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[LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE


                              La nuova politica “ex parte civium”
Alla fine del XVIII secolo, la pratica di un’utopia trovò in filosofi illuministici di cultura giuridica (Filangieri e
Pagano).
Nei loro testi circolavano per la prima volta parole destinate a diventare concetti chiave del moderno linguaggio
politico come:
    • Costituzione
    • Repubblicanesimo
    • Patriottismo
    • Società civile
    • Diritti dell’uomo
    • Cittadinanza
    • Governo rappresentativo
    • Sovranità popolare
    • Democrazia “pura” o rappresentativa
    • Eguaglianza, libertà civile e libertà politica.

Fondamentali sono le parole autorevoli di un grande storico del diritto (Ajello):
“gli illuministi rifiutano l’ideale umanistico - platonico di una repubblica governata dai saggi-giureconsulti,
chiamati a rappresentare di volta in volta la communis opinio , tale ideale era stato il presupposto ideologico di
tutta la scienza juris del tardo medievale e umanistica. Gli illuministi respinsero la pretesa dei giudici di attingere
dalle strutture dell’essere, o quanto meno d’interpretare ed esprimere quelle esistenti. I sacerdotes juris furono
incapaci di rappresentare legalmente l’intero corpo sociale ed accusati di di essere solo portatori di interessi
particolari e limitati al loro status.”



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Le opere del pensiero giuridico illuministico illuministico da Montesquieu a Rousseu, da Beccaria a Filangieri
anche con differenze e diverse soluzioni prospettate nella critica dell’antico regime (soprattutto contro la
tradizione dei “forensi”), si ponevano l’obiettivo comune di smascherare gli arcana juris , in un momento storico
dell’occidente in cui cominciavano a sgretolarsi gli ordinamenti del passato e si poneva con drammatica urgenza
le questione di ridefinire la sovranità non più a partire dall’alto ma dal basso ex parte civium.

Non è causale che nella Napoli di fine secolo l’esordio pubblico nella lotta politica di Gaetano Filangieri nel 1774,
in occasione dei provvedimenti presi da Tanucci per obbligare i magistrati a motivare per iscritto le loro
sentenze. Era questo un vero atto di guerra tra monarchia e corti di giustizia del Mezzogiorno (paragonabile allo
scontro avvenuto tre anni prima a Parigi tra il cancelliere Maupeou e i messieur dei parlamenti).
Risultarono vani gli appelli di Tanucci contro “l’arbitrio illimitato dei giudici”e il suo invito al Sacro Regio
Consiglio di abbandonare quello “stile di oracoli”ricordando che la legislazione è tutta della sovranità; e che il
Consiglio non è che un giudice e che i giudici sono esecutori delle leggi e non autori : il diritto deve essere
certo e definito e non arbitrario. Non era la prima volta che un tentativo di riforma giudiziaria naufragava a
causa della corporazione dei magistrati.
Dopo l’arrivo di Carlo di Borbone e la fondazione della monarchia nazionale, il progetto di dar vita ad una fase
assolutistica si era già arenato una volta di fronte alla resistenza del ministero del togato, secolare detentore del
potere nel Regno insieme alla nobiltà feudataria.
Carlo III aveva cercato di porre rimedio alla frammentazione della sovranità reprimendo gli abusi, sciogliendo il
Collaterale, creando la Regia Camera di Santa Chiara, istituendo il nuovo Supremo Magistrato del commercio,
dove i mercanti e banchieri affiancavano esperti del diritto, avviando un tentativo di codificazione; poco o nulla
cambiò.

Tutti i maggior esponenti del mondo illuministico italiano denunciarono nel corso del settecento l’anarchia della
pratica della giustizia e la prepotenza dei sacerdotes juris .
Filangieri: scrisse Riflessioni contro i togati
Muratori: scrisse Dei difetti della giurisprudenza (1742)
Giuseppe Maria Galanti: Testamento forense, legava il sottosviluppo economico e l’arretratezza sociale
all’egemonia dei giuristi. In Desrizione dello stato antico e attuale del Contado di Molise, in cui descriveva un
sistema complicato ecclesiastico e feudale, nel testo era evidente una società in cui non si può possedere facoltà
senza dipendere dai tribunali; nè essere cittadini senza dipendere da avvocati.
Galanti denunciava pubblicamente un malcontento, una realtà fatta di sopraffazioni da riformare, in cui
dominavano la palese complicità e gli stretti legami d’interesse tra avvocati e magistrati.
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Nel 1774 con le Riflessioni di Filangieri il confronto si spostava sul piano politico, con “principi fondamentali
della politica” che chiamavano in causa “l’opinione pubblica”, con il rispetto della libertà civile del cittadino e
mostrava a tutti la presenza del “mostruoso dispotismo” dei magistrati (autentici despoti che ignoravano i vincoli
di legge, una sorta di dispotismo degli ottimati, molto pericoloso per la libertà dei cittadini in quanto esercitata
da un’intera corporazione e non da uno solo.
Dietro “l’arbitrio giudiziario”,consentito dalla pratica dell’interpretatio si nascondeva la violazione sistematica
della costituzione stessa dei governi moderati che prevedeva dopo Locke e Montesquieu, la separazione dei
poteri al punto di renderli incomunicabili per garantire la libertà civile, i magistrati attraverso l’interpretation
avevano usurpatole prerogative del”Sovrano come legislatore”.
Il grande errore teorico, che aveva reso possibile questa situazione, si annidava nell’uso distorto della parola
equità da parte dei sacerdotes juris intesa come cosa differente della giustizia (strumento a disposizione del
magistrato per rettificare il carattere astrattamente universale della legge rispetto alla realtà concreta). Il
continuo ricorso al meccanismo equitativo per legittimare l’interpretatio aveva consentito la nascita di forme
negative di dispotismo giuridico da parte delle grandi corti di giustizia.

Intorno a una nuova rappresentazione della società civile, fondata sula nesso che legava l’equità e la giustizia,
Filangieri costruirà il gigantesco mosaico della Scienza della legislazione.
Si apriva negli anni settanta una nuova stagione nella vita del Regno di Napoli che si sarebbe conclusa nel bagno
di sangue della Repubblica del ’99, con la sconfitta definitiva del mondo dei Lumi.

I conflittuali decenni della monarchia autoritaria di Luigi XIV avevano non solo mutato radicalmente la storia
istituzionale della Francia moderna, ma mutato radicalmente la storia istituzionale della Francia moderna,
ma cambiato i termini stessi della lotta politica in tutta Europa continentale.
La furiosa contesa tra corona e parlamenti esplosa nella seconda metà del secolo, stava mettendo a nudo il
superamento del consolidato equilibrio dei poteri dell’antico regime, e stava trasformando brutalmente la
monarchia regia in monarchia dispotica.


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Il governo di Luigi XIV aveva spezzato le vecchie consuetudini e allarmato non solo l’antica nobiltà feudale ostile
alla corona e all’apparato burocratico dello Stato francese (che in cambio delle fedeltà all’assolutismo e alla
monarchia ricevevano privilegi).
La rivolta dei corpi intermedi era cominciata in Francia con la diffusione di una lettura polemica e negativa delle
parole “absolu” e “despotique”.
Montesquieu: nel libro l’Esprit des lois, in cui rappresentava i corpi intermedi come una componente essenziale
del sistema costituzionale monarchico, indispensabile per garantire la libertà ed evitare ogni forma di
degenerazione verso il dispotismo da parte del sovrano.
Luis-Adrien Le Paige: nel libro Lettres historiques sur les fonctions essentielles des Parlements, reclamò la
continuità storica tra i parlamenti e le assemblee legislative delle due prime dinastie dei re di Francia,
rivendicando la presenza dell’intera nazione e trasformando la registrazioni delle leggi da semplice atto formale
in autentico principio costituzionale.


A Napoli l’ideologia del ministero togato trova il suo massimo teorico in Niccolò Fraggianni (giurista, capo di
ruota del Sacro Regio Consiglio e Delegato della Real Giurisdizione, tutte cariche che lo ponevano ai vertici
dell’apparato burocratico).
Tra il 1740 e 1750 per protestare contro i ricorrenti tentativi di riformare la giustizia nel segno dell’assolutismo
più rigoroso Fraggianni ricorse ai testi dei due francesi e al linguaggio giuspolitico degli atti promulgati dai
parlamenti francesi. Egli metteva in guardia il sovrano contro i “riformatori” che considerava dei veri oppressori
della patria, quindi seguire i loro consigli . e cioè avviare una radicale riforma della giustizia tale da inclinare gli
equilibri del tradizionale ordo juris e dello Stato di giustizia di origine medievale avrebbe non solo offeso la
libertà, ma creato rapidamente le condizioni per una pericolosa “rivoluzione generale”, continuava
dicendo che questi cambiamenti potevano aver senso solo in presenza di un sovrano illegittimo o di un principe
che non avesse altro oggetto che dispotismo e forza come Luigi XIV.
Per Fraggianni il regno era sussistito per due secoli con queste leggi difettose che fossero, quindi la loro
legittimità derivava direttamente dalla storia, dalla tradizione di ogni singola nazione.
La pratica giurisprudenziale dei sacerdotes juris esplicato nei secoli attraverso la scienza juris e
l’interpretatio rivestivano una funzione di garanzia e di tutela degli equilibri politici, impedendo i
dispotismi .
Secondo Fraggianni l’obiettivo dei riformatori era togliere l’amministrazione della giustizia ai togati
riportandola sotto il controllo del re, in questo modo minacciava la libertà dei cittadini.

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A Napoli le tesi costituzionaliste (Fraggianni) erano molto diffuse e condivise tra i togati e in vasti settori
dell’opinione pubblica, esse si scontravano con il nascente partito dei filosofi illuministi (nascita della figura del
“giureconsulto filosofo” tra cui si ricorda Francesco Mario Pagano), che criticavano queste tesi e avevano preso
atto della crisi della Scientia juris .
Il mestiere di giurista inizia ad essere influenzato dai metodi di ricerca delle scienze naturali: da interprete a
scienziato scopritore del comportamento umano; lo studio della “natura delle cose”come fonte primaria del
diritto ridimensionava le fonti del Corpus juris; dalla interpretatio si passava alla demonstration .

La nuova figura del filosofo illuminista venne ulteriormente definito da Filangeri all’interno delle Riflessioni
come cosmopoliti, amatori della libertà civile, individuavano nell’opinione pubblica l’interlocutore principale.
Gli obiettivi principali erano di svelare i meccanismi di potere, educare il popolo anche attraverso l’uso di
opuscoli e libri, e soprattutto intraprendere la riforma della legislazione.
I saperi specialistici e gli interessi corporativi erano da considerare cose del passato

Scontro tra :
Fraggianni: fermo agli insegnamenti di Montesquieu, ribadiva i timori contro l’eccessivo ed inquietante
fervore riformistico
Filangieri : scriveva La scienza della legislazione con l’intento di indicare cosa bisogna fare per realizzare
una società più giusta ed equa. In questo testo affronta i temi delle vicende drammatiche della
rivoluzione americana , la critica radicale dell’antico regime si accompagnava alla descrizione analitica
di un nuovo modo di pensare la legislazione, il potere, la natura stessa delle costituzioni.



La critica del modello costituzionale britannico: la rivoluzione
americana come laboratorio politico

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La Scienza della legislazione reca tracce profonde della rivoluzione Americana : una legislazione capace di creare
una società giusta coniugando la libertà e l’equità , i diritti dell’uomo con lo sviluppo economico e la giustizia
sociale
Tra Filangieri e Benjamin Franklin (intorno al 1780) nacque una profonda amicizia e reciproca ammirazione
cementata da una comune militanza massonica, cessata solo dalla prematura scomparsa di Filangieri nel 1788
(l’ultima lettera di Franklin conteneva una copia della costituzione federale degli Stati Uniti).
Filangieri visse intensamente, soprattutto sul piano intellettuale la rivoluzione delle colonie inglesi, per lui
l’intero equilibrio politico, sociale ed economico mondiale gli sembrava in discussione

Di fronte alla crisi di fine secolo dell’Europa gli Stati Uniti rappresentavano un modello futuro della civiltà
occidentale: gli eredi migliori di un glorioso passato e un laboratorio politico per il futuro.
Un modello in cui vi era la necessità di dare al popolo la distribuzione delle cariche al fine di attuare il
principio democratico, cercando di far coincidere l’inevitabile amore dei singoli per il potere con gli
interessi generali.

L’ammirazione non cessava neppure di fronte al franco dissenso verso la promulgazione di leggi ritenute da lui
sbagliate come la pena di morte prevista per i disertori.
Su un punto Filangieri era assolutamente intransigente nel prendere le distanze dall’esperienza americana: la
schiavitù nella nuova patria degli uomini liberi.
Gli pareva inaccettabile che mentre nella vecchia Europa le leggi si dichiaravano a favore della libertà
dell’uomo.
Le pagine di sdegno restano tra le più belle ed intense mai scritte in quegli anni dagli illuministi contro i “diritti
inviolabili dell’umanità e della ragione”.
Per Filangieri non era solo importante la vittoria di un pugno di uomini contro un gigante oppressore, ma l’inizio
della fine dell’imperialismo britannico e la messa in discussione del brutale colonialismo del vecchio mondo
condotto da secoli con spietatezza nel nome di una civilizzazione iniqua.

Fondamentale fu l’ampiezza dell’informazione e i pregi di un sistema di comunicazione allargato alle elites
urbane e già di tipo internazionale fondato sulle gazzette, che sarebbe divenuto in breve tempo il nucleo
fondamentale del linguaggio politico moderno.

Con la Dichiarazione di Indipendenza il 3 luglio 1776 la gloriosa tradizione repubblicana inglese,
identificata con il modello del governo misto che aveva rappresentato grazie a Montesquieu la bandiera
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dei fautori della libertà, cessava di essere l’orizzonte di riferimento di un largo settore del fronte
progressista.
I nuovi repubblicani radicali, negando l’autorità del parlamento londinese e alimentando la polemica con un
costante riferimento ai diritti dell’uomo e ai ideali illuministici, si accingevano a sperimentare oltreoceano
istituzioni e forme di governo più sensibili alle istanze egualitarie e democratiche.
Con la pubblicazione sulla “Gazzetta Universale” della Dichiarazione di Indipendenza essa si diffuse in tutta la
penisola.

Il testo formulato dal più illuminista tra gli americani Thomas Jefferson citava:
“…..noi riguardiamo come verità evidenti per se stesse che tutti gli uomini sono stati creati uguali , che hanno
ricevuto dal loro creatore certi diritti inalienabili, che nel numero di questi diritti sono la vita, la libertà e la
ricerca della felicità, che per assicurare tali diritti sono stati istituiti governi tra gli uomini e che non traggono il
loro giusto potere fuorchè dal consenso di coloro che son governati, ed ogni volta che una forma di governo
diventa distruttiva di detti fini, il popolo è in diritto di alterarla o di abolirla e d’instituire un nuovo
governo.

Gli americani avevano realizzato il “governo rappresentativo” come unica soluzione possibile per dare
concreta forma istituzionale alla sovranità popolare.

Di pari passo alla critica e al superamento del modello di governo misto inglese nasceva la creazione del
moderno costituzionalismo fatto di testi scritti e deliberati dai congressi delle 13 repubbliche che mettevano in
chiaro la differenza esistente tra carta costituzionale e il governo di una nazione, tra i diritti inalienabili enunciati
nella dichiarazione dei principi del potere legislativo.

Un aspetto del successo dell’opera di Filangieri è dovuto dalla polemica contro il costituzionalismo britannico,
fatto di leggi scritte e consuetudinarie, fondato sul principio del governo misto.
L’analisi di Filangeri dei difetti e delle contraddizioni si articolano in 3 gravi vizi:

    1. la rivendicazione da parte della corona della totale indipendenza del potere esecutivo dal
       parlamento. Questo difetto poteva trovare soluzione separando chiaramente i compiti del potere
       giudiziario dall’esecutivo, in modo da affidare ad organi distinti in funzione di limite e di garanzia.
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    2. la capacità della corona di esercitare una sorta di “doppia influenza” sul parlamento, che
       nascondeva una componente segreta e pericolosa, in grado di distruggere la libertà del popolo senza che
       la costituzione ne venga alterata. Il sovrano poteva comprare i voti dei parlamentari, in quanto era
       “l’unico amministratore delle rendite nazionali”, e anche “il distributore unico di tutte le cariche civili e
       militari”. La storia inglese è piena di esempi di sovrani che avevano manipolato a piacimento il
       parlamento senza scatenare guerre civili. Così avevano fatto intelligentemente Elisabetta e soprattutto
       Enrico VIII. Assai diversa sarebbe stata la sorte di Giacomo II se avesse praticato “l’arte di corrompere
       l’assemblea che rappresenta la sovranità”, e non sfidando sul piano formale il parlamento come
       incautamente fecero Giacomo I e Carlo I. Porre rimedio a questa situazione comportava interventi
       strutturali che coinvolgevano la natura e la stessa composizione del parlamento. Filangieri contestava il
       presunto diritto esclusivo del sovrano inglese a nominare i membri della Camera alta. La Costituzione
       andava riformata per consentire alla Camera dei Comuni di respingere le pressioni della corona e anche
       per arrivare a sostituire “un’assemblea di cittadini ad un congresso di cortigiani”. Ciò comportava una
       revisione dei meccanismi elettorali della rappresentanza popolare, anche per evitare il dilagare della
       corruzione, molto diffuso con Giorgio III.
    3. l’incostanza della costituzione.

Il potere costituente del popolo legislativo, sovrano che in America, attraverso le assemblee legislative, consacra
la nascita del moderno costituzionalismo.
Filangieri tra i primi in Europa iniziò un dibattito sulla natura delle “leggi fondamentali” ( che cosa è una
costituzione? Quale rapporto esiste tra il potere legislativo e le leggi ordinarie? A chi spetta quello che noi oggi
chiamiamo il potere costituente? Può un governo misto dare vita a una costituzione chiara e costante nel
tempo?)

Il caso americano stava dimostrando come fosse possibile a una libera comunità politica, attraverso i suoi
rappresentanti , creare democraticamente una costituzione, arrivando a formulare per la prima volta nella storia,
un documento scritto e sintetico capace di racchiudere i principi fondamentali necessari a regolare la vita di un
popolo.

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Filangieri distingueva nettamente costituzione e governo, fase costituente e fase di governo ordinario, normale
produzione legislativa del parlamento e fase straordinaria.
Per Filangieri : “ la legislazione non deve, né può distruggere la costituzione; deve solo riparare ai suoi difetti, si è
detto che il diritto di alterare le leggi fondamentali che la determinano non si può togliere al congresso senza
distruggere la natura stessa della costituzione.

Emergono le preoccupazioni per garantire la vita politica e parlamentare di una costituzione rigida, intesa
come un “piccolo codice scritto”, sintetico, chiaro, razionale; un testo non solo fondamentale per garantire
l’ordinata vita politica di una nazione, ma capace di fornire garanzie nei confronti del dispotismo. Profondamente
diverso dal costituzionalismo misto e consuetudinario della tradizione britannica, dove la continua fluttuazione
tra i diversi corpi che si dividevano l’autorità (che da Carlo I a Giorgio III aveva causato disordini sociali e
politici), che aveva favorito, secondo Filangieri, le antiche polemiche dei teorici dell’assolutismo contro il
frazionamento della sovranità, e il regno dell’anarchia , della confusione, lo scatenamento della guerra civile e il
dominio del più forte.
Il vecchio modello costituzionale britannico aveva esaurito la sua funzione storica di fronte alle potenzialità
democratiche e libertarie del nuovo repubblicanesimo americano.


Il mostro feudale
Contro Montesquieu e il costituzionalismo cetuale. La denuncia del mostro feudale e della monarchia
temperata.
All’interno dell’opera “scienza della legislazione” era costruita da un lato la critica dell’antico regime europeo, del
suo ingiusto ordine sociale e politico, del suo costituzionalismo corporativo e consuetudinario, dall’altro la
formulazione di precise indicazioni legislative per costruire una società a partire da una legislazione rifondata
sui valori e sui principi dell’illuminismo di fine secolo.


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Mentre Montesquieu ragionava “piuttosto sopra quello che si è fatto, che sopra quello che si dovrebbe fare…”. A
Napoli sia Nicolò Fraggianni che la nobiltà feudale era ricorsa alle pagine del libro “l’esprit des lois” per
rivendicare la legittimità dei propri privilegi.
Dopo la guerra dei “sette anni” la questione feudale non si limitava a questioni politiche e giuridiche ma anche a
tematiche sociali ed economiche. I lavori di Mably, Ferguson, Linguet, Robertson (1765/1769) e Adam Smith
(1766), sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, avevano messo in relazione il sempre più evidente
sottosviluppo e l’arretratezza dell’agricoltura continentale, rispetto all’Inghilterra e alle colonie americane con il
persistere della feudalità.
Filangieri aveva fatto proprie le indicazioni di Smith, e all’interno della “scienza della legislazione” aveva
dedicato alle leggi politiche ed economiche una richiesta di aumento dei piccoli proprietari creando un libero
mercato della terra, e rendendo disponibili i beni ecclesiastici (inalienabili) e trasformando i feudatari in
proprietari. Era necessario per attuare ciò era necessaria la soppressione delle istituzioni cardini della feudalità:
     • primogeniture
     • i fedecommessi (causa delle miserie)

Gli attacchi di Filangieri ai baroni feudali e al ceto togato attraverso “Riflessioni politiche sull’ultima legge del
sovrano che riguarda l’amministrazione della giustizia” scatenò una violenta reazione. Contro di lui si scagliò
anche un letterato Giuseppe Grippa, che rilanciò le teorie costituzionaliste di Montesquieu, che affermava che
era fondamentale la presenza dei corpi intermedi (nobiltà feudale) che garantivano la libertà in Europa,
difendere la monarchia e le leggi fondamentali di antico regime. Per Grippa distruggere le basi economiche della
feudalità significava attentare alla libertà e favorire il dispotismo, quindi il pericolo era la scomparsa della
monarchia lasciando il posto alle violenze e all’anarchia dei governi popolari, e al pericoloso repubblicanesimo
democratico dei piccoli proprietari terrieri.
Filangieri nel 1783 affrontò la questione feudale sul piano giuridico e politico cercando di riflettere sul nesso tra
libertà e uguaglianza, e sulla legittimità del potere dei baroni, con la pubblicazione del terzo volume dedicato alle
leggi criminali.
Il merito di quest’opera stava nella capacità di cogliere i processi storici e politici di un epoca di profonde
trasformazioni, in cui a garantire “equità, libertà e sicurezza” non è più la liberta feudale, bensì l’autorità
legale del monarca: il governo by law che deve succedere al governo by will.
Mostro feudale: per Filangieri oltre che uno ostacolo allo sviluppo economico, era la causa di gravi problemi di
libertà e di giustizia destinati a suscitare una precisa riflessione politica sulla natura del governo monarchico in
antico regime. Diceva che il mostro feudale aveva devastato l’Europa e andava incenerito, perché nei secoli aveva

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dato vita a un governo ingiusto fondato “sulle rovine della libertà civile del popolo, e dei sacri diritti della corona.
Un governo dove dominava la violenza quotidiana, la pratica della disuguaglianza di fronte alla legge e l’arbitrio
più sfacciato nei tribunali”. “la natura non ci ha fatti per essere il trastullo di pochi uomini potenti , ma ci ha
somministrato tutti i mezzi necessari per esseri liberi e felici”

Privilegi della giustizia feudale: al barone era concessa la nomina del magistrato cui spettava fare le indagini e
giudicare sui reati avvenuti nel feudo. In questo modo il magistrato diventava un “miserabile e vile mercenario
del barone” ricattato sul piano economico dal suo datore di lavoro, minacciato dal potere di revoca dell’incarico,
incapace di garantire una giustizia autentica e autonoma.
Filangieri li descriveva senza onore, senza ricchezza, senza lumi, privi della confidenza del popolo e incapaci di
procurarsela, non hanno altro talento se non quello che si richiede per vessare, opprimere, rubare e per favorire
chiunque è potente e calpestare chiunque sia debole.
Il loro compito di amministrare la giustizia per conto del feudatario si fermava a volte alla sola ricerca delle
prove della consapevolezza del reo ottenute con tutti i mezzi, dalla prigione alla tortura; da quel momento
subentrava il barone che trattava con l’incriminato una ricompensa economica in sostituzione della pena, non
meno scandaloso era il privilegio di concedere la grazia ( Filangieri: “questo diritto che appena è compatibile con
la sovranità, questo diritto del quale i re rare volte ne fanno uso per non moltiplicare i delitti con la speranza
dell’impunità; il favorito del feudatario, il complice dei suoi delitti, lo strumento dei suoi attentati è sicuro di
rimanere impunito perché sa che la sua condanna sarà seguita dalla grazia, mentre l’uomo onesto che ha resistito
ai capricci del suo signore , sa di essere perduto se si troverà avvolto nei legami della giustizia e nelle trame di
una violenta ed arbitraria procedura”)

Processo: Esistevano 3 gradi di appello contro una sentenza ritenuta ingiusta.
I primi 2 erano di fronte ad altri giudici ma sempre pagati dal barone, l’appello finale davanti ai tribunali
provinciali del re pareva inventato apposta per scoraggiare ogni volontà di sottrarsi all’ingiustizia dei ministri
dei baroni .
I giudici nominati dal sovrano erano costretti a valutare sulla base dei documenti processuali raccolti in


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precedenza. Nel caso in cui il primo procedimento fosse dichiarato formalmente irregolare il rimedio previsto,
per Filangieri, era il peggiore dei mali, entrava in scena il titolare della pubblica accusa, l’inquisitore del re, con
il compito di istruire il nuovo processo destinato a diventare una sorta di allucinante inferno in terra per coloro
che pensavano di sfuggire alla giustizia feudale.

Per Filangieri l’inquisitore era l’uomo più vile e più ladro della provincia, un subalterno che non solo è pagato dal
governo, ma che paga per poterlo servire; che esercita ignominiosamente un ministero che ricercherebbe molta
onoratezza, ma che è divenuto infamante, insensibile a tutti i sentimenti di pietà, di onore e di giustizia.
Come atto preliminare l’inquisitore ordinava la preventiva carcerazione dei numerosi testimoni, di rei, di
complici. Poi seguiva la ricerca di prove con ogni mezzo per coinvolgere il maggior numero di persone cui
proporre il “mercato”e lo scambio in denaro per uscire indenni dal processo. Si può definire tragico lo scenario
della giustizia dell’antico regime.

Per Filangieri l’obiettivo primario dei “diritti sacri della civile libertà”in un regime monarchico alla
ormai necessaria riforma della giustizia, al superamento dei privilegi cetuali che attribuivano ai corpi
intermedi frammenti fondamentali della sovranità, mascherandone gli interessi corporativi in nome
della difesa delle libertà costituzionali.

Sovranità e distribuzione dei poteri: Dopo Bodin, Hobbed e Rousseau nessuno dubitava più che essa dovesse
essere una e indivisibile. Altra cosa era la distribuzione dei poteri in funzione di garanzia come avevano spiegato
Locke, Bolingbroke e Montesquieu: “in ogni specie di governo l’autorità deve essere bilanciata ma non divisa; le
diverse parti del potere devono essere distribuite ma non distratte”.
Per Filangieri è esemplare è il caso del governo di tipo democratico dove il popolo da se stesso amministra
la sua sovranità, attraverso una costituzione, capace di fissare i limiti e le forme del potere legislativo ed
esecutivo e i compiti dei magistrati e dei pubblici funzionari, questo atto non farebbe altro che distribuire
l’esercizio delle diverse parti del potere, ciò non dividerebbe la sovranità che resterebbe unicamente nel popolo.
Europa dell’antico regime feudale: specie di governo che divide lo Stato in tanti piccoli Stati, la sovranità in
tante piccole sovranità; che smembra dalla corona quelle prerogative che non sono comunicabili, che non
ripartisce l’esercizio dall’autorità, ma divide e aliena il potere stesso, che dà al popolo molti tiranni invece di un
solo re e al re molti ostacoli al fare il bene.
Questa monarchia feudale usurpa i diritti del popolo e del principe, c’è una dipendenza della monarchia senza
l’attività della sua costituzione e le debolezze della repubblica senza la sua libertà.

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Investitura del feudo: Filangieri la definiva una stipulazione solenne con la quale il sovrano dona o vende ad un
privato cittadino e ai suoi discendenti gran parte della sua autorità sopra un’altra porzione di cittadini, i quali
senza il loro consenso, vengono degradati dalla loro politica condizione e condannati a nuove servitù, obbligati a
nuovi doveri, strappati dalla immediata giurisdizione del monarca e trasferiti sotto quella di un uomo che essi
erano nel diritto di considerare come loro uguale.

Il più grande pensatore dell’Europa era Locke, in lui Filangieri traeva gli argomenti contro il diritto di conquista
posto a fondamento dell’assolutismo regio e delle pretese baronali, e il principio della sovranità popolare e della
natura pattizia e consensuale del potere politico tra uomini liberi ed uguali in grado di mettere in dubbio che il
monarca fosse il proprietario assoluto della sovranità.

Per Filangieri anche se l’uso della forza lo abbia fatto salire sul trono senza il consenso del popolo, egli non sarà
mai il sovrano dello Stato ed egli ne sarà il nemico, ed ogni atto della sua sovranità sarà un atto illegittimo, il
popolo è l’unico che possa legittimare l’esercizio nella persona dell’amministratore che noi chiamiamo re.

Sovranità del popolo: la tesi della sovranità del popolo e della figura del re come semplice amministratore era
approfondita nella trattazione dei cosiddetti delitti di lesa maestà in antico regime. Se sacro era il dovere del
cittadino di non attentare mai alla sovranità che non si può violare senza distruggere la società, altra cosa era
l’attacco personale al re.
Nella repubblica romana, dove era chiara la sovranità del popolo, i delitti di lesa maestà erano circoscritti al
sovvertimento delle leggi fondamentali e alla conseguente violazione della “libertà civile”dei cittadini.
Solo con Augusto e con l’impero il germe del dispotismo aveva cominciato ad insinuarsi, dando corpo ad una
estensione arbitraria del numero e della natura dei reati di lesa maestà e confondendo il diritto di critica con
la difesa della sovranità. In antico regime l’alto tradimento veniva considerato ogni tipo di reato contro il re,
non c’era nessuna differenza tra reati d’opinione, la conoscenza di un complotto o la partecipazione ad una
azione sovversiva. L’uso politico del reato di lesa maestà aveva mutato la doverosa difesa della sovranità in
un’arma nella creazione del dispotismo.

La figura del re come amministratore soprattutto a Napoli dopo i tentativi d’inizio secolo di procedere alla
creazione di una monarchia assoluta delineava la futura creazione di una monarchia ben costituita da
contrapporre alla monarchia feudale dove era evidente il dominio della corona, il dispotismo dei baroni e
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l’arbitrio dei magistrati. Con questo progetto sarà rilanciato da tutti i protagonisti del tardo Illuminismo italiano
il tema della libertà civile ( intesa come regno della legalità, stato di diritto e di garanzia per tutti i cittadini,
destinato a sfociare nella richiesta dell’eguaglianza di fronte alla legge).
Quando i cittadini vivono “tranquilli” sotto la protezione delle leggi questa tranquillità è chiamata libertà civile.

Filangieri si apprestava a definire un primo abbozzo di monarchia costituzionale: “si chiama monarchia quel
governo dove regna uno solo, ma con alcune leggi fondamentali.
La natura della monarchia richiede che vi sia tra il monarca e il popolo una classe o un rango intermedio
destinato non ad esercitare alcune delle porzioni di potere, ma a mantenere l’equilibrio e che vi sia un corpo
depositario delle leggi, mediatore tra sudditi e re. I nobili compongono questo rango intermedio e i magistrati il
corpo depositario delle leggi.
Le leggi devono fissare i privilegi e i diritti degli uni e le funzioni degli altri, devono fissare i limiti di ciascuna
autorità nello Stato, devono dichiarare quali siano i veri diritti della corona e quale il ministero dell’individuo che
la porta, devono determinare fin dove debba estendersi il potere legislativo e dove debba cominciare e finire
l’esecutivo. Determinare tutto ciò che riguarda le magistrature”.

Nella monarchia costituzionale costruita per evitare il dispotismo e garantire la libertà civile di tutti i cittadini,
l’unica carica di tipo ereditario era quella del Re. Nessun privilegio del sangue e della nascita era accettabile (nel
caso dei corpi intermedi). Magistrati e nobili dovevano rispondere personalmente del loro potere politico “le
ricompense sono dovute alle azioni, le cariche al talento e al merito di esercitarle”.
Differenza tra Filangieri e Montesquieu:
Montesquieu parla di “monarchia temperata”, essa era interna alla logica di antico regime, “senza nobiltà di
sangue non esisteva la monarchia stessa, abolire in una monarchia le prerogative dei signori, del clero e della
nobiltà si avrebbe uno Stato popolare o meglio uno Stato dispotico”.
Filangeri: parla di "monarchia ben costituita”. Filangeri rivolgeva ai baroni l’appello ad accettare la
trasformazione dei feudi in libere proprietà private, contribuendo in tal modo allo sviluppo dell’agricoltura
nazionale, all’accumulo delle ricchezze, alla creazione di un vero mercato fondiario, divenendo finalmente una
vera élite naturale rispettata da tutti. Faceva un’attenta riflessione sui magistrati che non dovevano arbitrare

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sulle leggi ; operando in questo modo la magistratura avrebbe ricoperto un ruolo allo stesso tempo di garanzia
costituzionale e di equilibrio dei poteri.
La legittimità del potere veniva sempre dal basso.

Filangieri era un pensatore repubblicano e radicale, condannato a operare in un contesto storico dominato dalla
crisi dell’antico regime e in una Napoli dove le riforme avevano nemici ovunque.
Non bisogna trarre in inganno gli elogi a Federico II e alla grande Caterina per aver avviato riforme legislative è
evidente l’orrore del giovane filosofo napoletano per le figure di despoti come Giuseppe II.
Il dispotismo inteso come espressione di un che si poneva al di sopra delle leggi liberamente accettate da una
comunità politica, restava pur sempre il vero polo negativo.

Filangieri fu il massimo rappresentante del nuovo repubblicanesimo del tardo Illuminismo, sensibile
alla difesa dei diritti dell’uomo e all’affermazione di un preciso progetto costituzionale.
Era fondamentale come si esercitava l’autorità, il rispetto decisivo da parte del potere delle garanzie
della legge: la salvaguardia, prima di ogni cosa della libertà civile e dei diritti dei singoli cittadini.
Benché fosse evidente la simpatia verso l’esperimento democratico americano credeva che ogni forma di
governo avesse vantaggi e svantaggi, quindi non sempre una repubblica democratica poteva garantire meglio i
diritti dell’uomo, la cittadinanza e lo stato di diritto rispetto ad una monarchia costituzionale.
“in ogni società ci sono due forze: una fisica (l’uomo) e una morale (governo).
Il vantaggio di una “monarchia ben costituita”: “…è che la forza morale si trova combinata con la minore
quantità di forza fisica. Nella democrazia la forza morale è unita alla massima forza fisica”.

La monarchia ben costituita poteva rappresentare il vantaggio di una maggiore certezza nel rispetto della legge e
della libertà civile dei cittadini qualora si fosse approdata a una costituzione scritta e costante all’americana.
Restava pur sempre il problema della partecipazione dei cittadini al potere legislativo e alla formazione della
volontà politica. Filangieri ed altri illuministi affidavano l’esercizio della sovranità popolare all’opinione
pubblica.


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Per poter realizzarsi necessitavano 2 condizioni a cui Filangeri dedicò il quarto volume della Scienza della
legislazione :
     • istruzione e educazione pubblica del popolo : necessitava di un diretto impegno del governo e
         doveva coinvolgere il maggior numero di individui, allargandosi a tutti i ceti sociali, nelle forme e nei
         modi più appropriati alla condizione di appartenenza dei soggetti.
     • garanzia della libertà di stampa : si fondava sul presupposto illuministico (Kant) che l’uso pubblico e
         critico della ragione in ogni campo rappresentava uno strumento per il progresso e l’emancipazione
         dell’umanità.

La Scienza della Legislazione ebbe in Italia e all’estero un successo straordinario a fine secolo e divenne il
manifesto del pensiero politico del tardo Illuminismo europeo, colpiva tra l’altro la forte e dichiarata polemica
con Montesquieu, uno dei personaggi chiave del dibattito giuspolitico europeo del Settecento.
Però accanto alle critiche Filangeri aveva per Montesquieu pubblici e sinceri riconoscimenti (“… questo tratto di
gratitudine è un tributo che io offro ad un uomo che ha pensato prima di me e con i suoi errori mi ha istruito e
mi ha insegnato la strada per trovare la verità”).


MONTESQUIEU                                               FILANGERI
Indagare sulle garanzie di libertà nel mondo moderno      Individuare un nuovo ordine giuridico capace di dar
                                                          vita ad una società più giusta ed equa che metteva al
                                                          primo posto i diritti dell’uomo
Prima metà del Settecento, in cui prevaleva la            Tardo Illuminismo la crisi del meccanicismo fisico-
razionalità di tipo meccanicistico, cartesiano e          matematico di tipo galileiano e newtoniano, il
newtoniano che mutava dall’immagine di un ordine          trasformismo delle specie animali, la scoperta della
naturale fisso ed immobile il modello per comprendere     dimensione storica della natura, la definizione su cosa
anche l’ordine politico-sociale: l’universo-macchina      si dovesse intendere per scienza avevano incrinato la
con le sue ferree leggi matematiche serviva alla          precedente razionalità e di conseguenza anche l’ordine
comprensione razionale delle immutabili leggi sociali e   pubblico e sociale pareva suscettibile di cambiamenti.
delle scienze umane.
Percepiva la realtà come un soggetto dato e definitivo    Mirava ad individuare le regole e i principi di una
le cui leggi eterne e razionali andavano indagate e       futura legislazione universale e cosmopolita, piuttosto
comprese in termini sociologici e storici.                che studiare lo spirito e la natura delle leggi in quanto
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Era poco utile interrogarsi sul concetto di società       tali.
giusta, sull’importanza di elaborare una legislazione
che assumesse come valori fondativi ultimi la giustizia   Punti di riferimento società civile, diritti dell’uomo e
e i diritti dell’uomo.                                    giustizia.
Per lui la storia e la natura avevano prodotto certi
rapporti di forze e creato situazioni di dominio.         Sensibilità per argomenti come la natura del potere
                                                          costituente, il complesso rapporto tra sovranità
Poco interesse per l’analisi dei meccanismi del           popolare e costituzione.
mutamento delle costituzioni e del potere costituente.    Presenza di una costituzione scritta e sintetica di
                                                          principi e di leggi fondamentali sul modello americano,
                                                          il suo interesse per questioni che noi oggi chiamiamo la
                                                          verifica di costituzionalità delle leggi ordinarie.

La legge rappresentava per Filangieri il mezzo per garantire la libertà civile e i diritti dell’uomo in una società
giusta ed equa, ma rimane uno strumento fortemente condizionato dal contesto storico, la cui forma era
mutevole e revocabile nel tempo della volontà politica.
Una perfetta legislazione non era mai esistita e probabilmente non sarebbe mai esistito, tuttavia i diritti
fondamentali dell’uomo erano un punto fermo per costruire legislazioni a favore dell’emancipazione umana.

Filangieri proponeva la creazione di un nuovo potere costituente capace di produrre una “pacifica rivoluzione”.
Formulò la proposta di ricorrere alla creazione di una nuova magistratura : il censore delle leggi.
Questa magistratura aveva il compito di segnalare al legislatore quando una legge cominciava ad essere
“in contraddizione coi costumi, col genio, con la religione”.
Doveva garantire l’omogeneità e l’efficienza dell’intero corpus legislativo.
I censori avevano il compito di indicare la corretta interpretazione dei provvedimenti legislativi rispetto
alle leggi fondamentali ed eventualmente proporne la eliminazione
I poteri reali dei censori erano volutamente limitati : essi non potevano concretamente abrogare nessuna legge,


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la loro funzione è consultiva, per non ledere la principale funzione della facoltà legislativa




La costruzione del nuovo costituzionalismo: sciabilità massonica ed
eguaglianza

Bisogna ricordare che la Scienza della Legislazione fu scritta in un periodo particolare nella storia del moderno
costituzionalismo occidentale: tra due rivoluzioni, quella americana e quella francese; in un’epoca di crisi, di
transizione e di rapidi mutamenti.
Con le sue riflessioni Filangieri contribuiva a chiarire de finitamente il senso moderno di “piccolo codice a parte
delle vere leggi fondamentali”.
Filangieri come Rousseau nel Contratto sociale e i rivoluzionari americani, preferiva sottolineare il carattere
artificiale e volontario, politico prima che storico e giuridico, dell’elaborazione di una costituzione.
Egli era convinto che il ricorso della corporazione dei magistrati e degli aristocratici di sangue seguaci del
costituzionalismo dell’antico regime minava alle fondamenta tutta la sua idea di una nuova scienza della
legislazione da fondare ex novo sulla base dei diritti dell’uomo e dei nuovi principi illuministici.
All’uso più ampio della parola costituzione, come regolamento e forma di governo di un corpo politico
naturalmente sviluppatosi nel tempo, egli anteponeva l’uso legale del termine, inteso come legge scritta da
contrapporre al primato dei costumi e delle consuetudini. Questo uso si era affermato a partire dalla metà del
XVI secolo nell’ambito del diritto canonico per indicare le leggi della Chiesa, degli ordini religiosi e, prima
ancora, come tramite per la stesura degli antichi statuti comunali in età medievale.
In antico regime i due usi parevano il più delle volte confondersi in definizioni generiche, come quella formulata
da Bolingbroke nel 1727, nella celebre opera “the British Constitution: Or, the Fundamental Form of Government
in Britain” che tanto influenzò Montesquieu , oppure nella definizione di Vattel che diceva “chi formula la
Costituzione dello Stato non era altro che il regolamento fondamentale che determina la maniera in cui deve
essere esercitata” (pur precisando la differenza tra potere legislativo, forma di governo e Costituzione, non
scioglieva i dubbi sulla forma e natura di quest’ultima).
Solo le vicende americane erano in grado di imporre una svolta decisiva e i contenuti del moderno pensiero
costituzionale.
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Fondamentale fu per Filangieri quanto avveniva in America, ma anche la lunga militanza nell’ordine massonico.
Alla fine del 700 nelle logge napoletane erano presenti tutti i massimi esponenti della Repubblica letteraria, gran
parte del ceto dirigente e delle élites urbane della Capitale. Il fenomeno era catalizzatore una peculiare cultura
illuministica in cui si mescolavano, rinnovandosi, sia gli antichi ideali del giusnaturalismo, sia la volontà di
riforma politico sociale dei nuovi lumi, sia l’ideologia del progresso del movimento scientifico, dando vita ad una
sensibilità religiosa del tutto nuova (rifletteva in modo diverso il rapporto tra morale e politica).
Filangieri (“novello Filandro” dato dal suo istitutore monsignor Luca Nicola De Luca) sperimento, attraverso
l’esperienza di massone, la nascita di una religione dell’umanità. Le logge gli apparvero uno straordinario
laboratorio politico, che prefigurava nel segreto delle sue pratiche, formalmente aperte a chiunque, un nuovo
ordine sociale rispetto alle tradizionali logiche “cetuali” e corporative dell’antico regime, trasformando i sudditi
in cittadini liberi ed eguali.
I massoni con il giuramento attribuivano un carattere sacrale di legge ai loro regolamenti, attraverso cui queste
società private si reggevano e governavano costituzionalmente.
Lo “spirito repubblicano” presente nelle logge conobbe una fase nuova grazie agli scritti di Jonh Locke e di James
Anderson (Constitution of the Free-Mason, 1727).
La traduzione di Locke in francese, ad opera di David Mazel, diffusa attraverso la loggia di Amsterdam (bien
Aimée), forzava volutamente in senso radicale del pensiero e contribuiva ad avviare un ripensamento critico del
vecchio repubblicanesimo classico, rielaborato in Italia nell’età di Macchiavelli.

Negli anni ’70 il fenomeno di politicizzazione della massoneria europea, si accompagnava sia alla riflessione sugli
esiti della guerra dei Sette anni, che aveva cambiato gli equilibri europei ponendo all’attenzione modelli
istituzionali e culturali di potenze inattese come Russia e Prussia, e alla meditazione della crisi del modello
costituzionale britannico.
Nel continente nella massoneria templare (della Stretta Osservanza) la lettura di critica al dispotismo, di cui
“Della Tirannide” di Vittorio Alfieri, aveva fatto nascere il desiderio di fondare uno Stato massonico, una terra
libera costituzionalmente governata da leggi scritte (come quelle dei regolamenti massonici).
“la Libertas Americae” doveva diventare lo stimolo contro il dispotismo in Europa, solo Lessing nel 1778, nei


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“dialoghi” in cui ebbe il coraggio di ironizzare sui fratelli che “in Europa combattono per gli Americani”, tuttavia il
nuovo mito americano scatenava sogni e passioni sociali.
Richard Price e Paine erano impegnati al servizio della Rivoluzione Americana. Paine era impegnato nella loggia
parigina “Neuf Soeurs”, con cui Filangieri, Franklin, Jean-Antoine Gauvin Gallois (traduttore francese de la
scienza della legislazione) avevano relazioni. Questa loggia aveva anche contatti con i due “venerabili” Charles
Dupaty e Claude Pastoret che furono decisivi negli anni prima della rivoluzione del 1789.
La fusione tra il mondo illuministico e la vita intellettuale del mondo delle logge, due mondi dalle origini diverse
e che per molto tempo si erano ignorate portò a maturazione, in particolare a Napoli, molti temi presenti nella
Scienza della Legislazione, tra cui l’uguaglianza; fu proprio la massoneria ad innescare il dibattito settecentesco
sull’argomento, come risulta da documenti e testimonianze delle logge.
Nei cerimoniali d’iniziazione e nelle riunioni: era prassi comune ricordare agli apprendisti che tutti i fratelli
erano uguali. Unica distinzione ammessa era in funzione della virtù e del talento, non certo della nascita.
Dall’esterno ci furono relazioni preparate dalle autonomie ecclesiastiche per denunciare e processare le attività
segrete dei fratelli.
Accanto a quelle che potremmo definire le pratiche egualitarie delle logge si sviluppò a Napoli una riflessione
teorica che non si limitava a riassumere le tradizionali posizioni di Platone, Aristotele, Cicerone, dello stoicismo e
del cristianesimo primitivo, sino alle più recenti interpretazioni rinascimentali e dei pensatori della Riforma.
Antonio Genovesi ( titolare della cattedra di etica all’Università napoletana nel 1745, e maestro di
Filangieri) nella Diceosina o sia della filosofia del giusto e dell’onesto tirava le fila sulla secolare discussione
sui caratteri e forme dell’eguaglianza, rilanciando per intero le riflessioni di Aristotele (che in “Politica” spiegava
che a seconda del contesto storico e delle necessità del momento, era necessario servirsi ora dell’eguaglianza
numerica ora di quella basata sul merito; il problema nasceva dalla constatazione sviluppata nell’”Etica
Nicomachea” in cui “ tutti concordano che nelle ripartizioni vi debba essere il giusto secondo il merito, però i
democratici lo vedono nella libertà, gli oligarchici nella ricchezza o nella nobiltà di nascita, gli aristocratici nella
virtù. Quindi il giusto è in un certo senso una proporzione.
In Politica “ la giustizia , nella concezione democratica, consiste nell’eguaglianza secondo cui il numero e non
secondo il merito, con la conseguenza che la folla sarà sovrana e che fine della città e giusto sarà quello che sarà
parso ai più.”
Genovese per i suoi scolari riassumeva che:”… l’Egualità tra due cose può aversi o nel numero, o nel peso, o nella
misura, o nella stima”.
Nei primi casi si parla di un’eguaglianza aritmetica: in cui veniva privilegiato il principio d’identità, cioè
dando lo stesso a tutti. Ben più importante gli pareva l’eguaglianza di stima (in greco significava una forma di

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eguaglianza equa tra i diversi che invece dava lo stesso solo agli stessi): come la chiamava Aristotele egualità di
proporzione, vale a dire che quel “che mi dai stia ai miei bisogni come sta ai tuoi quel che ti do io”.
Questo secondo tipo era un modo più equo che rispecchiava meglio la realtà sociale o l’oggettiva differenza tra gli
individui.
Per Genovesi l’equalità perfetta tra quello che si dà e quello che si riceve, questa egualità si chiama
giustizia equità, cioè uguaglianza.

Nelle logge inglesi, il principio di eguaglianza di stima dominò la vita interna ridefinendo fin dal principio le
tradizionali gerarchie sociali, nobili, ricchi borghesi, esponenti delle professioni,, mercanti impararono a
convivere e a praticare nel segreto delle logge i principi della cittadinanza egualitaria garantita dalle
costituzioni.
L’identità massonica stava nella convinzione che il merito non è con la nascita, questo doveva costituire
l’elemento fondamentale dell’ordinamento sociale e politico.

A Napoli, in un contesto storico che vedeva per la prima volta l’avvento di una grande monarchia nazionale
decisa a riplasmare, attraverso l’assolutismo, il vecchio ordine sociale, molti esponenti della più antica nobiltà di
sangue entrarono nelle logge, assumendone il più delle volte il comando e la direzione intellettuale, con la
speranza di rilanciare la loro storica funzione politica ai vertici della società. Fautori di una inedita “vera nobiltà”,
di una “nobiltà virtuosa”,che rafforzava e accompagnava il decoro delle origini con la pratica della virtù civica,
essi fecero pubblicamente propri i principi di competenza, della professionalità e del talento.
Da ricordare il principe di Sansevero che aveva la direzione dell’intero movimento massonico del mezzogiorno,
in quanto all’inizio era ancora presente sullo stesso piano l’importanza dei natali illustri con la fama di uomo
virtuoso e sapiente, dopo pochi decenni però il merito e la virtù scalzarono definitivamente il primato di sangue.
Alla fine del secolo, proprio all’interno della massoneria sarebbe partita la battaglia finale contro i diritti di
sangue, il principio di ereditarietà e dei privilegi feudali a opera di aristocratici come Filangieri.

La storia dell’eguaglianza nel Settecento conobbe il suo momento decisivo con la pubblicazione delle opere di


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Jean- Jacques Rousseau che costituivano una sfida frontale e decisiva per la stessa identità profonda dei
massoni. Le famose riflessioni sulla storia della disuguaglianza come segno del moderno male sociale
storicamente espresso attraverso l’inarrestabile intreccio tra le prime forme di divisione del lavoro, la nascita del
mio e del tuo, lo sviluppo delle scienze e delle arti, del commercio e delle ricchezze, e quindi del lusso, che
comportava inevitabile corruzione, il crescente disagio umano verso una civiltà delle apparenze in cui
dominatori e dominati mostravano di aver perso per sempre la loro primitiva umanità di uomini liberi, autonomi
ed eguali, suonavano come aperta e clamorosa condanna della civiltà dell’Occidente.
La corrosiva ed affascinante critica della modernità da parte del ginevrino rivela impietosamente le
contraddizioni e il volto oscuro di un progresso economico e materiale che stava mutando l’originaria
essenza umana della persona, dal buon selvaggio all’infelice e alienato borghese dei grandi agglomerati
urbani europei (una forza misteriosa sembrava all’opera per negare dalle fondamenta la politicità dell’uomo,
quel suo essere, come spiegava Aristotele, “zoon politikòn” : individuo naturalmente dotato di volontà e di
possibilità di scelta ).
Con Rousseau il repubblicanesimo degli antichi riappariva sulla storia armato di nuove e più potenti
argomentazioni filosofiche.
Laddove Montesquieu, nell’Esprit des lois indicava nel regime misto inglese e nella costituzione della Gran
Bretagna l’unica forma moderna del repubblicanesimo, Rousseau parlava di democrazia diretta, rivisitata
alla luce della volontà generale e del governo legittimo, il nesso tra ricchezza e corruzione, la denuncia
del talento come fonte di disuguaglianza e freno al diffondersi delle virtù civiche, la critica della
rappresentanza politica e del lusso corruttore dei costumi civici.
Questo destava inquietudine in ogni settore della vita politica ed intellettuale del continenti, soprattutto tra i
philosophes, che misero al bando sia il discorso sulle scienze e sulle arti sia quello tra le disuguaglianze tra gli
uomini con l’accusa di aver ceduto al primitivismo e di aver elaborato come scrisse perfidamente Voltaire: “la
filosofia di un pezzente che vorrebbe che i ricchi fossero derubati dai poveri…””…a leggere il vostro libro viene
voglia di camminare a quattro zampe”.

In Italia da Nord a Sud furono pronunciate parole sprezzanti contro i velenosi scritti del ginevrino che mettevano
in dubbio decenni di sforzi da parte dei protagonisti della Repubblica letteraria volti a promuovere lo sviluppo
economico e sociale della penisola proprio attraverso la diffusione delle scienze e delle arti e del commercio. Da
Antonio Genovesi a Isidoro Bianchi, da Gianrinaldo Carli a Pietro Verri, l’Illuminismo italiano fece muro
contro quelle critiche verso la modernità che invece trovavano subito orecchie attente e sensibili nel mondo
cattolico.

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Ma fu soprattutto nelle logge che prese corpo una forte reazione, e non poteva essere diversamente se si esamina
con attenzione la filosofia della storia enunciata sin dalle prime Constitution di Anderson.
La conoscenza in tutte le sue forme: dalla geometria all’architettura, dalla vecchia alchimia alla nuova chimica, lo
sviluppo delle nuove scienze naturali e delle moderne professioni costituiva la rigenerazione dell’uomo e della
scienza massonica.
Verso questa precisa scelta di campo si erano indirizzati i contributi di fratelli autorevoli e Gran maestri
dell’ordine: Desaguliers (newtoniano), Ramsay (fautore dell’enciclopedismo settecentesco), Franklin
( padre dell’elettricismo).
La stessa logica egualitaria dei massoni, ridefinita a partire dalla stima, dal merito e del talento era messa in
discussione dai paradossi rousseauiani. Nelle logge la nuova gerarchia che si legittimava sulla base del talento, i
numerosi “frères à talens”che lavoravano nel teatro, nella musica, nella letteratura, nella pittura, non amavano
certo il rozzo primitivismo teorizzato dai seguaci dal ginevrino, diffidenti verso ogni forma di genio e di possibile
differenziazione sociale.
La risposta più organica all’egualitarismo e al repubblicanesimo degli antichi, nuovamente messo in campo da
Rousseau, venne dalle logge napoletane e soprattutto da Francescantonio Grimaldi .
Francesco Grimaldi era un raffinato studioso, Venerabile maestro della loggia “L’humanitè”, pubblicò nel 1779
tre volumi, dal titolo Riflessioni sopra l’ineguaglianza tra gli uomini ( che per intelligenza e cultura sarebbe
potuto diventare uno dei testi chiave del pensiero politico europeo, ma era un testo molto lungo) in cui poneva in
termini del tutto originale la questione delle origini e delle cause della disuguaglianza, rovesciando le tesi di
Rousseau, con un risultato non meno inquietante delle ipotesi confutate.
Grimaldi voleva rifondare per la prima volta in Italia le stesse basi teoriche della riflessione politica dei
contemporanei: “il Teatrise on Human Nature”di Hume, il crudo realismo del “Principe” di Macchiavelli
costituivano le stelle polari di una scienza empirica della politica decisa a operare su fatti concreti, studiando
sulla base di apporti di discipline come la medicina, l’anatomia comparata, la fisiologia, la chimica, l’etnologia, la
statistica, “l’essenza morale, fisica e politica della scienza umana”, in modo realistico e non con i modi
moderni di alcuni filosofi della politica in vena di utopie, in quanto bisogna considerare gli uomini per
quello che sono e non come potrebbero o dovrebbero essere.


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Con questo spirito scientifico Grimaldi procedeva a quella che noi definiremmo la “falsificazione” delle ipotesi di
Rousseau circa “l’uguaglianza che la natura ha messo fra gli uomini e sulla disuguaglianza che essi hanno
istituita” mediante la nascita della moderna società civile.

RUOSSEAU                                                    GRIMALDI
Aveva ipotizzato l’esistenza di un uno “stato natura”       Polemizzava contro la rappresentazione della
dove individui isolati, indipendenti, liberi, eguali e      disuguaglianza e si rallegrava del fatto che l’ipotesi
felici come potevano essere solo gli uomini senza           dello“stato di natura”avesse finalmente subito recenti e
bisogni e senza contatti con i propri simili, vivevano      dure smentite ad opera di Voltaire e degli illuministi
privi dell’angoscia del tempo e quindi della morte, cui     scozzesi.
era subentrata per “cause esterne” dovute alle scoperte     Però bisognava provare scientificamente che lo stato
della metallurgia e dell’agricoltura, alla divisione del    di naturale dell’uomo è la società e che l’uomo più
lavoro e all’appropriazione del suolo, una nuova età        colto, più scienziato, più distinto nella società civile
contraddistinta dalla disuguaglianza morale.                nono è che un essere che sente, pensa, vuole com’è
Quest’ultima era il frutto negativo delle convenzioni, di   il selvaggio più stupido e brutale.
una società civile governata dalla legge dell’apparire e    Da sempre esiste la disuguaglianza fisica tra gli uomini,
del mascheramento, del dominio di pochi su molti.           ed è provata da una sterminata letteratura scientifica,
Se nello “stato natura” la disuguaglianza fisica tra        che si porta appresso una disuguaglianza morale.
individuo ed individuo era “appena sensibile”, nella        La vera storia della disuguaglianza va definita come
società moderna creata dallo sviluppo economico, dalle      una complessa miscela tra le potenzialità fisiologiche
ricchezze,    l’apparizione     della    “disuguaglianza    di ogni individuo e i condizionamenti che subiva da
morale”aveva cambiato tutto procurando infelicità ed        parte del clima, dell’ambiente, della storia e della
alienazione all’interno di una logica evolutiva perversa    cultura delle nazioni a cui apparteneva.
sino al raggiungimento della fase ultima e drammatica       L’uomo era sempre stato lo stesso, un misto di natura e
del dispotismo, quando paradossalmente, l’umanità           storia dove regnava la diversità.
tornava al punto di partenza tutti di nuovo eguali,         La disuguaglianza era il destino dell’uomo.
questa volta non per legge di natura, ma per volontà di     Una società senza gerarchie non era mai esistita e mai
un uomo solo.                                               sembrava poter esistere.

Una delle poche prove portate da Rousseau fu l’uso: del     Disuguaglianza rivista partendo dalle opere di
selvaggio, descritto nella letteratura dei viaggiatori,     scienziati, di Macchiavelli e di Vico.
come mito e buono, e indicato come una testimonianza        Ne risultava una radicalizzazione di stampo
vivente di una fase evolutiva intermedia tra uomo           conservatore delle tesi illuministiche a favore della
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primitivo e uomo sociale.                                   moderna società civile.

                                                            L’analisi scientifica di Grimaldi si concentrava sulle
                                                            società dei selvaggi e sulle indicazioni da trarre sui
                                                            testi dei viaggiatori. Il buon selvaggio diventava un
                                                            essere abietto, cattivo, violento, sanguinario, come
                                                            realmente appariva a molti esploratori, la
                                                            disuguaglianza fisica, la forza e la violenza degli
                                                            individui predominavano sulla disuguaglianza morale,
                                                            lasciando campo libero all’istinto della specie, al
                                                            bisogno di sussistere, agli aspetti più animaleschi e
                                                            ripugnanti dell’umanità.

Per Grimaldi le assurde pretese di eguaglianza politica avevano prodotto solo sanguinose “rivoluzioni politiche”
e nuovi dispotismi: l’ingloriosa fine dei “livellatori inglesi”, lo strazio di Masaniello, e la ferocia mostrata dei
lazzaroni napoletani nulla aveva insegnato agli utopisti sognatori di improbabili repubbliche fondate sulla
comunità dei beni o sul mito dell’uguaglianza naturale degli uomini.
Grimaldi guardava con preoccupazione la nuova rivoluzione dei coloni americani, con le speranze di “palingenesi
sociale”, un segnale allarmante gli era parso la rivendicazione voluta da Jefferson nella Dichiarazione di
Indipendenza circa il “diritto di essere felice”.
Questa richiesta posta tra i diritti naturali dell’uomo gli pareva priva di senso e molto pericolosa, come in genere
tutta la recente retorica giusnaturalistica dei diritti dell’uomo che tanto piacevano agli allievi di Antonio
Genovesi, suoi fratelli nelle logge di rito inglese (che dicevano che “Quando fosse vero che la natura ci desse un
diritto alla felicità, ci dovrebbe dare una forza fisica o morale corrispondente al desiderio di conseguirla; invece
Grimaldi ribadiva che alcuni uomini mostravano di avere questa forza fisica e morale).

Con le Riflessioni di Grimaldi l’Illuminismo italiano trovava la prima importante lettura moderata e conservatrice,


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capace di integrare le ragioni politiche e giuridiche del costituzionalismo cetuale di Montesquieu con una
orgogliosa rivendicazione della disuguaglianza morale e politica delle èlites: le vere protagoniste della nascita in
Occidente della moderna società civile.
Al di là di alcune specifiche questioni Filangieri non condivideva quasi nulla delle tesi di Rousseau né di
Grimaldi.

Come Grimaldi e tutti gli illuministi italiani, anche Filangieri contestava apertamente i paradossi del grande
ginevrino contro la modernità ed a favore del mito del buon selvaggio.
Analizzando le “origini delle società civili”, egli confutava l’ipotesi di uno stato di natura prima dell’avvento della
società civile in cui vivevano felici, liberi e indipendenti i primi uomini. A suo parere il selvaggio andava
considerato alla stregua di un “uomo degenerato, un uomo che vive contro il suo istinto, contro la sua
destinazione; in poche parole la rovina, la degradazione della specie umana piuttosto che il simulacro della sua
infanzia.




FILANGIERI
LE “ORIGINI DELLA SOCIETA’ CIVILE” cioè prima dell’avvento della società civile era una società nella quale non
si conosceva altra disuguaglianza che quella che nasceva dalla forza e dalla robustezza . Questa era una società i
cui membri non avevano ancora rinunciato alla loro naturale indipendenza, non avevano ancora depositato la
loro forza tra le mani di uno o più uomini, non avevano ancora affidato a questi la custodia dei loro diritti, non
avevano ancora messo sotto la protezione delle leggi la loro vita, la loro roba il loro onore.
Questa è una società nella quale ciascuno era sovrano perché indipendente, magistrato perché custode ed
interprete della legge che portava scolpita nel cuore, giudice perché arbitro dei litigi che nascevano tra lui e gli
altri.

Filangieri sottolineava l’assenza di ogni forma di disuguaglianza morale in questa fase della vita dell’uomo.
In polemica con Grimaldi rilanciava l’eguaglianza morale di tutti gli uomini in ogni stadio dell’evoluzione
della specie, facendone la chiave di volta della sua interpretazione del patto sociale.


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La disuguaglianza di forza non si poteva estirpare da queste primitive società , con il tempo e lo sviluppo delle
passioni avrebbe prodotto disordini.
L’eguaglianza morale, non potendo reggere a fronte della disuguaglianza fisica, doveva soccombere sotto la
preponderanza della forza.
L’uomo più debole era esposto ai capricci del più forte. Bisognava porvi un rimedio. L’unico rimedio e che dato
che non si poteva distruggere la disuguaglianza fisica senza rinunciare all’eguaglianza morale. Per essere
tranquilli bisognava non essere indipendenti. Era fondamentale creare una forza pubblica che fosse superiore ad
ogni forza privata. Questa forza pubblica si doveva comporre dall’aggregato di tutte le forze private. Era
necessaria la presenza di una persona morale che rappresentasse tutte le volontà, che avesse tra le mani tutte
queste forze.
Era fondamentale che questa forza pubblica doveva essere unita a una ragione pubblica, la quale doveva
fissare i diritti, regolare i doveri, mantenere l’equilibrio tra i bisogni di ogni cittadino con i mezzi per
soddisfarli, che compensasse il sacrificio dell’indipendenza e della libertà naturale con l’acquisto di tutti
gli strumenti propri per ottenere la conservazione e la tranquillità

La società civile nasceva per garantire l’esistenza stessa dell’eguaglianza morale.
Per questo il capovolgimento delle idee di Grimaldi era netto, ma anche la presa di distanza da Rousseau che
vedeva nella modernità il male e la fonte della disuguaglianza morale.

Filangieri dopo la lettura del secondo trattato sul governo civile di Locke, ripercorreva la questione
dell’eguaglianza, adattando alla polemica continentale e italiana il linguaggio e le soluzioni del filosofo britannico.
La rappresentazione di uno stato naturale, dove uomini liberi, eguali e indipendenti davano vita, proposta da
Grimaldi.
Il mantenimento nella società civile dei caratteri fondamentali dell’originaria “eguaglianza morale”, di cui parlava
Locke, prendeva il posto della disuguaglianza morale di Rousseau.

Per Filangieri l’uguaglianza morale era l’uguaglianza dei diritti

Filandieri indicava nel modello repubblicano delle colonie americane l’autentica speranza di un avvenire
migliore, quel popolo libero e commerciante stava sperimentando il tentativo di coniugare ricchezza e virtù
attraverso la formulazione di una costituzione rispettosa dei diritti dell’uomo.
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La ricchezza in sé non era più il male assoluto.
Per Filangieri le ricchezze nel mondo antico derivavano dalle guerre mentre nel Settecento (anche per Grimaldi e
gli illuministi scozzesi) la produzione di ricchezza si fondava sul lavoro quotidiano, sul progresso scientifico e
sulla crescita delle economie nazionali senza ricorrere alla violenza.



Per Filangieri :
    1. il principio che la ricchezza corrompe un popolo solo quando essa è ingiustamente ripartita
    2. un popolo ricco poteva non solo aver più facilmente accesso alla felicità, soddisfacendo i bisogni
         materiali, ma anche nella pratica delle virtù, poiché vivere virtuosamente rendeva felici e la ricchezza
         consentiva di accedere più facilmente alla felicità (attraverso donazioni ad ospedali, accademie e
         università).

La causa della corruzione non deriva dallo sviluppo ma dall’accesso di pochi e l’eccesso della miseria di
molti.


La personale riflessione di Filangieri sull’eguaglianza della ricchezza poteva avvenire solo con la nascita di una
repubblica e non attraverso il rilancio anacronistico e impraticabile molto lontane dalle sue proposte
costituzionali e legislative di tipo comunista della “Repubblica” di Platone o con il ricorso alle leggi agrarie
dell’Antica Roma imponendo con la violenza “l’eguaglianza precisa delle fortune e dei fondi.
Però lo sviluppo aveva messo in atto un processo irreversibile, da qui la conclusione che non fosse possibile
ottenere una precisa eguaglianza nelle famiglie di uno stato.
Tuttavia ciò non impediva di adottare una politica costituzionale e di garantire le condizioni sociali necessarie
alla pratica delle virtù civili, intese come libera partecipazione alla vita della comunità.
Filandieri affermava che non era necessario che i cittadini siano ugualmente ricchi, ma che le ricchezze siano
equabilmente diffuse.

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Quindi bisognava unire realismo all’utopia, andare oltre l’eguaglianza dei diritti civili e politici di cui parlava
Locke nel suo Secondo trattato sul governo, bisognava allargarle alle tematiche sociali ed economiche.
Bisognava distinguere quando era necessario il concetto di eguaglianza come equità (nel campo sociale ed
economico) dal concetto di eguaglianza aritmetica ( nel campo politico e civile).
Filangieri era consapevole che gli uomini non erano mai stati eguali e mai lo sarebbero stati se non creando, con
la forza e la violenza, situazioni di palese ingiustizia.
L’unica politica realmente possibile era quella di combattere gli eccessi della disuguaglianza, riducendone la
presenza e gli effetti.

Grimaldi (realismo politico) predicava la rassegnata accettazione delle naturali differenze in ogni
campo.

Rousseau e Mably (utopismo radicale)che invocavano il ritorno all’uguaglianza degli antichi.

Filangieri affidava alla nuova politica illuministica, fondata sul governo e sulle leggi, il compito di ridurre
con tutte le armi possibili la disuguaglianza dei moderni e i suoi effetti drammatici e disumani, destinati
inevitabilmente a moltiplicarsi con la crescita economica e lo sviluppo delle “scienze e delle arti”.



La scuola giusnaturalistica napoletana e la fondazione storica e
filosofica dei diritti dell’uomo

Per Filangieri la centralità dei diritti dell’uomo rappresentava una delle chiavi di lettura della Scienza della
legislazione, precisava il diritto di resistenza dei coloni americani e quindi la legittimità della loro rivoluzione:
“i coloni devono avere diritti e prerogative comuni, e tra questi il diritto più prezioso è la proprietà e la libertà di
disporre di quello che era loro.
Questi diritti l’uomo li acquista con la nascita e la società e le leggi li devono garantire. I diritti formano la nostra
esistenza politica come l’anima e il corpo formano l’esistenza fisica. Questi diritti preziosi che non potrebbero
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essere tolti senza scioglierci dal nodo che ci unisce allo Stato, questi diritti dal cui possesso non ci può mai essere
interdetto, e l’esercizio ci può essere sospeso per un bisogno urgente, inevitabile ed universale dell’intero corpo
sociale, al contrario, quando questa causa non esiste (come nel nostro caso), quando questa divinità che
si chiama interesse pubblico non può essere interamente placata da questo violento e spaventevole
sacrificio, allora la soppressione anche solo momentanea di questo esercizio, diviene un’ingiustizia
spaventevole, un attentato pericoloso, un’oppressione manifesta.

La teoria dei diritti dell’uomo per il filosofo napoletano per il rispetto dei diritti, la cui violazione da parte del
governo inglese costituiva non solo il motivo principale per l’esplosione rivoluzionaria e della fondazione della
nuova Repubblica americana, ma anche il punto di riferimento nel definire i rapporti tra gli individui, tra essi e il
potere politico, tra i popoli e tra gli Stati e le loro controversie.
Filangieri nell’indicare le strade necessarie per costruire un giusto ed equo ordine politico e commerciale
internazionale, rilanciava il postulato etico dell’eguaglianza naturale degli uomini inteso come eguaglianza dei
diritti anche nel settore dei conflitti commerciali.
Per evitare le guerre determinate da forme esclusive dell’imperialismo economico andava applicato il principio
secondo cui una giusta idea del “commercio vuole che tutte le nazioni si riguardino come una società unica, tutti i
membri devono avere eguali diritti di partecipazione ai beni di tutte le altre.

Nel terzo volume della Scienza della legislazione, del 1783, interamente dedicato alle Leggi criminali, ogni pagina
di quel trattato si fondava sul patto ideale tra liberi ed eguali e sulla garanzia fornita dalla legge positiva circa il
rispetto dei diritti naturali che ogni individuo portava con sé dalla nascita.




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Diversa visione tra Cesare Beccaria e Filangieri

BECCARIA                                                      FILANGIERI
Metteva in primo piano l’elemento sociale e                   Considerava il diritto di punire un diritto
convenzionale del diritto di punire, frutto della             fondamentale dello stato primitivo che era
rinuncia degli uomini nello stato di natura a parte           precedente alla società civile.
della loro libertà originaria.                                Era un diritto prioritario per garantire non solo
“ fu la necessità che costrinse gli uomini a cedere           l’esistenza di tutti gli altri, ma il rispetto stesso
parte della propria libertà, ciascuno non ne vuol             della legge di natura tra gli individui e tra le
mettere che la minima porzione possibile, quella              nazioni.
sola che basti ad indurre gli altri di difenderlo.
L’aggregato di queste minime porzioni possibili
forma il diritto di punire”.
Mescolava elementi tratti da Locke, Rousseau per              Separava la società naturale (diritti dell’uomo) e la
dare sostanza e forma alla proposta di nuovi ideali           società civile.
umanitari circa la mitezza delle pene e il rifiuto            Questi diritti dati dalle 2 società compongono i
della pena di morte.                                          diritti sociali quando la società li dà o li difende.
                                                              Il diritto di punire andava collocato tra i diritti
                                                              naturali dell’uomo
Pena di morte:                                                pena di morte:
“quale può essere il diritto che si attribuiscono gli         replicava affermando che: “l’uomo nello stato di
uomini di trucidare i propri simili? Non certamente           natura ha diritto alla vita, ed egli non può


                                                                                                                             16
quello dal quale risultano la sovranità e le leggi che        rinunciare a questo diritto, ma può perderlo con i
rappresentano la volontà generale                             suoi delitti.


(Bobbio (in L’età dei diritti) dopo aver dibattuto le ragioni filosofiche, etiche contrarie e favorevoli alla pena
capitale, afferma che in ultima analisi contro la pena di morte non resta che ricorrere alle ragioni umanitarie e al
comandamento mosaico che invita a non uccidere i propri simili.)

Filangieri dedicava un intero capitolo sulla legittimità della pena di morte correggendo le riflessioni di
Pufendorf e di Rousseau, ritenute contradditorie anche se espresse a favore della pena capitale e polemizzando
con Beccaria, a cui però si sentiva vicino nella comune battaglia umanitaria per ridurre al minimo
indispensabile quel “veleno micidiale”rappresentato dall’abuso della pena di morte in antico regime.
Ciò che colpisce nella lettura del trattato di diritto penale di Filangieri è la sua organica completezza, a partire da
pochi “principi generali” tratti dalla teoria dei diritti dell’uomo. Filangieri dava ai legislatori il compito di creare i
futuri codici penali.
Il filosofo spiegava che la pena non era altro che la “perdita di un diritto”come conseguenza di un delitto
nato dalla violazione di un patto.

Lo scopo della pena doveva mirare sia ad impedire il danno alla società, sia a dissuadere altri dal compiere
reati.

Il significato politico del giusnaturalismo di Filangieri è la sua interpretazione repubblicana e fortemente
egualitaria della teoria dei diritti dell’uomo.
Nei confronti di una larga adesione del movimento illuministico del Nord della penisola al cosiddetto dispotismo
illuminata e alla lettura filo-assolutistica del giusnaturalismo proposta ad esempio da Puferdorf e dalla scuola
giuridica austriaca, Filangieri non esitava a indicare nel diritto do punire (collocato nello stato di natura) un
aspetto particolare e decisivo del più grande diritto di resistenza dei cittadini alle violazioni del factum
subiectionis da parte del sovrano.
Esplicite erano in tal senso le sue polemiche risposte a Pufendorf e a quanti sostenevano la natura convenzionale
e l’attribuzione del diritto di punire alle prerogative della sovranità, affermando che la pena aveva senso e
legittima solo come “atto di autorità di un superiore verso un inferiore.


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Ciò era impossibile da realizzarsi in uno “stato di natura”, dove invece regnava l’uguaglianza tra gli
uomini.
Filangieri precisando le implicazioni teoriche nell’intendere il concetto d’uguaglianza: “se si ammetteva che gli
uomini erano da considerare uguali nello stato naturale perché hanno eguali diritti, allora è possibile affermare che
qualora uno perde un diritto mentre gli altri lo conservano, colui che lo perde non è più naturalmente uguale a
coloro che lo conservano. Di conseguenza tutti gli altri che non hanno perduto questo diritto sono superiori a lui, e
come tale possono punirlo, il delitto nello stesso tempo distrugge l’uguaglianza trasmette il diritto di punire”.

Le tesi secondo cui il diritto di punire andava considerato uno dei principali diritti naturali dell’uomo era la
premessa per l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge. Lo scopo era di garantire la libertà civile, ovvero la
sicurezza e la tranquillità di tutti i membri della comunità politica.
Per Filangieri era un’ingiustizia contro la società, lasciare al monarca la possibilità di graziare i ministri, generali,
cortigiani colpevoli di gravi reati e consapevoli che in un sistema assolutistico e dispotico dove regnava il
privilegio e la distinzione sociale.

L’idea repubblicana dell’individuo come titolare del diritto di punire in quanto uomo si intrecciava alla richiesta
di partecipazione diretta all’amministrazione della giustizia risultava ancora più evidente nel volume della
procedura penale i cui punti fondamentali erano:
    • la rivendicazione dei diritti civili e di libertà per gli accusati prima della condanna;
    • la liquidazione del processo inquisitoriale da sostituire con il processo accusatorio secondo
         l’antico sistema della Roma repubblicana;
    • la creazione di giurie popolari;
    • la revisione dei meccanismi d’appello e di ricusazione dei giudici;
    • l’umanizzazione della detenzione delle pene, l’abolizione della tortura.

L’obiettivo finale doveva garantire sia la maggiore sicurezza per gli innocenti, sia il maggiore spavento
per i malvagi sia il minore arbitrio per i giudici.

Filangieri denunciava il processo inquisitoriale definito “un metodo assurdo e feroce che solo il dispotismo
poteva ideare” e che la Chiesa cattolica aveva contribuito in età medievale ad affermare in occidente,
legittimandolo attraverso procedure previste dal diritto canonico, e distruggendo in un colpo solo gran parte
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delle conquiste di civiltà del mondo antico.

Inquisizione: era una procedura senza garanzie per l’imputato, che univa nella stessa persona l’accusa e il
giudice, essa privava il cittadino di “tutti quei diritti dei quali solo la violenza ci può spogliare”.
L’inquisitore deciso a trovare le prove della presunta colpevolezza ricorreva alla carcerazione, alla tortura, agli
interrogativi violenti e ogni umiliazione capace di offendere la dignità umana.

Ancora una volta contro Montesquieu che aveva negato potesse aver senso in una grande monarchia moderna
ripristinare il processo accusatorio romano, in quanto la sua attuazione presupponeva la presenza di un forte
“spirito repubblicano” e la diffusione delle virtù civiche del mondo antico, Filangieri replicava che la “libertà di
accusare” da parte di tutti i cittadini faceva parte del diritto di punire e prescindeva dal tipo di forma di governo
e dalla sovranità stessa.
Filangieri dimostra come la tortura rappresentasse una degenerazione nata con il “dispotismo dei primi Cesari”
con l’introduzione della “legge Giulia” che allargava ai reati d’opinione i delitti di ”lesa maestà”. In seguito i
barbari e la chiesa di Roma avevano trasformato la tortura in una strumento di verità e giustizia.


Filangieri apparteneva a una nuova generazione di riformatori illuministi che pur utilizzando il linguaggio e gli
schemi del giusnaturalismo ne trasformava le modalità e gli obiettivi.
Il grande problema storico aperto con il moderno giusnaturalismo era la definizione di una nuova cittadinanza
(diversa dal modello assolutistico del cittadini-suddito) in cui i diritti dell’uomo attraverso il contratto e la
partecipazione all’esercizio della sovranità, fossero in grado di fondersi con le ragioni della comunità politica e
sociale costituiva il cuore stesso del pensiero politico del tardo Illuminismo, soprattutto dopo la rivoluzione
americana.

Questo poteva avvenire solo attraverso una radicale riforma legislativa dell’antico regime, come auspicavano
Rousseau, Beccaria e soprattutto Helvètius, loro dicevano che si poteva comporre interessi pubblici e privati,
coniugare diritti e doveri, individui e sovranità, riconoscendo il legame tra politica e diritto nel mondo moderno.

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Voltaire espresse la necessità di questo passaggio in “Dictionnaire philosophique”in cui faceva chiedere a un
personaggio ad un saggio bramino indiano in quale stato, sotto quale dominio avrebbe preferito vivere, egli gli
rispose “dove si obbedisce solo alle leggi”, il personaggio allora gli chiese dove si trovava questo paese, la
risposta fu molto significativa: bisognerebbe cercarlo.

Filangieri lo trovò trasformando i diritti, sul piano giuridico, da principi universali di morale in diritto positivo,
quindi nella costruzione di un edificio legislativo fatto di codici chiari e sintetici, che da un lato riducevano il
ruolo della religione a un ruolo ausiliario, dall’altro liquidava la vecchia “scientia juris”, mettendo il legislatore di
fronte all’assoluta necessità di legiferare su ogni aspetto della società civile, partendo sempre dai diritti.

Per meglio apprezzare le forti novità nella Scienza della legislazione in cui era rivendicato il passaggio dal diritto
naturale al diritto positivo bisogna ricordare che le fondamenta teoriche del giusnaturalismo di Filangieri erano
molto differenti da quelle degli altri illuministi europei.

Vico: meditò sul rapporto esistente tra “il diritto ideale ed eterno” e quello positivo delle nazioni: il diritto come
valore universale e il diritto come fatto storico prodotto dalla volontà dell’uomo. Riflessione filosofica sulle
fondamenta del moderno giusnaturalismo e in particolare sui diritti dell’uomo. Era l’unico italiano che si era
cimentato con la rinascita del diritto natura e con i “nuovi politici e morali studi, Filangieri ne era l’erede .

Gravina: grande giurista a cui spettava il merito di aver avviato la nuova tradizione di studi politici caratterizzati
dall’analisi storica e filosofica dei nessi esistenti tra politica e diritto. La fama dei suoi “Originum juris civilis libri
tres”(1701-1708) avevano imposto la necessità di ricostruire la formazione del diritto romano. Nel “De romano
imperio” e nel De imperio et iurisdiction”aveva tratto dal modello della Repubblica di Roma gli argomenti per un
ordine giuridico capace di limitare in futuro il potere dei principi. Dalle sue ricerche storiche definiva i diritti e i
doveri dei cittadini e nel delimitare i poteri pubblici che avrebbero interessato in seguito i migliori giuristi
europei , soprattutto Montesquieu nell’ Esprit des lois.
Il giurista calabrese aveva avviato il discorso sulla ripartizione e l’equilibrio dei poteri, sulla priorità


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dell’ordinamento giuridico in funzione di garanzia costituzionale.

Genovesi: fu tra i primi in Italia a combinare il linguaggio tipico della virtù repubblicana con quello dei diritti
individuali. Egli indagò le “massime del giusto eterno” (espressione di Vico), usando allo stesso tempo il diritto
romano, la scienza newtoniana ( per dare legittimità razionale e scientifica al concetto di legge di natura) e tutta
la moderna teoria dei diritti dell’uomo ( Grozio, Puferdorf e Locke) per fondare la moderna “scienza morale”.

Francesco Mario Pagano: fondamentale la centralità delle” romane leggi”. Prendeva le distanze da Puferdorf e
da Grozio rispetto al loro modo di privilegiare le fondamenta razionali del diritto naturale.

John Locke: era il fondatore del pensiero politico moderno per aver concepito la possibile connessione “dei
corpi politici e dei diritti dell’uomo”. E’ da lui che Montesquieu aveva appreso “la temperata monarchia
costituzionale” e della divisione dei poteri. Mentre Rousseau apprese: le prime idee dell’eguaglianza, dei diritti
dell’uomo e del contratto sociale, l’origine del diritto di proprietà e del diritto di infliggere la pena di morte.

Filangieri: proprio da Vico e dalla sua distinzione tra il corso storico delle nazioni e la loro storia ideale ed
eterna Filangieri ricavò suggerimenti per formulare la sua fondamentale comparazione tra “la bontà assoluta”
delle leggi, che si riferivano al diritto naturale, e quella”relativa” delle leggi attinenti al diritto positivo.



Oltre la ragion di stato: le basi morali e religiose

I tempi per una rivisitazione del modo tradizionale di concepire la politica erano ormai maturi. L’antico regime
scricchiolava rilevando con chiarezza gli epocali cambiamenti in corso non solo dal punto di vista sociale, politico
e istituzionale, bensì nel modo stesso di pensare.
Nella vecchia Europa di fine settecento si stava preparando ”una pacifica rivoluzione”.
Per secoli i principi avevano privilegiato la soluzione di un unico e ossessivo problema: come vincere le guerre ed
estendere i propri domini.
Il sei-settecento aveva condotto le potenze assolutistiche continentali a privilegiare la creazione di grandi
eserciti stanziali e la costruzione di formidabili arsenali, disinteressandosi della pubblica felicità.


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Finalmente dopo decenni di predicazione da parte di filosofi come Grozio, Pufendorf, Locke e Montesquieu le
cose parevano rapidamente cambiare.
Era arrivato il momento di superare il caos degli ordinamenti giuridici e di costruire un unico edificio legislativo
capace di garantire la felicità pubblica e i diritti dell’uomo.
Le condizioni storiche parevano consentirlo in quanto molti ostacoli stavano franando: la nobiltà feudale era
ovunque attaccata, i corpi privilegiati dell’antico regime apertamente denunciati per il loro egoismo sociale, la
sovranità assoluta dei monarchi messa in dubbio, i costumi e la sensibilità collettiva europea sempre più
orientati verso e a favore delle riforme.
Tuttavia la grande riforma legislativa dell’antico regime presupponeva il superamento definitivo di tutto il modo
di pensare e di vivere la politica riconducibile all’universo teorico e pratico della “ragione di stato”che aveva
dominato nei secoli precedenti che come diceva il gesuita Botero nel 1589 che vedeva nello stato un”dominio
fermo sopra il popolo da parte del principe”.
Quel modo di riflettere e di agire politico, che affidava agli “arcana imperii” e alla sola volontà dei sovrani il
compito di governare i popoli, pareva a Filangieri appartenente ad un lontano passato.

La lotta politica cominciava a svolgersi alla luce del sole, coinvolgendo gruppi e ceti sociali sempre più estesi.
Persino i grandi re venivano pubblicamente chiamati a rispondere delle loro azioni. Citando l’episodio del 1775
in cui il vescovo di Tours, Jean de Dieu-Raymond de Boisgelin de Cucè, aveva tuonato contro Luigi XVI, il giorno
stesso della sua incoronazione a Reims.

Però cominciava a delinearsi una forte reazione direttamente ispirata ai principi di un crudo e moderno realismo
politico, al ferreo rispetto del primato dell’”essere” nei confronti del “dover essere”, e quindi al rifiuto del
postulato etico dell’eguaglianza naturale tra tutti gli uomini, tornavano sul campo anche tra gli illuministi le tesi
di fondo enunciate da Macchiavelli nel Principe.

Filangieri al di là dell’ammirazione per lo studioso non esitò a trasformarlo nel nemico dichiarato dei diritti
dell’uomo, la storia gli pareva aver finalmente sconfitto per sempre quel modo di pensare alla politica.

L’artefice principale del pensiero di Macchiavelli, del tradizionale costituzionalismo inglese fu Francescantonio
Grimaldi.
Grimaldi si contrapponeva al modo di concepire la politica da parte di Rousseau (fondato su un’antropologia
                                                                                                                         19
positiva e utopicamente proiettato su n futuro repubblicano ed egualitario), Grimaldi si ispirava al crudo
realismo politico, empirico e fattuale di Macchiavelli.
Per Grimaldi era inutile interrogarsi su come il “governo dovrebbe essere”, ma “esaminare “come la natura ha
voluto che fossero”(contenuto nel Principe).
Il carattere feroce e conflittuale dell’uomo, la naturale gerarchia tra gli esseri gli parevano dati fuori discussione
ormai scientificamente dimostrabili.
Dopo aver polemizzato indirettamente con Jefferson circa il carattere di vero e proprio diritto universale di tutti
gli uomini alla felicità contenuto nella Dichiarazione d’indipendenza, chiamava in causa lo stesso Filangieri
affermando che bisognava sempre “accomodare l’eguaglianza alla giustizia stabilita, non già stabilire la
giustizia sopra le massime dell’eguaglianza”.

Sempre nel 1779 appariva a Napoli l’Elogio di Niccolò Macchiavelli scritto da un altro famoso allievo di
Genovesi, Giuseppe Maria Galanti. In questo libro veniva esaltata la figura di Macchiavelli, e ne difendeva la
memoria e lo spirito repubblicano, utilizzando anche le testimonianze di Montesquieu, Rousseau e Linguet i quali
ritenevano evidente che nel Principe la satira e non l’elogio della tirannia.
Analizzando le forme degli Stati e il dibattito politico dell’epoca egli non vedeva al contrario di Filangieri un
contrasto tra i “diritti del genere umano”, per Galanti Macchiavelli era nel giusto quando affermava una netta
differenza tra la politica e la morale, la prima giudicava quale l’uomo è nella società, la seconda indica
agli uomini come essi devono essere.

Alle spalle mondi questa improvvisa fiammata polemica sul significato autentico dell’eredità machiavelliana
stava un secolo di lotte contro l’egemonia della ragion di Stato, che si era rapidamente affermato in Europa dopo
le guerre civili e religiose nel tardo cinquecento e del seicento con la pratica dell’assolutismo.

In Italia, nel 1749 Ludovico Antonio Muratori (modenese) nel suo celebre trattato “Della pubblica felicità”,
affidava ancora al principe il compito di aprire la strada alla nuova politica antimacchiavelliana destinata a
privilegiare anzitutto il bene della collettività.

Sin dal primo Settecento era divenuto chiaro a tutti che esistevano almeno 2 modi di intendere la politica:
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  • 1. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE La nuova politica “ex parte civium” Alla fine del XVIII secolo, la pratica di un’utopia trovò in filosofi illuministici di cultura giuridica (Filangieri e Pagano). Nei loro testi circolavano per la prima volta parole destinate a diventare concetti chiave del moderno linguaggio politico come: • Costituzione • Repubblicanesimo • Patriottismo • Società civile • Diritti dell’uomo • Cittadinanza • Governo rappresentativo • Sovranità popolare • Democrazia “pura” o rappresentativa • Eguaglianza, libertà civile e libertà politica. Fondamentali sono le parole autorevoli di un grande storico del diritto (Ajello): “gli illuministi rifiutano l’ideale umanistico - platonico di una repubblica governata dai saggi-giureconsulti, chiamati a rappresentare di volta in volta la communis opinio , tale ideale era stato il presupposto ideologico di tutta la scienza juris del tardo medievale e umanistica. Gli illuministi respinsero la pretesa dei giudici di attingere dalle strutture dell’essere, o quanto meno d’interpretare ed esprimere quelle esistenti. I sacerdotes juris furono incapaci di rappresentare legalmente l’intero corpo sociale ed accusati di di essere solo portatori di interessi particolari e limitati al loro status.” 1 Le opere del pensiero giuridico illuministico illuministico da Montesquieu a Rousseu, da Beccaria a Filangieri anche con differenze e diverse soluzioni prospettate nella critica dell’antico regime (soprattutto contro la tradizione dei “forensi”), si ponevano l’obiettivo comune di smascherare gli arcana juris , in un momento storico dell’occidente in cui cominciavano a sgretolarsi gli ordinamenti del passato e si poneva con drammatica urgenza le questione di ridefinire la sovranità non più a partire dall’alto ma dal basso ex parte civium. Non è causale che nella Napoli di fine secolo l’esordio pubblico nella lotta politica di Gaetano Filangieri nel 1774, in occasione dei provvedimenti presi da Tanucci per obbligare i magistrati a motivare per iscritto le loro sentenze. Era questo un vero atto di guerra tra monarchia e corti di giustizia del Mezzogiorno (paragonabile allo scontro avvenuto tre anni prima a Parigi tra il cancelliere Maupeou e i messieur dei parlamenti). Risultarono vani gli appelli di Tanucci contro “l’arbitrio illimitato dei giudici”e il suo invito al Sacro Regio Consiglio di abbandonare quello “stile di oracoli”ricordando che la legislazione è tutta della sovranità; e che il Consiglio non è che un giudice e che i giudici sono esecutori delle leggi e non autori : il diritto deve essere certo e definito e non arbitrario. Non era la prima volta che un tentativo di riforma giudiziaria naufragava a causa della corporazione dei magistrati. Dopo l’arrivo di Carlo di Borbone e la fondazione della monarchia nazionale, il progetto di dar vita ad una fase assolutistica si era già arenato una volta di fronte alla resistenza del ministero del togato, secolare detentore del potere nel Regno insieme alla nobiltà feudataria. Carlo III aveva cercato di porre rimedio alla frammentazione della sovranità reprimendo gli abusi, sciogliendo il Collaterale, creando la Regia Camera di Santa Chiara, istituendo il nuovo Supremo Magistrato del commercio, dove i mercanti e banchieri affiancavano esperti del diritto, avviando un tentativo di codificazione; poco o nulla cambiò. Tutti i maggior esponenti del mondo illuministico italiano denunciarono nel corso del settecento l’anarchia della pratica della giustizia e la prepotenza dei sacerdotes juris . Filangieri: scrisse Riflessioni contro i togati Muratori: scrisse Dei difetti della giurisprudenza (1742) Giuseppe Maria Galanti: Testamento forense, legava il sottosviluppo economico e l’arretratezza sociale all’egemonia dei giuristi. In Desrizione dello stato antico e attuale del Contado di Molise, in cui descriveva un sistema complicato ecclesiastico e feudale, nel testo era evidente una società in cui non si può possedere facoltà senza dipendere dai tribunali; nè essere cittadini senza dipendere da avvocati. Galanti denunciava pubblicamente un malcontento, una realtà fatta di sopraffazioni da riformare, in cui dominavano la palese complicità e gli stretti legami d’interesse tra avvocati e magistrati. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 2. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Nel 1774 con le Riflessioni di Filangieri il confronto si spostava sul piano politico, con “principi fondamentali della politica” che chiamavano in causa “l’opinione pubblica”, con il rispetto della libertà civile del cittadino e mostrava a tutti la presenza del “mostruoso dispotismo” dei magistrati (autentici despoti che ignoravano i vincoli di legge, una sorta di dispotismo degli ottimati, molto pericoloso per la libertà dei cittadini in quanto esercitata da un’intera corporazione e non da uno solo. Dietro “l’arbitrio giudiziario”,consentito dalla pratica dell’interpretatio si nascondeva la violazione sistematica della costituzione stessa dei governi moderati che prevedeva dopo Locke e Montesquieu, la separazione dei poteri al punto di renderli incomunicabili per garantire la libertà civile, i magistrati attraverso l’interpretation avevano usurpatole prerogative del”Sovrano come legislatore”. Il grande errore teorico, che aveva reso possibile questa situazione, si annidava nell’uso distorto della parola equità da parte dei sacerdotes juris intesa come cosa differente della giustizia (strumento a disposizione del magistrato per rettificare il carattere astrattamente universale della legge rispetto alla realtà concreta). Il continuo ricorso al meccanismo equitativo per legittimare l’interpretatio aveva consentito la nascita di forme negative di dispotismo giuridico da parte delle grandi corti di giustizia. Intorno a una nuova rappresentazione della società civile, fondata sula nesso che legava l’equità e la giustizia, Filangieri costruirà il gigantesco mosaico della Scienza della legislazione. Si apriva negli anni settanta una nuova stagione nella vita del Regno di Napoli che si sarebbe conclusa nel bagno di sangue della Repubblica del ’99, con la sconfitta definitiva del mondo dei Lumi. I conflittuali decenni della monarchia autoritaria di Luigi XIV avevano non solo mutato radicalmente la storia istituzionale della Francia moderna, ma mutato radicalmente la storia istituzionale della Francia moderna, ma cambiato i termini stessi della lotta politica in tutta Europa continentale. La furiosa contesa tra corona e parlamenti esplosa nella seconda metà del secolo, stava mettendo a nudo il superamento del consolidato equilibrio dei poteri dell’antico regime, e stava trasformando brutalmente la monarchia regia in monarchia dispotica. 2 Il governo di Luigi XIV aveva spezzato le vecchie consuetudini e allarmato non solo l’antica nobiltà feudale ostile alla corona e all’apparato burocratico dello Stato francese (che in cambio delle fedeltà all’assolutismo e alla monarchia ricevevano privilegi). La rivolta dei corpi intermedi era cominciata in Francia con la diffusione di una lettura polemica e negativa delle parole “absolu” e “despotique”. Montesquieu: nel libro l’Esprit des lois, in cui rappresentava i corpi intermedi come una componente essenziale del sistema costituzionale monarchico, indispensabile per garantire la libertà ed evitare ogni forma di degenerazione verso il dispotismo da parte del sovrano. Luis-Adrien Le Paige: nel libro Lettres historiques sur les fonctions essentielles des Parlements, reclamò la continuità storica tra i parlamenti e le assemblee legislative delle due prime dinastie dei re di Francia, rivendicando la presenza dell’intera nazione e trasformando la registrazioni delle leggi da semplice atto formale in autentico principio costituzionale. A Napoli l’ideologia del ministero togato trova il suo massimo teorico in Niccolò Fraggianni (giurista, capo di ruota del Sacro Regio Consiglio e Delegato della Real Giurisdizione, tutte cariche che lo ponevano ai vertici dell’apparato burocratico). Tra il 1740 e 1750 per protestare contro i ricorrenti tentativi di riformare la giustizia nel segno dell’assolutismo più rigoroso Fraggianni ricorse ai testi dei due francesi e al linguaggio giuspolitico degli atti promulgati dai parlamenti francesi. Egli metteva in guardia il sovrano contro i “riformatori” che considerava dei veri oppressori della patria, quindi seguire i loro consigli . e cioè avviare una radicale riforma della giustizia tale da inclinare gli equilibri del tradizionale ordo juris e dello Stato di giustizia di origine medievale avrebbe non solo offeso la libertà, ma creato rapidamente le condizioni per una pericolosa “rivoluzione generale”, continuava dicendo che questi cambiamenti potevano aver senso solo in presenza di un sovrano illegittimo o di un principe che non avesse altro oggetto che dispotismo e forza come Luigi XIV. Per Fraggianni il regno era sussistito per due secoli con queste leggi difettose che fossero, quindi la loro legittimità derivava direttamente dalla storia, dalla tradizione di ogni singola nazione. La pratica giurisprudenziale dei sacerdotes juris esplicato nei secoli attraverso la scienza juris e l’interpretatio rivestivano una funzione di garanzia e di tutela degli equilibri politici, impedendo i dispotismi . Secondo Fraggianni l’obiettivo dei riformatori era togliere l’amministrazione della giustizia ai togati riportandola sotto il controllo del re, in questo modo minacciava la libertà dei cittadini. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 3. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE A Napoli le tesi costituzionaliste (Fraggianni) erano molto diffuse e condivise tra i togati e in vasti settori dell’opinione pubblica, esse si scontravano con il nascente partito dei filosofi illuministi (nascita della figura del “giureconsulto filosofo” tra cui si ricorda Francesco Mario Pagano), che criticavano queste tesi e avevano preso atto della crisi della Scientia juris . Il mestiere di giurista inizia ad essere influenzato dai metodi di ricerca delle scienze naturali: da interprete a scienziato scopritore del comportamento umano; lo studio della “natura delle cose”come fonte primaria del diritto ridimensionava le fonti del Corpus juris; dalla interpretatio si passava alla demonstration . La nuova figura del filosofo illuminista venne ulteriormente definito da Filangeri all’interno delle Riflessioni come cosmopoliti, amatori della libertà civile, individuavano nell’opinione pubblica l’interlocutore principale. Gli obiettivi principali erano di svelare i meccanismi di potere, educare il popolo anche attraverso l’uso di opuscoli e libri, e soprattutto intraprendere la riforma della legislazione. I saperi specialistici e gli interessi corporativi erano da considerare cose del passato Scontro tra : Fraggianni: fermo agli insegnamenti di Montesquieu, ribadiva i timori contro l’eccessivo ed inquietante fervore riformistico Filangieri : scriveva La scienza della legislazione con l’intento di indicare cosa bisogna fare per realizzare una società più giusta ed equa. In questo testo affronta i temi delle vicende drammatiche della rivoluzione americana , la critica radicale dell’antico regime si accompagnava alla descrizione analitica di un nuovo modo di pensare la legislazione, il potere, la natura stessa delle costituzioni. La critica del modello costituzionale britannico: la rivoluzione americana come laboratorio politico 3 La Scienza della legislazione reca tracce profonde della rivoluzione Americana : una legislazione capace di creare una società giusta coniugando la libertà e l’equità , i diritti dell’uomo con lo sviluppo economico e la giustizia sociale Tra Filangieri e Benjamin Franklin (intorno al 1780) nacque una profonda amicizia e reciproca ammirazione cementata da una comune militanza massonica, cessata solo dalla prematura scomparsa di Filangieri nel 1788 (l’ultima lettera di Franklin conteneva una copia della costituzione federale degli Stati Uniti). Filangieri visse intensamente, soprattutto sul piano intellettuale la rivoluzione delle colonie inglesi, per lui l’intero equilibrio politico, sociale ed economico mondiale gli sembrava in discussione Di fronte alla crisi di fine secolo dell’Europa gli Stati Uniti rappresentavano un modello futuro della civiltà occidentale: gli eredi migliori di un glorioso passato e un laboratorio politico per il futuro. Un modello in cui vi era la necessità di dare al popolo la distribuzione delle cariche al fine di attuare il principio democratico, cercando di far coincidere l’inevitabile amore dei singoli per il potere con gli interessi generali. L’ammirazione non cessava neppure di fronte al franco dissenso verso la promulgazione di leggi ritenute da lui sbagliate come la pena di morte prevista per i disertori. Su un punto Filangieri era assolutamente intransigente nel prendere le distanze dall’esperienza americana: la schiavitù nella nuova patria degli uomini liberi. Gli pareva inaccettabile che mentre nella vecchia Europa le leggi si dichiaravano a favore della libertà dell’uomo. Le pagine di sdegno restano tra le più belle ed intense mai scritte in quegli anni dagli illuministi contro i “diritti inviolabili dell’umanità e della ragione”. Per Filangieri non era solo importante la vittoria di un pugno di uomini contro un gigante oppressore, ma l’inizio della fine dell’imperialismo britannico e la messa in discussione del brutale colonialismo del vecchio mondo condotto da secoli con spietatezza nel nome di una civilizzazione iniqua. Fondamentale fu l’ampiezza dell’informazione e i pregi di un sistema di comunicazione allargato alle elites urbane e già di tipo internazionale fondato sulle gazzette, che sarebbe divenuto in breve tempo il nucleo fondamentale del linguaggio politico moderno. Con la Dichiarazione di Indipendenza il 3 luglio 1776 la gloriosa tradizione repubblicana inglese, identificata con il modello del governo misto che aveva rappresentato grazie a Montesquieu la bandiera ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 4. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE dei fautori della libertà, cessava di essere l’orizzonte di riferimento di un largo settore del fronte progressista. I nuovi repubblicani radicali, negando l’autorità del parlamento londinese e alimentando la polemica con un costante riferimento ai diritti dell’uomo e ai ideali illuministici, si accingevano a sperimentare oltreoceano istituzioni e forme di governo più sensibili alle istanze egualitarie e democratiche. Con la pubblicazione sulla “Gazzetta Universale” della Dichiarazione di Indipendenza essa si diffuse in tutta la penisola. Il testo formulato dal più illuminista tra gli americani Thomas Jefferson citava: “…..noi riguardiamo come verità evidenti per se stesse che tutti gli uomini sono stati creati uguali , che hanno ricevuto dal loro creatore certi diritti inalienabili, che nel numero di questi diritti sono la vita, la libertà e la ricerca della felicità, che per assicurare tali diritti sono stati istituiti governi tra gli uomini e che non traggono il loro giusto potere fuorchè dal consenso di coloro che son governati, ed ogni volta che una forma di governo diventa distruttiva di detti fini, il popolo è in diritto di alterarla o di abolirla e d’instituire un nuovo governo. Gli americani avevano realizzato il “governo rappresentativo” come unica soluzione possibile per dare concreta forma istituzionale alla sovranità popolare. Di pari passo alla critica e al superamento del modello di governo misto inglese nasceva la creazione del moderno costituzionalismo fatto di testi scritti e deliberati dai congressi delle 13 repubbliche che mettevano in chiaro la differenza esistente tra carta costituzionale e il governo di una nazione, tra i diritti inalienabili enunciati nella dichiarazione dei principi del potere legislativo. Un aspetto del successo dell’opera di Filangieri è dovuto dalla polemica contro il costituzionalismo britannico, fatto di leggi scritte e consuetudinarie, fondato sul principio del governo misto. L’analisi di Filangeri dei difetti e delle contraddizioni si articolano in 3 gravi vizi: 1. la rivendicazione da parte della corona della totale indipendenza del potere esecutivo dal parlamento. Questo difetto poteva trovare soluzione separando chiaramente i compiti del potere giudiziario dall’esecutivo, in modo da affidare ad organi distinti in funzione di limite e di garanzia. 4 2. la capacità della corona di esercitare una sorta di “doppia influenza” sul parlamento, che nascondeva una componente segreta e pericolosa, in grado di distruggere la libertà del popolo senza che la costituzione ne venga alterata. Il sovrano poteva comprare i voti dei parlamentari, in quanto era “l’unico amministratore delle rendite nazionali”, e anche “il distributore unico di tutte le cariche civili e militari”. La storia inglese è piena di esempi di sovrani che avevano manipolato a piacimento il parlamento senza scatenare guerre civili. Così avevano fatto intelligentemente Elisabetta e soprattutto Enrico VIII. Assai diversa sarebbe stata la sorte di Giacomo II se avesse praticato “l’arte di corrompere l’assemblea che rappresenta la sovranità”, e non sfidando sul piano formale il parlamento come incautamente fecero Giacomo I e Carlo I. Porre rimedio a questa situazione comportava interventi strutturali che coinvolgevano la natura e la stessa composizione del parlamento. Filangieri contestava il presunto diritto esclusivo del sovrano inglese a nominare i membri della Camera alta. La Costituzione andava riformata per consentire alla Camera dei Comuni di respingere le pressioni della corona e anche per arrivare a sostituire “un’assemblea di cittadini ad un congresso di cortigiani”. Ciò comportava una revisione dei meccanismi elettorali della rappresentanza popolare, anche per evitare il dilagare della corruzione, molto diffuso con Giorgio III. 3. l’incostanza della costituzione. Il potere costituente del popolo legislativo, sovrano che in America, attraverso le assemblee legislative, consacra la nascita del moderno costituzionalismo. Filangieri tra i primi in Europa iniziò un dibattito sulla natura delle “leggi fondamentali” ( che cosa è una costituzione? Quale rapporto esiste tra il potere legislativo e le leggi ordinarie? A chi spetta quello che noi oggi chiamiamo il potere costituente? Può un governo misto dare vita a una costituzione chiara e costante nel tempo?) Il caso americano stava dimostrando come fosse possibile a una libera comunità politica, attraverso i suoi rappresentanti , creare democraticamente una costituzione, arrivando a formulare per la prima volta nella storia, un documento scritto e sintetico capace di racchiudere i principi fondamentali necessari a regolare la vita di un popolo. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 5. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Filangieri distingueva nettamente costituzione e governo, fase costituente e fase di governo ordinario, normale produzione legislativa del parlamento e fase straordinaria. Per Filangieri : “ la legislazione non deve, né può distruggere la costituzione; deve solo riparare ai suoi difetti, si è detto che il diritto di alterare le leggi fondamentali che la determinano non si può togliere al congresso senza distruggere la natura stessa della costituzione. Emergono le preoccupazioni per garantire la vita politica e parlamentare di una costituzione rigida, intesa come un “piccolo codice scritto”, sintetico, chiaro, razionale; un testo non solo fondamentale per garantire l’ordinata vita politica di una nazione, ma capace di fornire garanzie nei confronti del dispotismo. Profondamente diverso dal costituzionalismo misto e consuetudinario della tradizione britannica, dove la continua fluttuazione tra i diversi corpi che si dividevano l’autorità (che da Carlo I a Giorgio III aveva causato disordini sociali e politici), che aveva favorito, secondo Filangieri, le antiche polemiche dei teorici dell’assolutismo contro il frazionamento della sovranità, e il regno dell’anarchia , della confusione, lo scatenamento della guerra civile e il dominio del più forte. Il vecchio modello costituzionale britannico aveva esaurito la sua funzione storica di fronte alle potenzialità democratiche e libertarie del nuovo repubblicanesimo americano. Il mostro feudale Contro Montesquieu e il costituzionalismo cetuale. La denuncia del mostro feudale e della monarchia temperata. All’interno dell’opera “scienza della legislazione” era costruita da un lato la critica dell’antico regime europeo, del suo ingiusto ordine sociale e politico, del suo costituzionalismo corporativo e consuetudinario, dall’altro la formulazione di precise indicazioni legislative per costruire una società a partire da una legislazione rifondata sui valori e sui principi dell’illuminismo di fine secolo. 5 Mentre Montesquieu ragionava “piuttosto sopra quello che si è fatto, che sopra quello che si dovrebbe fare…”. A Napoli sia Nicolò Fraggianni che la nobiltà feudale era ricorsa alle pagine del libro “l’esprit des lois” per rivendicare la legittimità dei propri privilegi. Dopo la guerra dei “sette anni” la questione feudale non si limitava a questioni politiche e giuridiche ma anche a tematiche sociali ed economiche. I lavori di Mably, Ferguson, Linguet, Robertson (1765/1769) e Adam Smith (1766), sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, avevano messo in relazione il sempre più evidente sottosviluppo e l’arretratezza dell’agricoltura continentale, rispetto all’Inghilterra e alle colonie americane con il persistere della feudalità. Filangieri aveva fatto proprie le indicazioni di Smith, e all’interno della “scienza della legislazione” aveva dedicato alle leggi politiche ed economiche una richiesta di aumento dei piccoli proprietari creando un libero mercato della terra, e rendendo disponibili i beni ecclesiastici (inalienabili) e trasformando i feudatari in proprietari. Era necessario per attuare ciò era necessaria la soppressione delle istituzioni cardini della feudalità: • primogeniture • i fedecommessi (causa delle miserie) Gli attacchi di Filangieri ai baroni feudali e al ceto togato attraverso “Riflessioni politiche sull’ultima legge del sovrano che riguarda l’amministrazione della giustizia” scatenò una violenta reazione. Contro di lui si scagliò anche un letterato Giuseppe Grippa, che rilanciò le teorie costituzionaliste di Montesquieu, che affermava che era fondamentale la presenza dei corpi intermedi (nobiltà feudale) che garantivano la libertà in Europa, difendere la monarchia e le leggi fondamentali di antico regime. Per Grippa distruggere le basi economiche della feudalità significava attentare alla libertà e favorire il dispotismo, quindi il pericolo era la scomparsa della monarchia lasciando il posto alle violenze e all’anarchia dei governi popolari, e al pericoloso repubblicanesimo democratico dei piccoli proprietari terrieri. Filangieri nel 1783 affrontò la questione feudale sul piano giuridico e politico cercando di riflettere sul nesso tra libertà e uguaglianza, e sulla legittimità del potere dei baroni, con la pubblicazione del terzo volume dedicato alle leggi criminali. Il merito di quest’opera stava nella capacità di cogliere i processi storici e politici di un epoca di profonde trasformazioni, in cui a garantire “equità, libertà e sicurezza” non è più la liberta feudale, bensì l’autorità legale del monarca: il governo by law che deve succedere al governo by will. Mostro feudale: per Filangieri oltre che uno ostacolo allo sviluppo economico, era la causa di gravi problemi di libertà e di giustizia destinati a suscitare una precisa riflessione politica sulla natura del governo monarchico in antico regime. Diceva che il mostro feudale aveva devastato l’Europa e andava incenerito, perché nei secoli aveva ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 6. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE dato vita a un governo ingiusto fondato “sulle rovine della libertà civile del popolo, e dei sacri diritti della corona. Un governo dove dominava la violenza quotidiana, la pratica della disuguaglianza di fronte alla legge e l’arbitrio più sfacciato nei tribunali”. “la natura non ci ha fatti per essere il trastullo di pochi uomini potenti , ma ci ha somministrato tutti i mezzi necessari per esseri liberi e felici” Privilegi della giustizia feudale: al barone era concessa la nomina del magistrato cui spettava fare le indagini e giudicare sui reati avvenuti nel feudo. In questo modo il magistrato diventava un “miserabile e vile mercenario del barone” ricattato sul piano economico dal suo datore di lavoro, minacciato dal potere di revoca dell’incarico, incapace di garantire una giustizia autentica e autonoma. Filangieri li descriveva senza onore, senza ricchezza, senza lumi, privi della confidenza del popolo e incapaci di procurarsela, non hanno altro talento se non quello che si richiede per vessare, opprimere, rubare e per favorire chiunque è potente e calpestare chiunque sia debole. Il loro compito di amministrare la giustizia per conto del feudatario si fermava a volte alla sola ricerca delle prove della consapevolezza del reo ottenute con tutti i mezzi, dalla prigione alla tortura; da quel momento subentrava il barone che trattava con l’incriminato una ricompensa economica in sostituzione della pena, non meno scandaloso era il privilegio di concedere la grazia ( Filangieri: “questo diritto che appena è compatibile con la sovranità, questo diritto del quale i re rare volte ne fanno uso per non moltiplicare i delitti con la speranza dell’impunità; il favorito del feudatario, il complice dei suoi delitti, lo strumento dei suoi attentati è sicuro di rimanere impunito perché sa che la sua condanna sarà seguita dalla grazia, mentre l’uomo onesto che ha resistito ai capricci del suo signore , sa di essere perduto se si troverà avvolto nei legami della giustizia e nelle trame di una violenta ed arbitraria procedura”) Processo: Esistevano 3 gradi di appello contro una sentenza ritenuta ingiusta. I primi 2 erano di fronte ad altri giudici ma sempre pagati dal barone, l’appello finale davanti ai tribunali provinciali del re pareva inventato apposta per scoraggiare ogni volontà di sottrarsi all’ingiustizia dei ministri dei baroni . I giudici nominati dal sovrano erano costretti a valutare sulla base dei documenti processuali raccolti in 6 precedenza. Nel caso in cui il primo procedimento fosse dichiarato formalmente irregolare il rimedio previsto, per Filangieri, era il peggiore dei mali, entrava in scena il titolare della pubblica accusa, l’inquisitore del re, con il compito di istruire il nuovo processo destinato a diventare una sorta di allucinante inferno in terra per coloro che pensavano di sfuggire alla giustizia feudale. Per Filangieri l’inquisitore era l’uomo più vile e più ladro della provincia, un subalterno che non solo è pagato dal governo, ma che paga per poterlo servire; che esercita ignominiosamente un ministero che ricercherebbe molta onoratezza, ma che è divenuto infamante, insensibile a tutti i sentimenti di pietà, di onore e di giustizia. Come atto preliminare l’inquisitore ordinava la preventiva carcerazione dei numerosi testimoni, di rei, di complici. Poi seguiva la ricerca di prove con ogni mezzo per coinvolgere il maggior numero di persone cui proporre il “mercato”e lo scambio in denaro per uscire indenni dal processo. Si può definire tragico lo scenario della giustizia dell’antico regime. Per Filangieri l’obiettivo primario dei “diritti sacri della civile libertà”in un regime monarchico alla ormai necessaria riforma della giustizia, al superamento dei privilegi cetuali che attribuivano ai corpi intermedi frammenti fondamentali della sovranità, mascherandone gli interessi corporativi in nome della difesa delle libertà costituzionali. Sovranità e distribuzione dei poteri: Dopo Bodin, Hobbed e Rousseau nessuno dubitava più che essa dovesse essere una e indivisibile. Altra cosa era la distribuzione dei poteri in funzione di garanzia come avevano spiegato Locke, Bolingbroke e Montesquieu: “in ogni specie di governo l’autorità deve essere bilanciata ma non divisa; le diverse parti del potere devono essere distribuite ma non distratte”. Per Filangieri è esemplare è il caso del governo di tipo democratico dove il popolo da se stesso amministra la sua sovranità, attraverso una costituzione, capace di fissare i limiti e le forme del potere legislativo ed esecutivo e i compiti dei magistrati e dei pubblici funzionari, questo atto non farebbe altro che distribuire l’esercizio delle diverse parti del potere, ciò non dividerebbe la sovranità che resterebbe unicamente nel popolo. Europa dell’antico regime feudale: specie di governo che divide lo Stato in tanti piccoli Stati, la sovranità in tante piccole sovranità; che smembra dalla corona quelle prerogative che non sono comunicabili, che non ripartisce l’esercizio dall’autorità, ma divide e aliena il potere stesso, che dà al popolo molti tiranni invece di un solo re e al re molti ostacoli al fare il bene. Questa monarchia feudale usurpa i diritti del popolo e del principe, c’è una dipendenza della monarchia senza l’attività della sua costituzione e le debolezze della repubblica senza la sua libertà. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 7. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Investitura del feudo: Filangieri la definiva una stipulazione solenne con la quale il sovrano dona o vende ad un privato cittadino e ai suoi discendenti gran parte della sua autorità sopra un’altra porzione di cittadini, i quali senza il loro consenso, vengono degradati dalla loro politica condizione e condannati a nuove servitù, obbligati a nuovi doveri, strappati dalla immediata giurisdizione del monarca e trasferiti sotto quella di un uomo che essi erano nel diritto di considerare come loro uguale. Il più grande pensatore dell’Europa era Locke, in lui Filangieri traeva gli argomenti contro il diritto di conquista posto a fondamento dell’assolutismo regio e delle pretese baronali, e il principio della sovranità popolare e della natura pattizia e consensuale del potere politico tra uomini liberi ed uguali in grado di mettere in dubbio che il monarca fosse il proprietario assoluto della sovranità. Per Filangieri anche se l’uso della forza lo abbia fatto salire sul trono senza il consenso del popolo, egli non sarà mai il sovrano dello Stato ed egli ne sarà il nemico, ed ogni atto della sua sovranità sarà un atto illegittimo, il popolo è l’unico che possa legittimare l’esercizio nella persona dell’amministratore che noi chiamiamo re. Sovranità del popolo: la tesi della sovranità del popolo e della figura del re come semplice amministratore era approfondita nella trattazione dei cosiddetti delitti di lesa maestà in antico regime. Se sacro era il dovere del cittadino di non attentare mai alla sovranità che non si può violare senza distruggere la società, altra cosa era l’attacco personale al re. Nella repubblica romana, dove era chiara la sovranità del popolo, i delitti di lesa maestà erano circoscritti al sovvertimento delle leggi fondamentali e alla conseguente violazione della “libertà civile”dei cittadini. Solo con Augusto e con l’impero il germe del dispotismo aveva cominciato ad insinuarsi, dando corpo ad una estensione arbitraria del numero e della natura dei reati di lesa maestà e confondendo il diritto di critica con la difesa della sovranità. In antico regime l’alto tradimento veniva considerato ogni tipo di reato contro il re, non c’era nessuna differenza tra reati d’opinione, la conoscenza di un complotto o la partecipazione ad una azione sovversiva. L’uso politico del reato di lesa maestà aveva mutato la doverosa difesa della sovranità in un’arma nella creazione del dispotismo. La figura del re come amministratore soprattutto a Napoli dopo i tentativi d’inizio secolo di procedere alla creazione di una monarchia assoluta delineava la futura creazione di una monarchia ben costituita da contrapporre alla monarchia feudale dove era evidente il dominio della corona, il dispotismo dei baroni e 7 l’arbitrio dei magistrati. Con questo progetto sarà rilanciato da tutti i protagonisti del tardo Illuminismo italiano il tema della libertà civile ( intesa come regno della legalità, stato di diritto e di garanzia per tutti i cittadini, destinato a sfociare nella richiesta dell’eguaglianza di fronte alla legge). Quando i cittadini vivono “tranquilli” sotto la protezione delle leggi questa tranquillità è chiamata libertà civile. Filangieri si apprestava a definire un primo abbozzo di monarchia costituzionale: “si chiama monarchia quel governo dove regna uno solo, ma con alcune leggi fondamentali. La natura della monarchia richiede che vi sia tra il monarca e il popolo una classe o un rango intermedio destinato non ad esercitare alcune delle porzioni di potere, ma a mantenere l’equilibrio e che vi sia un corpo depositario delle leggi, mediatore tra sudditi e re. I nobili compongono questo rango intermedio e i magistrati il corpo depositario delle leggi. Le leggi devono fissare i privilegi e i diritti degli uni e le funzioni degli altri, devono fissare i limiti di ciascuna autorità nello Stato, devono dichiarare quali siano i veri diritti della corona e quale il ministero dell’individuo che la porta, devono determinare fin dove debba estendersi il potere legislativo e dove debba cominciare e finire l’esecutivo. Determinare tutto ciò che riguarda le magistrature”. Nella monarchia costituzionale costruita per evitare il dispotismo e garantire la libertà civile di tutti i cittadini, l’unica carica di tipo ereditario era quella del Re. Nessun privilegio del sangue e della nascita era accettabile (nel caso dei corpi intermedi). Magistrati e nobili dovevano rispondere personalmente del loro potere politico “le ricompense sono dovute alle azioni, le cariche al talento e al merito di esercitarle”. Differenza tra Filangieri e Montesquieu: Montesquieu parla di “monarchia temperata”, essa era interna alla logica di antico regime, “senza nobiltà di sangue non esisteva la monarchia stessa, abolire in una monarchia le prerogative dei signori, del clero e della nobiltà si avrebbe uno Stato popolare o meglio uno Stato dispotico”. Filangeri: parla di "monarchia ben costituita”. Filangeri rivolgeva ai baroni l’appello ad accettare la trasformazione dei feudi in libere proprietà private, contribuendo in tal modo allo sviluppo dell’agricoltura nazionale, all’accumulo delle ricchezze, alla creazione di un vero mercato fondiario, divenendo finalmente una vera élite naturale rispettata da tutti. Faceva un’attenta riflessione sui magistrati che non dovevano arbitrare ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 8. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE sulle leggi ; operando in questo modo la magistratura avrebbe ricoperto un ruolo allo stesso tempo di garanzia costituzionale e di equilibrio dei poteri. La legittimità del potere veniva sempre dal basso. Filangieri era un pensatore repubblicano e radicale, condannato a operare in un contesto storico dominato dalla crisi dell’antico regime e in una Napoli dove le riforme avevano nemici ovunque. Non bisogna trarre in inganno gli elogi a Federico II e alla grande Caterina per aver avviato riforme legislative è evidente l’orrore del giovane filosofo napoletano per le figure di despoti come Giuseppe II. Il dispotismo inteso come espressione di un che si poneva al di sopra delle leggi liberamente accettate da una comunità politica, restava pur sempre il vero polo negativo. Filangieri fu il massimo rappresentante del nuovo repubblicanesimo del tardo Illuminismo, sensibile alla difesa dei diritti dell’uomo e all’affermazione di un preciso progetto costituzionale. Era fondamentale come si esercitava l’autorità, il rispetto decisivo da parte del potere delle garanzie della legge: la salvaguardia, prima di ogni cosa della libertà civile e dei diritti dei singoli cittadini. Benché fosse evidente la simpatia verso l’esperimento democratico americano credeva che ogni forma di governo avesse vantaggi e svantaggi, quindi non sempre una repubblica democratica poteva garantire meglio i diritti dell’uomo, la cittadinanza e lo stato di diritto rispetto ad una monarchia costituzionale. “in ogni società ci sono due forze: una fisica (l’uomo) e una morale (governo). Il vantaggio di una “monarchia ben costituita”: “…è che la forza morale si trova combinata con la minore quantità di forza fisica. Nella democrazia la forza morale è unita alla massima forza fisica”. La monarchia ben costituita poteva rappresentare il vantaggio di una maggiore certezza nel rispetto della legge e della libertà civile dei cittadini qualora si fosse approdata a una costituzione scritta e costante all’americana. Restava pur sempre il problema della partecipazione dei cittadini al potere legislativo e alla formazione della volontà politica. Filangieri ed altri illuministi affidavano l’esercizio della sovranità popolare all’opinione pubblica. 8 Per poter realizzarsi necessitavano 2 condizioni a cui Filangeri dedicò il quarto volume della Scienza della legislazione : • istruzione e educazione pubblica del popolo : necessitava di un diretto impegno del governo e doveva coinvolgere il maggior numero di individui, allargandosi a tutti i ceti sociali, nelle forme e nei modi più appropriati alla condizione di appartenenza dei soggetti. • garanzia della libertà di stampa : si fondava sul presupposto illuministico (Kant) che l’uso pubblico e critico della ragione in ogni campo rappresentava uno strumento per il progresso e l’emancipazione dell’umanità. La Scienza della Legislazione ebbe in Italia e all’estero un successo straordinario a fine secolo e divenne il manifesto del pensiero politico del tardo Illuminismo europeo, colpiva tra l’altro la forte e dichiarata polemica con Montesquieu, uno dei personaggi chiave del dibattito giuspolitico europeo del Settecento. Però accanto alle critiche Filangeri aveva per Montesquieu pubblici e sinceri riconoscimenti (“… questo tratto di gratitudine è un tributo che io offro ad un uomo che ha pensato prima di me e con i suoi errori mi ha istruito e mi ha insegnato la strada per trovare la verità”). MONTESQUIEU FILANGERI Indagare sulle garanzie di libertà nel mondo moderno Individuare un nuovo ordine giuridico capace di dar vita ad una società più giusta ed equa che metteva al primo posto i diritti dell’uomo Prima metà del Settecento, in cui prevaleva la Tardo Illuminismo la crisi del meccanicismo fisico- razionalità di tipo meccanicistico, cartesiano e matematico di tipo galileiano e newtoniano, il newtoniano che mutava dall’immagine di un ordine trasformismo delle specie animali, la scoperta della naturale fisso ed immobile il modello per comprendere dimensione storica della natura, la definizione su cosa anche l’ordine politico-sociale: l’universo-macchina si dovesse intendere per scienza avevano incrinato la con le sue ferree leggi matematiche serviva alla precedente razionalità e di conseguenza anche l’ordine comprensione razionale delle immutabili leggi sociali e pubblico e sociale pareva suscettibile di cambiamenti. delle scienze umane. Percepiva la realtà come un soggetto dato e definitivo Mirava ad individuare le regole e i principi di una le cui leggi eterne e razionali andavano indagate e futura legislazione universale e cosmopolita, piuttosto comprese in termini sociologici e storici. che studiare lo spirito e la natura delle leggi in quanto ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 9. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Era poco utile interrogarsi sul concetto di società tali. giusta, sull’importanza di elaborare una legislazione che assumesse come valori fondativi ultimi la giustizia Punti di riferimento società civile, diritti dell’uomo e e i diritti dell’uomo. giustizia. Per lui la storia e la natura avevano prodotto certi rapporti di forze e creato situazioni di dominio. Sensibilità per argomenti come la natura del potere costituente, il complesso rapporto tra sovranità Poco interesse per l’analisi dei meccanismi del popolare e costituzione. mutamento delle costituzioni e del potere costituente. Presenza di una costituzione scritta e sintetica di principi e di leggi fondamentali sul modello americano, il suo interesse per questioni che noi oggi chiamiamo la verifica di costituzionalità delle leggi ordinarie. La legge rappresentava per Filangieri il mezzo per garantire la libertà civile e i diritti dell’uomo in una società giusta ed equa, ma rimane uno strumento fortemente condizionato dal contesto storico, la cui forma era mutevole e revocabile nel tempo della volontà politica. Una perfetta legislazione non era mai esistita e probabilmente non sarebbe mai esistito, tuttavia i diritti fondamentali dell’uomo erano un punto fermo per costruire legislazioni a favore dell’emancipazione umana. Filangieri proponeva la creazione di un nuovo potere costituente capace di produrre una “pacifica rivoluzione”. Formulò la proposta di ricorrere alla creazione di una nuova magistratura : il censore delle leggi. Questa magistratura aveva il compito di segnalare al legislatore quando una legge cominciava ad essere “in contraddizione coi costumi, col genio, con la religione”. Doveva garantire l’omogeneità e l’efficienza dell’intero corpus legislativo. I censori avevano il compito di indicare la corretta interpretazione dei provvedimenti legislativi rispetto alle leggi fondamentali ed eventualmente proporne la eliminazione I poteri reali dei censori erano volutamente limitati : essi non potevano concretamente abrogare nessuna legge, 9 la loro funzione è consultiva, per non ledere la principale funzione della facoltà legislativa La costruzione del nuovo costituzionalismo: sciabilità massonica ed eguaglianza Bisogna ricordare che la Scienza della Legislazione fu scritta in un periodo particolare nella storia del moderno costituzionalismo occidentale: tra due rivoluzioni, quella americana e quella francese; in un’epoca di crisi, di transizione e di rapidi mutamenti. Con le sue riflessioni Filangieri contribuiva a chiarire de finitamente il senso moderno di “piccolo codice a parte delle vere leggi fondamentali”. Filangieri come Rousseau nel Contratto sociale e i rivoluzionari americani, preferiva sottolineare il carattere artificiale e volontario, politico prima che storico e giuridico, dell’elaborazione di una costituzione. Egli era convinto che il ricorso della corporazione dei magistrati e degli aristocratici di sangue seguaci del costituzionalismo dell’antico regime minava alle fondamenta tutta la sua idea di una nuova scienza della legislazione da fondare ex novo sulla base dei diritti dell’uomo e dei nuovi principi illuministici. All’uso più ampio della parola costituzione, come regolamento e forma di governo di un corpo politico naturalmente sviluppatosi nel tempo, egli anteponeva l’uso legale del termine, inteso come legge scritta da contrapporre al primato dei costumi e delle consuetudini. Questo uso si era affermato a partire dalla metà del XVI secolo nell’ambito del diritto canonico per indicare le leggi della Chiesa, degli ordini religiosi e, prima ancora, come tramite per la stesura degli antichi statuti comunali in età medievale. In antico regime i due usi parevano il più delle volte confondersi in definizioni generiche, come quella formulata da Bolingbroke nel 1727, nella celebre opera “the British Constitution: Or, the Fundamental Form of Government in Britain” che tanto influenzò Montesquieu , oppure nella definizione di Vattel che diceva “chi formula la Costituzione dello Stato non era altro che il regolamento fondamentale che determina la maniera in cui deve essere esercitata” (pur precisando la differenza tra potere legislativo, forma di governo e Costituzione, non scioglieva i dubbi sulla forma e natura di quest’ultima). Solo le vicende americane erano in grado di imporre una svolta decisiva e i contenuti del moderno pensiero costituzionale. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 10. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Fondamentale fu per Filangieri quanto avveniva in America, ma anche la lunga militanza nell’ordine massonico. Alla fine del 700 nelle logge napoletane erano presenti tutti i massimi esponenti della Repubblica letteraria, gran parte del ceto dirigente e delle élites urbane della Capitale. Il fenomeno era catalizzatore una peculiare cultura illuministica in cui si mescolavano, rinnovandosi, sia gli antichi ideali del giusnaturalismo, sia la volontà di riforma politico sociale dei nuovi lumi, sia l’ideologia del progresso del movimento scientifico, dando vita ad una sensibilità religiosa del tutto nuova (rifletteva in modo diverso il rapporto tra morale e politica). Filangieri (“novello Filandro” dato dal suo istitutore monsignor Luca Nicola De Luca) sperimento, attraverso l’esperienza di massone, la nascita di una religione dell’umanità. Le logge gli apparvero uno straordinario laboratorio politico, che prefigurava nel segreto delle sue pratiche, formalmente aperte a chiunque, un nuovo ordine sociale rispetto alle tradizionali logiche “cetuali” e corporative dell’antico regime, trasformando i sudditi in cittadini liberi ed eguali. I massoni con il giuramento attribuivano un carattere sacrale di legge ai loro regolamenti, attraverso cui queste società private si reggevano e governavano costituzionalmente. Lo “spirito repubblicano” presente nelle logge conobbe una fase nuova grazie agli scritti di Jonh Locke e di James Anderson (Constitution of the Free-Mason, 1727). La traduzione di Locke in francese, ad opera di David Mazel, diffusa attraverso la loggia di Amsterdam (bien Aimée), forzava volutamente in senso radicale del pensiero e contribuiva ad avviare un ripensamento critico del vecchio repubblicanesimo classico, rielaborato in Italia nell’età di Macchiavelli. Negli anni ’70 il fenomeno di politicizzazione della massoneria europea, si accompagnava sia alla riflessione sugli esiti della guerra dei Sette anni, che aveva cambiato gli equilibri europei ponendo all’attenzione modelli istituzionali e culturali di potenze inattese come Russia e Prussia, e alla meditazione della crisi del modello costituzionale britannico. Nel continente nella massoneria templare (della Stretta Osservanza) la lettura di critica al dispotismo, di cui “Della Tirannide” di Vittorio Alfieri, aveva fatto nascere il desiderio di fondare uno Stato massonico, una terra libera costituzionalmente governata da leggi scritte (come quelle dei regolamenti massonici). “la Libertas Americae” doveva diventare lo stimolo contro il dispotismo in Europa, solo Lessing nel 1778, nei 10 “dialoghi” in cui ebbe il coraggio di ironizzare sui fratelli che “in Europa combattono per gli Americani”, tuttavia il nuovo mito americano scatenava sogni e passioni sociali. Richard Price e Paine erano impegnati al servizio della Rivoluzione Americana. Paine era impegnato nella loggia parigina “Neuf Soeurs”, con cui Filangieri, Franklin, Jean-Antoine Gauvin Gallois (traduttore francese de la scienza della legislazione) avevano relazioni. Questa loggia aveva anche contatti con i due “venerabili” Charles Dupaty e Claude Pastoret che furono decisivi negli anni prima della rivoluzione del 1789. La fusione tra il mondo illuministico e la vita intellettuale del mondo delle logge, due mondi dalle origini diverse e che per molto tempo si erano ignorate portò a maturazione, in particolare a Napoli, molti temi presenti nella Scienza della Legislazione, tra cui l’uguaglianza; fu proprio la massoneria ad innescare il dibattito settecentesco sull’argomento, come risulta da documenti e testimonianze delle logge. Nei cerimoniali d’iniziazione e nelle riunioni: era prassi comune ricordare agli apprendisti che tutti i fratelli erano uguali. Unica distinzione ammessa era in funzione della virtù e del talento, non certo della nascita. Dall’esterno ci furono relazioni preparate dalle autonomie ecclesiastiche per denunciare e processare le attività segrete dei fratelli. Accanto a quelle che potremmo definire le pratiche egualitarie delle logge si sviluppò a Napoli una riflessione teorica che non si limitava a riassumere le tradizionali posizioni di Platone, Aristotele, Cicerone, dello stoicismo e del cristianesimo primitivo, sino alle più recenti interpretazioni rinascimentali e dei pensatori della Riforma. Antonio Genovesi ( titolare della cattedra di etica all’Università napoletana nel 1745, e maestro di Filangieri) nella Diceosina o sia della filosofia del giusto e dell’onesto tirava le fila sulla secolare discussione sui caratteri e forme dell’eguaglianza, rilanciando per intero le riflessioni di Aristotele (che in “Politica” spiegava che a seconda del contesto storico e delle necessità del momento, era necessario servirsi ora dell’eguaglianza numerica ora di quella basata sul merito; il problema nasceva dalla constatazione sviluppata nell’”Etica Nicomachea” in cui “ tutti concordano che nelle ripartizioni vi debba essere il giusto secondo il merito, però i democratici lo vedono nella libertà, gli oligarchici nella ricchezza o nella nobiltà di nascita, gli aristocratici nella virtù. Quindi il giusto è in un certo senso una proporzione. In Politica “ la giustizia , nella concezione democratica, consiste nell’eguaglianza secondo cui il numero e non secondo il merito, con la conseguenza che la folla sarà sovrana e che fine della città e giusto sarà quello che sarà parso ai più.” Genovese per i suoi scolari riassumeva che:”… l’Egualità tra due cose può aversi o nel numero, o nel peso, o nella misura, o nella stima”. Nei primi casi si parla di un’eguaglianza aritmetica: in cui veniva privilegiato il principio d’identità, cioè dando lo stesso a tutti. Ben più importante gli pareva l’eguaglianza di stima (in greco significava una forma di ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 11. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE eguaglianza equa tra i diversi che invece dava lo stesso solo agli stessi): come la chiamava Aristotele egualità di proporzione, vale a dire che quel “che mi dai stia ai miei bisogni come sta ai tuoi quel che ti do io”. Questo secondo tipo era un modo più equo che rispecchiava meglio la realtà sociale o l’oggettiva differenza tra gli individui. Per Genovesi l’equalità perfetta tra quello che si dà e quello che si riceve, questa egualità si chiama giustizia equità, cioè uguaglianza. Nelle logge inglesi, il principio di eguaglianza di stima dominò la vita interna ridefinendo fin dal principio le tradizionali gerarchie sociali, nobili, ricchi borghesi, esponenti delle professioni,, mercanti impararono a convivere e a praticare nel segreto delle logge i principi della cittadinanza egualitaria garantita dalle costituzioni. L’identità massonica stava nella convinzione che il merito non è con la nascita, questo doveva costituire l’elemento fondamentale dell’ordinamento sociale e politico. A Napoli, in un contesto storico che vedeva per la prima volta l’avvento di una grande monarchia nazionale decisa a riplasmare, attraverso l’assolutismo, il vecchio ordine sociale, molti esponenti della più antica nobiltà di sangue entrarono nelle logge, assumendone il più delle volte il comando e la direzione intellettuale, con la speranza di rilanciare la loro storica funzione politica ai vertici della società. Fautori di una inedita “vera nobiltà”, di una “nobiltà virtuosa”,che rafforzava e accompagnava il decoro delle origini con la pratica della virtù civica, essi fecero pubblicamente propri i principi di competenza, della professionalità e del talento. Da ricordare il principe di Sansevero che aveva la direzione dell’intero movimento massonico del mezzogiorno, in quanto all’inizio era ancora presente sullo stesso piano l’importanza dei natali illustri con la fama di uomo virtuoso e sapiente, dopo pochi decenni però il merito e la virtù scalzarono definitivamente il primato di sangue. Alla fine del secolo, proprio all’interno della massoneria sarebbe partita la battaglia finale contro i diritti di sangue, il principio di ereditarietà e dei privilegi feudali a opera di aristocratici come Filangieri. La storia dell’eguaglianza nel Settecento conobbe il suo momento decisivo con la pubblicazione delle opere di 11 Jean- Jacques Rousseau che costituivano una sfida frontale e decisiva per la stessa identità profonda dei massoni. Le famose riflessioni sulla storia della disuguaglianza come segno del moderno male sociale storicamente espresso attraverso l’inarrestabile intreccio tra le prime forme di divisione del lavoro, la nascita del mio e del tuo, lo sviluppo delle scienze e delle arti, del commercio e delle ricchezze, e quindi del lusso, che comportava inevitabile corruzione, il crescente disagio umano verso una civiltà delle apparenze in cui dominatori e dominati mostravano di aver perso per sempre la loro primitiva umanità di uomini liberi, autonomi ed eguali, suonavano come aperta e clamorosa condanna della civiltà dell’Occidente. La corrosiva ed affascinante critica della modernità da parte del ginevrino rivela impietosamente le contraddizioni e il volto oscuro di un progresso economico e materiale che stava mutando l’originaria essenza umana della persona, dal buon selvaggio all’infelice e alienato borghese dei grandi agglomerati urbani europei (una forza misteriosa sembrava all’opera per negare dalle fondamenta la politicità dell’uomo, quel suo essere, come spiegava Aristotele, “zoon politikòn” : individuo naturalmente dotato di volontà e di possibilità di scelta ). Con Rousseau il repubblicanesimo degli antichi riappariva sulla storia armato di nuove e più potenti argomentazioni filosofiche. Laddove Montesquieu, nell’Esprit des lois indicava nel regime misto inglese e nella costituzione della Gran Bretagna l’unica forma moderna del repubblicanesimo, Rousseau parlava di democrazia diretta, rivisitata alla luce della volontà generale e del governo legittimo, il nesso tra ricchezza e corruzione, la denuncia del talento come fonte di disuguaglianza e freno al diffondersi delle virtù civiche, la critica della rappresentanza politica e del lusso corruttore dei costumi civici. Questo destava inquietudine in ogni settore della vita politica ed intellettuale del continenti, soprattutto tra i philosophes, che misero al bando sia il discorso sulle scienze e sulle arti sia quello tra le disuguaglianze tra gli uomini con l’accusa di aver ceduto al primitivismo e di aver elaborato come scrisse perfidamente Voltaire: “la filosofia di un pezzente che vorrebbe che i ricchi fossero derubati dai poveri…””…a leggere il vostro libro viene voglia di camminare a quattro zampe”. In Italia da Nord a Sud furono pronunciate parole sprezzanti contro i velenosi scritti del ginevrino che mettevano in dubbio decenni di sforzi da parte dei protagonisti della Repubblica letteraria volti a promuovere lo sviluppo economico e sociale della penisola proprio attraverso la diffusione delle scienze e delle arti e del commercio. Da Antonio Genovesi a Isidoro Bianchi, da Gianrinaldo Carli a Pietro Verri, l’Illuminismo italiano fece muro contro quelle critiche verso la modernità che invece trovavano subito orecchie attente e sensibili nel mondo cattolico. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 12. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Ma fu soprattutto nelle logge che prese corpo una forte reazione, e non poteva essere diversamente se si esamina con attenzione la filosofia della storia enunciata sin dalle prime Constitution di Anderson. La conoscenza in tutte le sue forme: dalla geometria all’architettura, dalla vecchia alchimia alla nuova chimica, lo sviluppo delle nuove scienze naturali e delle moderne professioni costituiva la rigenerazione dell’uomo e della scienza massonica. Verso questa precisa scelta di campo si erano indirizzati i contributi di fratelli autorevoli e Gran maestri dell’ordine: Desaguliers (newtoniano), Ramsay (fautore dell’enciclopedismo settecentesco), Franklin ( padre dell’elettricismo). La stessa logica egualitaria dei massoni, ridefinita a partire dalla stima, dal merito e del talento era messa in discussione dai paradossi rousseauiani. Nelle logge la nuova gerarchia che si legittimava sulla base del talento, i numerosi “frères à talens”che lavoravano nel teatro, nella musica, nella letteratura, nella pittura, non amavano certo il rozzo primitivismo teorizzato dai seguaci dal ginevrino, diffidenti verso ogni forma di genio e di possibile differenziazione sociale. La risposta più organica all’egualitarismo e al repubblicanesimo degli antichi, nuovamente messo in campo da Rousseau, venne dalle logge napoletane e soprattutto da Francescantonio Grimaldi . Francesco Grimaldi era un raffinato studioso, Venerabile maestro della loggia “L’humanitè”, pubblicò nel 1779 tre volumi, dal titolo Riflessioni sopra l’ineguaglianza tra gli uomini ( che per intelligenza e cultura sarebbe potuto diventare uno dei testi chiave del pensiero politico europeo, ma era un testo molto lungo) in cui poneva in termini del tutto originale la questione delle origini e delle cause della disuguaglianza, rovesciando le tesi di Rousseau, con un risultato non meno inquietante delle ipotesi confutate. Grimaldi voleva rifondare per la prima volta in Italia le stesse basi teoriche della riflessione politica dei contemporanei: “il Teatrise on Human Nature”di Hume, il crudo realismo del “Principe” di Macchiavelli costituivano le stelle polari di una scienza empirica della politica decisa a operare su fatti concreti, studiando sulla base di apporti di discipline come la medicina, l’anatomia comparata, la fisiologia, la chimica, l’etnologia, la statistica, “l’essenza morale, fisica e politica della scienza umana”, in modo realistico e non con i modi moderni di alcuni filosofi della politica in vena di utopie, in quanto bisogna considerare gli uomini per quello che sono e non come potrebbero o dovrebbero essere. 12 Con questo spirito scientifico Grimaldi procedeva a quella che noi definiremmo la “falsificazione” delle ipotesi di Rousseau circa “l’uguaglianza che la natura ha messo fra gli uomini e sulla disuguaglianza che essi hanno istituita” mediante la nascita della moderna società civile. RUOSSEAU GRIMALDI Aveva ipotizzato l’esistenza di un uno “stato natura” Polemizzava contro la rappresentazione della dove individui isolati, indipendenti, liberi, eguali e disuguaglianza e si rallegrava del fatto che l’ipotesi felici come potevano essere solo gli uomini senza dello“stato di natura”avesse finalmente subito recenti e bisogni e senza contatti con i propri simili, vivevano dure smentite ad opera di Voltaire e degli illuministi privi dell’angoscia del tempo e quindi della morte, cui scozzesi. era subentrata per “cause esterne” dovute alle scoperte Però bisognava provare scientificamente che lo stato della metallurgia e dell’agricoltura, alla divisione del di naturale dell’uomo è la società e che l’uomo più lavoro e all’appropriazione del suolo, una nuova età colto, più scienziato, più distinto nella società civile contraddistinta dalla disuguaglianza morale. nono è che un essere che sente, pensa, vuole com’è Quest’ultima era il frutto negativo delle convenzioni, di il selvaggio più stupido e brutale. una società civile governata dalla legge dell’apparire e Da sempre esiste la disuguaglianza fisica tra gli uomini, del mascheramento, del dominio di pochi su molti. ed è provata da una sterminata letteratura scientifica, Se nello “stato natura” la disuguaglianza fisica tra che si porta appresso una disuguaglianza morale. individuo ed individuo era “appena sensibile”, nella La vera storia della disuguaglianza va definita come società moderna creata dallo sviluppo economico, dalle una complessa miscela tra le potenzialità fisiologiche ricchezze, l’apparizione della “disuguaglianza di ogni individuo e i condizionamenti che subiva da morale”aveva cambiato tutto procurando infelicità ed parte del clima, dell’ambiente, della storia e della alienazione all’interno di una logica evolutiva perversa cultura delle nazioni a cui apparteneva. sino al raggiungimento della fase ultima e drammatica L’uomo era sempre stato lo stesso, un misto di natura e del dispotismo, quando paradossalmente, l’umanità storia dove regnava la diversità. tornava al punto di partenza tutti di nuovo eguali, La disuguaglianza era il destino dell’uomo. questa volta non per legge di natura, ma per volontà di Una società senza gerarchie non era mai esistita e mai un uomo solo. sembrava poter esistere. Una delle poche prove portate da Rousseau fu l’uso: del Disuguaglianza rivista partendo dalle opere di selvaggio, descritto nella letteratura dei viaggiatori, scienziati, di Macchiavelli e di Vico. come mito e buono, e indicato come una testimonianza Ne risultava una radicalizzazione di stampo vivente di una fase evolutiva intermedia tra uomo conservatore delle tesi illuministiche a favore della ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 13. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE primitivo e uomo sociale. moderna società civile. L’analisi scientifica di Grimaldi si concentrava sulle società dei selvaggi e sulle indicazioni da trarre sui testi dei viaggiatori. Il buon selvaggio diventava un essere abietto, cattivo, violento, sanguinario, come realmente appariva a molti esploratori, la disuguaglianza fisica, la forza e la violenza degli individui predominavano sulla disuguaglianza morale, lasciando campo libero all’istinto della specie, al bisogno di sussistere, agli aspetti più animaleschi e ripugnanti dell’umanità. Per Grimaldi le assurde pretese di eguaglianza politica avevano prodotto solo sanguinose “rivoluzioni politiche” e nuovi dispotismi: l’ingloriosa fine dei “livellatori inglesi”, lo strazio di Masaniello, e la ferocia mostrata dei lazzaroni napoletani nulla aveva insegnato agli utopisti sognatori di improbabili repubbliche fondate sulla comunità dei beni o sul mito dell’uguaglianza naturale degli uomini. Grimaldi guardava con preoccupazione la nuova rivoluzione dei coloni americani, con le speranze di “palingenesi sociale”, un segnale allarmante gli era parso la rivendicazione voluta da Jefferson nella Dichiarazione di Indipendenza circa il “diritto di essere felice”. Questa richiesta posta tra i diritti naturali dell’uomo gli pareva priva di senso e molto pericolosa, come in genere tutta la recente retorica giusnaturalistica dei diritti dell’uomo che tanto piacevano agli allievi di Antonio Genovesi, suoi fratelli nelle logge di rito inglese (che dicevano che “Quando fosse vero che la natura ci desse un diritto alla felicità, ci dovrebbe dare una forza fisica o morale corrispondente al desiderio di conseguirla; invece Grimaldi ribadiva che alcuni uomini mostravano di avere questa forza fisica e morale). Con le Riflessioni di Grimaldi l’Illuminismo italiano trovava la prima importante lettura moderata e conservatrice, 13 capace di integrare le ragioni politiche e giuridiche del costituzionalismo cetuale di Montesquieu con una orgogliosa rivendicazione della disuguaglianza morale e politica delle èlites: le vere protagoniste della nascita in Occidente della moderna società civile. Al di là di alcune specifiche questioni Filangieri non condivideva quasi nulla delle tesi di Rousseau né di Grimaldi. Come Grimaldi e tutti gli illuministi italiani, anche Filangieri contestava apertamente i paradossi del grande ginevrino contro la modernità ed a favore del mito del buon selvaggio. Analizzando le “origini delle società civili”, egli confutava l’ipotesi di uno stato di natura prima dell’avvento della società civile in cui vivevano felici, liberi e indipendenti i primi uomini. A suo parere il selvaggio andava considerato alla stregua di un “uomo degenerato, un uomo che vive contro il suo istinto, contro la sua destinazione; in poche parole la rovina, la degradazione della specie umana piuttosto che il simulacro della sua infanzia. FILANGIERI LE “ORIGINI DELLA SOCIETA’ CIVILE” cioè prima dell’avvento della società civile era una società nella quale non si conosceva altra disuguaglianza che quella che nasceva dalla forza e dalla robustezza . Questa era una società i cui membri non avevano ancora rinunciato alla loro naturale indipendenza, non avevano ancora depositato la loro forza tra le mani di uno o più uomini, non avevano ancora affidato a questi la custodia dei loro diritti, non avevano ancora messo sotto la protezione delle leggi la loro vita, la loro roba il loro onore. Questa è una società nella quale ciascuno era sovrano perché indipendente, magistrato perché custode ed interprete della legge che portava scolpita nel cuore, giudice perché arbitro dei litigi che nascevano tra lui e gli altri. Filangieri sottolineava l’assenza di ogni forma di disuguaglianza morale in questa fase della vita dell’uomo. In polemica con Grimaldi rilanciava l’eguaglianza morale di tutti gli uomini in ogni stadio dell’evoluzione della specie, facendone la chiave di volta della sua interpretazione del patto sociale. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 14. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE La disuguaglianza di forza non si poteva estirpare da queste primitive società , con il tempo e lo sviluppo delle passioni avrebbe prodotto disordini. L’eguaglianza morale, non potendo reggere a fronte della disuguaglianza fisica, doveva soccombere sotto la preponderanza della forza. L’uomo più debole era esposto ai capricci del più forte. Bisognava porvi un rimedio. L’unico rimedio e che dato che non si poteva distruggere la disuguaglianza fisica senza rinunciare all’eguaglianza morale. Per essere tranquilli bisognava non essere indipendenti. Era fondamentale creare una forza pubblica che fosse superiore ad ogni forza privata. Questa forza pubblica si doveva comporre dall’aggregato di tutte le forze private. Era necessaria la presenza di una persona morale che rappresentasse tutte le volontà, che avesse tra le mani tutte queste forze. Era fondamentale che questa forza pubblica doveva essere unita a una ragione pubblica, la quale doveva fissare i diritti, regolare i doveri, mantenere l’equilibrio tra i bisogni di ogni cittadino con i mezzi per soddisfarli, che compensasse il sacrificio dell’indipendenza e della libertà naturale con l’acquisto di tutti gli strumenti propri per ottenere la conservazione e la tranquillità La società civile nasceva per garantire l’esistenza stessa dell’eguaglianza morale. Per questo il capovolgimento delle idee di Grimaldi era netto, ma anche la presa di distanza da Rousseau che vedeva nella modernità il male e la fonte della disuguaglianza morale. Filangieri dopo la lettura del secondo trattato sul governo civile di Locke, ripercorreva la questione dell’eguaglianza, adattando alla polemica continentale e italiana il linguaggio e le soluzioni del filosofo britannico. La rappresentazione di uno stato naturale, dove uomini liberi, eguali e indipendenti davano vita, proposta da Grimaldi. Il mantenimento nella società civile dei caratteri fondamentali dell’originaria “eguaglianza morale”, di cui parlava Locke, prendeva il posto della disuguaglianza morale di Rousseau. Per Filangieri l’uguaglianza morale era l’uguaglianza dei diritti Filandieri indicava nel modello repubblicano delle colonie americane l’autentica speranza di un avvenire migliore, quel popolo libero e commerciante stava sperimentando il tentativo di coniugare ricchezza e virtù attraverso la formulazione di una costituzione rispettosa dei diritti dell’uomo. 14 La ricchezza in sé non era più il male assoluto. Per Filangieri le ricchezze nel mondo antico derivavano dalle guerre mentre nel Settecento (anche per Grimaldi e gli illuministi scozzesi) la produzione di ricchezza si fondava sul lavoro quotidiano, sul progresso scientifico e sulla crescita delle economie nazionali senza ricorrere alla violenza. Per Filangieri : 1. il principio che la ricchezza corrompe un popolo solo quando essa è ingiustamente ripartita 2. un popolo ricco poteva non solo aver più facilmente accesso alla felicità, soddisfacendo i bisogni materiali, ma anche nella pratica delle virtù, poiché vivere virtuosamente rendeva felici e la ricchezza consentiva di accedere più facilmente alla felicità (attraverso donazioni ad ospedali, accademie e università). La causa della corruzione non deriva dallo sviluppo ma dall’accesso di pochi e l’eccesso della miseria di molti. La personale riflessione di Filangieri sull’eguaglianza della ricchezza poteva avvenire solo con la nascita di una repubblica e non attraverso il rilancio anacronistico e impraticabile molto lontane dalle sue proposte costituzionali e legislative di tipo comunista della “Repubblica” di Platone o con il ricorso alle leggi agrarie dell’Antica Roma imponendo con la violenza “l’eguaglianza precisa delle fortune e dei fondi. Però lo sviluppo aveva messo in atto un processo irreversibile, da qui la conclusione che non fosse possibile ottenere una precisa eguaglianza nelle famiglie di uno stato. Tuttavia ciò non impediva di adottare una politica costituzionale e di garantire le condizioni sociali necessarie alla pratica delle virtù civili, intese come libera partecipazione alla vita della comunità. Filandieri affermava che non era necessario che i cittadini siano ugualmente ricchi, ma che le ricchezze siano equabilmente diffuse. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 15. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Quindi bisognava unire realismo all’utopia, andare oltre l’eguaglianza dei diritti civili e politici di cui parlava Locke nel suo Secondo trattato sul governo, bisognava allargarle alle tematiche sociali ed economiche. Bisognava distinguere quando era necessario il concetto di eguaglianza come equità (nel campo sociale ed economico) dal concetto di eguaglianza aritmetica ( nel campo politico e civile). Filangieri era consapevole che gli uomini non erano mai stati eguali e mai lo sarebbero stati se non creando, con la forza e la violenza, situazioni di palese ingiustizia. L’unica politica realmente possibile era quella di combattere gli eccessi della disuguaglianza, riducendone la presenza e gli effetti. Grimaldi (realismo politico) predicava la rassegnata accettazione delle naturali differenze in ogni campo. Rousseau e Mably (utopismo radicale)che invocavano il ritorno all’uguaglianza degli antichi. Filangieri affidava alla nuova politica illuministica, fondata sul governo e sulle leggi, il compito di ridurre con tutte le armi possibili la disuguaglianza dei moderni e i suoi effetti drammatici e disumani, destinati inevitabilmente a moltiplicarsi con la crescita economica e lo sviluppo delle “scienze e delle arti”. La scuola giusnaturalistica napoletana e la fondazione storica e filosofica dei diritti dell’uomo Per Filangieri la centralità dei diritti dell’uomo rappresentava una delle chiavi di lettura della Scienza della legislazione, precisava il diritto di resistenza dei coloni americani e quindi la legittimità della loro rivoluzione: “i coloni devono avere diritti e prerogative comuni, e tra questi il diritto più prezioso è la proprietà e la libertà di disporre di quello che era loro. Questi diritti l’uomo li acquista con la nascita e la società e le leggi li devono garantire. I diritti formano la nostra esistenza politica come l’anima e il corpo formano l’esistenza fisica. Questi diritti preziosi che non potrebbero 15 essere tolti senza scioglierci dal nodo che ci unisce allo Stato, questi diritti dal cui possesso non ci può mai essere interdetto, e l’esercizio ci può essere sospeso per un bisogno urgente, inevitabile ed universale dell’intero corpo sociale, al contrario, quando questa causa non esiste (come nel nostro caso), quando questa divinità che si chiama interesse pubblico non può essere interamente placata da questo violento e spaventevole sacrificio, allora la soppressione anche solo momentanea di questo esercizio, diviene un’ingiustizia spaventevole, un attentato pericoloso, un’oppressione manifesta. La teoria dei diritti dell’uomo per il filosofo napoletano per il rispetto dei diritti, la cui violazione da parte del governo inglese costituiva non solo il motivo principale per l’esplosione rivoluzionaria e della fondazione della nuova Repubblica americana, ma anche il punto di riferimento nel definire i rapporti tra gli individui, tra essi e il potere politico, tra i popoli e tra gli Stati e le loro controversie. Filangieri nell’indicare le strade necessarie per costruire un giusto ed equo ordine politico e commerciale internazionale, rilanciava il postulato etico dell’eguaglianza naturale degli uomini inteso come eguaglianza dei diritti anche nel settore dei conflitti commerciali. Per evitare le guerre determinate da forme esclusive dell’imperialismo economico andava applicato il principio secondo cui una giusta idea del “commercio vuole che tutte le nazioni si riguardino come una società unica, tutti i membri devono avere eguali diritti di partecipazione ai beni di tutte le altre. Nel terzo volume della Scienza della legislazione, del 1783, interamente dedicato alle Leggi criminali, ogni pagina di quel trattato si fondava sul patto ideale tra liberi ed eguali e sulla garanzia fornita dalla legge positiva circa il rispetto dei diritti naturali che ogni individuo portava con sé dalla nascita. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 16. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Diversa visione tra Cesare Beccaria e Filangieri BECCARIA FILANGIERI Metteva in primo piano l’elemento sociale e Considerava il diritto di punire un diritto convenzionale del diritto di punire, frutto della fondamentale dello stato primitivo che era rinuncia degli uomini nello stato di natura a parte precedente alla società civile. della loro libertà originaria. Era un diritto prioritario per garantire non solo “ fu la necessità che costrinse gli uomini a cedere l’esistenza di tutti gli altri, ma il rispetto stesso parte della propria libertà, ciascuno non ne vuol della legge di natura tra gli individui e tra le mettere che la minima porzione possibile, quella nazioni. sola che basti ad indurre gli altri di difenderlo. L’aggregato di queste minime porzioni possibili forma il diritto di punire”. Mescolava elementi tratti da Locke, Rousseau per Separava la società naturale (diritti dell’uomo) e la dare sostanza e forma alla proposta di nuovi ideali società civile. umanitari circa la mitezza delle pene e il rifiuto Questi diritti dati dalle 2 società compongono i della pena di morte. diritti sociali quando la società li dà o li difende. Il diritto di punire andava collocato tra i diritti naturali dell’uomo Pena di morte: pena di morte: “quale può essere il diritto che si attribuiscono gli replicava affermando che: “l’uomo nello stato di uomini di trucidare i propri simili? Non certamente natura ha diritto alla vita, ed egli non può 16 quello dal quale risultano la sovranità e le leggi che rinunciare a questo diritto, ma può perderlo con i rappresentano la volontà generale suoi delitti. (Bobbio (in L’età dei diritti) dopo aver dibattuto le ragioni filosofiche, etiche contrarie e favorevoli alla pena capitale, afferma che in ultima analisi contro la pena di morte non resta che ricorrere alle ragioni umanitarie e al comandamento mosaico che invita a non uccidere i propri simili.) Filangieri dedicava un intero capitolo sulla legittimità della pena di morte correggendo le riflessioni di Pufendorf e di Rousseau, ritenute contradditorie anche se espresse a favore della pena capitale e polemizzando con Beccaria, a cui però si sentiva vicino nella comune battaglia umanitaria per ridurre al minimo indispensabile quel “veleno micidiale”rappresentato dall’abuso della pena di morte in antico regime. Ciò che colpisce nella lettura del trattato di diritto penale di Filangieri è la sua organica completezza, a partire da pochi “principi generali” tratti dalla teoria dei diritti dell’uomo. Filangieri dava ai legislatori il compito di creare i futuri codici penali. Il filosofo spiegava che la pena non era altro che la “perdita di un diritto”come conseguenza di un delitto nato dalla violazione di un patto. Lo scopo della pena doveva mirare sia ad impedire il danno alla società, sia a dissuadere altri dal compiere reati. Il significato politico del giusnaturalismo di Filangieri è la sua interpretazione repubblicana e fortemente egualitaria della teoria dei diritti dell’uomo. Nei confronti di una larga adesione del movimento illuministico del Nord della penisola al cosiddetto dispotismo illuminata e alla lettura filo-assolutistica del giusnaturalismo proposta ad esempio da Puferdorf e dalla scuola giuridica austriaca, Filangieri non esitava a indicare nel diritto do punire (collocato nello stato di natura) un aspetto particolare e decisivo del più grande diritto di resistenza dei cittadini alle violazioni del factum subiectionis da parte del sovrano. Esplicite erano in tal senso le sue polemiche risposte a Pufendorf e a quanti sostenevano la natura convenzionale e l’attribuzione del diritto di punire alle prerogative della sovranità, affermando che la pena aveva senso e legittima solo come “atto di autorità di un superiore verso un inferiore. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 17. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Ciò era impossibile da realizzarsi in uno “stato di natura”, dove invece regnava l’uguaglianza tra gli uomini. Filangieri precisando le implicazioni teoriche nell’intendere il concetto d’uguaglianza: “se si ammetteva che gli uomini erano da considerare uguali nello stato naturale perché hanno eguali diritti, allora è possibile affermare che qualora uno perde un diritto mentre gli altri lo conservano, colui che lo perde non è più naturalmente uguale a coloro che lo conservano. Di conseguenza tutti gli altri che non hanno perduto questo diritto sono superiori a lui, e come tale possono punirlo, il delitto nello stesso tempo distrugge l’uguaglianza trasmette il diritto di punire”. Le tesi secondo cui il diritto di punire andava considerato uno dei principali diritti naturali dell’uomo era la premessa per l’eguaglianza di tutti di fronte alla legge. Lo scopo era di garantire la libertà civile, ovvero la sicurezza e la tranquillità di tutti i membri della comunità politica. Per Filangieri era un’ingiustizia contro la società, lasciare al monarca la possibilità di graziare i ministri, generali, cortigiani colpevoli di gravi reati e consapevoli che in un sistema assolutistico e dispotico dove regnava il privilegio e la distinzione sociale. L’idea repubblicana dell’individuo come titolare del diritto di punire in quanto uomo si intrecciava alla richiesta di partecipazione diretta all’amministrazione della giustizia risultava ancora più evidente nel volume della procedura penale i cui punti fondamentali erano: • la rivendicazione dei diritti civili e di libertà per gli accusati prima della condanna; • la liquidazione del processo inquisitoriale da sostituire con il processo accusatorio secondo l’antico sistema della Roma repubblicana; • la creazione di giurie popolari; • la revisione dei meccanismi d’appello e di ricusazione dei giudici; • l’umanizzazione della detenzione delle pene, l’abolizione della tortura. L’obiettivo finale doveva garantire sia la maggiore sicurezza per gli innocenti, sia il maggiore spavento per i malvagi sia il minore arbitrio per i giudici. Filangieri denunciava il processo inquisitoriale definito “un metodo assurdo e feroce che solo il dispotismo poteva ideare” e che la Chiesa cattolica aveva contribuito in età medievale ad affermare in occidente, legittimandolo attraverso procedure previste dal diritto canonico, e distruggendo in un colpo solo gran parte 17 delle conquiste di civiltà del mondo antico. Inquisizione: era una procedura senza garanzie per l’imputato, che univa nella stessa persona l’accusa e il giudice, essa privava il cittadino di “tutti quei diritti dei quali solo la violenza ci può spogliare”. L’inquisitore deciso a trovare le prove della presunta colpevolezza ricorreva alla carcerazione, alla tortura, agli interrogativi violenti e ogni umiliazione capace di offendere la dignità umana. Ancora una volta contro Montesquieu che aveva negato potesse aver senso in una grande monarchia moderna ripristinare il processo accusatorio romano, in quanto la sua attuazione presupponeva la presenza di un forte “spirito repubblicano” e la diffusione delle virtù civiche del mondo antico, Filangieri replicava che la “libertà di accusare” da parte di tutti i cittadini faceva parte del diritto di punire e prescindeva dal tipo di forma di governo e dalla sovranità stessa. Filangieri dimostra come la tortura rappresentasse una degenerazione nata con il “dispotismo dei primi Cesari” con l’introduzione della “legge Giulia” che allargava ai reati d’opinione i delitti di ”lesa maestà”. In seguito i barbari e la chiesa di Roma avevano trasformato la tortura in una strumento di verità e giustizia. Filangieri apparteneva a una nuova generazione di riformatori illuministi che pur utilizzando il linguaggio e gli schemi del giusnaturalismo ne trasformava le modalità e gli obiettivi. Il grande problema storico aperto con il moderno giusnaturalismo era la definizione di una nuova cittadinanza (diversa dal modello assolutistico del cittadini-suddito) in cui i diritti dell’uomo attraverso il contratto e la partecipazione all’esercizio della sovranità, fossero in grado di fondersi con le ragioni della comunità politica e sociale costituiva il cuore stesso del pensiero politico del tardo Illuminismo, soprattutto dopo la rivoluzione americana. Questo poteva avvenire solo attraverso una radicale riforma legislativa dell’antico regime, come auspicavano Rousseau, Beccaria e soprattutto Helvètius, loro dicevano che si poteva comporre interessi pubblici e privati, coniugare diritti e doveri, individui e sovranità, riconoscendo il legame tra politica e diritto nel mondo moderno. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 18. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Voltaire espresse la necessità di questo passaggio in “Dictionnaire philosophique”in cui faceva chiedere a un personaggio ad un saggio bramino indiano in quale stato, sotto quale dominio avrebbe preferito vivere, egli gli rispose “dove si obbedisce solo alle leggi”, il personaggio allora gli chiese dove si trovava questo paese, la risposta fu molto significativa: bisognerebbe cercarlo. Filangieri lo trovò trasformando i diritti, sul piano giuridico, da principi universali di morale in diritto positivo, quindi nella costruzione di un edificio legislativo fatto di codici chiari e sintetici, che da un lato riducevano il ruolo della religione a un ruolo ausiliario, dall’altro liquidava la vecchia “scientia juris”, mettendo il legislatore di fronte all’assoluta necessità di legiferare su ogni aspetto della società civile, partendo sempre dai diritti. Per meglio apprezzare le forti novità nella Scienza della legislazione in cui era rivendicato il passaggio dal diritto naturale al diritto positivo bisogna ricordare che le fondamenta teoriche del giusnaturalismo di Filangieri erano molto differenti da quelle degli altri illuministi europei. Vico: meditò sul rapporto esistente tra “il diritto ideale ed eterno” e quello positivo delle nazioni: il diritto come valore universale e il diritto come fatto storico prodotto dalla volontà dell’uomo. Riflessione filosofica sulle fondamenta del moderno giusnaturalismo e in particolare sui diritti dell’uomo. Era l’unico italiano che si era cimentato con la rinascita del diritto natura e con i “nuovi politici e morali studi, Filangieri ne era l’erede . Gravina: grande giurista a cui spettava il merito di aver avviato la nuova tradizione di studi politici caratterizzati dall’analisi storica e filosofica dei nessi esistenti tra politica e diritto. La fama dei suoi “Originum juris civilis libri tres”(1701-1708) avevano imposto la necessità di ricostruire la formazione del diritto romano. Nel “De romano imperio” e nel De imperio et iurisdiction”aveva tratto dal modello della Repubblica di Roma gli argomenti per un ordine giuridico capace di limitare in futuro il potere dei principi. Dalle sue ricerche storiche definiva i diritti e i doveri dei cittadini e nel delimitare i poteri pubblici che avrebbero interessato in seguito i migliori giuristi europei , soprattutto Montesquieu nell’ Esprit des lois. Il giurista calabrese aveva avviato il discorso sulla ripartizione e l’equilibrio dei poteri, sulla priorità 18 dell’ordinamento giuridico in funzione di garanzia costituzionale. Genovesi: fu tra i primi in Italia a combinare il linguaggio tipico della virtù repubblicana con quello dei diritti individuali. Egli indagò le “massime del giusto eterno” (espressione di Vico), usando allo stesso tempo il diritto romano, la scienza newtoniana ( per dare legittimità razionale e scientifica al concetto di legge di natura) e tutta la moderna teoria dei diritti dell’uomo ( Grozio, Puferdorf e Locke) per fondare la moderna “scienza morale”. Francesco Mario Pagano: fondamentale la centralità delle” romane leggi”. Prendeva le distanze da Puferdorf e da Grozio rispetto al loro modo di privilegiare le fondamenta razionali del diritto naturale. John Locke: era il fondatore del pensiero politico moderno per aver concepito la possibile connessione “dei corpi politici e dei diritti dell’uomo”. E’ da lui che Montesquieu aveva appreso “la temperata monarchia costituzionale” e della divisione dei poteri. Mentre Rousseau apprese: le prime idee dell’eguaglianza, dei diritti dell’uomo e del contratto sociale, l’origine del diritto di proprietà e del diritto di infliggere la pena di morte. Filangieri: proprio da Vico e dalla sua distinzione tra il corso storico delle nazioni e la loro storia ideale ed eterna Filangieri ricavò suggerimenti per formulare la sua fondamentale comparazione tra “la bontà assoluta” delle leggi, che si riferivano al diritto naturale, e quella”relativa” delle leggi attinenti al diritto positivo. Oltre la ragion di stato: le basi morali e religiose I tempi per una rivisitazione del modo tradizionale di concepire la politica erano ormai maturi. L’antico regime scricchiolava rilevando con chiarezza gli epocali cambiamenti in corso non solo dal punto di vista sociale, politico e istituzionale, bensì nel modo stesso di pensare. Nella vecchia Europa di fine settecento si stava preparando ”una pacifica rivoluzione”. Per secoli i principi avevano privilegiato la soluzione di un unico e ossessivo problema: come vincere le guerre ed estendere i propri domini. Il sei-settecento aveva condotto le potenze assolutistiche continentali a privilegiare la creazione di grandi eserciti stanziali e la costruzione di formidabili arsenali, disinteressandosi della pubblica felicità. ma.ariasrodriguez@gmail.com
  • 19. [LA SOCIETA’ GIUSTA ED EQUA] VINCENZO FERRONE Finalmente dopo decenni di predicazione da parte di filosofi come Grozio, Pufendorf, Locke e Montesquieu le cose parevano rapidamente cambiare. Era arrivato il momento di superare il caos degli ordinamenti giuridici e di costruire un unico edificio legislativo capace di garantire la felicità pubblica e i diritti dell’uomo. Le condizioni storiche parevano consentirlo in quanto molti ostacoli stavano franando: la nobiltà feudale era ovunque attaccata, i corpi privilegiati dell’antico regime apertamente denunciati per il loro egoismo sociale, la sovranità assoluta dei monarchi messa in dubbio, i costumi e la sensibilità collettiva europea sempre più orientati verso e a favore delle riforme. Tuttavia la grande riforma legislativa dell’antico regime presupponeva il superamento definitivo di tutto il modo di pensare e di vivere la politica riconducibile all’universo teorico e pratico della “ragione di stato”che aveva dominato nei secoli precedenti che come diceva il gesuita Botero nel 1589 che vedeva nello stato un”dominio fermo sopra il popolo da parte del principe”. Quel modo di riflettere e di agire politico, che affidava agli “arcana imperii” e alla sola volontà dei sovrani il compito di governare i popoli, pareva a Filangieri appartenente ad un lontano passato. La lotta politica cominciava a svolgersi alla luce del sole, coinvolgendo gruppi e ceti sociali sempre più estesi. Persino i grandi re venivano pubblicamente chiamati a rispondere delle loro azioni. Citando l’episodio del 1775 in cui il vescovo di Tours, Jean de Dieu-Raymond de Boisgelin de Cucè, aveva tuonato contro Luigi XVI, il giorno stesso della sua incoronazione a Reims. Però cominciava a delinearsi una forte reazione direttamente ispirata ai principi di un crudo e moderno realismo politico, al ferreo rispetto del primato dell’”essere” nei confronti del “dover essere”, e quindi al rifiuto del postulato etico dell’eguaglianza naturale tra tutti gli uomini, tornavano sul campo anche tra gli illuministi le tesi di fondo enunciate da Macchiavelli nel Principe. Filangieri al di là dell’ammirazione per lo studioso non esitò a trasformarlo nel nemico dichiarato dei diritti dell’uomo, la storia gli pareva aver finalmente sconfitto per sempre quel modo di pensare alla politica. L’artefice principale del pensiero di Macchiavelli, del tradizionale costituzionalismo inglese fu Francescantonio Grimaldi. Grimaldi si contrapponeva al modo di concepire la politica da parte di Rousseau (fondato su un’antropologia 19 positiva e utopicamente proiettato su n futuro repubblicano ed egualitario), Grimaldi si ispirava al crudo realismo politico, empirico e fattuale di Macchiavelli. Per Grimaldi era inutile interrogarsi su come il “governo dovrebbe essere”, ma “esaminare “come la natura ha voluto che fossero”(contenuto nel Principe). Il carattere feroce e conflittuale dell’uomo, la naturale gerarchia tra gli esseri gli parevano dati fuori discussione ormai scientificamente dimostrabili. Dopo aver polemizzato indirettamente con Jefferson circa il carattere di vero e proprio diritto universale di tutti gli uomini alla felicità contenuto nella Dichiarazione d’indipendenza, chiamava in causa lo stesso Filangieri affermando che bisognava sempre “accomodare l’eguaglianza alla giustizia stabilita, non già stabilire la giustizia sopra le massime dell’eguaglianza”. Sempre nel 1779 appariva a Napoli l’Elogio di Niccolò Macchiavelli scritto da un altro famoso allievo di Genovesi, Giuseppe Maria Galanti. In questo libro veniva esaltata la figura di Macchiavelli, e ne difendeva la memoria e lo spirito repubblicano, utilizzando anche le testimonianze di Montesquieu, Rousseau e Linguet i quali ritenevano evidente che nel Principe la satira e non l’elogio della tirannia. Analizzando le forme degli Stati e il dibattito politico dell’epoca egli non vedeva al contrario di Filangieri un contrasto tra i “diritti del genere umano”, per Galanti Macchiavelli era nel giusto quando affermava una netta differenza tra la politica e la morale, la prima giudicava quale l’uomo è nella società, la seconda indica agli uomini come essi devono essere. Alle spalle mondi questa improvvisa fiammata polemica sul significato autentico dell’eredità machiavelliana stava un secolo di lotte contro l’egemonia della ragion di Stato, che si era rapidamente affermato in Europa dopo le guerre civili e religiose nel tardo cinquecento e del seicento con la pratica dell’assolutismo. In Italia, nel 1749 Ludovico Antonio Muratori (modenese) nel suo celebre trattato “Della pubblica felicità”, affidava ancora al principe il compito di aprire la strada alla nuova politica antimacchiavelliana destinata a privilegiare anzitutto il bene della collettività. Sin dal primo Settecento era divenuto chiaro a tutti che esistevano almeno 2 modi di intendere la politica: ma.ariasrodriguez@gmail.com