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Periodico di informazione a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Numero 23 anno V - Gennaio/Febbraio 2019
IlruggitodelrioneIn una tavola rotonda organizzata dal nostro giornale, alcune tra
le associazioni più attive sul territorio si confrontano sul tema
dell’immigrazione. Ed emergono i tanti nodi critici dell’Esquilino
Èstato già detto e scritto più volte: c’era
bisogno di ribadirlo? Forse sì: l’Esquilino,
è sotto pressione, sul piano dei servizi, del
decoro, della percezione di sicurezza; e lo è
da troppo tempo. Questo ci rimandano i rap-
presentanti di alcune delle associazioni più
attive nel territorio: Comitato Piazza Vittorio
Partecipata, Esquilino in Comune, Esquilino
Vivo, oltre all’Associazione Genitori Scuola Di
Donato, il titolare di una delle farmacie che si
affacciano su Piazza Vittorio e una giornalista
residente. Perché l’incontro, organizzato per
discutere di immigrazione, intesa anche come
confronto socio-culturale in una zona di Roma
nella quale quasi un quarto dei residenti è di
nazionalità straniera, fin dalle prime battute
per tutti i presenti è diventato una buona oc-
casione per parlare del rione a trecentoses-
santa gradi. Ed è emersa l’immagine di un ter-
ritorio complesso, con tante facce; con zone,
come quella intorno al mercato, con l’ex Zecca
e l’Apollo, che sono considerate dai residenti
come “buchi neri”, percepite come insicure,
certamente luoghi di spaccio, degrado e mi-
crocriminalità. Un rione nel quale una vera
e coerente politica per l’integrazione non si
è mai fatta. Tenendo conto, anche qui, della
complessità, determinata dal fatto che le co-
munità straniere sono tante e diverse e che
all’interno delle stesse ci sono diverse visioni.
E, a proposito degli immigrati irregolari, tutti
i presenti si sono trovati d’accordo sul fatto
che il problema non sono i disperati, stranieri
o no, che transitano, bivaccano e vivono per
strada, ma il fatto che mancano efficaci inter-
venti sociali. E un minimo di servizi. A parti-
re, banalmente, dai bagni pubblici. Nel mirino
dei residenti, l’assenza di interventi da parte
dei servizi sociali ma anche la cattiva manu-
tenzione del verde, la spazzatura, la scarsa
illuminazione. Ed è forte la richiesta di una
vera presenza delle istituzioni, con il ritorno al
pieno rispetto delle regole. Da parte di tutti,
stranieri e non.
Paola Mauti
segue alle pagg. 4, 5 e 6
Focus sull’immigrazione
Con questo numero del nostro giornale,
inauguriamo la pubblicazione di speciali
focus tematici, dedicati all’approfondimento
di argomenti attuali e particolarmente sentiti-
dagli abitanti. La tematica che abbiamo scelto
per questa nostra ‘prima volta’ è la presenza
degli stranieri nel rione, intesa in un’accezione
ampia, cioè con riferimento sia ai residenti,
sia agli immigrati irregolari, che, anche per la
vicinanza della stazione Termini, ‘transitano’
nel quartiere.
Quello dell’immigrazione è un tema che, so-
prattutto negli ultimi mesi, occupa quasi quo-
tidianamente le pagine dei giornali nazionali,
e, in considerazione del fatto che l’Esquilino
è, nella capitale, uno dei territori con il più
alto tasso di presenza di stranieri, abbiamo
ritenuto di non poterci sottrarre dall’affrontar-
lo. Sappiamo quanto il tema sia sentito dagli
abitanti del rione, anche per l’impatto e le dif-
ficoltà che accompagnano, a volte, il passag-
gio degli stranieri nelle strade e nelle piazze
dell’Esquilino. Ma sappiamo anche quanto la
presenza di persone di etnia diversa sia da
sempre una fonte di arricchimento, sociale,
culturale e anche economico. Ci siamo chiesti
quali strumenti potevamo darci per approfon-
dire e restituire ai nostri lettori una tematica
così sfaccettata e complessa, come fare per
raccontarla nella maniera più oggettiva possi-
bile, e ci è sembrato che il modo migliore fos-
se ascoltare le riflessioni, le opinioni, l’espe-
rienza di chi vive nel rione e nel rione opera.
Per questo abbiamo organizzato una tavola
rotonda, alla quale abbiamo invitato i rappre-
sentanti di alcuni comitati e associazioni che
da anni sono attivi nel rione e che ci hanno
aiutato ad analizzare il fenomeno. Le pagine
dedicate all’immigrazione contengono dunque
il risultato del dibattito che è scaturito dalla
tavola rotonda. Inoltre, a cura di Maria Gra-
zia Sentinelli, riportiamo l’intervista che ci ha
concesso Antimo Luigi Farro, professore ordi-
nario presso “La Sapienza”, che ci ha aiutato
ad analizzare il tema delle migrazioni, con ri-
ferimenti statistici, spunti sociologici e con la
descrizione delle ricadute che il fenomeno, di
portata mondiale, ha determinato all’Esquili-
no. Carmelo Severino ci racconta come i flussi
migratori, dalle altre Regioni prima, dal resto
del mondo adesso, hanno da sempre, a partire
dall’Unità d’Italia, interessato il nostro rione.
Infine, anche la pagina “Il mondo a Scuola”, a
cura di Patrizia Pellegrini, è dedicata all’immi-
grazione: infatti i contributi dei bambini sono
centrati su questo tema.
Foto: www.lucaferrantefotografo.it
2 Per le stradePer le strade
antonio.finelli@tiscali.it antonio.finelli@tiscali.it
Santa Croce in Gerusalemme
Sguardi sull’Esquilino di Antonio Finelli
(antonio.finelli@tiscali.it)
Storia di quattro amici
L’attribuzione delle competenze tra il Comune, i Municipi e le aziende di servizi
Questa è la storia di quattro
amici: Ognunodinoi, Qual-
cuno, Ciascuno e Nessuno. Il
vero nome di Ognunodinoi era
PopolodeRoma, di Qualcuno era
ComunedeRoma, di Nessuno era
MunicipiodeRoma e di Ciascuno
era Aceatacama, che nonostan-
te il nome vagamente giappone-
se, era di queste parti. Aceata-
cama in realtà erano tre gemelli,
che avevano gli stessi difetti.
Una richiesta semplice.
Ognunodinoi (PopolodeRoma)
aveva bisogno che fosse fatto
un lavoro importante, niente di
eccezionale, un lavoro di manu-
tenzione ordinaria: che le buche
e le voragini stradali fossero
riparate, che gli alberi dei viali
fossero potati e il verde dei par-
chi curato, che le strade fossero
spazzate e i cassonetti dell’im-
mondizia svuotati; che nelle
strade di sera e di notte ci fosse
luce sufficiente per camminare
senza paura di essere scippati o
investiti dalle auto, o di slogar-
si una caviglia sul marciapiede
dissestato o di pestare cacche
di cane. E che gli autobus pas-
sassero frequentemente e senza
prender fuoco.
Ognunodinoi chiese a Qualcuno
(ComunedeRoma) di occuparse-
ne e lo chiese anche a Nessu-
no (MunicipiodeRoma). Nessuno
disse che non gli spettava per-
ché compito di Qualcuno. Poi,
finalmente, Qualcuno o Nessuno
chiesero a Ciascuno (Aceatac-
ama) di fare quanto necessario.
Ognunodinoi però non era sicu-
ro che si sarebbe fatto. Infatti
Ciascuno, che avrebbe potuto e
dovuto fare, non lo fece.
Ognunodinoi si arrabbiò per-
ché credeva che Qualcuno fosse
Responsabile di quei lavori. Ma
Qualcuno Responsabile non si
riuscì a trovare.
Finì che Ognunodinoi (Popolode-
Roma) fece anche una piazzata
in Campidoglio contro Qualcu-
no (ComunedeRoma), che a
sua volta rimproverò Nessuno
(MunicipiodeRoma) di non aver
fatto ciò che Ciascuno (Aceatca-
cama) avrebbe dovuto fare. In
questa lite di tutti contro tutti, si
sono sentite voci varie, rivolte al
passato: “è colpa e responsabi-
lità delle amministrazioni prece-
denti”. Al presente: “non ci sono
i soldi”. E al futuro: “stiamo fa-
cendo e faremo…”
Fuori metafora. Effettiva-
mente, ACEA ha rinnegato la
mamma Roma Comunale cam-
biando più volte nome e per-
sonalità – da società al servizio
della comunità a società per
fare utili – e ha creato un go-
mitolo inestricabile di società e
partecipazioni, che ci vorrebbe
molta luce per vederci qualcosa.
Ma, al contrario, l’illuminazione,
specie stradale, è stata abbas-
sata fino quasi al buio. ATAC era stata sot-
toposta, pochi giorni fa, a una dolorosis-
sima operazione di cambio di genere: da
pubblica a privata. Ora pensa di ristrut-
turarsi in azienda speciale, che nessuno
sa cosa voglia dire. Per il momento sono
diminuite le corse, così gli autobus non si
guastano né prendono fuoco.
Infine AMA sta studiando come smaltire
l’immondizia prima che sia prodotta (ri-
fiuti zero con economia circolare). Per il
momento è bene nascondere i cassonetti
troppo pieni. E come? Naturalmente sotto
cumuli di immondizia.
Ma il cambiamento di nome non è garan-
zia di cambiamento: forse è necessario
rivedere la struttura organizzativa, pas-
sando da una struttura con responsabilità
verticali a una struttura orizzontale con
responsabilità non settoriali ma di zona.
Aspettando il micco. Quel fornaio che
caricava esageratamente il carrettino a
mano per la consegna del pane ai negozi,
al ragazzino, piccolo e debole, che lo dove-
va spingere, diceva: “Vai, vai, che qualche
micco che ti aiuti, troverai”. I micchi oggi
sono forse quelle persone che armate di
scope ripuliscono strade e giardini. Sono
quelli che danno la mancia a chi spazza
i marciapiedi, sono i volontari del verde
che lavorano nei parchi senza neppure
l’assicurazione, sono quei condòmini che
piantano alberelli al posto di quelli morti o
curano le microaiuole con fiori e piantine.
Sono quei negozi o condomìni che fanno
luce con i loro faretti privati nei tratti di
marciapiede vicini.
In questa città che sta sempre più diven-
tando una ‘città fai da te’ forse rispunte-
ranno i camioncini che sostituivano le li-
nee degli autobus il giorno del 1° maggio.
Qualcuno qui sta aspettando il micco. E
forse ci conta troppo.
Carlo Di Carlo
3
L’occhio del cieloL’occhio del cielo
Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione
L’occhio del cieloL’occhio del cielo
Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione
Tante comunità, poche contaminazioni
Antimo Luigi Farro, professore di Sociologia presso l’Università La Sapienza, ci ha anticipato
alcunirisultatidelsuoultimolavorodiricercasull’incidenzadeiprocessimigratorinelnostrorione
Antimo Luigi Farro è professore
ordinario presso il Dipartimen-
to di Scienze Sociali ed Economi-
che dell'Università La Sapienza di
Roma. Il suo campo di ricerca in-
clude: teoria sociologica, culture e
movimenti sociali, questione am-
bientale e urbana. Abita all'Esquili-
no da vari anni e ha realizzato una
ricerca, "Il mondo in un quartie-
re", in cui analizza in che modo i
processi migratori che interessano
tutto il mondo si declinano in Ita-
lia; più nel dettaglio, a Roma e in
particolare all'Esquilino.
Professor Farro, come è mu-
tata negli anni la presen-
za dei residenti stranieri ad
Esquilino? E come si è modi-
ficata la loro presenza rispet-
to ai paesi di provenienza?
La presenza dei residenti stranieri
rappresenta una minoranza che,
nel corso del tempo, è diventata
più significativa. In particolare,
nel periodo 2000-2016 si registra
un sensibile aumento dei cittadi-
ni cinesi che da un totale di 600
diventano circa 2.200. Un'altra
significativa presenza è rappre-
sentata dai bangladesi passati da
550 nel 2000 a 1.600 nel 2016. I
residenti provenienti da altri paesi,
pur se in crescita - come nigeriani
ed egiziani - mostrano sicuramen-
te una consistenza minore.
Come si sono modificate nel
tempo le attività lavorative nel
nostro rione?
Negli ultimi anni la presenza degli
esercizi commerciali è aumentata
a favore degli stranieri: i nego-
zi gestiti da italiani sono passati
dai 698 del 2000 ai 541 del 2014.
Viceversa gli esercizi commercia-
li gestiti dai cinesi, che nel 2000
erano appena un centinaio, so-
prattutto negozi di abbigliamento
all'ingrosso e ristoranti, nel 2014
sono arrivati a 474, e alle attività
tradizionali si sono aggiunti i ne-
gozi di parrucchieri, manicure e
negozi-bazar di casalinghi, tele-
fonini e altri gadget. I bangladesi
nel 2014 hanno gestito 120 negozi
ampliando le loro attività commer-
ciali, dalla gestione di call-center a
quella di mini market, money tran-
sfer e agenzie di viaggio. I negozi
gestiti da africani nel 2014 risulta-
no essere invece solo 9. Interes-
sante è esaminare la trasforma-
zione del Nuovo Mercato Esquilino.
Con il suo trasferimento da Piazza
Vittorio agli spazi adiacenti all’ex
Centrale del latte, si è verificato
anche un passaggio delle attività
dagli italiani ai residenti stranieri,
che ora rappresentano la maggio-
ranza dei proprietari o affittuari dei
banchi; di questi il 60% sono ban-
gladesi, il 10% arabi, il 10% rume-
ni e il 20% italiani.
Quali sono le relazioni tra re-
sidenti italiani e residenti stra-
nieri?
In generale posso dire che l'inte-
grazione, intesa come acquisizio-
ne di regole ed elementi culturali
del luogo dove i migranti arrivano,
non avviene quasi mai, se non a
livello individuale. Così succede
all'Esquilino: le comunità vivono
in mondi separati, tranne nei mo-
menti di aggregazione condivisi,
come quelli che coinvolgono i ra-
gazzi della scuola Di Donato. Altri-
menti le comunità vivono piuttosto
chiuse tra di loro, cercando di man-
tenere le loro relazioni familiari ed
amicali e le loro tradizioni. D'altra
parte, i flussi migratori hanno avu-
to sempre le stesse dinamiche: i
nuovi arrivati, generalmente, sono
accolti con diffidenza dagli abitanti
preesistenti. All'Esquilino i Comita-
ti e le Associazioni, come del re-
sto anche tutti gli altri abitanti del
rione, hanno diversi orientamenti:
c'è chi vede in loro una presen-
za negativa, per la concorrenza
commerciale, il decoro urbano, le
attività lavorative al limite dell'il-
legalità, e vorrebbe contrastare la
loro presenza; c'è chi li apprezza e
accetta le loro diversità, minimiz-
zando i problemi che la conviven-
za tra etnie diverse crea nel rione;
chi ha un atteggiamento dialogico,
cerca cioè di valorizzare la multi-
culturalità e, nello stesso tempo, di
attivarsi per migliorare ciò che nel
rione non funziona. Va detto che
purtroppo ci sono anche persone
che sfruttano l'arrivo dei migranti
per lucrare denaro e fare affari, e
certo questo non aiuta a far supe-
rare le diffidenze e i pregiudizi an-
che verso quei migranti, che sono
poi la maggioranza, che rispettano
le regole e costituiscono una ric-
chezza per tutto il rione.
Maria Grazia Sentinelli
La presenza di residenti stranieri
a Roma e all'Esquilino
Dai dati elaborati dall'ufficio statistico di Roma Capitale, si rile-
va che i residenti stranieri a Roma a fine 2017 ammontano a
385.621 unità che rappresentano il 13,4% dell'intera popolazione
romana. Di questi il 24,1% proviene dalla Romania, seguita dalle
Filippine (10,9%), dal Bangladesh (8,2%), e dalla Repubblica Popo-
lare Cinese (5,0%), paesi che mantengono le stesse posizioni dete-
nute già negli anni 2000. Si nota negli ultimi anni una forte crescita
del flusso degli stranieri provenienti dall'Africa, in particolare dalla
Nigeria (+9,3%), mentre è in diminuzione il numero di migranti
provenienti dall'America del Sud, in prevalenza peruviani ed ecua-
doregni. La maggiore concentrazione di stranieri è nel Primo Muni-
cipio con un totale di 42.806 unità che rappresentano il 23,7% di
tutta la sua popolazione. Seguono il XV (con il 19,3%) ed il VI (con
il 17,7%).
Restringendo il campo d'analisi all’Esquilino, l'anno dell'ultima rile-
vazione statistica è il 2016. Dai dati elaborati dal Centro Ricerche
IDOS risulta che il nostro rione è, dopo il Centro storico, la zona
urbanistica con maggior presenza di residenti stranieri. Questi, in-
fatti, risultano essere 10.590 e rappresentano il 28,7% dell'intera
popolazione dell'Esquilino (incidenza più che doppia della presenza
straniera sull'intera città). Le principali comunità di residenti sono
quella cinese e quella bangladese, anche se nel nostro rione si assi-
ste ad una forte crescita di migranti africani.
4
Quei quadranti come buchi neri
L’occhio del cieloL’occhio del cielo
Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione
Alla tavola rotonda hanno partecipato Esquilino Vivo, Esquilino in Comune, Comitato Piazza Vittorio Parteci-
pata, l’Associazione Genitori Scuola Di Donato, il titolare di una farmacia del rione e una giornalista residente
> segue dalla prima pagina
Il Cielo sopra Esquilino: «C’è stato recente-
mente un incontro interistituzionale per
affrontare le emergenze del rione: avete
avuto risposte soddisfacenti?»
“Un territorio molto complesso”. Anna Di
Carlo (Esquilino Vivo). Il fenomeno è comples-
so e io non ne farei una questione legata all’im-
migrazione. Qui ci sono molti problemi legati al
decoro, al commercio, al fatto che non c’è una
regola riguardo, ad esempio, alla raccolta dei
cartoni da parte dei negozianti, non c’è un cen-
simento delle abitazioni: ci sono nel rione circa
ottomila B&B, dove vivono un numero indefi-
nito di persone. Il problema dell’immigrazione
è legato alla gestione del fenomeno, all’assi-
stenza sociale. Questi ragazzi sono abbando-
nati a se stessi: se lo Stato non se ne fa carico,
subentra un secondo stato che dà loro lavo-
ro, vengono ingaggiati per attività non lecite.
Comunque, la droga c’è e le forze dell’ordine
non ci hanno dato una risposta soddisfacente.
Senza parlare del problema dell’illuminazione:
i giardini, d’inverno, a partire dalle quattro di
pomeriggio, sono inaccessibili perché sono al
buio.
“Manca la politica”. Giuseppe Longo (titola-
re della farmacia omonima). Nell’incontro ho
detto che abbiamo la peggiore gestione degli
ultimi anni, perché manca proprio la “politica”:
l’integrazione non si fa a chiacchiere, prevede
dei progetti seri che vengano realizzati e che
siano seguiti nei risultati. Di tutto questo non
si è visto niente negli ultimi tre anni, abbiamo
assistito solo ad un rimpallo di responsabilità,
dal comune al municipio: le forze dell’ordine
fanno un’azione di repressione, anche in questi
giorni, portano via un sacco di spacciatori, ma
poi tutto resta come prima. Serve un interven-
to, perché se non c’è una politica sociale che
si faccia carico di questa gente che sta lì, che
torna a sporcare dove è stato appena pulito, è
tutto inutile. Il giardino è bellissimo, la mattina
ci sono i cinesi che fanno la loro ginnastica e
incuriosiscono i turisti e tutti noi; ma ci sono
anche i barboni, che sono sempre gli stessi,
senza che ci sia un vigile che intervenga. Il de-
grado è dato da persone che bivaccano.
“Se non si governa, la situazione diventa
esplosiva”. Giovanni Marucci (Comitato Piaz-
za Vittorio Partecipata). In questo dibattito sia-
mo partiti dalla pancia, che non è sbagliato,
perché questa è la situazione: peccato che su
questa pancia, durante il periodo elettorale, si
è costruita una propaganda da parte di gente
che nell’immigrazione vede un problema e non
un’opportunità. Poi, vanno adottate delle po-
litiche. Nel rione abbiamo una scuola modello
(la Di Donato, n.d.r.) nella quale però parliamo
ai convertiti: chi vi porta i figli è ben conten-
to di far fare loro un’esperienza multiculturale.
Però, per un genitore che porta i figli qui, ce ne
sono dieci che non ce li mandano, perché qui
trovano bambini di colore. L’Esquilino è anco-
ra un’isola felice, anzi sta sopportando più di
quello che avrebbe sopportato qualsiasi altra
zona. Noi abbiamo più di 500 mila persone che
passano ogni giorno per le nostre strade: è una
cosa spropositata. E dove sono le risorse per
gestire questa cosa spropositata? Il servizio
giardini non esiste più; forse, tra qualche gior-
no, ricominceranno a ripulire e riqualificare un
po’. Dell’Ama non parliamo. Non c’è bellezza,
non c’è decoro, c’è solo degrado. Se a questa
situazione si aggiungono anche quelli che ar-
rivano e non sanno dove andare, la situazione
diventa esplosiva.
“C’è un’involuzione culturale da parte di
alcune comunità straniere”. Letizia Cicconi
(Esquilino in Comune). Vorrei fare una rifles-
sione, perché la questione dell’integrazione è
abbastanza difficile: noi ne possiamo parlare
riferendoci a questa scuola, che “ha fatto scuo-
la”. Poi parliamo delle comunità: ce ne sono
tante, stanziali, che hanno attività commerciali.
I cinesi sono persone benestanti. Alla chiusura
dei loro negozi, vanno nei ristoranti italiani,
5
L’occhio del cieloL’occhio del cielo
Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione
sono elegantissimi, mandano i loro figli alla
Marymount, non alla Di Donato. I bengalesi la-
vorano tutti, non c’è nessuno per strada; molti
si trasferiscono a Londra con i loro figli, che
fanno studiare in Inghilterra. Quello che ho no-
tato in questi ultimi anni è che, a parte i cinesi
che sono stati sempre molto chiusi, prima c’era
una voglia di integrarsi che adesso c’è meno.
Ho notato da parte delle donne bengalesi, ad
esempio, un’involuzione di carattere sociale:
prima erano più aperte, ora ne vedo molte
completamente velate. Noi non siamo stati ca-
paci di presentare il nostro modello e loro si
sentono più protette tornando alle loro tradi-
zioni. Rispetto ai senza fissa dimora, secondo
la Caritas, a Roma ci sono 200 posti liberi, su
8000 persone, e lo Stato taglia i fondi. Quan-
to alla sicurezza, se le persone stanno giorni e
giorni per strada, alla fine vengono avvicinate e
portate a spacciare. Sul piano del decoro, della
pulizia, basti pensare al mercato: non si capi-
sce perché non si faccia nulla perché questo
luogo diventi motivo di attrazione invece che
di spaccio, povertà, disagio; non c’è nessuno
che faccia un controllo. Io l’ho sempre detto:
se non riusciamo a risanare quella parte dell’E-
squilino, quel buco nero che comprende la ex
Zecca, l’Apollo, il ballatoio, noi non andiamo da
nessuna parte. Nessun mercato europeo sta in
quelle condizioni.
L’Esquilino è diviso in due. Questa cesura si
deve riempire e ognuno deve fare la sua parte:
il Comune, il Municipio.
“Politiche diverse per diversi soggetti”.
Daniela Zampetti (Esquilino Vivo). Io penso
che, in primo luogo, ci vorrebbe un lavoro co-
noscitivo. Gli immigrati non sono solo africa-
ni o cinesi, ci sono anche dall’Europa dell’est
>>>
«Qualunque problema non risolto dalle istituzioni competenti, prima
o poi, diventa una questione di polizia: l’illuminazione è carente? Ci
sono episodi di furto. Non c’è assistenza, sostegno all’integrazione? Si
crea disagio e si finisce con l’avere problemi di sicurezza».
Commissario, i residenti considerano alcune zone del rione,
come parte di via Giolitti e l’area intorno al mercato, a forte
rischio, anche per la presenza di immigrati dediti a commerci
poco chiari.
La migrazione va governata a livello internazionale, noi non abbiamo
grandi strumenti. Il mercato costituisce un’attrattiva fortissima per
gli stranieri, perché ne fanno luogo di incontro per concludere la loro
economia informale o per il piccolo furto. Abbiamo aumentato i servizi
visibili, di prevenzione generale, abbiamo una macchina fissa vicino al
mercato e questo ha migliorato la situazione. Ma spesso i reati conte-
stati sono di tipo amministrativo, come nel caso del mercato abusivo
di via Ricasoli. Un apporto di multiculturalità in un contesto sociale lo
arricchisce, ma porta complessità e questa va governata.
Che rilevanza ha e come è organizzato lo spaccio?
Roma è sempre stata un luogo di spartizione, mai di dominio: in que-
sto quadro si sono inserite le criminalità straniere. Quanto alla droga,
ci sono dei filoni etnici: quella venduta dallo spacciatore nigeriano ar-
riva da un canale nigeriano. Ma bisogna dire che qui all’Esquilino non
c’è il supermarket della droga: qualche giorno fa, ad Anzio, sono stati
sequestrati 40 chili di cocaina. Qui non è mai accaduto.
Spaccio, scarsa illuminazione: tra residenti è diffusa una per-
cezione di insicurezza.
Sul fronte dei dati si può ragionare, ma la percezione è soggettiva:
noi non possiamo mettere una macchina ad ogni angolo. Il problema
è che abbiamo 150 persone circa che dormono per strada. Ma, ad
esempio, qui non ci sono stupri, il caso della senza tetto a Colle Oppio
è unico, non ci sono rapine, non ci sono reati gravi. Qui abbiamo so-
prattutto il furto con strappo, per lo più intorno alla Stazione Termini
e a danno soprattutto dei turisti. Il territorio, in realtà, è ipervigilato.
Peraltro, l’illuminazione è un forte deterrente e Roma è una città buia.
L’Esquilino lo è ancora di più, e al buio chiunque si sente insicuro. Pa-
radossalmente, però, gli episodi di criminalità si concentrano di giorno
e i delinquenti vengono da fuori, è gente che si sposta: questo vuol
dire che la comunità stanziale è tranquilla.
Che ci dice della situazione sul fronte del commercio, i tanti
negozietti, le bancarelle…
La regolamentazione del commercio è di competenza comunale, l’ap-
plicazione delle norme compete alla polizia municipale. Ciò non toglie
che, in qualche occasione, siamo andati a supporto. Comunque, non
ci sono molte irregolarità: sono postazioni regolari, alcune fisse, la
maggior parte a rotazione. Il quadro, del resto, è di deregolamenta-
zione del commercio. Il fatto è che Roma non è una città normale, ci
vogliono strumenti per tutelare il centro storico. E l’unico strumento è
il regolamento del commercio.
Nel rione c’è un fiorire di strutture ricettive, affittacamere,
B&B.
Lavoriamo tantissimo su questo fronte: credo che abbiamo fatto al-
meno 50 o 60 provvedimenti di chiusura temporanea. Noi puntiamo
sulla mancata denuncia degli alloggiati. Poi, quando si va per il con-
trollo, si contesta tutto: se manca l’estintore, se la Scia è autorizzata
per un certo numero di posti e sono di più. La revoca della licenza,
comunque, compete al comune.
P.M.
L’intervista: Giuseppe Moschitta,
responsabile del Commissariato Esquilino
>>> e questi portano problematiche diverse:
bisogna capire quali politiche fare con i diversi
soggetti, capirne la composizione, quanti sono,
quali problematiche importano dai loro paesi.
E poi chiedersi cosa significa integrazione, che
non può essere che loro recepiscono i nostri
modelli. Devono conservare le loro tradizioni,
ma il problema è come conciliarle con le no-
stre, perché nessuno scompaia nel confronto:
su questo, secondo me, non si è lavorato per
niente.
Io ho notato che ad eventi come, per esem-
pio, quello organizzato alla Casa dell’Architet-
tura, dove si è parlato di problematiche che si
potrebbero condividere, le comunità straniere
non ci sono mai. Perché succede? Manca una
comunicazione, dei canali, e chi dovrebbe ela-
borarli? Queste, secondo me, sono problema-
tiche da affrontare, perché fare una politica
generica non serve a niente.
Vi posso raccontare cosa accade nel mio “an-
golo delle Bermuda”, in via San Vito. Da po’ di
tempo sono presenti dei georgiani, una comu-
nità strutturata e chiusa, con alcuni soggetti
che si ubriacano, spacciano. Da un paio di anni,
è comparso, poi, un altro fenomeno: quello di
piccole bande di ragazzi molto giovani, com-
poste da italiani, da africani, da afroitaliani e
filippini, che, analogamente alle bande nostra-
ne, si dedicano allo sballo, quotidianamente.
Fumano, fanno risse. A volte ci sono bambini,
minorenni. Anche questo è un fenomeno che
non andrebbe ignorato.
Il Cielo sopra Esquilino: «Sarebbe interes-
sante un vostro giudizio riguardo alla
percezione da parte dei residenti rispetto
agli stranieri di passaggio: secondo voi, si
può parlare ancora in termini di accetta-
zione, di tolleranza?»
“È necessario tornare alla legalità”. Anna
Di Carlo (Esquilino Vivo). Io penso che que-
sta tolleranza ci sia ancora, siamo tra i più tol-
leranti di Roma, ma non bisogna confondere
i piani, non bisogna avere paura nel parlare
di legalità. Noi, come Esquilino Vivo, quando
abbiamo cominciato a chiedere che fosse ri-
spettata la legalità, abbiamo creato un mo-
vimento, un interesse da parte della stampa,
che però ha usato termini forti, dicendo che
noi facevamo le “ronde di sinistra”, che è una
contraddizione in termini. Secondo me, il rione
ha assunto un atteggiamento di intolleranza,
ma nei confronti del degrado e della mancanza
di gestione dei problemi.
“L’integrazione passa attraverso il lavo-
ro”. Fathia Mansouri (Associazione Genitori
Scuola Di Donato). Perché si lascia il proprio
paese? Per lavorare o studiare, per cercare un
miglioramento. Invece, molti arrivano qui, non
trovano lavoro, non trovano niente. Io sono
arrivata nel 2000 e le cose sono molto cam-
biate. Ci sono persone che sono pericolose, si
ubriacano e non ci sono controlli, anche nei
giardini.
“Occupare gli spazi”. Letizia Cicconi (Esqui-
lino in Comune). Il fatto è che gli spazi devono
essere occupati. Nel Natale del 2004, il comu-
ne fece installare un tendone riscaldato, con la
pista del ghiaccio, c’erano le persone anziane
che si fermavano a prendere un tè, poi misero
anche la giostra. L’attività durò tutto l’anno.
La stessa funzione la svolge il cinema a Piazza
Vittorio, che per tre mesi occupa quello spazio
in estate. Se la piazza è lasciata nell’abbando-
no, succede di tutto.
“Il nostro livello di tolleranza”. Corinna
Bottiglieri (Comitato Piazza Vittorio Partecipa-
ta). Volevo tornare sul tema della percezione,
perché a volte mi sembra che noi residenti
abbiamo una soglia molto alta di tolleranza:
anche io vivo nella zona del mercato, cioè lato
“sfigati”. Devo ogni giorno decidere quando
tornare a casa, perché, ad un certo punto, c’è
il coprifuoco. Insegno al liceo Cavour e rien-
trando devo attraversare Colle Oppio, passo
sul ponticello e proseguo. Mi rendo conto che
tanti ragazzi del Cavour evitano Colle Oppio,
perché è una zona da tagliare fuori. Io, con
grande imprudenza, ci sono sempre passata,
ma ora anche io ho cominciato ad evitarlo,
almeno quando fa buio. Mi rendo conto che,
nella percezione comune, chi vive all’Esquilino
è qualcuno che ha qualche rotella fuori posto.
“Una mappatura del tessuto commercia-
le”. Giuseppe Longo. Io non sono residente,
ma, da farmacista, non cambierei mai la zona
dove lavoro. E partecipo sempre a queste ini-
ziative. Vi do una notizia: sto partecipando ad
uno studio di alcuni professori universitari che
vivono all’Esquilino, che stanno facendo una
mappatura del tessuto commerciale del rione.
Perché un coordinamento del tessuto commer-
ciale ci vuole. Bisognerebbe concordare con le
comunità il tipo di commercio che possono av-
viare, facendo loro capire che questo può mi-
gliorare la loro qualità della vita. E anche su
questo manca una politica: perché uno studio
sulle attività commerciali del rione lo devono
fare dei privati? Se non si parte da questo, non
sapremo mai chi sono i nostri interlocutori del-
le varie comunità. Molti locali sono in mano alle
mafie. Inoltre, se non c’è un piano di sviluppo
commerciale, spariscono le botteghe artigiane.
“Quando era il rione dei vestiti da sposa”.
Paola Lupi (giornalista e residente). Sono una
residente che si ricorda di quando il nostro era
il rione dei vestiti da sposa: quello che vedo è
proprio il degrado dal punto di vista commer-
ciale. Io non so se esiste un tavolo per mettere
a confronto i commercianti stranieri: ma questi
sono disponibili? Io ho la sensazione che non
gliene importa proprio niente. Sono distaccati.
Quanto alla percezione di insicurezza, io sono
tranquilla: quello che mi dà fastidio è il degrado.
“Il confronto tra culture e i progetti per-
si”. Daniela Zampetti. È esistita, per qualche
anno, una manifestazione che si chiamava
“Intermundia”, che aveva come base proprio
il confronto con le altre culture: il comune l’ha
cancellata. Inoltre negli ultimi anni abbiamo
perso due progetti di riqualificazione: quello di
piazza Vittorio e quello di via Carlo Alberto e
vie limitrofe. Che fine hanno fatto i fondi?
Il nostro confronto si chiude qui. Ci scusiamo
anticipatamente con i partecipanti, perché, per
motivi di spazio, abbiamo dovuto tagliare tan-
ti interventi: sicuramente, abbiamo affrontato
diverse tematiche e molte sarebbero da ap-
profondire. Magari, in un prossimo numero del
giornale.
Paola Mauti
Foto a pagine 4, 5 e 6: www.lucaferrantefotografo.it
6
L’occhio del cieloL’occhio del cielo
Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione
Roma è stata interessata, a par-
tire dal 1870, da un consisten-
te fenomeno di migrazione inter-
na che ha comportato mutamenti
apprezzabili nella composizione
della popolazione, modificandone
in profondità costumi e compor-
tamenti socio-culturali. Tra l’altro,
è venuto meno quel caratteristico
alto “tasso di mascolinità” che da
sempre aveva rappresentato un
dato strutturale della sua demo-
grafia, come conseguenza della
forte presenza in città di servito-
ri, militari e religiosi. È stato un
flusso migratorio costante e conti-
nuo che ha portato la popolazione,
nonostante gli iniziali alti tassi di
mortalità, dai 213.622 abitanti re-
sidenti del 1871, al poco più di un
milione del 1931 fino ai 2.872.800
dei nostri giorni.
Roma pontificia. Alla vigilia dei
fatti di Porta Pia, la popolazione
romana era costituita per lo più
da una moltitudine “dalle improv-
visate occupazioni”, con una bor-
ghesia non numerosa ma “eco-
nomicamente ben provveduta”
– proprietari terrieri, mercanti di
campagna e rappresentanti delle
professioni liberali – legata alle
due classi dominanti: l’alto clero e
l’aristocrazia. Quest’ultima, carat-
terizzata “dalla grande ricchezza
terriera”, era però in fase di lento
declino dagli inizi dell’Ottocento,
con sempre minor peso nella curia
romana e marginale nella gestio-
ne del potere ecclesiastico.
La città burocratica. Conquista-
ta Roma alla causa nazionale con
il ruolo di città capitale, gli inte-
ressi delle classi dirigenti risorgi-
mentali impongono di non farne
un polo industriale, anche per evi-
tare un proletariato considerato
sconveniente “accanto al gover-
no, al papa, al re”. Roma diventa
quindi la città dei ministeri ed un
grande mercato di consumo per
le industrie del Nord. E per “prov-
vedere prontamente all’ingrandi-
mento del caseggiato urbano” e
dare alloggio a “tutte le famiglie
(…) che col trasporto della capita-
le” si sarebbero trasferite a Roma,
già il 10 novembre 1870 viene
proposto di estendere l’abitato sul
versante orientale della città “nei
contorni della stazione ferroviaria
presso le Terme di Diocleziano”.
La Terza Roma nasce esquilina.
A partire dal 1872 si comincia a
costruire sui colli dell’Esquilino un
nuovo quartiere per 35 mila abi-
tanti. Oggi è possibile conoscerne
la composizione della popolazione
grazie agli ‘Stati d’anime’ compi-
lati dai parroci: il censimento fatto
nella Pasqua del 1881 prende in
considerazione i residenti in piazza
di Santa Maria Maggiore, via Gio-
berti, viale Principessa Margherita
(attuale via Giolitti), via D’Azeglio,
via Mazzini (attuale via Cattaneo),
piazza Manfredo Fanti, via Cavour,
via Principe Amedeo, via Manin,
via Farini, via del Viminale, via
Balbo, via Principe Umberto e via
dell’Esquilino.
La zona censita risulta già discre-
tamente popolata pur con diversi
alloggi ancora disabitati – inte-
ri piani in qualche fabbricato. Più
in particolare, in via Carlo Alber-
to, negli isolati tra piazza Vittorio
Emanuele II, via Rattazzi e via
Mazzini (attuale via Cattaneo),
tra gli abitanti che dichiarano una
condizione lavorativa sono nume-
rosi gli impiegati, oltre il 41%, e,
di questi, più della metà lavorano
presso il ministero delle Finanze e
la Corte dei Conti, in quegli anni
in via Venti Settembre. Due cor-
pi scala, in via Carlo Alberto 24
e 26 sono abitati esclusivamente
da impiegati del ministero delle
Finanze. Nei fabbricati di via Gio-
berti 10-30 gli impiegati statali
sono la componente maggiorita-
ria (anche in questo caso Finanze
e Corte dei Conti). Per il resto, la
popolazione che risiede all’Esquili-
no risulta socialmente composita,
formata da artigiani, piccoli bor-
ghesi, musicisti, qualche sacer-
dote, alcuni militari ed anche un
deputato, il lombardo Francesco
Cagnola, appartenente alla Sini-
stra storica. Nel lato opposto della
stessa via Gioberti, invece, ai nu-
meri civici dispari, sono occupate
solo le botteghe del pianoterra –
un muratore al n.19, un pizzica-
gnolo di Norcia e la sua famiglia al
n.27, due calzolai e le loro fami-
glie, al n.41 proveniente da Cagli
e al n.35 proveniente da Velletri.
A piazza Manfredo Fanti, invece,
nell’unico palazzo già ultimato, al
civico n.8, vi sono soltanto venti-
sette abitanti perché cinque degli
appartamenti sono ancora sfitti:
un pittore decoratore, un domesti-
co ed il portiere con la moglie sar-
ta al pianoterra, un professore di
inglese all’ammezzato, le famiglie
di un impiegato del ministero della
Guerra e di un muratore al II e IV
piano. La maggior parte dei nuovi
abitanti – pochi i romani – provie-
ne da città centrosettentrionali:
da Firenze, per lo più ma anche
da Parma, Torino, Milano, Como e
Mantova, e qualche famiglia pro-
viene anche da città meridionali
(Napoli e Palermo).
Dalle migrazioni interne ai mi-
granti stranieri. Nei decenni che
seguono diverse decine di migliaia
di nuovi abitanti si insedieranno
nel rione che diventerà uno dei più
popolosi della città. Inizialmente,
è il ruolo di città capitale assunto
da Roma, e la presenza dei mi-
nisteri, ad attivare un sostenuto
flusso migratorio interno; succes-
sivamente, sarà il divario territo-
riale che caratterizza la moder-
nizzazione italiana – con disparità
nello sviluppo e “squilibrio” nella
distribuzione della ricchezza – ad
attrarre nuovi migranti provenien-
ti da tutte le regioni italiane, so-
prattutto da quelle meridionali. Ed
oggi, che i migranti stranieri han-
no sostituito le migrazioni interne,
l’Esquilino multietnico e multicul-
turale si ritrova ad essere alla ri-
cerca di un processo di integrazio-
ne sociale e culturale in grado di
trasformare il problema migranti
in una opportunità di rivitalizza-
zione territoriale.
Carmelo G. Severino
7
L’occhio del cieloL’occhio del cielo
Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione
Come eravamo: l’Esquilino dal 1870 al 1881
Dalle migrazioni interne ai migranti stranieri: il rione ha sempre avuto una vocazione all’accoglienza
9Il rione mormoraIl rione mormora
I costumi “slow” che vestono i teatri e le Olimpiadi
Nel laboratorio di costumi per cinema e teatro di via Carlo Botta, la migliore tradizione si coniuga con l’efficienza
La formula è semplice quanto
geniale: confezionare un pro-
dotto sartoriale, individuando la
migliore maestranza sulla piaz-
za, per fare bene e nel modo più
efficiente. È stata ed è questa la
filosofia di (S)Lowcostume, Labo-
ratorio per la realizzazione di abiti
per cinema, televisione ma, so-
prattutto, per teatro ed eventi. Da
11 anni in via Carlo Botta: più di
una bottega ma, sicuramente, non
una fabbrica, cioè il giusto com-
promesso tra artigianalità e forma
imprenditoriale avanzata. Ma an-
diamo con ordine.
Costumisti per vocazione e or-
ganizzazione doc. Tutto parte
da un garage, ma nessun punto
in comune con le classiche storie
delle start-up tecnologiche della
Silincon Valley. Lowcostume na-
sce in questo grande locale all'i-
nizio della strada, dove, 40 anni
fa, c'era un garage. Dopo aver ab-
bassato la saracinesca, era stato
sostituito da un supermercato di
surgelati, che a sua volta ha chiu-
so e ha lasciato lo spazio deserto
per 20 anni. Parallelamente, co-
minciava la carriera di costumiste
di Giovanna Buzzi e Silvia Aymo-
nino, la prima nata a Milano ma
monticiana da quaranta anni; la
seconda nata nella Suburra e poi
trasferitasi con convinzione all'E-
squilino «da sempre malfamato,
non ci si andava per nessun mo-
tivo. Poi con gli anni e l'immigra-
zione, checchè se ne dica, è mol-
to migliorato». Giovanna Buzzi,
due premi Abbiati – nel 1990 per
il “Ricciardo e Zoraide”, regia di
Luca Ronconi per il Rossini Opera
Festival, e nel 2005 per il “Walku-
re”, regia di Federico Tiezzi per il
Teatro San Carlo di Napoli – ha re-
alizzato i costumi per lo spettacolo
di chiusura delle Olimpiadi Inver-
nali di Torino del 2006. Assistente
di Pier Luigi Pizzi dal 1985 al 2005,
ha sempre lavorato con la Sartoria
Tirelli, e curato le realizzazioni e
produzioni dei costumi nei teatri.
Silvia Aymonino, nata a Roma,
vissuta a Venezia, accento incer-
to «nordica di testa e romana nel
cuore», lavora come costumista
dal 1992 nell’opera, nella prosa
e nei grandi eventi. Professional-
mente, nasce anche lei presso la
sartoria Tirelli, di cui è stata di-
pendente e poi assistente del di-
rettore. Ha frequentato i maggio-
ri teatri italiani ed internazionali,
collaborando, come costumista,
con registi quali Luca Ronconi, Da-
miano Michieletto, Leo Muscato,
Lorenzo Mariani, Massimo Popoli-
zio. La sua occupazione principale
negli ultimi anni è stata la produ-
zione e l’organizzazione dei costu-
mi delle olimpiadi di Torino, Sochi,
in parte Londra e Rio de Janeiro.
Insieme con i due soci Odino Ar-
tiol, amministratore della società,
e Massimo Pieroni, socio di capita-
li, danno vita a Lowcostume.
Centomila abiti in modo
“Slow”. Oggi la Slowcostume è
un nuovo modo di pensare i costu-
mi esplorando nuove rotte. «Ogni
lavoro per noi è un viaggio alla
ricerca delle soluzioni più giuste,
meglio realizzate e più economi-
che» ci racconta Silvia. «Abbiamo
iniziato questa avventura durante
la crisi del 2006, quando la ten-
denza era al low cost. Poi, strada
facendo, abbiamo capito che la
gestione dei prezzi, il 'low', poteva
e doveva sposarsi con la migliore
qualità possibile: da qui il cambio
in Slowcostume». Oggi realizza-
no costumi d’epoca e moderni,
sia pezzi unici, sia grandi quanti-
tà, per noleggio e vendita. E non
si stenta a crederlo, dal momen-
to che un'ala intera del laborato-
rio ospita cappelli di ogni sorta,
«non possiamo esporli tutti, ma
è impossibile tenerli chiusi in una
scatola», e costumi suddivisi per
epoche.
Cosa vuol dire acquisire rapporti
con maestri artigiani ed aziende,
in tutte le regioni d’Italia e all'e-
stero, per garantire il migliore dei
risultati sul piano quali-quantitati-
vo? «Vuol dire, ad esempio, che,
se ci commissionano dei kilt, li
facciamo fare in Scozia, dove il ri-
sultato sarà sicuramente eccellen-
te per tradizione, senza obbligare
maestranze nostrane a inventarsi
da zero il modo di confezionarli
qui. E lo stesso può valere per le
tuniche, prese in Tibet, o i kimono
in Giappone». Un metodo vincen-
te, rapido il giusto se ben organiz-
zato, che si affianca al lavoro arti-
gianale, che ferve nel laboratorio,
dove si incontrano giovani e meno
giovani, dipendenti, collaborato-
ri e stagisti che creano, cuciono,
tagliano, dipingono e sperimen-
tano. Col sorriso sulle labbra. Alle
spalle, centomila abiti realizzati,
gli eventi delle Olimpiadi di Tori-
no, Sochi, Rio de Janeiro: tutto
sintetizzato in una dichiarazione
di amore e gratitudine per que-
sto lavoro e i propri collaboratori,
su un foglio alto 170 cm, scritto a
mano da Giovanna e appeso nello
studio, cioè l'ex guardiola del vec-
chio garage i cui locali sono tornati
alla vita, dando linfa al rione. Quel
rione che, secondo Silvia, neces-
sita di un presidio continuo «Non
si può arretrare. Ogni volta che
chiude un'attività o si demolisce
un edificio storico, come l'Apollo,
non nasce più niente, come gli al-
beri tagliati e mai sostituiti».
D'altronde, basterebbe applicare
all’Esquilino la filosofia del labora-
torio: ognuno dovrebbe occuparsi
di ciò che sa fare meglio, senza
inventarsi altro, e offrire alla co-
munità il meglio di sé.
Silvio Nobili
Foto: www.lucaferrantefotografo.it
Il Liceo Pilo Albertelli
contro tutte le violenze
Si è tenuto lo scorso 11 gennaio nell’am-
bito della ‘Notte nazionale del Liceo Clas-
sico’ il ‘Giuramento contro tutte le violenze’.
I ragazzi, coinvolti nel progetto dell’art per-
former Marina Rapone, hanno rappresen-
tato dei ‘quadri viventi’ raffiguranti ogni
aspetto della violenza. Il Giuramento finale,
dal valore catartico e rinnovatore, ha rap-
presentato l’impegno, di fronte a se stessi e
agli altri, al rifiuto di ogni forma di violenza.
Esquilino Poesia
Partirà il 4 febbraio alle ore 18:30, nella
sede del Palazzo del Freddo di Giovanni
Fassi, il primo ciclo della rassegna ‘Esquilino
Poesia’. Questi gli appuntamenti:
4 febbraio Elio Pecora - Loca Benassi;
11 febbraio Renzo Paris - Giorgio Ghiotti;
18 febbraio Gabriella Sica - Eleonora Rimolo;
25 febbraio Antonio Veneziani - Gabriele Galloni;
4 marzo Annelisa Alleva - Francesco Iannone;
11 marzo Alberto Toni - Giovanni Vivinetto;
18 marzo Gino Scartaghiande - Alfonso Guida.
La rassegna proseguirà con un secondo ciclo
previsto per i mesi di marzo-giugno (sem-
pre presso il Palazzo del Freddo) ed un terzo
ciclo previsto per il mese di settembre pres-
so Palazzo Merulana.
Genius, scuola di scrittura
creativa all’Esquilino
Il Palazzo del Freddo di Giovanni Fassi ospi-
terà la scuola di scrittura Genius, per per-
fezionare la tecnica di scrittura di racconti,
romanzi, articoli, sceneggiature e testi per i
Social. Con Paolo Restuccia, da decenni atti-
vo nella diffusione della scrittura creativa in
Italia e regista del Ruggito del coniglio di Rai
Radio2, ci saranno autori noti come Simona
Baldelli e Andrea Carraro, editor come Luigi
Annibaldi e Alice Felci, filmaker come Lucia
Pappalardo (RaiUno e RaiDue) ad accogliere
gli allievi nell’atmosfera preziosa della Sala
Giuseppina.
A questa moderna attività di formazione,
grazie al gelatiere Andrea Fassi, si unirà
l’antica e sempre nuova passione per il gela-
to per dare vita a suggestivi incontri che ter-
ranno insieme il gusto per le parole e quello
per i sapori.
I corsi saranno anche ospitati presso la li-
breria Pagina 2.
Per maggiori informazioni:
genius@storygenius.it – 3518779461
10 In itinereIn itinere
VittorioAlfieri:libertà,idealietitanismo
Da questo numero, ospiteremo i contributi di Francesco Ciamei, nipote
ed erede del fondatore della nota torrefazione. Appassionato di letteratura,
ciaccompagneràperleviedelrione,prendendospuntodallatoponomastica
Interrogarsi circa la toponomastica è un vezzo
che noi ospiti del Rione XV dovremmo conce-
derci più spesso. Quello che può apparire come
un esercizio sterile, fine a se stesso, d’un tratto
riesce ad assumere una valenza diversa, conso-
latoria, se non addirittura esaltante.
In fin dei conti, abbiamo tutti una certa familia-
rità con le nostre strade intitolate a re, principi,
conti e letterati sublimi. Ognuno di questi con
una storia particolare, ognuno portatore di un
messaggio da decifrare.
Nei momenti liberi mi capita di passeggia-
re pensoso ed assorto; ecco che, alzando lo
sguardo, le vedi solenni, quasi come un monito,
le targhe. Alcune pare parlino un italiano arcai-
co, severo ma pieno di significati.
Un incontro casuale: Vittorio Alfieri. Sono
un po’ di fretta e decido di tagliare dietro piazza
Dante; ecco che, raggiungendo la via Merulana,
sento riecheggiare improvvisamente gli strali
del conte Vittorio Amedeo Alfieri, piemontese di
Asti, letterato, drammaturgo e filologo immagi-
nifico, vissuto tra il 1749 ed il 1803. Un uomo
profondamente inquieto, le cui radici culturali
affondavano nel rigore degli studi classici e che,
al contempo, seppe essere prodromo dei suc-
cessivi Romantici. Alfieri, con la sua Opera e le
sue traduzioni dei Classici, seppe nobilitare ed
elevare la nostra lingua italiana, valendosi di un
lirismo e di una sofisticatezza senza preceden-
ti. Tuttavia, immagino meriti d’esser ricordato
per ben altro oltre la cosmesi retorica e l’acume
formale.
Questi, sin dalle prime fatiche, fu fervente
nell’osteggiare le tirannidi che a quel tempo
soggiogavano l’Europa e che cominciavano a
patire le prime picconate sferrate dai coevi Il-
luministi. Proprio nei confronti della Rivoluzione
francese possiamo rilevare la cifra che carat-
terizzerà il percorso creativo dell’autore: dap-
prima, convintamente entusiasta dei moti rivo-
luzionari, arrivò a mutare radicalmente le sue
convinzioni a seguito di un soggiorno a Parigi,
durante il quale osservò inorridito alcune de-
vianze e perversioni che avevano corrotto l’ori-
ginario spirito, sfociando in quello che divenne
noto come “Regime del Terrore”. Alfieri, difatti,
visse ossessionato dalla ricerca della libertà,
che intendeva quale sintesi definitiva dell’eroi-
smo dell’individuo.
Iltitanismo. L’eroe alfieriano è proprio quell’en-
tità che sfida l’oppressione, le forze oscure che
lo limitano nel suo agire, ricercando un’idea
sublime, quasi disperata, di grandezza. Questa
tensione verso il superamento del limite, verso
l’assoluto, assurge ad un approdo che sarà fon-
dante della prosa alfieriana: il “titanismo”, una
chiara derivazione degli studi classici del conte.
I Titani (Τιτάνες) come narra Esiodo nella sua
Teogonia, sono sei fratelli – Crono, Iperione,
Giapeto, Oceano, Crio e Ceo – generati da Ura-
no, il cielo, e Gea, la terra. Questi personifica-
vano le potenze archetipiche che dominavano il
mondo antecedentemente all’avvento degli dei
olimpici. Proprio contro questi ultimi, i Titani in-
gaggiarono una furiosa battaglia, notoriamente
la Titanomachia, durata per ben dieci anni, che
li vide sconfitti solo dopo l’intervento in favore
di Zeus degli Ecatonchiri e dei Ciclopi. Costoro,
fratelli dei Titani, furono appositamente liberati
dalla segregazione negli Inferi e, per gratitudi-
ne, donarono a Zeus la Folgore, che, assieme
alla forza brutale degli Ecatonchiri – che, secon-
do il mito, avevano ben cento mani e cinquanta
teste – fu decisiva per sopraffare gli avversari,
poi incatenati nella prigione infernale del Tar-
taro, tra le mura e i cancelli di bronzo costru-
iti da Poseidone, e sorvegliati sempre dai loro
mostruosi fratelli, i Giganti Centimani, Briareo,
Cotto e Gige.
Il Titano, dunque, diviene prototipo ideale
dell’Eroe: questo, sebbene sfidi sfere altissime
e patisca una disfatta definitiva, incarna per-
fettamente la morale dell’autore che non nutre
velleitarie ambizioni di vittoria, ma si compiace
ed esalta nella dimensione della battaglia sen-
za sosta. In questo atteggiamento si manifesta
prepotentemente l’intimismo che lega Alfieri ai
contemporanei tedeschi dello Sturm und Drang,
intellettuali protoromantici, Friedrich Schiller e
Johann Wolfang von Goethe su tutti, che ma-
gnificavano le pulsioni irrazionali ed il Genio ar-
tistico, motori immobili capaci di condurre l’Uo-
mo ad ambizioni smisurate.
L’eroismo del quotidiano. A guardar bene,
quella dell’Eroe alfieriano è la medesima bat-
taglia che, in finale, ci ritroviamo ad affrontare
idealmente ogni giorno per le nostre vie, ne-
gozi, uffici e scuole, e che, per quanto possa
apparirci aspra, non deve mai cedere il passo
all’arrendevolezza ed allo sconforto. A modo
nostro e con un pizzico di immaginazione, po-
tremo catapultarci nel sogno titanico, ricercan-
dovi una catarsi dai nostri piccoli e grandi tor-
menti d’ogni giorno.
Perlomeno questo è quanto mi pare d’aver ca-
pito passeggiando per via Alfieri.
Francesco Ciamei
13Ditelo al cieloDitelo al cielo
Numero 23 anno V
Gennaio/Febbraio 2019
Bimestrale gratuito a cura dell’associazione
“Il Cielo sopra Esquilino”
Registrato presso il Tribunale di Roma
N° 62/2015 28-04-2015
da Associazione “Il Cielo sopra Esquilino”
Codice fiscale 97141220588
Direttrice Responsabile
Paola Mauti
Redazione
Chiara Armezzani, Carlo Di Carlo, Andrea Fassi,
M. Elisabetta Gramolini, Riccardo Iacobucci,
Paola Lupi, Salvatore Mortelliti, Antonia Niro,
Silvio Nobili, Patrizia Pellegrini,
Maria Grazia Sentinelli, Carmelo G. Severino
Hanno inoltre collaborato a questo numero
Claudia Bellia, Francesco Ciamei, Luca Ferrante,
Antonio Finelli
Stampato presso
Tipografia Rocografica S.r.l.
Piazza Dante 6, 00185 Roma
Per informazioni, lettere, sostegno,
proposte e collaborazioni
redazione@cielosopraesquilino.it
Potete trovare Il cielo sopra Esquilino
anche online:
www.cielosopraesquilino.it
www.facebook.com/IlcielosopraEsquilino
Chiuso in redazione il 18/01/2019
Tiratura copie 7.000
La redazione e la distribuzione del giornale
sono curate da volontari. La stampa è finanzia-
ta esclusivamente grazie al contributo di alcuni
commercianti di zona e non riceve nessun finan-
ziamento né pubblico né per l’editoria.
Avete qualche argomento,
tema o problema che desiderate
mettere in evidenza?
DITELO AL CIELO!
Scrivete a:
redazione@cielosopraesquilino.it
Dieci lire per salire in cielo
Gli ascensori sono ancora gli stessi ma
quando eravamo bambini partivano solo
con monete da dieci lire. Mio fratello ed io
c’eravamo ingegnati: dopo aver forato una
moneta da dieci lire vi avevamo attaccato lo
spago ed ogni volta, per far partire l’ascenso-
re, mettevamo la moneta nella gettoniera e
tiravamo subito via lo spago per farla uscire
e riutilizzarla.
La terrazza condominiale con i panni stesi,
per me aveva un fascino speciale. Tante le
diverse attrattive, la prima era la vista privi-
legiata che si godeva sul quartiere. Riuscivo
a scorgere le statue bianche di San Giovan-
ni, dietro le cime degli alberi della vicina Vil-
la Wolkonsky, ed il campanile romanico della
chiesa di Santa Croce. Osservavo le persone
ridotte a grandezza di formiche muoversi in
cortile. Quindi da quella posizione privilegiata
mi abbandonavo a riflessioni sulla relatività
delle proporzioni: lì anche gli adulti erano ri-
dotti ad esseri inermi e le macchine a model-
lini giocattolo. Ed io mi sentivo onnipotente.
Poi lo spettacolo dei panni stesi di tutti i con-
dòmini mi accendeva la fantasia. Mi chiedevo
chi fosse il proprietario di quel pigiama o di
quelle lenzuola scolorite.
La terrazza costituiva un rifugio prediletto du-
rante i nostri giochi a nascondino: quello che
mi preoccupava era che le lenzuola non arri-
vassero sufficientemente in basso da nascon-
dere i piedi. Ogni volta che il mio sguardo in-
contrava le vasche ricolme di acqua gelida dei
vecchi lavatoi, fantasticavo: prima o poi, un
giorno d’estate mi sarei immersa in quell’ac-
qua e avrei potuto raccontare la prodezza a
tutti miei amici.
Claudia Bellia
Sono cittadina dell’Esquilino dalla nascita e
leggo sempre il vostro interessantissimo
giornale.
Stamattina ho letto l’articolo sui cordoli e sono
arrivata fino alla fine un po’ in ansia.
L’articolo non fa una piega e a proposito dell’at-
traversamento pedonale all’altezza di via Do-
menico Fontana, si parla perfino delle esigenze
dei pedoni! Ma noi non siamo solo pedoni, siamo
abitanti cittadini e se abitiamo in via Fontana
per prenderci il giornale dall’altro lato dobbia-
mo fare un lungo giro a piedi per attraversare
all’altezza di via Statilia, oppure andare a destra
dove c’è un semaforo allucinante che dura 20
secondi e ti fa aspettare 5 minuti. Però il tram e
il bus guadagnano ben 3 minuti rispetto a pri-
ma; non mi sembra una situazione equilibrata.
Comunque, continuo a leggere e arrivata alla
fine dell’articolo l’idea geniale! Far passare an-
che l’87 sulla preferenziale! La linea 87 è l’uni-
co bus rimasto che porta centinaia di persone
all’ospedale San Giovanni Addolorata (ormai il
comodo 51 non può più farlo e l’85 fa un altro
percorso), la maggior parte anziani o dimessi
dall’ospedale, o lavoratori della struttura, che
dal centro e dall’Appio Latino devono recarsi
al CUP oppure all’ospedale stesso per visite e
controlli. In caso di deviazione della linea do-
vrebbero farsi tutta la salita di via Merulana.
Nessuno si pone questo di problema? Oppure
la logica è quella di mettersi a ragionare su
una piantina e tracciare linee che non tengono
conto della vita effettiva che si svolge lì.
Tutto questo non per essere contraria ai cordo-
li, anzi; io faccio la mia parte per evitare inqui-
namento e traffico, ho una bella Metrebus card
e la mia auto ha le ragnatele… Ma già vivere in
centro è complicato e la vita quotidiana di tutti
i cittadini dovrebbe essere la priorità, soprat-
tutto dei pedoni che sono i più vulnerabili.
Ecco, mi sono tolta un peso perché ero un po’
arrabbiata; io leggo per avere stimoli, per ra-
gionare e condividere: grazie della possibilità.
Buon lavoro a tutti,
Antonella Mancini
Gentile lettrice,
innanzitutto grazie per averci scritto e per aver
letto con attenzione il nostro articolo.
Ci sembra di poterle dire che, aldilà dell’arrab-
biatura che le abbiamo provocato, e di cui sia-
mo dispiaciuti, in fin dei conti la pensiamo allo
stesso modo.
Il tema cardine dell’articolo è il sostegno ai cor-
doli come supporto ad un trasporto pubblico
efficiente, pur evidenziando che i tecnici del
comune non hanno evidentemente considera-
to correttamente tutti gli effetti che i cordoli
avrebbero potuto introdurre, sia per i pedoni
che per il traffico privato. Tra questi vi è ap-
punto la cancellazione delle strisce pedonali di
via Domenico Fontana.
Per quanto riguarda la frase sullo spostamento
dell’87, si trattava solo di un semplice spunto.
Proposte di questo tipo necessitano di studi su
tipologia di utenza, flussi di traffico e tempi di
percorrenza. L’agenzia comunale di mobilità
ha fior di tecnici che, quando svolgono corret-
tamente il proprio lavoro, sono certamente in
grado di valutare queste cose.
La redazione
Sui cordoli della discordia
Quest’anno nella nostra classe
sono arrivati tre nuovi bam-
bini: Daniel, Bruno e Valeria; Daniel
viene dalla Nigeria e sta imparando
a parlare l’italiano.
Tutti lo aiutiamo a leggere, a scri-
vere e a conoscere le parole strane
per lui.
Lo aiutiamo anche giocando: fac-
ciamo con lui dei giochi di parole,
col “nascondino” impara a contare
in italiano, a “famiglia” impara ad
ascoltare e a capire meglio le pa-
role.
Noi femminucce siamo molto con-
tente che giochi con noi, perché ci
diverte e noi siamo di più… infatti
noi siamo solo 7 su 24.
A Bianca fa ridere quando fa “il
carino”, a Laura quando rigira le
palpebre. A tutti quando fa le pi-
roette, si “butta”, fa la spaccata e
fa la ruota, però quando si accorge
che lo guardiamo, si vergogna e si
nasconde.
Sarà sempre nostro amico perché è
simpatico, perché balliamo insieme
a lui e ci fa divertire.
Lo ringraziamo perché ci dà l’ami-
cizia, ci aiuta anche con l’inglese e,
aiutandolo, aiutiamo anche noi stes-
si.
Classe III-B
“Il mondo a Scuola”
a cura dell’Istituto Comprensivo “Daniele Manin” - www. danielemanin.gov.it
14
Attori per un giorno
Alla Scuola Di Donato hanno gira-
to un film. Questo film si intito-
la “Una vita” e parla di una mamma
che è arrivata in Italia, trova un la-
voro come cameriera, ma la padrona
di casa non l’accetta, perché è di
colore.
La protagonista è la mamma di un
nostro compagno di classe, Latif, e
abbiamo partecipato anche noi ad
una scena, come comparse.
All’uscita di scuola, dopo aver gri-
dato tutti insieme, ci siamo messi a
giocare, mentre ci riprendevano.
Luca e Chiara hanno provato noia
perché la scena è stata ripetuta più
volte, invece Isabella e Anna sono
state super felici. Latif si è senti-
to euforico perché c’era la mamma
e tutti i suoi compagni; per Luca
non era la prima volta, aveva fat-
to la comparsa in un film di papà, e
Isabella uno spettacolo con la zia.
Arianna si è molto divertita, a Sha-
mir, invece, è molto dispiaciuto non
aver partecipato.
Ci siamo sentiti tutti orgogliosi per-
ché siamo stati solo in due classi a
prendere parte ad un film.
Classe III-C
Il nostro amico Daniel
Fin da piccoli…
L’otto giugno scorso, andammo a
Villa Celimontana per trascorre-
re insieme una tranquilla giornata
di fine quarta.
Durante questa giornata vedemmo
dei bambini di un’altra scuola che
stavano maltrattando le tartaru-
ghe del laghetto.
Dispiaciuti del loro comportamen-
to, per farli smettere, proponem-
mo una partita di calcio: se aves-
simo vinto noi, avrebbero dovuto
smettere di maltrattarle, in caso
contrario avrebbero continuato.
Subito dopo il nostro primo gol, co-
minciarono a prendere in giro e a
insultare pesantemente alcuni no-
stri compagni di colore.
Tutti uniti ed in modo spontaneo,
prendemmo le loro difese; poi an-
dammo a riferire l’accaduto alle in-
segnanti e ai genitori.
Una mamma che era con noi, pen-
sando di far bene, parlò con i loro
insegnanti e genitori presenti di
questi alunni; ma loro risposero
“che erano bambini”, per dire che
non bisognava dare peso ai compor-
tamenti ed alle loro parole.
Noi ce ne andammo subito delusi,
amareggiati, ma nello stesso tempo
consapevoli dell’importante lavoro
che si faceva nella nostra scuola e
nelle nostre famiglie per l’inclusio-
ne e il rispetto di tutte le culture.
Classe V-B
Aggiungi un posto
in classe... per quattro
amici in più
Quest’anno nella nostra classe
ci sono quattro nuovi compa-
gni. Di questi, due sono appena ar-
rivati in Italia dai loro Paesi d’origi-
ne: Bangladesh e Georgia.
Vogliamo parlarvi di Ibrahim per-
ché ancora non conosce nessuna
parola della lingua italiana e quin-
di ha più bisogno del nostro aiuto
per imparare. La prima ad accom-
pagnarlo in questa avventura è sta-
ta Maksudha perché parla la sua
stessa lingua d’origine (Bangla) e
anche la lingua italiana. Ci sono per
lui anche le maestre che insegnano
L2 agli alunni stranieri. Noi bambi-
ni, durante la ricreazione, prendia-
mo dei libri della bibliotechina di
classe, gli mostriamo le immagini e
gli insegniamo le parole. Oppure in
cortile, quando giochiamo a nascon-
dino, facciamo contare lui e così ha
imparato bene e fa sempre “tana”.
Quando non capisce le consegne dei
compiti gliele spieghiamo invece di
farlo copiare. Da noi arrivano spes-
so bambini nuovi e li accogliamo
sempre con piacere perché ci piace
insegnare e anche imparare parole
di lingue di altri Paesi (compresa
qualche parolaccia), come vivono e
cosa mangiano.
Speriamo che i nostri nuovi amici
imparino presto perché si impegna-
no molto e quindi se lo meritano.
Noi pensiamo che a fine anno saran-
no bravissimi e prontissimi.
Classe III-F
Mi ripresento.
Sono Papille, ex critico ga-
stronomico cui Andrea Fassi ha
ceduto questo spazio. Vi mostrerò
storia, inganni e verità del cibo.
Senza vergogna. Se volete legge-
re circa l’incidente in cui ho perso
la lingua, sfogliate il numero 21
del Cielo sopra Esquilino. Ho perso
la favella, ma non le idee.
Un incontro a Copenaghen.
Sono stato invitato poche settima-
ne fa in Danimarca, ospite di due
amici desiderosi di rivedermi dopo
tanto tempo. Entrambi sono cuo-
chi di ristoranti alle porte di Co-
penaghen, ci conoscemmo a New
York durante un convegno della
FAO, il tema era lo spreco di cibo
nel mondo. I danesi sono il popo-
lo più attento e attivo nella batta-
glia contro lo spreco. Durante la
nostra lunga cena in un ristorante
nel centro di Copenaghen, i miei
amici Olsen e Andres, scambiati
con me i ricordi più importanti de-
gli ultimi mesi, mi hanno aggior-
nato sui grandi passi in avanti fatti
dal loro popolo rispetto alla batta-
glia contro lo spreco; solo la mia
imperturbabile freddezza mi ha
permesso di non lasciar trasparire
il velarsi del mio volto di un lieve
imbarazzo.
I supermercati danesi, mi ha spie-
gato Olsen, vendono il cibo a pochi
giorni dalla sua scadenza, quindi
cibo buono, a prezzo inferiore;
permettono così lo smaltimento
dei prodotti che rischiano di esse-
re in surplus, garantendo qualità e
limitando il più possibile lo spreco.
Un messaggio ai più giovani.
Tolto il velo d’imbarazzo, memore
di realtà positive anche nostrane,
ho raccontato loro dell’esperien-
za tutta italiana di Andrea Segrè,
creatore tra le sue tante attività,
del progetto ‘Spreco Zero’ e auto-
re di ‘Il gusto per le cose giuste.
Lettera alla generazione Z’. Nella
lettera, indirizzata in primis alla
generazione under trenta, Segrè
spiega l’importanza di un corret-
to approccio al consumo e all’ac-
quisto del cibo – per la salute ma
anche per l’ambiente – rilevando,
inoltre, la speranza che le nuove
generazioni partecipino con mag-
giore interesse alle scelte odierne,
base del loro futuro.
Il surplus nei ristoranti. Mentre
raccontavo questa bella parentesi
di impegno, alla fine della nostra
cena, una deliziosa signorina è tor-
nata con quanto rimasto nei nostri
piatti – sparecchiati qualche minu-
to prima senza che me ne accor-
gessi – inserito dentro una picco-
la scatola di cartone rettangolare
con scritto, in decine di lingue di-
verse tra cui l’italiano, ’Don’t cook
tomorrow!’. Il disegno sul conte-
nitore raffigurava due giovani sti-
lizzati intenti a mangiare durante
un pic-nic, sullo sfondo compariva
rotonda la terra, rigogliosa e ver-
de. Bè, io ricordo la mia ex moglie
che inorridiva all’idea di portare a
casa una pizza smangiucchiata.
Ex moglie, appunto.
Ancora più bello: il servizio che
sostiene le famiglie danesi più fra-
gili sarebbe intervenuto alla fine
della serata per ritirare il surplus
del ristorante e distribuirlo a chi, a
differenza nostra, non può lascia-
re il piatto mezzo pieno.
Una questione di ‘cultura’. Fuo-
ri dal locale, felici di esserci incon-
trati di nuovo, avevo quasi dimen-
ticato di raccontare loro i numeri
dello spreco in Italia che, in real-
tà, non si annovera tra i peggiori.
Tuttavia, ogni anno una famiglia
spreca circa 85 kg di cibo. Il va-
lore complessivo di questo spreco
corrisponde più o meno a 8 miliar-
di e mezzo di euro, lo 0,8% del
PIL nostrano. Andres e Olsen sono
rimasti colpiti. Senza sentirsi mi-
gliori di noi, si sono chiesti perché
in italia sprechiamo tanto.
Per quanto ho constatato attra-
verso i miei viaggi, in giro per
l’Italia ci sono ottimi propositi,
ma considerare nel nostro Paese
‘illuminate’ le persone che com-
battono concretamente lo spreco,
è fuorviante. Le armi per questa
battaglia devono essere fornite ai
cittadini fin dalle scuole elementa-
ri, rendendo normale un atteggia-
mento di tutela dell’ambiente e di
educazione al consumo. Questa è
la risposta che ho dato a Olsen e
Andres: per combattere lo spreco
sono necessarie formazione e cul-
tura.
Un’esperienza esquilina. Un al-
tro progetto interessante mi è sta-
to segnalato dal custode di questa
pagina. Andrea Fassi mi ha rac-
contato di un progetto sostenuto
a Roma dal I Municipio e porta-
to avanti dall’assessore Emiliano
Monteverde, insieme a un gruppo
di volontari, chiamato ‘Eco dalle
Città’, operativo in molti mercati
italiani. Questo progetto ha una
struttura in grado di ritirare circa
800 kg di cibo il sabato al Nuovo
Mercato Esquilino. Il cibo viene poi
distribuito a persone che ne han-
no necessità, evitando che rovisti-
no nella spazzatura. È un progetto
che potete trovare anche su Face-
book sotto il nome di ‘Roma Salva
Cibo’.
Compiti a casa. Ora vi sfido. Se
siete a casa mentre leggete que-
ste poche righe, alzatevi. Andate
in cucina, aprite il secchio del-
la vostra spazzatura e rovistate.
Quanto avete sprecato? Com’è ro-
vistare nei rifiuti?… E vi dice bene
che siano i vostri!
Ecco, nel vostro piccolo potrete
fare molto.
Andrea Fassi
15EsquisitoEsquisito
Rovistare per non sprecareUn corretto approccio al consumo alimentare oggi, può garantire il benessere di tutti domani
Illustrazione di Chiara Armezzani
Cielo sopraesquilino numero 23

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Cielo sopraesquilino numero 23

  • 1. Periodico di informazione a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Numero 23 anno V - Gennaio/Febbraio 2019 IlruggitodelrioneIn una tavola rotonda organizzata dal nostro giornale, alcune tra le associazioni più attive sul territorio si confrontano sul tema dell’immigrazione. Ed emergono i tanti nodi critici dell’Esquilino Èstato già detto e scritto più volte: c’era bisogno di ribadirlo? Forse sì: l’Esquilino, è sotto pressione, sul piano dei servizi, del decoro, della percezione di sicurezza; e lo è da troppo tempo. Questo ci rimandano i rap- presentanti di alcune delle associazioni più attive nel territorio: Comitato Piazza Vittorio Partecipata, Esquilino in Comune, Esquilino Vivo, oltre all’Associazione Genitori Scuola Di Donato, il titolare di una delle farmacie che si affacciano su Piazza Vittorio e una giornalista residente. Perché l’incontro, organizzato per discutere di immigrazione, intesa anche come confronto socio-culturale in una zona di Roma nella quale quasi un quarto dei residenti è di nazionalità straniera, fin dalle prime battute per tutti i presenti è diventato una buona oc- casione per parlare del rione a trecentoses- santa gradi. Ed è emersa l’immagine di un ter- ritorio complesso, con tante facce; con zone, come quella intorno al mercato, con l’ex Zecca e l’Apollo, che sono considerate dai residenti come “buchi neri”, percepite come insicure, certamente luoghi di spaccio, degrado e mi- crocriminalità. Un rione nel quale una vera e coerente politica per l’integrazione non si è mai fatta. Tenendo conto, anche qui, della complessità, determinata dal fatto che le co- munità straniere sono tante e diverse e che all’interno delle stesse ci sono diverse visioni. E, a proposito degli immigrati irregolari, tutti i presenti si sono trovati d’accordo sul fatto che il problema non sono i disperati, stranieri o no, che transitano, bivaccano e vivono per strada, ma il fatto che mancano efficaci inter- venti sociali. E un minimo di servizi. A parti- re, banalmente, dai bagni pubblici. Nel mirino dei residenti, l’assenza di interventi da parte dei servizi sociali ma anche la cattiva manu- tenzione del verde, la spazzatura, la scarsa illuminazione. Ed è forte la richiesta di una vera presenza delle istituzioni, con il ritorno al pieno rispetto delle regole. Da parte di tutti, stranieri e non. Paola Mauti segue alle pagg. 4, 5 e 6 Focus sull’immigrazione Con questo numero del nostro giornale, inauguriamo la pubblicazione di speciali focus tematici, dedicati all’approfondimento di argomenti attuali e particolarmente sentiti- dagli abitanti. La tematica che abbiamo scelto per questa nostra ‘prima volta’ è la presenza degli stranieri nel rione, intesa in un’accezione ampia, cioè con riferimento sia ai residenti, sia agli immigrati irregolari, che, anche per la vicinanza della stazione Termini, ‘transitano’ nel quartiere. Quello dell’immigrazione è un tema che, so- prattutto negli ultimi mesi, occupa quasi quo- tidianamente le pagine dei giornali nazionali, e, in considerazione del fatto che l’Esquilino è, nella capitale, uno dei territori con il più alto tasso di presenza di stranieri, abbiamo ritenuto di non poterci sottrarre dall’affrontar- lo. Sappiamo quanto il tema sia sentito dagli abitanti del rione, anche per l’impatto e le dif- ficoltà che accompagnano, a volte, il passag- gio degli stranieri nelle strade e nelle piazze dell’Esquilino. Ma sappiamo anche quanto la presenza di persone di etnia diversa sia da sempre una fonte di arricchimento, sociale, culturale e anche economico. Ci siamo chiesti quali strumenti potevamo darci per approfon- dire e restituire ai nostri lettori una tematica così sfaccettata e complessa, come fare per raccontarla nella maniera più oggettiva possi- bile, e ci è sembrato che il modo migliore fos- se ascoltare le riflessioni, le opinioni, l’espe- rienza di chi vive nel rione e nel rione opera. Per questo abbiamo organizzato una tavola rotonda, alla quale abbiamo invitato i rappre- sentanti di alcuni comitati e associazioni che da anni sono attivi nel rione e che ci hanno aiutato ad analizzare il fenomeno. Le pagine dedicate all’immigrazione contengono dunque il risultato del dibattito che è scaturito dalla tavola rotonda. Inoltre, a cura di Maria Gra- zia Sentinelli, riportiamo l’intervista che ci ha concesso Antimo Luigi Farro, professore ordi- nario presso “La Sapienza”, che ci ha aiutato ad analizzare il tema delle migrazioni, con ri- ferimenti statistici, spunti sociologici e con la descrizione delle ricadute che il fenomeno, di portata mondiale, ha determinato all’Esquili- no. Carmelo Severino ci racconta come i flussi migratori, dalle altre Regioni prima, dal resto del mondo adesso, hanno da sempre, a partire dall’Unità d’Italia, interessato il nostro rione. Infine, anche la pagina “Il mondo a Scuola”, a cura di Patrizia Pellegrini, è dedicata all’immi- grazione: infatti i contributi dei bambini sono centrati su questo tema. Foto: www.lucaferrantefotografo.it
  • 2. 2 Per le stradePer le strade antonio.finelli@tiscali.it antonio.finelli@tiscali.it Santa Croce in Gerusalemme Sguardi sull’Esquilino di Antonio Finelli (antonio.finelli@tiscali.it) Storia di quattro amici L’attribuzione delle competenze tra il Comune, i Municipi e le aziende di servizi Questa è la storia di quattro amici: Ognunodinoi, Qual- cuno, Ciascuno e Nessuno. Il vero nome di Ognunodinoi era PopolodeRoma, di Qualcuno era ComunedeRoma, di Nessuno era MunicipiodeRoma e di Ciascuno era Aceatacama, che nonostan- te il nome vagamente giappone- se, era di queste parti. Aceata- cama in realtà erano tre gemelli, che avevano gli stessi difetti. Una richiesta semplice. Ognunodinoi (PopolodeRoma) aveva bisogno che fosse fatto un lavoro importante, niente di eccezionale, un lavoro di manu- tenzione ordinaria: che le buche e le voragini stradali fossero riparate, che gli alberi dei viali fossero potati e il verde dei par- chi curato, che le strade fossero spazzate e i cassonetti dell’im- mondizia svuotati; che nelle strade di sera e di notte ci fosse luce sufficiente per camminare senza paura di essere scippati o investiti dalle auto, o di slogar- si una caviglia sul marciapiede dissestato o di pestare cacche di cane. E che gli autobus pas- sassero frequentemente e senza prender fuoco. Ognunodinoi chiese a Qualcuno (ComunedeRoma) di occuparse- ne e lo chiese anche a Nessu- no (MunicipiodeRoma). Nessuno disse che non gli spettava per- ché compito di Qualcuno. Poi, finalmente, Qualcuno o Nessuno chiesero a Ciascuno (Aceatac- ama) di fare quanto necessario. Ognunodinoi però non era sicu- ro che si sarebbe fatto. Infatti Ciascuno, che avrebbe potuto e dovuto fare, non lo fece. Ognunodinoi si arrabbiò per- ché credeva che Qualcuno fosse Responsabile di quei lavori. Ma Qualcuno Responsabile non si riuscì a trovare. Finì che Ognunodinoi (Popolode- Roma) fece anche una piazzata in Campidoglio contro Qualcu- no (ComunedeRoma), che a sua volta rimproverò Nessuno (MunicipiodeRoma) di non aver fatto ciò che Ciascuno (Aceatca- cama) avrebbe dovuto fare. In questa lite di tutti contro tutti, si sono sentite voci varie, rivolte al passato: “è colpa e responsabi- lità delle amministrazioni prece- denti”. Al presente: “non ci sono i soldi”. E al futuro: “stiamo fa- cendo e faremo…” Fuori metafora. Effettiva- mente, ACEA ha rinnegato la mamma Roma Comunale cam- biando più volte nome e per- sonalità – da società al servizio della comunità a società per fare utili – e ha creato un go- mitolo inestricabile di società e partecipazioni, che ci vorrebbe molta luce per vederci qualcosa. Ma, al contrario, l’illuminazione, specie stradale, è stata abbas- sata fino quasi al buio. ATAC era stata sot- toposta, pochi giorni fa, a una dolorosis- sima operazione di cambio di genere: da pubblica a privata. Ora pensa di ristrut- turarsi in azienda speciale, che nessuno sa cosa voglia dire. Per il momento sono diminuite le corse, così gli autobus non si guastano né prendono fuoco. Infine AMA sta studiando come smaltire l’immondizia prima che sia prodotta (ri- fiuti zero con economia circolare). Per il momento è bene nascondere i cassonetti troppo pieni. E come? Naturalmente sotto cumuli di immondizia. Ma il cambiamento di nome non è garan- zia di cambiamento: forse è necessario rivedere la struttura organizzativa, pas- sando da una struttura con responsabilità verticali a una struttura orizzontale con responsabilità non settoriali ma di zona. Aspettando il micco. Quel fornaio che caricava esageratamente il carrettino a mano per la consegna del pane ai negozi, al ragazzino, piccolo e debole, che lo dove- va spingere, diceva: “Vai, vai, che qualche micco che ti aiuti, troverai”. I micchi oggi sono forse quelle persone che armate di scope ripuliscono strade e giardini. Sono quelli che danno la mancia a chi spazza i marciapiedi, sono i volontari del verde che lavorano nei parchi senza neppure l’assicurazione, sono quei condòmini che piantano alberelli al posto di quelli morti o curano le microaiuole con fiori e piantine. Sono quei negozi o condomìni che fanno luce con i loro faretti privati nei tratti di marciapiede vicini. In questa città che sta sempre più diven- tando una ‘città fai da te’ forse rispunte- ranno i camioncini che sostituivano le li- nee degli autobus il giorno del 1° maggio. Qualcuno qui sta aspettando il micco. E forse ci conta troppo. Carlo Di Carlo
  • 3. 3 L’occhio del cieloL’occhio del cielo Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione L’occhio del cieloL’occhio del cielo Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione Tante comunità, poche contaminazioni Antimo Luigi Farro, professore di Sociologia presso l’Università La Sapienza, ci ha anticipato alcunirisultatidelsuoultimolavorodiricercasull’incidenzadeiprocessimigratorinelnostrorione Antimo Luigi Farro è professore ordinario presso il Dipartimen- to di Scienze Sociali ed Economi- che dell'Università La Sapienza di Roma. Il suo campo di ricerca in- clude: teoria sociologica, culture e movimenti sociali, questione am- bientale e urbana. Abita all'Esquili- no da vari anni e ha realizzato una ricerca, "Il mondo in un quartie- re", in cui analizza in che modo i processi migratori che interessano tutto il mondo si declinano in Ita- lia; più nel dettaglio, a Roma e in particolare all'Esquilino. Professor Farro, come è mu- tata negli anni la presen- za dei residenti stranieri ad Esquilino? E come si è modi- ficata la loro presenza rispet- to ai paesi di provenienza? La presenza dei residenti stranieri rappresenta una minoranza che, nel corso del tempo, è diventata più significativa. In particolare, nel periodo 2000-2016 si registra un sensibile aumento dei cittadi- ni cinesi che da un totale di 600 diventano circa 2.200. Un'altra significativa presenza è rappre- sentata dai bangladesi passati da 550 nel 2000 a 1.600 nel 2016. I residenti provenienti da altri paesi, pur se in crescita - come nigeriani ed egiziani - mostrano sicuramen- te una consistenza minore. Come si sono modificate nel tempo le attività lavorative nel nostro rione? Negli ultimi anni la presenza degli esercizi commerciali è aumentata a favore degli stranieri: i nego- zi gestiti da italiani sono passati dai 698 del 2000 ai 541 del 2014. Viceversa gli esercizi commercia- li gestiti dai cinesi, che nel 2000 erano appena un centinaio, so- prattutto negozi di abbigliamento all'ingrosso e ristoranti, nel 2014 sono arrivati a 474, e alle attività tradizionali si sono aggiunti i ne- gozi di parrucchieri, manicure e negozi-bazar di casalinghi, tele- fonini e altri gadget. I bangladesi nel 2014 hanno gestito 120 negozi ampliando le loro attività commer- ciali, dalla gestione di call-center a quella di mini market, money tran- sfer e agenzie di viaggio. I negozi gestiti da africani nel 2014 risulta- no essere invece solo 9. Interes- sante è esaminare la trasforma- zione del Nuovo Mercato Esquilino. Con il suo trasferimento da Piazza Vittorio agli spazi adiacenti all’ex Centrale del latte, si è verificato anche un passaggio delle attività dagli italiani ai residenti stranieri, che ora rappresentano la maggio- ranza dei proprietari o affittuari dei banchi; di questi il 60% sono ban- gladesi, il 10% arabi, il 10% rume- ni e il 20% italiani. Quali sono le relazioni tra re- sidenti italiani e residenti stra- nieri? In generale posso dire che l'inte- grazione, intesa come acquisizio- ne di regole ed elementi culturali del luogo dove i migranti arrivano, non avviene quasi mai, se non a livello individuale. Così succede all'Esquilino: le comunità vivono in mondi separati, tranne nei mo- menti di aggregazione condivisi, come quelli che coinvolgono i ra- gazzi della scuola Di Donato. Altri- menti le comunità vivono piuttosto chiuse tra di loro, cercando di man- tenere le loro relazioni familiari ed amicali e le loro tradizioni. D'altra parte, i flussi migratori hanno avu- to sempre le stesse dinamiche: i nuovi arrivati, generalmente, sono accolti con diffidenza dagli abitanti preesistenti. All'Esquilino i Comita- ti e le Associazioni, come del re- sto anche tutti gli altri abitanti del rione, hanno diversi orientamenti: c'è chi vede in loro una presen- za negativa, per la concorrenza commerciale, il decoro urbano, le attività lavorative al limite dell'il- legalità, e vorrebbe contrastare la loro presenza; c'è chi li apprezza e accetta le loro diversità, minimiz- zando i problemi che la conviven- za tra etnie diverse crea nel rione; chi ha un atteggiamento dialogico, cerca cioè di valorizzare la multi- culturalità e, nello stesso tempo, di attivarsi per migliorare ciò che nel rione non funziona. Va detto che purtroppo ci sono anche persone che sfruttano l'arrivo dei migranti per lucrare denaro e fare affari, e certo questo non aiuta a far supe- rare le diffidenze e i pregiudizi an- che verso quei migranti, che sono poi la maggioranza, che rispettano le regole e costituiscono una ric- chezza per tutto il rione. Maria Grazia Sentinelli La presenza di residenti stranieri a Roma e all'Esquilino Dai dati elaborati dall'ufficio statistico di Roma Capitale, si rile- va che i residenti stranieri a Roma a fine 2017 ammontano a 385.621 unità che rappresentano il 13,4% dell'intera popolazione romana. Di questi il 24,1% proviene dalla Romania, seguita dalle Filippine (10,9%), dal Bangladesh (8,2%), e dalla Repubblica Popo- lare Cinese (5,0%), paesi che mantengono le stesse posizioni dete- nute già negli anni 2000. Si nota negli ultimi anni una forte crescita del flusso degli stranieri provenienti dall'Africa, in particolare dalla Nigeria (+9,3%), mentre è in diminuzione il numero di migranti provenienti dall'America del Sud, in prevalenza peruviani ed ecua- doregni. La maggiore concentrazione di stranieri è nel Primo Muni- cipio con un totale di 42.806 unità che rappresentano il 23,7% di tutta la sua popolazione. Seguono il XV (con il 19,3%) ed il VI (con il 17,7%). Restringendo il campo d'analisi all’Esquilino, l'anno dell'ultima rile- vazione statistica è il 2016. Dai dati elaborati dal Centro Ricerche IDOS risulta che il nostro rione è, dopo il Centro storico, la zona urbanistica con maggior presenza di residenti stranieri. Questi, in- fatti, risultano essere 10.590 e rappresentano il 28,7% dell'intera popolazione dell'Esquilino (incidenza più che doppia della presenza straniera sull'intera città). Le principali comunità di residenti sono quella cinese e quella bangladese, anche se nel nostro rione si assi- ste ad una forte crescita di migranti africani.
  • 4. 4 Quei quadranti come buchi neri L’occhio del cieloL’occhio del cielo Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione Alla tavola rotonda hanno partecipato Esquilino Vivo, Esquilino in Comune, Comitato Piazza Vittorio Parteci- pata, l’Associazione Genitori Scuola Di Donato, il titolare di una farmacia del rione e una giornalista residente > segue dalla prima pagina Il Cielo sopra Esquilino: «C’è stato recente- mente un incontro interistituzionale per affrontare le emergenze del rione: avete avuto risposte soddisfacenti?» “Un territorio molto complesso”. Anna Di Carlo (Esquilino Vivo). Il fenomeno è comples- so e io non ne farei una questione legata all’im- migrazione. Qui ci sono molti problemi legati al decoro, al commercio, al fatto che non c’è una regola riguardo, ad esempio, alla raccolta dei cartoni da parte dei negozianti, non c’è un cen- simento delle abitazioni: ci sono nel rione circa ottomila B&B, dove vivono un numero indefi- nito di persone. Il problema dell’immigrazione è legato alla gestione del fenomeno, all’assi- stenza sociale. Questi ragazzi sono abbando- nati a se stessi: se lo Stato non se ne fa carico, subentra un secondo stato che dà loro lavo- ro, vengono ingaggiati per attività non lecite. Comunque, la droga c’è e le forze dell’ordine non ci hanno dato una risposta soddisfacente. Senza parlare del problema dell’illuminazione: i giardini, d’inverno, a partire dalle quattro di pomeriggio, sono inaccessibili perché sono al buio. “Manca la politica”. Giuseppe Longo (titola- re della farmacia omonima). Nell’incontro ho detto che abbiamo la peggiore gestione degli ultimi anni, perché manca proprio la “politica”: l’integrazione non si fa a chiacchiere, prevede dei progetti seri che vengano realizzati e che siano seguiti nei risultati. Di tutto questo non si è visto niente negli ultimi tre anni, abbiamo assistito solo ad un rimpallo di responsabilità, dal comune al municipio: le forze dell’ordine fanno un’azione di repressione, anche in questi giorni, portano via un sacco di spacciatori, ma poi tutto resta come prima. Serve un interven- to, perché se non c’è una politica sociale che si faccia carico di questa gente che sta lì, che torna a sporcare dove è stato appena pulito, è tutto inutile. Il giardino è bellissimo, la mattina ci sono i cinesi che fanno la loro ginnastica e incuriosiscono i turisti e tutti noi; ma ci sono anche i barboni, che sono sempre gli stessi, senza che ci sia un vigile che intervenga. Il de- grado è dato da persone che bivaccano. “Se non si governa, la situazione diventa esplosiva”. Giovanni Marucci (Comitato Piaz- za Vittorio Partecipata). In questo dibattito sia- mo partiti dalla pancia, che non è sbagliato, perché questa è la situazione: peccato che su questa pancia, durante il periodo elettorale, si è costruita una propaganda da parte di gente che nell’immigrazione vede un problema e non un’opportunità. Poi, vanno adottate delle po- litiche. Nel rione abbiamo una scuola modello (la Di Donato, n.d.r.) nella quale però parliamo ai convertiti: chi vi porta i figli è ben conten- to di far fare loro un’esperienza multiculturale. Però, per un genitore che porta i figli qui, ce ne sono dieci che non ce li mandano, perché qui trovano bambini di colore. L’Esquilino è anco- ra un’isola felice, anzi sta sopportando più di quello che avrebbe sopportato qualsiasi altra zona. Noi abbiamo più di 500 mila persone che passano ogni giorno per le nostre strade: è una cosa spropositata. E dove sono le risorse per gestire questa cosa spropositata? Il servizio giardini non esiste più; forse, tra qualche gior- no, ricominceranno a ripulire e riqualificare un po’. Dell’Ama non parliamo. Non c’è bellezza, non c’è decoro, c’è solo degrado. Se a questa situazione si aggiungono anche quelli che ar- rivano e non sanno dove andare, la situazione diventa esplosiva. “C’è un’involuzione culturale da parte di alcune comunità straniere”. Letizia Cicconi (Esquilino in Comune). Vorrei fare una rifles- sione, perché la questione dell’integrazione è abbastanza difficile: noi ne possiamo parlare riferendoci a questa scuola, che “ha fatto scuo- la”. Poi parliamo delle comunità: ce ne sono tante, stanziali, che hanno attività commerciali. I cinesi sono persone benestanti. Alla chiusura dei loro negozi, vanno nei ristoranti italiani,
  • 5. 5 L’occhio del cieloL’occhio del cielo Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione sono elegantissimi, mandano i loro figli alla Marymount, non alla Di Donato. I bengalesi la- vorano tutti, non c’è nessuno per strada; molti si trasferiscono a Londra con i loro figli, che fanno studiare in Inghilterra. Quello che ho no- tato in questi ultimi anni è che, a parte i cinesi che sono stati sempre molto chiusi, prima c’era una voglia di integrarsi che adesso c’è meno. Ho notato da parte delle donne bengalesi, ad esempio, un’involuzione di carattere sociale: prima erano più aperte, ora ne vedo molte completamente velate. Noi non siamo stati ca- paci di presentare il nostro modello e loro si sentono più protette tornando alle loro tradi- zioni. Rispetto ai senza fissa dimora, secondo la Caritas, a Roma ci sono 200 posti liberi, su 8000 persone, e lo Stato taglia i fondi. Quan- to alla sicurezza, se le persone stanno giorni e giorni per strada, alla fine vengono avvicinate e portate a spacciare. Sul piano del decoro, della pulizia, basti pensare al mercato: non si capi- sce perché non si faccia nulla perché questo luogo diventi motivo di attrazione invece che di spaccio, povertà, disagio; non c’è nessuno che faccia un controllo. Io l’ho sempre detto: se non riusciamo a risanare quella parte dell’E- squilino, quel buco nero che comprende la ex Zecca, l’Apollo, il ballatoio, noi non andiamo da nessuna parte. Nessun mercato europeo sta in quelle condizioni. L’Esquilino è diviso in due. Questa cesura si deve riempire e ognuno deve fare la sua parte: il Comune, il Municipio. “Politiche diverse per diversi soggetti”. Daniela Zampetti (Esquilino Vivo). Io penso che, in primo luogo, ci vorrebbe un lavoro co- noscitivo. Gli immigrati non sono solo africa- ni o cinesi, ci sono anche dall’Europa dell’est >>> «Qualunque problema non risolto dalle istituzioni competenti, prima o poi, diventa una questione di polizia: l’illuminazione è carente? Ci sono episodi di furto. Non c’è assistenza, sostegno all’integrazione? Si crea disagio e si finisce con l’avere problemi di sicurezza». Commissario, i residenti considerano alcune zone del rione, come parte di via Giolitti e l’area intorno al mercato, a forte rischio, anche per la presenza di immigrati dediti a commerci poco chiari. La migrazione va governata a livello internazionale, noi non abbiamo grandi strumenti. Il mercato costituisce un’attrattiva fortissima per gli stranieri, perché ne fanno luogo di incontro per concludere la loro economia informale o per il piccolo furto. Abbiamo aumentato i servizi visibili, di prevenzione generale, abbiamo una macchina fissa vicino al mercato e questo ha migliorato la situazione. Ma spesso i reati conte- stati sono di tipo amministrativo, come nel caso del mercato abusivo di via Ricasoli. Un apporto di multiculturalità in un contesto sociale lo arricchisce, ma porta complessità e questa va governata. Che rilevanza ha e come è organizzato lo spaccio? Roma è sempre stata un luogo di spartizione, mai di dominio: in que- sto quadro si sono inserite le criminalità straniere. Quanto alla droga, ci sono dei filoni etnici: quella venduta dallo spacciatore nigeriano ar- riva da un canale nigeriano. Ma bisogna dire che qui all’Esquilino non c’è il supermarket della droga: qualche giorno fa, ad Anzio, sono stati sequestrati 40 chili di cocaina. Qui non è mai accaduto. Spaccio, scarsa illuminazione: tra residenti è diffusa una per- cezione di insicurezza. Sul fronte dei dati si può ragionare, ma la percezione è soggettiva: noi non possiamo mettere una macchina ad ogni angolo. Il problema è che abbiamo 150 persone circa che dormono per strada. Ma, ad esempio, qui non ci sono stupri, il caso della senza tetto a Colle Oppio è unico, non ci sono rapine, non ci sono reati gravi. Qui abbiamo so- prattutto il furto con strappo, per lo più intorno alla Stazione Termini e a danno soprattutto dei turisti. Il territorio, in realtà, è ipervigilato. Peraltro, l’illuminazione è un forte deterrente e Roma è una città buia. L’Esquilino lo è ancora di più, e al buio chiunque si sente insicuro. Pa- radossalmente, però, gli episodi di criminalità si concentrano di giorno e i delinquenti vengono da fuori, è gente che si sposta: questo vuol dire che la comunità stanziale è tranquilla. Che ci dice della situazione sul fronte del commercio, i tanti negozietti, le bancarelle… La regolamentazione del commercio è di competenza comunale, l’ap- plicazione delle norme compete alla polizia municipale. Ciò non toglie che, in qualche occasione, siamo andati a supporto. Comunque, non ci sono molte irregolarità: sono postazioni regolari, alcune fisse, la maggior parte a rotazione. Il quadro, del resto, è di deregolamenta- zione del commercio. Il fatto è che Roma non è una città normale, ci vogliono strumenti per tutelare il centro storico. E l’unico strumento è il regolamento del commercio. Nel rione c’è un fiorire di strutture ricettive, affittacamere, B&B. Lavoriamo tantissimo su questo fronte: credo che abbiamo fatto al- meno 50 o 60 provvedimenti di chiusura temporanea. Noi puntiamo sulla mancata denuncia degli alloggiati. Poi, quando si va per il con- trollo, si contesta tutto: se manca l’estintore, se la Scia è autorizzata per un certo numero di posti e sono di più. La revoca della licenza, comunque, compete al comune. P.M. L’intervista: Giuseppe Moschitta, responsabile del Commissariato Esquilino
  • 6. >>> e questi portano problematiche diverse: bisogna capire quali politiche fare con i diversi soggetti, capirne la composizione, quanti sono, quali problematiche importano dai loro paesi. E poi chiedersi cosa significa integrazione, che non può essere che loro recepiscono i nostri modelli. Devono conservare le loro tradizioni, ma il problema è come conciliarle con le no- stre, perché nessuno scompaia nel confronto: su questo, secondo me, non si è lavorato per niente. Io ho notato che ad eventi come, per esem- pio, quello organizzato alla Casa dell’Architet- tura, dove si è parlato di problematiche che si potrebbero condividere, le comunità straniere non ci sono mai. Perché succede? Manca una comunicazione, dei canali, e chi dovrebbe ela- borarli? Queste, secondo me, sono problema- tiche da affrontare, perché fare una politica generica non serve a niente. Vi posso raccontare cosa accade nel mio “an- golo delle Bermuda”, in via San Vito. Da po’ di tempo sono presenti dei georgiani, una comu- nità strutturata e chiusa, con alcuni soggetti che si ubriacano, spacciano. Da un paio di anni, è comparso, poi, un altro fenomeno: quello di piccole bande di ragazzi molto giovani, com- poste da italiani, da africani, da afroitaliani e filippini, che, analogamente alle bande nostra- ne, si dedicano allo sballo, quotidianamente. Fumano, fanno risse. A volte ci sono bambini, minorenni. Anche questo è un fenomeno che non andrebbe ignorato. Il Cielo sopra Esquilino: «Sarebbe interes- sante un vostro giudizio riguardo alla percezione da parte dei residenti rispetto agli stranieri di passaggio: secondo voi, si può parlare ancora in termini di accetta- zione, di tolleranza?» “È necessario tornare alla legalità”. Anna Di Carlo (Esquilino Vivo). Io penso che que- sta tolleranza ci sia ancora, siamo tra i più tol- leranti di Roma, ma non bisogna confondere i piani, non bisogna avere paura nel parlare di legalità. Noi, come Esquilino Vivo, quando abbiamo cominciato a chiedere che fosse ri- spettata la legalità, abbiamo creato un mo- vimento, un interesse da parte della stampa, che però ha usato termini forti, dicendo che noi facevamo le “ronde di sinistra”, che è una contraddizione in termini. Secondo me, il rione ha assunto un atteggiamento di intolleranza, ma nei confronti del degrado e della mancanza di gestione dei problemi. “L’integrazione passa attraverso il lavo- ro”. Fathia Mansouri (Associazione Genitori Scuola Di Donato). Perché si lascia il proprio paese? Per lavorare o studiare, per cercare un miglioramento. Invece, molti arrivano qui, non trovano lavoro, non trovano niente. Io sono arrivata nel 2000 e le cose sono molto cam- biate. Ci sono persone che sono pericolose, si ubriacano e non ci sono controlli, anche nei giardini. “Occupare gli spazi”. Letizia Cicconi (Esqui- lino in Comune). Il fatto è che gli spazi devono essere occupati. Nel Natale del 2004, il comu- ne fece installare un tendone riscaldato, con la pista del ghiaccio, c’erano le persone anziane che si fermavano a prendere un tè, poi misero anche la giostra. L’attività durò tutto l’anno. La stessa funzione la svolge il cinema a Piazza Vittorio, che per tre mesi occupa quello spazio in estate. Se la piazza è lasciata nell’abbando- no, succede di tutto. “Il nostro livello di tolleranza”. Corinna Bottiglieri (Comitato Piazza Vittorio Partecipa- ta). Volevo tornare sul tema della percezione, perché a volte mi sembra che noi residenti abbiamo una soglia molto alta di tolleranza: anche io vivo nella zona del mercato, cioè lato “sfigati”. Devo ogni giorno decidere quando tornare a casa, perché, ad un certo punto, c’è il coprifuoco. Insegno al liceo Cavour e rien- trando devo attraversare Colle Oppio, passo sul ponticello e proseguo. Mi rendo conto che tanti ragazzi del Cavour evitano Colle Oppio, perché è una zona da tagliare fuori. Io, con grande imprudenza, ci sono sempre passata, ma ora anche io ho cominciato ad evitarlo, almeno quando fa buio. Mi rendo conto che, nella percezione comune, chi vive all’Esquilino è qualcuno che ha qualche rotella fuori posto. “Una mappatura del tessuto commercia- le”. Giuseppe Longo. Io non sono residente, ma, da farmacista, non cambierei mai la zona dove lavoro. E partecipo sempre a queste ini- ziative. Vi do una notizia: sto partecipando ad uno studio di alcuni professori universitari che vivono all’Esquilino, che stanno facendo una mappatura del tessuto commerciale del rione. Perché un coordinamento del tessuto commer- ciale ci vuole. Bisognerebbe concordare con le comunità il tipo di commercio che possono av- viare, facendo loro capire che questo può mi- gliorare la loro qualità della vita. E anche su questo manca una politica: perché uno studio sulle attività commerciali del rione lo devono fare dei privati? Se non si parte da questo, non sapremo mai chi sono i nostri interlocutori del- le varie comunità. Molti locali sono in mano alle mafie. Inoltre, se non c’è un piano di sviluppo commerciale, spariscono le botteghe artigiane. “Quando era il rione dei vestiti da sposa”. Paola Lupi (giornalista e residente). Sono una residente che si ricorda di quando il nostro era il rione dei vestiti da sposa: quello che vedo è proprio il degrado dal punto di vista commer- ciale. Io non so se esiste un tavolo per mettere a confronto i commercianti stranieri: ma questi sono disponibili? Io ho la sensazione che non gliene importa proprio niente. Sono distaccati. Quanto alla percezione di insicurezza, io sono tranquilla: quello che mi dà fastidio è il degrado. “Il confronto tra culture e i progetti per- si”. Daniela Zampetti. È esistita, per qualche anno, una manifestazione che si chiamava “Intermundia”, che aveva come base proprio il confronto con le altre culture: il comune l’ha cancellata. Inoltre negli ultimi anni abbiamo perso due progetti di riqualificazione: quello di piazza Vittorio e quello di via Carlo Alberto e vie limitrofe. Che fine hanno fatto i fondi? Il nostro confronto si chiude qui. Ci scusiamo anticipatamente con i partecipanti, perché, per motivi di spazio, abbiamo dovuto tagliare tan- ti interventi: sicuramente, abbiamo affrontato diverse tematiche e molte sarebbero da ap- profondire. Magari, in un prossimo numero del giornale. Paola Mauti Foto a pagine 4, 5 e 6: www.lucaferrantefotografo.it 6 L’occhio del cieloL’occhio del cielo Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione
  • 7. Roma è stata interessata, a par- tire dal 1870, da un consisten- te fenomeno di migrazione inter- na che ha comportato mutamenti apprezzabili nella composizione della popolazione, modificandone in profondità costumi e compor- tamenti socio-culturali. Tra l’altro, è venuto meno quel caratteristico alto “tasso di mascolinità” che da sempre aveva rappresentato un dato strutturale della sua demo- grafia, come conseguenza della forte presenza in città di servito- ri, militari e religiosi. È stato un flusso migratorio costante e conti- nuo che ha portato la popolazione, nonostante gli iniziali alti tassi di mortalità, dai 213.622 abitanti re- sidenti del 1871, al poco più di un milione del 1931 fino ai 2.872.800 dei nostri giorni. Roma pontificia. Alla vigilia dei fatti di Porta Pia, la popolazione romana era costituita per lo più da una moltitudine “dalle improv- visate occupazioni”, con una bor- ghesia non numerosa ma “eco- nomicamente ben provveduta” – proprietari terrieri, mercanti di campagna e rappresentanti delle professioni liberali – legata alle due classi dominanti: l’alto clero e l’aristocrazia. Quest’ultima, carat- terizzata “dalla grande ricchezza terriera”, era però in fase di lento declino dagli inizi dell’Ottocento, con sempre minor peso nella curia romana e marginale nella gestio- ne del potere ecclesiastico. La città burocratica. Conquista- ta Roma alla causa nazionale con il ruolo di città capitale, gli inte- ressi delle classi dirigenti risorgi- mentali impongono di non farne un polo industriale, anche per evi- tare un proletariato considerato sconveniente “accanto al gover- no, al papa, al re”. Roma diventa quindi la città dei ministeri ed un grande mercato di consumo per le industrie del Nord. E per “prov- vedere prontamente all’ingrandi- mento del caseggiato urbano” e dare alloggio a “tutte le famiglie (…) che col trasporto della capita- le” si sarebbero trasferite a Roma, già il 10 novembre 1870 viene proposto di estendere l’abitato sul versante orientale della città “nei contorni della stazione ferroviaria presso le Terme di Diocleziano”. La Terza Roma nasce esquilina. A partire dal 1872 si comincia a costruire sui colli dell’Esquilino un nuovo quartiere per 35 mila abi- tanti. Oggi è possibile conoscerne la composizione della popolazione grazie agli ‘Stati d’anime’ compi- lati dai parroci: il censimento fatto nella Pasqua del 1881 prende in considerazione i residenti in piazza di Santa Maria Maggiore, via Gio- berti, viale Principessa Margherita (attuale via Giolitti), via D’Azeglio, via Mazzini (attuale via Cattaneo), piazza Manfredo Fanti, via Cavour, via Principe Amedeo, via Manin, via Farini, via del Viminale, via Balbo, via Principe Umberto e via dell’Esquilino. La zona censita risulta già discre- tamente popolata pur con diversi alloggi ancora disabitati – inte- ri piani in qualche fabbricato. Più in particolare, in via Carlo Alber- to, negli isolati tra piazza Vittorio Emanuele II, via Rattazzi e via Mazzini (attuale via Cattaneo), tra gli abitanti che dichiarano una condizione lavorativa sono nume- rosi gli impiegati, oltre il 41%, e, di questi, più della metà lavorano presso il ministero delle Finanze e la Corte dei Conti, in quegli anni in via Venti Settembre. Due cor- pi scala, in via Carlo Alberto 24 e 26 sono abitati esclusivamente da impiegati del ministero delle Finanze. Nei fabbricati di via Gio- berti 10-30 gli impiegati statali sono la componente maggiorita- ria (anche in questo caso Finanze e Corte dei Conti). Per il resto, la popolazione che risiede all’Esquili- no risulta socialmente composita, formata da artigiani, piccoli bor- ghesi, musicisti, qualche sacer- dote, alcuni militari ed anche un deputato, il lombardo Francesco Cagnola, appartenente alla Sini- stra storica. Nel lato opposto della stessa via Gioberti, invece, ai nu- meri civici dispari, sono occupate solo le botteghe del pianoterra – un muratore al n.19, un pizzica- gnolo di Norcia e la sua famiglia al n.27, due calzolai e le loro fami- glie, al n.41 proveniente da Cagli e al n.35 proveniente da Velletri. A piazza Manfredo Fanti, invece, nell’unico palazzo già ultimato, al civico n.8, vi sono soltanto venti- sette abitanti perché cinque degli appartamenti sono ancora sfitti: un pittore decoratore, un domesti- co ed il portiere con la moglie sar- ta al pianoterra, un professore di inglese all’ammezzato, le famiglie di un impiegato del ministero della Guerra e di un muratore al II e IV piano. La maggior parte dei nuovi abitanti – pochi i romani – provie- ne da città centrosettentrionali: da Firenze, per lo più ma anche da Parma, Torino, Milano, Como e Mantova, e qualche famiglia pro- viene anche da città meridionali (Napoli e Palermo). Dalle migrazioni interne ai mi- granti stranieri. Nei decenni che seguono diverse decine di migliaia di nuovi abitanti si insedieranno nel rione che diventerà uno dei più popolosi della città. Inizialmente, è il ruolo di città capitale assunto da Roma, e la presenza dei mi- nisteri, ad attivare un sostenuto flusso migratorio interno; succes- sivamente, sarà il divario territo- riale che caratterizza la moder- nizzazione italiana – con disparità nello sviluppo e “squilibrio” nella distribuzione della ricchezza – ad attrarre nuovi migranti provenien- ti da tutte le regioni italiane, so- prattutto da quelle meridionali. Ed oggi, che i migranti stranieri han- no sostituito le migrazioni interne, l’Esquilino multietnico e multicul- turale si ritrova ad essere alla ri- cerca di un processo di integrazio- ne sociale e culturale in grado di trasformare il problema migranti in una opportunità di rivitalizza- zione territoriale. Carmelo G. Severino 7 L’occhio del cieloL’occhio del cielo Speciale immigrazioneSpeciale immigrazione Come eravamo: l’Esquilino dal 1870 al 1881 Dalle migrazioni interne ai migranti stranieri: il rione ha sempre avuto una vocazione all’accoglienza
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  • 9. 9Il rione mormoraIl rione mormora I costumi “slow” che vestono i teatri e le Olimpiadi Nel laboratorio di costumi per cinema e teatro di via Carlo Botta, la migliore tradizione si coniuga con l’efficienza La formula è semplice quanto geniale: confezionare un pro- dotto sartoriale, individuando la migliore maestranza sulla piaz- za, per fare bene e nel modo più efficiente. È stata ed è questa la filosofia di (S)Lowcostume, Labo- ratorio per la realizzazione di abiti per cinema, televisione ma, so- prattutto, per teatro ed eventi. Da 11 anni in via Carlo Botta: più di una bottega ma, sicuramente, non una fabbrica, cioè il giusto com- promesso tra artigianalità e forma imprenditoriale avanzata. Ma an- diamo con ordine. Costumisti per vocazione e or- ganizzazione doc. Tutto parte da un garage, ma nessun punto in comune con le classiche storie delle start-up tecnologiche della Silincon Valley. Lowcostume na- sce in questo grande locale all'i- nizio della strada, dove, 40 anni fa, c'era un garage. Dopo aver ab- bassato la saracinesca, era stato sostituito da un supermercato di surgelati, che a sua volta ha chiu- so e ha lasciato lo spazio deserto per 20 anni. Parallelamente, co- minciava la carriera di costumiste di Giovanna Buzzi e Silvia Aymo- nino, la prima nata a Milano ma monticiana da quaranta anni; la seconda nata nella Suburra e poi trasferitasi con convinzione all'E- squilino «da sempre malfamato, non ci si andava per nessun mo- tivo. Poi con gli anni e l'immigra- zione, checchè se ne dica, è mol- to migliorato». Giovanna Buzzi, due premi Abbiati – nel 1990 per il “Ricciardo e Zoraide”, regia di Luca Ronconi per il Rossini Opera Festival, e nel 2005 per il “Walku- re”, regia di Federico Tiezzi per il Teatro San Carlo di Napoli – ha re- alizzato i costumi per lo spettacolo di chiusura delle Olimpiadi Inver- nali di Torino del 2006. Assistente di Pier Luigi Pizzi dal 1985 al 2005, ha sempre lavorato con la Sartoria Tirelli, e curato le realizzazioni e produzioni dei costumi nei teatri. Silvia Aymonino, nata a Roma, vissuta a Venezia, accento incer- to «nordica di testa e romana nel cuore», lavora come costumista dal 1992 nell’opera, nella prosa e nei grandi eventi. Professional- mente, nasce anche lei presso la sartoria Tirelli, di cui è stata di- pendente e poi assistente del di- rettore. Ha frequentato i maggio- ri teatri italiani ed internazionali, collaborando, come costumista, con registi quali Luca Ronconi, Da- miano Michieletto, Leo Muscato, Lorenzo Mariani, Massimo Popoli- zio. La sua occupazione principale negli ultimi anni è stata la produ- zione e l’organizzazione dei costu- mi delle olimpiadi di Torino, Sochi, in parte Londra e Rio de Janeiro. Insieme con i due soci Odino Ar- tiol, amministratore della società, e Massimo Pieroni, socio di capita- li, danno vita a Lowcostume. Centomila abiti in modo “Slow”. Oggi la Slowcostume è un nuovo modo di pensare i costu- mi esplorando nuove rotte. «Ogni lavoro per noi è un viaggio alla ricerca delle soluzioni più giuste, meglio realizzate e più economi- che» ci racconta Silvia. «Abbiamo iniziato questa avventura durante la crisi del 2006, quando la ten- denza era al low cost. Poi, strada facendo, abbiamo capito che la gestione dei prezzi, il 'low', poteva e doveva sposarsi con la migliore qualità possibile: da qui il cambio in Slowcostume». Oggi realizza- no costumi d’epoca e moderni, sia pezzi unici, sia grandi quanti- tà, per noleggio e vendita. E non si stenta a crederlo, dal momen- to che un'ala intera del laborato- rio ospita cappelli di ogni sorta, «non possiamo esporli tutti, ma è impossibile tenerli chiusi in una scatola», e costumi suddivisi per epoche. Cosa vuol dire acquisire rapporti con maestri artigiani ed aziende, in tutte le regioni d’Italia e all'e- stero, per garantire il migliore dei risultati sul piano quali-quantitati- vo? «Vuol dire, ad esempio, che, se ci commissionano dei kilt, li facciamo fare in Scozia, dove il ri- sultato sarà sicuramente eccellen- te per tradizione, senza obbligare maestranze nostrane a inventarsi da zero il modo di confezionarli qui. E lo stesso può valere per le tuniche, prese in Tibet, o i kimono in Giappone». Un metodo vincen- te, rapido il giusto se ben organiz- zato, che si affianca al lavoro arti- gianale, che ferve nel laboratorio, dove si incontrano giovani e meno giovani, dipendenti, collaborato- ri e stagisti che creano, cuciono, tagliano, dipingono e sperimen- tano. Col sorriso sulle labbra. Alle spalle, centomila abiti realizzati, gli eventi delle Olimpiadi di Tori- no, Sochi, Rio de Janeiro: tutto sintetizzato in una dichiarazione di amore e gratitudine per que- sto lavoro e i propri collaboratori, su un foglio alto 170 cm, scritto a mano da Giovanna e appeso nello studio, cioè l'ex guardiola del vec- chio garage i cui locali sono tornati alla vita, dando linfa al rione. Quel rione che, secondo Silvia, neces- sita di un presidio continuo «Non si può arretrare. Ogni volta che chiude un'attività o si demolisce un edificio storico, come l'Apollo, non nasce più niente, come gli al- beri tagliati e mai sostituiti». D'altronde, basterebbe applicare all’Esquilino la filosofia del labora- torio: ognuno dovrebbe occuparsi di ciò che sa fare meglio, senza inventarsi altro, e offrire alla co- munità il meglio di sé. Silvio Nobili Foto: www.lucaferrantefotografo.it
  • 10. Il Liceo Pilo Albertelli contro tutte le violenze Si è tenuto lo scorso 11 gennaio nell’am- bito della ‘Notte nazionale del Liceo Clas- sico’ il ‘Giuramento contro tutte le violenze’. I ragazzi, coinvolti nel progetto dell’art per- former Marina Rapone, hanno rappresen- tato dei ‘quadri viventi’ raffiguranti ogni aspetto della violenza. Il Giuramento finale, dal valore catartico e rinnovatore, ha rap- presentato l’impegno, di fronte a se stessi e agli altri, al rifiuto di ogni forma di violenza. Esquilino Poesia Partirà il 4 febbraio alle ore 18:30, nella sede del Palazzo del Freddo di Giovanni Fassi, il primo ciclo della rassegna ‘Esquilino Poesia’. Questi gli appuntamenti: 4 febbraio Elio Pecora - Loca Benassi; 11 febbraio Renzo Paris - Giorgio Ghiotti; 18 febbraio Gabriella Sica - Eleonora Rimolo; 25 febbraio Antonio Veneziani - Gabriele Galloni; 4 marzo Annelisa Alleva - Francesco Iannone; 11 marzo Alberto Toni - Giovanni Vivinetto; 18 marzo Gino Scartaghiande - Alfonso Guida. La rassegna proseguirà con un secondo ciclo previsto per i mesi di marzo-giugno (sem- pre presso il Palazzo del Freddo) ed un terzo ciclo previsto per il mese di settembre pres- so Palazzo Merulana. Genius, scuola di scrittura creativa all’Esquilino Il Palazzo del Freddo di Giovanni Fassi ospi- terà la scuola di scrittura Genius, per per- fezionare la tecnica di scrittura di racconti, romanzi, articoli, sceneggiature e testi per i Social. Con Paolo Restuccia, da decenni atti- vo nella diffusione della scrittura creativa in Italia e regista del Ruggito del coniglio di Rai Radio2, ci saranno autori noti come Simona Baldelli e Andrea Carraro, editor come Luigi Annibaldi e Alice Felci, filmaker come Lucia Pappalardo (RaiUno e RaiDue) ad accogliere gli allievi nell’atmosfera preziosa della Sala Giuseppina. A questa moderna attività di formazione, grazie al gelatiere Andrea Fassi, si unirà l’antica e sempre nuova passione per il gela- to per dare vita a suggestivi incontri che ter- ranno insieme il gusto per le parole e quello per i sapori. I corsi saranno anche ospitati presso la li- breria Pagina 2. Per maggiori informazioni: genius@storygenius.it – 3518779461 10 In itinereIn itinere VittorioAlfieri:libertà,idealietitanismo Da questo numero, ospiteremo i contributi di Francesco Ciamei, nipote ed erede del fondatore della nota torrefazione. Appassionato di letteratura, ciaccompagneràperleviedelrione,prendendospuntodallatoponomastica Interrogarsi circa la toponomastica è un vezzo che noi ospiti del Rione XV dovremmo conce- derci più spesso. Quello che può apparire come un esercizio sterile, fine a se stesso, d’un tratto riesce ad assumere una valenza diversa, conso- latoria, se non addirittura esaltante. In fin dei conti, abbiamo tutti una certa familia- rità con le nostre strade intitolate a re, principi, conti e letterati sublimi. Ognuno di questi con una storia particolare, ognuno portatore di un messaggio da decifrare. Nei momenti liberi mi capita di passeggia- re pensoso ed assorto; ecco che, alzando lo sguardo, le vedi solenni, quasi come un monito, le targhe. Alcune pare parlino un italiano arcai- co, severo ma pieno di significati. Un incontro casuale: Vittorio Alfieri. Sono un po’ di fretta e decido di tagliare dietro piazza Dante; ecco che, raggiungendo la via Merulana, sento riecheggiare improvvisamente gli strali del conte Vittorio Amedeo Alfieri, piemontese di Asti, letterato, drammaturgo e filologo immagi- nifico, vissuto tra il 1749 ed il 1803. Un uomo profondamente inquieto, le cui radici culturali affondavano nel rigore degli studi classici e che, al contempo, seppe essere prodromo dei suc- cessivi Romantici. Alfieri, con la sua Opera e le sue traduzioni dei Classici, seppe nobilitare ed elevare la nostra lingua italiana, valendosi di un lirismo e di una sofisticatezza senza preceden- ti. Tuttavia, immagino meriti d’esser ricordato per ben altro oltre la cosmesi retorica e l’acume formale. Questi, sin dalle prime fatiche, fu fervente nell’osteggiare le tirannidi che a quel tempo soggiogavano l’Europa e che cominciavano a patire le prime picconate sferrate dai coevi Il- luministi. Proprio nei confronti della Rivoluzione francese possiamo rilevare la cifra che carat- terizzerà il percorso creativo dell’autore: dap- prima, convintamente entusiasta dei moti rivo- luzionari, arrivò a mutare radicalmente le sue convinzioni a seguito di un soggiorno a Parigi, durante il quale osservò inorridito alcune de- vianze e perversioni che avevano corrotto l’ori- ginario spirito, sfociando in quello che divenne noto come “Regime del Terrore”. Alfieri, difatti, visse ossessionato dalla ricerca della libertà, che intendeva quale sintesi definitiva dell’eroi- smo dell’individuo. Iltitanismo. L’eroe alfieriano è proprio quell’en- tità che sfida l’oppressione, le forze oscure che lo limitano nel suo agire, ricercando un’idea sublime, quasi disperata, di grandezza. Questa tensione verso il superamento del limite, verso l’assoluto, assurge ad un approdo che sarà fon- dante della prosa alfieriana: il “titanismo”, una chiara derivazione degli studi classici del conte. I Titani (Τιτάνες) come narra Esiodo nella sua Teogonia, sono sei fratelli – Crono, Iperione, Giapeto, Oceano, Crio e Ceo – generati da Ura- no, il cielo, e Gea, la terra. Questi personifica- vano le potenze archetipiche che dominavano il mondo antecedentemente all’avvento degli dei olimpici. Proprio contro questi ultimi, i Titani in- gaggiarono una furiosa battaglia, notoriamente la Titanomachia, durata per ben dieci anni, che li vide sconfitti solo dopo l’intervento in favore di Zeus degli Ecatonchiri e dei Ciclopi. Costoro, fratelli dei Titani, furono appositamente liberati dalla segregazione negli Inferi e, per gratitudi- ne, donarono a Zeus la Folgore, che, assieme alla forza brutale degli Ecatonchiri – che, secon- do il mito, avevano ben cento mani e cinquanta teste – fu decisiva per sopraffare gli avversari, poi incatenati nella prigione infernale del Tar- taro, tra le mura e i cancelli di bronzo costru- iti da Poseidone, e sorvegliati sempre dai loro mostruosi fratelli, i Giganti Centimani, Briareo, Cotto e Gige. Il Titano, dunque, diviene prototipo ideale dell’Eroe: questo, sebbene sfidi sfere altissime e patisca una disfatta definitiva, incarna per- fettamente la morale dell’autore che non nutre velleitarie ambizioni di vittoria, ma si compiace ed esalta nella dimensione della battaglia sen- za sosta. In questo atteggiamento si manifesta prepotentemente l’intimismo che lega Alfieri ai contemporanei tedeschi dello Sturm und Drang, intellettuali protoromantici, Friedrich Schiller e Johann Wolfang von Goethe su tutti, che ma- gnificavano le pulsioni irrazionali ed il Genio ar- tistico, motori immobili capaci di condurre l’Uo- mo ad ambizioni smisurate. L’eroismo del quotidiano. A guardar bene, quella dell’Eroe alfieriano è la medesima bat- taglia che, in finale, ci ritroviamo ad affrontare idealmente ogni giorno per le nostre vie, ne- gozi, uffici e scuole, e che, per quanto possa apparirci aspra, non deve mai cedere il passo all’arrendevolezza ed allo sconforto. A modo nostro e con un pizzico di immaginazione, po- tremo catapultarci nel sogno titanico, ricercan- dovi una catarsi dai nostri piccoli e grandi tor- menti d’ogni giorno. Perlomeno questo è quanto mi pare d’aver ca- pito passeggiando per via Alfieri. Francesco Ciamei
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  • 13. 13Ditelo al cieloDitelo al cielo Numero 23 anno V Gennaio/Febbraio 2019 Bimestrale gratuito a cura dell’associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Registrato presso il Tribunale di Roma N° 62/2015 28-04-2015 da Associazione “Il Cielo sopra Esquilino” Codice fiscale 97141220588 Direttrice Responsabile Paola Mauti Redazione Chiara Armezzani, Carlo Di Carlo, Andrea Fassi, M. Elisabetta Gramolini, Riccardo Iacobucci, Paola Lupi, Salvatore Mortelliti, Antonia Niro, Silvio Nobili, Patrizia Pellegrini, Maria Grazia Sentinelli, Carmelo G. Severino Hanno inoltre collaborato a questo numero Claudia Bellia, Francesco Ciamei, Luca Ferrante, Antonio Finelli Stampato presso Tipografia Rocografica S.r.l. Piazza Dante 6, 00185 Roma Per informazioni, lettere, sostegno, proposte e collaborazioni redazione@cielosopraesquilino.it Potete trovare Il cielo sopra Esquilino anche online: www.cielosopraesquilino.it www.facebook.com/IlcielosopraEsquilino Chiuso in redazione il 18/01/2019 Tiratura copie 7.000 La redazione e la distribuzione del giornale sono curate da volontari. La stampa è finanzia- ta esclusivamente grazie al contributo di alcuni commercianti di zona e non riceve nessun finan- ziamento né pubblico né per l’editoria. Avete qualche argomento, tema o problema che desiderate mettere in evidenza? DITELO AL CIELO! Scrivete a: redazione@cielosopraesquilino.it Dieci lire per salire in cielo Gli ascensori sono ancora gli stessi ma quando eravamo bambini partivano solo con monete da dieci lire. Mio fratello ed io c’eravamo ingegnati: dopo aver forato una moneta da dieci lire vi avevamo attaccato lo spago ed ogni volta, per far partire l’ascenso- re, mettevamo la moneta nella gettoniera e tiravamo subito via lo spago per farla uscire e riutilizzarla. La terrazza condominiale con i panni stesi, per me aveva un fascino speciale. Tante le diverse attrattive, la prima era la vista privi- legiata che si godeva sul quartiere. Riuscivo a scorgere le statue bianche di San Giovan- ni, dietro le cime degli alberi della vicina Vil- la Wolkonsky, ed il campanile romanico della chiesa di Santa Croce. Osservavo le persone ridotte a grandezza di formiche muoversi in cortile. Quindi da quella posizione privilegiata mi abbandonavo a riflessioni sulla relatività delle proporzioni: lì anche gli adulti erano ri- dotti ad esseri inermi e le macchine a model- lini giocattolo. Ed io mi sentivo onnipotente. Poi lo spettacolo dei panni stesi di tutti i con- dòmini mi accendeva la fantasia. Mi chiedevo chi fosse il proprietario di quel pigiama o di quelle lenzuola scolorite. La terrazza costituiva un rifugio prediletto du- rante i nostri giochi a nascondino: quello che mi preoccupava era che le lenzuola non arri- vassero sufficientemente in basso da nascon- dere i piedi. Ogni volta che il mio sguardo in- contrava le vasche ricolme di acqua gelida dei vecchi lavatoi, fantasticavo: prima o poi, un giorno d’estate mi sarei immersa in quell’ac- qua e avrei potuto raccontare la prodezza a tutti miei amici. Claudia Bellia Sono cittadina dell’Esquilino dalla nascita e leggo sempre il vostro interessantissimo giornale. Stamattina ho letto l’articolo sui cordoli e sono arrivata fino alla fine un po’ in ansia. L’articolo non fa una piega e a proposito dell’at- traversamento pedonale all’altezza di via Do- menico Fontana, si parla perfino delle esigenze dei pedoni! Ma noi non siamo solo pedoni, siamo abitanti cittadini e se abitiamo in via Fontana per prenderci il giornale dall’altro lato dobbia- mo fare un lungo giro a piedi per attraversare all’altezza di via Statilia, oppure andare a destra dove c’è un semaforo allucinante che dura 20 secondi e ti fa aspettare 5 minuti. Però il tram e il bus guadagnano ben 3 minuti rispetto a pri- ma; non mi sembra una situazione equilibrata. Comunque, continuo a leggere e arrivata alla fine dell’articolo l’idea geniale! Far passare an- che l’87 sulla preferenziale! La linea 87 è l’uni- co bus rimasto che porta centinaia di persone all’ospedale San Giovanni Addolorata (ormai il comodo 51 non può più farlo e l’85 fa un altro percorso), la maggior parte anziani o dimessi dall’ospedale, o lavoratori della struttura, che dal centro e dall’Appio Latino devono recarsi al CUP oppure all’ospedale stesso per visite e controlli. In caso di deviazione della linea do- vrebbero farsi tutta la salita di via Merulana. Nessuno si pone questo di problema? Oppure la logica è quella di mettersi a ragionare su una piantina e tracciare linee che non tengono conto della vita effettiva che si svolge lì. Tutto questo non per essere contraria ai cordo- li, anzi; io faccio la mia parte per evitare inqui- namento e traffico, ho una bella Metrebus card e la mia auto ha le ragnatele… Ma già vivere in centro è complicato e la vita quotidiana di tutti i cittadini dovrebbe essere la priorità, soprat- tutto dei pedoni che sono i più vulnerabili. Ecco, mi sono tolta un peso perché ero un po’ arrabbiata; io leggo per avere stimoli, per ra- gionare e condividere: grazie della possibilità. Buon lavoro a tutti, Antonella Mancini Gentile lettrice, innanzitutto grazie per averci scritto e per aver letto con attenzione il nostro articolo. Ci sembra di poterle dire che, aldilà dell’arrab- biatura che le abbiamo provocato, e di cui sia- mo dispiaciuti, in fin dei conti la pensiamo allo stesso modo. Il tema cardine dell’articolo è il sostegno ai cor- doli come supporto ad un trasporto pubblico efficiente, pur evidenziando che i tecnici del comune non hanno evidentemente considera- to correttamente tutti gli effetti che i cordoli avrebbero potuto introdurre, sia per i pedoni che per il traffico privato. Tra questi vi è ap- punto la cancellazione delle strisce pedonali di via Domenico Fontana. Per quanto riguarda la frase sullo spostamento dell’87, si trattava solo di un semplice spunto. Proposte di questo tipo necessitano di studi su tipologia di utenza, flussi di traffico e tempi di percorrenza. L’agenzia comunale di mobilità ha fior di tecnici che, quando svolgono corret- tamente il proprio lavoro, sono certamente in grado di valutare queste cose. La redazione Sui cordoli della discordia
  • 14. Quest’anno nella nostra classe sono arrivati tre nuovi bam- bini: Daniel, Bruno e Valeria; Daniel viene dalla Nigeria e sta imparando a parlare l’italiano. Tutti lo aiutiamo a leggere, a scri- vere e a conoscere le parole strane per lui. Lo aiutiamo anche giocando: fac- ciamo con lui dei giochi di parole, col “nascondino” impara a contare in italiano, a “famiglia” impara ad ascoltare e a capire meglio le pa- role. Noi femminucce siamo molto con- tente che giochi con noi, perché ci diverte e noi siamo di più… infatti noi siamo solo 7 su 24. A Bianca fa ridere quando fa “il carino”, a Laura quando rigira le palpebre. A tutti quando fa le pi- roette, si “butta”, fa la spaccata e fa la ruota, però quando si accorge che lo guardiamo, si vergogna e si nasconde. Sarà sempre nostro amico perché è simpatico, perché balliamo insieme a lui e ci fa divertire. Lo ringraziamo perché ci dà l’ami- cizia, ci aiuta anche con l’inglese e, aiutandolo, aiutiamo anche noi stes- si. Classe III-B “Il mondo a Scuola” a cura dell’Istituto Comprensivo “Daniele Manin” - www. danielemanin.gov.it 14 Attori per un giorno Alla Scuola Di Donato hanno gira- to un film. Questo film si intito- la “Una vita” e parla di una mamma che è arrivata in Italia, trova un la- voro come cameriera, ma la padrona di casa non l’accetta, perché è di colore. La protagonista è la mamma di un nostro compagno di classe, Latif, e abbiamo partecipato anche noi ad una scena, come comparse. All’uscita di scuola, dopo aver gri- dato tutti insieme, ci siamo messi a giocare, mentre ci riprendevano. Luca e Chiara hanno provato noia perché la scena è stata ripetuta più volte, invece Isabella e Anna sono state super felici. Latif si è senti- to euforico perché c’era la mamma e tutti i suoi compagni; per Luca non era la prima volta, aveva fat- to la comparsa in un film di papà, e Isabella uno spettacolo con la zia. Arianna si è molto divertita, a Sha- mir, invece, è molto dispiaciuto non aver partecipato. Ci siamo sentiti tutti orgogliosi per- ché siamo stati solo in due classi a prendere parte ad un film. Classe III-C Il nostro amico Daniel Fin da piccoli… L’otto giugno scorso, andammo a Villa Celimontana per trascorre- re insieme una tranquilla giornata di fine quarta. Durante questa giornata vedemmo dei bambini di un’altra scuola che stavano maltrattando le tartaru- ghe del laghetto. Dispiaciuti del loro comportamen- to, per farli smettere, proponem- mo una partita di calcio: se aves- simo vinto noi, avrebbero dovuto smettere di maltrattarle, in caso contrario avrebbero continuato. Subito dopo il nostro primo gol, co- minciarono a prendere in giro e a insultare pesantemente alcuni no- stri compagni di colore. Tutti uniti ed in modo spontaneo, prendemmo le loro difese; poi an- dammo a riferire l’accaduto alle in- segnanti e ai genitori. Una mamma che era con noi, pen- sando di far bene, parlò con i loro insegnanti e genitori presenti di questi alunni; ma loro risposero “che erano bambini”, per dire che non bisognava dare peso ai compor- tamenti ed alle loro parole. Noi ce ne andammo subito delusi, amareggiati, ma nello stesso tempo consapevoli dell’importante lavoro che si faceva nella nostra scuola e nelle nostre famiglie per l’inclusio- ne e il rispetto di tutte le culture. Classe V-B Aggiungi un posto in classe... per quattro amici in più Quest’anno nella nostra classe ci sono quattro nuovi compa- gni. Di questi, due sono appena ar- rivati in Italia dai loro Paesi d’origi- ne: Bangladesh e Georgia. Vogliamo parlarvi di Ibrahim per- ché ancora non conosce nessuna parola della lingua italiana e quin- di ha più bisogno del nostro aiuto per imparare. La prima ad accom- pagnarlo in questa avventura è sta- ta Maksudha perché parla la sua stessa lingua d’origine (Bangla) e anche la lingua italiana. Ci sono per lui anche le maestre che insegnano L2 agli alunni stranieri. Noi bambi- ni, durante la ricreazione, prendia- mo dei libri della bibliotechina di classe, gli mostriamo le immagini e gli insegniamo le parole. Oppure in cortile, quando giochiamo a nascon- dino, facciamo contare lui e così ha imparato bene e fa sempre “tana”. Quando non capisce le consegne dei compiti gliele spieghiamo invece di farlo copiare. Da noi arrivano spes- so bambini nuovi e li accogliamo sempre con piacere perché ci piace insegnare e anche imparare parole di lingue di altri Paesi (compresa qualche parolaccia), come vivono e cosa mangiano. Speriamo che i nostri nuovi amici imparino presto perché si impegna- no molto e quindi se lo meritano. Noi pensiamo che a fine anno saran- no bravissimi e prontissimi. Classe III-F
  • 15. Mi ripresento. Sono Papille, ex critico ga- stronomico cui Andrea Fassi ha ceduto questo spazio. Vi mostrerò storia, inganni e verità del cibo. Senza vergogna. Se volete legge- re circa l’incidente in cui ho perso la lingua, sfogliate il numero 21 del Cielo sopra Esquilino. Ho perso la favella, ma non le idee. Un incontro a Copenaghen. Sono stato invitato poche settima- ne fa in Danimarca, ospite di due amici desiderosi di rivedermi dopo tanto tempo. Entrambi sono cuo- chi di ristoranti alle porte di Co- penaghen, ci conoscemmo a New York durante un convegno della FAO, il tema era lo spreco di cibo nel mondo. I danesi sono il popo- lo più attento e attivo nella batta- glia contro lo spreco. Durante la nostra lunga cena in un ristorante nel centro di Copenaghen, i miei amici Olsen e Andres, scambiati con me i ricordi più importanti de- gli ultimi mesi, mi hanno aggior- nato sui grandi passi in avanti fatti dal loro popolo rispetto alla batta- glia contro lo spreco; solo la mia imperturbabile freddezza mi ha permesso di non lasciar trasparire il velarsi del mio volto di un lieve imbarazzo. I supermercati danesi, mi ha spie- gato Olsen, vendono il cibo a pochi giorni dalla sua scadenza, quindi cibo buono, a prezzo inferiore; permettono così lo smaltimento dei prodotti che rischiano di esse- re in surplus, garantendo qualità e limitando il più possibile lo spreco. Un messaggio ai più giovani. Tolto il velo d’imbarazzo, memore di realtà positive anche nostrane, ho raccontato loro dell’esperien- za tutta italiana di Andrea Segrè, creatore tra le sue tante attività, del progetto ‘Spreco Zero’ e auto- re di ‘Il gusto per le cose giuste. Lettera alla generazione Z’. Nella lettera, indirizzata in primis alla generazione under trenta, Segrè spiega l’importanza di un corret- to approccio al consumo e all’ac- quisto del cibo – per la salute ma anche per l’ambiente – rilevando, inoltre, la speranza che le nuove generazioni partecipino con mag- giore interesse alle scelte odierne, base del loro futuro. Il surplus nei ristoranti. Mentre raccontavo questa bella parentesi di impegno, alla fine della nostra cena, una deliziosa signorina è tor- nata con quanto rimasto nei nostri piatti – sparecchiati qualche minu- to prima senza che me ne accor- gessi – inserito dentro una picco- la scatola di cartone rettangolare con scritto, in decine di lingue di- verse tra cui l’italiano, ’Don’t cook tomorrow!’. Il disegno sul conte- nitore raffigurava due giovani sti- lizzati intenti a mangiare durante un pic-nic, sullo sfondo compariva rotonda la terra, rigogliosa e ver- de. Bè, io ricordo la mia ex moglie che inorridiva all’idea di portare a casa una pizza smangiucchiata. Ex moglie, appunto. Ancora più bello: il servizio che sostiene le famiglie danesi più fra- gili sarebbe intervenuto alla fine della serata per ritirare il surplus del ristorante e distribuirlo a chi, a differenza nostra, non può lascia- re il piatto mezzo pieno. Una questione di ‘cultura’. Fuo- ri dal locale, felici di esserci incon- trati di nuovo, avevo quasi dimen- ticato di raccontare loro i numeri dello spreco in Italia che, in real- tà, non si annovera tra i peggiori. Tuttavia, ogni anno una famiglia spreca circa 85 kg di cibo. Il va- lore complessivo di questo spreco corrisponde più o meno a 8 miliar- di e mezzo di euro, lo 0,8% del PIL nostrano. Andres e Olsen sono rimasti colpiti. Senza sentirsi mi- gliori di noi, si sono chiesti perché in italia sprechiamo tanto. Per quanto ho constatato attra- verso i miei viaggi, in giro per l’Italia ci sono ottimi propositi, ma considerare nel nostro Paese ‘illuminate’ le persone che com- battono concretamente lo spreco, è fuorviante. Le armi per questa battaglia devono essere fornite ai cittadini fin dalle scuole elementa- ri, rendendo normale un atteggia- mento di tutela dell’ambiente e di educazione al consumo. Questa è la risposta che ho dato a Olsen e Andres: per combattere lo spreco sono necessarie formazione e cul- tura. Un’esperienza esquilina. Un al- tro progetto interessante mi è sta- to segnalato dal custode di questa pagina. Andrea Fassi mi ha rac- contato di un progetto sostenuto a Roma dal I Municipio e porta- to avanti dall’assessore Emiliano Monteverde, insieme a un gruppo di volontari, chiamato ‘Eco dalle Città’, operativo in molti mercati italiani. Questo progetto ha una struttura in grado di ritirare circa 800 kg di cibo il sabato al Nuovo Mercato Esquilino. Il cibo viene poi distribuito a persone che ne han- no necessità, evitando che rovisti- no nella spazzatura. È un progetto che potete trovare anche su Face- book sotto il nome di ‘Roma Salva Cibo’. Compiti a casa. Ora vi sfido. Se siete a casa mentre leggete que- ste poche righe, alzatevi. Andate in cucina, aprite il secchio del- la vostra spazzatura e rovistate. Quanto avete sprecato? Com’è ro- vistare nei rifiuti?… E vi dice bene che siano i vostri! Ecco, nel vostro piccolo potrete fare molto. Andrea Fassi 15EsquisitoEsquisito Rovistare per non sprecareUn corretto approccio al consumo alimentare oggi, può garantire il benessere di tutti domani Illustrazione di Chiara Armezzani