria “bolla immobiliare”. La continua crescita del prezzo delle
abitazioni ha creato l’illusione che l’attività di erogazione dei mutui fosse poco
rischiosa. Se il mutuo non fosse stato ripagato l’abitazione poteva essere sequestrata e
rimessa in vendita a un prezzo più alto. Al tempo stesso i tassi di interesse stabiliti
dalla Banca Centrale Americana (la Federal Reserve) erano progressivamente scesi
proprio per stimolare l’economia.
        Ma c’era un altro aspetto molto importante: gli enormi investimenti che la
Cina continuava a fare negli USA. Si vedrà meglio più avanti la natura di questo
meccanismo.
        Per il momento basti considerare che la quantità di denaro immessa dalla Cina
nel mercato statunitense è stata veramente colossale (trilioni di dollari) rendendo
disponibile un’ulteriore enorme liquidità.
        Tornando al meccanismo dei mutui immobiliari è importante osservare che le
banche americane erano riuscite a concedere tanti mutui anche in virtù di un
meccanismo finanziario, la cosiddetta cartolarizzazione, per mezzo del quale
potevano rivendere ad altri gli stessi mutui, trasferendone così il rischio.
        Si può riassumere, brevemente e in modo del tutto semplificato, il
meccanismo complessivo della cartolarizzazione.
        Una banca dispone di una certa liquidità (decine o centinaia di milioni di
dollari o di euro) che può erogare in mutui. Una volta che tale liquidità si sia esaurita
la banca dovrebbe attendere il rientro di tutte le rate (o di gran parte di esse) per
erogare nuovi mutui. Invece può innestare un nuovo processo per ottenere ulteriore
liquidità e ridurre i rischi. Può rivolgersi a un altro ente (la cosiddetta società veicolo),
che potrebbe essere persino stato creato dalla banca stessa e il cui capitale è
rappresentato proprio dai crediti vantati verso i clienti che hanno contratto dei mutui.
        La società veicolo puo' farsi finanziare dal mercato dando in garanzia sotto
forma di obbligazioni i crediti vantati nei confronti dei clienti della banca dalla quale
ha ottenuto i mutui e cui ha fornito in cambio la liquidità.
        La banca stessa con la nuova liquidità può erogare nuovi mutui e ha così
ridotto, in linea di principio, i suoi rischi. A questo punto si potrebbe inserire una
nuova banca, una cosiddetta banca affari, la quale potrebbe acquistare obbligazioni
dalla società veicolo e potrebbe, a sua volta, costituire una nuova società cui destinare
le obbligazioni appena acquistate. Quest’ultima società a sua volta potrebbe emettere
obbligazioni,… e così via.
        Una persona ragionevole di fronte a un simile meccanismo cosa può pensare?
Non è certamente possibile creare ricchezza con questa sola sequenza di ingegneria
finanziaria. E allora? L’unica spiegazione è che il valore delle case deve aumentare
nel tempo (coprendo i rischi) e il denaro da restituire dovrà essere prodotto dal lavoro
a venire dei mutuatari.
        Il pericolo era insito proprio nel meccanismo di rischio. Se qualcosa non
avesse funzionato correttamente l’intero meccanismo si sarebbe inceppato e le
conseguenze sarebbe state essere molto gravi: come infatti è avvenuto. E già intorno
al 2005 qualcosa cominciava a scricchiolare nell’economia americana. I tassi di
interesse iniziavano nuovamente a crescere, i mutui da ripagare diventavano più
costosi, mentre il prezzo delle abitazioni cominciava a scendere.
        Le banche iniziavano così a registrare perdite sempre più grandi. I titoli
fondati sulle rate dei mutui subprime scendevano drammaticamente di valore e
diventavano, come si dice, tossici: in virtù della globalizzazione in atto la crisi si
estendeva poi rapidamente all’intero mondo finanziario. Nasceva così una crisi di
liquidità e veniva meno l’accesso al credito per persone e imprese.

il ruolo della finanza nell’attuale crisi

         Una delle caratteristiche più significative dell’odierno scenario economico è la
globalizzazione dei mercati finanziari. La possibilità di lavorare in tempo reale e su
scala mondiale attraverso reti di computer interconnessi in vario modo ha dato agli
investitori un potere crescente, che essi hanno immediatamente utilizzato per ottenere
dai loro investimenti i massimi rendimenti e nei tenpi più brevi.
         In questo contesto si colloca anche la strategia americana di concedere prestiti
a basso costo per l’acquisto di abitazioni, con i meccanismi e le conseguenze
precedentemente descritti.
         E ancora occorre sottolineare il ruolo svolto dalla Cina che ha
progressivamente aumentato la sua produzione di merci (spesso di basso costo)
ricavandone una liquidità che non ha voluto reinvestire nel suo sistema paese. A
seguito della grande crisi finanziaria asiatica degli anni Novanta la Cina ha preferito
puntare su mercati finanziari evoluti, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che
hanno visto così arrivare ingenti investimenti. Tra il 2000 e il 2007 negli Stati Uniti è
arrivata una quantità di denaro cinese equivalente al 40% del PIL americano di un
anno, e in Gran Bretagna l’equivalente di un 20% del PIL inglese di un anno.
         C’è da aggiungere che gli enormi investimenti effettuati in dollari hanno
mantenuto basso il valore della moneta cinese e quindi molto appetibile la forza
lavoro cinese, il che ha consentito tante delocalizzazioni industriali dall’Occidente in
Cina.
         Ora che la crisi economica fa sentire il suo peso diventa ancora più difficile
esportare prodotti in Cina e ciò determina un forte arretramento di economie che dale
esportazioni verso la Cina ricavavano molti benefici per la loro bilancia commerciale.
         Tutto questo denaro offerto dalla Cina doveva essere sapientemente investito e
sembrava che i mercati finanziari americano e inglese possedessero tecnologie
adeguate per gestire i modelli di rischio.
         I dati finanziari relativi al periodo in cui la crisi ha cominciato a manifestarsi
sono veramente impressionanti. Nel 2007 gli attivi finanziari delle imprese sono stati
infatti uguali a circa 5 volte il PIL mondiale (che equivale a circa 60 mila miliardi di
dollari). Ciò ha evidentemente creato un eccesso di liquidità virtuale.
        Al tempo stesso le transazioni finanziarie nel corso del 2007 sono state
equivalenti a quattro milioni di miliardi di dollari di cui l’80% circa di natura
puramente speculativa.
        Ma il dato forse più inquietante è che il debito che famiglie, imprese,
organizzaioni di vario genere e Stati, hanno contratto è ormai dell’ordine di 100 mila
miliardi di dollari. Se si ipotizza un interesse annuo intorno al 3% si può
approssimativamente dedurre che il PIL dovrebbe crescere del doppio (visto che è
crica la metà di questo valore) solo per pagare gli interessi.
        Infine si deve anche osservare che le prime dieci banche del mondo detengono
circa 2/3 del PIL mondiale.
        Simili dati sembrano confermare la previsione di Polanyi sull’avvento di una
profonda crisi di civiltà.


l’economia non è una scienza

         Già Keynes negli anni Settanta aveva parlato di Animal Spirits per indicare le
instabilità insite nel capitalismo. I diversi aspetti degli Animal Spirits come fiducia,
correttezza, avidità, corruzione non fanno parte di un modello matematico. Si è quindi
sovrastimato l’approccio razionale, tanto che Edmund Phelps, premio Nobel per
l’economia nel 2006, ha detto che i modelli di rischio non hanno mai avuto un buon
fondamento.
         Secondo Phelps è impossibile prevedere in dettaglio il comportamento di un
sistema complesso come un mercato finanziario, e quindi ciò che occorre tuttora è una
certa dote di intuito, soprattutto manageriale, che è palesemente mancata. Attraverso
l’ingegneria finanziaria, globalizzata per mezzo di computer e modelli di rischio, si è
così creata un’enorme liquidità virtuale e chi è stato incaricato di gestirla è stato
superpremiato.
         Di fatto le famiglie americane sono oggi indebitate in misura tale che il loro
indebitamento è pressochè equivalente all’intero PIL nordamericano. E dietro
all’attuale crisi economica si nasconde anche un altro spettro, quello degli algoritmi
matematici con i quali si credeva che fosse finalmente possibile domare o esorcizzare
il rischio.
         In un lavoro del 1973 Fischer Black e Myron Scholes avevano formulato
un’equazione matematica che sarebbe stata ampiamente utilizzata dai modelli
finanziari nei decenni successivi. L’equazione si basava anche su precedenti ricerche
di Robert Merton. Quest’ultimo, insieme a Scholes, avrebbe poi vinto il premio Nobel
per l’economia nel 1997.
         L’idea su cui si basava l’equazione di Black e Scholes era che un titolo
derivato è implicitamente prezzato se il cosiddetto strumento sottostante (ossia
quell’attività da cui dipende il derivato) viene scambiato sul mercato. Il modello di
Black e Scholes era diventato un vero e proprio manifesto della finanza, in grado di
convincere gli investitori che quest’ultima fosse quasi una scienza esatta.
         Dopo che nel 1971 era stata abbandonata la parità monetaria con l’oro i
mercati finanziari desideravano avere uno strumento che in qualche modo li
proteggesse contro le variazioni dei cambi tra le valute e successivamente contro le
variazioni dei tassi di interesse. In sostanza si desiderava uno strumento che
proteggesse dai rischi. Il modello di Black-Scholes sembrava la risposta a una simile
esigenza.
         Per dirla molto semplicemente, sarebbe stato bello poter disporre di una
formula che permettesse di conoscere il prezzo di un prodotto come composto dai
prezzi dei suoi componenti. Ma l’equazione di Black-Scholes resta un modello
matematico, con tutte le semplificazioni adottate da un modello. La struttura
dell’equazione, senza entrare nei dettagli, ricorda quella delle equazioni che in fisica
descrivono la diffusione del calore.
         La volatilità dei prezzi sono però risultate più discontinue di quanto il modello
matematico prevedesse. E i meccanismi di cartolarizzazione avevano introdotto un
altro elemento di incertezza, difficilmente quantificabile.
         Venti anni fa, l’uso indebito del modello di copertura del rischio sul crollo dei
mercati azionari entrò nella spirale del crack borsistico dell’ottobre 1987: un crollo
del 23% in un solo giorno, tanto da far apparire quasi minori i recenti ondeggiamenti
dei mercati. E fu proprio l’uso del modello anti crack Black-Scholes a destabilizzare
il mercato!
         Il punto è che il sistema economico non è statico e le informazioni per
descriverlo non sono sufficienti. Le grandi corporation sono nate proprio per ridurre i
costi di gestione delle informazioni.
         In definitiva il sistema economico è troppo complesso e in un certo senso la
scienza dell’economia è come quella della metereologia: non si possono costruire
previsioni a lungo termine.
         La differenza fondamentale tra le scienze fisiche e le scienze economiche, o la
matematica finanziaria, è nel ruolo dei concetti, delle equazioni e dei dati empirici.
L’economia classica si basa su ipotesi molto forti che diventano rapidamente assiomi;
mentre le scienze fisiche sono molto più caute e procedono attraverso una continua
falsificabilità delle ipotesi scientifiche a fronte anche di un solo esperimento.
         Le scienze fisiche hanno inoltre sviluppato alcuni modelli matematici che
permettono di comprendere, almeno a grandi linee, in che modo piccole
perturbazioni possano generare in un sistema complesso effetti incontrollabili.
         La teoria della complessità, sviluppata durante gli ultimi trent’anni, mostra
che, quantunque un sistema possa avere uno stato ottimale - come, per esempio, uno
stato di energia più basso - tale stato sia spesso difficile da identificare poichè il
sistema non si pone mai in quella condizione.
         Questa soluzione ottimale non solo è inafferrabile, è anche fragilissima
rispetto a piccole modifiche dell’ambiente, e quindi spesso irrilevante per capire cosa
stia succedendo. Vi sono buone ragioni per credere che questo paradigma della
complessità dovrebbe essere applicato ai sistemi economici in generale e ai mercati
finanziari in particolare.
         Semplici idee di equilibrio e di linearità (l’ipotesi che piccole azioni
producano piccoli effetti) non funzionano.
         C’è quindi la necessità di rivedere i modelli dell’economia classica e occorre
sviluppare strumenti del tutto nuovi, come si è cercato in modo ancora frammentario e
disorganizzato da parte dei cosiddetti econofisici.
il caso Italia

        Per quanto riguarda le prospettive dell’economia italiana occorre ricordare che
anche l’Italia vive in un contesto globale e quindi solo se l’intero scenario mondiale
tornerà a essere più sereno anche l’Italia potrà beneficiarne.

         Si è detto che forse, come sostiene Polanyi, l’intero modello dell’economia
liberista va rivisto e rinovato. Ma nell’immediato l’economia deve continuare a
rispondere ai bisogni della società e deve quindi in qualche modo continuare a
crescere.
         Negli ultimi decenni, infatti, l’economia mondiale (e soprattutto quella dei
paesi più evoluti), è costantemente cresciuta ed è diventata globale attraverso un
utilizzo pervasivo delle nuove tecnologie dell’ICT che hanno creato non solo nuovi
modelli di attività produttive ma anche nuove tipologie di imprese.
         Ma al tempo stesso, consumi e produzione si sono via via trasferiti in misura
sempre maggiore dagli Stati Uniti e dall’Europa verso l’Asia, la quale sta crescendo a
ritmi molto più elevati rispetto all’Occidente..
         In Europa la crescita del prodotto interno lordo viene stimata per i prossimi
anni tra il 1.5% e il 2,2% l’anno, con un valore alquanto inferiore per l’Italia.
         Se così fosse diventerebbe molto difficile per l’Italia sostenere l’attuale debito
pubblico e creare occupazione, sia per coloro che entrano nel mercato del lavoro sia
per quelli che ne sono stati recentemente espulsi.
         La domanda che allora sorge spontanea è: “perché la crisi economica italiana
sembra più profonda rispetto ad altri paesi occidentali?”
         La risposta consiste probabilmente in una triade di elementi che
concorrentemente deprimono lo sviluppo italiano e che sono rispettivamente: una
produttività inferiore agli standard dei paesi più evoluti, una carenza di cultura
tecnologica, e una sostanziale arretratezza dello Stato.
         La minore produttività deriva anche dal ridotto livello di investimenti, sia
pubblici sia privati, in ICT, livello significativamente inferiore rispetto ai paesi più
evoluti. L’ICT, infatti, non è solo un abilitatore di attività esistenti, ma è anche un
motore di trasformazione e di creazione di nuove produzioni e di nuovi servizi…
          Inoltre in Italia c’è tuttora una carenza di capillarità della cosiddetta banda
larga, che riguarda soprattutto aziende che devono mettere a disposizione i propri
servizi, come la Sanità, gli Enti Locali, le banche, le anagrafi,…
         I ridotti investimenti in ICT discendono anche da una scarsa percezione di
quali possano esserne i ritorni di investimento, che non sono facilmente misurabili se
non esiste una sufficiente cultura sia d’impresa sia informatica.
         E l’attuale cultura tecnologica italiana, per quanto riguarda l’ICT, è una
cultura essenzialmente di massa, che privilegia un uso intensivo della tecnologia
stessa ma per scopi consumistici o edonistici, quali soprattutto gli smartphone o gli
ipod/ipad per intrattenimenti di vario genere, da Facebook ai videogiochi.
         Non c’è quindi reale consapevolezza di quanto l’ ICT potrebbe favorire la
creazione di nuove imprese, di nuovi servizi, o di nuovi processi produttivi.
         C’è infine da considerare la sostanziale arretratezza dello Stato, che finisce
con lo scoraggiare investimenti (anche stranieri) e quindi col generare poche nuove
iniziative e conseguentemente nuovi posti di lavoro.
Gli aspetti più vistosi di tale arretratezza sono la complessità e l’inefficienza
della Pubblica Amministrazione, la lentezza della giustizia civile, l’inadeguatezza
delle infrastrutture tecnologiche pubbliche, la scarsa visibilità internazionale delle
Università, una legislazione giuslavorista inadeguata, complessa, e persino
conflittuale, quando invece occorrerebbe - soprattutto ora - molta flessibilità; per non
parlare di una inaccettabile gerontocrazia della classe politica.
        Sono quindi urgenti sia una capillare diffusione della banda larga sia lo
sviluppo di applicazioni atte a utilizzarla come, per esempio, la telemedicina e la

telechirurgia, la coprogettazione, le analisi del territorio e della comunità, le
interazioni con i nuovi strumenti analitici di business, e molte altre.
        Occorre anche creare tecnostrutture digitali intelligenti per il controllo
dell’utilizzo di risorse come linee elettriche, linee ferroviarie, autostrade, centrali.
        Quello che tuttavia sembra particolarmente importante per l’Italia è
incrementare e rendere sostenibili le varie filiere di piccole e medie imprese nelle
quali possano essere reinterpretati, per mezzo delle nuove tecnologie, quei saperi
artigianali che sono stati da secoli un’eccellenza tipicamente italiana.
        Questo è tanto più importate se si riflette su di un aspetto molto importante
dell’attuale economia, soprattutto nei paesi più evoluti. Si era pensato nei decenni
passati che la diffusione delle nuove tecnologie avrebbe progressivamente ridotto i
posti lavoro nelle attività più ripetitive, soprattutto in ambito manifatturiero, ma che
tali posti sarebbero stati ricreati in settori intellettualmente più complessi, per lo più
nel settore dei servizi. Questa ipotesi è stata in parte contraddetta dalla realtà e la
disoccupazione di fatto è cresciuta.
        E’ bene quindi tenere ben presente che molte attività tipiche delle piccole e
medie imprese sembrano apparentemente meno intellettuali di quelle in atto presso
grandi imprese, mentre in realtà richiedono di saper far leva sulle nuove tecnologie,
proprio per capitalizzare su quelle qualità, quali fantasia, inventiva, abilità, senso del
bello, che sono essenziali per la creazione di manufatti di pregio che tuttora vengono
richiesti all’Italia.
        E anche in questi settori economici si comincia a comprendere che occorre
saper fare ricerca e sviluppo, tanto più che proprio quelle imprese italiane che hanno
delocalizzato la propria manodopera in paesi come la Cina si accorgono di dover
delocalizzare anche i reparti di ricerca accanto a quelli di produzione per averli vicini,
e quindi più integrati ed efficaci.
        E’ anche vero che una consistente parte dell’industria italiana negli ultimi
anni è riuscita a rinnovarsi e a restare competitiva; è stata in grado di esportare anche
con un cambio euro/dollaro sfavorevole; e soprattutto è riuscita a operare in campo
internazionale non potendo contare né su di uno Stato efficiente né su infrastrutture
d’avanguardia.
        L’Italia resta quindi una realtà socio-economica tuttora di difficile lettura.

cosa accadrà?

        Cosa accadrà, allora, all’intera economia mondiale? E, quindi, quali potranno
essere le possibilità economiche per i nostri figli? Sono domande lecite, ancorchè sia
molto difficile dare loro una risposta.
        Una prima risposta potrebbe essere che ci sarà probabilmente un periodo di
adattamento, di un decennio almeno, per stabilizzare la globalizzazione e sanare i
modelli finanziari.
        Tuttavia la vera risposta che sembra emergere a fronte di questa grande crisi è
che la ricchezza non si costruisce sul denaro, ma sulla capacità umana di apprendere e
di applicare quanto si è compreso ai processi di produzione e di consumo: il benessere
deve essere rapportato alla produttività e non all'azzardo finanziario.
        E’ quindi fondamentale che la globalizzazione dell’economia accetti nuove
norme e soprattutto una nuova etica.

-      nuove norme per mercati finanziari


         Negli Stati Uniti è stato recentemente approvato il Dodd-Frank Act, il
pacchetto di misure di regolamentazione dei mercati finanziari che dovrà ridisegnare
il volto della finanza americana nei prossimi anni. La legge arriva dopo un intenso
anno di discussioni su quali regole fossero necessarie per prevenire il ripetersi di una
crisi di proporzioni simili a quella appena vissuta.
         In Europa la definizione di un nuovo insieme di regole e norme è in una fase
meno evoluta ma il relativo dibattito è altrettanto vivace.
         Naturalmente scelte così complesse, come quella di adottare Dodd-Frank Act,
hanno bisogno di un tempo di riflessione adeguato. Del resto l’efficacia di simili
iniziative dipende da numerosi fattori, tra i quali soprattutto il modo di attuare le
norme adottate, poichè spesso in simili contesti ci sono dettagli che risultano
determinanti ma che vengono in luce solo durante la reale attuazione delle regole.
         E ci dovrà anche essere chi deve controllare l’esecuzione di norme restrittive,
ma che a sua volta dovrà essere imparziale, ma: quis custodiet ipsos custodes?
         La maggior parte delle regole discusse nel corso di questi mesi, poi,
prescindono in gran parte da obiettivi di efficienza.
         Le nuove normative tese a un maggior controllo dei mercati potrebbero
ottenere tale controllo, ma a scapito dell’efficienza del mercato stesso. E tale
efficienza, si è già detto, dipende in grande misura dale informazioni disponibili: un
mercato finanziario è tanto più efficiente quanto più il rendimento di un titolo riflette
le informazioni a disposizione.
         La creazione di adeguati organismi in grado di valutare i potenziali rischi
potrebbe migliorare la qualità delle informazioni a disposizione dei mercati finanziari,
fornendo dati utili per la valutazione del rischio da parte degli operatori.
         Ma data l’attuale dinamica evolutiva dei mercati finanziari per essere efficaci
occorre essere in grado di operare in tempo reale.
         La disponibilità di computer, reti telematiche e software sempre più evoluti,
insieme alle nuove norme, farebbe pensare che una nuova strategia di governo dei
mercati finanziari sia tutt’altro che un’utopia.

-      la nuova governance e la superclasse

        In aggiunta alle nuove norme finanziare c’è poi, a fronte del fenomeno della
globalizzazione, una crescente necessità di un governo mondiale che vada
sostanzialmente al di là di quelle che sono le iniziative delle Nazioni Unite.
        C’è tuttavia un primo sostanziale problema da affrontare che è costituito dal
fatto che negli ultimi decenni si è affermata una classe dirigente transnazionale e
descritta da David Rothkopf nel suo libro Superclass. La nuova élite globale e il
mondo che sta realizzando.
        Si tratta di circa sei-settemila persone con una formazione e con una visione
del mondo simili, e accomunate da una comune ideologia ispirata a liberismo e alla
diffusione di diritti civili e politici uguali per tutti i cittadini del pianeta. E’ una classe
dirigente che gode di enormi privilegi, sia economici sia sociali, e che in un certo
senso sembra quasi apolide.
        All’interno di questa superclasse c’è un generale consenso sugli obiettivi, da
perseguire. Se dissenso esiste questo riguarda il come realizzare un organo di governo
del mondo, con quale quale tipo di struttura e con quale orientamento politico. Ma in


definitiva questa classe pensa soprattutto a se stessa.

         La presenza della superclasse comprime tuttavia il ruolo della classe media
che tra l’altro non è presente in molte parti del mondo, come l’Africa, l’Asia e in parte
il Sudamerica. Il reale obiettivo della superclasse è in definitive quello di non perdere
ricchezza e potere in favore di una classe media transnazionale.
         Ma in mondo quale quello attuale, costituito di flussi globali e di rischi di
vario genere che che si affacciano alle frontiere nazionali, non è più possibile per un
singolo stato-nazione agire da solo nel conseguire la sua parte del contratto sociale,
Ne è possibile che il governo del mondo venga affidato di fatto alla superclasse.
         Eppure è ormai in atto, almeno ideologicamente, una tendenza verso quello
che il poeta Alfred Tennyson in Locksley Heart chiamava il Parlamento dell’uomo:
“Till the war drum throbb'd no longer, and the battle-flags were furl'd In the Parliament of
man, the Federation of the world”.
        E nel contesto odierno i meccanismi di un governo mondiale sembrano più
attuabili che in passato, e comunque possono essere adottate soluzioni intermedie
prima che l’umanità intera accetti comunque l’idea di un governo globale.
        Ma come sarebbe rappresentato, poi, quest’ultimo? Le differenze economiche
e di popolazione favorirebbero certamente le potenze maggiori e alla lunga si
finirebbe forse in un mondo guidato dalla Cina. Come sarebbe possibile allora far
convergere verso un’unica sensibilità etica due culture così diverse come
l’individualismo occidentale l’assenza di individualismo tipicamente orientale.
        Tra Cristianesimo, Buddismo e Taoismo c’è una fondamentale differenza che
informa ancora di sè i popoli cresciuti in queste religioni. Nel Cristianesimo il
rapporto con Dio è individuale e carico di senso di responsabilità. Nel Buddismo e
nel Taoismo è invece assente un rapporto personale e individuale con la divinità, il
che in campo etico si traduce in un diverso concetto di responsabilità che deve fare i
conti con i legami fra il soggetto e il suo gruppo sociale.
        E ciò conduce al terzo grande tema del futuro: come sviluppare un’etica
mondiale?

-       un’etica globale per un mondo globalizzato

        Qualche anno fa (1996) Samuel Huntignton aveva affermato in un un suo
libro di grande successo (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale) : “ La
mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà
sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell'umanità e la fonte di
conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori
principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e
gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di
faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro.”
        Dopo l’attentato alle Twin Towers nel 2001 le sue affermazioni acquistarono
notevole credibilità, anche se oggi vengono in parte riviste. Ma non c’è dubbio che
non v’è pace tra le nazioni se non v’è pace tra le religioni; ma soprattutto non v’è
pace tra le religioni se non ci sono norme etiche globali: occorre un’etica mondiale.
        Il teologo Hans Kueng, dopo decenni di personali riflessioni, ha scritto
qualche anno fa (Etica mondiale per la politica e l'economia) che economia e
politica senza una base etica possono condurre al disastro. Un fondamento etico


commune deve essere accettato da tutte le nazioni, da tutti i popoli a da tutte le
religioni.
         Ma l’attuale distanza tra come l’etica mondiale dovrebbe essere e come invece
sia è ancora molto grande. Il neocapitalismo con la sua sfrenata attenzione ai profitti
stra creando disuguaglianze sociali, anche nei paesi più evoluti, che non sono più
accettabili.
         Kueng affronta un tema così complesso in modo generale, e quasi filosofico,
ma sa essere anche molto pratico e concreto. Si domanda, per esempio, cosa siano la
verità e la giustizia. La verità sembra oggi ridursi alle affermazioni propagandistiche
dei leader politici, mentre le persone non vogliono più accettare le loro menzogne e
l’inquietudine cresce ovunque, soprattutto per la diffusione di nuovi, potenti e
capillari strumenti elettronici di informazione, anche individuale.
         La giustizia, a sua volta, consiste anche dell’abolizione degli incredibili e
inaccettabili privilegi e prerogative di cui godono le élite, in particolare politiche e
finanziarie.
         Anche il welfare-state (ossia lo stato assistenziale moderno) non può offrire
più di quanto i cittadini non possano a loro volta contribuire volontariamente
attraverso i sistemi fiscali.
         In sintesi Kueng individua sei pilastri etici inalienabili: diritti e responsabilità
umane, democrazia, protezione delle minoranze, risoluzione pacifica dei conflitti e,
“last but not least”, uguale trattamento delle generazioni.
         Lo scenario mondiale a venire delineato da Kueng si fonda, piuttosto che sul
tradizionale modello di relazione amico-nemico, sulla teoria dei giochi a somma
diversa da zero, ossia su quelle relazioni nelle quali non c'è sempre uno che vince e
uno che perde come è avvenuto, tanto per fare un esempio, nei prodotti derivati del
recente mercato finanzario che hanno ingannato così tanti risparmiatori.
         Il pensiero può allora tornare a Polanyi, o persino a Kant. L’uomo non è homo
oeconomicus, ossia un uomo le cui principali caratteristiche sono la fredda razionalità
e l’interesse esclusivo per la cura dei suoi propri interessi individuali, ma homo
sapiens, ossia un uomo che riconosce quale valore etico principale la dimensione
inalienabile della dignità umana, fondamento di diritti universalmente riconosciuti.
         L’etica globale mondiale può allora essere riassunta in una semplice norma
enunciata da Confucio cinquecento anni prima di Cristo: “non fare agli altri ciò che non
vuoi sia fatto a te”.
In conclusione è peraltro necessario ribadire che una condotta di consumi
spregiudicati quale quella cui si è assistito negli ultimi tre decenni non è più
pensabile.
        Le risorse della Terra sono, ancorchè molto grandi, limitate. L’energia, a meno
di non riuscire a catturare sul serio l’energia solare (che in definitiva è ancora quella
che viene immagazzinata in quella fossile), non può essere consumata ai ritmi attuali a
meno di non creare un ambiente veramente ostile per i nostri figli.
        Basterebbe per un attimo riflettere sul fatto che nei prossimi anni cinesi e
indiani costruiranno molte centinaia di centrali a carbone per rendersi conto delle
dimensioni del problema energetico, al di là di tanti discorsi, alcuni dei quali quanto
mai confusi sulla natura, sul ruolo e sulla possibile produzione di energia.
        E tra le risorse non c’è solo l’energia ma ci sono anche l’acqua, l’agricoltura,
il paesaggio, il mare, il mondo degli animali, ossia la Natura.

         Impoverire la Natura è perfettamente equivalente, da un punto di vista etico, a
quell’impoverimento economico delle generazioni a venire che viene attualmente
generato da crescente indebitamento di nazioni, di imprese e di singoli.
         Esiste un’impronta ecologica, la quale è un puro indice statistico che mette in
relazione il consumo umano di risorse naturali con la capacità della Terra di
rigenerarle. Dovrebbe a questo punto esistere anche un’impronta finanziaria, da
coniugare con la precedente, per misurare globalmente il danno che verrà apportato
alle generazioni future se non si adotta una cultura e quindi un modello di civiltà
meno aggressivo.
         Circa trent’anni fa, apparve negli Stati Uniti uno straordinario libro,
Overshoot, scritto da un professore universitario, William Catton. Si potrebbe tradurre
il titolo in Esagerazione.
         Il libro è straordinario perchè già nel 1982 prevedeva perfettamente cosa
sarebbe potuto accadere. Il libro non è mai stato tradotto in altre lingue, e fino a
qualche anno fa era pressochè sconosciuto anche negli USA. Basterebbe controllare i
commenti entusiastici dei lettori del sito Amazon.com per verificare che in sostanza
anche gli americani hanno cominciato a leggere questo libro solo negli ultimi 6-7
anni.
         Ciò deve indurre a una riflessione. L’aggressività dell’economia attuale è
certamente figlia di quel Mito della frontiera cui si era accennato in precedenza:
all’Ovest c’è sempre una nuova terra da scoprire e da conquistare.
         In un’ottica di coraggioso liberalismo, che si accompagna a un profondo
sentimento di religiosità e di responsabilità individuale, come già ampiamente
indagato dal Max Weber ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, gli
americani si sono progressivamente spinti verso una società dai consumi esasperati,
ma al tempo stesso fondamentalmente democratica.
         Il punto, ed è qui che l’analisi di Polanyi ha forse colpito nel segno, è che
esiste un sottile paradosso tra liberismo e società. Ed è in virtù di questo paradosso
che l’economia è come scappata di mano.
         Per offrire alle generazioni future, e soprattutto ai nostri figli, una Terra più
vivibile occorre ora sapersi impoverire materialmente, ma arricchire spiritualmente.
         Impoverirsi non vuol dire miseria, ma vuol dire rinunciare a una cultura
dell’eccesso, dello spreco, del consumismo sfrenato. Il singolo voto sembra non
contare nulla in una votazione politica, eppure la vittoria di un partito o di un
candidato discende dalla somma dei singoli voti. In egual modo solo dalla somma dei
singoli comportamenti potrà nascere una civiltà più equilibrata nelle aspirazioni e nei
consumi; come naturalmente anche dal concorso di più generali iniziative assunte da
Stati e imprese
         E’ evidente che non basteranno anni per creare un simile scenario. Troppi
rivolgimenti di varia natura sono in atto in punti diversi del pianeta e troppe culture,
anche locali si contrappongono. Ma occorre iniziare e soprattutto occorre rendersi
conto che tanto vale iniziare da subito.
         E’ sufficiente un singolo gesto per avviare una nuova società: quello, per
esempio, di non gettare i mozziconi di sigaretta per terra. Eppure basta girare per una
strada di Roma e osservare i passanti per rendersi conto di quanto sia ancora lontana
la città ideale, quella di cui parlava Calvino nella conclusione di Le città invisibili.
         Innumerevoli piccoli gesti conducono a grandi risultati in ogni settore della
società. L’economia è solo un aspetto delle tante dimensioni culturali e sociali
dell’uomo e dipende da quasi tutte queste dimensioni.

        É un progetto che si scontrerà certamente con gli egoismi e le ambizioni,
persino biologiche, individuali. Ma homo sapiens è anche un animale culturale e
sociale. Dall’attuale dimensione della nevrosi economica dovrà sapersi muovere verso
un rapporto infinitamente più equilibrato con se stesso, con gli altri, e con la Natura.
        Non esiste un’alternativa.



                                                      “E apertamente dedicai il cuore alla
                                             terra grave e sofferente, e spesso, nella notte
                                             sacra, promisi d’amarla fedelmente fino alla
                                             morte, senza paura, col suo greve carico di
                                             fatalità, e di non spregiare alcuno dei suoi
                                             enigmi. Così, m’avvinsi ad essa di un
                                             vincolo mortale.”
                                             Holderlin, La morte di Empedocle
Possibilità economiche per i nostri figli

Weitere ähnliche Inhalte

Andere mochten auch

Offerta Cloud per le piccole e medie imprese
Offerta Cloud per le piccole e medie impreseOfferta Cloud per le piccole e medie imprese
Offerta Cloud per le piccole e medie impreseInnocenti Andrea
 
Software + Services Microsoft
Software + Services MicrosoftSoftware + Services Microsoft
Software + Services MicrosoftInnocenti Andrea
 
XIII Forum Pluribus Ernesto Hofmann
XIII Forum Pluribus Ernesto HofmannXIII Forum Pluribus Ernesto Hofmann
XIII Forum Pluribus Ernesto HofmannInnocenti Andrea
 
Distretti industriali ed ICT
Distretti industriali ed ICTDistretti industriali ed ICT
Distretti industriali ed ICTInnocenti Andrea
 
Google sigla convivium 2013
Google sigla convivium 2013Google sigla convivium 2013
Google sigla convivium 2013Innocenti Andrea
 
Presentazione SIGLA CONVIVIUM 2012
Presentazione SIGLA CONVIVIUM 2012Presentazione SIGLA CONVIVIUM 2012
Presentazione SIGLA CONVIVIUM 2012Innocenti Andrea
 

Andere mochten auch (9)

Offerta Cloud per le piccole e medie imprese
Offerta Cloud per le piccole e medie impreseOfferta Cloud per le piccole e medie imprese
Offerta Cloud per le piccole e medie imprese
 
Software + Services Microsoft
Software + Services MicrosoftSoftware + Services Microsoft
Software + Services Microsoft
 
XIII Forum Pluribus Ernesto Hofmann
XIII Forum Pluribus Ernesto HofmannXIII Forum Pluribus Ernesto Hofmann
XIII Forum Pluribus Ernesto Hofmann
 
Coriani parte 1
Coriani parte 1Coriani parte 1
Coriani parte 1
 
Windows Azure Platform
Windows Azure PlatformWindows Azure Platform
Windows Azure Platform
 
Distretti industriali ed ICT
Distretti industriali ed ICTDistretti industriali ed ICT
Distretti industriali ed ICT
 
SIGLA Ultimate
SIGLA UltimateSIGLA Ultimate
SIGLA Ultimate
 
Google sigla convivium 2013
Google sigla convivium 2013Google sigla convivium 2013
Google sigla convivium 2013
 
Presentazione SIGLA CONVIVIUM 2012
Presentazione SIGLA CONVIVIUM 2012Presentazione SIGLA CONVIVIUM 2012
Presentazione SIGLA CONVIVIUM 2012
 

Ähnlich wie Possibilità economiche per i nostri figli

Morandi e art.1
Morandi e art.1Morandi e art.1
Morandi e art.1gnaffetto
 
Salerno laboratorio di scuola politica salerno PARTE 2
Salerno laboratorio di scuola politica salerno PARTE 2Salerno laboratorio di scuola politica salerno PARTE 2
Salerno laboratorio di scuola politica salerno PARTE 2Giuseppe Carpentieri
 
Charlie hebdo le nuove regole morali planetarie-7 gennaio 2015
Charlie hebdo  le nuove regole morali planetarie-7 gennaio 2015Charlie hebdo  le nuove regole morali planetarie-7 gennaio 2015
Charlie hebdo le nuove regole morali planetarie-7 gennaio 2015Epistema
 
Il libro nero dell’alta velocità capitolo 7 – la tangentopoli dello stato pos...
Il libro nero dell’alta velocità capitolo 7 – la tangentopoli dello stato pos...Il libro nero dell’alta velocità capitolo 7 – la tangentopoli dello stato pos...
Il libro nero dell’alta velocità capitolo 7 – la tangentopoli dello stato pos...ilfattoquotidiano.it
 
Avviso ai naviganti
Avviso ai navigantiAvviso ai naviganti
Avviso ai navigantiGio Case
 
Dalla caraitå alle teorie: un pò di chiarezza tra i concetti
Dalla caraitå alle teorie: un pò di chiarezza tra i concetti Dalla caraitå alle teorie: un pò di chiarezza tra i concetti
Dalla caraitå alle teorie: un pò di chiarezza tra i concetti Elena Giudice
 
Manifesto del doposviluppo Serge Latouche
Manifesto del doposviluppo Serge LatoucheManifesto del doposviluppo Serge Latouche
Manifesto del doposviluppo Serge LatoucheDecrescita FVG
 
Interazioni tra uomo, gruppo e beni comuni
Interazioni tra uomo, gruppo e beni comuniInterazioni tra uomo, gruppo e beni comuni
Interazioni tra uomo, gruppo e beni comuniMara Passuello
 
PERCORSO DI CITTADINANZA E COSTITUZIONE
PERCORSO DI CITTADINANZA E COSTITUZIONEPERCORSO DI CITTADINANZA E COSTITUZIONE
PERCORSO DI CITTADINANZA E COSTITUZIONEfilibertodicarlo
 
Sicurezza o libertà? Mediatizzazione e uso politico dell'insicurezza diffusa
Sicurezza o libertà? Mediatizzazione e uso politico dell'insicurezza diffusaSicurezza o libertà? Mediatizzazione e uso politico dell'insicurezza diffusa
Sicurezza o libertà? Mediatizzazione e uso politico dell'insicurezza diffusaEmiliano Martinelli
 
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12Antonio Panigalli
 
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12Antonio Panigalli
 

Ähnlich wie Possibilità economiche per i nostri figli (20)

Morandi e art.1
Morandi e art.1Morandi e art.1
Morandi e art.1
 
Riacciffiamo la luna
Riacciffiamo la lunaRiacciffiamo la luna
Riacciffiamo la luna
 
Salerno laboratorio di scuola politica salerno PARTE 2
Salerno laboratorio di scuola politica salerno PARTE 2Salerno laboratorio di scuola politica salerno PARTE 2
Salerno laboratorio di scuola politica salerno PARTE 2
 
Il Pensiero Sociale della Chiesa
Il Pensiero Sociale della  ChiesaIl Pensiero Sociale della  Chiesa
Il Pensiero Sociale della Chiesa
 
Charlie hebdo le nuove regole morali planetarie-7 gennaio 2015
Charlie hebdo  le nuove regole morali planetarie-7 gennaio 2015Charlie hebdo  le nuove regole morali planetarie-7 gennaio 2015
Charlie hebdo le nuove regole morali planetarie-7 gennaio 2015
 
Gaudium et spes
Gaudium et spesGaudium et spes
Gaudium et spes
 
Ticonzero news n. 67
Ticonzero news n. 67Ticonzero news n. 67
Ticonzero news n. 67
 
Ticonzero news n. 74
Ticonzero news n. 74Ticonzero news n. 74
Ticonzero news n. 74
 
Il libro nero dell’alta velocità capitolo 7 – la tangentopoli dello stato pos...
Il libro nero dell’alta velocità capitolo 7 – la tangentopoli dello stato pos...Il libro nero dell’alta velocità capitolo 7 – la tangentopoli dello stato pos...
Il libro nero dell’alta velocità capitolo 7 – la tangentopoli dello stato pos...
 
Declino o rinnovamento ?
Declino o rinnovamento ?Declino o rinnovamento ?
Declino o rinnovamento ?
 
Avviso ai naviganti
Avviso ai navigantiAvviso ai naviganti
Avviso ai naviganti
 
Avviso ai naviganti
Avviso ai navigantiAvviso ai naviganti
Avviso ai naviganti
 
Dalla caraitå alle teorie: un pò di chiarezza tra i concetti
Dalla caraitå alle teorie: un pò di chiarezza tra i concetti Dalla caraitå alle teorie: un pò di chiarezza tra i concetti
Dalla caraitå alle teorie: un pò di chiarezza tra i concetti
 
Manifesto del doposviluppo Serge Latouche
Manifesto del doposviluppo Serge LatoucheManifesto del doposviluppo Serge Latouche
Manifesto del doposviluppo Serge Latouche
 
Interazioni tra uomo, gruppo e beni comuni
Interazioni tra uomo, gruppo e beni comuniInterazioni tra uomo, gruppo e beni comuni
Interazioni tra uomo, gruppo e beni comuni
 
PERCORSO DI CITTADINANZA E COSTITUZIONE
PERCORSO DI CITTADINANZA E COSTITUZIONEPERCORSO DI CITTADINANZA E COSTITUZIONE
PERCORSO DI CITTADINANZA E COSTITUZIONE
 
Spirito Illuminismo
Spirito IlluminismoSpirito Illuminismo
Spirito Illuminismo
 
Sicurezza o libertà? Mediatizzazione e uso politico dell'insicurezza diffusa
Sicurezza o libertà? Mediatizzazione e uso politico dell'insicurezza diffusaSicurezza o libertà? Mediatizzazione e uso politico dell'insicurezza diffusa
Sicurezza o libertà? Mediatizzazione e uso politico dell'insicurezza diffusa
 
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12
 
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12
Antonio panigalli 12mesi-febbraio_12
 

Mehr von Innocenti Andrea

Sigla comunicazione liquidazioni iva
Sigla   comunicazione liquidazioni ivaSigla   comunicazione liquidazioni iva
Sigla comunicazione liquidazioni ivaInnocenti Andrea
 
Lettera alla Agenzia dell'entrate
Lettera alla Agenzia dell'entrateLettera alla Agenzia dell'entrate
Lettera alla Agenzia dell'entrateInnocenti Andrea
 
COMPUTER GROSS ITALIA ED ATTIVA
COMPUTER GROSS ITALIA ED ATTIVACOMPUTER GROSS ITALIA ED ATTIVA
COMPUTER GROSS ITALIA ED ATTIVAInnocenti Andrea
 
Relazione semestrale consolidata SESA 31 ottobre 2016
Relazione semestrale consolidata SESA  31 ottobre 2016Relazione semestrale consolidata SESA  31 ottobre 2016
Relazione semestrale consolidata SESA 31 ottobre 2016Innocenti Andrea
 
VAR GROUP S.P.A. CRESCE NEL BUSINESS DEI SERVIZI CLOUD SU PIATTAFORMA MICROSO...
VAR GROUP S.P.A. CRESCE NEL BUSINESS DEI SERVIZI CLOUD SU PIATTAFORMA MICROSO...VAR GROUP S.P.A. CRESCE NEL BUSINESS DEI SERVIZI CLOUD SU PIATTAFORMA MICROSO...
VAR GROUP S.P.A. CRESCE NEL BUSINESS DEI SERVIZI CLOUD SU PIATTAFORMA MICROSO...Innocenti Andrea
 
APPROVAZIONE DEL PROGETTO DI BILANCIO DI ESERCIZIO E CONSOLIDATO AL 30 APRILE...
APPROVAZIONE DEL PROGETTO DI BILANCIO DI ESERCIZIO E CONSOLIDATO AL 30 APRILE...APPROVAZIONE DEL PROGETTO DI BILANCIO DI ESERCIZIO E CONSOLIDATO AL 30 APRILE...
APPROVAZIONE DEL PROGETTO DI BILANCIO DI ESERCIZIO E CONSOLIDATO AL 30 APRILE...Innocenti Andrea
 
Comunicazione fusione per incorporazione di Sigla Center S.r.l. in Delta Phi ...
Comunicazione fusione per incorporazione di Sigla Center S.r.l. in Delta Phi ...Comunicazione fusione per incorporazione di Sigla Center S.r.l. in Delta Phi ...
Comunicazione fusione per incorporazione di Sigla Center S.r.l. in Delta Phi ...Innocenti Andrea
 
Super ammortamento al 140 %
Super ammortamento al 140 %Super ammortamento al 140 %
Super ammortamento al 140 %Innocenti Andrea
 
Relazione semestrale consolidata Sesa 31 ottobre 2015
Relazione semestrale consolidata Sesa 31 ottobre 2015Relazione semestrale consolidata Sesa 31 ottobre 2015
Relazione semestrale consolidata Sesa 31 ottobre 2015Innocenti Andrea
 
ACQUISIZIONE DI UNA QUOTA DI PARTECIPAZIONE DI CONTROLLO NEL CAPITALE DI APRA...
ACQUISIZIONE DI UNA QUOTA DI PARTECIPAZIONE DI CONTROLLO NEL CAPITALE DI APRA...ACQUISIZIONE DI UNA QUOTA DI PARTECIPAZIONE DI CONTROLLO NEL CAPITALE DI APRA...
ACQUISIZIONE DI UNA QUOTA DI PARTECIPAZIONE DI CONTROLLO NEL CAPITALE DI APRA...Innocenti Andrea
 
Caso di successo: Empoli FC e SIGLA Ultimate
Caso di successo: Empoli FC e SIGLA UltimateCaso di successo: Empoli FC e SIGLA Ultimate
Caso di successo: Empoli FC e SIGLA UltimateInnocenti Andrea
 
mySIGLA il nuovo portale di SIGLA in cloud
mySIGLA il nuovo portale di SIGLA in cloudmySIGLA il nuovo portale di SIGLA in cloud
mySIGLA il nuovo portale di SIGLA in cloudInnocenti Andrea
 
Certificazione unica 2015, modello e specifiche pubblicate nei tempi Niente s...
Certificazione unica 2015, modello e specifiche pubblicate nei tempi Niente s...Certificazione unica 2015, modello e specifiche pubblicate nei tempi Niente s...
Certificazione unica 2015, modello e specifiche pubblicate nei tempi Niente s...Innocenti Andrea
 
Sesa, arriva il via libera di borsa italiana allo sbarco sullo Star
Sesa, arriva il via libera di borsa italiana allo sbarco sullo StarSesa, arriva il via libera di borsa italiana allo sbarco sullo Star
Sesa, arriva il via libera di borsa italiana allo sbarco sullo StarInnocenti Andrea
 
SESA S.P.A. DAL 16 FEBBRAIO 2015 ENTRA NEL SEGMENTO STAR DEL MERCATO TELEMATI...
SESA S.P.A. DAL 16 FEBBRAIO 2015 ENTRA NEL SEGMENTO STAR DEL MERCATO TELEMATI...SESA S.P.A. DAL 16 FEBBRAIO 2015 ENTRA NEL SEGMENTO STAR DEL MERCATO TELEMATI...
SESA S.P.A. DAL 16 FEBBRAIO 2015 ENTRA NEL SEGMENTO STAR DEL MERCATO TELEMATI...Innocenti Andrea
 
La nuova onda della Digital Innovation
La nuova onda della Digital InnovationLa nuova onda della Digital Innovation
La nuova onda della Digital InnovationInnocenti Andrea
 

Mehr von Innocenti Andrea (20)

Cos 14072017 cda
Cos 14072017 cdaCos 14072017 cda
Cos 14072017 cda
 
Sigla comunicazione liquidazioni iva
Sigla   comunicazione liquidazioni ivaSigla   comunicazione liquidazioni iva
Sigla comunicazione liquidazioni iva
 
Lettera alla Agenzia dell'entrate
Lettera alla Agenzia dell'entrateLettera alla Agenzia dell'entrate
Lettera alla Agenzia dell'entrate
 
COMPUTER GROSS ITALIA ED ATTIVA
COMPUTER GROSS ITALIA ED ATTIVACOMPUTER GROSS ITALIA ED ATTIVA
COMPUTER GROSS ITALIA ED ATTIVA
 
Relazione semestrale consolidata SESA 31 ottobre 2016
Relazione semestrale consolidata SESA  31 ottobre 2016Relazione semestrale consolidata SESA  31 ottobre 2016
Relazione semestrale consolidata SESA 31 ottobre 2016
 
VAR GROUP S.P.A. CRESCE NEL BUSINESS DEI SERVIZI CLOUD SU PIATTAFORMA MICROSO...
VAR GROUP S.P.A. CRESCE NEL BUSINESS DEI SERVIZI CLOUD SU PIATTAFORMA MICROSO...VAR GROUP S.P.A. CRESCE NEL BUSINESS DEI SERVIZI CLOUD SU PIATTAFORMA MICROSO...
VAR GROUP S.P.A. CRESCE NEL BUSINESS DEI SERVIZI CLOUD SU PIATTAFORMA MICROSO...
 
APPROVAZIONE DEL PROGETTO DI BILANCIO DI ESERCIZIO E CONSOLIDATO AL 30 APRILE...
APPROVAZIONE DEL PROGETTO DI BILANCIO DI ESERCIZIO E CONSOLIDATO AL 30 APRILE...APPROVAZIONE DEL PROGETTO DI BILANCIO DI ESERCIZIO E CONSOLIDATO AL 30 APRILE...
APPROVAZIONE DEL PROGETTO DI BILANCIO DI ESERCIZIO E CONSOLIDATO AL 30 APRILE...
 
Comunicazione fusione per incorporazione di Sigla Center S.r.l. in Delta Phi ...
Comunicazione fusione per incorporazione di Sigla Center S.r.l. in Delta Phi ...Comunicazione fusione per incorporazione di Sigla Center S.r.l. in Delta Phi ...
Comunicazione fusione per incorporazione di Sigla Center S.r.l. in Delta Phi ...
 
Spesometro 2016
Spesometro 2016Spesometro 2016
Spesometro 2016
 
Super ammortamento al 140 %
Super ammortamento al 140 %Super ammortamento al 140 %
Super ammortamento al 140 %
 
Relazione semestrale consolidata Sesa 31 ottobre 2015
Relazione semestrale consolidata Sesa 31 ottobre 2015Relazione semestrale consolidata Sesa 31 ottobre 2015
Relazione semestrale consolidata Sesa 31 ottobre 2015
 
ACQUISIZIONE DI UNA QUOTA DI PARTECIPAZIONE DI CONTROLLO NEL CAPITALE DI APRA...
ACQUISIZIONE DI UNA QUOTA DI PARTECIPAZIONE DI CONTROLLO NEL CAPITALE DI APRA...ACQUISIZIONE DI UNA QUOTA DI PARTECIPAZIONE DI CONTROLLO NEL CAPITALE DI APRA...
ACQUISIZIONE DI UNA QUOTA DI PARTECIPAZIONE DI CONTROLLO NEL CAPITALE DI APRA...
 
Caso di successo: Empoli FC e SIGLA Ultimate
Caso di successo: Empoli FC e SIGLA UltimateCaso di successo: Empoli FC e SIGLA Ultimate
Caso di successo: Empoli FC e SIGLA Ultimate
 
mySIGLA il nuovo portale di SIGLA in cloud
mySIGLA il nuovo portale di SIGLA in cloudmySIGLA il nuovo portale di SIGLA in cloud
mySIGLA il nuovo portale di SIGLA in cloud
 
Certificazione unica 2015, modello e specifiche pubblicate nei tempi Niente s...
Certificazione unica 2015, modello e specifiche pubblicate nei tempi Niente s...Certificazione unica 2015, modello e specifiche pubblicate nei tempi Niente s...
Certificazione unica 2015, modello e specifiche pubblicate nei tempi Niente s...
 
Split payment
Split paymentSplit payment
Split payment
 
Sesa, arriva il via libera di borsa italiana allo sbarco sullo Star
Sesa, arriva il via libera di borsa italiana allo sbarco sullo StarSesa, arriva il via libera di borsa italiana allo sbarco sullo Star
Sesa, arriva il via libera di borsa italiana allo sbarco sullo Star
 
SESA S.P.A. DAL 16 FEBBRAIO 2015 ENTRA NEL SEGMENTO STAR DEL MERCATO TELEMATI...
SESA S.P.A. DAL 16 FEBBRAIO 2015 ENTRA NEL SEGMENTO STAR DEL MERCATO TELEMATI...SESA S.P.A. DAL 16 FEBBRAIO 2015 ENTRA NEL SEGMENTO STAR DEL MERCATO TELEMATI...
SESA S.P.A. DAL 16 FEBBRAIO 2015 ENTRA NEL SEGMENTO STAR DEL MERCATO TELEMATI...
 
Semestrale gruppo Sesa
Semestrale gruppo SesaSemestrale gruppo Sesa
Semestrale gruppo Sesa
 
La nuova onda della Digital Innovation
La nuova onda della Digital InnovationLa nuova onda della Digital Innovation
La nuova onda della Digital Innovation
 

Possibilità economiche per i nostri figli

  • 2. premessa Per comprendere la natura dell’attuale crisi economica riteniamo che occorra inquadrarla in una cornice di riferimento che sia la più ampia possibile. Ciò è necessario perchè pensiamo che questa crisi dipenda dal concorso e dall’interazione delle quattro fondamentali componenti dell’odierna società umana che sono la religione, la tecnologia, la politica e l’economia. Per ciascuna di esse cercheremo di individuarne l’etimologia al fine di averne ben chiara la natura. Si vedrà anche come ognuna di esse presenti un’intima contraddizione che indica la simultanea presenza di due realtà conflittuali. La profondità dell’attuale crisi discende secondo noi anche dall’intersezione di queste quattro contraddizioni. La premessa che segueè quanto mai semplificata e il suo scopo è esclusivamente quello di essere, oltre che uno stimolo alla riflessione personale, un’introduzione alla successiva più approfondita analisi. - la religione Tra le innumerevoli etimologie della parola religione ci sembra che la più significativa (soprattutto in termini linguistici) sia quella che Cicerone dette ne La natura divina (Libro II, 72) : “…coloro che trascorrevano le intere giornate a pregare e a far sacrifici perché i loro figli sopravvivessero, perché fossero cioè dei « superstiti », furono detti « superstiziosi »,... coloro invece che riconsideravano e, per così dire, « rileggevano » tutte le pratiche del culto furono detti religiosi dal verbo rélegere così come elegantes deriva da eligere, diligentes da diligere e intellegentes da intellegere…”. Di cosa si occupa la religione? Dell’individuo e del ruolo di quest’ultimo nel mondo nel quale vive. La religione intende trascendere le contingenze della vita per dare all’uomo una dimensione meno soggetta alla casualità della vita stessa. La religione, e il senso del sacro, sono probabilmente connaturati nella stessa natura umana, indipendentemente dal fatto che si creda o meno, nel senso banale o riduttivo che può avere quest’ultima frase. La finalità della religione è il governo delle anime. La società Occidentale con l’avvento del Cristianesimo ha sviluppato un senso di unicità della persona umana che conferisce a quest’ultima un valore originale e inalienabile: la libertà individuale. Ma nel mondo c’è il male e ovunque si guardi si riconosce la sofferenza umana. L’unicità del dio cristiano è proprio nell’essersi fatto persona e quindi aver accettato anche per sè la sofferenza e la morte. Nella religione Cristiana c’è tuttavia una sottile contraddizione: se l’uomo è libero è libero anche di peccare. E l’uomo tende a peccare. Ma perchè ? Il mondo protestante, nato dopo lo scisma di Lutero e Calvino, ha risposto che la causa della fragilità umana è soprattutto la miseria. Bisogna lottare contro la miseria e creare una forte economia per migliorare la vita e peccare di meno. Poco alla volta l’economia e la religione hanno cominciato così a convergere verso un comune sentire e non ci può quindi stupire che siano apparsi economisti quali Adam Smith, John Mill, Karl Marx e Robert Owen, che in un certo senso sembravano anch’essi dei profeti. - la tecnologia Tecnologia è una parola nata dalla fusione di due termini: technè e loghia. Technè è una parola sfuggente, usata già da Eschilo nel Prometeo incatenato (254 e
  • 3. segg.) :” E oltre a questo ho dato loro il fuoco,.., dal quale essi hanno imparato molte tecniche… (pollas technas)”. Tecnica vuol dire genericamente un insieme di regole da applicare nell’esercizio di un’attività intellettiva o manuale. Ma, come esiste una “loghia” dell’anima (la psicologia), o una “loghia” della società (la sociologia) serve una “loghia” della technè: una tecnologia. La tecnologia, poi, non è sempre la figlia della scienza, come talora si è sostenuto, ma anzi storicamente l’ha spesso preceduta. L’uomo ha imparato a fare ancor prima di comprendere e ha così costruito la macchina a vapore prima ancora di comprendere i principi della termodinamica, dando così inizio alla Rivoluzione Industriale. Di cosa si occupa la tecnologia? Di eliminare la fatica dell’uomo. In questo senso, e solo in questo, la finalità della tecnologia è il progresso, per quello che questo termine così ambiguo vuol significare. Ma anche qui si nasconde una contraddizione. Infatti per utilizzare le machine, quali che esse siano, bisogna saperle usare. La macchina riduce la fatica e apre nuove prospettive. Ma, in questo passaggio da un mondo naturale a un mondo artificiale a chi non ha le machine, o a chi non le sa sa usarle, non resta quasi nulla da poter offrire. La tecnologia che doveva creare progresso quindi può in realtà creare forti disuguaglianze. Pochi ben preparati saranno sempre più efficienti (e ricchi) mentre una moltitudine di persone non qualificate dovrà lottare per sopravvivere. - la politica La prima definizione di politica risale ad Aristotele che nella Politica scrisse (1253 a) “…da queste considerazioni è evidente che lo Stato è un prodotto naturale e che l’uomo per natura è un essere socievole (politicon zoon)”. Ma Platone era stato persino più sottile di Aristotele e nel Protagora (321 E) aveva detto :”All’uomo fu concessa in tal modo la perizia tecnica necessaria per la vita, ma non la virtù politica. Questa si trovava presso Zeus, e a Prometeo non era più possibile accedere all’Acropoli, la dimora di Zeus, protetta da temibili guardie. …la perizia pratica era di aiuto sufficiente per procurarsi il cibo, ma era inadeguata… Zeus dunque, temendo che la nostra specie si estinguesse del tutto, inviò Ermes per portare agli uomini rispetto e giustizia…”. La politica si occupa quindi del governo degli uomini e a questo scopo emana regole e norme e pianifica strategie. La sua finalità è quindi proprio quello di favorire la comunità alla quale inerisce. Dovrebbe quindi proteggere i singoli, alleviare le diseguaglianze, favorire i più deboli, e in sostanza assicurare il benessere generale della comunità. Ma anche nella politica è latente una contraddizione che in un certo senso ricorda quella della religione. Lo stato che pensa solo in termini di se stesso finisce col diventare autoritario, mentre un eccesso di liberismo può sfociare nell’anarchia. E nella politica può essere insita una volontà di potenza che porta una comunità a voler prevalere su altre con conseguenze in generale deleterie. - l’economia Ancora Aristotele ci fornisce una definizione di economia nel suo Trattato sull’economia (1343 a): “…L’amministrazione domestica (oikovomichè) e la politica differiscono non solo quanto famiglia e stato…”; da cui si comprende che egli aveva in
  • 4. mente l’utilizzo di scarse risorse, mentre successivamente il termine si è esteso a un’intera comunità, per quanto grande sia quest’ultima. L’economia si occupa quindi dell’amministrazione delle risorse di una comunità e la sua finalità è proprio quella di mantenere o accrescere il benessere di quella comunità. Fin quando la comunità umana si è evoluta più o meno in accordo con i ritmi e i meccanismi della natura c’è stato un certo equilibrio tra economia e società. Ma da un paio di secoli sembra essere apparsa un’ulteriore contraddizione. Come ha per primo osservato Karl Polanyi, con la Rivoluzione Industriale e la cosiddetta economia di mercato (La grande trasformazione, Capitolo V): "…Non è più l’economia a essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali a essere inseriti nel sistema economico…. La società deve essere formata in modo da permettere a questo sistema di funzionare secondo le proprie leggi". In sostanza dopo la Rivoluzione Industriale, secondo Polanyi, non è l’uomo che fa l’economia, ma è quest’ultima che determina il comportamento dell’uomo. - l’intersezione delle contraddizioni e l’attuale crisi Si è detto quindi che in ciascuna delle quattro fondamentali componenti dell’attuale società umana è insita una sostanziale contraddizione. A ciò occorre aggiungere tre fenomeni concorrenti che sono la sovrappopolazione, l’invecchiamento e la necessità di energia, fenomeni che tuttavia non hanno realmente concorso all’attuale crisi economica. Quest’ultima sembra piuttosto determinata, in estrema sintesi, sia da una confusione di ruoli sia da attriti tra le quattro componenti. Da alcuni decenni la cosiddetta tettonica delle placche è il modello su cui si fonda la dinamica della Terra, modello che sembra in grado di spiegare, in maniera integrata e con conclusioni interdisciplinari, la natura dei terremoti. Con un’azzardata metafora, proprio quella del terremoto, si può forse intuire che l’attuale crisi economica sia dovuta anch’essa alle collisioni tra le componenti della società, quasi anch’esse fossero delle placche tettoniche. C’è stato innanzitutto uno scontro tra le placche della tecnologia e dell’economia, soprattutto negli USA. La tecnologia (e con essa la globalizzazione) ha cambiato le carte in tavola distruggendo posti di lavoro: milioni di lavoratori dei paesi industralizzati si sono dovuti mettere in competizione con un numero molto maggiore di lavoratori dei paesi emergenti poco pagati e senza diritti. Ciò ha finito per creare forti disuguaglianze economiche in paesi come USA e UK con l’impoverimento di un’ampia fascia di lavoratori. Allora è subentrato un ulteriore attrito tra la placca dell’ economia e quella della politica. Negli USA e in UK i politici, invece di migliorare la competitività industriale delle loro nazioni, hanno creduto che la soluzione fosse quella di fornire denaro a basso costo a chi (pur non potendolo fare) volesse acquistare una casa: cioè patrimonio a debito contro reddito. E il denaro è arrivato sotto forma di obbligazioni finanziare di varia natura, abilmente costruite intorno ai mutui erogati dalle banche di USA e UK, e acquistate da cittadini e istituzioni di paesi come la Cina e la Germania dove la decisione politica era invece quella di puntare al massimo sull’industrializzazione e sull’esportazione, piuttosto che sui mercati interni, e quindi di creare liquidità da investire.
  • 5. Come si può facilmente intuire questa confusione di ruolo tra politica ed economia ha portato a forti contrasti e distorsioni negli equilibri esistenti tra le varie placche tecnologiche, economiche e politiche. Il terremoto finanziario del 2008 era quindi prevedibile. Alcuni ritengono la moneta un non senso, una semplice convenzione legale, senz’alcun fondamento in natura, perchè, cambiato l’accordo tra quelli che se ne servono, non ha più valore alcuno e non è più utile per alcuna delle necessità della vita, e un uomo ricco di denari può spesso mancare del cibo necessario… Aristotele, Politica I (A), 9, 1257b La grande depressione, ovvero la crisi del 1929, viene tuttora considerata la più grande crisi economica del Novecento e spesso viene usata come termine di paragone per valutare l’entita delle crisi successive. Intorno al 1929 la domanda interna americana era fortemente diminuita e una conseguente crisi di sovrapproduzione iniziò a colpire le principali industrie e le attività agricole. Dopo diverse settimane di oscillazioni il 24 ottobre 1929 - il cosiddetto “giovedì nero” - tredici milioni di azioni vennero vendute a prezzi irrisori. Salvo brevi periodi di ripresa, il ribasso continuò fino all'8 luglio 1932. Poco prima di questa crisi, nel 1928, il grande economista inglese John Maynard Keynes aveva parlato di fronte a un gruppo di studenti a Cambridge affrontando un tema che avrebbe ripreso a Madrid nel 1930, per poi darlo alle stampe nel 1931 col titolo Possibilità economiche per i nostri nipoti. Il saggio si apriva con alcune affermazioni che sembravano preludere alla crisi imminente, ma che sono interessanti anche a fronte dell’attuale crisi economica: “ Negli ultimi tempi ci troviamo a soffrire di una forma particolarmente virulenta di pessimismo economico. E’ opinione comune, o quasi, che l’enorme progresso economico che ha segnato l’Ottocento sia finito per sempre; che il rapido miglioramento del tenore di vita abbia imboccato, almeno in Inghilterra, una parabola discendente; e che per il prossimo decennio ci si debba aspettare non un incremento, ma un declino della prosperità…. La fase di assestamento fra un periodo economico e l'altro non è mai indolore. La tecnica ha progredito talmente in fretta da non consentire un adeguato riassorbimento della forza lavoro; il miglioramento del tenore di vita è stato persino troppo rapido…” In realtà le conclusioni del breve discorso di Keynes erano comunque ottimistiche: “…si tratta di uno scompenso temporaneo. Nel lungo periodo l’umanità è destinata a risolvere tutti i problemi di natura economica. Mi spingo a prevedere che di qui a cento anni il tenore di vita nei Paesi avanzati sarà fra le quattro e le otto volte superiore a quello attuale….” E’ proprio tale ottimismo che deve far riflettere sull’attuale crisi economica che forse è ancora più profonda di quella del 1929 perchè quest’ultima è probabilmente di natura strutturale. Si è più volte indicata la crisi dei mutui subprime come la causa della crisi attuale, ma ciò forse non è vero. A nostro parere è come confondere la febbre con la malattia. I mutui subprime, così come la rapida industrializzazione di India e Cina, la
  • 6. crescente globalizzazione e la distruzione creativa dei posti di lavoro causata dalla tecnologia informatica, sono piuttosto manifestazioni che non cause di un malfunzionamento dell’economia insito nella sua stessa attuale struttura. In termini molto generali l’economia è quella disciplina che studia la gestione delle risorse per soddisfare necessità individuali e collettive. In realtà l’economia ha anche ambizioni previsionali in quanto si propone di pronosticare quali possano essere in futuro le possibilità della comunità umana che si vale di quel tipo di economia. Gli economisti tuttavia tendono, in generale, a occuparsi piuttosto degli aspetti tecnici, certamente sempre più complessi al crescere delle comunità, che non degli aspetti sociali e storici di quelle stessa comunità. L’economia peraltro si evolve come si evolvono le diverse comunità umane, e quindi per essere compresa deve essere collocata in un contesto evolutivo che possa aiutare a capire fenomeni che potrebbero risultare di difficile comprensione se considerati esclusivamente nell’ambito tecnico. Per individuare la natura dell’attuale crisi economica, le cui dimensioni e i cui effetti non sono ancora pienamente valutabili, può allora essere utile cercare di capire come si sia arrivati a fruire, quasi su scala mondiale, di un modello economico ormai diffuso presso le nazioni più evolute, un modello che in maniera molto semplificata si può anche definire come capitalistico. Questo modello, che è oggi ben più complesso di quel capitalismo cui si riferiva Karl Marx, si è affermato di fatto persino in Russia e Cina, ossia in nazioni che fino a pochi decenni erano le antesignane di un’economia di tipo comunista. economia e religione Sigmund Freud, in un saggio che può essere considerato il suo testamento spirituale (il disagio della civiltà, 1929), aveva affermato che: ” …il programma del principio di piacere stabilisce lo scopo dell’esistenza umana… gli uomini tendono alla felicità, vogliono diventare e rimanere felici”. Ma Freud aggiungeva anche che : ”…la sofferenza ci minaccia da tre parti: dal nostro corpo, destinato a deperire e a disfarsi,…dal mondo esterno che contro di noi può infierire con forze distruttive inesorabili… e infine dalle nostre relazioni con gli altri uomini”. In un certo senso Freud accennava al problema del male presente nel mondo, quasi insito in esso. E una simile convinzione è tipica di molte religioni, e in particolare del Cristianesimo. Il male, viene spesso visto secondo una concezione dualistica che fa discendere bene e male rispettivamente da una divinità buona e da una cattiva. Persino Platone affermava nelle Leggi che che esistono due anime, una che produce il bene e l'altra che produce il male:” … ponendo l’anima come causa di tutte le cose si finisce con l’attribuirle anche la causa del bene e del male… e si tratterà di un’anima sola o di una pluralità di anime? Ammettiamone almeno due: quella che è operatrice di bene e quella che, all’opposto, può operare il male” (Leggi, X 896 B-897 C) Platone peraltro negava che il male derivasse da Dio: la responsabilità dei vizi umani è interamente degli uomini. Un pensiero simile sarebbe stato riproposto da sant’Agostino, ma in maniera più complessa rispetto a Platone, perchè Agostino intuiva le difficoltà che nascono nel voler raccordare la libertà del volere umano con la prescienza di Dio, con i dogmi della grazia e della predestinazione, e in definitiva con il rapporto che esiste tra grazia e giustizia.
  • 7. Il tema verrà ripreso quasi mille anni dopo dal grande poeta John Milton che nel Paradiso perduto disegnerà un personaggio, Lucifero, che si staglia come una delle figure più straordinarie della poesia mondiale. Lucifero, l’angelo portatore di luce, era il più bello degli angeli ma era anche terribilmente orgoglioso. Già Dante lo aveva così descritto: “S'el fu sì bel com' elli è ora brutto, e contra 'l suo fattore alzò le ciglia, ben dee da lui procedere ogne lutto “ (Inferno, XXXIV, 34-36) Il giorno in cui Dio nominò il Figlio suo successore al potere, Lucifero si ribellò e riuscì a portare via con con sé un terzo degli angeli del Paradiso, abbandonando quest’ultimo e nascondendosi all’interno della Terra. Non è questa la sede nella quale affrontare un poema epico nel quale vengono affrontate sottili questioni teologiche, come il fato, la predestinazione, la Trinità… Ma il riferimento è significativo perchè il Paradiso Perduto, il peccato originale e il Redentore sono entità sorprendentemente presenti nei vari modelli economici che l’ Occidente ha costruito nel corso degli ultimi due secoli. In un simile schema è insito un meccanismo che dalla colpa originale, causa del male, cerca il riscatto verso una realtà ultraterrena, il Paradiso, che ricompenserà gli uomini del male terreno. L’uomo aveva maturato una simile sensibilità nel corso di alcuni millenni osservando la realtà della miseria e del lavoro umano. E non è casuale che nella cacciata dall’Eden Dio dica ad Adamo: “…col sudore del tuo volto mangerai il pane, finchè tornerai alla terra, perchè da essa sei stato tratto: infatti sei polvere e polvere ritornerai ” (Genesi, 3,19). E non c’è dubbio che l’uomo moderno (per moderno si intenda l’uomo delle grandi civiltà) si sia evoluto attraverso la comunità sociale e la produzione. Ma le disuguaglianze dei terreni acquisiti dai singoli, il miglioramento dei mezzi di produzione, le guerre di vario genere, hanno via via creato ineguaglianze sociali che alla lunga si sono cristallizzate tanto da generare continue lotte tra gruppi diversi anche nell’ambito di una stessa comunità. Dalla schiavitù alla servitù feudale, al lavoro sulla catena di montaggio, si è così assistito alla perenne presenza di disuguaglianze sociali. il paradosso della libertà Il fatto è che fin dall’inizio, l’economia come la religione, è fondata su di un paradosso che è quello della libertà. Nella religione se l’uomo è completamente libero è anche libero di fare il male, con conseguenze che ben si possono immaginare. La religione, concepita come collante sociale, è allora stata fondamentale nel mutare l’egocentrismo istintivo nell’ altruismo universale per mezzo di norme che potessero istituzionalizzare il reciproco rispetto tra gli individui di una comunità. E la religione è stata anche fondamentale per consentire all’uomo di razionalizzare il suo rapporto con il male, purtroppo così diffuso. Così per oltre un millennio il Cristianesimo ha plasmato e unificato la coscienza del mondo occidentale Poi sono arrivati il Rinascimento italiano, le prime forme di capitale create dalle nascenti banche italiane, la scienza e alla fine del Settecento l’industria. In questo stesso periodo il Cristianesimo si è frantumato in due grandi correnti, quella cattolica e quella protestante, che hanno guardato all’economia in modo molto diverso.
  • 8. Nella visione protestante di Lutero e Calvino l’uomo diventa più autonomo rispetto alla Chiesa e più responsabile individualmente, potendo accedere direttamente alle Sacre Scritture, ma dovendo anche contribuire in maniera più fattiva alla crescita economica della comunità cui appartiene. E questo perchè inizia a farsi strada l’idea che il male discenda dalla miseria e che l’uomo povero sia più fragile moralmente: se l’economia va meglio anche l’uomo è più buono. In sostanza occorre una forte economia per migliorare la vita e peccare di meno. Poco alla volta l’economia e la religione convergono così verso un comune sentire e non ci può quindi stupire che appaiano degli economisti che in un certo senso sembrano anch’essi dei profeti. i profeti dell’economia Con Adam Smith, e il suo “Saggio sulla ricchezza delle nazioni”, nasce probabilmente la scienza economica moderna che viene fondata sostanzialmente su di un’unica idea: l’apparente contrapposizione di interessi tra i tanti componenti di una società non genera un conflitto permanente, ma piuttosto si crea e si stabilizza una una situazione di equilibrio tra i reciproci interessi che genera un vantaggio generale per la comunità. Nella visione ottimistica di Adam Smith, l'equilibrio nato dalla contrapposizione di interessi personali rappresenta una condizione economica naturale, che può essere peggiorata dall'intervento di uno Stato che voglia regolamentare l'economia e limitare le libertà di commercio. Se il mercantilismo seicentesco, figlio delle repubbliche italiane, prevedeva l’intervento dello Stato, con Adam Smith nasceva un totale liberismo economico. Ognuno poteva perseguire i propri interessi perchè esisteva una mano invisibile che regolava la somma dei comportamenti egoistici individuali secondo il più generale interesse della collettività. Adam Smith aveva probabilmente derivato la sua mano invisibile dal terzo atto del Macbeth di Shakespeare, nel quale lo stesso Macbeth esclama :” Vieni notte che sigilli le palpebre. Fascia il tenero occhio pietoso, e con la mano sanguinaria e invisibile annulla e fà a pezzi il grande contratto che mi fa impallidire.” Se per un attimo si riflette sull’attuale situazione economica, nell’ambito di una visione liberista, ci si accorge che la mano invisibile è veramente sanguinaria, come dice Macbeth! Pochi decenni dopo la teoria di Smith veniva perfezionata da un altro grande profeta liberista, John Stuart Mill, che proponeva un’altra metafora di grande successo: quella del mulino. L’economia è come un grande mulino per il quale occorrono sia una forza naturale, come l’acqua o il vento, capace di produrre l'energia necessaria al funzionamento della macchina, sia un meccanismo in grado di trasformare l’energia stessa in lavoro, e quindi in ricchezza. L’energia umana presente in una società sarebbe inutile, e potenzialmente dannosa, se non fosse guidata e trasformata da un meccanismo sociale, determinato secondo le leggi dell'etica, capace di distribuire questa ricchezza e di trasformarla in ricchezza sociale. E all’incirca nello stesso periodo, di fronte ai grandi sacrifici imposti dalla prima industrializzazione che egli osservava in Inghilterra, il terzo grande profeta dell’economia, Karl Marx, arrivava ad affermare che il lavoro non è la fonte ma
  • 9. addirittura la ricchezza stessa. Secondo Marx l’elemento chiave dell’economia era la merce, ma quale prodotto dell’uomo. La merce non è altro che lavoro umano cristallizzato, e come tale è il fondamento di ogni economia. Marx paradossalmente era un vero e proprio profeta cristiano. Credeva nel progresso, nell’uguaglianza generale, in una società a venire che qualcuno ha scherzosamente definito il paradiso rosso. Il suo era un vero e proprio universo religioso in cui il Ggiudizio sarebbe stato rinviato a più tardi. Marx e il Paradiso in Terra Lo schema di Marx è abbastanza semplice. Il valore di una merce discende dalla quantità di lavoro che la produce. Ma se il capitalista riesce a impegnare il lavoratore più di quanto dovuto quello che acquisisce è un plusvalore che alla lunga arrichisce il primo e immiserisce il secondo. Il lavoro viene suddiviso mentre la necessità di nuove macchine industriali richiede ulteriori investimenti che finiscono col far sì che i piccoli capitalisti vengano assorbiti dai grandi. I profitti in parte vengono investiti in ulteriori macchine e in parte vanno ad aumentare la parte stabile del capitale e così ad arricchire i proprietari, e via dicendo. Alla fine resteranno solo pochi padroni e la classe dei lavoratori si potrà rivoltare contro di loro. Sarà possibile allora far nascere una società nella quale capitale e lavoro si potranno finalmente integrare in un modello superiore e più etico di produzione. La visione religiosa di Marx è così completa. Il male è nel modello economico, il redentore che deve soffrire ed essere crocifisso è il proletariato, ma il paradiso è alle porte. Marx non giustifica tuttavia la violenza. Anzi afferma con chiarezza che un fine che abbia bisogno di mezzi ingiusti non è un fine giusto; e la sua protesta contro i privilegi dei pochi non è affatto ingiustificata. Come i profeti Marx credeva che l’evoluzione dell’uomo fosse razionale e destinata al bene. Conosceva Darwin, ma non lo aveva ben compreso. Non si era reso conto dell’intima aggressività dell’uomo, ossia di ciò che Freud avrebbe indicato come una delle tre sofferenze dell’uomo. Credere che la storia dell’uomo potesse in breve tempo diventare razionale e morale è un po’ lo stesso errore che commettevano gli evangelisti quando promettevano il paradiso a venire in pochi anni. “In verità vi dico che non passerà questa generazione che tali cose non accadano” (Marco 13,30); “In verità vi dico che non passerà questa generazione prima che tutto avvenga” (Matteo 24, 34); “In verità vi dico che qui vi sono taluni i quali non moriranno prima di aver veduto il regno di Dio” (Luca, 9,26)… La Storia che, da tedesco qual era, Marx credeva dialettica gli ha finito col dare torto in diversi modi. Le nazioni nelle quali credeva che il suo modello economico si sarebbe affermato, e tra queste soprattutto la Germania, si sono rivelate restie a diventare comuniste. Invece di Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, che verranno assassinati, si affermerà un fascista, Adolf Hitler, con un modello economico nel quale il capitalismo verrà in un certo senso portato agli estremi eccessi perché esiste un unico capitalista e questo è lo Stato: ein Volk, ein Reich, ein Fuehrer. Il modello di Marx si affermerà invece in una paese, la Russia, nel quale proprio la formidabile base religiosa si prestava a una fede rivoluzionaria disposta a sacrificare l’oggi per un domani a venire. E così piuttosto che il Capitale di Marx il
  • 10. testo di riferimento sarebbe diventato Stato e Rivoluzione di Lenin. La socializzazione dei mezzi di produzione sarebbe durata un tempo indeterminato e sarebbe stata una sparuta classe di dirigenti a guidare l’economia e il popolo socialisti. Ma in realtà lo stesso modello capitalista si è evoluto perchè il capitalismo ha imparato a pianificarsi meglio, ha creato società per azioni, ha coinvolto lo Stato, si è servito dei progressi tecnologici per alleviare la fatica di certe attività, ha fatto nascere nuovi proprietari e nuove professioni, ha creato reti di imprese grandi e epiccole che lavorano in sinergia. dal Capitale al progressismo nordamericano Intanto negli Stati Uniti, alla fine dell’Ottocento, si affermava impetuosamente un protestantesimo imprenditoriale che enfatizzava anch’esso una forma di progresso economico in grado di condurre al paradiso, ma in tutt’altro modo. Gli economisti nordamericani pensavano che se prevaleva l’idea che il mercato fosse di per sè dannoso allora si sarebbe generata l’illusione che lo Stato fosse l’unica soluzione. Ma l’uno e l’altro sono creazioni dell’uomo e quindi naturalmente imperfette. Anche lo Stato può fallire, con enormi conseguenze quali la mancanza di libertà, di democrazia , di diritti civili, e l’apparizione di tiranni. Un’economia liberista offrirebbe invece grandi virtù, quali soprattutto il senso del rischio e della libertà individuale, e soprattutto della responsabilità. Gli economisti nordamericani, e tra loro soprattutto Richard T. Ely, si servirono anche di un'impostazione evoluzionistica per affermare che l'evoluzionismo liberale, per non cadere nella barbarie del dominio del più forte o nella lotta di classe, dovesse servirsi di istituzioni razionali affidate a esperti capaci di organizzare in modo efficiente i singoli comparti della vita sociale. In tal modo essi si rivelarono assai creativi e svilupparono teorie sociali che, abbandonando gradualmente il naturalismo biologico a favore di approcci psicosociologici, si dimostrarono in grado di misurarsi con le trasformazioni in corso e con gli aspetti potenzialmente pericolosi della lotta politica, ideando riforme tecnocratiche e solidaristiche che divennero tipiche del liberalismo nordamericano. Il contributo del più originale economista nordamericano di quel periodo, Thorstein Veblen, The theory of the leisure class, nacque nel 1899 da un'analisi quasi darwinistica del susseguirsi delle istituzioni economiche, susseguirsi determinato da interessi economici che si evolvevano in base ai principî della selezione naturale. Nasceva in quegli anni anche un sentimento della nazione americana che nell’immaginario collettivo avrebbe preso il nome di Mito della frontiera e che era intimamente legato al senso di progressismo protestante. Il Mito della frontiera rimase per decenni nell'immaginario di molti storici degli Stati uniti come l’ideale che determinava la formazione di un'identità americana. Tale mito era popolato di un insieme di ostacoli il cui progressivo superamento avrebbe contribuito a creare il carattere della Nazione. Il Mito della frontiera, e non la frontiera stessa, venne così a costituire l’essenza di una presa di coscienza della propria identità nordamericana. I cowboy e gli squadroni di cavalleria, la melodia irlandese Garry Owen che sarebbe diventata la marcia del Settimo cavalleggeri di tanti film, le innumerevoli tribù indiane, la devozione dei pastori che citavano a memoria la Bibbia, la brutalità dei cacciatori di pellicce o dei cercatori d'oro, vennero a costituire le diverse realtà sociali dell' Ovest
  • 11. nordamericano che, ancorchè selvaggio, era tuttora intriso di quella civiltà europea che idealmente si lasciava alle spalle. Una scena cinematografica tra tutte potrebbe riassumere questo sentimento. Nel capolavoro di John Ford, Sentieri selvaggi, che viene considerato oggi il miglior film western di tutti i tempi, si vede il protagonista Ethan (John Wayne), che ha appena riportato a casa la giovane Debbie che era stata rapita da una tribù indiana, allontanarsi da solo verso il deserto della Monument Valley nel controluce di una porta. La porta che si chiude alle sue spalle potrebbe rappresentare quasi il simbolo della separazione fra il mondo civile della casa e il mondo selvaggio che sta al di fuori, mentre in sottofondo si può udire una maliconica canzone: “A man will search his heart and soul; Go searchin' way out there; His peace of mind he knows he'll find; But where, oh Lord, Lord where? Ride away, ride away, ride away”. In un simile contesto etnie diverse e differenti realtà socioeconomiche si sarebbero dovute adattare a una reciproca accettazione, creando così una società nella quale le varie culture si sarebbero amalgamate nel creare la società nordamericana. dal progressismo alla crisi del 1929 Nel solco di questo pensare, fatto di progressismo tecnico-religioso e di senso di avventura, l’America costruiva intanto una prodigiosa tecnostruttura fatta di ferrovie, di elettricità, di grandi imprese come anche di una grande moltitudine di piccole officine che andavano a creare uno strato sociale intermedio. Un contributo determinante alla produttività dell’economia nordamericana venne da un ingegnere, Frederick Winslow Taylor, che osservando attentamente le attività di dirigenti e operai specializzati ritenne che esistesse un solo modo (one best way) per compiere una qualsiasi operazione. La teoria di Taylor prevedeva lo studio accurato dei singoli movimenti del lavoratore per poter ottimizzare il tempo di lavoro: nasceva la catena di montaggio. Henry Ford avrebbe fatto proprie le idee di Taylor creando la Ford Motor Company nella quale, ottimizzando la riduzione dei tempi di lavorazione, avrebbe prodotto su grande scala la Ford T, un’autovettura economica, semplice e disponibile solo nel colore nero, e soprattutto la prima ad essere prodotta su grande scala: dal 1908 al 1927 ne furono costruite 15 milioni di esemplari. Con Ford sembrava che il paradosso tra libertà imprenditoriale e principi di socialità venisse in gran parte attenuato. Ma era in agguato un’enorme crisi economica che sarebbe scoppiata nel 1929. dalla crisi del 1929 alla Seconda Guerra Mondiale Nel 1929, come apparentemente oggi, la grande crisi dei consumi aveva impoverito una gran parte della popolazione, soprattutto a causa di una crescente disoccupazione. Secondo Keynes la crisi economica del 1929 era dovuta ad un’insufficienza di domanda, da parte dei consumatori per i beni di consumo, e da parte delle imprese per i beni di investimento. Era stato, secondo Keynes, il basso livello della spesa per i consumi e per gli investimenti (da parte delle imprese) ad aver causato la crisi e l’allontanamento del sistema dalla piena occupazione. Occorreva un intervento dello Stato per uscire dalla crisi e per evitarla in futuro: manovra pubblica in grado di rialimentare la domanda
  • 12. sia dei consumatori sia quella delle imprese. Keynes pensava che la strategia migliore fosse quella di un’accorta politica fiscale e di un’altrettanto vivace politica di investimenti statali nella costruzione di opere pubbliche, nei servizi d’istruzione, di difesa, e di assistenza sanitaria. Attraverso la spesa pubblica lo Stato poteva aumentare la domanda complessiva di beni e quindi la conseguente ripresa dei consumi che avrebbe a sua volta spinto l’intero sistema verso il pieno impiego. Dopo crisi del 1929, il messaggio di Keynes era comunque abbastanza pessimistico ed esso sembra oggi ancor più attuale alla luce dell’odierna crisi economica. Keynes diceva infatti che: “… il capitalismo internazionale, eppure individualistico, nelle cui mani siamo finiti non è un successo. Non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso, non fornisce alcun bene…”. Sono parole amare ma forse profetiche. Quando dice ancora: …è opinione comune che il progresso economico sia finito per sempre; che il miglioramento della vita abbia imboccato una parabola discendente,..” sembra quasi riecheggiare il pessimismo di Oswald Spengler sul tramonto dell’Occidente. Eppure alcuni decenni dopo queste parole, e soprattutto dopo il trauma della Seconda Guerra Mondiale, il mondo sembrava aver ripreso la sua marcia verso un comune benessere e quindi aver smentito le profezie di Keynes. Ma non è facile ancor oggi comprendere quale ruolo abbia avuto la Seconda Guerra Mondiale nell’evoluzione dell’economia. Forse il testo più intrigante, ancorchè arduo, per comprendere come questa guerra abbia modificato il contesto dell’economia è un romanzo di Thomas Pynchon, L’arcobaleno della gravità, nel quale viene affrontata proprio la grande contraddizione di una guerra combattuta tra scoperte tecniche incredibili e aberrazioni inimmaginabili, come soprattutto l’Olocausto. La V2, l’arma di rappresaglia che i tedeschi lanciano a centinaia sull’Inghilterra, percorre un arco di cielo che sembra proprio un arcobaleno e diventa quasi l’emblema della rottura del patto con Dio. “Quindi Dio disse:…io pongo il mio arco nelle nubi e sarà il segno del patto fra me e la terra” (Genesi, 9,13). L'ultima guerra mondiale prelude alla rivoluzione elettronica di un’epoca protesa verso l’immateriale del software e del ciberspazio, della realtà virtuale e delle biotecnologie, insieme a una fede incondizionata nel progresso. Il romanzo di Pynchon è molto importante perché affronta in modo nuovo e originale, come solo un grande narratore saprebbe fare, un tema così inquietante come la moderna pretesa di un progresso continuo e inarrestabile. Ma progresso di cosa? Della felicità umana, della qualità della vita, dei rapporti tra le persone, della giustizia? Nel romanzo tecnologia e misticismo, ragione e irrazionalità, morale e immoralità, si confrontano in maniera ora drammatica ora ironica perchè le componenti irrazionali prevalgono spesso su quelle razionali. Secondo Pynchon, non è il progresso che sta alla base della civiltà, bensì il mistero, il magico, l’inesprimibile. Le grandi industrie (come soprattutto la IG Farben) hanno utilizzato la guerra come banco di prova delle nuove tecnologie. E il castigo sarà tremendo, sarà la nostra “trasformazione silenziosa in macchine di indifferenza”. La storia del Ventesimo Secolo è una storia spaventosa solitudine e desolazione che il razzo attraversa nella sua parabola matematicamente calcolata come un algoritmo.
  • 13. Ma c’è chi può controllare la tecnologia e se necessario rallentarla, guidarla, fermarla: essa è la politica. La politica, essendo sapienza e temperanza, (sophia kai sophrosune aveva detto Platone nel Protagora) è soprattutto ragione. E lo stato moderno nasce nel Rinascimento come frutto della prodigiosa razionalità italiana. Scriveva Jacob Burckhardt “ La più elevata coscienza politica e la maggior varietà nello sviluppo delle forme di Stato si trovano riunite nella storia di Firenze, la quale in questo rispetto merita il nome di primo fra gli stati del mondo moderno… La mente meravigliosa del fiorentino, ragionatrice acuta e al tempo stesso creatrice in fatto d’arte, muta e rimuta incessantemente le sue condizioni politiche e sociali, e incessantemente pure le giudica.” (La civiltà del rinascimento in Italia). Non è quindi sorprendente che proprio in una città come Firenze sia apparso un gigante quale Machiavelli che, quasi riecheggiando Platone, riteneva che la competizione tra gli uomini potesse determinare confusioni e ingiustizie che solo lo Stato, con le sue leggi razionali, avrebbe potuto impedire. L’indagine di Machiavelli sulla natura umana, affermando il primato della politica, diventava allora una vera scienza politica e apriva la strada ai futuri scontri tra politica ed economia. Oggi però sembra essere la tecnologia a dare potenza a Stati ed economie, e Pynchon infatti scrive: “ la politica … segretamente era dettata dalle necessità della tecnologia … le vere crisi erano crisi di stanziamenti e di priorità, non fra le varie aziende, ma fra le varie Tecnologie, la Plastica, l’Elettronica, l’Aviazione, e le loro necessità, comprese solo dall’élite dominante “ E forse oggi la politica non è solo dettata dalla tecnologia ma ancor più dall’economia. L’economia di Paul Samuelson Non è casuale quindi che dopo la Seconda Guerra Mondiale venisse pubblicato un testo, L’economia, di Paul Samuelson nel quale veniva tentata una vera prima matematizzazione dell’economia, e che avrebbe costituito un punto di riferimento per generazioni di economisti e di politici nordamericani. Ne L’economia Samuelson cercava di innestare la nuova teoria macroeconomica di derivazione keynesiana, e con essa le nuove concezioni sul ruolo attivo dell'intervento pubblico in economia, sul corpo della più antica teoria microeconomica neoclassica, favorevole alla libertà dei mercati. Samuelson voleva così mostrare quali fossero i vantaggi di un’economia "mista" (mercati liberi, ma corretti dalla presenza della politica economica e dalle redistribuzioni di reddito dello Stato assistenziale) nei confronti sia dei sistemi economici collettivistici sia dei sistemi di mercato non regolati. Ma quella di Samuelson non era solo teoria, ma anche soluzione di problemi attraverso modelli matematici necessari per affrontare e spiegare i rapporti causa effetto. Insieme a Wolfgang Friedrich Stolper, uno studente di Schumpeter, Samuelson dimostrò, per esempio, che le importazioni tessili e di prodotti di abbigliamento da un paese sottosviluppato si traducevano in un calo dei salari negli Stati Uniti. In un’intervista data a Piergiorgio Odifreddi nel 2004 (Incontri con menti straordinarie), Samuelson avrebbe peraltro affermato: “Non c’è motivo di credere che il capitalismo selvaggio sia ottimale, da un punto di vista pragmatico. La cura per una regolamentazione sbagliata non è la deregolamentazione, ma una regolamentazione razionale e fattibile: in medio stat virtus.”
  • 14. Più avanti nella stessa intervista: “Personalmente sono sfavorevole alle disuguaglianze, e favorevole a un’azione governativa che attenui quelle che dipendono dai meccanismi di mercato. Non cullando sogni napoleonici. Non pretendo che tutti concordino con me, ma devo dire che gli economisti dell’ultima generazione stanno diventando tanto meno altruistici, quanto più ci allontaniamo dalla Grande Depressione, che ci aveva insegnato la dipendenza e l’aiuto reciproco.” E in un saggio della fine del 2008 (Farewell to Friedman-Hayek libertarian capitalism) parlando della recente crisi economica Samuelson aggiungeva con molto pessimismo: ”All' origine di quello che risulta essere il peggior terremoto finanziario da un secolo a questa parte, troviamo il capitalismo libertario e all'insegna del laissez-faire di Milton Friedman e Friedrich Hayek, cui è stata permessa una crescita selvaggia e senza il rispetto di alcuna regola. È questa la causa principe delle tribolazioni odierne…. …le mie considerazioni si riallacciano direttamente alle numerose incognite che gravano sulle operazioni di salvataggio messe in campo in tutti e cinque i continenti. Innanzitutto, occorre fare chiarezza sui responsabili della deriva che, dal trend di stabilità e crescita di metà anni '90, ci ha fatto scivolare nel caos odierno, destinato a protrarsi ancora per chissà quanto… …la promozione mirata della sperequazione non è servita a rilanciare la produttività totale dei fattori negli Stati uniti. Piuttosto, la scandalosa impennata delle remunerazioni dei top manager ha compromesso la funzionalità dell'intero sistema di governance aziendale. Spregiudicati Ceo hanno curato soltanto i propri interessi a suon di bugie sugli utili effettivi delle società… …La gran parte delle perdite oggi accusate saranno permanenti, come avvenne nel 1929-'32… È indubbio, tuttavia, che il meltdown globale di questi giorni rechi in bella vista le parole Made in America. Le generazioni future, dall'Islanda all'Antartide, impareranno a rabbrividire al nome di Bush, Greenspan e Pitt. Sto esagerando, naturalmente. Ma non troppo.” Karl Polanyi e La grande trasformazione Il recente pessimismo di Samuelson, che pure era stato per decenni il teorico dell’economia nordamericana era in realtà già stato proposto, in una visione ancora più strutturale di una crisi dell’economia, una vera e propria crisi di civiltà, in un testo del 1944, La grande trasformazione, del sociologo ungherese Karl Polanyi. La grande trasformazione è un libro molto originale ancorchè complesso. L’essere apparso nel 1944, mentre infuriava la fase finale della Seconda Guerra Mondiale, e soprattutto l’aver criticato alla radice il modello economico liberista, in un'ottica non marxista ma essenzialmente umanitaria e culturale, non ne ha certamente favorito il successo che invece avrebbe meritato e che invece sta sorprendentemente avendo oggi. Il mercato autoregolato è destinato a concludersi, secondo Polanyi, con una crisi violenta; forse quella cui si sta assistendo oggi. Ne La grande trasformazione la critica centrale è rivolta a un’utopia, quella di un libero mercato autoregolato, i cui effetti, dopo un secolo e mezzo dalla sua invenzione saranno, secondo Polanyi, una completa desertificazione dell'ambiente sociale e culturale. Non è possibile sintetizzare brevemente una tesi così complessa che, partendo dalla definizione della società di mercato, passa quindi a esaminare le tensioni che la affliggono e che alla lunga ne determineranno la caduta oppure la trasformazione.
  • 15. E’ forse possibile, tuttavia, intuirne l’importanza culturale attraverso alcune tra le affermazioni più significative che vengono via via proposte nel testo. Secondo Polanyi: “Tutti i tipi di società sono limitati da fattori economici. Tuttavia la civiltà del diciannovesimo secolo era economica in un senso diverso e distinto poiché sceglieva di fondarsi su di un motivo soltanto raramente riconosciuto come valido nella storia delle società umane e certamente mai prima sollevato al livello di una giustificazione di azione e di comportamento nella vita quotidiana, e cioè il guadagno. Il sistema del mercato autoregolantesi era derivato da questo principio.” E poco più avanti aggiunge: “La nostra tesi è che l'idea di un mercato autoregolato implicasse una grande utopia. Un'istituzione del genere non poteva esistere per un qualunque periodo di tempo senza annullare la sostanza naturale e sociale della società; essa avrebbe distrutto l'uomo fisicamente e avrebbe trasformato il suo ambiente in un deserto.” L’economia è un fatto sociale prima ancora di essere una fatto squisitamente mercantile: “… l’economia dell’uomo, di regola, è immersa nei suoi rapporti sociali. L’uomo non agisce in modo da salvaguardare il suo interesse individuale nel possesso di beni materiali, agisce in modo da salvaguardare la sua posizione sociale, le sue pretese sociali, i suoi vantaggi sociali. Egli valuta i beni materiali soltanto nella misura in cui essi servono a questo fine. Né il processo di produzione né quello di distribuzione sono legati a specifici interessi economici vincolati al possesso dei beni; tuttavia ogni passo di questo processo è collegato a una molteplicità di interessi sociali, che alla fine assicurano che il passo necessario venga compiuto" . Ossia, detto molto più sinteticamente, "il sistema economico è in realtà una semplice funzione dell’organizzazione sociale" Con l’invenzione del mercato autoregolato, invece: "Non è più l’economia a essere inserita nei rapporti sociali, ma sono i rapporti sociali a essere inseriti nel sistema economico…. La società deve essere formata in modo da permettere a questo sistema di funzionare secondo le proprie leggi". E aggiunge poco dopo che: “ Un’economia di mercato è un sistema economico controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e nella distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi”. Sembra quasi di udire Martin Heidegger nella sua ormai celebre conferenza La questione della tecnica (tenuta a Monaco nel 1953), quando affermava che si era ormai verificato un vero e proprio capovolgimento di ruoli tra uomo e tecnologia. Se nel Prometeo incatenato di Eschilo l’uomo era padrone della tecnologia, pur nelle limitazioni di quest’ultima, con Heidegger appariva un uomo “a disposizione” della tecnologia. L’ambizione di quest’ultima è infatti di fare tutto ciò che può fare, mentre l’uomo vorrebbe capire cosa si deve fare e cosa non si deve fare. La tecnica (tecnologia), secondo Heidegger, appare ormai indipendente dalle finalità dell’uomo e si evolve secondo una propria volontà di potenza, che sembra inarrestabile. L’economia e le tendenze della società sembrano completamente determinate dalle evoluzioni tecnologiche. Le onde distruttive di Schumpeter ridefiniscono, in funzione delle tecnostrutture disponibili, gli scenari economici e le tendenze sociali seguono, per così dire, a ruota. Nella visione di Polanyi l’uomo finisce in ugual modo per dipendere da un’economia che in definitiva persegue solo le proprie intrinsiche finalità, quasi che queste fossero sfuggite all’uomo stesso: “Un’economia di mercato è un sistema economico controllato, regolato e diretto soltanto dai mercati; l’ordine nella produzione e nella distribuzione delle merci è affidato a questo meccanismo autoregolantesi. Un’economia
  • 16. di questo tipo deriva dall’aspettativa che gli esseri umani si comportino in modo tale da raggiungere un massimo di guadagno monetario…. Essa assume la presenza della moneta come potere di acquisto nelle mani dei suoi possessori. La produzione sarà poi controllata dai prezzi poiché i profitti di coloro che dirigono la produzione dipenderanno da essi … L’autoregolazione implica che tutta la produzione è in vendita sul mercato e che tutti i redditi derivino da questa vendita. Di conseguenza vi sono mercati per tutti gli elementi dell’industria, non soltanto per le merci (e i servizi) ma anche per il lavoro, la terra e la moneta" E ancora:” Il lavoro è soltanto un altro nome per un’attività umana che si accompagna alla vita stessa la quale a sua volta non è prodotta per essere venduta ma per ragioni del tutto diverse… La terra è soltanto un altro nome per la natura che non è prodotta dall’uomo. La moneta infine è soltanto un simbolo del potere d’acquisto che di regola non è affatto prodotto ma si sviluppa attraverso il meccanismo della banca o della finanza di stato. Nessuno di questi elementi è prodotto per la vendita. La descrizione, quindi, del lavoro, della terra e della moneta come merci è interamente fittizia.” Allora il liberismo si deve spiritualizzare e divenire: “il principio organizzativo di una società impegnata nella creazione di un sistema di mercato. Nato come semplice inclinazione verso metodi non burocratici esso si evolse in una vera fede nella salvazione secolare dell’uomo attraverso un mercato autoregolato….il credo liberale assumeva il suo ferovre evangelico soltanto in risposta alel necessità di un’economia di mercato pienamente sviluppata”. In sostanza, dice Polanyi, l’aggressività del liberismo non consiste soltanto del grado di sfruttamento dell’uomo e della natura che esso provoca, ma soprattutto nella sua ambizione di creare una nuova cultura che tagli i legami che l’uomo ha sempre avuto con società e natura, legami che costituiscono il tessuto umano e naturale della vita sociale, per creare alla fine un individuo che abbia come unica finalità quella di perseguire soltanti i propri interessi. Ma : "separare il lavoro dalle altre attività della vita e assoggettarlo alle leggi di mercato significa annullare tutte le forme organiche di esistenza e sostituirle con un tipo diverso di organizzazione, atomistico e individualistico". La conclusione di Polanyi (qui estremamente abbreviata) è sopratttutto di ordine morale, e non potrebbe essere diversamente in una visione così pessimistica dell’economia liberista: “ Se la civiltà industriale non si disgregherà o non volgerà verso soluzioni degenerative, una ricostituzione delle fondamenta della coscienza umana si presenta come imperativa. Soltanto a questo prezzo potrà essere conservata la libertà.” La grande trasformazione non è soltanto un testo di economia, ma anche di storia e di sociologia, e come tale permette di inquadrare l’attuale crisi economica in una visione più ampia, generale e soprattutto non settoriale. l’attuale crisi economica L’attuale situazione economica sembra manifestare alcune macrotendenze ben evidenti. L’odierna crisi potrebbe innanzitutto sembrare una delle cicliche crisi che accompagnano di volta in volta l’affermarsi di una nuova tecnostruttura: quelle che Schumpeter denominava onde di distruzione creativa. Inoltre non c’è dubbio che i computer, e più in generale l’Information and Communication Techonology (ICT), eliminano lavori algoritmici e ripetitivi creando di fatto disoccupazione.
  • 17. Infine la globalizzazione dell’economia si accompagna anche a un’intensa e rapida industrializzazione di due giganti come l’India e la Cina, con le conseguenze economiche per il mondo occidentale che ben si possono intuire. Ma se si riflette un poco su quanto detto da Polanyi si deve fare l’ipotesi che la crisi attuale sia molto più complessa di quanto possa sembrare a prima vista. Essa sembra ancora una volta essere frutto dell’eterno paradosso che esiste tra liberismo e socialità, ovvero tra libertà individuale e società. Inoltre si comincia a comprendere che l’attuale modello capitalista neo- liberista si fondi su alcuni assunti che in realtà non sono veri. Il mercato non si autoregola e non c’è alcuna mano invisibile che lo possa regolare. Il capitale non sempre arriva. E infine i rischi non sono sempre calcolabili. Di fatto quello che si è invece constatato è che la rapida evoluzione della tecnologia e la delocalizzazione della manodopera in paesi industrialmente emergenti hanno consentito di creare fin troppe merci da distribuire a un numero non sufficientemente ampio di consumatori. La pubblicità è stata quindi costretta a iniettare desideri e fiducia e ha finito con l’investire oltre 500 miliardi di dollari nel solo 2009. Ma soprattutto liberalizzare i capitali e muoverli con i computer è diventata l’essenza della globalizzazione finanziaria. Nel corso degli ultimi 30 anni si è così assistito all’affermarsi di un’economia globalizzata, al crollo delle tariffe doganali, a rilevanti miglioramenti nell’organizzazione della produzione, e ancor più ai mutamenti tecnologici avvenuti nell’ ICT. Tutti questi elementi, insieme ad altri che verranno esaminati più avanti, hanno contribuito alla crisi economica del 2008 che sembra aver impoverito non solo gli operai e i precari, ma anche i bancari, gli impiegati, e perfino certi professionisti. Ma alcune élite (manager, grandi professionisti, star del mondo dello spettacolo e dello sport, stilisti, cantanti, conduttori televisivi,…) hanno acquistato potere e denaro, creando enormi diseguaglianze che la stessa crisi economica ha reso addirittura ancor più vistose. Sembra ormai che persino il normale lavoro professionale, creativo e orientato alla soluzione di problemi, svolto nei servizi avanzati e nell’industria manifatturiera, stia perdendo di valore. Tuttavia se si riflette per un attimo sul semplice schema del mulino di Mill si può osservare che, oltre alla tecnologia, nella produzione economica ci sono due componenti che si erano più o meno bilanciate fino a un paio di decenni fa, ossia il capitale e il lavoro. Se allora si analizzano i dati economici ci si accorge che nel corso degli ultimi trent’anni la quota di ricchezza (ossia di prodotto interno lordo: PIL) prodotta dal capitale è cresciuta più rapidamente della quota prodotta dal lavoro (ossia dai salari). Il PIL delle nazioni OECD ( ovvero l'Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE)) era intorno ai 40 mila miliardi di dollari nel 2007. In tale quota la parte capitale si era avvantaggiata di circa il 5% rispetto alla parte lavoro, e quindi di circa 2000 miliardi di dollari che non andavano in salari, il che per una popolazione di oltre un miliardo di persone vuol dire quasi demila dollari a testa. C’è stato quindi un sostanziale impoverimento soprattutto delle classi medie. In realtà il fenomeno sembra ancora più complesso. Probabilmente il meccanismo è stato innescato negi USA dove l’economia dei consumi è stata sempre molto vivace. Tuttavia a fronte della minore liquidità disposibile negli ultime decenni il mercato ha cercato di adattarsi creando una forma artificiale di liquidità giocando
  • 18. sulla speranza di guadagni a venire. E simili guadagni potevano apparire concreti soprattutto nel settore immobiliare. Allora perchè non indebitarsi per alcuni decenni verso un bene che comunque col tempo si sarebbe rivalutato più del debito contratto? E così sono entrati in gioco meccanismi finanziari molto complicati e soprattutto audaci. Per dirla con grande semplicità sono stati concessi mutui quanto mai facilitati, e pressochè a tutti. La crescita dell’edilizia ha stimolato a sua volta un’ampia infraststuttura industriale e di servizi. E le banche sono diventate il motore del flusso denaro. E tale flusso di denaro è dilagato negli USA soprattutto attraverso i cosiddetti mutui subprime, ossia mutui concessi a persone che non avevano accesso a un tasso più favorevole perchè considerati a rischio di insolvenza. Le condizioni dei mutui subprime imponevano quindi tassi di interesse più alti. A partire dal 2000, molte banche americane hanno così concesso mutui a persone che forse non sarebbero state in grado di restituire il denaro. Ma come è potuto accadere, e in una misura così grande? Il fatto è che dal 2000, e fino a quasi tutto il 2006, il prezzo delle abitazioni è cresciuto così tanto da creare una vera e propria “bolla immobiliare”. La continua crescita del prezzo delle abitazioni ha creato l’illusione che l’attività di erogazione dei mutui fosse poco rischiosa. Se il mutuo non fosse stato ripagato l’abitazione poteva essere sequestrata e rimessa in vendita a un prezzo più alto. Al tempo stesso i tassi di interesse stabiliti dalla Banca Centrale Americana (la Federal Reserve) erano progressivamente scesi proprio per stimolare l’economia. Ma c’era un altro aspetto molto importante: gli enormi investimenti che la Cina continuava a fare negli USA. Si vedrà meglio più avanti la natura di questo meccanismo. Per il momento basti considerare che la quantità di denaro immessa dalla Cina nel mercato statunitense è stata veramente colossale (trilioni di dollari) rendendo disponibile un’ulteriore enorme liquidità. Tornando al meccanismo dei mutui immobiliari è importante osservare che le banche americane erano riuscite a concedere tanti mutui anche in virtù di un meccanismo finanziario, la cosiddetta cartolarizzazione, per mezzo del quale potevano rivendere ad altri gli stessi mutui, trasferendone così il rischio. Si può riassumere, brevemente e in modo del tutto semplificato, il meccanismo complessivo della cartolarizzazione. Una banca dispone di una certa liquidità (decine o centinaia di milioni di dollari o di euro) che può erogare in mutui. Una volta che tale liquidità si sia esaurita la banca dovrebbe attendere il rientro di tutte le rate (o di gran parte di esse) per erogare nuovi mutui. Invece può innestare un nuovo processo per ottenere ulteriore liquidità e ridurre i rischi. Può rivolgersi a un altro ente (la cosiddetta società veicolo), che potrebbe essere persino stato creato dalla banca stessa e il cui capitale è rappresentato proprio dai crediti vantati verso i clienti che hanno contratto dei mutui. La società veicolo puo' farsi finanziare dal mercato dando in garanzia sotto forma di obbligazioni i crediti vantati nei confronti dei clienti della banca dalla quale ha ottenuto i mutui e cui ha fornito in cambio la liquidità. La banca stessa con la nuova liquidità può erogare nuovi mutui e ha così ridotto, in linea di principio, i suoi rischi. A questo punto si potrebbe inserire una nuova banca, una cosiddetta banca affari, la quale potrebbe acquistare obbligazioni dalla società veicolo e potrebbe, a sua volta, costituire una nuova società cui destinare le obbligazioni appena acquistate. Quest’ultima società a sua volta potrebbe emettere
  • 19. obbligazioni,… e così via. Una persona ragionevole di fronte a un simile meccanismo cosa può pensare? Non è certamente possibile creare ricchezza con questa sola sequenza di ingegneria finanziaria. E allora? L’unica spiegazione è che il valore delle case deve aumentare nel tempo (coprendo i rischi) e il denaro da restituire dovrà essere prodotto dal lavoro a venire dei mutuatari. Il pericolo era insito proprio nel meccanismo di rischio. Se qualcosa non avesse funzionato correttamente l’intero meccanismo si sarebbe inceppato e le conseguenze sarebbe state essere molto gravi: come infatti è avvenuto. E già intorno al 2005 qualcosa cominciava a scricchiolare nell’economia americana. I tassi di interesse iniziavano nuovamente a crescere, i mutui da ripagare diventavano più costosi, mentre il prezzo delle abitazioni cominciava a scendere. Le banche iniziavano così a registrare perdite sempre più grandi. I titoli fondati sulle rate dei mutui subprime scendevano drammaticamente di valore e diventavano, come si dice, tossici: in virtù della globalizzazione in atto la crisi si estendeva poi rapidamente all’intero mondo finanziario. Nasceva così una crisi di liquidità e veniva meno l’accesso al credito per persone e imprese. il ruolo della finanza nell’attuale crisi Una delle caratteristiche più significative dell’odierno scenario economico è la globalizzazione dei mercati finanziari. La possibilità di lavorare in tempo reale e su scala mondiale attraverso reti di computer interconnessi in vario modo ha dato agli investitori un potere crescente, che essi hanno immediatamente utilizzato per ottenere dai loro investimenti i massimi rendimenti e nei tenpi più brevi. In questo contesto si colloca anche la strategia americana di concedere prestiti a basso costo per l’acquisto di abitazioni, con i meccanismi e le conseguenze precedentemente descritti. E ancora occorre sottolineare il ruolo svolto dalla Cina che ha progressivamente aumentato la sua produzione di merci (spesso di basso costo) ricavandone una liquidità che non ha voluto reinvestire nel suo sistema paese. A seguito della grande crisi finanziaria asiatica degli anni Novanta la Cina ha preferito puntare su mercati finanziari evoluti, come gli Stati Uniti e la Gran Bretagna, che hanno visto così arrivare ingenti investimenti. Tra il 2000 e il 2007 negli Stati Uniti è arrivata una quantità di denaro cinese equivalente al 40% del PIL americano di un anno, e in Gran Bretagna l’equivalente di un 20% del PIL inglese di un anno. C’è da aggiungere che gli enormi investimenti effettuati in dollari hanno mantenuto basso il valore della moneta cinese e quindi molto appetibile la forza lavoro cinese, il che ha consentito tante delocalizzazioni industriali dall’Occidente in Cina. Ora che la crisi economica fa sentire il suo peso diventa ancora più difficile esportare prodotti in Cina e ciò determina un forte arretramento di economie che dale esportazioni verso la Cina ricavavano molti benefici per la loro bilancia commerciale. Tutto questo denaro offerto dalla Cina doveva essere sapientemente investito e sembrava che i mercati finanziari americano e inglese possedessero tecnologie adeguate per gestire i modelli di rischio. I dati finanziari relativi al periodo in cui la crisi ha cominciato a manifestarsi sono veramente impressionanti. Nel 2007 gli attivi finanziari delle imprese sono stati infatti uguali a circa 5 volte il PIL mondiale (che equivale a circa 60 mila miliardi di
  • 20. dollari). Ciò ha evidentemente creato un eccesso di liquidità virtuale. Al tempo stesso le transazioni finanziarie nel corso del 2007 sono state equivalenti a quattro milioni di miliardi di dollari di cui l’80% circa di natura puramente speculativa. Ma il dato forse più inquietante è che il debito che famiglie, imprese, organizzaioni di vario genere e Stati, hanno contratto è ormai dell’ordine di 100 mila miliardi di dollari. Se si ipotizza un interesse annuo intorno al 3% si può approssimativamente dedurre che il PIL dovrebbe crescere del doppio (visto che è crica la metà di questo valore) solo per pagare gli interessi. Infine si deve anche osservare che le prime dieci banche del mondo detengono circa 2/3 del PIL mondiale. Simili dati sembrano confermare la previsione di Polanyi sull’avvento di una profonda crisi di civiltà. l’economia non è una scienza Già Keynes negli anni Settanta aveva parlato di Animal Spirits per indicare le instabilità insite nel capitalismo. I diversi aspetti degli Animal Spirits come fiducia, correttezza, avidità, corruzione non fanno parte di un modello matematico. Si è quindi sovrastimato l’approccio razionale, tanto che Edmund Phelps, premio Nobel per l’economia nel 2006, ha detto che i modelli di rischio non hanno mai avuto un buon fondamento. Secondo Phelps è impossibile prevedere in dettaglio il comportamento di un sistema complesso come un mercato finanziario, e quindi ciò che occorre tuttora è una certa dote di intuito, soprattutto manageriale, che è palesemente mancata. Attraverso l’ingegneria finanziaria, globalizzata per mezzo di computer e modelli di rischio, si è così creata un’enorme liquidità virtuale e chi è stato incaricato di gestirla è stato superpremiato. Di fatto le famiglie americane sono oggi indebitate in misura tale che il loro indebitamento è pressochè equivalente all’intero PIL nordamericano. E dietro all’attuale crisi economica si nasconde anche un altro spettro, quello degli algoritmi matematici con i quali si credeva che fosse finalmente possibile domare o esorcizzare il rischio. In un lavoro del 1973 Fischer Black e Myron Scholes avevano formulato un’equazione matematica che sarebbe stata ampiamente utilizzata dai modelli finanziari nei decenni successivi. L’equazione si basava anche su precedenti ricerche di Robert Merton. Quest’ultimo, insieme a Scholes, avrebbe poi vinto il premio Nobel per l’economia nel 1997. L’idea su cui si basava l’equazione di Black e Scholes era che un titolo derivato è implicitamente prezzato se il cosiddetto strumento sottostante (ossia quell’attività da cui dipende il derivato) viene scambiato sul mercato. Il modello di Black e Scholes era diventato un vero e proprio manifesto della finanza, in grado di convincere gli investitori che quest’ultima fosse quasi una scienza esatta. Dopo che nel 1971 era stata abbandonata la parità monetaria con l’oro i mercati finanziari desideravano avere uno strumento che in qualche modo li proteggesse contro le variazioni dei cambi tra le valute e successivamente contro le variazioni dei tassi di interesse. In sostanza si desiderava uno strumento che
  • 21. proteggesse dai rischi. Il modello di Black-Scholes sembrava la risposta a una simile esigenza. Per dirla molto semplicemente, sarebbe stato bello poter disporre di una formula che permettesse di conoscere il prezzo di un prodotto come composto dai prezzi dei suoi componenti. Ma l’equazione di Black-Scholes resta un modello matematico, con tutte le semplificazioni adottate da un modello. La struttura dell’equazione, senza entrare nei dettagli, ricorda quella delle equazioni che in fisica descrivono la diffusione del calore. La volatilità dei prezzi sono però risultate più discontinue di quanto il modello matematico prevedesse. E i meccanismi di cartolarizzazione avevano introdotto un altro elemento di incertezza, difficilmente quantificabile. Venti anni fa, l’uso indebito del modello di copertura del rischio sul crollo dei mercati azionari entrò nella spirale del crack borsistico dell’ottobre 1987: un crollo del 23% in un solo giorno, tanto da far apparire quasi minori i recenti ondeggiamenti dei mercati. E fu proprio l’uso del modello anti crack Black-Scholes a destabilizzare il mercato! Il punto è che il sistema economico non è statico e le informazioni per descriverlo non sono sufficienti. Le grandi corporation sono nate proprio per ridurre i costi di gestione delle informazioni. In definitiva il sistema economico è troppo complesso e in un certo senso la scienza dell’economia è come quella della metereologia: non si possono costruire previsioni a lungo termine. La differenza fondamentale tra le scienze fisiche e le scienze economiche, o la matematica finanziaria, è nel ruolo dei concetti, delle equazioni e dei dati empirici. L’economia classica si basa su ipotesi molto forti che diventano rapidamente assiomi; mentre le scienze fisiche sono molto più caute e procedono attraverso una continua falsificabilità delle ipotesi scientifiche a fronte anche di un solo esperimento. Le scienze fisiche hanno inoltre sviluppato alcuni modelli matematici che permettono di comprendere, almeno a grandi linee, in che modo piccole perturbazioni possano generare in un sistema complesso effetti incontrollabili. La teoria della complessità, sviluppata durante gli ultimi trent’anni, mostra che, quantunque un sistema possa avere uno stato ottimale - come, per esempio, uno stato di energia più basso - tale stato sia spesso difficile da identificare poichè il sistema non si pone mai in quella condizione. Questa soluzione ottimale non solo è inafferrabile, è anche fragilissima rispetto a piccole modifiche dell’ambiente, e quindi spesso irrilevante per capire cosa stia succedendo. Vi sono buone ragioni per credere che questo paradigma della complessità dovrebbe essere applicato ai sistemi economici in generale e ai mercati finanziari in particolare. Semplici idee di equilibrio e di linearità (l’ipotesi che piccole azioni producano piccoli effetti) non funzionano. C’è quindi la necessità di rivedere i modelli dell’economia classica e occorre sviluppare strumenti del tutto nuovi, come si è cercato in modo ancora frammentario e disorganizzato da parte dei cosiddetti econofisici.
  • 22. il caso Italia Per quanto riguarda le prospettive dell’economia italiana occorre ricordare che anche l’Italia vive in un contesto globale e quindi solo se l’intero scenario mondiale tornerà a essere più sereno anche l’Italia potrà beneficiarne. Si è detto che forse, come sostiene Polanyi, l’intero modello dell’economia liberista va rivisto e rinovato. Ma nell’immediato l’economia deve continuare a rispondere ai bisogni della società e deve quindi in qualche modo continuare a crescere. Negli ultimi decenni, infatti, l’economia mondiale (e soprattutto quella dei paesi più evoluti), è costantemente cresciuta ed è diventata globale attraverso un utilizzo pervasivo delle nuove tecnologie dell’ICT che hanno creato non solo nuovi modelli di attività produttive ma anche nuove tipologie di imprese. Ma al tempo stesso, consumi e produzione si sono via via trasferiti in misura sempre maggiore dagli Stati Uniti e dall’Europa verso l’Asia, la quale sta crescendo a ritmi molto più elevati rispetto all’Occidente.. In Europa la crescita del prodotto interno lordo viene stimata per i prossimi anni tra il 1.5% e il 2,2% l’anno, con un valore alquanto inferiore per l’Italia. Se così fosse diventerebbe molto difficile per l’Italia sostenere l’attuale debito pubblico e creare occupazione, sia per coloro che entrano nel mercato del lavoro sia per quelli che ne sono stati recentemente espulsi. La domanda che allora sorge spontanea è: “perché la crisi economica italiana sembra più profonda rispetto ad altri paesi occidentali?” La risposta consiste probabilmente in una triade di elementi che concorrentemente deprimono lo sviluppo italiano e che sono rispettivamente: una produttività inferiore agli standard dei paesi più evoluti, una carenza di cultura tecnologica, e una sostanziale arretratezza dello Stato. La minore produttività deriva anche dal ridotto livello di investimenti, sia pubblici sia privati, in ICT, livello significativamente inferiore rispetto ai paesi più evoluti. L’ICT, infatti, non è solo un abilitatore di attività esistenti, ma è anche un motore di trasformazione e di creazione di nuove produzioni e di nuovi servizi… Inoltre in Italia c’è tuttora una carenza di capillarità della cosiddetta banda larga, che riguarda soprattutto aziende che devono mettere a disposizione i propri servizi, come la Sanità, gli Enti Locali, le banche, le anagrafi,… I ridotti investimenti in ICT discendono anche da una scarsa percezione di quali possano esserne i ritorni di investimento, che non sono facilmente misurabili se non esiste una sufficiente cultura sia d’impresa sia informatica. E l’attuale cultura tecnologica italiana, per quanto riguarda l’ICT, è una cultura essenzialmente di massa, che privilegia un uso intensivo della tecnologia stessa ma per scopi consumistici o edonistici, quali soprattutto gli smartphone o gli ipod/ipad per intrattenimenti di vario genere, da Facebook ai videogiochi. Non c’è quindi reale consapevolezza di quanto l’ ICT potrebbe favorire la creazione di nuove imprese, di nuovi servizi, o di nuovi processi produttivi. C’è infine da considerare la sostanziale arretratezza dello Stato, che finisce con lo scoraggiare investimenti (anche stranieri) e quindi col generare poche nuove iniziative e conseguentemente nuovi posti di lavoro.
  • 23. Gli aspetti più vistosi di tale arretratezza sono la complessità e l’inefficienza della Pubblica Amministrazione, la lentezza della giustizia civile, l’inadeguatezza delle infrastrutture tecnologiche pubbliche, la scarsa visibilità internazionale delle Università, una legislazione giuslavorista inadeguata, complessa, e persino conflittuale, quando invece occorrerebbe - soprattutto ora - molta flessibilità; per non parlare di una inaccettabile gerontocrazia della classe politica. Sono quindi urgenti sia una capillare diffusione della banda larga sia lo sviluppo di applicazioni atte a utilizzarla come, per esempio, la telemedicina e la telechirurgia, la coprogettazione, le analisi del territorio e della comunità, le interazioni con i nuovi strumenti analitici di business, e molte altre. Occorre anche creare tecnostrutture digitali intelligenti per il controllo dell’utilizzo di risorse come linee elettriche, linee ferroviarie, autostrade, centrali. Quello che tuttavia sembra particolarmente importante per l’Italia è incrementare e rendere sostenibili le varie filiere di piccole e medie imprese nelle quali possano essere reinterpretati, per mezzo delle nuove tecnologie, quei saperi artigianali che sono stati da secoli un’eccellenza tipicamente italiana. Questo è tanto più importate se si riflette su di un aspetto molto importante dell’attuale economia, soprattutto nei paesi più evoluti. Si era pensato nei decenni passati che la diffusione delle nuove tecnologie avrebbe progressivamente ridotto i posti lavoro nelle attività più ripetitive, soprattutto in ambito manifatturiero, ma che tali posti sarebbero stati ricreati in settori intellettualmente più complessi, per lo più nel settore dei servizi. Questa ipotesi è stata in parte contraddetta dalla realtà e la disoccupazione di fatto è cresciuta. E’ bene quindi tenere ben presente che molte attività tipiche delle piccole e medie imprese sembrano apparentemente meno intellettuali di quelle in atto presso grandi imprese, mentre in realtà richiedono di saper far leva sulle nuove tecnologie, proprio per capitalizzare su quelle qualità, quali fantasia, inventiva, abilità, senso del bello, che sono essenziali per la creazione di manufatti di pregio che tuttora vengono richiesti all’Italia. E anche in questi settori economici si comincia a comprendere che occorre saper fare ricerca e sviluppo, tanto più che proprio quelle imprese italiane che hanno delocalizzato la propria manodopera in paesi come la Cina si accorgono di dover delocalizzare anche i reparti di ricerca accanto a quelli di produzione per averli vicini, e quindi più integrati ed efficaci. E’ anche vero che una consistente parte dell’industria italiana negli ultimi anni è riuscita a rinnovarsi e a restare competitiva; è stata in grado di esportare anche con un cambio euro/dollaro sfavorevole; e soprattutto è riuscita a operare in campo internazionale non potendo contare né su di uno Stato efficiente né su infrastrutture d’avanguardia. L’Italia resta quindi una realtà socio-economica tuttora di difficile lettura. cosa accadrà? Cosa accadrà, allora, all’intera economia mondiale? E, quindi, quali potranno essere le possibilità economiche per i nostri figli? Sono domande lecite, ancorchè sia molto difficile dare loro una risposta. Una prima risposta potrebbe essere che ci sarà probabilmente un periodo di
  • 24. adattamento, di un decennio almeno, per stabilizzare la globalizzazione e sanare i modelli finanziari. Tuttavia la vera risposta che sembra emergere a fronte di questa grande crisi è che la ricchezza non si costruisce sul denaro, ma sulla capacità umana di apprendere e di applicare quanto si è compreso ai processi di produzione e di consumo: il benessere deve essere rapportato alla produttività e non all'azzardo finanziario. E’ quindi fondamentale che la globalizzazione dell’economia accetti nuove norme e soprattutto una nuova etica. - nuove norme per mercati finanziari Negli Stati Uniti è stato recentemente approvato il Dodd-Frank Act, il pacchetto di misure di regolamentazione dei mercati finanziari che dovrà ridisegnare il volto della finanza americana nei prossimi anni. La legge arriva dopo un intenso anno di discussioni su quali regole fossero necessarie per prevenire il ripetersi di una crisi di proporzioni simili a quella appena vissuta. In Europa la definizione di un nuovo insieme di regole e norme è in una fase meno evoluta ma il relativo dibattito è altrettanto vivace. Naturalmente scelte così complesse, come quella di adottare Dodd-Frank Act, hanno bisogno di un tempo di riflessione adeguato. Del resto l’efficacia di simili iniziative dipende da numerosi fattori, tra i quali soprattutto il modo di attuare le norme adottate, poichè spesso in simili contesti ci sono dettagli che risultano determinanti ma che vengono in luce solo durante la reale attuazione delle regole. E ci dovrà anche essere chi deve controllare l’esecuzione di norme restrittive, ma che a sua volta dovrà essere imparziale, ma: quis custodiet ipsos custodes? La maggior parte delle regole discusse nel corso di questi mesi, poi, prescindono in gran parte da obiettivi di efficienza. Le nuove normative tese a un maggior controllo dei mercati potrebbero ottenere tale controllo, ma a scapito dell’efficienza del mercato stesso. E tale efficienza, si è già detto, dipende in grande misura dale informazioni disponibili: un mercato finanziario è tanto più efficiente quanto più il rendimento di un titolo riflette le informazioni a disposizione. La creazione di adeguati organismi in grado di valutare i potenziali rischi potrebbe migliorare la qualità delle informazioni a disposizione dei mercati finanziari, fornendo dati utili per la valutazione del rischio da parte degli operatori. Ma data l’attuale dinamica evolutiva dei mercati finanziari per essere efficaci occorre essere in grado di operare in tempo reale. La disponibilità di computer, reti telematiche e software sempre più evoluti, insieme alle nuove norme, farebbe pensare che una nuova strategia di governo dei mercati finanziari sia tutt’altro che un’utopia. - la nuova governance e la superclasse In aggiunta alle nuove norme finanziare c’è poi, a fronte del fenomeno della globalizzazione, una crescente necessità di un governo mondiale che vada sostanzialmente al di là di quelle che sono le iniziative delle Nazioni Unite. C’è tuttavia un primo sostanziale problema da affrontare che è costituito dal fatto che negli ultimi decenni si è affermata una classe dirigente transnazionale e
  • 25. descritta da David Rothkopf nel suo libro Superclass. La nuova élite globale e il mondo che sta realizzando. Si tratta di circa sei-settemila persone con una formazione e con una visione del mondo simili, e accomunate da una comune ideologia ispirata a liberismo e alla diffusione di diritti civili e politici uguali per tutti i cittadini del pianeta. E’ una classe dirigente che gode di enormi privilegi, sia economici sia sociali, e che in un certo senso sembra quasi apolide. All’interno di questa superclasse c’è un generale consenso sugli obiettivi, da perseguire. Se dissenso esiste questo riguarda il come realizzare un organo di governo del mondo, con quale quale tipo di struttura e con quale orientamento politico. Ma in definitiva questa classe pensa soprattutto a se stessa. La presenza della superclasse comprime tuttavia il ruolo della classe media che tra l’altro non è presente in molte parti del mondo, come l’Africa, l’Asia e in parte il Sudamerica. Il reale obiettivo della superclasse è in definitive quello di non perdere ricchezza e potere in favore di una classe media transnazionale. Ma in mondo quale quello attuale, costituito di flussi globali e di rischi di vario genere che che si affacciano alle frontiere nazionali, non è più possibile per un singolo stato-nazione agire da solo nel conseguire la sua parte del contratto sociale, Ne è possibile che il governo del mondo venga affidato di fatto alla superclasse. Eppure è ormai in atto, almeno ideologicamente, una tendenza verso quello che il poeta Alfred Tennyson in Locksley Heart chiamava il Parlamento dell’uomo: “Till the war drum throbb'd no longer, and the battle-flags were furl'd In the Parliament of man, the Federation of the world”. E nel contesto odierno i meccanismi di un governo mondiale sembrano più attuabili che in passato, e comunque possono essere adottate soluzioni intermedie prima che l’umanità intera accetti comunque l’idea di un governo globale. Ma come sarebbe rappresentato, poi, quest’ultimo? Le differenze economiche e di popolazione favorirebbero certamente le potenze maggiori e alla lunga si finirebbe forse in un mondo guidato dalla Cina. Come sarebbe possibile allora far convergere verso un’unica sensibilità etica due culture così diverse come l’individualismo occidentale l’assenza di individualismo tipicamente orientale. Tra Cristianesimo, Buddismo e Taoismo c’è una fondamentale differenza che informa ancora di sè i popoli cresciuti in queste religioni. Nel Cristianesimo il rapporto con Dio è individuale e carico di senso di responsabilità. Nel Buddismo e nel Taoismo è invece assente un rapporto personale e individuale con la divinità, il che in campo etico si traduce in un diverso concetto di responsabilità che deve fare i conti con i legami fra il soggetto e il suo gruppo sociale. E ciò conduce al terzo grande tema del futuro: come sviluppare un’etica mondiale? - un’etica globale per un mondo globalizzato Qualche anno fa (1996) Samuel Huntignton aveva affermato in un un suo libro di grande successo (Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale) : “ La mia ipotesi è che la fonte di conflitto fondamentale nel nuovo mondo in cui viviamo non sarà sostanzialmente né ideologica né economica. Le grandi divisioni dell'umanità e la fonte di
  • 26. conflitto principale saranno legate alla cultura. Gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà. Lo scontro di civiltà dominerà la politica mondiale. Le linee di faglia tra le civiltà saranno le linee sulle quali si consumeranno le battaglie del futuro.” Dopo l’attentato alle Twin Towers nel 2001 le sue affermazioni acquistarono notevole credibilità, anche se oggi vengono in parte riviste. Ma non c’è dubbio che non v’è pace tra le nazioni se non v’è pace tra le religioni; ma soprattutto non v’è pace tra le religioni se non ci sono norme etiche globali: occorre un’etica mondiale. Il teologo Hans Kueng, dopo decenni di personali riflessioni, ha scritto qualche anno fa (Etica mondiale per la politica e l'economia) che economia e politica senza una base etica possono condurre al disastro. Un fondamento etico commune deve essere accettato da tutte le nazioni, da tutti i popoli a da tutte le religioni. Ma l’attuale distanza tra come l’etica mondiale dovrebbe essere e come invece sia è ancora molto grande. Il neocapitalismo con la sua sfrenata attenzione ai profitti stra creando disuguaglianze sociali, anche nei paesi più evoluti, che non sono più accettabili. Kueng affronta un tema così complesso in modo generale, e quasi filosofico, ma sa essere anche molto pratico e concreto. Si domanda, per esempio, cosa siano la verità e la giustizia. La verità sembra oggi ridursi alle affermazioni propagandistiche dei leader politici, mentre le persone non vogliono più accettare le loro menzogne e l’inquietudine cresce ovunque, soprattutto per la diffusione di nuovi, potenti e capillari strumenti elettronici di informazione, anche individuale. La giustizia, a sua volta, consiste anche dell’abolizione degli incredibili e inaccettabili privilegi e prerogative di cui godono le élite, in particolare politiche e finanziarie. Anche il welfare-state (ossia lo stato assistenziale moderno) non può offrire più di quanto i cittadini non possano a loro volta contribuire volontariamente attraverso i sistemi fiscali. In sintesi Kueng individua sei pilastri etici inalienabili: diritti e responsabilità umane, democrazia, protezione delle minoranze, risoluzione pacifica dei conflitti e, “last but not least”, uguale trattamento delle generazioni. Lo scenario mondiale a venire delineato da Kueng si fonda, piuttosto che sul tradizionale modello di relazione amico-nemico, sulla teoria dei giochi a somma diversa da zero, ossia su quelle relazioni nelle quali non c'è sempre uno che vince e uno che perde come è avvenuto, tanto per fare un esempio, nei prodotti derivati del recente mercato finanzario che hanno ingannato così tanti risparmiatori. Il pensiero può allora tornare a Polanyi, o persino a Kant. L’uomo non è homo oeconomicus, ossia un uomo le cui principali caratteristiche sono la fredda razionalità e l’interesse esclusivo per la cura dei suoi propri interessi individuali, ma homo sapiens, ossia un uomo che riconosce quale valore etico principale la dimensione inalienabile della dignità umana, fondamento di diritti universalmente riconosciuti. L’etica globale mondiale può allora essere riassunta in una semplice norma enunciata da Confucio cinquecento anni prima di Cristo: “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”.
  • 27. In conclusione è peraltro necessario ribadire che una condotta di consumi spregiudicati quale quella cui si è assistito negli ultimi tre decenni non è più pensabile. Le risorse della Terra sono, ancorchè molto grandi, limitate. L’energia, a meno di non riuscire a catturare sul serio l’energia solare (che in definitiva è ancora quella che viene immagazzinata in quella fossile), non può essere consumata ai ritmi attuali a meno di non creare un ambiente veramente ostile per i nostri figli. Basterebbe per un attimo riflettere sul fatto che nei prossimi anni cinesi e indiani costruiranno molte centinaia di centrali a carbone per rendersi conto delle dimensioni del problema energetico, al di là di tanti discorsi, alcuni dei quali quanto mai confusi sulla natura, sul ruolo e sulla possibile produzione di energia. E tra le risorse non c’è solo l’energia ma ci sono anche l’acqua, l’agricoltura, il paesaggio, il mare, il mondo degli animali, ossia la Natura. Impoverire la Natura è perfettamente equivalente, da un punto di vista etico, a quell’impoverimento economico delle generazioni a venire che viene attualmente generato da crescente indebitamento di nazioni, di imprese e di singoli. Esiste un’impronta ecologica, la quale è un puro indice statistico che mette in relazione il consumo umano di risorse naturali con la capacità della Terra di rigenerarle. Dovrebbe a questo punto esistere anche un’impronta finanziaria, da coniugare con la precedente, per misurare globalmente il danno che verrà apportato alle generazioni future se non si adotta una cultura e quindi un modello di civiltà meno aggressivo. Circa trent’anni fa, apparve negli Stati Uniti uno straordinario libro, Overshoot, scritto da un professore universitario, William Catton. Si potrebbe tradurre il titolo in Esagerazione. Il libro è straordinario perchè già nel 1982 prevedeva perfettamente cosa sarebbe potuto accadere. Il libro non è mai stato tradotto in altre lingue, e fino a qualche anno fa era pressochè sconosciuto anche negli USA. Basterebbe controllare i commenti entusiastici dei lettori del sito Amazon.com per verificare che in sostanza anche gli americani hanno cominciato a leggere questo libro solo negli ultimi 6-7 anni. Ciò deve indurre a una riflessione. L’aggressività dell’economia attuale è certamente figlia di quel Mito della frontiera cui si era accennato in precedenza: all’Ovest c’è sempre una nuova terra da scoprire e da conquistare. In un’ottica di coraggioso liberalismo, che si accompagna a un profondo sentimento di religiosità e di responsabilità individuale, come già ampiamente indagato dal Max Weber ne L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, gli americani si sono progressivamente spinti verso una società dai consumi esasperati, ma al tempo stesso fondamentalmente democratica. Il punto, ed è qui che l’analisi di Polanyi ha forse colpito nel segno, è che esiste un sottile paradosso tra liberismo e società. Ed è in virtù di questo paradosso che l’economia è come scappata di mano. Per offrire alle generazioni future, e soprattutto ai nostri figli, una Terra più vivibile occorre ora sapersi impoverire materialmente, ma arricchire spiritualmente. Impoverirsi non vuol dire miseria, ma vuol dire rinunciare a una cultura dell’eccesso, dello spreco, del consumismo sfrenato. Il singolo voto sembra non contare nulla in una votazione politica, eppure la vittoria di un partito o di un candidato discende dalla somma dei singoli voti. In egual modo solo dalla somma dei
  • 28. singoli comportamenti potrà nascere una civiltà più equilibrata nelle aspirazioni e nei consumi; come naturalmente anche dal concorso di più generali iniziative assunte da Stati e imprese E’ evidente che non basteranno anni per creare un simile scenario. Troppi rivolgimenti di varia natura sono in atto in punti diversi del pianeta e troppe culture, anche locali si contrappongono. Ma occorre iniziare e soprattutto occorre rendersi conto che tanto vale iniziare da subito. E’ sufficiente un singolo gesto per avviare una nuova società: quello, per esempio, di non gettare i mozziconi di sigaretta per terra. Eppure basta girare per una strada di Roma e osservare i passanti per rendersi conto di quanto sia ancora lontana la città ideale, quella di cui parlava Calvino nella conclusione di Le città invisibili. Innumerevoli piccoli gesti conducono a grandi risultati in ogni settore della società. L’economia è solo un aspetto delle tante dimensioni culturali e sociali dell’uomo e dipende da quasi tutte queste dimensioni. É un progetto che si scontrerà certamente con gli egoismi e le ambizioni, persino biologiche, individuali. Ma homo sapiens è anche un animale culturale e sociale. Dall’attuale dimensione della nevrosi economica dovrà sapersi muovere verso un rapporto infinitamente più equilibrato con se stesso, con gli altri, e con la Natura. Non esiste un’alternativa. “E apertamente dedicai il cuore alla terra grave e sofferente, e spesso, nella notte sacra, promisi d’amarla fedelmente fino alla morte, senza paura, col suo greve carico di fatalità, e di non spregiare alcuno dei suoi enigmi. Così, m’avvinsi ad essa di un vincolo mortale.” Holderlin, La morte di Empedocle