1. MODA E FUORIMODA
Sistema mod a e subculture g iovanili
negli anni ‘50/ 60
Testi: Massimo Antonucci
2. Moda e fuo rimod a
In linea generale, i temi che tratteremo in questo breve
saggio spaziano dal rapporto musica-abito all'interno dei
movimenti giovanili ai rapporti tra questi movimenti e il
fashion system.
Partiamo da qualche cenno storico per arrivare ad una
definizione di moda.
E' opinione diffusa tra gli studiosi che l'affermazione
della moda sia da collocare in età rinascimentale. Per quanto
riguarda la data della sua nascita, invece, si rimane nel
campo delle ipotesi. Una delle più accreditate indica
l'apparizione di un tipo d'abito radicalmente nuovo, intorno
alla seconda metà del XIV secolo, come origine del fenomeno
moda. Lipovetsky, così, descrive, nel suo saggio L'impero
dell'effimero , la genesi della moda :
Al camicione portato per secoli, quasi uguale per i due sessi, lungo
e svolazzante, si sostituisce un abito maschile formato da un
farsetto, specie di giubbino stretto e corto, e da calze-brache
aderenti che mostrano i contorni delle gambe, e un abito femminile
3. lungo come quello tradizionale ma più attillato e scollato...E'
incerto dove per la prima volta sia apparso il nuovo abbigliamento,
ma si sa che molto in fretta , fra il 1340 e il 1350, si è diffuso in
tutta l'Europa occidentale. Da allora in poi le variazioni nel modo
di vestire si sono fatte più frequenti, più stravaganti, più
capricciose, e con ritmo prima ignoto sono apparse fogge
ostentatamente estrose, bizzarre, decorative, determinando il
meccanismo della moda; il mutamento non è più stato fenomeno
casuale, raro, inatteso, ma abituale: uno dei piaceri dell'alta
società. L'effimero ha cominciato a essere uno degli ordinamenti
essenziali della vita mondana.
Evitiamo in questa sede di ripercorrere in modo
puntuale la lunghissima storia della moda, limitandoci a
sottolineare come in età rinascimentale nasca un nuovo
rapporto tra abito e tempo , un rapporto che privilegia il
cambiamento, la novità. Lipovetsky riporta, a proposito
della situazione in Francia del XVI° secolo, le parole di
Testi: Massimo Antonucci
4. Montaigne contenute negli Essais :" I cambiamenti sono così
improvvisi e rapidi che la fantasia inventiva di tutti sarti del
mondo non saprebbe fornire novità sufficienti "
Questa passione per il cambiamento rispecchia un
accresciuto dinamismo sociale e la ricerca di nuovi equilibri
di classe. E', infatti, l'aumento della mobilità sociale,
derivante dalle pressioni dell'emergente classe borghese, a
stravolgere il modello di tempo.
Ted Polhemus nel saggio "Sampling and mixing"
(reperibile all'interno del volume Moda: regole e
rappresentazioni , di autori vari, a cura di R. Grandi e
G.Ceriani), afferma a questo proposito che: "...anticamente,
il cambiamento veniva vissuto invariabilmente come
problematico; improvvisamente - alla luce della mobilità
sociale - il cambiamento è vissuto come benefico e
desiderabile."
Viene a stabilirsi, quindi, l'equazione Nuovo=Meglio,
all'interno di una visione del mondo che celebra l'idea del
progresso illimitato.
E' questo lo scenario in cui prende vita il Sistema
Moda, dove l'abito e la decorazione sono inventati per
celebrare la transizione, il cambiamento, il nuovo. In questo
contesto Moda significa "rapido cambiamento del gusto".
Una delle conseguenze più vistose dell'affermarsi della
moda è la frattura tra significante e significato
nell'abbigliamento.
Per chiarezza facciamo un esempio. Poniamo il caso
che, in un particolare momento, il Sistema Moda proponga il
"look country"- abbigliamento da contadino-: chi indossa il
look in questione non desidera certo essere scambiato per
un contadino. Il look, quindi, deve simulare la realtà cui fa
5. riferimento, ma, allo stesso tempo, rendere evidente la
propria artificialità. L'abito, originariamente dotato di
significato anche per la sua funzionalità, viene
decontestualizzato e, contemporaneamente, svuotato di
senso. Solo il susseguirsi di "look dell'anno" acquista senso e
significato in quanto celebrazione del cambiamento.
Polhemus spiega questo fenomeno, ricorrendo alla metafora
del linguaggio: "Come nel caso delle singole lettere
dell'alfabeto, le singole immagini di moda ("i vari look
dell'anno") in sé sono prive di significato. In altri termini: "Il
look di questo anno" può acquisire senso come parte di una
catena sintagmatica di significati che (teoricamente ) si
estendono verso l'infinito. Il complesso di questa catena di
significati - presa come il tutto , conduce ad uno ed un solo
significato: le cose cambiano ".
Al contrario, nelle società pre-rinascimentali, in molte
culture tradizionali e nelle subculture giovanili
l'immutabilità dell'abito rispecchia il valore accordato
all'abito in quanto significante di una precisa identità
sociale. L'abito e la decorazione corporea in questi contesti
sono parte integrante di una specifica visione del mondo, il
limite visibile tra noi e loro. A differenza di quanto avviene
nell'ambito della moda, con l'insensato susseguirsi dei "look
dell'anno", l’abito è parte integrante di una identità socio-
culturale. L'adozione di un particolare sistema simbolico per
decorare il proprio corpo è, infatti, inseparabile
dall'adesione ad un particolare gruppo sociale.
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6. Riprendendo l'esempio fornitoci da Polhemus, nel
saggio "Sampling and mixing" :
Noi della tribù X dipingiamo la pelle coi colori blu e nero come i
serpenti. Non trasformare il vostro corpo in questo modo significa
non essere uno di noi.
Non può qui esistere arbitrarietà nell'uso degli abiti e
della decorazione corporea, così come all'interno di una
lingua non è possibile usare arbitrariamente una qualsiasi
parola per esprimere dei significati: esiste, infatti, un codice
( il vocabolario) che limita le possibilità di combinazione tra
espressioni e contenuti. In sintesi, nelle società tribali il
costume è concepito e vissuto come parte integrante della
propria identità e non può essere alterato se non a costo
della perdita dell'identità stessa.
La somiglianza tra l'uso dell'abito nelle culture
tradizionali e nelle subculture giovanili è, quindi, da
ricercare in un rapporto cultura-abito tale da rendere l'abito
segno esteriore e immediato di una particolarità culturale .
Per quanto riguarda le subculture, basti pensare
7. all'equazione che si viene a stabilire tra sfera vestimentaria e
valoriale nel movimento hippy:
caffettano+fiori+collanine=h ippy=love and peace.
D'altra parte, la differenza più marcata tra società
tradizionali di carattere tribale e le tribù di stile è che queste
ultime non condividono un territorio e spesso i propri
appartenenti non si conoscono tra loro (pensiamo al punk
giapponese e a quello spagnolo): il fattore unificante è
rappresentato dai mass media e dall'industria musicale.
Se moda significa "rapido cambiamento del gusto",
celebrazione insensata del "look dell'anno", fuori-moda sono
tutti quei fenomeni di resistenza al Nuovo come valore in sé.
E' bene precisare, a questo punto, che la "moda" è sempre
più "forma-moda", una macrocategoria che investe il sociale
nella sua globalità.
A questo proposito riporto le parole di Lipovetsky,
contenute nel saggio L'impero dell'effimero:
E' l'era della moda matura che estende i suoi tentacoli su ambiti
sempre più ampi della vita collettiva. Non è più tanto un settore
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8. specifico e periferico quanto una forma generale che agisce in tutta
la società. Viviamo immersi dappertutto e progressivamente nella
moda, un pò ovunque si compie la tripla operazione che ne
definisce la specificità: effimero, seduzione, differenziazione
marginale."
L'affermazione dell'effimero, di cui parla Lipovetsky, è
visibile nell'ossessione del "nuovo” che domina la
produzione e il consumo. La conseguenza più visibile è la
rapida obsolescenza delle merci, concepite sempre più
all'interno di una logica dell'usa e getta. Per quanto riguarda
la seduzione, il secondo fattore che caratterizza la forma-
moda secondo Lipovetsky, si pensi all'importanza assunta
dall'industrial design nell'apparato produttivo. Lipovetsky
stesso ci ricorda, infatti, che: "Il nuovo ruolo riconosciuto
alla seduzione traspare dalle frequenti modificazioni
estetiche degli oggetti.". Così, il continuo aggiornamento
dello styling di auto, articoli per la casa etc. è simile al
susseguirsi delle collezioni stagionali nell'abbigliamento. La
differenziazione marginale, infine, è quel fenomeno che
contraddistingue il pret-a-porter, ma si ritrova in ogni
ambito merceologico: ne sono testimonianza le infinite
versioni dello stesso modello di auto.
Fuorimoda, quindi, significa collocarsi all'esterno di
questo orizzonte di valori: è il caso delle subculture
giovanili. Storicamente l'inizio dei fenomeni di resistenza
subculturale al Sistema Moda è collocabile intorno agli
anni'40. Infatti, prima con gli Zooties, musicisti jazz
afroamericani vestiti con lo Zoot , e poi con i Wild Ones
(Selvaggi), bande di motociclisti della costa ovest americana,
9. siamo in presenza di un nuovo modo di vivere il rapporto
con l'abito.
Citando Polhemus, si può dire che: " Come gli Zooties, i
Wild Ones (Selvaggi) dimostrarono le caratteristiche
essenziali di una nuova ed affascinante invenzione, la tribù
di stile: il rigetto della storia lineare/"progresso" e la
rappresentazione della "nostra cultura" per mezzo del
"nostro costume" - uno stile che nella sua sfida di
cambiamento ( l'idea del "look da motociclista di questo
anno" è assurda) colloca la subcultura al di fuori della storia
nel territorio del "per sempre". (Un desiderio che trova la
sua espressione finale nella forma di alcuni tatuaggi che
indicano il mandato subculturale e che sfidano il piacere
delle nostre principali società per la transizione.)"
Vediamo ora di approfondire il discorso circa i
rapporti tra sistema moda e subculture.
In primo luogo, cosa intendiamo per sistema-moda?
Rimanendo nello specifico dell'ambito vestimentario,
possiamo considerare "sistema-moda" l'insieme di soggetti
Testi: Massimo Antonucci
10. attivi all'interno del ciclo della moda. In linea generale, i
soggetti coinvolti nel processo della moda sono:
- i produttori, artefici delle proposte formali e di stile;
- i distributori, variamente configurati nelle diverse realtà
territoriali e nazionali;
- i venditori, ovvero i gestori dei punti vendita;
- i mass media, fondamentale anello di congiunzione tra i
soggetti appena elencati e i consumatori;
- gli istituti di ricerca, in grado di influenzare la creazione e
la comunicazione del nuovo;
- i consumatori, i soggetti destinatari delle proposte di
moda.
Sistema-moda, quindi, perché la moda funziona
secondo la tipica modalità sistemica per cui ogni
modificazione di una componente del sistema viene seguita
da una modificazione di tutte le altre. In questa ottica i
fenomeni di moda possono essere visti come un continuo
processo che muove da un disequilibrio temporaneo,
generato da una componente del sistema, ad un successivo
riequilibrio del sistema stesso.
Negli ultimi decenni i disequilibri più vistosi sono stati
prodotti dai creatori-produttori, prima, e dai consumatori,
poi. Negli anni '70 le proposte di moda facevano riferimento
a bisogni integrativi e di status sociale: è il periodo degli
status symbol. Con gli anni '80, invece, l'interesse si è
spostato dal singolo oggetto che connota un certo status
sociale, allo stile di vita configurato da una particolare
costellazione di beni consumati. Sono gli anni in cui si
afferma lo style symbol e gli stilisti diventano loro stessi di
moda. Negli anni '90 il disequilibrio del sistema moda è da
attribuire al consumatore. I fattori che lo determinano sono
11. sostanzialmente due: da un lato i creatori-produttori si
trovano sempre più in difficoltà a causa della incessante
esigenza di sorprendere e di fare notizia; dall'altro, con
l'emergere della soggettività postmoderna, frammentata e
ambivalente, i consumatori diventano difficilmente
classificabili in termini di stili di vita. Le tradizionali
categorie di definizione dell'identità - età, genere sessuale,
classe sociale - vengono meno, lasciando spazio ad una
concezione dell'identità che esalta la non stabilità, la non
certezza, la non unitarietà.
In questo contesto lo stile svolge funzioni differenti:
può essere uno strumento adeguato per la rappresentazione
dell'identità postmoderna ( succede quando un certo stile è
caratterizzato da elementi fortemente ambivalenti); oppure
diventa il veicolo per comunicare una identità collettiva,
propria degli appartenenti a determinate minoranze ( è il
caso delle subculture giovanili che abbiamo in precedenza
definito anche "tribù di stile"). Nel primo caso, il risultato è
il moltiplicarsi delle proposte da parte del sistema moda,
nella disperata ricerca di fornire risposte adeguate alle
esigenze della multiforme soggettività postmoderna.
Nasce quello che alcuni autori definiscono il
supermarket dello stile, dove si può comprare a buon
mercato una identità preconfezionata e pronta all'uso. In
questo supermarket iniziano ad essere disponibili anche
quegli stili di strada, nati per opporsi al sistema moda. Negli
ultimi 15-20 anni, infatti, i percorsi della moda e degli stili
di strada si sono incrociati dando vita ad una ricca
ibridazione e ad una cacofonia di proposte stilistiche
alternative . Negli scaffali, così, troviamo tutti gli elementi
Testi: Massimo Antonucci
12. stilistici delle differenti subculture come se fossero scatole di
zuppe istantanee.
Il processo di decontestualizzazione e svuotamento di
senso tipico del sistema moda colpisce, però, duramente le
subculture. Il look da punk, tanto per fare un esempio, non
rinvia più ad una cultura con una forte carica
destabilizzante: è solo abito, una innocua simulazione che il
sistema ha introdotto per soddisfare la propria incessante
ricerca di nuove forme.
Il sistema moda, quindi, si è appropriato dell'apparato
simbolico delle subculture giovanili, svuotandole di senso.
La simulazione costituisce un pericolo mortale per quel
valore irrinunciabile di una subcultura che è l'autenticità.
Riprendiamo, a questo proposito, le parole di Ted Polhemus
contenute nel saggio, citato in altre occasioni,
"Sampling&Mixing":
Sebbene ci siano anche oggi numerose eccezioni - I New Age
Travellers, i Modern Primitive, i Pervs ed i Raggamuffins - la
grande epoca della sottocultura è chiaramente tramontata. Al
suo posto ecco il simulacro della Sottocultura in cui 50 anni di
controstoria delle tribù di stile sono stati risucchiati nel buco
nero sincronico del post-moderno... Con una moda nostalgica
13. ed un indicatore d'imitazione posto al massimo, la superficie
senza sostanza sembra all'ordine del giorno.
L'identità fluida e frammentata del consumatore
postmoderno può giocare, così, con i simulacri
preconfezionati delle subculture, come in una specie di festa
in maschera. Ironicamente Polhemus osserva:
Vuoi essere un Punk? Lo stai diventando. Vuoi essere un
Beatnik? (Opzione molto popolare al momento). Lo sei già
Vuoi essere un Hippy? Non c'è problema. In questo
supermarket degli stili tutte le tribù stilistiche di ieri sono
poste sugli scaffali come scatole di zuppa istantanea. Aggiungi
solo acqua e subito l'aroma e il sapore di autenticità può
essere tuo.
La sfida che si trova davanti chiunque voglia sfuggire
alla logica del supermarket degli stili è, quindi, proteggere la
propria autenticità dai tentativi di simulazione. Le strategie
in fase di sperimentazione sono fondamentalmente due: la
prima è una strategia di decostruzione-ricostruzione; la
seconda una strategia del fronte comune. La strategia di
decostruzione-ricostruzione è, in definitiva, una operazione
complessa che prevede: la scomposizione del costume delle
tribù di stile nelle sue componenti minime, in un primo
tempo; l'assemblaggio di queste componenti, in modo da
formare combinazioni inedite e nuove soluzioni, in un
secondo tempo. Possiamo pensare, solo per fare qualche
esempio, alla combinazione collane "hippy" e anfibi "punk",
o a quella di pantaloni a zampa d'elefante "glam" con il
tipico bomber da skinhead. Polhemus definisce questa
operazione sampling&mixing.
Testi: Massimo Antonucci
14. Sampling&Mixing sono termini derivati dal rap, dal rave, dalla
techno e da altre forme di musica pop contemporanea. Sampling
descrive il processo per cui piccoli frammenti di "vecchia" musica
pop sono presi a prestito dai loro contesti originari. Mixing si
riferisce all'operazione di rimettere insieme un certo numero di tali
campioni per generare una nuova ed unica sequenza... L'obiettivo è
mischiare in una serie di presentazioni i campioni più strani.
Questa strategia mira a spiazzare qualunque tentativo
di simulazione, eludendo le facili classificazioni tipologiche.
D'altra parte, l'operazione di decostruzione-ricostruzione
tradisce, a sua volta, la stessa ambivalenza e frammentarietà
tipiche della postmodernità.
La seconda strategia -lastrategia del fronte comune -
parte, invece, dal riconoscimento, da parte delle subculture,
della minaccia proveniente dal supermarket degli stili con i
suoi simulacri. Deriva, inoltre, dall'identificazione di un
minimo comune denominatore, costituito dalla ricerca di un
modo di vivere autentico, in una costruzione sociale di tipo
tribale della realtà. Questa strategia ha dato origine, in
alcuni casi, a dei veri e propri processi di mescolamento.
Polhemus afferma a questo proposito:
La storia recente delle subculture ha visto un'intera serie di
tribù apparentemente contraddittorie fondersi tra loro: i New
Age Travellers, ad esempio, hanno amalgamato con successo
ideologie/stili degli Hippies e dei Punks (un tempo
totalmente in opposizione), in quello che potrebbe essere
definito"Hipunk". Ora al momento questa amalgama sta
avvenendo anche attraverso legami effettivi con la cultura
Rave. Il risultato di ciò può intravvedersi negli eventi "spiral
tribe" e in un club di Londra chiamato "Megadog" ( che da il
15. benvenuto a qualsiasi cosa si possa immaginare tranne,
ironicamente, i cani ).
In questo nuovo tipo di club è possibile vedere una
grande varietà di tribù, diverse per stili e gusti musicali,
vivere a stretto contatto nel rispetto reciproco. Questo
fenomeno si regge sulla consapevolezza che noi - aderenti
alle subculture - siamo diversi da loro - gli abituali
frequentatori del supermarket degli stili.
Essere ai confini del sistema moda, quindi, significa sempre
più essere ai confini del sistema sociale tout court. Questa
marginalità è un fattore determinante, come vedremo, nella
formazione delle subculture giovanili.
Le subculture giovanili
Prima di vedere più in dettaglio il fenomeno della
marginalità giovanile, cerchiamo di chiarire il significato di
"subcultura", partendo dalle tre definizioni di cultura
proposte da Williams, uno dei padri fondatori dei Cultural
Studies: la prima definizione vede la cultura come "un
processo generale di sviluppo intellettuale, spirituale ed
estetico"; la seconda come "un particolare modo di vita,
riferito ad un popolo, un periodo, o un gruppo"; la terza
come "i lavori e le pratiche dell'attività intellettuale e
artistica."
L'accezione di "cultura" più pertinente dal punto di
vista del nostro discorso è quella che fa riferimento ad un
Testi: Massimo Antonucci
16. particolare modo di vita di un popolo o di un gruppo in un
determinato periodo.
Coerentemente con questa accezione di cultura ,
possiamo definire le subculture o sottoculture come
particolari stili di vita propri di un gruppo che presenta
caratteristiche culturali speciali e che, allo stesso tempo,
mantiene alcuni tratti specifici della cultura cui appartiene.
Quando si parla di "subculture giovanili", così, si fa
riferimento ad una molteplicità di culture adolescenziali,
spesso antagoniste tra loro, che manifestano la propria
particolarità con specifici gusti musicali e
nell'abbigliamento. Il loro minimo comune denominatore è
l'opposizione alla cultura adulta. Nonostante ciò, i valori
dominanti all'interno delle subculture giovanili sono
fortemente condizionati dalla cultura adulta di provenienza:
basti pensare all'importanza della variabile razziale nella
formazione di molte sottoculture giovanili, specialmente
negli USA.
L'importanza dei gruppi di coetanei nella società
urbana post-industriale è senza precedenti: svolgono, infatti,
un ruolo insostituibile nel processo di emancipazione
dell'adolescente- "emancipazione" è qui da intendere nel
senso etimologico del termine come "liberazione dalla
manus , ovvero dalla soggezione alla patria potestà"-. In
particolare, le funzioni svolte dai gruppi sono: procurare
uno status simbolico autonomo -"simbolico" perchè è valido
solo all'interno del gruppo-; aiutare lo sviluppo del senso
della propria identità; essere luogo di apprendimento di
modelli di socialità differenti da quelli familiari.
Il gruppo, in altri termini, colma lo spazio vuoto che
nelle nostre società viene a crearsi con la frattura tra
17. maturità biologica dell'adolescente e sua marginalità sociale.
Questo fenomeno va contestualizzato a livello storico e
sociale, dal momento che l'adolescenza stessa, come spiega
in modo convincente Gerard Lutte nel suo saggio Psicologia
degli adolescenti e dei giovani , non è una fase naturale
della vita dell'uomo, ma una costruzione sociale. In altre
società, infatti, così come nell'antica Roma, non è
rintracciabile quella fase di transizione che definiamo
comunemente "adolescenza": all'infanzia segue direttamente
l'età adulta.
Secondo alcuni autori l'adolescenza è una categoria
che si afferma nelle ultime decadi del XIX secolo a seguito
dell'esigenza sempre più avvertita all'interno della classe
borghese di una formazione universitaria. Il periodo di
dipendenza dei giovani, così, s'allunga. Inoltre, spesso viene
appesantito da un modello educativo di tipo militare. Nel
'900 la creazione sociale dell'adolescenza diventa un
fenomeno che riguarda porzioni sempre più ampie della
società, fino a diventare di massa intorno alla metà del
secolo. Le cause principali sono: il processo di
industrializzazione che espelle i giovani dal lavoro;
l'estensione della scuola secondaria; la creazione di leggi che
codificano la subalternità del "giovane"-ad esempio, sotto i
14 anni per la legge si è "incapaci di intendere e volere" e
quindi non si è imputabili per eventuali reati commessi- .
Coloro che non accettano la subordinazione-emarginazione
(tra questi molti giovani delle classi popolari) vengono
presto etichettati come "delinquenti".
L'etichettamento e l'amplificazione dei fenomeni di
devianza è un ambito studiato dalla sociologia delle
comunicazioni di massa, in particolare da quel filone di
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18. studi che va sotto il nome di interazionismo. Questa
scuola di pensiero ha cercato, in primo luogo, di fare luce
sul ruolo dei media nell'organizzazione della reazione
sociale alla devianza. Uno dei primi e migliori esempi è lo
studio di Turner e Surace del 1956 sui disordini che si
verificarono a Los Angeles nel 1943. I due ricercatori
mostrarono come il fatto che la stampa locale identificasse i
giovani messicani che indossavano gli abiti chiamati zoot
suits come individui devianti e pericolosi, abbia contribuito
a incrementare la preesistente ostilità dei bianchi,
stimolando ulteriori risse di strada. Tutto questo con il
risultato di rafforzare lo stereotipo iniziale.
Turner e Surace fanno notare anche che le notizie
riportate dalla stampa e la paura che ne nacque ebbero un
effetto importante sugli uomini politici locali e che nel
momento di massimo allarme il consiglio municipale di Los
Angeles prese seriamente in considerazione la possibilità di
punire con il carcere chiunque indossasse uno zoot suit .
19. Un ben diverso orientamento nelle ricerche di
sociologia delle comunicazioni di massa è rappresentato dal
comportamentismo, filone di studi interessato ai rapporti fra
un particolare stimolo e una particolare risposta (nello
specifico l'oggetto di studio è costituito dai rapporti tra
rappresentazione massmediale della devianza ed effetti
sociali). Il comportamentismo, in linea generale, ha
concentrato i suoi sforzi nel tentativo di dimostrare come le
rappresentazioni dei media possano essere considerate la
causa diretta di molte azioni criminali. Questo tipo di
ricerche si è prestato, così, a facili strumentalizzazioni di
tipo moralistico.
Riprendiamo, a questo proposito, alcuni passaggi del
saggio "Abbandonare il behauviorismo: due decenni di
ricerca su mass media e devianza in Gran Bretagna"di
Graham Murdock:
La diffusione della televisione commerciale e la nascita
dell'industria rock per teen-agers in Gran Bretagna sul finire
degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta coincise con
un considerevole incremento del tasso di criminalità giovanile
e con la tanto pubblicizzata violenza della prima sub-cultura
giovanile del paese, i teddy boys . Questi fenomeni e il rilievo
che ad essi fu attribuito diedero origine a un certo allarme
sociale sugli effetti negativi di questi nuovi media sulla
gioventù del paese, che da allora non si è più spento. Una
delle espressioni più importanti di questa reazione fu quella
che ebbe inizio nel 1964, quando una preside della scuola di
mezza età, la signora Mary Whitehouse, lanciò la sua Clean Up
TV Campaign , una campagna di moralizzazione della
televisione che si basava fermamente sulla convinzione
comportamentista che esiste una connessione diretta fra sesso
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20. e criminalità in televisione e violenza e <<permissività>> fra i
teen-agers...
Nell'ambito dell'interazionismo e della teoria
dell'etichettamento si colloca il lavoro del 1964 di Stan
Cohen sulla rappresentazione da parte dei media delle due
sub-culture giovanili più pubblicizzate dell'epoca: i mods e i
rockers.
Nella primavera di quell'anno alcuni gruppi sia di
rockers che di mods andarono a passare una giornata al
mare nella località di Clacton, dove scoppiarono risse fra i
due gruppi. Il giorno successivo la stampa popolare mise gli
incidenti in prima pagina e, rifacendosi all'iconografia delle
gang di strada di New York, li presentò come furiose
battaglie fra bande rivali organizzate. Questo atto di
etichettamento ebbe, secondo Cohen, due grossi effetti: in
primo luogo, fece scattare l'allarme sociale, costringendo la
polizia a intensificare la sorveglianza dei due gruppi, (ne
derivarono arresti più frequenti che finirono con
21. l'alimentare l'allarme iniziale); in secondo luogo,
evidenziando le differenze di stile e dando rilievo
all'antagonismo fra i gruppi, la pubblicazione incoraggiò i
teen-agers a pensare se stessi negli stessi termini in cui le
due sub-culture venivano descritte. La convergenza di questi
processi produsse ulteriori scontri fra i gruppi, attirando
ulteriori attenzioni da parte della stampa e scatenando
ulteriore allarme nel pubblico.
Di particolare importanza nello studio delle sub-
culture in Inghilterra è il lavoro di Dick Hebdige Subculture:
The Meaning of Style del 1979, tradotto in italiano con il
titolo Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale. Questo
testo inquadra il fenomeno delle subculture nell'ottica del
rifiuto ideologico della cultura egemone, sottolineando come
le immagini, gli stili e le merci proposte dai mass media
possano essere investite di significati nuovi e politicamente
sovversivi.
A questo proposito, Hebdige afferma:
Col ricontestualizzare e riposizionare le merci, col sovvertire il
loro uso convenzionale, inventandone di nuovi, lo stilista sub-
culturale apre il mondo degli oggetti a letture nuove e
nascostamente opposizionali.
Questo saggio, infatti, offre una utile chiave
d'interpretazione delle sub-culture ed una interessante
panoramica della loro storia in Inghilterra dalle origini fino
alla fine degli anni '70.
In primo luogo, possiamo dire che il quadro teorico di
riferimento dell'opera di Hebdige è composto di categorie
prese a prestito dal pensiero marxiano e gramsciano, per
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22. quanto riguarda i concetti di "ideologia" ed "egemonia"; si
avvale, inoltre, dell'approccio semiologico di Barthes ai
fenomeni di mitizzazione delle società borghesi
contemporanee. Non mancano, nell'analisi di Hebdige, i
punti di contatto tra i concetti di "ideologia" e di "mito": sia
il mito che l'ideologia, infatti, operano sotto il livello della
coscienza per "naturalizzare" le idee delle classi dominanti.
In Miti d'oggi di Barthes leggiamo:
L'intera Francia è immersa in questa ideologia anonima: la stampa,
il cinema, il teatro, la letteratura di largo uso, i cerimoniali, la
Giustizia, la diplomazia, le conversazioni, il tempo che fa, il delitto
che si giudica, il matrimonio a cui ci si commuove, la cucina dei
nostri sogni, l'abito che si indossa, tutto, nella nostra vita
quotidiana, è tributario dell'immagine che la borghesia si fa e ci fa
dei rapporti tra l'uomo e il mondo.
Il "mito", in Barthes, sono tutti quei significati secondi
o connotazioni che poggiano sul primo livello della
significazione, il livello denotativo. Così, la foto di un
soldato di colore che saluta la bandiera francese può essere
letta: 1) un semplice gesto di fedeltà; 2) "la Francia è un
grande Impero, che tutti i suoi figli, senza distinzione di
colore, servono fedelmente sotto la sua bandiera". E' questo
secondo livello, per molti versi "implicito", a naturalizzare le
forme e i rituali delle società borghesi contemporanee. Il
mitologo deve, quindi, saper leggere questo sistema
semiologico secondo in modo da evidenziarne la natura
storica e ideologica.
Nel saggio intitolato Per Marx Louis Althusser spiega il
concetto di ideologia in questi termini:
23. L'ideologia ha ben poco a che vedere con la 'coscienza' (...).
Essa è profondamente inconscia (...). L'ideologia è sì un
sistema di rappresentazioni, ma queste rappresentazioni non
hanno il più delle volte nulla a che vedere con la 'coscienza':
per lo più sono immagini, a volte anche concetti, ma
soprattutto sono strutture, e come tali si impongono alla
stragrande maggioranza degli uomini senza passare attraverso
la loro 'coscienza'. Sono oggetti culturali percepiti-accettati-
subiti che agiscono sugli uomini attraverso un processo che
sfugge loro.
A commento di questa definizione di ideologia,
Hebdige fa notare che anche uno spazio architettonico,
come un'aula universitaria, può riflettere una precisa
impostazione di pensiero, che tende a "naturalizzarsi". Così,
la disposizione dei posti a sedere, con file di panche in
gradinate ascendenti di fronte ad un leggìo posto su una
pedana, materializza il rapporto gerarchico fra insegnante e
allievi, determinando la direzione del flusso della
comunicazione. Una particolare visione del rapporto
insegnante-allievo, quindi, viene a prendere forma concreta
in uno spazio architettonico, vissuto come lo spazio
"naturale" per le lezioni universitarie. Tramite questo
processo di "naturalizzazione" l'ideologia può riprodursi e
dare l'impressione di essere qualcosa al di fuori della storia.
La questione cruciale, a questo punto del discorso, è,
secondo Hebdige, capire quali ideologie specifiche
prevarranno in un dato momento, in una data situazione, e
di quali gruppi e di quali classi rappresenteranno gli
interessi. La distribuzione del potere, infatti, non è certo
omogenea.
Testi: Massimo Antonucci
24. Nell' Ideologia tedesca Marx esprime in modo chiaro il
rapporto tra idee dominanti e gruppi dominanti nella
società:
Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee
dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale
dominante della società è in pari tempo la sua potenza
spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della
produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei
mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in
complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano
i mezzi della produzione intellettuale.
La validità di queste affermazioni risulta chiara se
pensiamo, ad esempio, alle possibilità di accesso ai mass
media. E' indiscutibile, infatti, che certi gruppi sociali siano
in una posizione favorevole per produrre e diffondere le
proprie definizioni del mondo.
A questo punto Hebdige introduce il concetto
gramsciano di egemonia che fornisce, a suo parere, la
spiegazione più adeguata su come si mantiene il dominio
nelle società capitalistiche avanzate. Il termine "egemonia"
si riferisce ad una data situazione in cui un'alleanza
provvisoria di certi gruppi sociali può esercitare un'autorità
sociale totale su altri gruppi subordinati, non
semplicemente attraverso la coercizione o l'imposizione
diretta di idee dominanti, ma attraverso la conquista e la
regolamentazione del consenso, in modo che il potere delle
classi dominanti appaia insieme legittimo e naturale.
Secondo Gramsci, comunque, il potere egemonico, dal
momento che richiede il consenso della maggioranza
25. dominata, è sempre in una posizione di "equilibrio
instabile". Il consenso, quindi, può essere rotto, rifiutato, e
la resistenza ai gruppi che detengono il dominio non può
sempre essere facilmente respinta o automaticamente
assorbita.
Possiamo ora ritornare alle subculture giovanili che,
per Hebdige, rappresentano un fenomeno spettacolare che
testimonia la caduta del consenso nel periodo postbellico. La
sfida all'egemonia, in questo caso, non è diretta: si esprime
in maniera obliqua come stile. In altri termini, con le
subculture giovanili nasce una pratica di resistenza, dove
le apparenze costituiscono una evidente violazione
simbolica dell'ordine sociale. All'invisibilità discreta
dell'abito borghese, vissuto come significante della
"normalità", si contrappone l'apparato spettacolare di abiti
e decorazioni corporee delle subculture, che finisce
inevitabilmente per rappresentare lo scarto dalla norma e,
quindi, la devianza. Usando le parole di Hebdige, possiamo
dire che:
La comunicazione (...) di una diversità significativa
(e la parallela comunicazione di un'identità di
gruppo) è la "qualità essenziale" che sta dietro allo
stile di tutte le sottoculture spettacolari. Costituisce
il termine sovraordinato sotto cui sono disposte
tutte le altre significazioni, il messaggio mediante il
quale parlano tutti gli altri messaggi.
Laddove l'ideologia dominante tende a naturalizzare le
forme - ad esempio l'abito blu e la cravatta per gli uomini è
il modo "naturale" di apparire in molti contesti -, la
resistenza subculturale si manifesta con forme che ostentano
Testi: Massimo Antonucci
26. la propria artificialità. Un esempio, a questo proposito, può
essere la spilla da balia usata dai punk: questo oggetto
banale viene spostato dal suo contesto d'uso"naturale" per
essere ricontestualizzato e, quindi, caricato di significati
imprevedibili.
Questa pratica di "decontestualizzazione-
ricontestualizzazione" è definita da Hebdige, in termini
antropologici, come "bricolage". In ambito subculturale, il
bricolage è la modalità con cui si può costruire un proprio
discorso, a partire da discorsi già fatti. Ricollocare oggetti
significanti in nuove combinazioni o nuovi contesti, infatti,
permette la trasmissione di messaggi differenti, alla stessa
maniera dei ready-made di Duchamp. Come atti di
bricolage, quindi, possiamo interpretare pratiche differenti
quali: il furto e la trasformazione da parte del teddy boy
dello stile edoardiano, fatto rivivere nei primi anni '50 da
Savile Row; la trasformazione del motoscooter , nella
subcultura mod, da rispettabilissimo mezzo di trasporto in
un minaccioso simbolo di solidarietà di gruppo; l'uso,
sempre nella subcultura mod, di pettini di metallo che,
affilati come rasoi, diventano potenziali armi da offesa.
L'elenco potrebbe essere molto più lungo…
27. La sce na statunitens e
Nel movimento beat la cultura nera è mitizzata, come
testimonia un passo tratto da Sulla strada di Jack Kerouac:
Camminavo nella sera piena di lillà con tutti i muscoli
indolenziti in mezzo alle luci della Ventisettesima Strada nella
Welton in mezzo al quartiere negro di Denver, desiderando di
essere un negro, sentendo che quanto di meglio il mondo dei
bianchi ci aveva offerto non conteneva abbastanza estasi per
me, e neppure abbastanza vita, gioia, entusiasmo, oscurità,
musica, né notte sufficiente.
In ambito musicale, i legami che uniscono le culture
giovanili bianche alla classe operaia nera sono stretti,
particolarmente per quanto riguarda il jazz. Intorno agli
anni '30, molti musicisti bianchi hanno suonato insieme con
artisti neri nelle jam session, mentre altri ne hanno ripreso
la musica traducendola e trasferendola in un contesto
diverso. In tale processo la struttura e il significato del jazz
subiscono una modificazione: lo swing bianco, infatti,
elimina buona parte della carica di rabbia ed erotismo della
linea calda del jazz, dando luogo ad un suono delicatamente
raffinato da night club. Questi significati repressi vengono
trionfalmente riaffermati nel be-bop.
Il bop nacque col jazz ma un pomeriggio, non so su quale
marciapiede, forse nel 1939, 1940, Dizzy Gillespie, o Charley
Parker o Thelonius Monk, passando davanti a un negozio di
abbigliamento da uomo sulla 42a Strada o nella South Main a
Los Angeles, a un tratto sentì dagli altoparlanti un errore
Testi: Massimo Antonucci
28. incredibile e impossibile nel jazz che poteva aver udito solo
nella sua immaginazione, ed ecco un'arte nuova. Il bop...
A descrivere con queste parole la nascita del bop è
Kerouac, nel volume di recente pubblicazione intitolato
Scrivere bop. L'amore di Kerouac per questo tipo di musica è
tale da fargli identificare le regole della scrittura che lui
propone con le modalità di improvvisazione di Charlie
Parker al sassofono. Il racconto immaginario della nascita
del bop prosegue in questo modo:
Dizzy o Charley o Thelonius stava camminando per la strada
udì un rumore, un suono, metà Lester Young, metà grezza-
nebbia-piovosa che ha quel brivido di eccitamento da
baracca, binario, pezzo di terra vuoto, l'improvvisa enorme
testa di Tigre sullo steccato dei bagnati di pioggia di un
sabato mattina senza scuola, " Ehi!" e corse via a passo di
danza. Al piano, quella notte, Thelonius inserì una nota sorda
fuori tono rispetto alle calde note di tutti gli altri(...) La
strana nota fa alzare il sopracciglio al trombettista della
band. Per la prima volta, quel giorno, Dizzy è sorpreso. Porta
la tromba alle labbra e suona un'umida evanescenza.(...) ride
Charlie Parker piegando a battersi la caviglia. Si porta il
contralto alla bocca e - con la linea del jazz - dice << Non ve
lo avevo detto?>>. Parlando eloquente come i grandi poeti di
una lingua straniera che cantano con la lira in paesi stranieri,
per mare, e nessuno li capisce perchè quella lingua non è
ancora nota a terra - il bop è la lingua dell'inevitabile Africa
D'America, going suona come gong , Africa è la vibrazione dei
fiati e il piede che batte obliquo il ritmo - l'improvviso stridio
disinibito che urla finché la tromba di Dizzy Gillespie lo
soffoca - fai tutto quello che vuoi - deviando la melodia verso
un altro bridge improvvisato con un lacerante protendersi di
artigli, perchè essere furbi e falsi?
29. Da una serie di jam-session improvvisate al Minton's
nasce, così, intorno agli anni'40, il New York sound. Charlie
Parker, Dizzy Gillespie e Thelonius Monk, come raccontava
la cronaca immaginaria della nascita del bop di Kerouac,
erano i protagonisti di questo tipo di suono che diventò la
base di una emergente cultura sotterranea.
Verso la metà degli anni '50, un pubblico bianco,
nuovo e più giovane, cominciò ad avvicinarsi al New York
sound, nonostante fosse difficile da ascoltare e ancora più
da imitare. Così, i beat e gli hipster cominciarono ad
improvvisare un proprio stile esclusivo su una forma di jazz
meno compromessa: un jazz di "pura astrazione" che
metteva in corto circuito la banalità".
Testi: Massimo Antonucci
30. Hebdige così descrive le reazioni all'emergere delle
sottoculture hipster e beat:
Questa convergenza senza precedenti di nero e di bianco,
proclamata con tanta aggressività e con tanta spudoratezza
provocò un'inevitabile controversia che si incentrava sui temi
della razza, del sesso, della rivolta, ecc., e che si sviluppò
rapidamente in panico morale. Tutti i sintomi classici
dell'isteria più comunemente associata all'emergere alcuni
anni dopo del rock'n roll erano presenti nella reazione con
cui l'America conservatrice, che si sentì oltraggiata, salutò i
beat e gli hipster, e allo stesso tempo si andò sviluppando da
parte di osservatori "liberal" interessati al fenomeno tutta una
mitologia del negro e della sua cultura. A questo punto il
negro andò libero, indenne dalle desolanti convenzioni che
tiranneggiavano membri più fortunati della società (cioè gli
scrittori) e, sebbene intrappolato in un ambiente crudele di
strade e basamenti squallidi, per una curiosa inversione
anche lui ne uscì alla fine vincitore (...) Il negro
nebulosamente osservato attraverso la prosa di Norman
Mailer oppure attraverso gli esangui panegirici di Jack
Kerouac (...), poté servire per i giovani bianchi da modello di
libertà in schiavitù.
Goldman, autore citato da Hebdige, disegna in
modo sintetico il profilo delle sottoculture hipster e
beat:
lo hipster era (...) un tipico dandy delle classi inferiori,
abbigliato come un magnaccia, che affettava un tono freddo e
cerebrale - per distinguersi dai tipi grossolani e impulsivi che
lo circondavano nel ghetto - e che aspirava alle cose migliori
della vita, come a dell'ottima 'erba', al sound più bello, quello
del jazz e quello afro-cubano
31. laddove...
il beat era in origine uno studente della più schietta classe
media, come Kerouac, che si sentiva soffocare dalla città e
dalla cultura che aveva ereditato e che voleva sostituire con
luoghi lontani ed esotici, dove avrebbe potuto vivere con la
'gente', scrivere, fumare e darsi alla meditazione.
Secondo Hebdige, la sottocultura hipster vive una
vicinanza reale, non solo spirituale, con la comunità dei
neri: hipsters e neri vivono, infatti, a contatto nei ghetti
metropolitani. Il beat, invece, vive un rapporto immaginario
con il negro-come-nobile-selvaggio.
Così, benché le sottoculture hipster e beat si organizzassero
intorno ad un'identità condivisa con i negri (simbolizzata nel
jazz), la natura di tale identità, resa palese negli stili adottati
dai due gruppi, era qualitativamente diversa. I vestiti da
gangster e gli abiti leggeri all'italiana dello hipster
incarnavano le aspirazioni tradizionali (...) del magnaccia
negro, mentre il beat, deliberatamente vestito di stracci, in
jeans e sandali, esprimeva il magico rapporto con una miseria
che costituiva nella sua immaginazione un 'essenza divina,
uno stato di grazia, un sacro rifugio.
Questa distinzione netta tra la sottocultura hipster e
quella beat sembra essere contraddetta dalle parole con le
quali Kerouac racconta la nascita del movimento beat.
La Beat Generation è una visione che abbiamo avuto, John
Clellon Holmes e io e Allen Ginsberg in un modo ancora più
incredibile, alla fine degli anni '40, la visione di una
generazione di splendidi hipster illuminati che di colpo si
levavano e si mettevano in viaggio attraverso l'America, seri,
curiosi, vagabondando e arrivando dappertutto in autostop,
cenciosi, beati, belli nella loro nuova bruttezza piena di
Testi: Massimo Antonucci
32. grazia (...) beati, nel senso di battuti ma pieni di ferme
convinzioni - Avevamo anche sentito vecchi Papà Hipster
delle strade del 1910 usare la parola in quel modo, con
malinconico scherno - Non designò mai i giovani delinquenti,
designava gli individui dotati di una spiritualità diversa che
non formarono mai una banda ma rimasero come Bartleby
solitari a guardare fuori dalla finestra cieca della nostra
civiltà - gli eroi sotterranei che avevano finalmente voltato le
spalle all'occidentale macchina "della libertà" e si drogavano,
ascoltavano il bop, avevano lampi di genio, sperimentavano il
"turbamento dei sensi", parlavano strano, erano poveri e
felici, profetizzavano un nuovo stile per la cultura americana,
un nuovo stile (pensavamo) completamente libero da
influenze europee (...) una nuova formula magica-
Sempre sulle pagine dello stesso scritto, intitolato Sulla
Beat Generation, Kerouac descrive uno scenario dove la
cultura beat rappresenta uno sviluppo coerente della
sottocultura hipster. A tratti, anzi, i due termini si
confondono:
33. Scrivevamo storie su non so quale strano e beato santo negro
hip col pizzetto che attraversava lo Iowa in autostop con la
tromba fasciata, portando il misterioso messaggio del soffiare
su altre coste, in altre città, come un vero e proprio Gualtiero
Senzaavere alla testa di un'invisibile Prima Crociata -
Avevamo i nostri eroi mistici e scrivemmo, anzi cantammo
romanzi che parlavano di loro, costruimmo lunghi poemi che
celebravano i nuovi "angeli" dell'underground americano - In
realtà era solo un gruppetto di ragazzi hip veri patiti dello
swing...
Dalle parole di Kerouac emerge una situazione dove la
distinzione tra sottocultura beat e hipster risulta essere una
forzatura analitica. Anche per quanto riguarda lo stile
vestimentario i termini si confondono:
... la gioventù del dopoguerra di Corea emerse cool e beat, ...,
e presto fu ovunque, il nuovo look, il look trasandato e
"sconvolto", alla fine cominciò ad apparire anche nei film
(James Dean) e in televisione, gli arrangiamenti bop che erano
un tempo la segreta musica da estasi dei beat contemplativi
cominciarono ad apparire in ogni golfo mistico e in ogni
spartito per orchestre tradizionali, le visioni bop diventarono
patrimonio comune del mondo della cultura di massa ...
l'assunzione di droghe divenne ufficiale (tranquillanti e tutto i
resto), e anche il modo di vestirsi degli hipster beat venne
trasmesso alla nuova gioventù del rock'n'roll tramite
Montgomery Clift (giacche di pelle), Marlon Brando (T-shirt),
e Elvis Presley (basettoni)...
Kerouac, nell'articolo del 1959 "Beati: le origini della
Beat Generation", così racconta la nascita del movimento
beat:
Testi: Massimo Antonucci
34. Questo articolo riguarderà necessariamente me stesso. Dirò
tutto fino in fondo. Quella mia foto pazzesca sulla copertina
di Sulla strada è venuta così perché ero appena sceso dalla
cima di un'alta montagna dove avevo passato due mesi in
completa solitudine e di solito avevo l'abitudine di pettinarmi
i capelli perché devi fare l'autostop in autostrada e tutto
quanto e di solito vuoi che le ragazze, guardandoti, ti
considerino un essere umano e non una bestia ma il mio
amico e poeta Gregory Corso si sbottonò la camicia e tirò
fuori un crocifisso d'argento appeso a una catena e disse <<
Mettitelo, portalo fuori dalla camicia e non pettinarti!>>. Così,
ho passato un bel pò di giorni a San Francisco andando in
giro con lui e gente come lui, alle feste, nelle gallerie, nei
ritrovi, alle jam sessions, nei bar, alle letture di poesie, nelle
chiese, camminavamo per strada parlando di poesia,
camminavamo per strada parlando di Dio (e a un certo punto
una strana banda di delinquenti si arrabbiò e disse <<Che
diritto ha quello di portare quella roba?>> e la mia banda di
musicisti e poeti gli disse di calmarsi) e alla fine il terzo
giorno, il giornale <<Mademoiselle>> volle farci delle foto, a
tutti noi, così posai com'ero, capelli selvaggi, crocifisso e tutto
il resto, con Gregory Corso, Allen Ginsberg e Phil Whalen...
35. La cronaca di Kerouac riguardante la nascita del
movimento beat fornisce, allo stesso tempo, la
rappresentazione di uno stile di vita e di uno stile
vestimentario che lo rappresenta coerentemente. Il
crocifisso, così, non è un segno gratuito, ma l'elemento
significante che testimonia la ricerca di una nuova
spiritualità:
Non mi vergogno di portare il crocifisso di nostro Signore.
Perché sono un beat, cioè, credo nella beatitudine e credo che
Dio amava il mondo al punto di donargli il suo unico figlio...
Queste affermazioni possono essere meglio comprese,
considerando il significato che Kerouac attribuiva alla
parola "beat". Nell'articolo "Agnello, non leone", contenuto
nella stessa raccolta Scrivere bop, Kerouac chiarisce che:
Beat non significa stanco, o sconfitto, bensì beato, la parola
italiana per beatific : essere in uno stato di beatitudine, come
San Francesco, cercare di amare tutto nella vita, cercare di
essere sinceri fino in fondo con tutti, praticare la
sopportazione, la gentilezza, coltivare la gioia del cuore. Come
si può realizzare una cosa del genere nel nostro folle mondo
moderno fatto di molteplicità e milioni? Praticando un pò di
solitudine, andandosene da soli ogni tanto a far provvista
della ricchezza più grande: le vibrazioni della sincerità. Essere
seccati non è essere beat. Si può essere chiusi in se stessi ma
ciò non significa necessariamente essere scontrosi. Il beat non
è una forma di critica stanca e vecchia. E' una forma di
affermazione spontanea. Che razza di cultura sarebbe se tutti
con faccia rabbuiata dicessero"Questo non mi sembra giusto"?
Testi: Massimo Antonucci
36. Dalle parole di Kerouac emerge il profilo di un
movimento che cerca una profonda rigenerazione
spirituale, sia attingendo dalle fonti più pure della religione
cristiana sia cercando di avvicinare le filosofie orientali, in
particolare il buddismo. E' una ricerca che propone valori
profondamente antagonisti rispetto al materialismo
consumista e al "carrierismo" , che possiamo considerare
fondanti dell'american way of life. Proprio per questo, la
subcultura beat viene presto associata alla devianza:
...e quanto orrore provai nel 1957, e poi nel 1958, quando
improvvisamente mi accorsi che tutti, la stampa, la televisione
e il circuito dei conferenzieri alla moda usavano la parola
"Beat" a significare anche l'esplosione dei giovani delinquenti
e gli orrori delle folli manganellate di New York e Los Angeles
e cominciarono a chiamare quello Beat, beato quattro scemi
che marciavano contro i Giants di San Francisco contestando
il baseball, come se (adesso) succedesse nel mio
nome...Oppure quando un assassinio, un volgare assassinio
commesso sulla North Beach, venne etichettato come un
omicidio della Beat Generation, e pensare che da piccolo
passavo per un eccentrico, nel mio quartiere, perché
impedivo ai ragazzi di tirare sassi agli scoiattoli, perché gli
impedivo di friggere i serpenti nelle lattine o di gonfiare i
rospi con una cannuccia per farli scoppiare.
Sempre nello stesso articolo - "Beati: le origini della
Beat Generation"- Kerouac intuisce che un'altra modalità per
disinnescare le forze di opposizione (oltre all'etichettamento
da parte dei mass media come gruppo di "devianti") è il
processo di assorbimento delle controculture all'interno del
sistema moda:
37. Così adesso in televisione danno programmi sui beatniks che
cominciano con la satira di ragazze vestite di nero e ragazzi in
jeans con coltelli a serramanico e magliette sportive e
svastiche tatuate sotto le ascelle, e poi arriveranno ai
rispettabili presentatori tutti azzimati in abito Brooks Brothers
tagliato a jeans e maglione di lana, in altre parole, è un
semplice cambiamento di moda e maniere...Quindi non c'è di
che rallegrarsi. I Beat, in realtà, nascono dalla vecchia voglia
americana di fare baldoria e cambierà solo qualche vestito e
renderà inutili le sedie in soggiorno e presto avremo Segretari
di Stato beat e saranno istituiti nuovi orpelli, in realtà nuovi
motivi di malizia e nuovi motivi di virtù e nuovi motivi di
perdono...
Contro queste forze della reazione Kerouac arriva a
scagliare un vero e proprio anatèma:
E tuttavia, tuttavia, sia maledetto chi crede che Beat
Generation significhi crimine, delinquenza, immoralità,
amoralità...maledetto chi ne attacca le basi soltanto perché
non capisce la storia e i desideri struggenti degli animi
umani...maledetto chi non capisce che l'America deve, dovrà
cambiare e sta già cambiando, per quanto ne so. Sia maledetto
chi crede nella bomba atomica, chi crede nell'odio contro i
padri e le madri rinnegando il più importante dei dieci
comandamenti, maledetto (tuttavia) chi non crede
nell'incredibile dolcezza dell'amore sessuale, e maledetti siano
i tipici portatori di morte, maledetto chi crede nelle guerre e
nell'orrore e nella violenza e riempie i nostri libri e schermi e
soggiorni di quelle schifezze, maledetto chi fa cattivi film sulla
Beat Generation dove casalinghe innocenti vengono
violentate da beatniks ! Siano maledetti i veri squallidi
peccatori che perfino Dio trova occasione di perdonare...
maledetto chi sputa sulla Beat Generation, il vento restituirà
lo sputo.
Testi: Massimo Antonucci
38. Questa strenua difesa della purezza degli ideali del
movimento beat mette in chiaro quali siano i valori di
riferimento di questa subcultura; rivela, allo stesso tempo,
una profonda anima mistica e un mal celato senso
d'impotenza. Emerge, infatti, una visione del sociale dove
l'opposizione al grande Moloc non riesce a trovare altre vie
che l'anatèma.
Quando, agli inizi degli anni'60, Allen Ginsberg
tenterà la via dell'impegno politico, Kerouac così motivò, in
una intervista, la sua presa di distanza dalle posizioni
dell'amico:
Ginsberg si è interessato alla politica di Sinistra... e io dico
come Joyce, come Joyce ha detto a Ezra Pound negli Anni
Venti: <<Non mi seccare con la politica, l'unica cosa che mi
interessa è lo stile>>. E poi mi sono stufato della nuova
avanguardia e del sensazionalismo a razzo. Sto leggendo
Blaise Pascal e prendo appunti sulla religione. Mi piace andare
in giro con gente intellettuale, come direste voi, e non a
ritrovarmi proseliti della mia mente, all'infinito... Il gruppo
beat, come voi dite, si è disperso all'inizio degli Anni Sessanta,
ciascuno è andato per la sua strada, e questa è la strada mia:
vita di casa, come all'inizio, con una puntata ogni tanto ai bar
locali.
Negli stessi anni, in una lettera indirizzata a Fernanda
Pivano, Kerouac scrive:
Devi sapere che noi che abbiamo incominciato la beat
generation qui negli Stati Uniti (io, Holmes, Ginsberg) da
allora siamo stati trascinati in attacchi di carattere politico e
perciò ce ne restiamo per conto nostro (come all'inizio). Il
mondo gira, ma l'arte rimane.
39. Da queste citazioni emerge il ritratto di un artista
ripiegato su se stesso, dedito alla propria opera e, per certi
versi, sganciato dal nuovo movimento culturale che si
afferma negli anni '60, il movimento hippie.
Sarà invece Ginsberg a costituire la figura "ponte" tra
le due generazioni. Come racconta la Pivano, fu un suo
viaggio in India nei primi anni '60 a segnare la svolta:
Quando arrivò dall'India anche la sua apparenza era un pò
cambiata. Negli anni dell'università, quando visse con Jack
Kerouac e William Borroughs e poi attraversò l'America con
Neal Cassidy e Jack Kerouac, l'anticonformismo del suo
aspetto esteriore non andava al di là della Resistenza al
Consumo sulla quale si basava appunto la più appariscente
forma del dissenso di quegli anni: in un momento in cui
pareva che il neo-materialismo dilagante avesse fatto del
denaro una religione, dell'igiene un Dio, dell'anonimità
aziendale una legge e della tecnocrazia un destino inevitabile,
era un gesto profondamente contestatario respingere danaro,
igiene, anonimità e tecnocrazia. I blue jeans sbiaditi, i sandali
e le scarpe da tennis, le giacche a vento portate estate e
inverno crearono in quegli anni della ripresa economica del
dopoguerra...uno shock che creò una presa di coscienza
almeno altrettanto importante di quella creata un decennio
dopo dagli abbigliamenti basati sulla creatività e la fantasia
cosidetti hippie. In quegli anni Ginsberg aveva i capelli corti e
il viso asciutto, il sorriso pronto e un magnetismo che era
sempre il protagonista delle descrizioni di biografi e
intervistatori...Fu in India che Ginsberg cambiò aspetto,
quando visse fra i sapienti e i santoni e si lasciò crescere i
capelli fino alle spalle e la barba fin dove voleva arrivare, più
che altro per non compiere un atto di violenza tagliandoli
contro natura e contro ragione; così girò per l'India, ornato
della collana shivaita degli iniziati e così tornò in America nel
1963. Il 10 giugno 1965 mostrò questa sua immagine a un
Testi: Massimo Antonucci
40. reading di poesia alla Albert Hall di Londra. Erano presenti
7000 persone e ragazze a piedi nudi distribuivano fiori in
un'atmosfera greve di incenso e di hashish...Fu questo primo
embrione della scena hippie, che esplose a San Francisco nel
1966...
Intorno alla metà degli anni'60, così, Allen Ginsberg,
tenne a battesimo il nuovo movimento hippie. Il fatto non è
così strano se si pensa che la subcultura beat e quella hippie
condividono valori di fondo quali la ricerca di una nuova
spiritualità e, in particolare, la filosofia della non-violenza.
L'epicentro del nuovo movimento culturale fu,
comunque, la scuola. La prima rivolta, che prese il nome di
Free Speech Movement, si scatenò a Berkeley nel settembre
del 1964 quando le autorità amministrative vietarono la
raccolta di fondi per una causa politica esterna alla vita
dell'università. Nella raccolta di scritti dal titolo L'altra
America degli anni '60, tradotta da Fernanda Pivano, si può
41. leggere un resoconto in prima persona di quegli
avvenimenti:
Ci siamo messi a sedere intorno a un automezzo della polizia e
lo abbiamo tenuto immobilizzato per oltre 32 ore. Finalmente
la burocrazia amministrativa ha accettato di negoziare.
Emerge presto, però, che il vero oggetto d'interesse per
il Movimento è il rapporto tra studenti e sistema formativo.
Poter contare all'interno della struttura scolastica,
diventando protagonisti di un processo che riguarda la
propria vita, è una esigenza fortemente avvertita. Si afferma,
infatti, la percezione che il processo educativo americano sia
una crudele cerimonia iniziatica. Nell'articolo di Weinberg
"Il Free Speech Movement e i diritti civili", contenuto nella
già citata raccolta L'altra America degli anni'60, leggiamo:
...l'istruzione che conduce al conseguimento del diploma di
graduation appare un rito per mettere alla prova la capacità
di sopportazione del candidato, una serie di prove che, se
superate con successo, consentono l'ingresso ai corsi della
graduate school; e, a quelli che sono riusciti a passare indenni
attraverso le prove dell'intero rito, è concesso il titolo
pomposo: il Ph.D. Più uno emerge, migliore è il posto di
lavoro che ottiene...Troppo spesso il processo educativo
appare come un'eliminatoria, regolata dalle leggi della
domanda e dell'offerta. Quanto meglio uno gioca la partita
tanto meglio uno è compensato.
Il sistema educativo americano appare, quindi, come
una istituzione che si ispira al modello darwiniano della
selezione naturale, finalizzata all'emergere del più forte e
ben poco preoccupata della crescita e della formazione
Testi: Massimo Antonucci
42. culturale degli studenti. Lo scontento manifestato nel
settembre 1964 trascende, quindi, l'episodio contingente. I
circa quattro mesi di rivolta che seguono, permetteranno di
ottenere spazi "liberi" e il diritto di organizzare Teach In su
argomenti politici all'interno dell'università.
Il primo Teach In fu dedicato al Vietnam. L'impegno
americano, infatti, era andato via via aumentando e nel
1965 erano cominciati i primi bombardamenti.
Contemporaneamente erano iniziate e si erano estese le
manifestazioni di protesta. Le matrici da cui muoveva il
rifiuto per la guerra andavano moltiplicandosi: da un lato,
c'erano vari comitati, più o meno affiliati ai vari movimenti
radicali e antinucleari internazionali, che propugnavano
una scelta pacifista e antinucleare per la società occidentale;
dall'altro, si faceva strada un modello di pensiero aperto
alle culture orientali e precapitalistiche. La scoperta della
spiritualità e del misticismo orientale si unì, infatti, alla
rilettura in chiave antropologica della mitica comunione con
la natura delle popolazioni indiane d'America: l'insieme si
formalizzò nella proposta di un "uomo nuovo", impegnato a
ritrovare la propria interiorità e pacificamente inserito in un
contesto naturale da osservare e rispettare.
I maestri del nuovo umanesimo furono i protagonisti
della cultura alternativa del decennio precedente: Allen
Ginsberg, Gary Snyder, Timothy Leary. La strada da
percorrere verso l'ideale di "uomo nuovo" viene indicata
con estrema chiarezza da Timothy Leary:
Dovete cominciare col cambiare il vostro abito, la vostra casa,
i vostri movimenti, il vostro ambiente, in modo tale che
rifletta la grandezza e la gloria della vostra visione divina.
43. Dovete avere un aspetto diverso e agire diversamente. Ma
questo processo di sintonizzazione dev'essere armonico ed
elegante. Per favore nessun gesto distruttivo o
ribelle!...Camminate, parlate, mangiate, bevete come se foste
un felice Dio della foresta.
La prospettiva terrorizzante da cui si cerca di uscire
con questa proposta di vita è quella esemplificata nella
figura dell"impiegato di Manhattan", descritta da Leary in
questi termini:
...lavora in una camera buia, che puzza di aria inquinata. Si
muove in mezzo ad un ammasso di mobili anonimi e fatti in
serie per andare in un bagno di celluloide o in una cucina
impersonale di plastica. Fa una prima colazione a base di
cibo-carburante anonimo, tolto da una scatola o
impacchettato. Indossa la divisa anonima del cittadino-robot,
biancheria di cotone, scarpe, camicia, cravatta e giacca.
Viaggia in gallerie buie di metallo fuligginoso e di cemento
grigio verso la scatola di alluminio che è il suo ufficio... Il
denaro che guadagna gli serve per il suo cibo di celluloide e
per il suo appartamento dall'aria inquinata. Quest'uomo è
circondato da un ambiente grigio, inquinato, morto,
impersonale, fatto da una catena di montaggio, prodotto in
serie e anonimo. Questo è l'ambiente di un robot-meccanico.
Per uscire da questo tunnel esistenziale ci si rivolge
alle filosofie orientali e spesso si fa ricorso all'uso di
sostanze stupefacenti -funghi sacri, marijuana, LSD-, in
grado di provocare l'espansione dello spettro percettivo,
fare esperienza di nuovi stati di coscienza e liberare grandi
energie creative, prive di condizionamenti sociali.
Così, anche i canoni estetici e della bellezza corporea
subiscono profondi cambiamenti. Nella raccolta già citata
Testi: Massimo Antonucci
44. L'altra America degli anni'60 troviamo l'articolo "La
generazione hippy " di Kupfemberg, estremamente esplicito
a questo proposito:
L'hippy decora il proprio corpo come un'opera d'arte. Lo
ricopre di collane, lo dipinge, lo addobba con abiti dei colori
dell'arcobaleno e nello stile composito formato dalla
mescolanza stridente di tutti i tempi e di tutti i paesi; non c'è
un modo giusto di vestirsi, non c'è un modo giusto di fare
l'amore. Che mille corpi fioriscano.
Un elenco dettagliato del vasto repertorio
vestimentario del movimento hippy ce lo fornisce Fernanda
Pivano, cronista d'eccezione della nuova cultura
americana.Così, descrive la moltitudine degli spettatori
presenti ad un concerto di Dylan, al Community Theatre:
Ma per me che venivo da un'Europa sopraffatta da una idea
gotica della politica e medioevale del costume, ottocentesca
della cultura e vittoriana della moralità, quella serata
rappresentò soprattutto l'immersione nel New Look (come già
si diceva allora per difendersi dall'etichetta sociologica del
New Style of Life), che poche settimane dopo sarebbe stato
fregato nello stereotipo hippie inventato dai media. C'erano
ragazze con vestaglie di velluto abbottonate fino alla bocca e
aperte dalla cintola in giù, ragazzi vestiti da principi del
Rinascimento, le giacche di daino frangiate che 4 anni dopo
sarebbero arrivate in Europa nella scia del musical Hair,
cappotti di montone bianco lunghi fino a terra, colori
sgargianti nelle sete lucide e campanelle tintinnanti portate al
collo, alle caviglie, sulla testa, ai polsi; occhiali verdi e gialli,
giacche napoleoniche e da ammiraglio, pantaloni da generale
della Guerra di Secessione, piume indiane, berretti di velluto
raffaelleschi, camicie di cotone Mayflower, code di volpe,
mantelle da Dracula, magliette bianche di cotone da marinai
45. alle caldaie della nave, gonne lunghe da film western, granny
dresses, fiori, collane, pizzi. La rivolta al consumismo era
passata dalla fase rinunciataria e polemica dei blue jeans alla
fase creativa e ribelle del vestito <<inventato>> invece che
<<subìto>>: beffa insolente e pacifica all'industria della moda.
La scoperta della Pivano del New Look hippy durante
un concerto di Dylan non è certo stata casuale. Dylan,
infatti, è uno degli artisti che meglio diede voce agli ideali
del movimento, firmando quelli che diventarono dei veri e
propri inni generazionali. Pivano, così, spiega le ragioni del
successo di Bob Dylan:
Il miscuglio folk-blues-rock di Bob Dylan, con le sue storie che
non riguardavano gli amori di un ragazzo per una ragazza o
viceversa ma erano ispirate allo scontento sempre più
incalzante tra la gioventù americana, raggiungeva un
pubblico ormai quasi disabituato a leggere versi ma disposto
ad ascoltarli attraverso la musica e d'altra parte già stanco dei
diluvi imitativi dei Beatles ma disposto ad ascoltare questo
rock and roll rivoluzionario, con la sua carica polemica e il
suo messaggio liberatorio: un messaggio che era diventato di
massa nel 1962, quando Blowing in the Wind venne cantata
da milioni di persone come canto di raccolta nel corso del
Movimento negro in Difesa dei Diritti Civili.
Nel 1965, lo stesso anno in cui Pivano si accorge di
Dylan, Ginsberg stila, un programma per una grande
manifestazione, cercando così di chiarire in modo
inequivocabile a tutti le intenzioni e le modalità della
riunione e impedire reazioni disordinate in caso di
provocazioni:
Testi: Massimo Antonucci
46. Annunciate in anticipo che è una marcia sicura, portate la
nonna e i bambini, portate famiglia e amici. Dichiarazioni
aperte: "Non veniamo a combattere e non combatteremo"
La manifestazione diventa una grande festa pacifica
fatta di suoni, canti, colori e tantissimi fiori.
Il momento culminante del movimento è, però, il
grande raduno del 14 gennaio 1967, tenutosi nel Parco del
Golden Gate a San Francisco, vero e proprio centro della
cultura alternativa giovanile. La mutazione culturale
proposta da Leary è avvenuta; lo spettacolo è senza
precedenti:
Ventagli, piume, pennacchi e zanne; campanelli, tamburi,
carillons e incenso; stendardi, fiamme, bandiere e talismani;
collane portafortuna, arance e carote; palloni, fiori, bambù e
vesti-animali; flauti e ceste; mani giunte, occhi chiusi, fronti
serene e sorrisi; stoffe da preghiera e bastoni da shaman...
In mezzo a tutto questo:
il prof. Leary... con un fiore giallo dietro l'orecchio; Leonore
Kandel, in rosso e arancione; Gary Snyder seduto sull'orlo
della piattaforma...maestro di cerimonia, parla con gioia.
Allen Ginsberg, catalizzatore e distillatore di tutto, in una
tunica bianca.
Questo grande rito collettivo si chiude, al tramonto,
con Allen Ginsberg e Gary Snyder che salmodiano il mantra
Om Sri Maitreya rivolti verso il sole, in una atmosfera di
grande pace e poesia.
47. La sce na inglese
Passando ora alla scena europea, possiamo cominciare
dicendo che solo all'inizio degli anni'60 l'Inghilterra riuscirà
a strappare all'America il primato del cambiamento
culturale . Durante gli anni'50, infatti, sarà impegnata
nell'opera di ricostruzione, dopo i disastri della seconda
guerra mondiale.
Come osserva Gino Castaldo nel suo saggio La terra
promessa :
Dal conflitto mondiale America e Inghilterra uscirono in modo
diametralmente opposto. L'America ne uscì non solo
trionfante, ma anche come la nazione che aveva pagato il
minor prezzo. Il suo territorio era intatto, l'economia
prospera, pronta a evolversi verso la supremazia mondiale,
creando un benessere interno mai verificatosi prima. Al
contrario l'Inghilterra, sebbene fosse una delle potenze
vittoriose, emerse dalla guerra con ferite profonde, con le
risorse allo stremo, con le città in rovina e l'ovvia esigenza di
puntare alla ricostruzione. L'Inghilterra ci ha messo più
tempo a recuperare la sua antica funzione di egemonia
imperialista che, come vedremo, si svolgerà soprattutto in
campo culturale. Anzi, il declino dell'Impero britannico
procede parallelamente alla nascita dell'impero culturale.
Nel saggio La Londra dei Beatles di Paola Colaiacomo e
Vittoria Caratozzolo leggiamo:
Il 15 aprile 1966 la rivista americana Time usciva con una
copertina intitolata a <<London: the Swinging City>>. Londra,
spiegava il servizio nell'interno, era in quel momento tra le
città europee la più impetuosamente sospinta dal pendolo
della storia verso il futuro. <<To swing>> vale altalenare,
Testi: Massimo Antonucci
48. muoversi secondo un moto pendolare, che contempla
un'andata e un ritorno: e ciò verso cui spingeva il pendolo di
Londra era un nuovo stile di vita, di cui prima di tutto la città
in se stessa sembrava offrire la realizzazione e la promessa.
Da qualche tempo Londra aveva iniziato ad esportare i
suoi prodotti culturali in America, facendo parlare di
"british invasion":
Nel 1964 si era verificata una specie di nuova conquista
dell'America... Era stato quello, infatti, l'anno del primo
trionfale viaggio dei Beatles, di Mary Quant, dei Rolling
Stones, al di là dell'Oceano. Sfilate, concerti, apparizioni
televisive, avevano totalizzato milioni di telespettatori,
battuto ogni record di popolarità. La terra del cinema doveva
essere ben sazia di immagini di celluloide...se ora così
entusiasticamente apriva i propri sconfinati mercati ai suoni e
ai colori dell'antica madrepatria.
Ritornando alla parola swinging le autrici del saggio
sopra citato approfondiscono l'analisi delle diverse
connotazioni legate a questo termine:
Ma ora torniamo indietro, all'espressione <<swinging>>, già
usata nel Seicento dal drammaturgo Thomas Otway, e proprio
nel senso che ora viene ripreso dal servizio di Time a indicare
cioè coloro che, non riconoscendo le barriere della morale
convenzionale, si gettano di slancio, swinging, al di là di
quelle stesse barriere, in rivolta contro una maggioranza
silenziosa che rinnega la gioia di vivere. Swing era anche stata
chiamata quella musica da ballo americana, di derivazione
jazzistica, dunque con l'Africa dentro, al cui ritmo frenetico,
esplosivo, disperato, gli alleati avevano ballato, magari in un
rifugio antiareo la sera precedente una qualche operazione
bellica decisiva....Sicché ora, la vistosa copertina di Time, e
49. poi nell'interno il testo, con tutte le fotografie e le immagini
che sembrano voler costruire nei dettagli i luoghi deputati del
nuovo mito, le stazioni del nuovo pellegrinaggio ideale,
troviamo un terreno già preparato, quando puntano proprio
su quella parola , <<swinging>>, per far precipitare in essa
tutto il complesso di sensazioni, tutta l'atmosfera, tutta la
Stimmung che vogliono al tempo stesso evidenziare e far
emergere, quasi creandola ex novo.
La trovata veramente geniale del servizio, infatti, fu tutta in
quella parola, che subito si impose, aderendo al suo tema
come un'etichetta.
Swinging, il movimento pendolare con una andata e
un ritorno, può essere una utile metafora per inquadrare,
facendo un passo indietro, il fenomeno dell'importazione
massiccia in Inghilterra dei prodotti culturali provenienti
dagli Stati Uniti, durante gli anni'50. La "british invasion"
degli anni'60, in altri termini, è stata preceduta da un
fenomeno altrettanto forte, ma di segno contrario, durante il
decennio precedente, quando gli Stati Uniti erano al centro
della scena culturale. Tra i tanti prodotti d'importazione,
però, solo pochi trovano il terreno adatto per affermarsi . In
Sottocultura di Dick Hebdige leggiamo:
... solo la sottocultura beat, prodotto di un allineamento in un
certo modo romantico con i negri, sarebbe sopravvissuta nel
passaggio dall'America all'Inghilterra negli anni Cinquanta.
Senza una significativa presenza nera nelle comunità della
working class inglese, l'equivalente scelta hipster non fu
semplicemente possibile. L'influsso degli immigrati indo-
occidentali era solo appena cominciato e, quando alla fine la
loro influenza sulle sottoculture della working class inglese fu
sentita all'inizio degli anni'60, in genere si articolò in forme e
tramite forme specificatamente caraibiche (ska, bluebeat,
Testi: Massimo Antonucci
50. ecc.). Nel frattempo era avvenuta un'altra convergenza, più
spettacolare, al di fuori dell'ambito del jazz, nel rock...La
musica era stata tolta dal proprio contesto originale in cui le
implicazioni dell'equazione potenzialmente esplosiva "negro"
uguale "giovane" era stata pienamente riconosciuta dalla
cultura della generazione immediatamente precedente e
trapiantata in Inghilterra dove servì da nucleo per lo stile
teddy boy. Si poteva sentire nei nuovi coffee bar inglesi dove,
benché filtrato da un'atmosfera distintamente inglese di latte
bollito e altri intrugli, rimase chiaramente estraneo e
futuristico, barocco come il juke box che lo esprimeva. E, allo
stesso modo degli altri prodotti sacri - il ciuffo, il cappotto
corto, il Brylcreem e il "cinema" - venne a significare
l'America, un continente fantastico fatto di cow boy e di
gangster, di lusso, di eleganza e di "automobili".
Nella sottocultura teddy boy, però, intervenne una
sorta di rimozione delle origini della musica rock, nata come
contaminazione di forme musicali bianche e nere (basti
citare come esempio le vibrazioni nel cantato), diventando
ai loro occhi solo una dalle tante novità americane
d'importazione insieme al jazz, all'hula hoop, al motore a
combustione interna e ai pop corn. Questa rimozione
dell'anima nera del rock fece sì che i teddy boy non
percepirono alcuna contraddizione tra l'ascolto di questa
musica e la matrice xenofoba della loro cultura. A questo
proposito Hebdige afferma:
Con l'eruzione sulla scena inglese alla fine degli Anni
Cinquanta, il rock sembrò frutto di una germinazione
spontanea, ovvia espressione immediata delle energie
giovanili. E quando i teddy boy, ben lontani dall'accogliere a
braccia aperte gli immigrati di colore da poco arrivati,
51. cominciarono attivamente a prendere le armi contro di loro,
erano impermeabili a qualsiasi senso di contraddizione.
Questa vena xenofoba dei teddy boys fu un elemento
determinante nel differenziarli dalla sottocultura beatnik
che ostentava un'aria cosmopolita e tollerante.
Gli stili erano incompatibili, e, quando venne fuori il "trad"
jazz come punto focale di una sottocultura inglese più
importante alla fine degli Anni Cinquanta, queste differenze
furono evidenziate in maniera ancora più dura.
Il trad jazz contava su un ambiente di rozzi bevitori di birra,
che era in contrasto con le qualità del primo rock'n roll,
angolose, nervose, spigolose da un lato, e l'estetica
spudoratamente artificiale dei teddy boy dall'altro - una
combinazione aggressiva di esotismo vestimentario (scarpe di
pelle scamosciata, baveri di velluto e di pelliccia, cravatte di
cordino) - viveva in un duro contrasto con il miscuglio
"naturale" dei beatnik fatto di montgomery, di sandali e di
CND (Campaign for the Nuclear Disarm).
Testi: Massimo Antonucci
52. I primi anni'60 vedono nascere, insieme alla
formazione di comunità di immigrati che si stabiliscono
nelle zone working class dell'Inghilterra, la nuova
sottocultura dei mods.
Come lo hipster americano... il mod era un "tipico dandy della
classe inferiore", maniaco dei piccoli dettagli degli abiti,
caratterizzato come i meticolosi avvocati newyorkesi di Tom
Wolfe, dalla forma del colletto della camicia, di una precisione
esatta come gli spacchi delle sue giacche fatte su misura; dalla
forma delle sue scarpe fatte a mano
A differenza dei teddy boy, importuni in maniera
provocatoria, i mod erano più sottili e più sottomessi in
apparenza: indossavano vestiti apparentemente conservatori
in colori rispettabili, erano meticolosamente lindi e in ordine.
I capelli erano generalmente corti e puliti e i mod preferivano
conservare il profilo elegante di un impeccabile "taglio alla
francese" con una lacca invisibile piuttosto che con la banale
brillantina preferita dai rocker più apertamente maschili. I
mod inventarono uno stile che permetteva loro di conciliare
scuola, lavoro e tempo libero e che nascondeva tanto quanto
dichiarava. Interrompendo tranquillamente la normale
sequenza che porta dal significante al significato, i mod
minavano il significato di "colletto, vestito e cravatta"
spingendo l'accuratezza del vestire fino all'assurdo.
53. I mods vivono una doppia vita: da una parte il lavoro
o la scuola, dall'altra un mondo underground, letteralmente
al di sotto del mondo normale, fatto di cantine, discoteche,
boutique e negozi di dischi. Una parte di questa "identità
segreta" è costituita dalle affinità con la cultura nera:
Il mod della Soho hard core del 1964, impenetrabile dietro i
suoi occhiali scuri e il cappello a tesa piccola si degnava solo
di muovere i passi (i piedi rivestiti di scarpe di tela da
giocatore di pallacanestro o di Raoul originali) ai soul di
importazione più esoterici: (I'm the) Enterteiner di Tony
Clarke, Papa's got a Brand New Bag di James Brown, (I'm in
with) The Crowd di Dobie Gray, oppure ska giamaicano,
Madness di Prince Buster.
Bloccati in maniera più fissa rispetto ai teddy boy e ai rocker
in una grande varietà di impieghi che imponevano loro
obblighi molto rigidi tanto su come dovevano presentarsi,
Testi: Massimo Antonucci
54. vestirsi e sul loro "comportamento generale", quanto sul loro
tempo, i mod davano un'importanza altrettanto grande al fine
settimana...Durante questi periodi di tempo libero
(faticosamente prolungati, in alcuni casi, grazie alle
anfetamine) c'era da fare un vero "lavoro": lucidare i
motoscooter, comprare i dischi, far stirare, restringere o
andare a riprendere i pantaloni alle lavanderie, lavare e
asciugare i capelli...
In questo nuovo stile di vita, che guarda alla cultura
nera come potenziale elemento sovversivo dell'ordine dei
valori costituito, si stabiliscono priorità diverse dalla norma:
il lavoro è insignificante; vanità e arroganza sono qualità
ammesse e desiderabili.
Nel famoso articolo pubblicato su Time il 15 aprile
del1966 "London: a swinging city", così Piri Halasz fotografa
la scena londinese: “Questa primavera, a Londra, l'antica
eleganza si intreccia alla nuova opulenza, in un'abbagliante
miscela di op e di pop.”
"Op" sta per optical, lo stile geometrico "ottico" che
predilige il bianco e nero, o le marcature nette tra colore e
colore, e che arriva ad imporsi, in quegli anni, nei vari
ambiti del design, dall'abbigliamento all'architettura.
55. "Pop", invece, sta per "popular", "popolare", una
parola con la quale si vuole indicare la cultura popolare nel
suo complesso e, quindi, i fumetti, la moda, la musica, l'arte.
"Pop", così, non è tanto una particolare forma espressiva
quanto uno stile di vita, un'idea del mondo: <<Noi vogliamo
vestiti pop art, musica pop art e atteggiamenti pop art. Noi
siamo pop art>>, aveva appena finito di dichiarare Pete
Townshend, del gruppo degli Who.
Di "pop" in Inghilterra s'inizia a parlare, però, ben
prima del 1966. Nel collage Sono stata il giocattolo di un
uomo ricco del 1947 di Eduardo Paolozzi, artista di origine
italiana operante a Londra, la parola "POP" viene sputata
fuori da una pistola puntata contro una pin-up sorridente.
Nello stesso collage, in un angolo, compare la mitica
bottiglia di Coca Cola con accanto lo slogan: "Servite la Coca
Cola nell'intimità della casa!"; nell'angolo opposto, troviamo
la figura di un aereo da guerra, con tanto di motto bellico
"Fateli continuare a volare!".
Testi: Massimo Antonucci
56. Si può intuire, osservando il collage, la fascinazione di
Paolozzi per le immagini dell'abbondanza, provenienti dagli
Stati Uniti; ben comprensibile, d'altra parte, nel momento in
cui l'Inghilterra soffre pesantemente delle conseguenze del
conflitto mondiale. Che quella di Paolozzi, però, non sia solo
una fascinazione effimera risulta presto evidente: l'artista
formerà, insieme a pittori, architetti, musicisti e critici d'arte
un formidabile laboratorio di sperimentazione, denominato
"Indipendent Group", in cui verranno esplorate le
potenzialità dei nuovi media e delle nuove tecnologie
dell'immagine made in U.S.A. .
Il lavoro dell' Indipendent Group trova piena
espressione nella mostra del 1956, intitolata This is
tomorrow, all'interno della quale si propone una diversa
sensibilità spaziale, modi dell'abitare e del vivere più liberi e
più creativi.
Tra il 1947 e il 1956 le connotazioni legate alla parola
"pop" cambiano radicalmente: nel collage di Paolozzi il
termine "pop" evoca, associato allo sparo di una pistola,
57. una qualche minaccia incombente; nella mostra
dell'Indipendent Group, invece, sembra che la cultura di
massa, la moltiplicazione industriale degli oggetti,
costituisca, anziché un pericolo, una straordinaria
opportunità. A questo proposito, riprendiamo un passo del
saggio, già citato, La londra dei Beatles :
Già nel '56 molte cose erano cambiate. La dura, ancorché
ubertosa, America post-bellica ora transitava attraverso l'
Europa, attraverso l'isola di Gran Bretagna, con ben altri
prodotti, e altri umori: con Herthbreak Hotel di Elvis Presley,
per esempio, che arrivò proprio quell'anno, e catturò, fra i
tanti, il cuore sedicenne di John Lennon... E intorno al '56
anche l'Inghilterra aveva spostato la sua immagine
dell'America. Aveva, potremmo dire, assorbito l'America,
avendone fatto un proprio tema di lavoro. C'era quel
gruppetto di intellettuali indipendenti, un pò sordi alla
propaganda contro la massificazione, contro l'antiumanesimo
che sarebbe implicito nell'idea di cultura di massa...C'erano le
prime boutique di Mary Quant a Chelsea, di Vince a Carnaby
Street. C'era già insomma chi si era immaginato che dalla
moltiplicazione degli oggetti capaci di dar piacere giorno per
giorno, ora per ora, potesse derivare non sottomissione e
morte, nemmeno per gioco pubblicitario, ma libertà. L'utopia
degli anni '60, l'utopia della liberazione pacifica attraverso i
consumi, cominciava a prendere forma.
Intorno alla metà degli anni'50, quindi, emerge in
Inghilterra una cultura "pop" che crede nel potenziale
liberatorio della cultura e della produzione di massa; una
cultura che vede, nell'affermarsi della società di massa,
un'opportunità per la realizzazione di una vita quotidiana
più libera e di una società meno classista:
Testi: Massimo Antonucci
58. Si sognava una vita meno opprimente, una domesticità meno
spoglia di comfort: spazi meglio attrezzati, più agio nei
movimenti, nessuno che ti dica dove bere la Coca Cola, orari
fluidi, gioco e lavoro fusi insieme. Un modo di vestire che
comunicasse immediatamente una critica all'idea tradizionale
di moda come privilegio di classe. La classe d'appartenenza,
anzi, non interessa più nessuno, dato che il tipo di società che
si vuole costruire è rigorosamente aclassista. <<Classless>> è
una parola che si incontra a ogni piè sospinto, e nei settori più
disparati... Certo, c'era un pizzico d'utopia nell'immaginare
che lo sparo di una pistola potesse trasformarsi in maniera
così indolore nello spontaneo scoppio di allegria di chi crede
di star fabbricando il proprio futuro. <<Il domani è gia qui>>,
dicono gli Indipendenti, ma la loro è tutta una storia anni '50,
e comunque solo una faccia della medaglia. Perché linee,
suoni, colori, forme di eleganza, continueranno ad avere un
loro valore di status symbol, è evidente. Tuttavia gli abiti di
Mary Quant, i dischi dei Beatles, il taglio dei capelli alla Vidal
Sassoon, il progetto di Casa del Futuro elaborato dai due
fratelli Smithson, architetti, il programma di Londra come
<<città vivente>>...: tutto questo fervore di scoperta e di
cambiamento, pur disseminato in tanti frammenti materiali -
in parte realizzazioni compiute in parte progetti - se è segnale
d'appartenenza, simbolo di stato, non lo è per la ricchezza
materiale che vi è investita, ma per la potenzialità d'immagine
che rimanda. Ciascuno di quei differenti <<oggetti>> non vale
in sé, ma per lo stile di vita cui allude, per le situazioni che
ingloba, e di cui è pegno. Per il sapere della vita che
presuppone, per le informazioni che comunica.
59. Ritorniamo per un attimo all'intervista a Pete
Townshned degli Who del 1965, citata all'inizio della
trasmissione; in questa intervista rilasciata al Melody Maker
il musicista afferma:
L'arte pop consiste nel ri-presentare qualcosa con cui il
pubblico abbia già familiarità...Noi siamo per i vestiti pop-art,
per la musica pop-art e il comportamento pop-art. Questo è
quello che tutti sembrano dimenticare: noi non ci cambiamo,
fuori dal palcoscenico. Noi viviamo pop-art.
A giudizio di Paola Colaiacomo e Vittoria Caratozzolo
le parole di Pete Townshend costituiscono una
testimonianza del tipico fraintendimento di quegli anni:
E' tutto in questa sorta di adamantina semplicità, di
assolutezza, il fraintendimento, e proficuo fraintendimento, di
Testi: Massimo Antonucci
60. quegli anni: nell'utopia di poter schiacciare l'uno sull'altro i
due piani dell'illusione e della realtà, fino a farli coincidere
perfettamente, senza sfrangiature né sbavature. Musica,
vestiti, comportamento: campi disparati, categorie non
omogenee, vengono dunque dati per comunicanti, e capaci di
influenzarsi l'uno con l'altro. Ma non è un semplice amore
della confusione... ad autorizzare e incrementare questa
interna traducibilità..: se tutto - musica, vestiti, pose,
comportamenti - è ripresentazione del già visto e conosciuto,
tutto è già per definizione grafismo, immagine. E' al livello
dell'immagine, dunque, che quelle categorie disomogenee...si
rapportano tra loro, e trovano il punto di comunicazione che
non potrebbero avere in <<natura>>. Sempre e comunque su
un'immagine verte ogni discorso, ogni analisi: il primo livello,
ingenuo, è sempre già saltato. Allora, perché affannarsi a
voler separare a tutti i costi il <<reale>> dalla <<posa>>?
Una cultura che celebra la riproducibilità tecnica degli
oggetti e delle immagini vive costantemente in una sorta di
deja vu. Dal punto di vista degli artisti questo effetto è
ricercato coscientemente - è il <<... ri-presentare qualcosa
con cui il pubblico abbia già familiarità>> di cui parla
Townshned - e porta, ad esempio, all'uso così frequente in
quegli anni del collage, tecnica che consiste
fondamentalmente nel montaggio di immagini preesistenti.
A proposito della circolazione e della ri-presentazione
delle immagini nella cultura pop, è significativa la
testimonianza di Richard Smith:
<<I mezzi di comunicazione rappresentano una parte
considerevole del mio paesaggio>> scriverà Richard Smith
nella Nota aggiuntiva al suo film Trailer . Dove quello che
stupisce è l'uso di quella parola, <<landscape>>, da parte di
61. un artista come lui, non interessato al dato naturale in quanto
tale: così dice <<la frutta della bancarella del mercato è per
me sempre già la frutta fotografata di un'immagine
pubblicitaria>>.
Si attua, così, una sorta di rovesciamento, dove è
l'immagine riproducibile e riprodotta ad essere il dato su cui
poggia la percezione del reale:
Quando si guardano le cose nell'esperienza reale, sostiene
Smith, si intromette inevitabilmente per l'occhio un elemento
di disturbo - luce, solidità, riflessi - già solo per il fatto che
quelle cose sono immerse nell'atmosfera, e reagiscono ad essa.
Invece nella fotografia si ha a che fare con un'immagine
depurata, dalla texture uniforme, perché sottratta ai
cambiamenti di luce. Perciò, continua, anche i riferimenti a
paesaggi che compaiono nei primi suoi dipinti, vanno intesi
come passati attraverso il filtro di paesaggi fotografati.
Il repertorio delle immagini cui l'artista fa riferimento
per le sue creazioni non è, quindi, certamente quello della
realtà così come è immediatamente percepibile, ma sempre
quello delle immagini filtrate e riprodotte dalle nuove
tecnologie.
La possibilità che queste tecniche gli aprono di usare colori off
register - <<il verde pallido insieme al giallo pallido, che
produce un effetto di fresco, di "frescomenta">> - o di
proiettare lettere e immagini anamorficamente... <<produce
l'effetto di riportare in primo piano...il valore della
superficie>>.
La sperimentazione di Smith conoscerà importanti
sviluppi in ambiti come la moda e la pubblicità: si pensi ai
Testi: Massimo Antonucci
62. colori acidi dei vestiti di Mary Quant, o dei cartelloni
pubblicitari.
Generalmente Mary Quant viene ricordata per
l'invenzione della minigonna, anche se alcuni
ridimensionano il suo ruolo in questa piccola rivoluzione del
costume, affermando che l' unico merito che le va attribuito
consiste nell'aver lanciato una moda che, però, di fatto era
già in uso nelle strade di Londra. Nel saggioMass moda di
Patrizia Calefato, ad esempio, si legge:
Quando Mary Quant, dal suo atelier londinese di
King's Road, ebbe nei primi anni'60 la geniale idea
di lanciare su larga scala l'uso di una gonna corta
diversi centimetri sopra il ginocchio, già da un pò
di tempo le ragazze della Swinging London
l'avevano spontaneamente inventata e la esibivano
nella loro "moda di strada" quotidiana.
63. Inizia, infatti, in questi anni una nuova fase del
sistema-moda: finisce il dirigismo centralistico dell'Alta
Moda e si procede verso una moda aperta e policentrica,
dove gli input del cambiamento possono essere di varia
provenienza. Si arriva spesso ad un vero e proprio
capovolgimento, come nel caso appena citato della
minigonna, quando coloro che dovrebbero essere il
terminale delle proposte di moda si fanno protagoniste del
cambiamento, lanciando nuove proposte di stile.
La stessa Mary Quant, d'altra parte, mostra di essere
consapevole dell'importanza del momento culturale negli
sviluppi del proprio lavoro, quando nella sua autobiografia
Quant by Quant scrive:
Ci trovavamo all'inizio di un formidabile rinascimento della
moda. E questo non accadeva per causa nostra.
Semplicemente, come poi risultò, noi ne eravamo parte.
Testi: Massimo Antonucci