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Capitolo 10
(da “Tecnologie autonome nella didattica. Verso la robotica educativa,
Morlacchi, Perugia, 2013)
Da un click esplorativo a un click riflessivo; verso
uno slow learning
Meirieu (Meirieu P., 2008) analizza il rapporto fra
televisione e bambini e il senso di onnipotenza che il
telecomando può dare. Alcune di queste analisi possono
essere riferite alla relazione che si instaura fra piccolo, ma
anche adolescente e adulto, e web.
L’autore parla di siderazione come incapacità di
distanziarsi dall’oggetto che si sta guardando; si resta
imbambolati a guardare, più che l’oggetto, il proprio
sguardo. Si vive una situazione fuori dal tempo, dentro la
quale si è trascinati. “Nella siderazione l’intenzionalità della
coscienza risulta completamente anestetizzata” (ivi, pag. 91).
Non è un concetto nuovo ed esiste in due forme; quella
controllata nella quale si ha la consapevolezza di entrare in
uno stato di siderazione come, ad esempio, in certi riti nei
quali è ben chiaro il momento di ingresso e così è
determinato e generato quello di uscita; poi esiste quella
subdola, continua, globale come, ad esempio, quella legata a
forme commerciali che si pongono l’obiettivo di “incollare
gli individui allo schermo più spesso e più a lungo possibile,
facendoli letteralmente imbambolare” (ivi, pag. 92).
Oggi la televisione vive in una proposta di siderazione
continua; essa lotta con lo zapping cercando di ‘tenere
incollato’ (quasi imbambolato, in uno stato di siderazione)
l’utente che sta guardando. Questo fenomeno è una
costante di qualunque prodotto televisivo e di qualunque
rete. Sembra di assistere a una lotta fra il telespettatore e
l’autore del programma che, quasi, è attento a inserire
nuove performance pur di non far cambiare canale. Tutto
ciò si sviluppa su due binari che si muovono su uno sfondo
unico di eccessi: quello dell’accelerazione delle immagini e
delle sequenze, per non annoiare, e quello delle
provocazioni, delle esagerate intemperanze che degenerano
in scontri verbali (tipici, ad esempio, dei talk shows), della
volgarità che si spinge verso la pornografia (magari senza
arrivarci), il tutto per creare un continuo dal quale il
telespettatore non si distacchi. “Così, la siderazione diventa
una modalità di funzionamento normale” (ibidem).
Il fenomeno della siderazione non sembra essere un
problema che esiste nella rete. In fondo la rete è libera, non
sembra che esista in qualche sua parte un regista che regoli
la produzione, sul video, di immagini, suoni, che proponga
dibattiti. Questo non è sempre vero. Cerchiamo di capire
perché.
Esistono diversi livelli: un primo livello è quello della
singola pagina che si riempie sempre più di gadget-finestre
che ammiccano a mondi invitanti verso i quali si entra e dai
quali si prosegue verso altri mondi: la siderazione diventa il
tunnel che fa perdere l’orientamento e anche la dimensione
del luogo e del tempo; velocemente ci ritroviamo,
attraverso questo vortice continuo che propone in
contiguità nuovi mondi, in un universo completamente
diverso da quello iniziale. È un processo ricorsivo, dove il
fenomeno di siderazione è dato dalla ricorsività dalla quale
non riusciamo a staccarci.
Esiste poi un livello più alto, quello legato
all’applicazione nella quale entriamo. Rivolgiamo, come
esempio, la nostra attenzione ai social network. In essi
oscilliamo fra l’essere autore e lettore; nel primo caso siamo
costruttori di effetti di siderazione quando cerchiamo in
tutti i modi di divenire un polo per il maggior numero di
utenti (fino al massimo consentito) e quindi postiamo
continuamente notizie, immagini e video, attiviamo
applicazioni e invitiamo nei loro ambienti nuovi utenti; nel
secondo caso quando entriamo nei percorsi coinvolgenti,
ma anche ripetitivi che ci fanno percorrere itinerari nei
quali siamo ‘schiavi’ del processo e quasi non ci
interessiamo del prodotto che visioniamo.
Inconsapevolmente anche l’autore entra in un ciclo che
lo fa rimbalzare da un post a una nuova applicazione, a
giocare con queste per divenire oggetto di curiosità. Il vero
scopo non è quello di rendere pubblico un ‘buon prodotto’
ma compulsivamente di esistere e questo vortice, spesso,
diviene il motivo essenziale del vivere nel social network. Ci
si isola dal mondo circostante e si entra in quello che gli
psicoanalisti “definiscono uno stato in cui il soggetto viene
come fagocitato da un buco nero e ‹‹sparisce nel proprio
godimento narcisistico››” (ivi, pag. 91).
La siderazione vive in un rapporto simbiotico con il
telecomando il cui uso, senza controllo, conduce a un
forma di regressione infantile guidata da una onnipotenza
anch’essa infantile. L’autore parla di telecomando e
televisione, in questo contesto sposteremo le analisi riferite
al rapporto con la televisione a quelle che fotografano il
rapporto con il web attraverso il mouse.
Meirieu (ivi, pag. 95), parla di quattro principi che,
combinati, portano alle forme di onnipotenza e regressione
infantili. Questi sono: il principio della miniaturizzazione
ludica, della connessione diretta del soggetto con il mondo, del
passaggio all’azione immediata, della sovrapposizione totale tra realtà
virtuale e realtà concreta.
Nel suo sviluppo il bambino passa per il periodo della
miniaturizzazione ludica: il mondo deve essere per lui a
portata di mano per poter interagire con esso, deve cioè
essere miniaturizzato; tuttavia questo processo deve avere
un limite che lo conduca alla consapevolezza che il mondo
non è solo quello formato dagli oggetti che può
manipolare, ma ha dimensioni diverse e, ancor di più,
presenta degli ostacoli ed è popolato da altre entità, oggetti
e persone, con i quali deve confrontarsi. “Di fatto, il
piccolo non può cominciare a crescere se non avvia con il
mondo un’interazione a sua misura” (ibidem). La
miniaturizzazione del mondo e la funzione limitata e quindi
di contrasto del giocattolo, rispetto a qualcosa che va oltre,
permettono al bambino di sviluppare questo processo di
progresso e di emancipazione. Il vero giocattolo “è
l’oggetto che si offre all’onnipotenza infantile e nel
contempo se ne sottrae, che si dà abbastanza per costruire
l’intenzionalità e resiste abbastanza per fare in modo che
tale intenzionalità riconosca progressivamente che il mondo
non si riduce a ciò che si può comandare” (ibidem). Meirieu
parla di oggetto miniaturizzato che rimanda alla
miniaturizzazione ludica riferendosi al telecomando. Oggi
gli oggetti tecnici di uso quotidiano più comune tendono a
rimpicciolirsi sempre più; tendono a stare sul palmo della
mano per essere adoperati dalla mano stessa. “È
esattamente la caratteristica della miniaturizzazione ludica,
per la quale il mondo viene ridotto a ciò che si può
manipolare” (ibidem). Il telecomando, quindi, oggetto
miniaturizzato, permette di comandare le cose senza alcun
limite, in base ai nostri capricci.
Nell’ambito della nostra analisi, il telecomando è
equiparato al mouse in un contesto di navigazione web.
Questo, oggetto miniaturizzato, elimina il passaggio dalla
finzione al reale, elimina il passaggio dal mondo di fantasia,
fatto a misura di bambino, al mondo reale fatto di altri e di
ostacoli a dimensione naturale. Attraverso l’uso del mouse
il bambino ottiene tutto e subito mentre l’adulto regredisce
nel mondo dell’infanzia, dove tutto è fatto a sua
dimensione e dove tutto può ottenere perché tutto può
manipolare. Il bambino che agisce con un mouse, passa da
un sito a un altro senza alcuna difficoltà, crede di poter
comandare e ottenere; “il giocattolo” (il web comandato dal
mouse) non presenta difficoltà.
Seguitando a gestire il mondo a comando, attraverso il
mouse1
, l’utente fortifica la propria sensazione di poter
ottenere quello che vuole, di poter selezionare il mondo che
preferisce; si adegua all’idea che ciò che vuole è possibile,
che il suo volere è possibile, in definitiva che la sua volontà
può essere comunque soddisfatta. Il mouse diventa un
oggetto trascurabile, che scompare; sembra quasi che basti
il guardare il collegamento per ottenerne la sua
realizzazione ed essere proiettati direttamente nel nuovo
mondo (principio della connessione diretta con il mondo).
Un diretta conseguenza del secondo principio è quello
del passaggio all’azione immediata. La sinergia fra
miniaturizzazione ludica e connessione diretta con il
mondo è in un processo a spirale che porta ed è sostanziato
dal passaggio all’azione immediata. È un tipico comportamento
infantile quello di essere in balìa di spinte a compiere
un’azione senza riflettere: passare subito all’azione. Il poter
passare da una pagina all’altra, da un sito ad un altro, da un
blog ad un altro, senza trovare ostacoli, senza costruire
riflessivamente questi passaggi, fortifica ed esalta il “tutto e
subito”. La gestione a finestre degli attuali sistemi operativi
1 Ricordiamo ancora che Meirieu parla di telecomando.
permette il passaggio immediato fra un’applicazione
all’altra; gli stessi browser danno la possibilità di avere
molteplici pagine aperte; spesso le applicazioni segnalano
gli aggiornamenti che avvengono in diretta; il potere
assoluto si realizza nel tenere sotto controllo il tutto, si
riesce a rispondere ‘in contemporanea’ a più post, si
gestiscono diversi ruoli in diversi giochi online. Sembra che
la vera soddisfazione sia quella di godere di tutto ciò
nell’istante; nulla sembra rimandato ad un
approfondimento, ad un piacere successivo che possa
derivare da una riflessione ‘ritardata’ rispetto all’azione
immediata.
Infine l’ultimo principio: la sovrapposizione totale tra realtà
virtuale e realtà concreta.
In una finestra dello schermo si visualizza un mondo
virtuale, in un’altra GoogleMaps, in altra delle pagine web;
si vive completamente nel virtuale, l’orizzonte è delineato
dai diversi ambienti nei quali si vive con diversi avatar. Il
mouse permette il passaggio veloce, istantaneo, da un
mondo all’altro, ma anche da questo mondo reale che
scompare sempre più, al mondo virtuale. L’utente è il
protagonista inconsapevole di questa continuo processo
che sottrae via via segmenti al mondo reale, ricostruendoli
sempre più in quello virtuale.
10.1. Slow learning
Ovviamente con il mouse si possono incontrare
situazioni simili a quella che abbiamo presentato, ma è
possibile evitare che si verifichino.
Se è vero che uno strumento può essere o non essere
utilizzato in modo corretto, è anche vero che occorre
analizzare il completo ventaglio delle sue possibilità d’uso,
individuare quelle che non esistono in altri precedenti
strumenti, verificare come il tessuto sociale si proietta su di
esse e anche la possibilità che emergano dei comportamenti
prevalenti. Se consideriamo come esempio il web, è
indubbio che fra le caratteristiche emergenti di questa
tecnologia ci sia la velocità di trasmissione delle
informazioni. Ciò comporta atteggiamenti che privilegiano
l’istantaneità, la modalità di una comunicazione reticolare
che ottimizzi anche la distribuzione delle stesse
informazioni (si pensi all’invio di una mail in risposta a più
utenti).
In tal caso si può intervenire, da un lato, privilegiando le
applicazioni che impongano e conducano ad un riflessione
slow, che distanzi i momenti dell’evento da quelli
dell’azione, in modo che questa sia piegata ad una
riflessione2
e, dall’altro, si può intervenire restituendo al
mouse un significato maggiormente collegato alla sua
natura di azione↔reazione. Con un click del mouse non si
apre necessariamente un mondo di cui rischiamo di restare
schiavi e non necessariamente entriamo in un vortice di
immediatezza stimolo↔risposta, ma possiamo, ad esempio,
verificare la correttezza delle nostre impostazioni
sull’artefatto che stiamo realizzando, possiamo aprire dei
momenti di lenta riflessione sulla nostra azione.
Non solo e sempre azione e reazione simultanea, non
sempre una veloce riflessione su un post di Twitter, di
Facebook o di un blog per poter essere il primo che
2 In rete esistono strumenti e modalità che permettono questa
interazione; si pensi a blog che non privilegino la fretta della
risposta, si pensi ai web forum che impongono momenti di
analisi e di riflessione; in entrambi i casi, è ovvio che deve essere
fatta a monte una scelta che adotti queste modalità.
risponde ad una sollecitazione, ma anche ponderata
meditazione che restituisca un intervento robusto, piuttosto
che uno veloce, più visibile, ma che rischia di affogare nella
più totale insipienza3
.
Un secondo, significativo aspetto riguarda la
consapevolezza del senso di evento.
Nell’indicare le proprietà di una buona narrazione,
Bruner (1992, pag. 60) fa riferimento a Kenneth Burke
(1845) quando afferma che una buona drammatizzazione
deve avere cinque unità: attore, azione, scopo, scena, strumento;
ciascuna con una propria funzione: la scena delinea
l’ambito in cui si svolge l’azione che un attore compie, con
un determinato strumento, per raggiungere un certo scopo.
Questa composizione di cinque unità può essere
utilizzata per definire un evento, qualora si aggiunga una
ulteriore funzione: risposta.
La gestione di un evento, sul versante delle tecnologie
informatiche, è assimilabile ad una scena di una narrazione:
un attore (l’utente) è davanti ad un monitor che ha diverse
icone (la scena), ciascuna ha un proprio modo di essere
attivata e ciascuna risponde secondo una peculiare
modalità; l’utente agisce (azione) sulla scena, in particolare
su un’icona, con il mouse (lo strumento) per ottenere un
determinato scopo; l’azione dell’utente provoca una
risposta da parte del sistema. In definitiva un evento è dato
dall’azione di un utente su di un oggetto (icona), a questa
azione corrisponde una risposta.
La risposta è un insieme di azioni, da parte del sistema,
che si sviluppano su un palcoscenico il cui ultimo risultato è
3 Spesso si finisce per privilegiare la visibilità legata alla posizione
del post, che non deve divenire irriconoscibile in un indistinto
mare, piuttosto che a quella riferita all’abilità dell’argomentare.
una variazione della scena e, da qui, si può procedere allo
stesso modo verso nuove ambientazioni. Questo insieme di
azioni è programmato dallo stesso utente, qualora sia anche
autore oltre ad essere lettore; ed è questa la modalità che si
propone, affinché si possa uscire dallo schema che prevede
una trama di azioni e risposte già precostituite e ci si possa
indirizzare, invece, verso la costruzione di un proprio
ordito. Un esempio di evento, conosciuto ai più, è un
collegamento ipertestuale: al click su un oggetto che
contiene un collegamento viene rintracciata e visualizzata
una nuova pagina sul monitor.
L’utente può essere preso nel vortice dei click del mouse
ed entra in una sorta di frenesia che lo rende dipendente
della retorica della partenza e dell'arrivo (Landow J. P.,
1995), oppure riflettere sulla trama della propria narrazione
che esplicita la sua interazione con il testo. Lo può fare, a
maggior ragione, se assume il profilo di autore che
organizza la propria tessitura di nodi e di collegamenti fra
questi. Abbiamo parlato in altri testi (Alessandri G., 2008) e
molti autori hanno scritto di una didattica ipertestuale e
sulla sua validità, in particolare, in riferimento alla
costruzione di ipertesti.
Della modalità e del significato di una buona interazione
con gli ambienti del web (il blog), abbiamo già discusso, ora
approfondiamo brevemente un ulteriore aspetto sul quale
torneremo diffusamente in seguito e che si pone come
nodo centrale del testo.
Abbiamo accennato in precedenza a due livelli di
utilizzo delle tecnologie informatiche. In questo contesto ci
riferiamo a quello di primo livello: l’utente, che in questo
caso è autore, costruisce delle applicazioni che possano
rappresentare delle narrazioni e/o delle simulazioni.
Internamente allo sviluppo di queste potranno essere
distribuiti degli eventi per dare la possibilità di interagire
con la scena che si sta realizzando. Diviene significativo, in
questo contesto, il procedimento per prove ed errori in una
dimensione di apprendimento 2 di Bateson4
: attraverso
opportune azioni è possibile provare l’applicazione stessa.
L’utente/autore deve impostare l’evento e lo deve testare:
un click che scatena l’evento impone il riflettere sull’insieme
di operazioni che rappresentano la risposta all’azione
dell’utente. Così facendo si riflette sul proprio operato e sul
proprio modo di sviluppare procedimenti: in definitiva si
riflette sul proprio modo di pensare.
Si esce definitivamente dall’ossessione del click esplorativo
e si entra in una dimensione di click riflessivo, in un ambito
complessivo di slow learning, nel quale ci sia una costante
giustapposizione fra azione e riflessione.
4 Si veda in proposito il capitolo 7.

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Da un click esplorativo a un click riflessivo - verso uno slow learning

  • 1. Capitolo 10 (da “Tecnologie autonome nella didattica. Verso la robotica educativa, Morlacchi, Perugia, 2013) Da un click esplorativo a un click riflessivo; verso uno slow learning Meirieu (Meirieu P., 2008) analizza il rapporto fra televisione e bambini e il senso di onnipotenza che il telecomando può dare. Alcune di queste analisi possono essere riferite alla relazione che si instaura fra piccolo, ma anche adolescente e adulto, e web. L’autore parla di siderazione come incapacità di distanziarsi dall’oggetto che si sta guardando; si resta imbambolati a guardare, più che l’oggetto, il proprio sguardo. Si vive una situazione fuori dal tempo, dentro la quale si è trascinati. “Nella siderazione l’intenzionalità della coscienza risulta completamente anestetizzata” (ivi, pag. 91). Non è un concetto nuovo ed esiste in due forme; quella controllata nella quale si ha la consapevolezza di entrare in uno stato di siderazione come, ad esempio, in certi riti nei quali è ben chiaro il momento di ingresso e così è determinato e generato quello di uscita; poi esiste quella subdola, continua, globale come, ad esempio, quella legata a forme commerciali che si pongono l’obiettivo di “incollare gli individui allo schermo più spesso e più a lungo possibile, facendoli letteralmente imbambolare” (ivi, pag. 92). Oggi la televisione vive in una proposta di siderazione continua; essa lotta con lo zapping cercando di ‘tenere incollato’ (quasi imbambolato, in uno stato di siderazione) l’utente che sta guardando. Questo fenomeno è una costante di qualunque prodotto televisivo e di qualunque
  • 2. rete. Sembra di assistere a una lotta fra il telespettatore e l’autore del programma che, quasi, è attento a inserire nuove performance pur di non far cambiare canale. Tutto ciò si sviluppa su due binari che si muovono su uno sfondo unico di eccessi: quello dell’accelerazione delle immagini e delle sequenze, per non annoiare, e quello delle provocazioni, delle esagerate intemperanze che degenerano in scontri verbali (tipici, ad esempio, dei talk shows), della volgarità che si spinge verso la pornografia (magari senza arrivarci), il tutto per creare un continuo dal quale il telespettatore non si distacchi. “Così, la siderazione diventa una modalità di funzionamento normale” (ibidem). Il fenomeno della siderazione non sembra essere un problema che esiste nella rete. In fondo la rete è libera, non sembra che esista in qualche sua parte un regista che regoli la produzione, sul video, di immagini, suoni, che proponga dibattiti. Questo non è sempre vero. Cerchiamo di capire perché. Esistono diversi livelli: un primo livello è quello della singola pagina che si riempie sempre più di gadget-finestre che ammiccano a mondi invitanti verso i quali si entra e dai quali si prosegue verso altri mondi: la siderazione diventa il tunnel che fa perdere l’orientamento e anche la dimensione del luogo e del tempo; velocemente ci ritroviamo, attraverso questo vortice continuo che propone in contiguità nuovi mondi, in un universo completamente diverso da quello iniziale. È un processo ricorsivo, dove il fenomeno di siderazione è dato dalla ricorsività dalla quale non riusciamo a staccarci. Esiste poi un livello più alto, quello legato all’applicazione nella quale entriamo. Rivolgiamo, come esempio, la nostra attenzione ai social network. In essi oscilliamo fra l’essere autore e lettore; nel primo caso siamo
  • 3. costruttori di effetti di siderazione quando cerchiamo in tutti i modi di divenire un polo per il maggior numero di utenti (fino al massimo consentito) e quindi postiamo continuamente notizie, immagini e video, attiviamo applicazioni e invitiamo nei loro ambienti nuovi utenti; nel secondo caso quando entriamo nei percorsi coinvolgenti, ma anche ripetitivi che ci fanno percorrere itinerari nei quali siamo ‘schiavi’ del processo e quasi non ci interessiamo del prodotto che visioniamo. Inconsapevolmente anche l’autore entra in un ciclo che lo fa rimbalzare da un post a una nuova applicazione, a giocare con queste per divenire oggetto di curiosità. Il vero scopo non è quello di rendere pubblico un ‘buon prodotto’ ma compulsivamente di esistere e questo vortice, spesso, diviene il motivo essenziale del vivere nel social network. Ci si isola dal mondo circostante e si entra in quello che gli psicoanalisti “definiscono uno stato in cui il soggetto viene come fagocitato da un buco nero e ‹‹sparisce nel proprio godimento narcisistico››” (ivi, pag. 91). La siderazione vive in un rapporto simbiotico con il telecomando il cui uso, senza controllo, conduce a un forma di regressione infantile guidata da una onnipotenza anch’essa infantile. L’autore parla di telecomando e televisione, in questo contesto sposteremo le analisi riferite al rapporto con la televisione a quelle che fotografano il rapporto con il web attraverso il mouse. Meirieu (ivi, pag. 95), parla di quattro principi che, combinati, portano alle forme di onnipotenza e regressione infantili. Questi sono: il principio della miniaturizzazione ludica, della connessione diretta del soggetto con il mondo, del passaggio all’azione immediata, della sovrapposizione totale tra realtà virtuale e realtà concreta.
  • 4. Nel suo sviluppo il bambino passa per il periodo della miniaturizzazione ludica: il mondo deve essere per lui a portata di mano per poter interagire con esso, deve cioè essere miniaturizzato; tuttavia questo processo deve avere un limite che lo conduca alla consapevolezza che il mondo non è solo quello formato dagli oggetti che può manipolare, ma ha dimensioni diverse e, ancor di più, presenta degli ostacoli ed è popolato da altre entità, oggetti e persone, con i quali deve confrontarsi. “Di fatto, il piccolo non può cominciare a crescere se non avvia con il mondo un’interazione a sua misura” (ibidem). La miniaturizzazione del mondo e la funzione limitata e quindi di contrasto del giocattolo, rispetto a qualcosa che va oltre, permettono al bambino di sviluppare questo processo di progresso e di emancipazione. Il vero giocattolo “è l’oggetto che si offre all’onnipotenza infantile e nel contempo se ne sottrae, che si dà abbastanza per costruire l’intenzionalità e resiste abbastanza per fare in modo che tale intenzionalità riconosca progressivamente che il mondo non si riduce a ciò che si può comandare” (ibidem). Meirieu parla di oggetto miniaturizzato che rimanda alla miniaturizzazione ludica riferendosi al telecomando. Oggi gli oggetti tecnici di uso quotidiano più comune tendono a rimpicciolirsi sempre più; tendono a stare sul palmo della mano per essere adoperati dalla mano stessa. “È esattamente la caratteristica della miniaturizzazione ludica, per la quale il mondo viene ridotto a ciò che si può manipolare” (ibidem). Il telecomando, quindi, oggetto miniaturizzato, permette di comandare le cose senza alcun limite, in base ai nostri capricci. Nell’ambito della nostra analisi, il telecomando è equiparato al mouse in un contesto di navigazione web. Questo, oggetto miniaturizzato, elimina il passaggio dalla
  • 5. finzione al reale, elimina il passaggio dal mondo di fantasia, fatto a misura di bambino, al mondo reale fatto di altri e di ostacoli a dimensione naturale. Attraverso l’uso del mouse il bambino ottiene tutto e subito mentre l’adulto regredisce nel mondo dell’infanzia, dove tutto è fatto a sua dimensione e dove tutto può ottenere perché tutto può manipolare. Il bambino che agisce con un mouse, passa da un sito a un altro senza alcuna difficoltà, crede di poter comandare e ottenere; “il giocattolo” (il web comandato dal mouse) non presenta difficoltà. Seguitando a gestire il mondo a comando, attraverso il mouse1 , l’utente fortifica la propria sensazione di poter ottenere quello che vuole, di poter selezionare il mondo che preferisce; si adegua all’idea che ciò che vuole è possibile, che il suo volere è possibile, in definitiva che la sua volontà può essere comunque soddisfatta. Il mouse diventa un oggetto trascurabile, che scompare; sembra quasi che basti il guardare il collegamento per ottenerne la sua realizzazione ed essere proiettati direttamente nel nuovo mondo (principio della connessione diretta con il mondo). Un diretta conseguenza del secondo principio è quello del passaggio all’azione immediata. La sinergia fra miniaturizzazione ludica e connessione diretta con il mondo è in un processo a spirale che porta ed è sostanziato dal passaggio all’azione immediata. È un tipico comportamento infantile quello di essere in balìa di spinte a compiere un’azione senza riflettere: passare subito all’azione. Il poter passare da una pagina all’altra, da un sito ad un altro, da un blog ad un altro, senza trovare ostacoli, senza costruire riflessivamente questi passaggi, fortifica ed esalta il “tutto e subito”. La gestione a finestre degli attuali sistemi operativi 1 Ricordiamo ancora che Meirieu parla di telecomando.
  • 6. permette il passaggio immediato fra un’applicazione all’altra; gli stessi browser danno la possibilità di avere molteplici pagine aperte; spesso le applicazioni segnalano gli aggiornamenti che avvengono in diretta; il potere assoluto si realizza nel tenere sotto controllo il tutto, si riesce a rispondere ‘in contemporanea’ a più post, si gestiscono diversi ruoli in diversi giochi online. Sembra che la vera soddisfazione sia quella di godere di tutto ciò nell’istante; nulla sembra rimandato ad un approfondimento, ad un piacere successivo che possa derivare da una riflessione ‘ritardata’ rispetto all’azione immediata. Infine l’ultimo principio: la sovrapposizione totale tra realtà virtuale e realtà concreta. In una finestra dello schermo si visualizza un mondo virtuale, in un’altra GoogleMaps, in altra delle pagine web; si vive completamente nel virtuale, l’orizzonte è delineato dai diversi ambienti nei quali si vive con diversi avatar. Il mouse permette il passaggio veloce, istantaneo, da un mondo all’altro, ma anche da questo mondo reale che scompare sempre più, al mondo virtuale. L’utente è il protagonista inconsapevole di questa continuo processo che sottrae via via segmenti al mondo reale, ricostruendoli sempre più in quello virtuale. 10.1. Slow learning Ovviamente con il mouse si possono incontrare situazioni simili a quella che abbiamo presentato, ma è possibile evitare che si verifichino. Se è vero che uno strumento può essere o non essere utilizzato in modo corretto, è anche vero che occorre
  • 7. analizzare il completo ventaglio delle sue possibilità d’uso, individuare quelle che non esistono in altri precedenti strumenti, verificare come il tessuto sociale si proietta su di esse e anche la possibilità che emergano dei comportamenti prevalenti. Se consideriamo come esempio il web, è indubbio che fra le caratteristiche emergenti di questa tecnologia ci sia la velocità di trasmissione delle informazioni. Ciò comporta atteggiamenti che privilegiano l’istantaneità, la modalità di una comunicazione reticolare che ottimizzi anche la distribuzione delle stesse informazioni (si pensi all’invio di una mail in risposta a più utenti). In tal caso si può intervenire, da un lato, privilegiando le applicazioni che impongano e conducano ad un riflessione slow, che distanzi i momenti dell’evento da quelli dell’azione, in modo che questa sia piegata ad una riflessione2 e, dall’altro, si può intervenire restituendo al mouse un significato maggiormente collegato alla sua natura di azione↔reazione. Con un click del mouse non si apre necessariamente un mondo di cui rischiamo di restare schiavi e non necessariamente entriamo in un vortice di immediatezza stimolo↔risposta, ma possiamo, ad esempio, verificare la correttezza delle nostre impostazioni sull’artefatto che stiamo realizzando, possiamo aprire dei momenti di lenta riflessione sulla nostra azione. Non solo e sempre azione e reazione simultanea, non sempre una veloce riflessione su un post di Twitter, di Facebook o di un blog per poter essere il primo che 2 In rete esistono strumenti e modalità che permettono questa interazione; si pensi a blog che non privilegino la fretta della risposta, si pensi ai web forum che impongono momenti di analisi e di riflessione; in entrambi i casi, è ovvio che deve essere fatta a monte una scelta che adotti queste modalità.
  • 8. risponde ad una sollecitazione, ma anche ponderata meditazione che restituisca un intervento robusto, piuttosto che uno veloce, più visibile, ma che rischia di affogare nella più totale insipienza3 . Un secondo, significativo aspetto riguarda la consapevolezza del senso di evento. Nell’indicare le proprietà di una buona narrazione, Bruner (1992, pag. 60) fa riferimento a Kenneth Burke (1845) quando afferma che una buona drammatizzazione deve avere cinque unità: attore, azione, scopo, scena, strumento; ciascuna con una propria funzione: la scena delinea l’ambito in cui si svolge l’azione che un attore compie, con un determinato strumento, per raggiungere un certo scopo. Questa composizione di cinque unità può essere utilizzata per definire un evento, qualora si aggiunga una ulteriore funzione: risposta. La gestione di un evento, sul versante delle tecnologie informatiche, è assimilabile ad una scena di una narrazione: un attore (l’utente) è davanti ad un monitor che ha diverse icone (la scena), ciascuna ha un proprio modo di essere attivata e ciascuna risponde secondo una peculiare modalità; l’utente agisce (azione) sulla scena, in particolare su un’icona, con il mouse (lo strumento) per ottenere un determinato scopo; l’azione dell’utente provoca una risposta da parte del sistema. In definitiva un evento è dato dall’azione di un utente su di un oggetto (icona), a questa azione corrisponde una risposta. La risposta è un insieme di azioni, da parte del sistema, che si sviluppano su un palcoscenico il cui ultimo risultato è 3 Spesso si finisce per privilegiare la visibilità legata alla posizione del post, che non deve divenire irriconoscibile in un indistinto mare, piuttosto che a quella riferita all’abilità dell’argomentare.
  • 9. una variazione della scena e, da qui, si può procedere allo stesso modo verso nuove ambientazioni. Questo insieme di azioni è programmato dallo stesso utente, qualora sia anche autore oltre ad essere lettore; ed è questa la modalità che si propone, affinché si possa uscire dallo schema che prevede una trama di azioni e risposte già precostituite e ci si possa indirizzare, invece, verso la costruzione di un proprio ordito. Un esempio di evento, conosciuto ai più, è un collegamento ipertestuale: al click su un oggetto che contiene un collegamento viene rintracciata e visualizzata una nuova pagina sul monitor. L’utente può essere preso nel vortice dei click del mouse ed entra in una sorta di frenesia che lo rende dipendente della retorica della partenza e dell'arrivo (Landow J. P., 1995), oppure riflettere sulla trama della propria narrazione che esplicita la sua interazione con il testo. Lo può fare, a maggior ragione, se assume il profilo di autore che organizza la propria tessitura di nodi e di collegamenti fra questi. Abbiamo parlato in altri testi (Alessandri G., 2008) e molti autori hanno scritto di una didattica ipertestuale e sulla sua validità, in particolare, in riferimento alla costruzione di ipertesti. Della modalità e del significato di una buona interazione con gli ambienti del web (il blog), abbiamo già discusso, ora approfondiamo brevemente un ulteriore aspetto sul quale torneremo diffusamente in seguito e che si pone come nodo centrale del testo. Abbiamo accennato in precedenza a due livelli di utilizzo delle tecnologie informatiche. In questo contesto ci riferiamo a quello di primo livello: l’utente, che in questo caso è autore, costruisce delle applicazioni che possano rappresentare delle narrazioni e/o delle simulazioni. Internamente allo sviluppo di queste potranno essere
  • 10. distribuiti degli eventi per dare la possibilità di interagire con la scena che si sta realizzando. Diviene significativo, in questo contesto, il procedimento per prove ed errori in una dimensione di apprendimento 2 di Bateson4 : attraverso opportune azioni è possibile provare l’applicazione stessa. L’utente/autore deve impostare l’evento e lo deve testare: un click che scatena l’evento impone il riflettere sull’insieme di operazioni che rappresentano la risposta all’azione dell’utente. Così facendo si riflette sul proprio operato e sul proprio modo di sviluppare procedimenti: in definitiva si riflette sul proprio modo di pensare. Si esce definitivamente dall’ossessione del click esplorativo e si entra in una dimensione di click riflessivo, in un ambito complessivo di slow learning, nel quale ci sia una costante giustapposizione fra azione e riflessione. 4 Si veda in proposito il capitolo 7.