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MODA E FUORIMODA

     Sistema mod a e subculture g iovanili
                 negli anni ‘50/ 60




Testi: Massimo Antonucci
Moda e fuo rimod a


     In linea generale, i temi che tratteremo in questo breve
saggio spaziano dal rapporto musica-abito all'interno dei
movimenti giovanili ai rapporti tra questi movimenti e il
fashion system.
     Partiamo da qualche cenno storico per arrivare ad una
definizione di moda.




     E' opinione diffusa tra gli studiosi che l'affermazione
della moda sia da collocare in età rinascimentale. Per quanto
riguarda la data della sua nascita, invece, si rimane nel
campo delle ipotesi. Una delle più accreditate indica
l'apparizione di un tipo d'abito radicalmente nuovo, intorno
alla seconda metà del XIV secolo, come origine del fenomeno
moda. Lipovetsky, così, descrive, nel suo saggio L'impero
dell'effimero , la genesi della moda :

    Al camicione portato per secoli, quasi uguale per i due sessi, lungo
    e svolazzante, si sostituisce un abito maschile formato da un
    farsetto, specie di giubbino stretto e corto, e da calze-brache
    aderenti che mostrano i contorni delle gambe, e un abito femminile
lungo come quello tradizionale ma più attillato e scollato...E'
    incerto dove per la prima volta sia apparso il nuovo abbigliamento,
    ma si sa che molto in fretta , fra il 1340 e il 1350, si è diffuso in
    tutta l'Europa occidentale. Da allora in poi le variazioni nel modo
    di vestire si sono fatte più frequenti, più stravaganti, più
    capricciose, e con ritmo prima ignoto sono apparse fogge
    ostentatamente estrose, bizzarre, decorative, determinando il
    meccanismo della moda; il mutamento non è più stato fenomeno
    casuale, raro, inatteso, ma abituale: uno dei piaceri dell'alta
    società. L'effimero ha cominciato a essere uno degli ordinamenti
    essenziali della vita mondana.




     Evitiamo in questa sede di ripercorrere in modo
puntuale la lunghissima storia della moda, limitandoci a
sottolineare come in età rinascimentale nasca un nuovo
rapporto tra abito e tempo , un rapporto che privilegia il
cambiamento, la novità. Lipovetsky riporta, a proposito
della situazione in Francia del XVI° secolo, le parole di


Testi: Massimo Antonucci
Montaigne contenute negli Essais :" I cambiamenti sono così
improvvisi e rapidi che la fantasia inventiva di tutti sarti del
mondo non saprebbe fornire novità sufficienti "
      Questa passione per il cambiamento rispecchia un
accresciuto dinamismo sociale e la ricerca di nuovi equilibri
di classe. E', infatti, l'aumento della mobilità sociale,
derivante dalle pressioni dell'emergente classe borghese, a
stravolgere il modello di tempo.
      Ted Polhemus nel saggio "Sampling and mixing"
(reperibile all'interno del volume Moda: regole e
rappresentazioni , di autori vari, a cura di R. Grandi e
G.Ceriani), afferma a questo proposito che: "...anticamente,
il cambiamento veniva vissuto invariabilmente come
problematico; improvvisamente - alla luce della mobilità
sociale - il cambiamento è vissuto come benefico e
desiderabile."
Viene a stabilirsi, quindi, l'equazione Nuovo=Meglio,
all'interno di una visione del mondo che celebra l'idea del
progresso illimitato.
      E' questo lo scenario in cui prende vita il Sistema
Moda, dove l'abito e la decorazione sono inventati per
celebrare la transizione, il cambiamento, il nuovo. In questo
contesto Moda significa "rapido cambiamento del gusto".
      Una delle conseguenze più vistose dell'affermarsi della
moda è la frattura tra significante e significato
nell'abbigliamento.
      Per chiarezza facciamo un esempio. Poniamo il caso
che, in un particolare momento, il Sistema Moda proponga il
"look country"- abbigliamento da contadino-: chi indossa il
look in questione non desidera certo essere scambiato per
un contadino. Il look, quindi, deve simulare la realtà cui fa
riferimento, ma, allo stesso tempo, rendere evidente la
propria artificialità. L'abito, originariamente dotato di
significato anche per la sua funzionalità, viene
decontestualizzato e, contemporaneamente, svuotato di
senso. Solo il susseguirsi di "look dell'anno" acquista senso e
significato in quanto celebrazione del cambiamento.
Polhemus spiega questo fenomeno, ricorrendo alla metafora
del linguaggio: "Come nel caso delle singole lettere
dell'alfabeto, le singole immagini di moda ("i vari look
dell'anno") in sé sono prive di significato. In altri termini: "Il
look di questo anno" può acquisire senso come parte di una
catena sintagmatica di significati che (teoricamente ) si
estendono verso l'infinito. Il complesso di questa catena di
significati - presa come il tutto , conduce ad uno ed un solo
significato: le cose cambiano ".
      Al contrario, nelle società pre-rinascimentali, in molte
culture tradizionali e nelle subculture giovanili
l'immutabilità dell'abito rispecchia il valore accordato
all'abito in quanto significante di una precisa identità
sociale. L'abito e la decorazione corporea in questi contesti
sono parte integrante di una specifica visione del mondo, il
limite visibile tra noi e loro. A differenza di quanto avviene
nell'ambito della moda, con l'insensato susseguirsi dei "look
dell'anno", l’abito è parte integrante di una identità socio-
culturale. L'adozione di un particolare sistema simbolico per
decorare il proprio corpo è, infatti, inseparabile
dall'adesione ad un particolare gruppo sociale.




Testi: Massimo Antonucci
Riprendendo l'esempio fornitoci da Polhemus, nel
saggio "Sampling and mixing" :


    Noi della tribù X dipingiamo la pelle coi colori blu e nero come i
    serpenti. Non trasformare il vostro corpo in questo modo significa
    non essere uno di noi.



      Non può qui esistere arbitrarietà nell'uso degli abiti e
della decorazione corporea, così come all'interno di una
lingua non è possibile usare arbitrariamente una qualsiasi
parola per esprimere dei significati: esiste, infatti, un codice
( il vocabolario) che limita le possibilità di combinazione tra
espressioni e contenuti. In sintesi, nelle società tribali il
costume è concepito e vissuto come parte integrante della
propria identità e non può essere alterato se non a costo
della perdita dell'identità stessa.
      La somiglianza tra l'uso dell'abito nelle culture
tradizionali e nelle subculture giovanili è, quindi, da
ricercare in un rapporto cultura-abito tale da rendere l'abito
segno esteriore e immediato di una particolarità culturale .
Per quanto riguarda le subculture, basti pensare
all'equazione che si viene a stabilire tra sfera vestimentaria e
valoriale nel movimento hippy:
caffettano+fiori+collanine=h ippy=love and peace.




      D'altra parte, la differenza più marcata tra società
tradizionali di carattere tribale e le tribù di stile è che queste
ultime non condividono un territorio e spesso i propri
appartenenti non si conoscono tra loro (pensiamo al punk
giapponese e a quello spagnolo): il fattore unificante è
rappresentato dai mass media e dall'industria musicale.
      Se moda significa "rapido cambiamento del gusto",
celebrazione insensata del "look dell'anno", fuori-moda sono
tutti quei fenomeni di resistenza al Nuovo come valore in sé.
E' bene precisare, a questo punto, che la "moda" è sempre
più "forma-moda", una macrocategoria che investe il sociale
nella sua globalità.
      A questo proposito riporto le parole di Lipovetsky,
contenute nel saggio L'impero dell'effimero:


    E' l'era della moda matura che estende i suoi tentacoli su ambiti
    sempre più ampi della vita collettiva. Non è più tanto un settore



Testi: Massimo Antonucci
specifico e periferico quanto una forma generale che agisce in tutta
    la società. Viviamo immersi dappertutto e progressivamente nella
    moda, un pò ovunque si compie la tripla operazione che ne
    definisce la specificità: effimero, seduzione, differenziazione
    marginale."



      L'affermazione dell'effimero, di cui parla Lipovetsky, è
visibile nell'ossessione del "nuovo” che domina la
produzione e il consumo. La conseguenza più visibile è la
rapida obsolescenza delle merci, concepite sempre più
all'interno di una logica dell'usa e getta. Per quanto riguarda
la seduzione, il secondo fattore che caratterizza la forma-
moda secondo Lipovetsky, si pensi all'importanza assunta
dall'industrial design nell'apparato produttivo. Lipovetsky
stesso ci ricorda, infatti, che: "Il nuovo ruolo riconosciuto
alla seduzione traspare dalle frequenti modificazioni
estetiche degli oggetti.". Così, il continuo aggiornamento
dello styling di auto, articoli per la casa etc. è simile al
susseguirsi delle collezioni stagionali nell'abbigliamento. La
differenziazione marginale, infine, è quel fenomeno che
contraddistingue il pret-a-porter, ma si ritrova in ogni
ambito merceologico: ne sono testimonianza le infinite
versioni dello stesso modello di auto.
      Fuorimoda, quindi, significa collocarsi all'esterno di
questo orizzonte di valori: è il caso delle subculture
giovanili. Storicamente l'inizio dei fenomeni di resistenza
subculturale al Sistema Moda è collocabile intorno agli
anni'40. Infatti, prima con gli Zooties, musicisti jazz
afroamericani vestiti con lo Zoot , e poi con i Wild Ones
(Selvaggi), bande di motociclisti della costa ovest americana,
siamo in presenza di un nuovo modo di vivere il rapporto
con l'abito.




      Citando Polhemus, si può dire che: " Come gli Zooties, i
Wild Ones (Selvaggi) dimostrarono le caratteristiche
essenziali di una nuova ed affascinante invenzione, la tribù
di stile: il rigetto della storia lineare/"progresso" e la
rappresentazione della "nostra cultura" per mezzo del
"nostro costume" - uno stile che nella sua sfida di
cambiamento ( l'idea del "look da motociclista di questo
anno" è assurda) colloca la subcultura al di fuori della storia
nel territorio del "per sempre". (Un desiderio che trova la
sua espressione finale nella forma di alcuni tatuaggi che
indicano il mandato subculturale e che sfidano il piacere
delle nostre principali società per la transizione.)"
      Vediamo ora di approfondire il discorso circa i
rapporti tra sistema moda e subculture.
      In primo luogo, cosa intendiamo per sistema-moda?
Rimanendo nello specifico dell'ambito vestimentario,
possiamo considerare "sistema-moda" l'insieme di soggetti



Testi: Massimo Antonucci
attivi all'interno del ciclo della moda. In linea generale, i
soggetti coinvolti nel processo della moda sono:
- i produttori, artefici delle proposte formali e di stile;
- i distributori, variamente configurati nelle diverse realtà
territoriali e nazionali;
- i venditori, ovvero i gestori dei punti vendita;
- i mass media, fondamentale anello di congiunzione tra i
soggetti appena elencati e i consumatori;
- gli istituti di ricerca, in grado di influenzare la creazione e
la comunicazione del nuovo;
- i consumatori, i soggetti destinatari delle proposte di
moda.
      Sistema-moda, quindi, perché la moda funziona
secondo la tipica modalità sistemica per cui ogni
modificazione di una componente del sistema viene seguita
da una modificazione di tutte le altre. In questa ottica i
fenomeni di moda possono essere visti come un continuo
processo che muove da un disequilibrio temporaneo,
generato da una componente del sistema, ad un successivo
riequilibrio del sistema stesso.
      Negli ultimi decenni i disequilibri più vistosi sono stati
prodotti dai creatori-produttori, prima, e dai consumatori,
poi. Negli anni '70 le proposte di moda facevano riferimento
a bisogni integrativi e di status sociale: è il periodo degli
status symbol. Con gli anni '80, invece, l'interesse si è
spostato dal singolo oggetto che connota un certo status
sociale, allo stile di vita configurato da una particolare
costellazione di beni consumati. Sono gli anni in cui si
afferma lo style symbol e gli stilisti diventano loro stessi di
moda. Negli anni '90 il disequilibrio del sistema moda è da
attribuire al consumatore. I fattori che lo determinano sono
sostanzialmente due: da un lato i creatori-produttori si
trovano sempre più in difficoltà a causa della incessante
esigenza di sorprendere e di fare notizia; dall'altro, con
l'emergere della soggettività postmoderna, frammentata e
ambivalente, i consumatori diventano difficilmente
classificabili in termini di stili di vita. Le tradizionali
categorie di definizione dell'identità - età, genere sessuale,
classe sociale - vengono meno, lasciando spazio ad una
concezione dell'identità che esalta la non stabilità, la non
certezza, la non unitarietà.
      In questo contesto lo stile svolge funzioni differenti:
può essere uno strumento adeguato per la rappresentazione
dell'identità postmoderna ( succede quando un certo stile è
caratterizzato da elementi fortemente ambivalenti); oppure
diventa il veicolo per comunicare una identità collettiva,
propria degli appartenenti a determinate minoranze ( è il
caso delle subculture giovanili che abbiamo in precedenza
definito anche "tribù di stile"). Nel primo caso, il risultato è
il moltiplicarsi delle proposte da parte del sistema moda,
nella disperata ricerca di fornire risposte adeguate alle
esigenze della multiforme soggettività postmoderna.
       Nasce quello che alcuni autori definiscono il
supermarket dello stile, dove si può comprare a buon
mercato una identità preconfezionata e pronta all'uso. In
questo supermarket iniziano ad essere disponibili anche
quegli stili di strada, nati per opporsi al sistema moda. Negli
ultimi 15-20 anni, infatti, i percorsi della moda e degli stili
di strada si sono incrociati dando vita ad una ricca
ibridazione e ad una cacofonia di proposte stilistiche
alternative . Negli scaffali, così, troviamo tutti gli elementi



Testi: Massimo Antonucci
stilistici delle differenti subculture come se fossero scatole di
zuppe istantanee.




     Il processo di decontestualizzazione e svuotamento di
senso tipico del sistema moda colpisce, però, duramente le
subculture. Il look da punk, tanto per fare un esempio, non
rinvia più ad una cultura con una forte carica
destabilizzante: è solo abito, una innocua simulazione che il
sistema ha introdotto per soddisfare la propria incessante
ricerca di nuove forme.
     Il sistema moda, quindi, si è appropriato dell'apparato
simbolico delle subculture giovanili, svuotandole di senso.
La simulazione costituisce un pericolo mortale per quel
valore irrinunciabile di una subcultura che è l'autenticità.
Riprendiamo, a questo proposito, le parole di Ted Polhemus
contenute nel saggio, citato in altre occasioni,
"Sampling&Mixing":


        Sebbene ci siano anche oggi numerose eccezioni - I New Age
        Travellers, i Modern Primitive, i Pervs ed i Raggamuffins - la
        grande epoca della sottocultura è chiaramente tramontata. Al
        suo posto ecco il simulacro della Sottocultura in cui 50 anni di
        controstoria delle tribù di stile sono stati risucchiati nel buco
        nero sincronico del post-moderno... Con una moda nostalgica
ed un indicatore d'imitazione posto al massimo, la superficie
        senza sostanza sembra all'ordine del giorno.



     L'identità fluida e frammentata del consumatore
postmoderno può giocare, così, con i simulacri
preconfezionati delle subculture, come in una specie di festa
in maschera. Ironicamente Polhemus osserva:


    Vuoi essere un Punk? Lo stai diventando. Vuoi essere un
    Beatnik? (Opzione molto popolare al momento). Lo sei già
    Vuoi essere un Hippy? Non c'è problema. In questo
    supermarket degli stili tutte le tribù stilistiche di ieri sono
    poste sugli scaffali come scatole di zuppa istantanea. Aggiungi
    solo acqua e subito l'aroma e il sapore di autenticità può
    essere tuo.



     La sfida che si trova davanti chiunque voglia sfuggire
alla logica del supermarket degli stili è, quindi, proteggere la
propria autenticità dai tentativi di simulazione. Le strategie
in fase di sperimentazione sono fondamentalmente due: la
prima è una strategia di decostruzione-ricostruzione; la
seconda una strategia del fronte comune. La strategia di
decostruzione-ricostruzione è, in definitiva, una operazione
complessa che prevede: la scomposizione del costume delle
tribù di stile nelle sue componenti minime, in un primo
tempo; l'assemblaggio di queste componenti, in modo da
formare combinazioni inedite e nuove soluzioni, in un
secondo tempo. Possiamo pensare, solo per fare qualche
esempio, alla combinazione collane "hippy" e anfibi "punk",
o a quella di pantaloni a zampa d'elefante "glam" con il
tipico bomber da skinhead. Polhemus definisce questa
operazione sampling&mixing.


Testi: Massimo Antonucci
Sampling&Mixing sono termini derivati dal rap, dal rave, dalla
    techno e da altre forme di musica pop contemporanea. Sampling
    descrive il processo per cui piccoli frammenti di "vecchia" musica
    pop sono presi a prestito dai loro contesti originari. Mixing si
    riferisce all'operazione di rimettere insieme un certo numero di tali
    campioni per generare una nuova ed unica sequenza... L'obiettivo è
    mischiare in una serie di presentazioni i campioni più strani.



     Questa strategia mira a spiazzare qualunque tentativo
di simulazione, eludendo le facili classificazioni tipologiche.
D'altra parte, l'operazione di decostruzione-ricostruzione
tradisce, a sua volta, la stessa ambivalenza e frammentarietà
tipiche della postmodernità.
     La seconda strategia -lastrategia del fronte comune -
parte, invece, dal riconoscimento, da parte delle subculture,
della minaccia proveniente dal supermarket degli stili con i
suoi simulacri. Deriva, inoltre, dall'identificazione di un
minimo comune denominatore, costituito dalla ricerca di un
modo di vivere autentico, in una costruzione sociale di tipo
tribale della realtà. Questa strategia ha dato origine, in
alcuni casi, a dei veri e propri processi di mescolamento.
Polhemus afferma a questo proposito:


    La storia recente delle subculture ha visto un'intera serie di
    tribù apparentemente contraddittorie fondersi tra loro: i New
    Age Travellers, ad esempio, hanno amalgamato con successo
    ideologie/stili degli Hippies e dei Punks (un tempo
    totalmente in opposizione), in quello che potrebbe essere
    definito"Hipunk". Ora al momento questa amalgama sta
    avvenendo anche attraverso legami effettivi con la cultura
    Rave. Il risultato di ciò può intravvedersi negli eventi "spiral
    tribe" e in un club di Londra chiamato "Megadog" ( che da il
benvenuto a qualsiasi cosa si possa immaginare tranne,
     ironicamente, i cani ).



      In questo nuovo tipo di club è possibile vedere una
grande varietà di tribù, diverse per stili e gusti musicali,
vivere a stretto contatto nel rispetto reciproco. Questo
fenomeno si regge sulla consapevolezza che noi - aderenti
alle subculture - siamo diversi da loro - gli abituali
frequentatori del supermarket degli stili.
Essere ai confini del sistema moda, quindi, significa sempre
più essere ai confini del sistema sociale tout court. Questa
marginalità è un fattore determinante, come vedremo, nella
formazione delle subculture giovanili.




Le subculture giovanili



      Prima di vedere più in dettaglio il fenomeno della
marginalità giovanile, cerchiamo di chiarire il significato di
"subcultura", partendo dalle tre definizioni di cultura
proposte da Williams, uno dei padri fondatori dei Cultural
Studies: la prima definizione vede la cultura come "un
processo generale di sviluppo intellettuale, spirituale ed
estetico"; la seconda come "un particolare modo di vita,
riferito ad un popolo, un periodo, o un gruppo"; la terza
come "i lavori e le pratiche dell'attività intellettuale e
artistica."
      L'accezione di "cultura" più pertinente dal punto di
vista del nostro discorso è quella che fa riferimento ad un



Testi: Massimo Antonucci
particolare modo di vita di un popolo o di un gruppo in un
determinato periodo.
      Coerentemente con questa accezione di cultura ,
possiamo definire le subculture o sottoculture come
particolari stili di vita propri di un gruppo che presenta
caratteristiche culturali speciali e che, allo stesso tempo,
mantiene alcuni tratti specifici della cultura cui appartiene.
      Quando si parla di "subculture giovanili", così, si fa
riferimento ad una molteplicità di culture adolescenziali,
spesso antagoniste tra loro, che manifestano la propria
particolarità con specifici gusti musicali e
nell'abbigliamento. Il loro minimo comune denominatore è
l'opposizione alla cultura adulta. Nonostante ciò, i valori
dominanti all'interno delle subculture giovanili sono
fortemente condizionati dalla cultura adulta di provenienza:
basti pensare all'importanza della variabile razziale nella
formazione di molte sottoculture giovanili, specialmente
negli USA.
      L'importanza dei gruppi di coetanei nella società
urbana post-industriale è senza precedenti: svolgono, infatti,
un ruolo insostituibile nel processo di emancipazione
dell'adolescente- "emancipazione" è qui da intendere nel
senso etimologico del termine come "liberazione dalla
manus , ovvero dalla soggezione alla patria potestà"-. In
particolare, le funzioni svolte dai gruppi sono: procurare
uno status simbolico autonomo -"simbolico" perchè è valido
solo all'interno del gruppo-; aiutare lo sviluppo del senso
della propria identità; essere luogo di apprendimento di
modelli di socialità differenti da quelli familiari.
      Il gruppo, in altri termini, colma lo spazio vuoto che
nelle nostre società viene a crearsi con la frattura tra
maturità biologica dell'adolescente e sua marginalità sociale.
Questo fenomeno va contestualizzato a livello storico e
sociale, dal momento che l'adolescenza stessa, come spiega
in modo convincente Gerard Lutte nel suo saggio Psicologia
degli adolescenti e dei giovani , non è una fase naturale
della vita dell'uomo, ma una costruzione sociale. In altre
società, infatti, così come nell'antica Roma, non è
rintracciabile quella fase di transizione che definiamo
comunemente "adolescenza": all'infanzia segue direttamente
l'età adulta.
      Secondo alcuni autori l'adolescenza è una categoria
che si afferma nelle ultime decadi del XIX secolo a seguito
dell'esigenza sempre più avvertita all'interno della classe
borghese di una formazione universitaria. Il periodo di
dipendenza dei giovani, così, s'allunga. Inoltre, spesso viene
appesantito da un modello educativo di tipo militare. Nel
'900 la creazione sociale dell'adolescenza diventa un
fenomeno che riguarda porzioni sempre più ampie della
società, fino a diventare di massa intorno alla metà del
secolo. Le cause principali sono: il processo di
industrializzazione che espelle i giovani dal lavoro;
l'estensione della scuola secondaria; la creazione di leggi che
codificano la subalternità del "giovane"-ad esempio, sotto i
14 anni per la legge si è "incapaci di intendere e volere" e
quindi non si è imputabili per eventuali reati commessi- .
Coloro che non accettano la subordinazione-emarginazione
(tra questi molti giovani delle classi popolari) vengono
presto etichettati come "delinquenti".
      L'etichettamento e l'amplificazione dei fenomeni di
devianza è un ambito studiato dalla sociologia delle
comunicazioni di massa, in particolare da quel filone di

Testi: Massimo Antonucci
studi che va sotto il nome di interazionismo. Questa
scuola di pensiero ha cercato, in primo luogo, di fare luce
sul ruolo dei media nell'organizzazione della reazione
sociale alla devianza. Uno dei primi e migliori esempi è lo
studio di Turner e Surace del 1956 sui disordini che si
verificarono a Los Angeles nel 1943. I due ricercatori
mostrarono come il fatto che la stampa locale identificasse i
giovani messicani che indossavano gli abiti chiamati zoot
suits come individui devianti e pericolosi, abbia contribuito
a incrementare la preesistente ostilità dei bianchi,
stimolando ulteriori risse di strada. Tutto questo con il
risultato di rafforzare lo stereotipo iniziale.
      Turner e Surace fanno notare anche che le notizie
riportate dalla stampa e la paura che ne nacque ebbero un
effetto importante sugli uomini politici locali e che nel
momento di massimo allarme il consiglio municipale di Los
Angeles prese seriamente in considerazione la possibilità di
punire con il carcere chiunque indossasse uno zoot suit .
Un ben diverso orientamento nelle ricerche di
sociologia delle comunicazioni di massa è rappresentato dal
comportamentismo, filone di studi interessato ai rapporti fra
un particolare stimolo e una particolare risposta (nello
specifico l'oggetto di studio è costituito dai rapporti tra
rappresentazione massmediale della devianza ed effetti
sociali). Il comportamentismo, in linea generale, ha
concentrato i suoi sforzi nel tentativo di dimostrare come le
rappresentazioni dei media possano essere considerate la
causa diretta di molte azioni criminali. Questo tipo di
ricerche si è prestato, così, a facili strumentalizzazioni di
tipo moralistico.
      Riprendiamo, a questo proposito, alcuni passaggi del
saggio "Abbandonare il behauviorismo: due decenni di
ricerca su mass media e devianza in Gran Bretagna"di
Graham Murdock:




    La diffusione della televisione commerciale e la nascita
    dell'industria rock per teen-agers in Gran Bretagna sul finire
    degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta coincise con
    un considerevole incremento del tasso di criminalità giovanile
    e con la tanto pubblicizzata violenza della prima sub-cultura
    giovanile del paese, i teddy boys . Questi fenomeni e il rilievo
    che ad essi fu attribuito diedero origine a un certo allarme
    sociale sugli effetti negativi di questi nuovi media sulla
    gioventù del paese, che da allora non si è più spento. Una
    delle espressioni più importanti di questa reazione fu quella
    che ebbe inizio nel 1964, quando una preside della scuola di
    mezza età, la signora Mary Whitehouse, lanciò la sua Clean Up
    TV Campaign , una campagna di moralizzazione della
    televisione che si basava fermamente sulla convinzione
    comportamentista che esiste una connessione diretta fra sesso



Testi: Massimo Antonucci
e criminalità in televisione e violenza e <<permissività>> fra i
    teen-agers...


     Nell'ambito dell'interazionismo e della teoria
dell'etichettamento si colloca il lavoro del 1964 di Stan
Cohen sulla rappresentazione da parte dei media delle due
sub-culture giovanili più pubblicizzate dell'epoca: i mods e i
rockers.




     Nella primavera di quell'anno alcuni gruppi sia di
rockers che di mods andarono a passare una giornata al
mare nella località di Clacton, dove scoppiarono risse fra i
due gruppi. Il giorno successivo la stampa popolare mise gli
incidenti in prima pagina e, rifacendosi all'iconografia delle
gang di strada di New York, li presentò come furiose
battaglie fra bande rivali organizzate. Questo atto di
etichettamento ebbe, secondo Cohen, due grossi effetti: in
primo luogo, fece scattare l'allarme sociale, costringendo la
polizia a intensificare la sorveglianza dei due gruppi, (ne
derivarono arresti più frequenti che finirono con
l'alimentare l'allarme iniziale); in secondo luogo,
evidenziando le differenze di stile e dando rilievo
all'antagonismo fra i gruppi, la pubblicazione incoraggiò i
teen-agers a pensare se stessi negli stessi termini in cui le
due sub-culture venivano descritte. La convergenza di questi
processi produsse ulteriori scontri fra i gruppi, attirando
ulteriori attenzioni da parte della stampa e scatenando
ulteriore allarme nel pubblico.
      Di particolare importanza nello studio delle sub-
culture in Inghilterra è il lavoro di Dick Hebdige Subculture:
The Meaning of Style del 1979, tradotto in italiano con il
titolo Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale. Questo
testo inquadra il fenomeno delle subculture nell'ottica del
rifiuto ideologico della cultura egemone, sottolineando come
le immagini, gli stili e le merci proposte dai mass media
possano essere investite di significati nuovi e politicamente
sovversivi.
      A questo proposito, Hebdige afferma:


    Col ricontestualizzare e riposizionare le merci, col sovvertire il
    loro uso convenzionale, inventandone di nuovi, lo stilista sub-
    culturale apre il mondo degli oggetti a letture nuove e
    nascostamente opposizionali.



      Questo saggio, infatti, offre una utile chiave
d'interpretazione delle sub-culture ed una interessante
panoramica della loro storia in Inghilterra dalle origini fino
alla fine degli anni '70.
      In primo luogo, possiamo dire che il quadro teorico di
riferimento dell'opera di Hebdige è composto di categorie
prese a prestito dal pensiero marxiano e gramsciano, per



Testi: Massimo Antonucci
quanto riguarda i concetti di "ideologia" ed "egemonia"; si
avvale, inoltre, dell'approccio semiologico di Barthes ai
fenomeni di mitizzazione delle società borghesi
contemporanee. Non mancano, nell'analisi di Hebdige, i
punti di contatto tra i concetti di "ideologia" e di "mito": sia
il mito che l'ideologia, infatti, operano sotto il livello della
coscienza per "naturalizzare" le idee delle classi dominanti.


      In Miti d'oggi di Barthes leggiamo:


     L'intera Francia è immersa in questa ideologia anonima: la stampa,
     il cinema, il teatro, la letteratura di largo uso, i cerimoniali, la
     Giustizia, la diplomazia, le conversazioni, il tempo che fa, il delitto
     che si giudica, il matrimonio a cui ci si commuove, la cucina dei
     nostri sogni, l'abito che si indossa, tutto, nella nostra vita
     quotidiana, è tributario dell'immagine che la borghesia si fa e ci fa
     dei rapporti tra l'uomo e il mondo.



      Il "mito", in Barthes, sono tutti quei significati secondi
o connotazioni che poggiano sul primo livello della
significazione, il livello denotativo. Così, la foto di un
soldato di colore che saluta la bandiera francese può essere
letta: 1) un semplice gesto di fedeltà; 2) "la Francia è un
grande Impero, che tutti i suoi figli, senza distinzione di
colore, servono fedelmente sotto la sua bandiera". E' questo
secondo livello, per molti versi "implicito", a naturalizzare le
forme e i rituali delle società borghesi contemporanee. Il
mitologo deve, quindi, saper leggere questo sistema
semiologico secondo in modo da evidenziarne la natura
storica e ideologica.
Nel saggio intitolato Per Marx          Louis Althusser spiega il
concetto di ideologia in questi termini:
L'ideologia ha ben poco a che vedere con la 'coscienza' (...).
         Essa è profondamente inconscia (...). L'ideologia è sì un
         sistema di rappresentazioni, ma queste rappresentazioni non
         hanno il più delle volte nulla a che vedere con la 'coscienza':
         per lo più sono immagini, a volte anche concetti, ma
         soprattutto sono strutture, e come tali si impongono alla
         stragrande maggioranza degli uomini senza passare attraverso
         la loro 'coscienza'. Sono oggetti culturali percepiti-accettati-
         subiti che agiscono sugli uomini attraverso un processo che
         sfugge loro.



     A commento di questa definizione di ideologia,
Hebdige fa notare che anche uno spazio architettonico,
come un'aula universitaria, può riflettere una precisa
impostazione di pensiero, che tende a "naturalizzarsi". Così,
la disposizione dei posti a sedere, con file di panche in
gradinate ascendenti di fronte ad un leggìo posto su una
pedana, materializza il rapporto gerarchico fra insegnante e
allievi, determinando la direzione del flusso della
comunicazione. Una particolare visione del rapporto
insegnante-allievo, quindi, viene a prendere forma concreta
in uno spazio architettonico, vissuto come lo spazio
"naturale" per le lezioni universitarie. Tramite questo
processo di "naturalizzazione" l'ideologia può riprodursi e
dare l'impressione di essere qualcosa al di fuori della storia.
     La questione cruciale, a questo punto del discorso, è,
secondo Hebdige, capire quali ideologie specifiche
prevarranno in un dato momento, in una data situazione, e
di quali gruppi e di quali classi rappresenteranno gli
interessi. La distribuzione del potere, infatti, non è certo
omogenea.


Testi: Massimo Antonucci
Nell' Ideologia tedesca Marx esprime in modo chiaro il
rapporto tra idee dominanti e gruppi dominanti nella
società:


           Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee
           dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale
           dominante della società è in pari tempo la sua potenza
           spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della
           produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei
           mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in
           complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano
           i mezzi della produzione intellettuale.




      La validità di queste affermazioni risulta chiara se
pensiamo, ad esempio, alle possibilità di accesso ai mass
media. E' indiscutibile, infatti, che certi gruppi sociali siano
in una posizione favorevole per produrre e diffondere le
proprie definizioni del mondo.
      A questo punto Hebdige introduce il concetto
gramsciano di egemonia che fornisce, a suo parere, la
spiegazione più adeguata su come si mantiene il dominio
nelle società capitalistiche avanzate. Il termine "egemonia"
si riferisce ad una data situazione in cui un'alleanza
provvisoria di certi gruppi sociali può esercitare un'autorità
sociale totale su altri gruppi subordinati, non
semplicemente attraverso la coercizione o l'imposizione
diretta di idee dominanti, ma attraverso la conquista e la
regolamentazione del consenso, in modo che il potere delle
classi dominanti appaia insieme legittimo e naturale.
      Secondo Gramsci, comunque, il potere egemonico, dal
momento che richiede il consenso della maggioranza
dominata, è sempre in una posizione di "equilibrio
instabile". Il consenso, quindi, può essere rotto, rifiutato, e
la resistenza ai gruppi che detengono il dominio non può
sempre essere facilmente respinta o automaticamente
assorbita.
     Possiamo ora ritornare alle subculture giovanili che,
per Hebdige, rappresentano un fenomeno spettacolare che
testimonia la caduta del consenso nel periodo postbellico. La
sfida all'egemonia, in questo caso, non è diretta: si esprime
in maniera obliqua come stile. In altri termini, con le
subculture giovanili nasce una pratica di resistenza, dove
le apparenze costituiscono una evidente violazione
simbolica dell'ordine sociale. All'invisibilità discreta
dell'abito borghese, vissuto come significante della
"normalità", si contrappone l'apparato spettacolare di abiti
e decorazioni corporee delle subculture, che finisce
inevitabilmente per rappresentare lo scarto dalla norma e,
quindi, la devianza. Usando le parole di Hebdige, possiamo
dire che:


         La comunicazione (...) di una diversità significativa
         (e la parallela comunicazione di un'identità di
         gruppo) è la "qualità essenziale" che sta dietro allo
         stile di tutte le sottoculture spettacolari. Costituisce
         il termine sovraordinato sotto cui sono disposte
         tutte le altre significazioni, il messaggio mediante il
         quale parlano tutti gli altri messaggi.



     Laddove l'ideologia dominante tende a naturalizzare le
forme - ad esempio l'abito blu e la cravatta per gli uomini è
il modo "naturale" di apparire in molti contesti -, la
resistenza subculturale si manifesta con forme che ostentano


Testi: Massimo Antonucci
la propria artificialità. Un esempio, a questo proposito, può
essere la spilla da balia usata dai punk: questo oggetto
banale viene spostato dal suo contesto d'uso"naturale" per
essere ricontestualizzato e, quindi, caricato di significati
imprevedibili.
      Questa pratica di "decontestualizzazione-
ricontestualizzazione" è definita da Hebdige, in termini
antropologici, come "bricolage". In ambito subculturale, il
bricolage è la modalità con cui si può costruire un proprio
discorso, a partire da discorsi già fatti. Ricollocare oggetti
significanti in nuove combinazioni o nuovi contesti, infatti,
permette la trasmissione di messaggi differenti, alla stessa
maniera dei ready-made di Duchamp.          Come atti di
bricolage, quindi, possiamo interpretare pratiche differenti
quali: il furto e la trasformazione da parte del teddy boy
dello stile edoardiano, fatto rivivere nei primi anni '50 da
Savile Row; la trasformazione del motoscooter , nella
subcultura mod, da rispettabilissimo mezzo di trasporto in
un minaccioso simbolo di solidarietà di gruppo; l'uso,
sempre nella subcultura mod, di pettini di metallo che,
affilati come rasoi, diventano potenziali armi da offesa.
L'elenco potrebbe essere molto più lungo…
La sce na statunitens e


     Nel movimento beat la cultura nera è mitizzata, come
testimonia un passo tratto da Sulla strada di Jack Kerouac:


         Camminavo nella sera piena di lillà con tutti i muscoli
         indolenziti in mezzo alle luci della Ventisettesima Strada nella
         Welton in mezzo al quartiere negro di Denver, desiderando di
         essere un negro, sentendo che quanto di meglio il mondo dei
         bianchi ci aveva offerto non conteneva abbastanza estasi per
         me, e neppure abbastanza vita, gioia, entusiasmo, oscurità,
         musica, né notte sufficiente.


     In ambito musicale, i legami che uniscono le culture
giovanili bianche alla classe operaia nera sono stretti,
particolarmente per quanto riguarda il jazz. Intorno agli
anni '30, molti musicisti bianchi hanno suonato insieme con
artisti neri nelle jam session, mentre altri ne hanno ripreso
la musica traducendola e trasferendola in un contesto
diverso. In tale processo la struttura e il significato del jazz
subiscono una modificazione: lo swing bianco, infatti,
elimina buona parte della carica di rabbia ed erotismo della
linea calda del jazz, dando luogo ad un suono delicatamente
raffinato da night club. Questi significati repressi vengono
trionfalmente riaffermati nel be-bop.


         Il bop nacque col jazz ma un pomeriggio, non so su quale
         marciapiede, forse nel 1939, 1940, Dizzy Gillespie, o Charley
         Parker o Thelonius Monk, passando davanti a un negozio di
         abbigliamento da uomo sulla 42a Strada o nella South Main a
         Los Angeles, a un tratto sentì dagli altoparlanti un errore


Testi: Massimo Antonucci
incredibile e impossibile nel jazz che poteva aver udito solo
         nella sua immaginazione, ed ecco un'arte nuova. Il bop...



      A descrivere con queste parole la nascita del bop è
Kerouac, nel volume di recente pubblicazione intitolato
Scrivere bop. L'amore di Kerouac per questo tipo di musica è
tale da fargli identificare le regole della scrittura che lui
propone con le modalità di improvvisazione di Charlie
Parker al sassofono. Il racconto immaginario della nascita
del bop prosegue in questo modo:



         Dizzy o Charley o Thelonius stava camminando per la strada
         udì un rumore, un suono, metà Lester Young, metà grezza-
         nebbia-piovosa che ha quel brivido di eccitamento da
         baracca, binario, pezzo di terra vuoto, l'improvvisa enorme
         testa di Tigre sullo steccato dei bagnati di pioggia di un
         sabato mattina senza scuola, " Ehi!" e corse via a passo di
         danza. Al piano, quella notte, Thelonius inserì una nota sorda
         fuori tono rispetto alle calde note di tutti gli altri(...) La
         strana nota fa alzare il sopracciglio al trombettista della
         band. Per la prima volta, quel giorno, Dizzy è sorpreso. Porta
         la tromba alle labbra e suona un'umida evanescenza.(...) ride
         Charlie Parker piegando a battersi la caviglia. Si porta il
         contralto alla bocca e - con la linea del jazz - dice << Non ve
         lo avevo detto?>>. Parlando eloquente come i grandi poeti di
         una lingua straniera che cantano con la lira in paesi stranieri,
         per mare, e nessuno li capisce perchè quella lingua non è
         ancora nota a terra - il bop è la lingua dell'inevitabile Africa
         D'America, going suona come gong , Africa è la vibrazione dei
         fiati e il piede che batte obliquo il ritmo - l'improvviso stridio
         disinibito che urla finché la tromba di Dizzy Gillespie lo
         soffoca - fai tutto quello che vuoi - deviando la melodia verso
         un altro bridge improvvisato con un lacerante protendersi di
         artigli, perchè essere furbi e falsi?
Da una serie di jam-session improvvisate al Minton's
nasce, così, intorno agli anni'40, il New York sound. Charlie
Parker, Dizzy Gillespie e Thelonius Monk, come raccontava
la cronaca immaginaria della nascita del bop di Kerouac,
erano i protagonisti di questo tipo di suono che diventò la
base di una emergente cultura sotterranea.
     Verso la metà degli anni '50, un pubblico bianco,
nuovo e più giovane, cominciò ad avvicinarsi al New York
sound, nonostante fosse difficile da ascoltare e ancora più
da imitare. Così, i beat e gli hipster cominciarono ad
improvvisare un proprio stile esclusivo su una forma di jazz
meno compromessa: un jazz di "pura astrazione" che
metteva in corto circuito la banalità".




Testi: Massimo Antonucci
Hebdige così descrive le reazioni all'emergere delle
sottoculture hipster e beat:


           Questa convergenza senza precedenti di nero e di bianco,
           proclamata con tanta aggressività e con tanta spudoratezza
           provocò un'inevitabile controversia che si incentrava sui temi
           della razza, del sesso, della rivolta, ecc., e che si sviluppò
           rapidamente in panico morale. Tutti i sintomi classici
           dell'isteria più comunemente associata all'emergere alcuni
           anni dopo del rock'n roll erano presenti nella reazione con
           cui l'America conservatrice, che si sentì oltraggiata, salutò i
           beat e gli hipster, e allo stesso tempo si andò sviluppando da
           parte di osservatori "liberal" interessati al fenomeno tutta una
           mitologia del negro e della sua cultura. A questo punto il
           negro andò libero, indenne dalle desolanti convenzioni che
           tiranneggiavano membri più fortunati della società (cioè gli
           scrittori) e, sebbene intrappolato in un ambiente crudele di
           strade e basamenti squallidi, per una curiosa inversione
           anche lui ne uscì alla fine vincitore (...) Il negro
           nebulosamente osservato attraverso la prosa di Norman
           Mailer oppure attraverso gli esangui panegirici di Jack
           Kerouac (...), poté servire per i giovani bianchi da modello di
           libertà in schiavitù.



        Goldman, autore citato da Hebdige, disegna in
modo sintetico il profilo delle sottoculture hipster e
beat:


           lo hipster era (...) un tipico dandy delle classi inferiori,
           abbigliato come un magnaccia, che affettava un tono freddo e
           cerebrale - per distinguersi dai tipi grossolani e impulsivi che
           lo circondavano nel ghetto - e che aspirava alle cose migliori
           della vita, come a dell'ottima 'erba', al sound più bello, quello
           del jazz e quello afro-cubano
laddove...
         il beat era in origine uno studente della più schietta classe
         media, come Kerouac, che si sentiva soffocare dalla città e
         dalla cultura che aveva ereditato e che voleva sostituire con
         luoghi lontani ed esotici, dove avrebbe potuto vivere con la
         'gente', scrivere, fumare e darsi alla meditazione.


     Secondo Hebdige, la sottocultura hipster vive una
vicinanza reale, non solo spirituale, con la comunità dei
neri: hipsters e neri vivono, infatti, a contatto nei ghetti
metropolitani. Il beat, invece, vive un rapporto immaginario
con il negro-come-nobile-selvaggio.

         Così, benché le sottoculture hipster e beat si organizzassero
         intorno ad un'identità condivisa con i negri (simbolizzata nel
         jazz), la natura di tale identità, resa palese negli stili adottati
         dai due gruppi, era qualitativamente diversa. I vestiti da
         gangster e gli abiti leggeri all'italiana dello hipster
         incarnavano le aspirazioni tradizionali (...) del magnaccia
         negro, mentre il beat, deliberatamente vestito di stracci, in
         jeans e sandali, esprimeva il magico rapporto con una miseria
         che costituiva nella sua immaginazione un 'essenza divina,
         uno stato di grazia, un sacro rifugio.



     Questa distinzione netta tra la sottocultura hipster e
quella beat sembra essere contraddetta dalle parole con le
quali Kerouac racconta la nascita del movimento beat.

         La Beat Generation è una visione che abbiamo avuto, John
         Clellon Holmes e io e Allen Ginsberg in un modo ancora più
         incredibile, alla fine degli anni '40, la visione di una
         generazione di splendidi hipster illuminati che di colpo si
         levavano e si mettevano in viaggio attraverso l'America, seri,
         curiosi, vagabondando e arrivando dappertutto in autostop,
         cenciosi, beati, belli nella loro nuova bruttezza piena di


Testi: Massimo Antonucci
grazia (...) beati, nel senso di battuti ma pieni di ferme
         convinzioni - Avevamo anche sentito vecchi Papà Hipster
         delle strade del 1910 usare la parola in quel modo, con
         malinconico scherno - Non designò mai i giovani delinquenti,
         designava gli individui dotati di una spiritualità diversa che
         non formarono mai una banda ma rimasero come Bartleby
         solitari a guardare fuori dalla finestra cieca della nostra
         civiltà - gli eroi sotterranei che avevano finalmente voltato le
         spalle all'occidentale macchina "della libertà" e si drogavano,
         ascoltavano il bop, avevano lampi di genio, sperimentavano il
         "turbamento dei sensi", parlavano strano, erano poveri e
         felici, profetizzavano un nuovo stile per la cultura americana,
         un nuovo stile (pensavamo) completamente libero da
         influenze europee (...) una nuova formula magica-




     Sempre sulle pagine dello stesso scritto, intitolato Sulla
Beat Generation, Kerouac descrive uno scenario dove la
cultura beat rappresenta uno sviluppo coerente della
sottocultura hipster. A tratti, anzi, i due termini si
confondono:
Scrivevamo storie su non so quale strano e beato santo negro
           hip col pizzetto che attraversava lo Iowa in autostop con la
           tromba fasciata, portando il misterioso messaggio del soffiare
           su altre coste, in altre città, come un vero e proprio Gualtiero
           Senzaavere alla testa di un'invisibile Prima Crociata -
           Avevamo i nostri eroi mistici e scrivemmo, anzi cantammo
           romanzi che parlavano di loro, costruimmo lunghi poemi che
           celebravano i nuovi "angeli" dell'underground americano - In
           realtà era solo un gruppetto di ragazzi hip veri patiti dello
           swing...



        Dalle parole di Kerouac emerge una situazione dove la
distinzione tra sottocultura beat e hipster risulta essere una
forzatura analitica. Anche per quanto riguarda lo stile
vestimentario i termini si confondono:

           ... la gioventù del dopoguerra di Corea emerse cool e beat, ...,
           e presto fu ovunque, il nuovo look, il look trasandato e
           "sconvolto", alla fine cominciò ad apparire anche nei film
           (James Dean) e in televisione, gli arrangiamenti bop che erano
           un tempo la segreta musica da estasi dei beat contemplativi
           cominciarono ad apparire in ogni golfo mistico e in ogni
           spartito per orchestre tradizionali, le visioni bop diventarono
           patrimonio comune del mondo della cultura di massa ...
           l'assunzione di droghe divenne ufficiale (tranquillanti e tutto i
           resto), e anche il modo di vestirsi degli hipster beat venne
           trasmesso alla nuova gioventù del rock'n'roll tramite
           Montgomery Clift (giacche di pelle), Marlon Brando (T-shirt),
           e Elvis Presley (basettoni)...



        Kerouac, nell'articolo del 1959 "Beati: le origini della
Beat Generation", così racconta la nascita del movimento
beat:




Testi: Massimo Antonucci
Questo articolo riguarderà necessariamente me stesso. Dirò
tutto fino in fondo. Quella mia foto pazzesca sulla copertina
di Sulla strada è venuta così perché ero appena sceso dalla
cima di un'alta montagna dove avevo passato due mesi in
completa solitudine e di solito avevo l'abitudine di pettinarmi
i capelli perché devi fare l'autostop in autostrada e tutto
quanto e di solito vuoi che le ragazze, guardandoti, ti
considerino un essere umano e non una bestia ma il mio
amico e poeta Gregory Corso si sbottonò la camicia e tirò
fuori un crocifisso d'argento appeso a una catena e disse <<
Mettitelo, portalo fuori dalla camicia e non pettinarti!>>. Così,
ho passato un bel pò di giorni a San Francisco andando in
giro con lui e gente come lui, alle feste, nelle gallerie, nei
ritrovi, alle jam sessions, nei bar, alle letture di poesie, nelle
chiese, camminavamo per strada parlando di poesia,
camminavamo per strada parlando di Dio (e a un certo punto
una strana banda di delinquenti si arrabbiò e disse <<Che
diritto ha quello di portare quella roba?>> e la mia banda di
musicisti e poeti gli disse di calmarsi) e alla fine il terzo
giorno, il giornale <<Mademoiselle>> volle farci delle foto, a
tutti noi, così posai com'ero, capelli selvaggi, crocifisso e tutto
il resto, con Gregory Corso, Allen Ginsberg e Phil Whalen...
La cronaca di Kerouac riguardante la nascita del
movimento beat fornisce, allo stesso tempo, la
rappresentazione di uno stile di vita e di uno stile
vestimentario che lo rappresenta coerentemente. Il
crocifisso, così, non è un segno gratuito, ma l'elemento
significante che testimonia la ricerca di una nuova
spiritualità:


         Non mi vergogno di portare il crocifisso di nostro Signore.
         Perché sono un beat, cioè, credo nella beatitudine e credo che
         Dio amava il mondo al punto di donargli il suo unico figlio...


Queste affermazioni possono essere meglio comprese,
considerando il significato che Kerouac attribuiva alla
parola "beat". Nell'articolo "Agnello, non leone", contenuto
nella stessa raccolta Scrivere bop, Kerouac chiarisce che:


          Beat non significa stanco, o sconfitto, bensì beato, la parola
          italiana per beatific : essere in uno stato di beatitudine, come
          San Francesco, cercare di amare tutto nella vita, cercare di
          essere sinceri fino in fondo con tutti, praticare la
          sopportazione, la gentilezza, coltivare la gioia del cuore. Come
          si può realizzare una cosa del genere nel nostro folle mondo
          moderno fatto di molteplicità e milioni? Praticando un pò di
          solitudine, andandosene da soli ogni tanto a far provvista
          della ricchezza più grande: le vibrazioni della sincerità. Essere
          seccati non è essere beat. Si può essere chiusi in se stessi ma
          ciò non significa necessariamente essere scontrosi. Il beat non
          è una forma di critica stanca e vecchia. E' una forma di
          affermazione spontanea. Che razza di cultura sarebbe se tutti
          con faccia rabbuiata dicessero"Questo non mi sembra giusto"?




Testi: Massimo Antonucci
Dalle parole di Kerouac emerge il profilo di un
movimento che cerca una profonda rigenerazione
spirituale, sia attingendo dalle fonti più pure della religione
cristiana sia cercando di avvicinare le filosofie orientali, in
particolare il buddismo. E' una ricerca che propone valori
profondamente antagonisti rispetto al materialismo
consumista e al "carrierismo" , che possiamo considerare
fondanti dell'american way of life. Proprio per questo, la
subcultura beat viene presto associata alla devianza:


         ...e quanto orrore provai nel 1957, e poi nel 1958, quando
         improvvisamente mi accorsi che tutti, la stampa, la televisione
         e il circuito dei conferenzieri alla moda usavano la parola
         "Beat" a significare anche l'esplosione dei giovani delinquenti
         e gli orrori delle folli manganellate di New York e Los Angeles
         e cominciarono a chiamare quello Beat, beato quattro scemi
         che marciavano contro i Giants di San Francisco contestando
         il baseball, come se (adesso) succedesse nel mio
         nome...Oppure quando un assassinio, un volgare assassinio
         commesso sulla North Beach, venne etichettato come un
         omicidio della Beat Generation, e pensare che da piccolo
         passavo per un eccentrico, nel mio quartiere, perché
         impedivo ai ragazzi di tirare sassi agli scoiattoli, perché gli
         impedivo di friggere i serpenti nelle lattine o di gonfiare i
         rospi con una cannuccia per farli scoppiare.



      Sempre nello stesso articolo - "Beati: le origini della
Beat Generation"- Kerouac intuisce che un'altra modalità per
disinnescare le forze di opposizione (oltre all'etichettamento
da parte dei mass media come gruppo di "devianti") è il
processo di assorbimento delle controculture all'interno del
sistema moda:
Così adesso in televisione danno programmi sui beatniks che
        cominciano con la satira di ragazze vestite di nero e ragazzi in
        jeans con coltelli a serramanico e magliette sportive e
        svastiche tatuate sotto le ascelle, e poi arriveranno ai
        rispettabili presentatori tutti azzimati in abito Brooks Brothers
        tagliato a jeans e maglione di lana, in altre parole, è un
        semplice cambiamento di moda e maniere...Quindi non c'è di
        che rallegrarsi. I Beat, in realtà, nascono dalla vecchia voglia
        americana di fare baldoria e cambierà solo qualche vestito e
        renderà inutili le sedie in soggiorno e presto avremo Segretari
        di Stato beat e saranno istituiti nuovi orpelli, in realtà nuovi
        motivi di malizia e nuovi motivi di virtù e nuovi motivi di
        perdono...



     Contro queste forze della reazione Kerouac arriva a
scagliare un vero e proprio anatèma:


        E tuttavia, tuttavia, sia maledetto chi crede che Beat
        Generation significhi crimine, delinquenza, immoralità,
        amoralità...maledetto chi ne attacca le basi soltanto perché
        non capisce la storia e i desideri struggenti degli animi
        umani...maledetto chi non capisce che l'America deve, dovrà
        cambiare e sta già cambiando, per quanto ne so. Sia maledetto
        chi crede nella bomba atomica, chi crede nell'odio contro i
        padri e le madri rinnegando il più importante dei dieci
        comandamenti, maledetto (tuttavia) chi non crede
        nell'incredibile dolcezza dell'amore sessuale, e maledetti siano
        i tipici portatori di morte, maledetto chi crede nelle guerre e
        nell'orrore e nella violenza e riempie i nostri libri e schermi e
        soggiorni di quelle schifezze, maledetto chi fa cattivi film sulla
        Beat Generation dove casalinghe innocenti vengono
        violentate da beatniks ! Siano maledetti i veri squallidi
        peccatori che perfino Dio trova occasione di perdonare...
        maledetto chi sputa sulla Beat Generation, il vento restituirà
        lo sputo.




Testi: Massimo Antonucci
Questa strenua difesa della purezza degli ideali del
movimento beat mette in chiaro quali siano i valori di
riferimento di questa subcultura; rivela, allo stesso tempo,
una profonda anima mistica e un mal celato senso
d'impotenza. Emerge, infatti, una visione del sociale dove
l'opposizione al grande Moloc non riesce a trovare altre vie
che l'anatèma.
     Quando, agli inizi degli anni'60, Allen Ginsberg
tenterà la via dell'impegno politico, Kerouac così motivò, in
una intervista, la sua presa di distanza dalle posizioni
dell'amico:

        Ginsberg si è interessato alla politica di Sinistra... e io dico
        come Joyce, come Joyce ha detto a Ezra Pound negli Anni
        Venti: <<Non mi seccare con la politica, l'unica cosa che mi
        interessa è lo stile>>. E poi mi sono stufato della nuova
        avanguardia e del sensazionalismo a razzo. Sto leggendo
        Blaise Pascal e prendo appunti sulla religione. Mi piace andare
        in giro con gente intellettuale, come direste voi, e non a
        ritrovarmi proseliti della mia mente, all'infinito... Il gruppo
        beat, come voi dite, si è disperso all'inizio degli Anni Sessanta,
        ciascuno è andato per la sua strada, e questa è la strada mia:
        vita di casa, come all'inizio, con una puntata ogni tanto ai bar
        locali.



     Negli stessi anni, in una lettera indirizzata a Fernanda
Pivano, Kerouac scrive:


         Devi sapere che noi che abbiamo incominciato la beat
         generation qui negli Stati Uniti (io, Holmes, Ginsberg) da
         allora siamo stati trascinati in attacchi di carattere politico e
         perciò ce ne restiamo per conto nostro (come all'inizio). Il
         mondo gira, ma l'arte rimane.
Da queste citazioni emerge il ritratto di un artista
ripiegato su se stesso, dedito alla propria opera e, per certi
versi, sganciato dal nuovo movimento culturale che si
afferma negli anni '60, il movimento hippie.
     Sarà invece Ginsberg a costituire la figura "ponte" tra
le due generazioni. Come racconta la Pivano, fu un suo
viaggio in India nei primi anni '60 a segnare la svolta:


         Quando arrivò dall'India anche la sua apparenza era un pò
         cambiata. Negli anni dell'università, quando visse con Jack
         Kerouac e William Borroughs e poi attraversò l'America con
         Neal Cassidy e Jack Kerouac, l'anticonformismo del suo
         aspetto esteriore non andava al di là della Resistenza al
         Consumo sulla quale si basava appunto la più appariscente
         forma del dissenso di quegli anni: in un momento in cui
         pareva che il neo-materialismo dilagante avesse fatto del
         denaro una religione, dell'igiene un Dio, dell'anonimità
         aziendale una legge e della tecnocrazia un destino inevitabile,
         era un gesto profondamente contestatario respingere danaro,
         igiene, anonimità e tecnocrazia. I blue jeans sbiaditi, i sandali
         e le scarpe da tennis, le giacche a vento portate estate e
         inverno crearono in quegli anni della ripresa economica del
         dopoguerra...uno shock che creò una presa di coscienza
         almeno altrettanto importante di quella creata un decennio
         dopo dagli abbigliamenti basati sulla creatività e la fantasia
         cosidetti hippie. In quegli anni Ginsberg aveva i capelli corti e
         il viso asciutto, il sorriso pronto e un magnetismo che era
         sempre il protagonista delle descrizioni di biografi e
         intervistatori...Fu in India che Ginsberg cambiò aspetto,
         quando visse fra i sapienti e i santoni e si lasciò crescere i
         capelli fino alle spalle e la barba fin dove voleva arrivare, più
         che altro per non compiere un atto di violenza tagliandoli
         contro natura e contro ragione; così girò per l'India, ornato
         della collana shivaita degli iniziati e così tornò in America nel
         1963. Il 10 giugno 1965 mostrò questa sua immagine a un



Testi: Massimo Antonucci
reading di poesia alla Albert Hall di Londra. Erano presenti
         7000 persone e ragazze a piedi nudi distribuivano fiori in
         un'atmosfera greve di incenso e di hashish...Fu questo primo
         embrione della scena hippie, che esplose a San Francisco nel
         1966...




      Intorno alla metà degli anni'60, così, Allen Ginsberg,
tenne a battesimo il nuovo movimento hippie. Il fatto non è
così strano se si pensa che la subcultura beat e quella hippie
condividono valori di fondo quali la ricerca di una nuova
spiritualità e, in particolare, la filosofia della non-violenza.
      L'epicentro del nuovo movimento culturale fu,
comunque, la scuola. La prima rivolta, che prese il nome di
Free Speech Movement, si scatenò a Berkeley nel settembre
del 1964 quando le autorità amministrative vietarono la
raccolta di fondi per una causa politica esterna alla vita
dell'università. Nella raccolta di scritti dal titolo L'altra
America degli anni '60, tradotta da Fernanda Pivano, si può
leggere un resoconto in prima persona di quegli
avvenimenti:


         Ci siamo messi a sedere intorno a un automezzo della polizia e
         lo abbiamo tenuto immobilizzato per oltre 32 ore. Finalmente
         la burocrazia amministrativa ha accettato di negoziare.



     Emerge presto, però, che il vero oggetto d'interesse per
il Movimento è il rapporto tra studenti e sistema formativo.
Poter contare all'interno della struttura scolastica,
diventando protagonisti di un processo che riguarda la
propria vita, è una esigenza fortemente avvertita. Si afferma,
infatti, la percezione che il processo educativo americano sia
una crudele cerimonia iniziatica. Nell'articolo di Weinberg
"Il Free Speech Movement e i diritti civili", contenuto nella
già citata raccolta L'altra America degli anni'60, leggiamo:


         ...l'istruzione che conduce al conseguimento del diploma di
         graduation appare un rito per mettere alla prova la capacità
         di sopportazione del candidato, una serie di prove che, se
         superate con successo, consentono l'ingresso ai corsi della
         graduate school; e, a quelli che sono riusciti a passare indenni
         attraverso le prove dell'intero rito, è concesso il titolo
         pomposo: il Ph.D. Più uno emerge, migliore è il posto di
         lavoro che ottiene...Troppo spesso il processo educativo
         appare come un'eliminatoria, regolata dalle leggi della
         domanda e dell'offerta. Quanto meglio uno gioca la partita
         tanto meglio uno è compensato.



     Il sistema educativo americano appare, quindi, come
una istituzione che si ispira al modello darwiniano della
selezione naturale, finalizzata all'emergere del più forte e
ben poco preoccupata della crescita e della formazione


Testi: Massimo Antonucci
culturale degli studenti. Lo scontento manifestato nel
settembre 1964 trascende, quindi, l'episodio contingente. I
circa quattro mesi di rivolta che seguono, permetteranno di
ottenere spazi "liberi" e il diritto di organizzare Teach In su
argomenti politici all'interno dell'università.
      Il primo Teach In fu dedicato al Vietnam. L'impegno
americano, infatti, era andato via via aumentando e nel
1965 erano cominciati i primi bombardamenti.
Contemporaneamente erano iniziate e si erano estese le
manifestazioni di protesta. Le matrici da cui muoveva il
rifiuto per la guerra andavano moltiplicandosi: da un lato,
c'erano vari comitati, più o meno affiliati ai vari movimenti
radicali e antinucleari internazionali, che propugnavano
una scelta pacifista e antinucleare per la società occidentale;
dall'altro, si faceva strada un modello di pensiero aperto
alle culture orientali e precapitalistiche. La scoperta della
spiritualità e del misticismo orientale si unì, infatti, alla
rilettura in chiave antropologica della mitica comunione con
la natura delle popolazioni indiane d'America: l'insieme si
formalizzò nella proposta di un "uomo nuovo", impegnato a
ritrovare la propria interiorità e pacificamente inserito in un
contesto naturale da osservare e rispettare.
      I maestri del nuovo umanesimo furono i protagonisti
della cultura alternativa del decennio precedente: Allen
Ginsberg, Gary Snyder, Timothy Leary. La strada da
percorrere verso l'ideale di "uomo nuovo" viene indicata
con estrema chiarezza da Timothy Leary:


          Dovete cominciare col cambiare il vostro abito, la vostra casa,
          i vostri movimenti, il vostro ambiente, in modo tale che
          rifletta la grandezza e la gloria della vostra visione divina.
Dovete avere un aspetto diverso e agire diversamente. Ma
          questo processo di sintonizzazione dev'essere armonico ed
          elegante. Per favore nessun gesto distruttivo o
          ribelle!...Camminate, parlate, mangiate, bevete come se foste
          un felice Dio della foresta.



      La prospettiva terrorizzante da cui si cerca di uscire
con questa proposta di vita è quella esemplificata nella
figura dell"impiegato di Manhattan", descritta da Leary in
questi termini:


         ...lavora in una camera buia, che puzza di aria inquinata. Si
         muove in mezzo ad un ammasso di mobili anonimi e fatti in
         serie per andare in un bagno di celluloide o in una cucina
         impersonale di plastica. Fa una prima colazione a base di
         cibo-carburante anonimo, tolto da una scatola o
         impacchettato. Indossa la divisa anonima del cittadino-robot,
         biancheria di cotone, scarpe, camicia, cravatta e giacca.
         Viaggia in gallerie buie di metallo fuligginoso e di cemento
         grigio verso la scatola di alluminio che è il suo ufficio... Il
         denaro che guadagna gli serve per il suo cibo di celluloide e
         per il suo appartamento dall'aria inquinata. Quest'uomo è
         circondato da un ambiente grigio, inquinato, morto,
         impersonale, fatto da una catena di montaggio, prodotto in
         serie e anonimo. Questo è l'ambiente di un robot-meccanico.



      Per uscire da questo tunnel esistenziale ci si rivolge
alle filosofie orientali e spesso si fa ricorso all'uso di
sostanze stupefacenti -funghi sacri, marijuana, LSD-, in
grado di provocare l'espansione dello spettro percettivo,
fare esperienza di nuovi stati di coscienza e liberare grandi
energie creative, prive di condizionamenti sociali.
      Così, anche i canoni estetici e della bellezza corporea
subiscono profondi cambiamenti. Nella raccolta già citata


Testi: Massimo Antonucci
L'altra America degli anni'60 troviamo l'articolo "La
generazione hippy " di Kupfemberg, estremamente esplicito
a questo proposito:


         L'hippy decora il proprio corpo come un'opera d'arte. Lo
         ricopre di collane, lo dipinge, lo addobba con abiti dei colori
         dell'arcobaleno e nello stile composito formato dalla
         mescolanza stridente di tutti i tempi e di tutti i paesi; non c'è
         un modo giusto di vestirsi, non c'è un modo giusto di fare
         l'amore. Che mille corpi fioriscano.



     Un elenco dettagliato del vasto repertorio
vestimentario del movimento hippy ce lo fornisce Fernanda
Pivano, cronista d'eccezione della nuova cultura
americana.Così, descrive la moltitudine degli spettatori
presenti ad un concerto di Dylan, al Community Theatre:

        Ma per me che venivo da un'Europa sopraffatta da una idea
        gotica della politica e medioevale del costume, ottocentesca
        della cultura e vittoriana della moralità, quella serata
        rappresentò soprattutto l'immersione nel New Look (come già
        si diceva allora per difendersi dall'etichetta sociologica del
        New Style of Life), che poche settimane dopo sarebbe stato
        fregato nello stereotipo hippie inventato dai media. C'erano
        ragazze con vestaglie di velluto abbottonate fino alla bocca e
        aperte dalla cintola in giù, ragazzi vestiti da principi del
        Rinascimento, le giacche di daino frangiate che 4 anni dopo
        sarebbero arrivate in Europa nella scia del musical Hair,
        cappotti di montone bianco lunghi fino a terra, colori
        sgargianti nelle sete lucide e campanelle tintinnanti portate al
        collo, alle caviglie, sulla testa, ai polsi; occhiali verdi e gialli,
        giacche napoleoniche e da ammiraglio, pantaloni da generale
        della Guerra di Secessione, piume indiane, berretti di velluto
        raffaelleschi, camicie di cotone Mayflower, code di volpe,
        mantelle da Dracula, magliette bianche di cotone da marinai
alle caldaie della nave, gonne lunghe da film western, granny
         dresses, fiori, collane, pizzi. La rivolta al consumismo era
         passata dalla fase rinunciataria e polemica dei blue jeans alla
         fase creativa e ribelle del vestito <<inventato>> invece che
         <<subìto>>: beffa insolente e pacifica all'industria della moda.



      La scoperta della Pivano del New Look hippy durante
un concerto di Dylan non è certo stata casuale. Dylan,
infatti, è uno degli artisti che meglio diede voce agli ideali
del movimento, firmando quelli che diventarono dei veri e
propri inni generazionali. Pivano, così, spiega le ragioni del
successo di Bob Dylan:


         Il miscuglio folk-blues-rock di Bob Dylan, con le sue storie che
         non riguardavano gli amori di un ragazzo per una ragazza o
         viceversa ma erano ispirate allo scontento sempre più
         incalzante tra la gioventù americana, raggiungeva un
         pubblico ormai quasi disabituato a leggere versi ma disposto
         ad ascoltarli attraverso la musica e d'altra parte già stanco dei
         diluvi imitativi dei Beatles ma disposto ad ascoltare questo
         rock and roll rivoluzionario, con la sua carica polemica e il
         suo messaggio liberatorio: un messaggio che era diventato di
         massa nel 1962, quando Blowing in the Wind venne cantata
         da milioni di persone come canto di raccolta nel corso del
         Movimento negro in Difesa dei Diritti Civili.



      Nel 1965, lo stesso anno in cui Pivano si accorge di
Dylan, Ginsberg stila, un programma per una grande
manifestazione, cercando così di chiarire in modo
inequivocabile a tutti le intenzioni e le modalità della
riunione e impedire reazioni disordinate in caso di
provocazioni:




Testi: Massimo Antonucci
Annunciate in anticipo che è una marcia sicura, portate la
         nonna e i bambini, portate famiglia e amici. Dichiarazioni
         aperte: "Non veniamo a combattere e non combatteremo"



      La manifestazione diventa una grande festa pacifica
fatta di suoni, canti, colori e tantissimi fiori.
      Il momento culminante del movimento è, però, il
grande raduno del 14 gennaio 1967, tenutosi nel Parco del
Golden Gate a San Francisco, vero e proprio centro della
cultura alternativa giovanile. La mutazione culturale
proposta da Leary è avvenuta; lo spettacolo è senza
precedenti:


         Ventagli, piume, pennacchi e zanne; campanelli, tamburi,
         carillons e incenso; stendardi, fiamme, bandiere e talismani;
         collane portafortuna, arance e carote; palloni, fiori, bambù e
         vesti-animali; flauti e ceste; mani giunte, occhi chiusi, fronti
         serene e sorrisi; stoffe da preghiera e bastoni da shaman...



In mezzo a tutto questo:


         il prof. Leary... con un fiore giallo dietro l'orecchio; Leonore
         Kandel, in rosso e arancione; Gary Snyder seduto sull'orlo
         della piattaforma...maestro di cerimonia, parla con gioia.
         Allen Ginsberg, catalizzatore e distillatore di tutto, in una
         tunica bianca.



      Questo grande rito collettivo si chiude, al tramonto,
con Allen Ginsberg e Gary Snyder che salmodiano il mantra
Om Sri Maitreya rivolti verso il sole, in una atmosfera di
grande pace e poesia.
La sce na inglese


      Passando ora alla scena europea, possiamo cominciare
dicendo che solo all'inizio degli anni'60 l'Inghilterra riuscirà
a strappare all'America il primato del cambiamento
culturale . Durante gli anni'50, infatti, sarà impegnata
nell'opera di ricostruzione, dopo i disastri della seconda
guerra mondiale.
Come osserva Gino Castaldo nel suo saggio La terra
promessa :

         Dal conflitto mondiale America e Inghilterra uscirono in modo
         diametralmente opposto. L'America ne uscì non solo
         trionfante, ma anche come la nazione che aveva pagato il
         minor prezzo. Il suo territorio era intatto, l'economia
         prospera, pronta a evolversi verso la supremazia mondiale,
         creando un benessere interno mai verificatosi prima. Al
         contrario l'Inghilterra, sebbene fosse una delle potenze
         vittoriose, emerse dalla guerra con ferite profonde, con le
         risorse allo stremo, con le città in rovina e l'ovvia esigenza di
         puntare alla ricostruzione. L'Inghilterra ci ha messo più
         tempo a recuperare la sua antica funzione di egemonia
         imperialista che, come vedremo, si svolgerà soprattutto in
         campo culturale. Anzi, il declino dell'Impero britannico
         procede parallelamente alla nascita dell'impero culturale.



      Nel saggio La Londra dei Beatles di Paola Colaiacomo e
Vittoria Caratozzolo leggiamo:

         Il 15 aprile 1966 la rivista americana Time usciva con una
         copertina intitolata a <<London: the Swinging City>>. Londra,
         spiegava il servizio nell'interno, era in quel momento tra le
         città europee la più impetuosamente sospinta dal pendolo
         della storia verso il futuro. <<To swing>> vale altalenare,


Testi: Massimo Antonucci
muoversi secondo un moto pendolare, che contempla
         un'andata e un ritorno: e ciò verso cui spingeva il pendolo di
         Londra era un nuovo stile di vita, di cui prima di tutto la città
         in se stessa sembrava offrire la realizzazione e la promessa.



      Da qualche tempo Londra aveva iniziato ad esportare i
suoi prodotti culturali in America, facendo parlare di
"british invasion":


         Nel 1964 si era verificata una specie di nuova conquista
         dell'America... Era stato quello, infatti, l'anno del primo
         trionfale viaggio dei Beatles, di Mary Quant, dei Rolling
         Stones, al di là dell'Oceano. Sfilate, concerti, apparizioni
         televisive, avevano totalizzato milioni di telespettatori,
         battuto ogni record di popolarità. La terra del cinema doveva
         essere ben sazia di immagini di celluloide...se ora così
         entusiasticamente apriva i propri sconfinati mercati ai suoni e
         ai colori dell'antica madrepatria.



      Ritornando alla parola swinging le autrici del saggio
sopra citato approfondiscono l'analisi delle diverse
connotazioni legate a questo termine:

         Ma ora torniamo indietro, all'espressione <<swinging>>, già
         usata nel Seicento dal drammaturgo Thomas Otway, e proprio
         nel senso che ora viene ripreso dal servizio di Time a indicare
         cioè coloro che, non riconoscendo le barriere della morale
         convenzionale, si gettano di slancio, swinging, al di là di
         quelle stesse barriere, in rivolta contro una maggioranza
         silenziosa che rinnega la gioia di vivere. Swing era anche stata
         chiamata quella musica da ballo americana, di derivazione
         jazzistica, dunque con l'Africa dentro, al cui ritmo frenetico,
         esplosivo, disperato, gli alleati avevano ballato, magari in un
         rifugio antiareo la sera precedente una qualche operazione
         bellica decisiva....Sicché ora, la vistosa copertina di Time, e
poi nell'interno il testo, con tutte le fotografie e le immagini
         che sembrano voler costruire nei dettagli i luoghi deputati del
         nuovo mito, le stazioni del nuovo pellegrinaggio ideale,
         troviamo un terreno già preparato, quando puntano proprio
         su quella parola , <<swinging>>, per far precipitare in essa
         tutto il complesso di sensazioni, tutta l'atmosfera, tutta la
         Stimmung che vogliono al tempo stesso evidenziare e far
         emergere, quasi creandola ex novo.
         La trovata veramente geniale del servizio, infatti, fu tutta in
         quella parola, che subito si impose, aderendo al suo tema
         come un'etichetta.



      Swinging, il movimento pendolare con una andata e
un ritorno, può essere una utile metafora per inquadrare,
facendo un passo indietro, il fenomeno dell'importazione
massiccia in Inghilterra dei prodotti culturali provenienti
dagli Stati Uniti, durante gli anni'50. La "british invasion"
degli anni'60, in altri termini, è stata preceduta da un
fenomeno altrettanto forte, ma di segno contrario, durante il
decennio precedente, quando gli Stati Uniti erano al centro
della scena culturale. Tra i tanti prodotti d'importazione,
però, solo pochi trovano il terreno adatto per affermarsi . In
Sottocultura di Dick Hebdige leggiamo:

         ... solo la sottocultura beat, prodotto di un allineamento in un
         certo modo romantico con i negri, sarebbe sopravvissuta nel
         passaggio dall'America all'Inghilterra negli anni Cinquanta.
         Senza una significativa presenza nera nelle comunità della
         working class inglese, l'equivalente scelta hipster non fu
         semplicemente possibile. L'influsso degli immigrati indo-
         occidentali era solo appena cominciato e, quando alla fine la
         loro influenza sulle sottoculture della working class inglese fu
         sentita all'inizio degli anni'60, in genere si articolò in forme e
         tramite forme specificatamente caraibiche (ska, bluebeat,



Testi: Massimo Antonucci
ecc.). Nel frattempo era avvenuta un'altra convergenza, più
        spettacolare, al di fuori dell'ambito del jazz, nel rock...La
        musica era stata tolta dal proprio contesto originale in cui le
        implicazioni dell'equazione potenzialmente esplosiva "negro"
        uguale "giovane" era stata pienamente riconosciuta dalla
        cultura della generazione immediatamente precedente e
        trapiantata in Inghilterra dove servì da nucleo per lo stile
        teddy boy. Si poteva sentire nei nuovi coffee bar inglesi dove,
        benché filtrato da un'atmosfera distintamente inglese di latte
        bollito e altri intrugli, rimase chiaramente estraneo e
        futuristico, barocco come il juke box che lo esprimeva. E, allo
        stesso modo degli altri prodotti sacri - il ciuffo, il cappotto
        corto, il Brylcreem e il "cinema" - venne a significare
        l'America, un continente fantastico fatto di cow boy e di
        gangster, di lusso, di eleganza e di "automobili".



     Nella sottocultura teddy boy, però, intervenne una
sorta di rimozione delle origini della musica rock, nata come
contaminazione di forme musicali bianche e nere (basti
citare come esempio le vibrazioni nel cantato), diventando
ai loro occhi solo una dalle tante novità americane
d'importazione insieme al jazz, all'hula hoop, al motore a
combustione interna e ai pop corn. Questa rimozione
dell'anima nera del rock fece sì che i teddy boy non
percepirono alcuna contraddizione tra l'ascolto di questa
musica e la matrice xenofoba della loro cultura. A questo
proposito Hebdige afferma:


         Con l'eruzione sulla scena inglese alla fine degli Anni
         Cinquanta, il rock sembrò frutto di una germinazione
         spontanea, ovvia espressione immediata delle energie
         giovanili. E quando i teddy boy, ben lontani dall'accogliere a
         braccia aperte gli immigrati di colore da poco arrivati,
cominciarono attivamente a prendere le armi contro di loro,
         erano impermeabili a qualsiasi senso di contraddizione.



     Questa vena xenofoba dei teddy boys fu un elemento
determinante nel differenziarli dalla sottocultura beatnik
che ostentava un'aria cosmopolita e tollerante.


         Gli stili erano incompatibili, e, quando venne fuori il "trad"
         jazz come punto focale di una sottocultura inglese più
         importante alla fine degli Anni Cinquanta, queste differenze
         furono evidenziate in maniera ancora più dura.
         Il trad jazz contava su un ambiente di rozzi bevitori di birra,
         che era in contrasto con le qualità del primo rock'n roll,
         angolose, nervose, spigolose da un lato, e l'estetica
         spudoratamente artificiale dei teddy boy dall'altro - una
         combinazione aggressiva di esotismo vestimentario (scarpe di
         pelle scamosciata, baveri di velluto e di pelliccia, cravatte di
         cordino) - viveva in un duro contrasto con il miscuglio
         "naturale" dei beatnik fatto di montgomery, di sandali e di
         CND (Campaign for the Nuclear Disarm).




Testi: Massimo Antonucci
I primi anni'60 vedono nascere, insieme alla
formazione di comunità di immigrati che si stabiliscono
nelle zone working class dell'Inghilterra, la nuova
sottocultura dei mods.

        Come lo hipster americano... il mod era un "tipico dandy della
        classe inferiore", maniaco dei piccoli dettagli degli abiti,
        caratterizzato come i meticolosi avvocati newyorkesi di Tom
        Wolfe, dalla forma del colletto della camicia, di una precisione
        esatta come gli spacchi delle sue giacche fatte su misura; dalla
        forma delle sue scarpe fatte a mano
        A differenza dei teddy boy, importuni in maniera
        provocatoria, i mod erano più sottili e più sottomessi in
        apparenza: indossavano vestiti apparentemente conservatori
        in colori rispettabili, erano meticolosamente lindi e in ordine.
        I capelli erano generalmente corti e puliti e i mod preferivano
        conservare il profilo elegante di un impeccabile "taglio alla
        francese" con una lacca invisibile piuttosto che con la banale
        brillantina preferita dai rocker più apertamente maschili. I
        mod inventarono uno stile che permetteva loro di conciliare
        scuola, lavoro e tempo libero e che nascondeva tanto quanto
        dichiarava. Interrompendo tranquillamente la normale
        sequenza che porta dal significante al significato, i mod
        minavano il significato di "colletto, vestito e cravatta"
        spingendo l'accuratezza del vestire fino all'assurdo.
I mods vivono una doppia vita: da una parte il lavoro
o la scuola, dall'altra un mondo underground, letteralmente
al di sotto del mondo normale, fatto di cantine, discoteche,
boutique e negozi di dischi. Una parte di questa "identità
segreta" è costituita dalle affinità con la cultura nera:


         Il mod della Soho hard core del 1964, impenetrabile dietro i
         suoi occhiali scuri e il cappello a tesa piccola si degnava solo
         di muovere i passi (i piedi rivestiti di scarpe di tela da
         giocatore di pallacanestro o di Raoul originali) ai soul di
         importazione più esoterici: (I'm the) Enterteiner di Tony
         Clarke, Papa's got a Brand New Bag di James Brown, (I'm in
         with) The Crowd di Dobie Gray, oppure ska giamaicano,
         Madness di Prince Buster.
         Bloccati in maniera più fissa rispetto ai teddy boy e ai rocker
         in una grande varietà di impieghi che imponevano loro
         obblighi molto rigidi tanto su come dovevano presentarsi,


Testi: Massimo Antonucci
vestirsi e sul loro "comportamento generale", quanto sul loro
         tempo, i mod davano un'importanza altrettanto grande al fine
         settimana...Durante questi periodi di tempo libero
         (faticosamente prolungati, in alcuni casi, grazie alle
         anfetamine) c'era da fare un vero "lavoro": lucidare i
         motoscooter, comprare i dischi, far stirare, restringere o
         andare a riprendere i pantaloni alle lavanderie, lavare e
         asciugare i capelli...



      In questo nuovo stile di vita, che guarda alla cultura
nera come potenziale elemento sovversivo dell'ordine dei
valori costituito, si stabiliscono priorità diverse dalla norma:
il lavoro è insignificante; vanità e arroganza sono qualità
ammesse e desiderabili.
      Nel famoso articolo pubblicato su Time il 15 aprile
del1966 "London: a swinging city", così Piri Halasz fotografa
la scena londinese: “Questa primavera, a Londra, l'antica
eleganza si intreccia alla nuova opulenza, in un'abbagliante
miscela di op e di pop.”
      "Op" sta per optical, lo stile geometrico "ottico" che
predilige il bianco e nero, o le marcature nette tra colore e
colore, e che arriva ad imporsi, in quegli anni, nei vari
ambiti del design, dall'abbigliamento all'architettura.
"Pop", invece, sta per "popular", "popolare", una
parola con la quale si vuole indicare la cultura popolare nel
suo complesso e, quindi, i fumetti, la moda, la musica, l'arte.
"Pop", così, non è tanto una particolare forma espressiva
quanto uno stile di vita, un'idea del mondo: <<Noi vogliamo
vestiti pop art, musica pop art e atteggiamenti pop art. Noi
siamo pop art>>, aveva appena finito di dichiarare Pete
Townshend, del gruppo degli Who.
      Di "pop" in Inghilterra s'inizia a parlare, però, ben
prima del 1966. Nel collage Sono stata il giocattolo di un
uomo ricco del 1947 di Eduardo Paolozzi, artista di origine
italiana operante a Londra, la parola "POP" viene sputata
fuori da una pistola puntata contro una pin-up sorridente.
Nello stesso collage, in un angolo, compare la mitica
bottiglia di Coca Cola con accanto lo slogan: "Servite la Coca
Cola nell'intimità della casa!"; nell'angolo opposto, troviamo
la figura di un aereo da guerra, con tanto di motto bellico
"Fateli continuare a volare!".




Testi: Massimo Antonucci
Si può intuire, osservando il collage, la fascinazione di
Paolozzi per le immagini dell'abbondanza, provenienti dagli
Stati Uniti; ben comprensibile, d'altra parte, nel momento in
cui l'Inghilterra soffre pesantemente delle conseguenze del
conflitto mondiale. Che quella di Paolozzi, però, non sia solo
una fascinazione effimera risulta presto evidente: l'artista
formerà, insieme a pittori, architetti, musicisti e critici d'arte
un formidabile laboratorio di sperimentazione, denominato
"Indipendent Group", in cui verranno esplorate le
potenzialità dei nuovi media e delle nuove tecnologie
dell'immagine made in U.S.A. .
      Il lavoro dell' Indipendent Group trova piena
espressione nella mostra del 1956, intitolata This is
tomorrow, all'interno della quale si propone una diversa
sensibilità spaziale, modi dell'abitare e del vivere più liberi e
più creativi.
      Tra il 1947 e il 1956 le connotazioni legate alla parola
"pop" cambiano radicalmente: nel collage di Paolozzi il
termine "pop" evoca, associato allo sparo di una pistola,
una qualche minaccia incombente; nella mostra
dell'Indipendent Group, invece, sembra che la cultura di
massa, la moltiplicazione industriale degli oggetti,
costituisca, anziché un pericolo, una straordinaria
opportunità. A questo proposito, riprendiamo un passo del
saggio, già citato, La londra dei Beatles :


         Già nel '56 molte cose erano cambiate. La dura, ancorché
         ubertosa, America post-bellica ora transitava attraverso l'
         Europa, attraverso l'isola di Gran Bretagna, con ben altri
         prodotti, e altri umori: con Herthbreak Hotel di Elvis Presley,
         per esempio, che arrivò proprio quell'anno, e catturò, fra i
         tanti, il cuore sedicenne di John Lennon... E intorno al '56
         anche l'Inghilterra aveva spostato la sua immagine
         dell'America. Aveva, potremmo dire, assorbito l'America,
         avendone fatto un proprio tema di lavoro. C'era quel
         gruppetto di intellettuali indipendenti, un pò sordi alla
         propaganda contro la massificazione, contro l'antiumanesimo
         che sarebbe implicito nell'idea di cultura di massa...C'erano le
         prime boutique di Mary Quant a Chelsea, di Vince a Carnaby
         Street. C'era già insomma chi si era immaginato che dalla
         moltiplicazione degli oggetti capaci di dar piacere giorno per
         giorno, ora per ora, potesse derivare non sottomissione e
         morte, nemmeno per gioco pubblicitario, ma libertà. L'utopia
         degli anni '60, l'utopia della liberazione pacifica attraverso i
         consumi, cominciava a prendere forma.



      Intorno alla metà degli anni'50, quindi, emerge in
Inghilterra una cultura "pop" che crede nel potenziale
liberatorio della cultura e della produzione di massa; una
cultura che vede, nell'affermarsi della società di massa,
un'opportunità per la realizzazione di una vita quotidiana
più libera e di una società meno classista:



Testi: Massimo Antonucci
Si sognava una vita meno opprimente, una domesticità meno
spoglia di comfort: spazi meglio attrezzati, più agio nei
movimenti, nessuno che ti dica dove bere la Coca Cola, orari
fluidi, gioco e lavoro fusi insieme. Un modo di vestire che
comunicasse immediatamente una critica all'idea tradizionale
di moda come privilegio di classe. La classe d'appartenenza,
anzi, non interessa più nessuno, dato che il tipo di società che
si vuole costruire è rigorosamente aclassista. <<Classless>> è
una parola che si incontra a ogni piè sospinto, e nei settori più
disparati... Certo, c'era un pizzico d'utopia nell'immaginare
che lo sparo di una pistola potesse trasformarsi in maniera
così indolore nello spontaneo scoppio di allegria di chi crede
di star fabbricando il proprio futuro. <<Il domani è gia qui>>,
dicono gli Indipendenti, ma la loro è tutta una storia anni '50,
e comunque solo una faccia della medaglia. Perché linee,
suoni, colori, forme di eleganza, continueranno ad avere un
loro valore di status symbol, è evidente. Tuttavia gli abiti di
Mary Quant, i dischi dei Beatles, il taglio dei capelli alla Vidal
Sassoon, il progetto di Casa del Futuro elaborato dai due
fratelli Smithson, architetti, il programma di Londra come
<<città vivente>>...: tutto questo fervore di scoperta e di
cambiamento, pur disseminato in tanti frammenti materiali -
in parte realizzazioni compiute in parte progetti - se è segnale
d'appartenenza, simbolo di stato, non lo è per la ricchezza
materiale che vi è investita, ma per la potenzialità d'immagine
che rimanda. Ciascuno di quei differenti <<oggetti>> non vale
in sé, ma per lo stile di vita cui allude, per le situazioni che
ingloba, e di cui è pegno. Per il sapere della vita che
presuppone, per le informazioni che comunica.
Ritorniamo per un attimo all'intervista a Pete
Townshned degli Who del 1965, citata all'inizio della
trasmissione; in questa intervista rilasciata al Melody Maker
il musicista afferma:


         L'arte pop consiste nel ri-presentare qualcosa con cui il
         pubblico abbia già familiarità...Noi siamo per i vestiti pop-art,
         per la musica pop-art e il comportamento pop-art. Questo è
         quello che tutti sembrano dimenticare: noi non ci cambiamo,
         fuori dal palcoscenico. Noi viviamo pop-art.



     A giudizio di Paola Colaiacomo e Vittoria Caratozzolo
le parole di Pete Townshend costituiscono una
testimonianza del tipico fraintendimento di quegli anni:


         E' tutto in questa sorta di adamantina semplicità, di
         assolutezza, il fraintendimento, e proficuo fraintendimento, di



Testi: Massimo Antonucci
quegli anni: nell'utopia di poter schiacciare l'uno sull'altro i
         due piani dell'illusione e della realtà, fino a farli coincidere
         perfettamente, senza sfrangiature né sbavature. Musica,
         vestiti, comportamento: campi disparati, categorie non
         omogenee, vengono dunque dati per comunicanti, e capaci di
         influenzarsi l'uno con l'altro. Ma non è un semplice amore
         della confusione... ad autorizzare e incrementare questa
         interna traducibilità..: se tutto - musica, vestiti, pose,
         comportamenti - è ripresentazione del già visto e conosciuto,
         tutto è già per definizione grafismo, immagine. E' al livello
         dell'immagine, dunque, che quelle categorie disomogenee...si
         rapportano tra loro, e trovano il punto di comunicazione che
         non potrebbero avere in <<natura>>. Sempre e comunque su
         un'immagine verte ogni discorso, ogni analisi: il primo livello,
         ingenuo, è sempre già saltato. Allora, perché affannarsi a
         voler separare a tutti i costi il <<reale>> dalla <<posa>>?




      Una cultura che celebra la riproducibilità tecnica degli
oggetti e delle immagini vive costantemente in una sorta di
deja vu. Dal punto di vista degli artisti questo effetto è
ricercato coscientemente -        è il <<... ri-presentare qualcosa
con cui il pubblico abbia già familiarità>> di cui parla
Townshned - e porta, ad esempio, all'uso così frequente in
quegli anni del collage, tecnica che consiste
fondamentalmente nel montaggio di immagini preesistenti.
      A proposito della circolazione e della ri-presentazione
delle immagini nella cultura pop, è significativa la
testimonianza di Richard Smith:


         <<I mezzi di comunicazione rappresentano una parte
         considerevole del mio paesaggio>> scriverà Richard Smith
         nella Nota aggiuntiva al suo film Trailer . Dove quello che
         stupisce è l'uso di quella parola, <<landscape>>, da parte di
un artista come lui, non interessato al dato naturale in quanto
         tale: così dice <<la frutta della bancarella del mercato è per
         me sempre già la frutta fotografata di un'immagine
         pubblicitaria>>.



     Si attua, così, una sorta di rovesciamento, dove è
l'immagine riproducibile e riprodotta ad essere il dato su cui
poggia la percezione del reale:


         Quando si guardano le cose nell'esperienza reale, sostiene
         Smith, si intromette inevitabilmente per l'occhio un elemento
         di disturbo - luce, solidità, riflessi - già solo per il fatto che
         quelle cose sono immerse nell'atmosfera, e reagiscono ad essa.
         Invece nella fotografia si ha a che fare con un'immagine
         depurata, dalla texture uniforme, perché sottratta ai
         cambiamenti di luce. Perciò, continua, anche i riferimenti a
         paesaggi che compaiono nei primi suoi dipinti, vanno intesi
         come passati attraverso il filtro di paesaggi fotografati.



     Il repertorio delle immagini cui l'artista fa riferimento
per le sue creazioni non è, quindi, certamente quello della
realtà così come è immediatamente percepibile, ma sempre
quello delle immagini filtrate e riprodotte dalle nuove
tecnologie.


        La possibilità che queste tecniche gli aprono di usare colori off
        register - <<il verde pallido insieme al giallo pallido, che
        produce un effetto di fresco, di "frescomenta">> - o di
        proiettare lettere e immagini anamorficamente... <<produce
        l'effetto di riportare in primo piano...il valore della
        superficie>>.



     La sperimentazione di Smith conoscerà importanti
sviluppi in ambiti come la moda e la pubblicità: si pensi ai


Testi: Massimo Antonucci
colori acidi dei vestiti di Mary Quant, o dei cartelloni
pubblicitari.




      Generalmente Mary Quant viene ricordata per
l'invenzione della minigonna, anche se alcuni
ridimensionano il suo ruolo in questa piccola rivoluzione del
costume, affermando che l' unico merito che le va attribuito
consiste nell'aver lanciato una moda che, però, di fatto era
già in uso nelle strade di Londra. Nel saggioMass moda di
Patrizia Calefato, ad esempio, si legge:

         Quando Mary Quant, dal suo atelier londinese di
         King's Road, ebbe nei primi anni'60 la geniale idea
         di lanciare su larga scala l'uso di una gonna corta
         diversi centimetri sopra il ginocchio, già da un pò
         di tempo le ragazze della Swinging London
         l'avevano spontaneamente inventata e la esibivano
         nella loro "moda di strada" quotidiana.
Inizia, infatti, in questi anni una nuova fase del
sistema-moda: finisce il dirigismo centralistico dell'Alta
Moda e si procede verso una moda aperta e policentrica,
dove gli input del cambiamento possono essere di varia
provenienza. Si arriva spesso ad un vero e proprio
capovolgimento, come nel caso appena citato della
minigonna, quando coloro che dovrebbero essere il
terminale delle proposte di moda si fanno protagoniste del
cambiamento, lanciando nuove proposte di stile.
      La stessa Mary Quant, d'altra parte, mostra di essere
consapevole dell'importanza del momento culturale negli
sviluppi del proprio lavoro, quando nella sua autobiografia
Quant by Quant scrive:

         Ci trovavamo all'inizio di un formidabile rinascimento della
         moda. E questo non accadeva per causa nostra.
         Semplicemente, come poi risultò, noi ne eravamo parte.




Testi: Massimo Antonucci
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M O D A E F U O R I M O D A

  • 1. MODA E FUORIMODA Sistema mod a e subculture g iovanili negli anni ‘50/ 60 Testi: Massimo Antonucci
  • 2. Moda e fuo rimod a In linea generale, i temi che tratteremo in questo breve saggio spaziano dal rapporto musica-abito all'interno dei movimenti giovanili ai rapporti tra questi movimenti e il fashion system. Partiamo da qualche cenno storico per arrivare ad una definizione di moda. E' opinione diffusa tra gli studiosi che l'affermazione della moda sia da collocare in età rinascimentale. Per quanto riguarda la data della sua nascita, invece, si rimane nel campo delle ipotesi. Una delle più accreditate indica l'apparizione di un tipo d'abito radicalmente nuovo, intorno alla seconda metà del XIV secolo, come origine del fenomeno moda. Lipovetsky, così, descrive, nel suo saggio L'impero dell'effimero , la genesi della moda : Al camicione portato per secoli, quasi uguale per i due sessi, lungo e svolazzante, si sostituisce un abito maschile formato da un farsetto, specie di giubbino stretto e corto, e da calze-brache aderenti che mostrano i contorni delle gambe, e un abito femminile
  • 3. lungo come quello tradizionale ma più attillato e scollato...E' incerto dove per la prima volta sia apparso il nuovo abbigliamento, ma si sa che molto in fretta , fra il 1340 e il 1350, si è diffuso in tutta l'Europa occidentale. Da allora in poi le variazioni nel modo di vestire si sono fatte più frequenti, più stravaganti, più capricciose, e con ritmo prima ignoto sono apparse fogge ostentatamente estrose, bizzarre, decorative, determinando il meccanismo della moda; il mutamento non è più stato fenomeno casuale, raro, inatteso, ma abituale: uno dei piaceri dell'alta società. L'effimero ha cominciato a essere uno degli ordinamenti essenziali della vita mondana. Evitiamo in questa sede di ripercorrere in modo puntuale la lunghissima storia della moda, limitandoci a sottolineare come in età rinascimentale nasca un nuovo rapporto tra abito e tempo , un rapporto che privilegia il cambiamento, la novità. Lipovetsky riporta, a proposito della situazione in Francia del XVI° secolo, le parole di Testi: Massimo Antonucci
  • 4. Montaigne contenute negli Essais :" I cambiamenti sono così improvvisi e rapidi che la fantasia inventiva di tutti sarti del mondo non saprebbe fornire novità sufficienti " Questa passione per il cambiamento rispecchia un accresciuto dinamismo sociale e la ricerca di nuovi equilibri di classe. E', infatti, l'aumento della mobilità sociale, derivante dalle pressioni dell'emergente classe borghese, a stravolgere il modello di tempo. Ted Polhemus nel saggio "Sampling and mixing" (reperibile all'interno del volume Moda: regole e rappresentazioni , di autori vari, a cura di R. Grandi e G.Ceriani), afferma a questo proposito che: "...anticamente, il cambiamento veniva vissuto invariabilmente come problematico; improvvisamente - alla luce della mobilità sociale - il cambiamento è vissuto come benefico e desiderabile." Viene a stabilirsi, quindi, l'equazione Nuovo=Meglio, all'interno di una visione del mondo che celebra l'idea del progresso illimitato. E' questo lo scenario in cui prende vita il Sistema Moda, dove l'abito e la decorazione sono inventati per celebrare la transizione, il cambiamento, il nuovo. In questo contesto Moda significa "rapido cambiamento del gusto". Una delle conseguenze più vistose dell'affermarsi della moda è la frattura tra significante e significato nell'abbigliamento. Per chiarezza facciamo un esempio. Poniamo il caso che, in un particolare momento, il Sistema Moda proponga il "look country"- abbigliamento da contadino-: chi indossa il look in questione non desidera certo essere scambiato per un contadino. Il look, quindi, deve simulare la realtà cui fa
  • 5. riferimento, ma, allo stesso tempo, rendere evidente la propria artificialità. L'abito, originariamente dotato di significato anche per la sua funzionalità, viene decontestualizzato e, contemporaneamente, svuotato di senso. Solo il susseguirsi di "look dell'anno" acquista senso e significato in quanto celebrazione del cambiamento. Polhemus spiega questo fenomeno, ricorrendo alla metafora del linguaggio: "Come nel caso delle singole lettere dell'alfabeto, le singole immagini di moda ("i vari look dell'anno") in sé sono prive di significato. In altri termini: "Il look di questo anno" può acquisire senso come parte di una catena sintagmatica di significati che (teoricamente ) si estendono verso l'infinito. Il complesso di questa catena di significati - presa come il tutto , conduce ad uno ed un solo significato: le cose cambiano ". Al contrario, nelle società pre-rinascimentali, in molte culture tradizionali e nelle subculture giovanili l'immutabilità dell'abito rispecchia il valore accordato all'abito in quanto significante di una precisa identità sociale. L'abito e la decorazione corporea in questi contesti sono parte integrante di una specifica visione del mondo, il limite visibile tra noi e loro. A differenza di quanto avviene nell'ambito della moda, con l'insensato susseguirsi dei "look dell'anno", l’abito è parte integrante di una identità socio- culturale. L'adozione di un particolare sistema simbolico per decorare il proprio corpo è, infatti, inseparabile dall'adesione ad un particolare gruppo sociale. Testi: Massimo Antonucci
  • 6. Riprendendo l'esempio fornitoci da Polhemus, nel saggio "Sampling and mixing" : Noi della tribù X dipingiamo la pelle coi colori blu e nero come i serpenti. Non trasformare il vostro corpo in questo modo significa non essere uno di noi. Non può qui esistere arbitrarietà nell'uso degli abiti e della decorazione corporea, così come all'interno di una lingua non è possibile usare arbitrariamente una qualsiasi parola per esprimere dei significati: esiste, infatti, un codice ( il vocabolario) che limita le possibilità di combinazione tra espressioni e contenuti. In sintesi, nelle società tribali il costume è concepito e vissuto come parte integrante della propria identità e non può essere alterato se non a costo della perdita dell'identità stessa. La somiglianza tra l'uso dell'abito nelle culture tradizionali e nelle subculture giovanili è, quindi, da ricercare in un rapporto cultura-abito tale da rendere l'abito segno esteriore e immediato di una particolarità culturale . Per quanto riguarda le subculture, basti pensare
  • 7. all'equazione che si viene a stabilire tra sfera vestimentaria e valoriale nel movimento hippy: caffettano+fiori+collanine=h ippy=love and peace. D'altra parte, la differenza più marcata tra società tradizionali di carattere tribale e le tribù di stile è che queste ultime non condividono un territorio e spesso i propri appartenenti non si conoscono tra loro (pensiamo al punk giapponese e a quello spagnolo): il fattore unificante è rappresentato dai mass media e dall'industria musicale. Se moda significa "rapido cambiamento del gusto", celebrazione insensata del "look dell'anno", fuori-moda sono tutti quei fenomeni di resistenza al Nuovo come valore in sé. E' bene precisare, a questo punto, che la "moda" è sempre più "forma-moda", una macrocategoria che investe il sociale nella sua globalità. A questo proposito riporto le parole di Lipovetsky, contenute nel saggio L'impero dell'effimero: E' l'era della moda matura che estende i suoi tentacoli su ambiti sempre più ampi della vita collettiva. Non è più tanto un settore Testi: Massimo Antonucci
  • 8. specifico e periferico quanto una forma generale che agisce in tutta la società. Viviamo immersi dappertutto e progressivamente nella moda, un pò ovunque si compie la tripla operazione che ne definisce la specificità: effimero, seduzione, differenziazione marginale." L'affermazione dell'effimero, di cui parla Lipovetsky, è visibile nell'ossessione del "nuovo” che domina la produzione e il consumo. La conseguenza più visibile è la rapida obsolescenza delle merci, concepite sempre più all'interno di una logica dell'usa e getta. Per quanto riguarda la seduzione, il secondo fattore che caratterizza la forma- moda secondo Lipovetsky, si pensi all'importanza assunta dall'industrial design nell'apparato produttivo. Lipovetsky stesso ci ricorda, infatti, che: "Il nuovo ruolo riconosciuto alla seduzione traspare dalle frequenti modificazioni estetiche degli oggetti.". Così, il continuo aggiornamento dello styling di auto, articoli per la casa etc. è simile al susseguirsi delle collezioni stagionali nell'abbigliamento. La differenziazione marginale, infine, è quel fenomeno che contraddistingue il pret-a-porter, ma si ritrova in ogni ambito merceologico: ne sono testimonianza le infinite versioni dello stesso modello di auto. Fuorimoda, quindi, significa collocarsi all'esterno di questo orizzonte di valori: è il caso delle subculture giovanili. Storicamente l'inizio dei fenomeni di resistenza subculturale al Sistema Moda è collocabile intorno agli anni'40. Infatti, prima con gli Zooties, musicisti jazz afroamericani vestiti con lo Zoot , e poi con i Wild Ones (Selvaggi), bande di motociclisti della costa ovest americana,
  • 9. siamo in presenza di un nuovo modo di vivere il rapporto con l'abito. Citando Polhemus, si può dire che: " Come gli Zooties, i Wild Ones (Selvaggi) dimostrarono le caratteristiche essenziali di una nuova ed affascinante invenzione, la tribù di stile: il rigetto della storia lineare/"progresso" e la rappresentazione della "nostra cultura" per mezzo del "nostro costume" - uno stile che nella sua sfida di cambiamento ( l'idea del "look da motociclista di questo anno" è assurda) colloca la subcultura al di fuori della storia nel territorio del "per sempre". (Un desiderio che trova la sua espressione finale nella forma di alcuni tatuaggi che indicano il mandato subculturale e che sfidano il piacere delle nostre principali società per la transizione.)" Vediamo ora di approfondire il discorso circa i rapporti tra sistema moda e subculture. In primo luogo, cosa intendiamo per sistema-moda? Rimanendo nello specifico dell'ambito vestimentario, possiamo considerare "sistema-moda" l'insieme di soggetti Testi: Massimo Antonucci
  • 10. attivi all'interno del ciclo della moda. In linea generale, i soggetti coinvolti nel processo della moda sono: - i produttori, artefici delle proposte formali e di stile; - i distributori, variamente configurati nelle diverse realtà territoriali e nazionali; - i venditori, ovvero i gestori dei punti vendita; - i mass media, fondamentale anello di congiunzione tra i soggetti appena elencati e i consumatori; - gli istituti di ricerca, in grado di influenzare la creazione e la comunicazione del nuovo; - i consumatori, i soggetti destinatari delle proposte di moda. Sistema-moda, quindi, perché la moda funziona secondo la tipica modalità sistemica per cui ogni modificazione di una componente del sistema viene seguita da una modificazione di tutte le altre. In questa ottica i fenomeni di moda possono essere visti come un continuo processo che muove da un disequilibrio temporaneo, generato da una componente del sistema, ad un successivo riequilibrio del sistema stesso. Negli ultimi decenni i disequilibri più vistosi sono stati prodotti dai creatori-produttori, prima, e dai consumatori, poi. Negli anni '70 le proposte di moda facevano riferimento a bisogni integrativi e di status sociale: è il periodo degli status symbol. Con gli anni '80, invece, l'interesse si è spostato dal singolo oggetto che connota un certo status sociale, allo stile di vita configurato da una particolare costellazione di beni consumati. Sono gli anni in cui si afferma lo style symbol e gli stilisti diventano loro stessi di moda. Negli anni '90 il disequilibrio del sistema moda è da attribuire al consumatore. I fattori che lo determinano sono
  • 11. sostanzialmente due: da un lato i creatori-produttori si trovano sempre più in difficoltà a causa della incessante esigenza di sorprendere e di fare notizia; dall'altro, con l'emergere della soggettività postmoderna, frammentata e ambivalente, i consumatori diventano difficilmente classificabili in termini di stili di vita. Le tradizionali categorie di definizione dell'identità - età, genere sessuale, classe sociale - vengono meno, lasciando spazio ad una concezione dell'identità che esalta la non stabilità, la non certezza, la non unitarietà. In questo contesto lo stile svolge funzioni differenti: può essere uno strumento adeguato per la rappresentazione dell'identità postmoderna ( succede quando un certo stile è caratterizzato da elementi fortemente ambivalenti); oppure diventa il veicolo per comunicare una identità collettiva, propria degli appartenenti a determinate minoranze ( è il caso delle subculture giovanili che abbiamo in precedenza definito anche "tribù di stile"). Nel primo caso, il risultato è il moltiplicarsi delle proposte da parte del sistema moda, nella disperata ricerca di fornire risposte adeguate alle esigenze della multiforme soggettività postmoderna. Nasce quello che alcuni autori definiscono il supermarket dello stile, dove si può comprare a buon mercato una identità preconfezionata e pronta all'uso. In questo supermarket iniziano ad essere disponibili anche quegli stili di strada, nati per opporsi al sistema moda. Negli ultimi 15-20 anni, infatti, i percorsi della moda e degli stili di strada si sono incrociati dando vita ad una ricca ibridazione e ad una cacofonia di proposte stilistiche alternative . Negli scaffali, così, troviamo tutti gli elementi Testi: Massimo Antonucci
  • 12. stilistici delle differenti subculture come se fossero scatole di zuppe istantanee. Il processo di decontestualizzazione e svuotamento di senso tipico del sistema moda colpisce, però, duramente le subculture. Il look da punk, tanto per fare un esempio, non rinvia più ad una cultura con una forte carica destabilizzante: è solo abito, una innocua simulazione che il sistema ha introdotto per soddisfare la propria incessante ricerca di nuove forme. Il sistema moda, quindi, si è appropriato dell'apparato simbolico delle subculture giovanili, svuotandole di senso. La simulazione costituisce un pericolo mortale per quel valore irrinunciabile di una subcultura che è l'autenticità. Riprendiamo, a questo proposito, le parole di Ted Polhemus contenute nel saggio, citato in altre occasioni, "Sampling&Mixing": Sebbene ci siano anche oggi numerose eccezioni - I New Age Travellers, i Modern Primitive, i Pervs ed i Raggamuffins - la grande epoca della sottocultura è chiaramente tramontata. Al suo posto ecco il simulacro della Sottocultura in cui 50 anni di controstoria delle tribù di stile sono stati risucchiati nel buco nero sincronico del post-moderno... Con una moda nostalgica
  • 13. ed un indicatore d'imitazione posto al massimo, la superficie senza sostanza sembra all'ordine del giorno. L'identità fluida e frammentata del consumatore postmoderno può giocare, così, con i simulacri preconfezionati delle subculture, come in una specie di festa in maschera. Ironicamente Polhemus osserva: Vuoi essere un Punk? Lo stai diventando. Vuoi essere un Beatnik? (Opzione molto popolare al momento). Lo sei già Vuoi essere un Hippy? Non c'è problema. In questo supermarket degli stili tutte le tribù stilistiche di ieri sono poste sugli scaffali come scatole di zuppa istantanea. Aggiungi solo acqua e subito l'aroma e il sapore di autenticità può essere tuo. La sfida che si trova davanti chiunque voglia sfuggire alla logica del supermarket degli stili è, quindi, proteggere la propria autenticità dai tentativi di simulazione. Le strategie in fase di sperimentazione sono fondamentalmente due: la prima è una strategia di decostruzione-ricostruzione; la seconda una strategia del fronte comune. La strategia di decostruzione-ricostruzione è, in definitiva, una operazione complessa che prevede: la scomposizione del costume delle tribù di stile nelle sue componenti minime, in un primo tempo; l'assemblaggio di queste componenti, in modo da formare combinazioni inedite e nuove soluzioni, in un secondo tempo. Possiamo pensare, solo per fare qualche esempio, alla combinazione collane "hippy" e anfibi "punk", o a quella di pantaloni a zampa d'elefante "glam" con il tipico bomber da skinhead. Polhemus definisce questa operazione sampling&mixing. Testi: Massimo Antonucci
  • 14. Sampling&Mixing sono termini derivati dal rap, dal rave, dalla techno e da altre forme di musica pop contemporanea. Sampling descrive il processo per cui piccoli frammenti di "vecchia" musica pop sono presi a prestito dai loro contesti originari. Mixing si riferisce all'operazione di rimettere insieme un certo numero di tali campioni per generare una nuova ed unica sequenza... L'obiettivo è mischiare in una serie di presentazioni i campioni più strani. Questa strategia mira a spiazzare qualunque tentativo di simulazione, eludendo le facili classificazioni tipologiche. D'altra parte, l'operazione di decostruzione-ricostruzione tradisce, a sua volta, la stessa ambivalenza e frammentarietà tipiche della postmodernità. La seconda strategia -lastrategia del fronte comune - parte, invece, dal riconoscimento, da parte delle subculture, della minaccia proveniente dal supermarket degli stili con i suoi simulacri. Deriva, inoltre, dall'identificazione di un minimo comune denominatore, costituito dalla ricerca di un modo di vivere autentico, in una costruzione sociale di tipo tribale della realtà. Questa strategia ha dato origine, in alcuni casi, a dei veri e propri processi di mescolamento. Polhemus afferma a questo proposito: La storia recente delle subculture ha visto un'intera serie di tribù apparentemente contraddittorie fondersi tra loro: i New Age Travellers, ad esempio, hanno amalgamato con successo ideologie/stili degli Hippies e dei Punks (un tempo totalmente in opposizione), in quello che potrebbe essere definito"Hipunk". Ora al momento questa amalgama sta avvenendo anche attraverso legami effettivi con la cultura Rave. Il risultato di ciò può intravvedersi negli eventi "spiral tribe" e in un club di Londra chiamato "Megadog" ( che da il
  • 15. benvenuto a qualsiasi cosa si possa immaginare tranne, ironicamente, i cani ). In questo nuovo tipo di club è possibile vedere una grande varietà di tribù, diverse per stili e gusti musicali, vivere a stretto contatto nel rispetto reciproco. Questo fenomeno si regge sulla consapevolezza che noi - aderenti alle subculture - siamo diversi da loro - gli abituali frequentatori del supermarket degli stili. Essere ai confini del sistema moda, quindi, significa sempre più essere ai confini del sistema sociale tout court. Questa marginalità è un fattore determinante, come vedremo, nella formazione delle subculture giovanili. Le subculture giovanili Prima di vedere più in dettaglio il fenomeno della marginalità giovanile, cerchiamo di chiarire il significato di "subcultura", partendo dalle tre definizioni di cultura proposte da Williams, uno dei padri fondatori dei Cultural Studies: la prima definizione vede la cultura come "un processo generale di sviluppo intellettuale, spirituale ed estetico"; la seconda come "un particolare modo di vita, riferito ad un popolo, un periodo, o un gruppo"; la terza come "i lavori e le pratiche dell'attività intellettuale e artistica." L'accezione di "cultura" più pertinente dal punto di vista del nostro discorso è quella che fa riferimento ad un Testi: Massimo Antonucci
  • 16. particolare modo di vita di un popolo o di un gruppo in un determinato periodo. Coerentemente con questa accezione di cultura , possiamo definire le subculture o sottoculture come particolari stili di vita propri di un gruppo che presenta caratteristiche culturali speciali e che, allo stesso tempo, mantiene alcuni tratti specifici della cultura cui appartiene. Quando si parla di "subculture giovanili", così, si fa riferimento ad una molteplicità di culture adolescenziali, spesso antagoniste tra loro, che manifestano la propria particolarità con specifici gusti musicali e nell'abbigliamento. Il loro minimo comune denominatore è l'opposizione alla cultura adulta. Nonostante ciò, i valori dominanti all'interno delle subculture giovanili sono fortemente condizionati dalla cultura adulta di provenienza: basti pensare all'importanza della variabile razziale nella formazione di molte sottoculture giovanili, specialmente negli USA. L'importanza dei gruppi di coetanei nella società urbana post-industriale è senza precedenti: svolgono, infatti, un ruolo insostituibile nel processo di emancipazione dell'adolescente- "emancipazione" è qui da intendere nel senso etimologico del termine come "liberazione dalla manus , ovvero dalla soggezione alla patria potestà"-. In particolare, le funzioni svolte dai gruppi sono: procurare uno status simbolico autonomo -"simbolico" perchè è valido solo all'interno del gruppo-; aiutare lo sviluppo del senso della propria identità; essere luogo di apprendimento di modelli di socialità differenti da quelli familiari. Il gruppo, in altri termini, colma lo spazio vuoto che nelle nostre società viene a crearsi con la frattura tra
  • 17. maturità biologica dell'adolescente e sua marginalità sociale. Questo fenomeno va contestualizzato a livello storico e sociale, dal momento che l'adolescenza stessa, come spiega in modo convincente Gerard Lutte nel suo saggio Psicologia degli adolescenti e dei giovani , non è una fase naturale della vita dell'uomo, ma una costruzione sociale. In altre società, infatti, così come nell'antica Roma, non è rintracciabile quella fase di transizione che definiamo comunemente "adolescenza": all'infanzia segue direttamente l'età adulta. Secondo alcuni autori l'adolescenza è una categoria che si afferma nelle ultime decadi del XIX secolo a seguito dell'esigenza sempre più avvertita all'interno della classe borghese di una formazione universitaria. Il periodo di dipendenza dei giovani, così, s'allunga. Inoltre, spesso viene appesantito da un modello educativo di tipo militare. Nel '900 la creazione sociale dell'adolescenza diventa un fenomeno che riguarda porzioni sempre più ampie della società, fino a diventare di massa intorno alla metà del secolo. Le cause principali sono: il processo di industrializzazione che espelle i giovani dal lavoro; l'estensione della scuola secondaria; la creazione di leggi che codificano la subalternità del "giovane"-ad esempio, sotto i 14 anni per la legge si è "incapaci di intendere e volere" e quindi non si è imputabili per eventuali reati commessi- . Coloro che non accettano la subordinazione-emarginazione (tra questi molti giovani delle classi popolari) vengono presto etichettati come "delinquenti". L'etichettamento e l'amplificazione dei fenomeni di devianza è un ambito studiato dalla sociologia delle comunicazioni di massa, in particolare da quel filone di Testi: Massimo Antonucci
  • 18. studi che va sotto il nome di interazionismo. Questa scuola di pensiero ha cercato, in primo luogo, di fare luce sul ruolo dei media nell'organizzazione della reazione sociale alla devianza. Uno dei primi e migliori esempi è lo studio di Turner e Surace del 1956 sui disordini che si verificarono a Los Angeles nel 1943. I due ricercatori mostrarono come il fatto che la stampa locale identificasse i giovani messicani che indossavano gli abiti chiamati zoot suits come individui devianti e pericolosi, abbia contribuito a incrementare la preesistente ostilità dei bianchi, stimolando ulteriori risse di strada. Tutto questo con il risultato di rafforzare lo stereotipo iniziale. Turner e Surace fanno notare anche che le notizie riportate dalla stampa e la paura che ne nacque ebbero un effetto importante sugli uomini politici locali e che nel momento di massimo allarme il consiglio municipale di Los Angeles prese seriamente in considerazione la possibilità di punire con il carcere chiunque indossasse uno zoot suit .
  • 19. Un ben diverso orientamento nelle ricerche di sociologia delle comunicazioni di massa è rappresentato dal comportamentismo, filone di studi interessato ai rapporti fra un particolare stimolo e una particolare risposta (nello specifico l'oggetto di studio è costituito dai rapporti tra rappresentazione massmediale della devianza ed effetti sociali). Il comportamentismo, in linea generale, ha concentrato i suoi sforzi nel tentativo di dimostrare come le rappresentazioni dei media possano essere considerate la causa diretta di molte azioni criminali. Questo tipo di ricerche si è prestato, così, a facili strumentalizzazioni di tipo moralistico. Riprendiamo, a questo proposito, alcuni passaggi del saggio "Abbandonare il behauviorismo: due decenni di ricerca su mass media e devianza in Gran Bretagna"di Graham Murdock: La diffusione della televisione commerciale e la nascita dell'industria rock per teen-agers in Gran Bretagna sul finire degli anni Cinquanta e nei primi anni Sessanta coincise con un considerevole incremento del tasso di criminalità giovanile e con la tanto pubblicizzata violenza della prima sub-cultura giovanile del paese, i teddy boys . Questi fenomeni e il rilievo che ad essi fu attribuito diedero origine a un certo allarme sociale sugli effetti negativi di questi nuovi media sulla gioventù del paese, che da allora non si è più spento. Una delle espressioni più importanti di questa reazione fu quella che ebbe inizio nel 1964, quando una preside della scuola di mezza età, la signora Mary Whitehouse, lanciò la sua Clean Up TV Campaign , una campagna di moralizzazione della televisione che si basava fermamente sulla convinzione comportamentista che esiste una connessione diretta fra sesso Testi: Massimo Antonucci
  • 20. e criminalità in televisione e violenza e <<permissività>> fra i teen-agers... Nell'ambito dell'interazionismo e della teoria dell'etichettamento si colloca il lavoro del 1964 di Stan Cohen sulla rappresentazione da parte dei media delle due sub-culture giovanili più pubblicizzate dell'epoca: i mods e i rockers. Nella primavera di quell'anno alcuni gruppi sia di rockers che di mods andarono a passare una giornata al mare nella località di Clacton, dove scoppiarono risse fra i due gruppi. Il giorno successivo la stampa popolare mise gli incidenti in prima pagina e, rifacendosi all'iconografia delle gang di strada di New York, li presentò come furiose battaglie fra bande rivali organizzate. Questo atto di etichettamento ebbe, secondo Cohen, due grossi effetti: in primo luogo, fece scattare l'allarme sociale, costringendo la polizia a intensificare la sorveglianza dei due gruppi, (ne derivarono arresti più frequenti che finirono con
  • 21. l'alimentare l'allarme iniziale); in secondo luogo, evidenziando le differenze di stile e dando rilievo all'antagonismo fra i gruppi, la pubblicazione incoraggiò i teen-agers a pensare se stessi negli stessi termini in cui le due sub-culture venivano descritte. La convergenza di questi processi produsse ulteriori scontri fra i gruppi, attirando ulteriori attenzioni da parte della stampa e scatenando ulteriore allarme nel pubblico. Di particolare importanza nello studio delle sub- culture in Inghilterra è il lavoro di Dick Hebdige Subculture: The Meaning of Style del 1979, tradotto in italiano con il titolo Sottocultura. Il fascino di uno stile innaturale. Questo testo inquadra il fenomeno delle subculture nell'ottica del rifiuto ideologico della cultura egemone, sottolineando come le immagini, gli stili e le merci proposte dai mass media possano essere investite di significati nuovi e politicamente sovversivi. A questo proposito, Hebdige afferma: Col ricontestualizzare e riposizionare le merci, col sovvertire il loro uso convenzionale, inventandone di nuovi, lo stilista sub- culturale apre il mondo degli oggetti a letture nuove e nascostamente opposizionali. Questo saggio, infatti, offre una utile chiave d'interpretazione delle sub-culture ed una interessante panoramica della loro storia in Inghilterra dalle origini fino alla fine degli anni '70. In primo luogo, possiamo dire che il quadro teorico di riferimento dell'opera di Hebdige è composto di categorie prese a prestito dal pensiero marxiano e gramsciano, per Testi: Massimo Antonucci
  • 22. quanto riguarda i concetti di "ideologia" ed "egemonia"; si avvale, inoltre, dell'approccio semiologico di Barthes ai fenomeni di mitizzazione delle società borghesi contemporanee. Non mancano, nell'analisi di Hebdige, i punti di contatto tra i concetti di "ideologia" e di "mito": sia il mito che l'ideologia, infatti, operano sotto il livello della coscienza per "naturalizzare" le idee delle classi dominanti. In Miti d'oggi di Barthes leggiamo: L'intera Francia è immersa in questa ideologia anonima: la stampa, il cinema, il teatro, la letteratura di largo uso, i cerimoniali, la Giustizia, la diplomazia, le conversazioni, il tempo che fa, il delitto che si giudica, il matrimonio a cui ci si commuove, la cucina dei nostri sogni, l'abito che si indossa, tutto, nella nostra vita quotidiana, è tributario dell'immagine che la borghesia si fa e ci fa dei rapporti tra l'uomo e il mondo. Il "mito", in Barthes, sono tutti quei significati secondi o connotazioni che poggiano sul primo livello della significazione, il livello denotativo. Così, la foto di un soldato di colore che saluta la bandiera francese può essere letta: 1) un semplice gesto di fedeltà; 2) "la Francia è un grande Impero, che tutti i suoi figli, senza distinzione di colore, servono fedelmente sotto la sua bandiera". E' questo secondo livello, per molti versi "implicito", a naturalizzare le forme e i rituali delle società borghesi contemporanee. Il mitologo deve, quindi, saper leggere questo sistema semiologico secondo in modo da evidenziarne la natura storica e ideologica. Nel saggio intitolato Per Marx Louis Althusser spiega il concetto di ideologia in questi termini:
  • 23. L'ideologia ha ben poco a che vedere con la 'coscienza' (...). Essa è profondamente inconscia (...). L'ideologia è sì un sistema di rappresentazioni, ma queste rappresentazioni non hanno il più delle volte nulla a che vedere con la 'coscienza': per lo più sono immagini, a volte anche concetti, ma soprattutto sono strutture, e come tali si impongono alla stragrande maggioranza degli uomini senza passare attraverso la loro 'coscienza'. Sono oggetti culturali percepiti-accettati- subiti che agiscono sugli uomini attraverso un processo che sfugge loro. A commento di questa definizione di ideologia, Hebdige fa notare che anche uno spazio architettonico, come un'aula universitaria, può riflettere una precisa impostazione di pensiero, che tende a "naturalizzarsi". Così, la disposizione dei posti a sedere, con file di panche in gradinate ascendenti di fronte ad un leggìo posto su una pedana, materializza il rapporto gerarchico fra insegnante e allievi, determinando la direzione del flusso della comunicazione. Una particolare visione del rapporto insegnante-allievo, quindi, viene a prendere forma concreta in uno spazio architettonico, vissuto come lo spazio "naturale" per le lezioni universitarie. Tramite questo processo di "naturalizzazione" l'ideologia può riprodursi e dare l'impressione di essere qualcosa al di fuori della storia. La questione cruciale, a questo punto del discorso, è, secondo Hebdige, capire quali ideologie specifiche prevarranno in un dato momento, in una data situazione, e di quali gruppi e di quali classi rappresenteranno gli interessi. La distribuzione del potere, infatti, non è certo omogenea. Testi: Massimo Antonucci
  • 24. Nell' Ideologia tedesca Marx esprime in modo chiaro il rapporto tra idee dominanti e gruppi dominanti nella società: Le idee della classe dominante sono in ogni epoca le idee dominanti; cioè, la classe che è la potenza materiale dominante della società è in pari tempo la sua potenza spirituale dominante. La classe che dispone dei mezzi della produzione materiale dispone con ciò, in pari tempo, dei mezzi della produzione intellettuale, cosicché ad essa in complesso sono assoggettate le idee di coloro ai quali mancano i mezzi della produzione intellettuale. La validità di queste affermazioni risulta chiara se pensiamo, ad esempio, alle possibilità di accesso ai mass media. E' indiscutibile, infatti, che certi gruppi sociali siano in una posizione favorevole per produrre e diffondere le proprie definizioni del mondo. A questo punto Hebdige introduce il concetto gramsciano di egemonia che fornisce, a suo parere, la spiegazione più adeguata su come si mantiene il dominio nelle società capitalistiche avanzate. Il termine "egemonia" si riferisce ad una data situazione in cui un'alleanza provvisoria di certi gruppi sociali può esercitare un'autorità sociale totale su altri gruppi subordinati, non semplicemente attraverso la coercizione o l'imposizione diretta di idee dominanti, ma attraverso la conquista e la regolamentazione del consenso, in modo che il potere delle classi dominanti appaia insieme legittimo e naturale. Secondo Gramsci, comunque, il potere egemonico, dal momento che richiede il consenso della maggioranza
  • 25. dominata, è sempre in una posizione di "equilibrio instabile". Il consenso, quindi, può essere rotto, rifiutato, e la resistenza ai gruppi che detengono il dominio non può sempre essere facilmente respinta o automaticamente assorbita. Possiamo ora ritornare alle subculture giovanili che, per Hebdige, rappresentano un fenomeno spettacolare che testimonia la caduta del consenso nel periodo postbellico. La sfida all'egemonia, in questo caso, non è diretta: si esprime in maniera obliqua come stile. In altri termini, con le subculture giovanili nasce una pratica di resistenza, dove le apparenze costituiscono una evidente violazione simbolica dell'ordine sociale. All'invisibilità discreta dell'abito borghese, vissuto come significante della "normalità", si contrappone l'apparato spettacolare di abiti e decorazioni corporee delle subculture, che finisce inevitabilmente per rappresentare lo scarto dalla norma e, quindi, la devianza. Usando le parole di Hebdige, possiamo dire che: La comunicazione (...) di una diversità significativa (e la parallela comunicazione di un'identità di gruppo) è la "qualità essenziale" che sta dietro allo stile di tutte le sottoculture spettacolari. Costituisce il termine sovraordinato sotto cui sono disposte tutte le altre significazioni, il messaggio mediante il quale parlano tutti gli altri messaggi. Laddove l'ideologia dominante tende a naturalizzare le forme - ad esempio l'abito blu e la cravatta per gli uomini è il modo "naturale" di apparire in molti contesti -, la resistenza subculturale si manifesta con forme che ostentano Testi: Massimo Antonucci
  • 26. la propria artificialità. Un esempio, a questo proposito, può essere la spilla da balia usata dai punk: questo oggetto banale viene spostato dal suo contesto d'uso"naturale" per essere ricontestualizzato e, quindi, caricato di significati imprevedibili. Questa pratica di "decontestualizzazione- ricontestualizzazione" è definita da Hebdige, in termini antropologici, come "bricolage". In ambito subculturale, il bricolage è la modalità con cui si può costruire un proprio discorso, a partire da discorsi già fatti. Ricollocare oggetti significanti in nuove combinazioni o nuovi contesti, infatti, permette la trasmissione di messaggi differenti, alla stessa maniera dei ready-made di Duchamp. Come atti di bricolage, quindi, possiamo interpretare pratiche differenti quali: il furto e la trasformazione da parte del teddy boy dello stile edoardiano, fatto rivivere nei primi anni '50 da Savile Row; la trasformazione del motoscooter , nella subcultura mod, da rispettabilissimo mezzo di trasporto in un minaccioso simbolo di solidarietà di gruppo; l'uso, sempre nella subcultura mod, di pettini di metallo che, affilati come rasoi, diventano potenziali armi da offesa. L'elenco potrebbe essere molto più lungo…
  • 27. La sce na statunitens e Nel movimento beat la cultura nera è mitizzata, come testimonia un passo tratto da Sulla strada di Jack Kerouac: Camminavo nella sera piena di lillà con tutti i muscoli indolenziti in mezzo alle luci della Ventisettesima Strada nella Welton in mezzo al quartiere negro di Denver, desiderando di essere un negro, sentendo che quanto di meglio il mondo dei bianchi ci aveva offerto non conteneva abbastanza estasi per me, e neppure abbastanza vita, gioia, entusiasmo, oscurità, musica, né notte sufficiente. In ambito musicale, i legami che uniscono le culture giovanili bianche alla classe operaia nera sono stretti, particolarmente per quanto riguarda il jazz. Intorno agli anni '30, molti musicisti bianchi hanno suonato insieme con artisti neri nelle jam session, mentre altri ne hanno ripreso la musica traducendola e trasferendola in un contesto diverso. In tale processo la struttura e il significato del jazz subiscono una modificazione: lo swing bianco, infatti, elimina buona parte della carica di rabbia ed erotismo della linea calda del jazz, dando luogo ad un suono delicatamente raffinato da night club. Questi significati repressi vengono trionfalmente riaffermati nel be-bop. Il bop nacque col jazz ma un pomeriggio, non so su quale marciapiede, forse nel 1939, 1940, Dizzy Gillespie, o Charley Parker o Thelonius Monk, passando davanti a un negozio di abbigliamento da uomo sulla 42a Strada o nella South Main a Los Angeles, a un tratto sentì dagli altoparlanti un errore Testi: Massimo Antonucci
  • 28. incredibile e impossibile nel jazz che poteva aver udito solo nella sua immaginazione, ed ecco un'arte nuova. Il bop... A descrivere con queste parole la nascita del bop è Kerouac, nel volume di recente pubblicazione intitolato Scrivere bop. L'amore di Kerouac per questo tipo di musica è tale da fargli identificare le regole della scrittura che lui propone con le modalità di improvvisazione di Charlie Parker al sassofono. Il racconto immaginario della nascita del bop prosegue in questo modo: Dizzy o Charley o Thelonius stava camminando per la strada udì un rumore, un suono, metà Lester Young, metà grezza- nebbia-piovosa che ha quel brivido di eccitamento da baracca, binario, pezzo di terra vuoto, l'improvvisa enorme testa di Tigre sullo steccato dei bagnati di pioggia di un sabato mattina senza scuola, " Ehi!" e corse via a passo di danza. Al piano, quella notte, Thelonius inserì una nota sorda fuori tono rispetto alle calde note di tutti gli altri(...) La strana nota fa alzare il sopracciglio al trombettista della band. Per la prima volta, quel giorno, Dizzy è sorpreso. Porta la tromba alle labbra e suona un'umida evanescenza.(...) ride Charlie Parker piegando a battersi la caviglia. Si porta il contralto alla bocca e - con la linea del jazz - dice << Non ve lo avevo detto?>>. Parlando eloquente come i grandi poeti di una lingua straniera che cantano con la lira in paesi stranieri, per mare, e nessuno li capisce perchè quella lingua non è ancora nota a terra - il bop è la lingua dell'inevitabile Africa D'America, going suona come gong , Africa è la vibrazione dei fiati e il piede che batte obliquo il ritmo - l'improvviso stridio disinibito che urla finché la tromba di Dizzy Gillespie lo soffoca - fai tutto quello che vuoi - deviando la melodia verso un altro bridge improvvisato con un lacerante protendersi di artigli, perchè essere furbi e falsi?
  • 29. Da una serie di jam-session improvvisate al Minton's nasce, così, intorno agli anni'40, il New York sound. Charlie Parker, Dizzy Gillespie e Thelonius Monk, come raccontava la cronaca immaginaria della nascita del bop di Kerouac, erano i protagonisti di questo tipo di suono che diventò la base di una emergente cultura sotterranea. Verso la metà degli anni '50, un pubblico bianco, nuovo e più giovane, cominciò ad avvicinarsi al New York sound, nonostante fosse difficile da ascoltare e ancora più da imitare. Così, i beat e gli hipster cominciarono ad improvvisare un proprio stile esclusivo su una forma di jazz meno compromessa: un jazz di "pura astrazione" che metteva in corto circuito la banalità". Testi: Massimo Antonucci
  • 30. Hebdige così descrive le reazioni all'emergere delle sottoculture hipster e beat: Questa convergenza senza precedenti di nero e di bianco, proclamata con tanta aggressività e con tanta spudoratezza provocò un'inevitabile controversia che si incentrava sui temi della razza, del sesso, della rivolta, ecc., e che si sviluppò rapidamente in panico morale. Tutti i sintomi classici dell'isteria più comunemente associata all'emergere alcuni anni dopo del rock'n roll erano presenti nella reazione con cui l'America conservatrice, che si sentì oltraggiata, salutò i beat e gli hipster, e allo stesso tempo si andò sviluppando da parte di osservatori "liberal" interessati al fenomeno tutta una mitologia del negro e della sua cultura. A questo punto il negro andò libero, indenne dalle desolanti convenzioni che tiranneggiavano membri più fortunati della società (cioè gli scrittori) e, sebbene intrappolato in un ambiente crudele di strade e basamenti squallidi, per una curiosa inversione anche lui ne uscì alla fine vincitore (...) Il negro nebulosamente osservato attraverso la prosa di Norman Mailer oppure attraverso gli esangui panegirici di Jack Kerouac (...), poté servire per i giovani bianchi da modello di libertà in schiavitù. Goldman, autore citato da Hebdige, disegna in modo sintetico il profilo delle sottoculture hipster e beat: lo hipster era (...) un tipico dandy delle classi inferiori, abbigliato come un magnaccia, che affettava un tono freddo e cerebrale - per distinguersi dai tipi grossolani e impulsivi che lo circondavano nel ghetto - e che aspirava alle cose migliori della vita, come a dell'ottima 'erba', al sound più bello, quello del jazz e quello afro-cubano
  • 31. laddove... il beat era in origine uno studente della più schietta classe media, come Kerouac, che si sentiva soffocare dalla città e dalla cultura che aveva ereditato e che voleva sostituire con luoghi lontani ed esotici, dove avrebbe potuto vivere con la 'gente', scrivere, fumare e darsi alla meditazione. Secondo Hebdige, la sottocultura hipster vive una vicinanza reale, non solo spirituale, con la comunità dei neri: hipsters e neri vivono, infatti, a contatto nei ghetti metropolitani. Il beat, invece, vive un rapporto immaginario con il negro-come-nobile-selvaggio. Così, benché le sottoculture hipster e beat si organizzassero intorno ad un'identità condivisa con i negri (simbolizzata nel jazz), la natura di tale identità, resa palese negli stili adottati dai due gruppi, era qualitativamente diversa. I vestiti da gangster e gli abiti leggeri all'italiana dello hipster incarnavano le aspirazioni tradizionali (...) del magnaccia negro, mentre il beat, deliberatamente vestito di stracci, in jeans e sandali, esprimeva il magico rapporto con una miseria che costituiva nella sua immaginazione un 'essenza divina, uno stato di grazia, un sacro rifugio. Questa distinzione netta tra la sottocultura hipster e quella beat sembra essere contraddetta dalle parole con le quali Kerouac racconta la nascita del movimento beat. La Beat Generation è una visione che abbiamo avuto, John Clellon Holmes e io e Allen Ginsberg in un modo ancora più incredibile, alla fine degli anni '40, la visione di una generazione di splendidi hipster illuminati che di colpo si levavano e si mettevano in viaggio attraverso l'America, seri, curiosi, vagabondando e arrivando dappertutto in autostop, cenciosi, beati, belli nella loro nuova bruttezza piena di Testi: Massimo Antonucci
  • 32. grazia (...) beati, nel senso di battuti ma pieni di ferme convinzioni - Avevamo anche sentito vecchi Papà Hipster delle strade del 1910 usare la parola in quel modo, con malinconico scherno - Non designò mai i giovani delinquenti, designava gli individui dotati di una spiritualità diversa che non formarono mai una banda ma rimasero come Bartleby solitari a guardare fuori dalla finestra cieca della nostra civiltà - gli eroi sotterranei che avevano finalmente voltato le spalle all'occidentale macchina "della libertà" e si drogavano, ascoltavano il bop, avevano lampi di genio, sperimentavano il "turbamento dei sensi", parlavano strano, erano poveri e felici, profetizzavano un nuovo stile per la cultura americana, un nuovo stile (pensavamo) completamente libero da influenze europee (...) una nuova formula magica- Sempre sulle pagine dello stesso scritto, intitolato Sulla Beat Generation, Kerouac descrive uno scenario dove la cultura beat rappresenta uno sviluppo coerente della sottocultura hipster. A tratti, anzi, i due termini si confondono:
  • 33. Scrivevamo storie su non so quale strano e beato santo negro hip col pizzetto che attraversava lo Iowa in autostop con la tromba fasciata, portando il misterioso messaggio del soffiare su altre coste, in altre città, come un vero e proprio Gualtiero Senzaavere alla testa di un'invisibile Prima Crociata - Avevamo i nostri eroi mistici e scrivemmo, anzi cantammo romanzi che parlavano di loro, costruimmo lunghi poemi che celebravano i nuovi "angeli" dell'underground americano - In realtà era solo un gruppetto di ragazzi hip veri patiti dello swing... Dalle parole di Kerouac emerge una situazione dove la distinzione tra sottocultura beat e hipster risulta essere una forzatura analitica. Anche per quanto riguarda lo stile vestimentario i termini si confondono: ... la gioventù del dopoguerra di Corea emerse cool e beat, ..., e presto fu ovunque, il nuovo look, il look trasandato e "sconvolto", alla fine cominciò ad apparire anche nei film (James Dean) e in televisione, gli arrangiamenti bop che erano un tempo la segreta musica da estasi dei beat contemplativi cominciarono ad apparire in ogni golfo mistico e in ogni spartito per orchestre tradizionali, le visioni bop diventarono patrimonio comune del mondo della cultura di massa ... l'assunzione di droghe divenne ufficiale (tranquillanti e tutto i resto), e anche il modo di vestirsi degli hipster beat venne trasmesso alla nuova gioventù del rock'n'roll tramite Montgomery Clift (giacche di pelle), Marlon Brando (T-shirt), e Elvis Presley (basettoni)... Kerouac, nell'articolo del 1959 "Beati: le origini della Beat Generation", così racconta la nascita del movimento beat: Testi: Massimo Antonucci
  • 34. Questo articolo riguarderà necessariamente me stesso. Dirò tutto fino in fondo. Quella mia foto pazzesca sulla copertina di Sulla strada è venuta così perché ero appena sceso dalla cima di un'alta montagna dove avevo passato due mesi in completa solitudine e di solito avevo l'abitudine di pettinarmi i capelli perché devi fare l'autostop in autostrada e tutto quanto e di solito vuoi che le ragazze, guardandoti, ti considerino un essere umano e non una bestia ma il mio amico e poeta Gregory Corso si sbottonò la camicia e tirò fuori un crocifisso d'argento appeso a una catena e disse << Mettitelo, portalo fuori dalla camicia e non pettinarti!>>. Così, ho passato un bel pò di giorni a San Francisco andando in giro con lui e gente come lui, alle feste, nelle gallerie, nei ritrovi, alle jam sessions, nei bar, alle letture di poesie, nelle chiese, camminavamo per strada parlando di poesia, camminavamo per strada parlando di Dio (e a un certo punto una strana banda di delinquenti si arrabbiò e disse <<Che diritto ha quello di portare quella roba?>> e la mia banda di musicisti e poeti gli disse di calmarsi) e alla fine il terzo giorno, il giornale <<Mademoiselle>> volle farci delle foto, a tutti noi, così posai com'ero, capelli selvaggi, crocifisso e tutto il resto, con Gregory Corso, Allen Ginsberg e Phil Whalen...
  • 35. La cronaca di Kerouac riguardante la nascita del movimento beat fornisce, allo stesso tempo, la rappresentazione di uno stile di vita e di uno stile vestimentario che lo rappresenta coerentemente. Il crocifisso, così, non è un segno gratuito, ma l'elemento significante che testimonia la ricerca di una nuova spiritualità: Non mi vergogno di portare il crocifisso di nostro Signore. Perché sono un beat, cioè, credo nella beatitudine e credo che Dio amava il mondo al punto di donargli il suo unico figlio... Queste affermazioni possono essere meglio comprese, considerando il significato che Kerouac attribuiva alla parola "beat". Nell'articolo "Agnello, non leone", contenuto nella stessa raccolta Scrivere bop, Kerouac chiarisce che: Beat non significa stanco, o sconfitto, bensì beato, la parola italiana per beatific : essere in uno stato di beatitudine, come San Francesco, cercare di amare tutto nella vita, cercare di essere sinceri fino in fondo con tutti, praticare la sopportazione, la gentilezza, coltivare la gioia del cuore. Come si può realizzare una cosa del genere nel nostro folle mondo moderno fatto di molteplicità e milioni? Praticando un pò di solitudine, andandosene da soli ogni tanto a far provvista della ricchezza più grande: le vibrazioni della sincerità. Essere seccati non è essere beat. Si può essere chiusi in se stessi ma ciò non significa necessariamente essere scontrosi. Il beat non è una forma di critica stanca e vecchia. E' una forma di affermazione spontanea. Che razza di cultura sarebbe se tutti con faccia rabbuiata dicessero"Questo non mi sembra giusto"? Testi: Massimo Antonucci
  • 36. Dalle parole di Kerouac emerge il profilo di un movimento che cerca una profonda rigenerazione spirituale, sia attingendo dalle fonti più pure della religione cristiana sia cercando di avvicinare le filosofie orientali, in particolare il buddismo. E' una ricerca che propone valori profondamente antagonisti rispetto al materialismo consumista e al "carrierismo" , che possiamo considerare fondanti dell'american way of life. Proprio per questo, la subcultura beat viene presto associata alla devianza: ...e quanto orrore provai nel 1957, e poi nel 1958, quando improvvisamente mi accorsi che tutti, la stampa, la televisione e il circuito dei conferenzieri alla moda usavano la parola "Beat" a significare anche l'esplosione dei giovani delinquenti e gli orrori delle folli manganellate di New York e Los Angeles e cominciarono a chiamare quello Beat, beato quattro scemi che marciavano contro i Giants di San Francisco contestando il baseball, come se (adesso) succedesse nel mio nome...Oppure quando un assassinio, un volgare assassinio commesso sulla North Beach, venne etichettato come un omicidio della Beat Generation, e pensare che da piccolo passavo per un eccentrico, nel mio quartiere, perché impedivo ai ragazzi di tirare sassi agli scoiattoli, perché gli impedivo di friggere i serpenti nelle lattine o di gonfiare i rospi con una cannuccia per farli scoppiare. Sempre nello stesso articolo - "Beati: le origini della Beat Generation"- Kerouac intuisce che un'altra modalità per disinnescare le forze di opposizione (oltre all'etichettamento da parte dei mass media come gruppo di "devianti") è il processo di assorbimento delle controculture all'interno del sistema moda:
  • 37. Così adesso in televisione danno programmi sui beatniks che cominciano con la satira di ragazze vestite di nero e ragazzi in jeans con coltelli a serramanico e magliette sportive e svastiche tatuate sotto le ascelle, e poi arriveranno ai rispettabili presentatori tutti azzimati in abito Brooks Brothers tagliato a jeans e maglione di lana, in altre parole, è un semplice cambiamento di moda e maniere...Quindi non c'è di che rallegrarsi. I Beat, in realtà, nascono dalla vecchia voglia americana di fare baldoria e cambierà solo qualche vestito e renderà inutili le sedie in soggiorno e presto avremo Segretari di Stato beat e saranno istituiti nuovi orpelli, in realtà nuovi motivi di malizia e nuovi motivi di virtù e nuovi motivi di perdono... Contro queste forze della reazione Kerouac arriva a scagliare un vero e proprio anatèma: E tuttavia, tuttavia, sia maledetto chi crede che Beat Generation significhi crimine, delinquenza, immoralità, amoralità...maledetto chi ne attacca le basi soltanto perché non capisce la storia e i desideri struggenti degli animi umani...maledetto chi non capisce che l'America deve, dovrà cambiare e sta già cambiando, per quanto ne so. Sia maledetto chi crede nella bomba atomica, chi crede nell'odio contro i padri e le madri rinnegando il più importante dei dieci comandamenti, maledetto (tuttavia) chi non crede nell'incredibile dolcezza dell'amore sessuale, e maledetti siano i tipici portatori di morte, maledetto chi crede nelle guerre e nell'orrore e nella violenza e riempie i nostri libri e schermi e soggiorni di quelle schifezze, maledetto chi fa cattivi film sulla Beat Generation dove casalinghe innocenti vengono violentate da beatniks ! Siano maledetti i veri squallidi peccatori che perfino Dio trova occasione di perdonare... maledetto chi sputa sulla Beat Generation, il vento restituirà lo sputo. Testi: Massimo Antonucci
  • 38. Questa strenua difesa della purezza degli ideali del movimento beat mette in chiaro quali siano i valori di riferimento di questa subcultura; rivela, allo stesso tempo, una profonda anima mistica e un mal celato senso d'impotenza. Emerge, infatti, una visione del sociale dove l'opposizione al grande Moloc non riesce a trovare altre vie che l'anatèma. Quando, agli inizi degli anni'60, Allen Ginsberg tenterà la via dell'impegno politico, Kerouac così motivò, in una intervista, la sua presa di distanza dalle posizioni dell'amico: Ginsberg si è interessato alla politica di Sinistra... e io dico come Joyce, come Joyce ha detto a Ezra Pound negli Anni Venti: <<Non mi seccare con la politica, l'unica cosa che mi interessa è lo stile>>. E poi mi sono stufato della nuova avanguardia e del sensazionalismo a razzo. Sto leggendo Blaise Pascal e prendo appunti sulla religione. Mi piace andare in giro con gente intellettuale, come direste voi, e non a ritrovarmi proseliti della mia mente, all'infinito... Il gruppo beat, come voi dite, si è disperso all'inizio degli Anni Sessanta, ciascuno è andato per la sua strada, e questa è la strada mia: vita di casa, come all'inizio, con una puntata ogni tanto ai bar locali. Negli stessi anni, in una lettera indirizzata a Fernanda Pivano, Kerouac scrive: Devi sapere che noi che abbiamo incominciato la beat generation qui negli Stati Uniti (io, Holmes, Ginsberg) da allora siamo stati trascinati in attacchi di carattere politico e perciò ce ne restiamo per conto nostro (come all'inizio). Il mondo gira, ma l'arte rimane.
  • 39. Da queste citazioni emerge il ritratto di un artista ripiegato su se stesso, dedito alla propria opera e, per certi versi, sganciato dal nuovo movimento culturale che si afferma negli anni '60, il movimento hippie. Sarà invece Ginsberg a costituire la figura "ponte" tra le due generazioni. Come racconta la Pivano, fu un suo viaggio in India nei primi anni '60 a segnare la svolta: Quando arrivò dall'India anche la sua apparenza era un pò cambiata. Negli anni dell'università, quando visse con Jack Kerouac e William Borroughs e poi attraversò l'America con Neal Cassidy e Jack Kerouac, l'anticonformismo del suo aspetto esteriore non andava al di là della Resistenza al Consumo sulla quale si basava appunto la più appariscente forma del dissenso di quegli anni: in un momento in cui pareva che il neo-materialismo dilagante avesse fatto del denaro una religione, dell'igiene un Dio, dell'anonimità aziendale una legge e della tecnocrazia un destino inevitabile, era un gesto profondamente contestatario respingere danaro, igiene, anonimità e tecnocrazia. I blue jeans sbiaditi, i sandali e le scarpe da tennis, le giacche a vento portate estate e inverno crearono in quegli anni della ripresa economica del dopoguerra...uno shock che creò una presa di coscienza almeno altrettanto importante di quella creata un decennio dopo dagli abbigliamenti basati sulla creatività e la fantasia cosidetti hippie. In quegli anni Ginsberg aveva i capelli corti e il viso asciutto, il sorriso pronto e un magnetismo che era sempre il protagonista delle descrizioni di biografi e intervistatori...Fu in India che Ginsberg cambiò aspetto, quando visse fra i sapienti e i santoni e si lasciò crescere i capelli fino alle spalle e la barba fin dove voleva arrivare, più che altro per non compiere un atto di violenza tagliandoli contro natura e contro ragione; così girò per l'India, ornato della collana shivaita degli iniziati e così tornò in America nel 1963. Il 10 giugno 1965 mostrò questa sua immagine a un Testi: Massimo Antonucci
  • 40. reading di poesia alla Albert Hall di Londra. Erano presenti 7000 persone e ragazze a piedi nudi distribuivano fiori in un'atmosfera greve di incenso e di hashish...Fu questo primo embrione della scena hippie, che esplose a San Francisco nel 1966... Intorno alla metà degli anni'60, così, Allen Ginsberg, tenne a battesimo il nuovo movimento hippie. Il fatto non è così strano se si pensa che la subcultura beat e quella hippie condividono valori di fondo quali la ricerca di una nuova spiritualità e, in particolare, la filosofia della non-violenza. L'epicentro del nuovo movimento culturale fu, comunque, la scuola. La prima rivolta, che prese il nome di Free Speech Movement, si scatenò a Berkeley nel settembre del 1964 quando le autorità amministrative vietarono la raccolta di fondi per una causa politica esterna alla vita dell'università. Nella raccolta di scritti dal titolo L'altra America degli anni '60, tradotta da Fernanda Pivano, si può
  • 41. leggere un resoconto in prima persona di quegli avvenimenti: Ci siamo messi a sedere intorno a un automezzo della polizia e lo abbiamo tenuto immobilizzato per oltre 32 ore. Finalmente la burocrazia amministrativa ha accettato di negoziare. Emerge presto, però, che il vero oggetto d'interesse per il Movimento è il rapporto tra studenti e sistema formativo. Poter contare all'interno della struttura scolastica, diventando protagonisti di un processo che riguarda la propria vita, è una esigenza fortemente avvertita. Si afferma, infatti, la percezione che il processo educativo americano sia una crudele cerimonia iniziatica. Nell'articolo di Weinberg "Il Free Speech Movement e i diritti civili", contenuto nella già citata raccolta L'altra America degli anni'60, leggiamo: ...l'istruzione che conduce al conseguimento del diploma di graduation appare un rito per mettere alla prova la capacità di sopportazione del candidato, una serie di prove che, se superate con successo, consentono l'ingresso ai corsi della graduate school; e, a quelli che sono riusciti a passare indenni attraverso le prove dell'intero rito, è concesso il titolo pomposo: il Ph.D. Più uno emerge, migliore è il posto di lavoro che ottiene...Troppo spesso il processo educativo appare come un'eliminatoria, regolata dalle leggi della domanda e dell'offerta. Quanto meglio uno gioca la partita tanto meglio uno è compensato. Il sistema educativo americano appare, quindi, come una istituzione che si ispira al modello darwiniano della selezione naturale, finalizzata all'emergere del più forte e ben poco preoccupata della crescita e della formazione Testi: Massimo Antonucci
  • 42. culturale degli studenti. Lo scontento manifestato nel settembre 1964 trascende, quindi, l'episodio contingente. I circa quattro mesi di rivolta che seguono, permetteranno di ottenere spazi "liberi" e il diritto di organizzare Teach In su argomenti politici all'interno dell'università. Il primo Teach In fu dedicato al Vietnam. L'impegno americano, infatti, era andato via via aumentando e nel 1965 erano cominciati i primi bombardamenti. Contemporaneamente erano iniziate e si erano estese le manifestazioni di protesta. Le matrici da cui muoveva il rifiuto per la guerra andavano moltiplicandosi: da un lato, c'erano vari comitati, più o meno affiliati ai vari movimenti radicali e antinucleari internazionali, che propugnavano una scelta pacifista e antinucleare per la società occidentale; dall'altro, si faceva strada un modello di pensiero aperto alle culture orientali e precapitalistiche. La scoperta della spiritualità e del misticismo orientale si unì, infatti, alla rilettura in chiave antropologica della mitica comunione con la natura delle popolazioni indiane d'America: l'insieme si formalizzò nella proposta di un "uomo nuovo", impegnato a ritrovare la propria interiorità e pacificamente inserito in un contesto naturale da osservare e rispettare. I maestri del nuovo umanesimo furono i protagonisti della cultura alternativa del decennio precedente: Allen Ginsberg, Gary Snyder, Timothy Leary. La strada da percorrere verso l'ideale di "uomo nuovo" viene indicata con estrema chiarezza da Timothy Leary: Dovete cominciare col cambiare il vostro abito, la vostra casa, i vostri movimenti, il vostro ambiente, in modo tale che rifletta la grandezza e la gloria della vostra visione divina.
  • 43. Dovete avere un aspetto diverso e agire diversamente. Ma questo processo di sintonizzazione dev'essere armonico ed elegante. Per favore nessun gesto distruttivo o ribelle!...Camminate, parlate, mangiate, bevete come se foste un felice Dio della foresta. La prospettiva terrorizzante da cui si cerca di uscire con questa proposta di vita è quella esemplificata nella figura dell"impiegato di Manhattan", descritta da Leary in questi termini: ...lavora in una camera buia, che puzza di aria inquinata. Si muove in mezzo ad un ammasso di mobili anonimi e fatti in serie per andare in un bagno di celluloide o in una cucina impersonale di plastica. Fa una prima colazione a base di cibo-carburante anonimo, tolto da una scatola o impacchettato. Indossa la divisa anonima del cittadino-robot, biancheria di cotone, scarpe, camicia, cravatta e giacca. Viaggia in gallerie buie di metallo fuligginoso e di cemento grigio verso la scatola di alluminio che è il suo ufficio... Il denaro che guadagna gli serve per il suo cibo di celluloide e per il suo appartamento dall'aria inquinata. Quest'uomo è circondato da un ambiente grigio, inquinato, morto, impersonale, fatto da una catena di montaggio, prodotto in serie e anonimo. Questo è l'ambiente di un robot-meccanico. Per uscire da questo tunnel esistenziale ci si rivolge alle filosofie orientali e spesso si fa ricorso all'uso di sostanze stupefacenti -funghi sacri, marijuana, LSD-, in grado di provocare l'espansione dello spettro percettivo, fare esperienza di nuovi stati di coscienza e liberare grandi energie creative, prive di condizionamenti sociali. Così, anche i canoni estetici e della bellezza corporea subiscono profondi cambiamenti. Nella raccolta già citata Testi: Massimo Antonucci
  • 44. L'altra America degli anni'60 troviamo l'articolo "La generazione hippy " di Kupfemberg, estremamente esplicito a questo proposito: L'hippy decora il proprio corpo come un'opera d'arte. Lo ricopre di collane, lo dipinge, lo addobba con abiti dei colori dell'arcobaleno e nello stile composito formato dalla mescolanza stridente di tutti i tempi e di tutti i paesi; non c'è un modo giusto di vestirsi, non c'è un modo giusto di fare l'amore. Che mille corpi fioriscano. Un elenco dettagliato del vasto repertorio vestimentario del movimento hippy ce lo fornisce Fernanda Pivano, cronista d'eccezione della nuova cultura americana.Così, descrive la moltitudine degli spettatori presenti ad un concerto di Dylan, al Community Theatre: Ma per me che venivo da un'Europa sopraffatta da una idea gotica della politica e medioevale del costume, ottocentesca della cultura e vittoriana della moralità, quella serata rappresentò soprattutto l'immersione nel New Look (come già si diceva allora per difendersi dall'etichetta sociologica del New Style of Life), che poche settimane dopo sarebbe stato fregato nello stereotipo hippie inventato dai media. C'erano ragazze con vestaglie di velluto abbottonate fino alla bocca e aperte dalla cintola in giù, ragazzi vestiti da principi del Rinascimento, le giacche di daino frangiate che 4 anni dopo sarebbero arrivate in Europa nella scia del musical Hair, cappotti di montone bianco lunghi fino a terra, colori sgargianti nelle sete lucide e campanelle tintinnanti portate al collo, alle caviglie, sulla testa, ai polsi; occhiali verdi e gialli, giacche napoleoniche e da ammiraglio, pantaloni da generale della Guerra di Secessione, piume indiane, berretti di velluto raffaelleschi, camicie di cotone Mayflower, code di volpe, mantelle da Dracula, magliette bianche di cotone da marinai
  • 45. alle caldaie della nave, gonne lunghe da film western, granny dresses, fiori, collane, pizzi. La rivolta al consumismo era passata dalla fase rinunciataria e polemica dei blue jeans alla fase creativa e ribelle del vestito <<inventato>> invece che <<subìto>>: beffa insolente e pacifica all'industria della moda. La scoperta della Pivano del New Look hippy durante un concerto di Dylan non è certo stata casuale. Dylan, infatti, è uno degli artisti che meglio diede voce agli ideali del movimento, firmando quelli che diventarono dei veri e propri inni generazionali. Pivano, così, spiega le ragioni del successo di Bob Dylan: Il miscuglio folk-blues-rock di Bob Dylan, con le sue storie che non riguardavano gli amori di un ragazzo per una ragazza o viceversa ma erano ispirate allo scontento sempre più incalzante tra la gioventù americana, raggiungeva un pubblico ormai quasi disabituato a leggere versi ma disposto ad ascoltarli attraverso la musica e d'altra parte già stanco dei diluvi imitativi dei Beatles ma disposto ad ascoltare questo rock and roll rivoluzionario, con la sua carica polemica e il suo messaggio liberatorio: un messaggio che era diventato di massa nel 1962, quando Blowing in the Wind venne cantata da milioni di persone come canto di raccolta nel corso del Movimento negro in Difesa dei Diritti Civili. Nel 1965, lo stesso anno in cui Pivano si accorge di Dylan, Ginsberg stila, un programma per una grande manifestazione, cercando così di chiarire in modo inequivocabile a tutti le intenzioni e le modalità della riunione e impedire reazioni disordinate in caso di provocazioni: Testi: Massimo Antonucci
  • 46. Annunciate in anticipo che è una marcia sicura, portate la nonna e i bambini, portate famiglia e amici. Dichiarazioni aperte: "Non veniamo a combattere e non combatteremo" La manifestazione diventa una grande festa pacifica fatta di suoni, canti, colori e tantissimi fiori. Il momento culminante del movimento è, però, il grande raduno del 14 gennaio 1967, tenutosi nel Parco del Golden Gate a San Francisco, vero e proprio centro della cultura alternativa giovanile. La mutazione culturale proposta da Leary è avvenuta; lo spettacolo è senza precedenti: Ventagli, piume, pennacchi e zanne; campanelli, tamburi, carillons e incenso; stendardi, fiamme, bandiere e talismani; collane portafortuna, arance e carote; palloni, fiori, bambù e vesti-animali; flauti e ceste; mani giunte, occhi chiusi, fronti serene e sorrisi; stoffe da preghiera e bastoni da shaman... In mezzo a tutto questo: il prof. Leary... con un fiore giallo dietro l'orecchio; Leonore Kandel, in rosso e arancione; Gary Snyder seduto sull'orlo della piattaforma...maestro di cerimonia, parla con gioia. Allen Ginsberg, catalizzatore e distillatore di tutto, in una tunica bianca. Questo grande rito collettivo si chiude, al tramonto, con Allen Ginsberg e Gary Snyder che salmodiano il mantra Om Sri Maitreya rivolti verso il sole, in una atmosfera di grande pace e poesia.
  • 47. La sce na inglese Passando ora alla scena europea, possiamo cominciare dicendo che solo all'inizio degli anni'60 l'Inghilterra riuscirà a strappare all'America il primato del cambiamento culturale . Durante gli anni'50, infatti, sarà impegnata nell'opera di ricostruzione, dopo i disastri della seconda guerra mondiale. Come osserva Gino Castaldo nel suo saggio La terra promessa : Dal conflitto mondiale America e Inghilterra uscirono in modo diametralmente opposto. L'America ne uscì non solo trionfante, ma anche come la nazione che aveva pagato il minor prezzo. Il suo territorio era intatto, l'economia prospera, pronta a evolversi verso la supremazia mondiale, creando un benessere interno mai verificatosi prima. Al contrario l'Inghilterra, sebbene fosse una delle potenze vittoriose, emerse dalla guerra con ferite profonde, con le risorse allo stremo, con le città in rovina e l'ovvia esigenza di puntare alla ricostruzione. L'Inghilterra ci ha messo più tempo a recuperare la sua antica funzione di egemonia imperialista che, come vedremo, si svolgerà soprattutto in campo culturale. Anzi, il declino dell'Impero britannico procede parallelamente alla nascita dell'impero culturale. Nel saggio La Londra dei Beatles di Paola Colaiacomo e Vittoria Caratozzolo leggiamo: Il 15 aprile 1966 la rivista americana Time usciva con una copertina intitolata a <<London: the Swinging City>>. Londra, spiegava il servizio nell'interno, era in quel momento tra le città europee la più impetuosamente sospinta dal pendolo della storia verso il futuro. <<To swing>> vale altalenare, Testi: Massimo Antonucci
  • 48. muoversi secondo un moto pendolare, che contempla un'andata e un ritorno: e ciò verso cui spingeva il pendolo di Londra era un nuovo stile di vita, di cui prima di tutto la città in se stessa sembrava offrire la realizzazione e la promessa. Da qualche tempo Londra aveva iniziato ad esportare i suoi prodotti culturali in America, facendo parlare di "british invasion": Nel 1964 si era verificata una specie di nuova conquista dell'America... Era stato quello, infatti, l'anno del primo trionfale viaggio dei Beatles, di Mary Quant, dei Rolling Stones, al di là dell'Oceano. Sfilate, concerti, apparizioni televisive, avevano totalizzato milioni di telespettatori, battuto ogni record di popolarità. La terra del cinema doveva essere ben sazia di immagini di celluloide...se ora così entusiasticamente apriva i propri sconfinati mercati ai suoni e ai colori dell'antica madrepatria. Ritornando alla parola swinging le autrici del saggio sopra citato approfondiscono l'analisi delle diverse connotazioni legate a questo termine: Ma ora torniamo indietro, all'espressione <<swinging>>, già usata nel Seicento dal drammaturgo Thomas Otway, e proprio nel senso che ora viene ripreso dal servizio di Time a indicare cioè coloro che, non riconoscendo le barriere della morale convenzionale, si gettano di slancio, swinging, al di là di quelle stesse barriere, in rivolta contro una maggioranza silenziosa che rinnega la gioia di vivere. Swing era anche stata chiamata quella musica da ballo americana, di derivazione jazzistica, dunque con l'Africa dentro, al cui ritmo frenetico, esplosivo, disperato, gli alleati avevano ballato, magari in un rifugio antiareo la sera precedente una qualche operazione bellica decisiva....Sicché ora, la vistosa copertina di Time, e
  • 49. poi nell'interno il testo, con tutte le fotografie e le immagini che sembrano voler costruire nei dettagli i luoghi deputati del nuovo mito, le stazioni del nuovo pellegrinaggio ideale, troviamo un terreno già preparato, quando puntano proprio su quella parola , <<swinging>>, per far precipitare in essa tutto il complesso di sensazioni, tutta l'atmosfera, tutta la Stimmung che vogliono al tempo stesso evidenziare e far emergere, quasi creandola ex novo. La trovata veramente geniale del servizio, infatti, fu tutta in quella parola, che subito si impose, aderendo al suo tema come un'etichetta. Swinging, il movimento pendolare con una andata e un ritorno, può essere una utile metafora per inquadrare, facendo un passo indietro, il fenomeno dell'importazione massiccia in Inghilterra dei prodotti culturali provenienti dagli Stati Uniti, durante gli anni'50. La "british invasion" degli anni'60, in altri termini, è stata preceduta da un fenomeno altrettanto forte, ma di segno contrario, durante il decennio precedente, quando gli Stati Uniti erano al centro della scena culturale. Tra i tanti prodotti d'importazione, però, solo pochi trovano il terreno adatto per affermarsi . In Sottocultura di Dick Hebdige leggiamo: ... solo la sottocultura beat, prodotto di un allineamento in un certo modo romantico con i negri, sarebbe sopravvissuta nel passaggio dall'America all'Inghilterra negli anni Cinquanta. Senza una significativa presenza nera nelle comunità della working class inglese, l'equivalente scelta hipster non fu semplicemente possibile. L'influsso degli immigrati indo- occidentali era solo appena cominciato e, quando alla fine la loro influenza sulle sottoculture della working class inglese fu sentita all'inizio degli anni'60, in genere si articolò in forme e tramite forme specificatamente caraibiche (ska, bluebeat, Testi: Massimo Antonucci
  • 50. ecc.). Nel frattempo era avvenuta un'altra convergenza, più spettacolare, al di fuori dell'ambito del jazz, nel rock...La musica era stata tolta dal proprio contesto originale in cui le implicazioni dell'equazione potenzialmente esplosiva "negro" uguale "giovane" era stata pienamente riconosciuta dalla cultura della generazione immediatamente precedente e trapiantata in Inghilterra dove servì da nucleo per lo stile teddy boy. Si poteva sentire nei nuovi coffee bar inglesi dove, benché filtrato da un'atmosfera distintamente inglese di latte bollito e altri intrugli, rimase chiaramente estraneo e futuristico, barocco come il juke box che lo esprimeva. E, allo stesso modo degli altri prodotti sacri - il ciuffo, il cappotto corto, il Brylcreem e il "cinema" - venne a significare l'America, un continente fantastico fatto di cow boy e di gangster, di lusso, di eleganza e di "automobili". Nella sottocultura teddy boy, però, intervenne una sorta di rimozione delle origini della musica rock, nata come contaminazione di forme musicali bianche e nere (basti citare come esempio le vibrazioni nel cantato), diventando ai loro occhi solo una dalle tante novità americane d'importazione insieme al jazz, all'hula hoop, al motore a combustione interna e ai pop corn. Questa rimozione dell'anima nera del rock fece sì che i teddy boy non percepirono alcuna contraddizione tra l'ascolto di questa musica e la matrice xenofoba della loro cultura. A questo proposito Hebdige afferma: Con l'eruzione sulla scena inglese alla fine degli Anni Cinquanta, il rock sembrò frutto di una germinazione spontanea, ovvia espressione immediata delle energie giovanili. E quando i teddy boy, ben lontani dall'accogliere a braccia aperte gli immigrati di colore da poco arrivati,
  • 51. cominciarono attivamente a prendere le armi contro di loro, erano impermeabili a qualsiasi senso di contraddizione. Questa vena xenofoba dei teddy boys fu un elemento determinante nel differenziarli dalla sottocultura beatnik che ostentava un'aria cosmopolita e tollerante. Gli stili erano incompatibili, e, quando venne fuori il "trad" jazz come punto focale di una sottocultura inglese più importante alla fine degli Anni Cinquanta, queste differenze furono evidenziate in maniera ancora più dura. Il trad jazz contava su un ambiente di rozzi bevitori di birra, che era in contrasto con le qualità del primo rock'n roll, angolose, nervose, spigolose da un lato, e l'estetica spudoratamente artificiale dei teddy boy dall'altro - una combinazione aggressiva di esotismo vestimentario (scarpe di pelle scamosciata, baveri di velluto e di pelliccia, cravatte di cordino) - viveva in un duro contrasto con il miscuglio "naturale" dei beatnik fatto di montgomery, di sandali e di CND (Campaign for the Nuclear Disarm). Testi: Massimo Antonucci
  • 52. I primi anni'60 vedono nascere, insieme alla formazione di comunità di immigrati che si stabiliscono nelle zone working class dell'Inghilterra, la nuova sottocultura dei mods. Come lo hipster americano... il mod era un "tipico dandy della classe inferiore", maniaco dei piccoli dettagli degli abiti, caratterizzato come i meticolosi avvocati newyorkesi di Tom Wolfe, dalla forma del colletto della camicia, di una precisione esatta come gli spacchi delle sue giacche fatte su misura; dalla forma delle sue scarpe fatte a mano A differenza dei teddy boy, importuni in maniera provocatoria, i mod erano più sottili e più sottomessi in apparenza: indossavano vestiti apparentemente conservatori in colori rispettabili, erano meticolosamente lindi e in ordine. I capelli erano generalmente corti e puliti e i mod preferivano conservare il profilo elegante di un impeccabile "taglio alla francese" con una lacca invisibile piuttosto che con la banale brillantina preferita dai rocker più apertamente maschili. I mod inventarono uno stile che permetteva loro di conciliare scuola, lavoro e tempo libero e che nascondeva tanto quanto dichiarava. Interrompendo tranquillamente la normale sequenza che porta dal significante al significato, i mod minavano il significato di "colletto, vestito e cravatta" spingendo l'accuratezza del vestire fino all'assurdo.
  • 53. I mods vivono una doppia vita: da una parte il lavoro o la scuola, dall'altra un mondo underground, letteralmente al di sotto del mondo normale, fatto di cantine, discoteche, boutique e negozi di dischi. Una parte di questa "identità segreta" è costituita dalle affinità con la cultura nera: Il mod della Soho hard core del 1964, impenetrabile dietro i suoi occhiali scuri e il cappello a tesa piccola si degnava solo di muovere i passi (i piedi rivestiti di scarpe di tela da giocatore di pallacanestro o di Raoul originali) ai soul di importazione più esoterici: (I'm the) Enterteiner di Tony Clarke, Papa's got a Brand New Bag di James Brown, (I'm in with) The Crowd di Dobie Gray, oppure ska giamaicano, Madness di Prince Buster. Bloccati in maniera più fissa rispetto ai teddy boy e ai rocker in una grande varietà di impieghi che imponevano loro obblighi molto rigidi tanto su come dovevano presentarsi, Testi: Massimo Antonucci
  • 54. vestirsi e sul loro "comportamento generale", quanto sul loro tempo, i mod davano un'importanza altrettanto grande al fine settimana...Durante questi periodi di tempo libero (faticosamente prolungati, in alcuni casi, grazie alle anfetamine) c'era da fare un vero "lavoro": lucidare i motoscooter, comprare i dischi, far stirare, restringere o andare a riprendere i pantaloni alle lavanderie, lavare e asciugare i capelli... In questo nuovo stile di vita, che guarda alla cultura nera come potenziale elemento sovversivo dell'ordine dei valori costituito, si stabiliscono priorità diverse dalla norma: il lavoro è insignificante; vanità e arroganza sono qualità ammesse e desiderabili. Nel famoso articolo pubblicato su Time il 15 aprile del1966 "London: a swinging city", così Piri Halasz fotografa la scena londinese: “Questa primavera, a Londra, l'antica eleganza si intreccia alla nuova opulenza, in un'abbagliante miscela di op e di pop.” "Op" sta per optical, lo stile geometrico "ottico" che predilige il bianco e nero, o le marcature nette tra colore e colore, e che arriva ad imporsi, in quegli anni, nei vari ambiti del design, dall'abbigliamento all'architettura.
  • 55. "Pop", invece, sta per "popular", "popolare", una parola con la quale si vuole indicare la cultura popolare nel suo complesso e, quindi, i fumetti, la moda, la musica, l'arte. "Pop", così, non è tanto una particolare forma espressiva quanto uno stile di vita, un'idea del mondo: <<Noi vogliamo vestiti pop art, musica pop art e atteggiamenti pop art. Noi siamo pop art>>, aveva appena finito di dichiarare Pete Townshend, del gruppo degli Who. Di "pop" in Inghilterra s'inizia a parlare, però, ben prima del 1966. Nel collage Sono stata il giocattolo di un uomo ricco del 1947 di Eduardo Paolozzi, artista di origine italiana operante a Londra, la parola "POP" viene sputata fuori da una pistola puntata contro una pin-up sorridente. Nello stesso collage, in un angolo, compare la mitica bottiglia di Coca Cola con accanto lo slogan: "Servite la Coca Cola nell'intimità della casa!"; nell'angolo opposto, troviamo la figura di un aereo da guerra, con tanto di motto bellico "Fateli continuare a volare!". Testi: Massimo Antonucci
  • 56. Si può intuire, osservando il collage, la fascinazione di Paolozzi per le immagini dell'abbondanza, provenienti dagli Stati Uniti; ben comprensibile, d'altra parte, nel momento in cui l'Inghilterra soffre pesantemente delle conseguenze del conflitto mondiale. Che quella di Paolozzi, però, non sia solo una fascinazione effimera risulta presto evidente: l'artista formerà, insieme a pittori, architetti, musicisti e critici d'arte un formidabile laboratorio di sperimentazione, denominato "Indipendent Group", in cui verranno esplorate le potenzialità dei nuovi media e delle nuove tecnologie dell'immagine made in U.S.A. . Il lavoro dell' Indipendent Group trova piena espressione nella mostra del 1956, intitolata This is tomorrow, all'interno della quale si propone una diversa sensibilità spaziale, modi dell'abitare e del vivere più liberi e più creativi. Tra il 1947 e il 1956 le connotazioni legate alla parola "pop" cambiano radicalmente: nel collage di Paolozzi il termine "pop" evoca, associato allo sparo di una pistola,
  • 57. una qualche minaccia incombente; nella mostra dell'Indipendent Group, invece, sembra che la cultura di massa, la moltiplicazione industriale degli oggetti, costituisca, anziché un pericolo, una straordinaria opportunità. A questo proposito, riprendiamo un passo del saggio, già citato, La londra dei Beatles : Già nel '56 molte cose erano cambiate. La dura, ancorché ubertosa, America post-bellica ora transitava attraverso l' Europa, attraverso l'isola di Gran Bretagna, con ben altri prodotti, e altri umori: con Herthbreak Hotel di Elvis Presley, per esempio, che arrivò proprio quell'anno, e catturò, fra i tanti, il cuore sedicenne di John Lennon... E intorno al '56 anche l'Inghilterra aveva spostato la sua immagine dell'America. Aveva, potremmo dire, assorbito l'America, avendone fatto un proprio tema di lavoro. C'era quel gruppetto di intellettuali indipendenti, un pò sordi alla propaganda contro la massificazione, contro l'antiumanesimo che sarebbe implicito nell'idea di cultura di massa...C'erano le prime boutique di Mary Quant a Chelsea, di Vince a Carnaby Street. C'era già insomma chi si era immaginato che dalla moltiplicazione degli oggetti capaci di dar piacere giorno per giorno, ora per ora, potesse derivare non sottomissione e morte, nemmeno per gioco pubblicitario, ma libertà. L'utopia degli anni '60, l'utopia della liberazione pacifica attraverso i consumi, cominciava a prendere forma. Intorno alla metà degli anni'50, quindi, emerge in Inghilterra una cultura "pop" che crede nel potenziale liberatorio della cultura e della produzione di massa; una cultura che vede, nell'affermarsi della società di massa, un'opportunità per la realizzazione di una vita quotidiana più libera e di una società meno classista: Testi: Massimo Antonucci
  • 58. Si sognava una vita meno opprimente, una domesticità meno spoglia di comfort: spazi meglio attrezzati, più agio nei movimenti, nessuno che ti dica dove bere la Coca Cola, orari fluidi, gioco e lavoro fusi insieme. Un modo di vestire che comunicasse immediatamente una critica all'idea tradizionale di moda come privilegio di classe. La classe d'appartenenza, anzi, non interessa più nessuno, dato che il tipo di società che si vuole costruire è rigorosamente aclassista. <<Classless>> è una parola che si incontra a ogni piè sospinto, e nei settori più disparati... Certo, c'era un pizzico d'utopia nell'immaginare che lo sparo di una pistola potesse trasformarsi in maniera così indolore nello spontaneo scoppio di allegria di chi crede di star fabbricando il proprio futuro. <<Il domani è gia qui>>, dicono gli Indipendenti, ma la loro è tutta una storia anni '50, e comunque solo una faccia della medaglia. Perché linee, suoni, colori, forme di eleganza, continueranno ad avere un loro valore di status symbol, è evidente. Tuttavia gli abiti di Mary Quant, i dischi dei Beatles, il taglio dei capelli alla Vidal Sassoon, il progetto di Casa del Futuro elaborato dai due fratelli Smithson, architetti, il programma di Londra come <<città vivente>>...: tutto questo fervore di scoperta e di cambiamento, pur disseminato in tanti frammenti materiali - in parte realizzazioni compiute in parte progetti - se è segnale d'appartenenza, simbolo di stato, non lo è per la ricchezza materiale che vi è investita, ma per la potenzialità d'immagine che rimanda. Ciascuno di quei differenti <<oggetti>> non vale in sé, ma per lo stile di vita cui allude, per le situazioni che ingloba, e di cui è pegno. Per il sapere della vita che presuppone, per le informazioni che comunica.
  • 59. Ritorniamo per un attimo all'intervista a Pete Townshned degli Who del 1965, citata all'inizio della trasmissione; in questa intervista rilasciata al Melody Maker il musicista afferma: L'arte pop consiste nel ri-presentare qualcosa con cui il pubblico abbia già familiarità...Noi siamo per i vestiti pop-art, per la musica pop-art e il comportamento pop-art. Questo è quello che tutti sembrano dimenticare: noi non ci cambiamo, fuori dal palcoscenico. Noi viviamo pop-art. A giudizio di Paola Colaiacomo e Vittoria Caratozzolo le parole di Pete Townshend costituiscono una testimonianza del tipico fraintendimento di quegli anni: E' tutto in questa sorta di adamantina semplicità, di assolutezza, il fraintendimento, e proficuo fraintendimento, di Testi: Massimo Antonucci
  • 60. quegli anni: nell'utopia di poter schiacciare l'uno sull'altro i due piani dell'illusione e della realtà, fino a farli coincidere perfettamente, senza sfrangiature né sbavature. Musica, vestiti, comportamento: campi disparati, categorie non omogenee, vengono dunque dati per comunicanti, e capaci di influenzarsi l'uno con l'altro. Ma non è un semplice amore della confusione... ad autorizzare e incrementare questa interna traducibilità..: se tutto - musica, vestiti, pose, comportamenti - è ripresentazione del già visto e conosciuto, tutto è già per definizione grafismo, immagine. E' al livello dell'immagine, dunque, che quelle categorie disomogenee...si rapportano tra loro, e trovano il punto di comunicazione che non potrebbero avere in <<natura>>. Sempre e comunque su un'immagine verte ogni discorso, ogni analisi: il primo livello, ingenuo, è sempre già saltato. Allora, perché affannarsi a voler separare a tutti i costi il <<reale>> dalla <<posa>>? Una cultura che celebra la riproducibilità tecnica degli oggetti e delle immagini vive costantemente in una sorta di deja vu. Dal punto di vista degli artisti questo effetto è ricercato coscientemente - è il <<... ri-presentare qualcosa con cui il pubblico abbia già familiarità>> di cui parla Townshned - e porta, ad esempio, all'uso così frequente in quegli anni del collage, tecnica che consiste fondamentalmente nel montaggio di immagini preesistenti. A proposito della circolazione e della ri-presentazione delle immagini nella cultura pop, è significativa la testimonianza di Richard Smith: <<I mezzi di comunicazione rappresentano una parte considerevole del mio paesaggio>> scriverà Richard Smith nella Nota aggiuntiva al suo film Trailer . Dove quello che stupisce è l'uso di quella parola, <<landscape>>, da parte di
  • 61. un artista come lui, non interessato al dato naturale in quanto tale: così dice <<la frutta della bancarella del mercato è per me sempre già la frutta fotografata di un'immagine pubblicitaria>>. Si attua, così, una sorta di rovesciamento, dove è l'immagine riproducibile e riprodotta ad essere il dato su cui poggia la percezione del reale: Quando si guardano le cose nell'esperienza reale, sostiene Smith, si intromette inevitabilmente per l'occhio un elemento di disturbo - luce, solidità, riflessi - già solo per il fatto che quelle cose sono immerse nell'atmosfera, e reagiscono ad essa. Invece nella fotografia si ha a che fare con un'immagine depurata, dalla texture uniforme, perché sottratta ai cambiamenti di luce. Perciò, continua, anche i riferimenti a paesaggi che compaiono nei primi suoi dipinti, vanno intesi come passati attraverso il filtro di paesaggi fotografati. Il repertorio delle immagini cui l'artista fa riferimento per le sue creazioni non è, quindi, certamente quello della realtà così come è immediatamente percepibile, ma sempre quello delle immagini filtrate e riprodotte dalle nuove tecnologie. La possibilità che queste tecniche gli aprono di usare colori off register - <<il verde pallido insieme al giallo pallido, che produce un effetto di fresco, di "frescomenta">> - o di proiettare lettere e immagini anamorficamente... <<produce l'effetto di riportare in primo piano...il valore della superficie>>. La sperimentazione di Smith conoscerà importanti sviluppi in ambiti come la moda e la pubblicità: si pensi ai Testi: Massimo Antonucci
  • 62. colori acidi dei vestiti di Mary Quant, o dei cartelloni pubblicitari. Generalmente Mary Quant viene ricordata per l'invenzione della minigonna, anche se alcuni ridimensionano il suo ruolo in questa piccola rivoluzione del costume, affermando che l' unico merito che le va attribuito consiste nell'aver lanciato una moda che, però, di fatto era già in uso nelle strade di Londra. Nel saggioMass moda di Patrizia Calefato, ad esempio, si legge: Quando Mary Quant, dal suo atelier londinese di King's Road, ebbe nei primi anni'60 la geniale idea di lanciare su larga scala l'uso di una gonna corta diversi centimetri sopra il ginocchio, già da un pò di tempo le ragazze della Swinging London l'avevano spontaneamente inventata e la esibivano nella loro "moda di strada" quotidiana.
  • 63. Inizia, infatti, in questi anni una nuova fase del sistema-moda: finisce il dirigismo centralistico dell'Alta Moda e si procede verso una moda aperta e policentrica, dove gli input del cambiamento possono essere di varia provenienza. Si arriva spesso ad un vero e proprio capovolgimento, come nel caso appena citato della minigonna, quando coloro che dovrebbero essere il terminale delle proposte di moda si fanno protagoniste del cambiamento, lanciando nuove proposte di stile. La stessa Mary Quant, d'altra parte, mostra di essere consapevole dell'importanza del momento culturale negli sviluppi del proprio lavoro, quando nella sua autobiografia Quant by Quant scrive: Ci trovavamo all'inizio di un formidabile rinascimento della moda. E questo non accadeva per causa nostra. Semplicemente, come poi risultò, noi ne eravamo parte. Testi: Massimo Antonucci