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Manuale minimo di economia politica dell’immaginario
Contributo a una critica dell’economia politica

di Pasquale Stanziale




1- Note di viaggio
  Indicazioni di percorso


2- Slittamenti progressivi del desiderio
  Il desiderio da Hegel a Lacan passando per Platone e Kojève


3- Lo spettacolo e la coscienza del re
  La società dello spettacolo nell’economia dell’Immaginario


4- Scenari immaginari
  Dallo statuto dell’Immaginario alla fiction economy


5- Fantasmagorie dell’oscuro oggetto
  I Registri del soggetto, l’economia e la merce


6- Affetti collaterali
  Soggetti e consumatori nell’epoca del biocapitalismo




                                                        1
ISBN 978-88-906569-0-3

           Questo volume è soggetto a copyleft.
Tutti possono utilizzarlo e diffonderlo, per intero o in parte,
           gratuitamente e senza scopo di lucro.

                              2
1 Note di viaggio
1.1
Le note che seguono sono la continuazione di nostre precedenti ricerche (P.Stanziale 1998) attraverso cui
individuammo nell’economia politica dell’immaginario un ambito critico di grande rilevanza filosofica e politica
pertinente ad un contesto culturale che vede coinvolte la filosofia, l’economia politica, l’estetica come economia
(F. Carmagnola 2006) e la psicoanalisi di massa .
Partimmo da un bilancio critico del concetto debordiano di società dello spettacolo (G. Debord 2002)
richiamandone il background artistico-filosofico, esaminandone il ruolo filosofico e politico e verificandone, nel
quadro dello sviluppo capitalistico, la validità delle intuizioni e delle profezie, ma anche evidenziandone i limiti
(P. Stanziale 2008 2009)
In questo percorso riscontrammo che le narrazioni situazioniste risultavano attuali e inattuali malgrado i
molteplici tentativi liquidatori e le strumentali rimozioni poste in atto negli ultimi decenni. Le teorizzazioni
situazioniste presentavano consapevolezze e spunti critici connessi strategicamente con una critica
dell’economia politica di cui l’economia dell’immaginario è visibilmente un fondamento funzionale.

1.2
Ci è sembrato quindi utile cercare di strutturare un approccio/itinerario relativo a quest’area dell’economia
dell’immaginario anche per ciò che riguarda i suoi risvolti propriamente economici e politici. Ciò come
complemento a quella critica dell’immaginario dell’economia (A. Marino 2008 2009 2010), con i suoi miti, le
sue contraddizioni e le sue realtà devastanti.

1.3
Punto di partenza non può non essere il desiderio umano con le sue caratterizzazioni, le sue dinamiche, con la
serie delle sue concettualizzazioni da cui abbiamo estrapolato un segmento che ci è sembrato particolarmente
funzionale al contesto delle nostre note.
Abbiamo quindi riconsiderato la debordiana società dello spettacolo come successiva tappa imprescindibile nella
prospettiva di un’economia politica dell’immaginario.
La parte centrale di questo lavoro cerca di focalizzare una specie di modello interpretativo dei rapporti tra
l’economia dell’immaginario e l’Ordine simbolico o Grande Altro attraverso le teorie di J. Lacan e S. Žižek.
L’ultima parte esamina in modo sintomale i risvolti economici, politici e sociali dell’economia dell’immaginario
in relazione ad alcune tendenze del capitalismo contemporaneo, prendendo in carico la dimensione mediale ed
alcuni aspetti delle strategie connesse con quella che F. Carmagnola (2006) chiama fiction economy.



2 Slittamenti progressivi del desiderio




2.1
Il termine desiderio corrisponde al latino cupiditas e al greco έπιθυμία relativi al significato
generale di appetizione, ovvero il principio che muove l’uomo all’azione, ma anche, in una
seconda accezione, l’appetizione di ciò che è piacevole.


                                                         3
Ma desiderio è anche riferibile al latino antico de-siderare, ciò che implica uno sguardo
intenso verso qualcosa di lontano e attraente.
In Aristotele abbiamo il desiderio come órexis che richiama il tendersi, lo sporgersi.
Agostino intende il desiderio come amor, qualcosa da cui non si può sfuggire essendo proprio
dell’essere umano.
In Spinoza il desiderio è connesso, nell’Etica, alla tristezza relativa alla mancanza della cosa
che amiamo. Spinoza inoltre definisce il desiderio come essenza dell'uomo e quindi come
fondamento dell'antropologia: il desiderio è la proiezione dell'individuo verso gli oggetti, e
non la «mancanza» dell'oggetto (E. Balibar 1988:102).
Riscontriamo già in questa sintesi una serie di definizioni del desiderio abbastanza
significative nella loro pluralità e nelle loro convergenze: spunti teorici che troveremo,
variamente articolati, nelle teorie di cui ci occuperemo.

2.2
È nella lettura della Fenomenologia dello Spirito di Hegel operata da A. Kojève negli anni ’30
a Parigi che troviamo quelle caratterizzazioni del concetto di desiderio che saranno variamente
sviluppate nella filosofia francese (e non solo) successivamente e che faranno parlare, non
senza qualche polemica, di temperie hegejeviana (S. Benvenuto 2006). Per quanto ci riguarda
riteniamo che l’Introduzione alla lettura di Hegel di A. Kojève (1996) rappresenti, per il
quadro che intendiamo delineare, un inevitabile e produttivo punto di partenza. In questa
Introduzione troviamo una dialettica del desiderio risultante dalla Fenomenologia dello
Spirito letta e commentata come un’antropologia filosofica. Troviamo in Hegel che il
desiderio è proprio dell’autocoscienza che come tale si desidera negli oggetti dei quali deve
«sperimentare dolorosamente la loro ‘indipendenza’ dato che può soddisfare il proprio
desiderio solo attraverso la loro mediazione» (G.W.F. Hegel ed. 1973:189). Proseguendo su
questo percorso Kojève sottolinea il fatto che il desiderio umano – antropogeno- è
fondamentalmente desiderio di riconoscimento.

     «esso [desiderio umano] differisce dunque dal Desiderio animale .... per il fatto che si dirige non
     verso un oggetto reale, “positivo”, dato, ma verso un altro Desiderio. Così, per esempio, nel
     rapporto tra l'uomo e la donna, il Desiderio è umano unicamente se l'uno non desidera il corpo
     bensì il desiderio dell'altro, se vuole “possedere” - o “assimilare” il Desiderio assunto come tale,
     se cioè vuole essere “desiderato”, “amato” o, meglio ancora, “riconosciuto” nel suo valore umano,
     nella sua realtà di individuo umano. Parimenti, il Desiderio che si dirige verso un oggetto naturale
     è umano soltanto nella misura in cui e “mediato” dal Desiderio di un altro che si dirige sullo
     stesso oggetto: è umano desiderare ciò che gli altri desiderano, perché lo desiderano. Cosi, un
     oggetto perfettamente inutile dal punto di vista biologico (come una decorazione o il vessillo dei
     nemico) può essere desiderato perché è oggetto di altri desideri. Un tale Desiderio non può che
     essere un Desiderio umano, e la realtà umana come realtà diversa da quella animale si crea solo
     mediante l'azione che soddisfa tali Desideri: la storia umana è la storia dei desideri desiderati»
     (A. Kojève 1996:20) (corsivi miei).

E quindi in questa dialettica del desiderio troviamo che
     «All'opposto della conoscenza, che mantiene l'uomo in una quiete passiva, il desiderio lo tiene in-
     quieto e lo spinge all'azione. Essendo nata dal Desiderio, l'azione tende a soddisfarlo, e può farlo solo
     mediante la “ negazione “, la distruzione o, per lo meno, la trasformazione dell'oggetto desiderato:
     per soddisfare la fame, ad esempio, occorre distruggere o, in ogni caso, trasformare il nutrimento.
     Pertanto, ogni azione è “negatrice”. Lungi dal lasciare il dato così com'è, l'azione lo distrugge; se non
     nel suo essere, almeno nella sua forma data. E, in rapporto al dato, ogni “negatività-negatrice” è
     necessariamente attiva. Ma l'azione negatrice non è puramente distruttiva. Infatti, se l'azione che
     nasce dal Desiderio, per soddisfarlo, distrugge una realtà oggettiva, al suo posto essa crea, in e
     mediante questa stessa distruzione, una realtà soggettiva. [...] In generale, l'Io del Desiderio è un
     vuoto che riceve un contenuto positivo reale solo dall'azione negatrice che soddisfa il Desiderio,
     distruggendo, trasformando e “assimilando” il non-Io desiderato. Il contenuto positivo dell'Io,


                                                        4
costituito dalla negazione, è una funzione del contenuto positivo del non-Io negato» (A. Kojève
     1996:18) (corsivi miei).

Judith Butler poi, così scrive del rapporto tra tempo e desiderio nella lettura kojèviana di
Hegel:

     «Il desiderio è un nulla che è essenzialmente temporalizzato: un “nulla rivelato” o un “vuoto irreale”
     che vuole essere riempito e che, attraverso tale desiderio, crea un futuro temporale. Con “tempo”,
     Kojève intende il tempo vissuto, l'esperienza del tempo condizionato dal modo con cui gli agenti
     creano, attraverso le loro speranze, paure e memorie, un'esperienza specifica del futuro, del presente
     e del passato. L'esperienza del desiderio, in particolare, fa emergere l'avvenire (futurity) «il moto
     generato dall'Avvenire è il moto generato dal desiderio» (A. Kojève 1996:457).
     In linea con il suo rifiuto dell'”essere naturale” considerato irrilevante per la coscienza umana,
     Kojève abbandona il tempo naturale a favore di una temporalità umana essenzialmente strutturata
     dal desiderio e dalla tensione al suo soddisfacimento. Il desiderio insoddisfatto è un'assenza che
     circoscrive il tipo di presenza per mezzo della quale esso potrebbe abbandonare se stesso in quanto
     assenza. Nella misura in cui il desiderio postula se stesso come vacuità determinata, ossia come
     vuoto di un qualche specifico oggetto o Altro, è esso stesso una sorta di presenza; esso è “la presenza
     di un'assenza”; in effetti, tale assenza “sa” ciò che manca. Si tratta di quel sapere tacito che è
     1'anticipazione. L'anticipazione della soddisfazione da origine all'esperienza concreta dell'avvenire.
     Il desiderio rivela, quindi, l'essenziale temporalità degli esseri umani» (J. Butler 2009:80).

Kojève poi, attraverso una serie di torsioni dei concetti hegeliani, visti in chiave
antropologico-heideggeriana, struttura un nucleo teorico che troverà vari sviluppi e
articolazioni nella filosofia francese del ‘900, particolarmente in Bataille che riterrà la vera
lezione di Kojève consistente nel fatto che «l’uomo diviene sempre “altro”. L’ animale che
differisce di continuo da se stesso [...] il desiderio come perenne desiderio di altra cosa». (G.
Bataille 1988 in M. Borch-Jacobsen 1999:93).
In Kojève il desiderio, infine, è ciò crea il soggetto attraverso le sue istanze, il desiderio non
viene dopo il soggetto ma lo precede determinando le modalità dell’essere del soggetto
stesso. Vale a dire che il desiderio è intenzionale ed è in tale campo che prende forma
l’identità del soggetto. L’intenzionalità del desiderio- come intenzionalità della coscienza
(riferimento d’obbligo e F. Brentano 1874 ed. 2009)- muove sempre in un confronto con la
realtà sociale. In questo confronto emerge un soggetto che, come rileva J. Butler 2009:75),
non è ciò che è ma diviene ciò che non è, anticipando la concezione sartriana dell’in sé e del
per sé.

 2.3
Jacques Lacan, facendo propria la lezione kojèviana fa del desiderio uno dei fondamenti
della sua teoria psicoanalitica (e della relativa clinica). Sinteticamente ne indichiamo qui di
seguito alcuni punti (J. Lacan 1958-59 1974 1978 1982) ripresi con una certa continuità da
vari studiosi di quest’area.

2.3.a- Nel percorso della coscienza infelice troviamo anzitutto la originaria mancanza-a-
essere del soggetto che trova nel complemento materno la soddisfazione del suo bisogno
primario.

     2.3.a.a «..il desiderio è una mancanza generata dal tempo precedente che serve a rispondere alla
     mancanza suscitata dal tempo conseguente ..» (J. Lacan 1979:122) (corsivi miei).

2.3.b- Al successivo stadio pulsionale è connesso il vettore del desiderio orientato verso
oggetti e sostituti.
2.3.c- Il desiderio quindi si produce nell’al-di-là e nell’al-di-qua della domanda che lo anima
dispiegandosi nel luogo dell’Altro (Ordine simbolico). Esso non è riducibile, come tensione
continua, all’automatismo dei bisogni.
                                                       5
2.3.d- Il desiderio è dell’Altro: non siamo noi il soggetto che desidera, ma è l’Altro a
desiderare, e questo Altro è l’inconscio con le sue strategie.

     2.3.d-a «Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro, in cui dell è la determinazione che i
     grammatici chiamano soggettiva, ciò che egli desidera in quanto Altro (e che costituisce la vera
     portata della passione umana). Ecco perché la questione dell’Altro, che ritorna al soggetto dal
     posto dove questi ne attende un oracolo, nella formazione di un Che vuoi? è quella che meglio lo
     conduce alla strada del proprio desiderio» (J. Lacan 1979:135).

Ma il desiderio umano è anche, come abbiamo visto (vedi punto 2.2), desiderio del desiderio
dell’altro nel senso che vuole essere ciò che all’altro manca, la causa del suo desiderio. Il
desiderio sembra, così, preso in una specie di doppio vincolo batesoniano, abbiamo cioè, da
una parte, il soggetto con l’Altro che desidera per lui e, dall’altra, il soggetto in rapporto con
l’altro del «Cosa vogliono gli altri da me? Cosa vedono in me? Cosa sono io per quegli
altri?» (S. Žižek 2009:98), ovvero quell’area che R. Girard (1965 1999) definisce del
desiderio mimetico.
2.3.e- Il desiderio è una metonimia.
2.3.f- Il desiderio è la metonimia della mancanza-a-essere.
2.3.g- Il desiderio è pertinente al fantasma secondo l’algoritmo S/ <> a (‘S/’ indica il
soggetto barrato, il punzone ‘<>’ è il desiderio, ‘a’ è l’oggetto del desiderio detto anche
‘oggetto piccolo a’- il punzone si legge ‘desiderio di’ e si legge in entrambi i sensi).

   Il fantasma per Lacan è ciò che tiene per il soggetto il posto del reale (J. Lacan 1974), esso è il
   motore della realtà psichica e il desiderio stesso è supportato dal fantasma di cui una parte è
   nell’Altro (Ordine simbolico). Il fantasma lacaniano è irriducibile all’immaginazione ma ne
   costituisce un effetto, esso è una immagine posta in funzione nella struttura significante e marca con
   la sua presenza la risposta del soggetto alla domanda.

2.3.h- Il desiderio si avvita in una dinamica senza fine sul bordo di un vuoto che è propulsore
e costitutivo del soggetto.
2.3.i- Il desiderio, in relazione all’oggetto, è preso in una dialettica della negazione (vedi
anche punto 2.2), ovvero

     «nel quadro della teoria lacaniana il desiderio non può avere in realtà alcun oggetto, pena non
     essere più ciò che è: la negatività pura e semplice di un soggetto che si desidera nei suoi oggetti
     (Hegel) e che può farlo solo negandosi di continuo in essi, negandoli via via come ciò che egli non
     è -un “oggetto dato” (Kojève), una cosa “in-sé” (Sartre). È dunque escluso che il soggetto-
     desiderio abbia la benché minima relazione con un oggetto (la famosa “relazione d'oggetto” dei
     post-freudiani (Sem. IV, sedute del 21 e 28 novembre 1956), poiché l'oggetto, lungi dall'essere ciò
     con cui entra in un rapporto di complementarità o di armonia, è invece ciò che egli stesso è “non
     essendo!” In tal senso, l'oggetto è sempre un “fallito”» (J. Lacan 1983:58 in M. Borch-Jacobsen
     1999:242).

2.3.l- Il desiderio umano è pur sempre teso alla ricerca di senso e tende a congiungere natura
e cultura avendo quello sfondo di ambiguità con la latenza inquietante del perturbante
freudiano (F. Ciaramelli 1994) ovvero l’unheimliche, il nucleo di ciò che coniuga in maniera
inquietante lo spaventoso e il familiare.

2.3.m- Il desiderio non si appaga come il bisogno, di un oggetto, ma si radica
nell’immaginario del soggetto (J. M. Palmier 1972).

2.3.n- Rispetto al desiderio la posizione di G. Deleuze si colloca criticamente all’incrocio di
due direttrici, da una parte Deleuze insiste sull’errore di far derivare il desiderio dalla
mancanza, da un’altra parte pone in evidenza la natura sovraindividuale del desiderio nel
senso che il soggetto desiderante è sempre preso in un campo di desideri, all’interno di un
                                                       6
flusso collettivo di desideri. Deleuze pone sotto accusa quell’area filosofico-psicoanalitica
che tratta del desiderio partendo dalla mancanza ritenendo che in tal modo non si tiene conto
della autentica natura del desiderio il quale si colloca nella dimensione dell’eccesso
divenendo una forza produttiva e creativa.

     «Ci si obietta che sottraendo il desiderio alla mancanza e alla legge, non si potrà ottenere altro che
     uno stato di natura, un desiderio realizzato naturalmente e spontaneamente. Noi diciamo
     esattamente il contrario: non esiste desiderio se non all’interno del costruire o dell’operare. Non si
     può afferrare o concepire un desiderio al di fuori di una determinata costruzione, su di un piano
     che non sia preesistente, ma che deve esso stesso essere costruito. Che ciascuno, gruppo o
     individuo, costruisca il piano immanente dove condurre la sua vita ed i suoi progetti è la sola cosa
     che conta. Al di fuori di queste condizioni, viene infatti a mancare qualcosa, ma si tratta
     precisamente delle condizioni che rendono il desiderio possibile» (G. Deleuze 1996:59).

Ma il desiderio, per Deleuze, in ogni caso cambia, esso è soggetto storicamente al mutamento
e tende a strutturarsi sempre come combinazione, concatenazione di desiderio.

     «Finora si è parlato di desiderio astrattamente perché si è isolato un oggetto che si suppone essere
     l’oggetto del desiderio, e allora si può dire ‘desidero una donna, desidero partire per un viaggio…’
     E noi dicevamo [Deleuze e Guattari] una cosa semplice: non si desidera mai veramente qualcuno o
     qualcosa. Si desidera sempre un ‘insieme’.[…] Quando una donna dice ‘desidero un vestito’ è
     evidente che non lo desidera in astratto. Lo desidera nel suo contesto, nella sua organizzazione di
     vita. Il desiderio è non solo in relazione a un paesaggio, ma a delle persone, i suoi amici, la sua
     professione. Non si desidera mai qualcosa di isolato. Ma ancora, non desidero neanche un insieme,
     desidero in un insieme. In altri termini non c’è desiderio che non scorra in un concatenamento.
     […] Desiderare è costruire un concatenamento, costruire un insieme. L’insieme di una gonna, di
     un raggio di sole…di una strada, il concatenamento di un paesaggio, di un colore. Ecco cos’è il
     desiderio. E costruire un concatenamento significa costruire una regione. Concatenare. Il
     concatenamento è un fenomeno fisico, è come una differenza. Perché accada qualsiasi evento c’è
     bisogno di una differenza di potenziale e ci vogliono due livelli, bisogna essere in due, allora
     accade qualcosa. Un lampo o un ruscelletto e siamo nel dominio del desiderio. Un desiderio è
     costruire. Tutti passiamo il nostro tempo a costruire. Per me quando qualcuno dice ‘desidero la tal
     cosa’ significa che sta costruendo un concatenamento. Il desiderio non è nient’altro» (G. Deleuze
     1996b:111).

2.4
Questa sommaria perimetrazione del desiderio umano, nella sua dialettica, nella sua
ambiguità di fondo, nel suo rapporto con l’oggetto, il fatto che l’oggetto è desiderato per la
sua soggettivazione, che è sempre fallito, che andrebbe a collocarsi nel luogo della
mancanza dell’altro: tutto ciò già indica che il desiderio umano produce e può essere
prodotto. A questo punto è già possibile affermare che il desiderio, alla luce delle teorie
marginaliste- e attraverso il concetto di economia libidinale di Lyotard (1978) (vedi punto
5.6.3)- si inquadra come partecipe del movimento economico, dato che il desiderio è nello
stesso tempo una componente del circuito economico e un drive per l’Immaginario.
Conseguenza di ciò è la soggettivizzazione del valore a misura di desiderio: ciò che comporta
la valorizzazione economica degli aspetti immateriali, immaginari, simbolici. (F. Carmagnola
2006).



2.5
Vogliamo occuparci in questa parte di quanto scrive Carmagnola (2006:119) nel paragrafo
“Le irrisolvibili ambiguità del desiderio” in cui vengono individuati in modo articolato
aspetti del desiderio che riteniamo particolarmente significativi.



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2.5.a- L’economia dei beni simbolici o dell' immaginario è da intendersi certamente come
economia del desiderio.
2.5.b- Il divenire economico del desiderio come desiderio “dell’altro” presenta una serie di
scansioni:
- “desiderio di essere desiderato” (dall’altro);
- “desiderio di essere come l’altro”;
- “desiderio infinito di altro... che nessun oggetto è in grado di colmare”;
- relativo al desiderio feticista abbiamo il desiderio ricorsivo, “desiderio come desiderio di
desiderio” (corsivi miei).
Carmagnola ) così riassume questa sua linea teorica:

     «L’economia del desiderio oggi è la piena integrazione della pulsione al circuito allargato della
     valorizzazione. Essa pare raggiungere, al suo estremo, un risultato paradossale: suscita e
     incrementa il desiderio, in modo tale che la sua stessa vuotezza finisce per devitalizzarlo,
     trasformandolo in nulla» (F. Carmagnola 2006:124).

E aggiunge che

     «quando il desiderio diventa desiderio di nulla finisce per uccidere se stesso nella noia e
     nell’angoscia della pura coazione. Più che desiderare il nulla, il vuoto simbolico della brand, si
     finisce a non desiderare più nulla. Il carattere ricorsivo e vuoto del desiderio diventa
     comportamento nichilistico» (F. Carmagnola 2006:126).

Carmagnola a questo punto evidenzia schematicamente quattro possibilità:

- (1- Presenza) l’oggetto del desiderio è « trascendente e oscuro.. è promessa di felicità»;
- (2- Assenza) il desiderio si avvita «nella ripetizione vuota e autoreferenziale»;
- (3- Eccedenza) il desiderio diviene «pulsione antropologica all’eccesso» (i riferimenti sono
Bataille e Sade);
- (4- Funzionalità) il desiderio «è tutto interno al circuito economico, il suo oggetto è
immanente al mercato» (il riferimento è S. Kinsella – 2008- della serie I love shopping) (F.
Carmagnola 2006:127).

Sull’asse 2 – 4 Carmagnola (2006:127) individua il «terreno di espansione del nichilismo» e
sull’asse 1 – 2 «il terreno dell’utopia».

     2.5.c- - Il nichilismo come tragico sfondo culturale, esito del disincanto del mondo, si
     staglia sullo sfondo di un disagio che si è accentuato in questi ultimi anni contribuendo a far
     emergere le contraddizioni del sistema globale con le sue paure calcolate e le sue felicità
     fantasmatiche. Un’epoca delle passioni tristi (M. Benasayag G. Schmit 2004 e U.
     Galimberti 2008) in cui il futuro-promessa è stato sostituito dal futuro-minaccia per cui il
     desiderio tende a bloccarsi in un presente in cui la libido narcisistica prevale sulla libido
     oggettuale in una diffusa, dominante insicurezza. In tale spazio hanno certamente buon
     gioco la regressione feticistica nel campo di un immaginario appositamente prodotto.

Questo oscillare del desiderio tra un nichilismo legato alla sua vuotezza e un’utopia che che
«ne fa il motore di una dinamica simile alle forze produttive» produce un squilibrio che per
Carmagnola (cit.) consente al desiderio di sfuggire (marxianamente) «alla legge
dell’equivalenza». Prende forma così una dinamica che comprende sia l’irriducibilità del
desiderio al bisogno sia l’irriducibilità del desiderio alla domanda. Questa dinamica emerge
in una prospettiva psicoanalitica nella quale il desiderio «cerca di imporsi senza tener conto
del linguaggio e dell’inconscio dell’altro ed esige un riconoscimento assoluto» (corsivi
miei) (J. Laplanche J. B. Pontalis 1968 in Carmagnola 2006:129).


                                                       8
Aggiungiamo che, sempre in ambito psicoanalitico, il desiderio (Begierde) è pur sempre
legato alle leggi del processo primario e trova la sua soddisfazione in riproduzioni
allucinatorie connesse all’identità di percezione. Esso non consiste in una relazione con un
oggetto reale ma, per Lacan, sorge come scarto tra il bisogno e la domanda (punto 2.3.c) ed è
connesso, come abbiamo visto, al fantasma.

2.6
Il desiderio non è una cosa semplice scrive Lacan ripreso poi da F. Carmagnola (2007) che
sviluppa ulteriormente una serie di serrate analisi del problema individuando nell’ágalma
quella nozione particolare che emerge originariamente nel Simposio platonico quando
Alcibiade espone la sua verità rivelando il suo desiderio per Socrate, ovvero non per il sileno
Socrate ma per il tesoro, l’entità fantasmatica che Socrate ha in sé. Questa nozione trova una
sua propria accezione produttiva in Lacan che
     «di fatto ha inventato ágalma, lo ha messo all’ordine del giorno per noi.. […] è Lacan a fargli fare
     una torsione verso il vuoto, a farne il segno dell’incessante desiderio, a consegnarcelo come
     emblema di quel soggetto moderno contrassegnato dalla mancanza costitutiva e strutturale»
     (corsivi miei). (F. Carmagnola 2007:19)

Ágalma in Lacan
     «è quell’oggetto che il soggetto crede essere la mira del suo desiderio, e dove porta all’estremo il
     misconoscimento dell’oggetto come causa del desiderio» (J. Lacan 2006:41).

Ma Ágalma è un termine polisemico e Carmagnola ne declina i vari significati seguendo
Lacan:

      .apparizione, fantasma, oggetto che introduce nel soggetto […] un vacillamento-
      .ornamento, parure-
      .oggetto prezioso-
      .oggetto non-oggetto-
      .richiamo, trucco, oggetto insolito-
      .oggetto parziale-
      .incarnazione immaginaria del soggetto-
      .punto di apparizione non iconico, non rappresentativo del divino-reale-
      .oggetto noyau (F. Carmagnola 2007:33)

 Ágalma come oggetto parziale si presenta naturalmente come entità privilegiata dato che
la sua parzialità costituisce ciò che nutre la vettorialità del desiderio nella sua forte
caratterizzazione immaginaria, ma che è pertinente ad un Reale (vedi punto 4.7).
Connesso con questo significato troviamo ágalma come incarnazione immaginaria del
soggetto il quale in tale incarnazioni trova una serie di figurazioni tra le quali il suo essere
marcato dalla lacaniana mancanza-a-essere.
L’ultima significazione, oggetto noyau, invece, indica sia una connessione col desiderio sia
tutto ciò che va dall’inconscio al soggetto e che si sottrae alla coscienza condensandosi
proprio in ágalma.
Una prima conclusione di Carmagnola è che ágalma si colloca in una duplice dinamica: da
una parte abbiamo forme di spiazzamento, da un’altra abbiamo la tensione verso forme di
valorizzazione: dinamiche articolate tra l’immaginario e il reale (vedi punto 4.3.1).
Risulta già abbastanza evidente, a questo punto, come ágalma sia strettamente in rapporto
con l’universo della merce, rapporto di cui ci occuperemo più avanti.



                                                       9
3 Lo spettacolo e la coscienza del re




3.1
Ci occuperemo ora dell’ambito filosofico-politico della Società dello Spettacolo di G.
Debord, un’area che molti autori che oggi si occupano di economia dell’immaginario
evitano di attraversare, come abbiamo già accennato, per varie ragioni ma che rimane, a
nostro avviso, una riferimento importante per una serie di motivi di cui vogliamo accennarne
alcuni.
 -La società dello spettacolo costituisce lo sfondo sul quale, ieri come oggi, prendono forma
le dinamiche e i processi relativi al desiderio, al consumo delle immagini, all’immaginario ed
alla fiction economy.
-Gran parte di quello che è successo sulla scena sociale, politica, comunicativa ed anche
urbanistica degli ultimi cinquant’anni era profeticamente presente nelle intuizioni di Debord
e dei suoi amici situazionisti come opportunamente ha sostenuto Agamben (1988)
-Come abbiamo già scritto (P. Stanziale 2008) la storia ha dato alle domande debordiane,
risposte invertite in relazione alle ideologie connesse con lo sviluppo capitalistitico per cui
l’apparato critico debordiano viene usato contro Debord stesso (G. Debord 2002).
-Per Debord «Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale
della vita sociale» (G. Debord 2002:58).
-La società dello spettacolo, nella sua ideologia di fondo, si presenta come quell’Ordine
(l’Immaginario) in grado di generare consenso collettivo (S. Žižek 2004).
-La società dello spettacolo trova una sua modalità di lettura nell’intenderla come come il
trionfo dell’immaginario simbolizzato a misura di simbolico (vedi punto 4.7) .


3.2
La società dello spettacolo (SdS) di Debord rappresenta inconfutabilmente un punto di non
ritorno nell’ambito di una teoria critica della società, critica, nel senso che sarà sempre della
Sds che occorrerà tener conto per comprendere correttamente le strategie di autoriproduzione
e accumulazione capitalistiche.
Proposte di analisi come quelle contenute nei concetti di accesso rifkiniano, di new economy,
di alienazione biotecnologica, di economia finzionale, viste in una loro collocazione critica,
non possono non essere ricondotte alle concezioni di fondo della Sds, unitamente alle analisi
di R. Vaneigem e degli altri situazionisti ortodossi e non.
La Sds corrisponde, ad una fase storica di ristrutturazione del capitale - nella seconda metà del
‘900 - che consolida talune strategie di dominio nell’ambito produttivo e dà origine a nuove
direttrici di consumo relative al passaggio all’avere e al baudrillardiano simulare. Per Debord,


                                               10
inoltre, il divenire immagine del capitale si realizza nella metamorfosi della merce che tende a
perdere il suo valore d'uso acquistando valore a partire dall'immaginario sociale.

3.3
È possibile inoltre verificare come vi sia una corrispondenza tra elementi teorici debordiani
ed alcuni significativi ambiti analitici contemporanei. In particolare la distinzione debordiana
tra società in cui lo spettacolo si presenta concentrato, diffuso o integrato (Sds e Commentari
del 1997) viene, per molti aspetti ad avere un riscontro con le fasi dello sviluppo del
capitalismo dei consumi esaminate da Lipovetsky (2007) ovvero:
1) la fase della nascita dei mercati di massa,
2) la fase del ciclo storico che inizia negli anni ’50 caratterizzata dalle società del consumo di
massa- e che richiama ampiamente lo spettacolare diffuso debordiano,
3) la fase infine che va oltre lo standing ed è caratterizzata dai consumi emotivi ed è
pertinente alla organizzazione economica post-fordista e al turbo-consumerismo, segnando il
destino felice dell’ homo consumericus.
Questa terza fase corrisponde, per moltissimi aspetti a quella dello spettacolo integrato nel
suo senso ultimo, quando la spettacolarità

     «si è mescolata ad ogni realtà…. perché l’esperienza pratica del compimento sfrenato della
     volontà della ragione mercantile mostra, rapidamente e senza eccezioni, che il divenir-mondo della
     falsificazione era (è) anche un divenir-falsificazione del mondo» (G. Debord 1997:194).

3.4
Le 72 tesi dei primi tre capitoli della Sds tracciano un percorso organico, partendo dal
concetto di separazione - che riprende in una prospettiva innovativa sia il concetto di
alienazione (sulla linea Hegel, Feuerbach, Marx) che il concetto di scissione (del Lukàcs
della Teoria del romanzo) - per giungere al concetto di falsa unità che informa di sé tutta la
realtà spettacolare. La separazione che si compie per Debord (con riferimento anche
all’eccesso di metafisica lukàcsiano) sembra portare a compimento quel processo di scissione
tra il soggetto e se stesso originato dalla rottura dell’unità presente nel mondo greco.

3.5
Debord tratta del dominio proprio di una società che è dello spettacolo in cui
«all’affermazione dell’apparire corrisponde una separazione dalla vita» (G. Debord
2002:64).
Lo spettacolo, quindi, si fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e pervasivo il
suo essere capitale.
Sono presenti in questi assunti del primo capitolo rielaborazioni tratte dal giovane Marx,
quando scrive dell’alienazione nella società borghese, mentre il secondo capitolo riprende il
concetto di feticismo della merce sulla linea Marx-Lukàcs.
Debord afferma che il predominio dello spettacolo si attua attraverso l’occupazione della vita
sociale da parte della merce. A ciò corrisponde la vittoria del valore di scambio sul valore
d’uso in una società che sancisce la vittoria dell’economia autonoma.
Ma è nel rapporto tra economia e società che Debord individua una possibile forma di riscatto
là dove, infine, l’economia finirebbe col dipendere pur sempre dalla società e dalla lotta di
classe. Parafrasando Freud, Debord afferma che l’Io deve situarsi là dove c’era l’es
economico e, politicamente, che «il desiderio della coscienza e la coscienza del desiderio»
costituiscono un unico progetto mirante all’abolizione delle classi (G. Debord 2002:155).

3.6
È inevitabile, a questo punto, affrontare quell’importante nodo teorico riguardante il rapporto
indissolubile tra economia, spettacolo e immaginario. Nodo borromeo che si fa struttura

                                                     11
divenendo un nucleo dialettico in grado di articolare in modo evolutivo le intuizioni
debordiane. Questa struttura traduce fondamentalmente il significato e il significante della
merce ovvero l’immagine-merce, il feticcio-merce, ovvero fascinazione, illusione, scambio,
consumo. Ciò in una fase di evoluzione strutturale dell’economia verso una evidente ed
affermata sua autonomia che può essere ben correlata alle marxiane due astrazioni/alienazioni
(A. Jappe 1999) ovvero lo Stato e il Denaro riguardanti il divenire membro di una comunità e
l’accesso al mondo del lavoro. L’ipostatizzazione di queste astrazioni/alienazioni si concreta
nello spettacolo da intendersi come ideologia materializzata (G. Debord 2002 cit.), ambito
che vedremo in seguito in una prospettiva diversa. Questi riferimenti che attualizzano,
attraverso Debord, le istanze del giovane Marx vengono riaffermate- come giustamente
sottolinea Jappe - nel Capitale che individua nell’astrazione la forma-merce dell’economia
moderna.

3.7
Come nota, poi, M. Pezzella (1996:78) il potere economico richiama immediatamente un
immaginario inseparabile dal desiderio (come vedremo in seguito), un immaginario che va
oltre il valore d’uso realizzando il valore di scambio. Si         tratta qui di individuare
«l’economia nella sua cultura» (W. Benjamin 1986:595 in Pezzella 1996:79) che mostra
come economia e immaginario siano termini legati da un indissolubile legame funzionale
nell’ambito di quella economia libidinale di cui parla Lyotard (1978) in cui il dispositivo
pulsionale si mobilità rispondendo alle sollecitazioni feticistiche della merce (vedi punto
5.6.3).
Per quanto riguarda lo spettacolo esso non è una sovrastruttura - nel tradizionale linguaggio
marxista - e neanche una simulazione (J. Baudrillard 1979). Esso, nel contesto della Sds, è
allo stesso tempo: una figurazione dell'immaginario (la fantasy/fiction žižekiana), una
tecnica di produzione e un motore della circolazione del capitale.

3.8
Versante di articolazione di questa struttura, e costituente importante di essa è, ancora una
volta, il desiderio. Lacan che scrive che

     «lo sfruttamento del desiderio è la grande invenzione del discorso del capitalista, perché dopotutto
     bisogna indicarlo col proprio nome. Devo dire che è un marchingegno maledettamente riuscito»
     (1974:513).

Il desiderio nei situazionisti ha una ruolo centrale. Lo troviamo variamente concettualizzato
sia in Debord che in Vaneigem il quale struttura una vera e propria antropologia del
desiderio (P. Stanziale 2004), risvolto inevitabile di una soggettività radicale (R. Vaneigem
1994 2004).

3.9
Nel terzo capitolo della Sds Debord mostra come nella sua unità fittizia, lo spettacolo tenda
a mascherare le contraddizioni e le lacerazioni della società e dei poteri che la dominano. La
banalizzazione, la vedette specializzata nel vissuto apparente, le finte lotte spettacolari: tutto
ciò rappresenta un artificiale che traduce nello spettacolare la falsificazione della vita sociale.
Uno spettacolare che si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso a seconda
della miseria che smentisce o mantiene (troviamo qui già delineato, anche se su un piano
diverso, quanto emerge dalla dialettica RSI di cui ci occupiamo nei Capitoli 4 e 5).




                                                      12
3.10
Per quanto riguarda le risposte invertite alle domande debordiane troviamo che queste sono
fatte proprie dal marketing di aziende (Negozi Hollister ecc. - M. D’Ambrosio 2008), la
deriva debordiana è sperimentata e istituzionalizzata da Facoltà di Architettura romane e
torinesi ed è presente in alcuni format TV nei quali vengono costruite situazioni
emozionanti da attraversare.
Il gruppo Luther Blisset (oggi Wu Ming), anche, ha fatto la sua parte (P. Stanziale 1998) con
le relative denigrazioni e con critiche di cui qualcuna, a nostro avviso, fondata.
Che dire poi di quel gigantesco dètournement pervasivo che prende il nome di
postmoderno, figurazioni che assemblano stili precedenti secondo un progetto ludico,
partecipando ad uno spettacolo globale, ad un immenso “simulacro immaginifico” (F.
Jameson 1994) tra stereotipizzazioni e nostalgie.

     3.11 La narrazione situazionista ebbe indubbiamente successo (G. Debord G. Sanguinetti 1999 P.
     Virno 1999 P. Stanziale 2008) ma la sua spinta si infranse contro la massiccia affermazione del
     dominio capitalista in espansione, vittoria e sconfitta dunque- come affermato da molti- ma anche
     lo stabilizzarsi di un nucleo di teoria critica di riferimento come tappa importante di un itinerario
     che, partito da lontano, deve essere ripreso e organicamente integrato con nuovi e più incisivi
     strumenti di analisi a fronte di scenari contemporanei stagliati sullo sfondo di reticoli schizoidi in
     cui il soggetto è frammentato, risucchiato tra forme di estetizzazione di massa e mercificazioni
     edonistiche, tra godimenti autoritari, esaltazioni narcisistiche ed esplosioni nichilistiche. Il tutto
     costituendo le nuove frontiere dello spettacolo che tende in modo sempre più pressante a saturare
     quella totalità che R. Vaneigem (1994) in Banalità di base (Tesi 24) intende come «la realtà
     oggettiva nel cui movimento la soggettività può inserirsi sotto forma di realizzazione» e «là dove
     non vi è realizzazione vi è lo spettacolo».

3.12
Il concetto di società dello spettacolo rappresenta indubbiamente un riduttore di complessità
contribuendo ad un comprensione critica dell’universo socio-politico attuale. Questo perché
lo spettacolo- come abbiamo già visto- ha assunto un valore strutturale con tutto ciò che ne
deriva sia per l’economia del soggetto che per l’ambito sociale e politico. Il passaggio dalla
società post-industriale alla società del dominio spettacolare ha avuto una duplice
conseguenza: l’emergere di una diversa strategia di potere basata su parametri, che sono
andati a modificare vari ambiti tra cui quelli biologici, politici e comunicativi, e il fatto che
tutto questo è avvenuto nel cuore stesso del sociale che il potere ha potuto ristrutturare
secondo i sui nuovi indirizzi. Lo spettacolare integrato debordiano è stato il risultato di
questo stato di cose, riuscendo ad imporsi in modo autonomo e articolato divenendo una
funzione vitale costitutiva della volontà individuale.




                                                       13
3.13
Secondo J-L Nancy (2001), infine, la critica dell’attuale globalizzazione capitalistica, passa
per la critica del radicalismo filosofico situazionista alla società dello spettacolo, intesa
(quest’ultima) come il compimento della
       «mercificazione generale dei feticci […] con la produzione e il consumo di beni materiali e
       simbolici (tra cui, in primo luogo, l’ordinamento del diritto democratico) che hanno tutti il
       carattere d’immagine, d’inganno o di sembiante» (J-L. Nancy 2001:98).
La società dello spettacolo è, in ultima analisi, quella
       «che porta a compimento pieno l’alienazione, grazie ad un’appropriazione immaginaria
       dell’appropriazione reale. Il segreto dell’inganno è questo: l’appropriazione reale non è altro che una
       libera immaginazione creatrice di sé, indissolubilmente individuale e collettiva ma la merce
       spettacolare, in tutte le sue forme, non è a sua volta altro che un immaginario venduto al posto di
       questa immaginazione autentica» (J-L. Nancy 2001:121).
Nancy partendo da queste analisi ritiene che la critica situazionista                            sia inficiata dalla
metafisica dicotomia tra una verità dell’essere vs una fallace apparenza:
       «il limite della critica situazionista consisterebbe nel non aver compreso appieno ciò che rendeva
       manifesto, ossia la costitutiva dimensione simbolico-spettacolare del legame sociale […] la questione
       [è quella] di capire se lo spettacolo non sia, in un modo o nell’altro, una dimensione costitutiva della
       società: in altri termini, se ciò che chiamiamo il legame sociale possa essere pensato al di fuori di un
       ordine simbolico e se quest’ultimo possa a sua volta essere concepito al di fuori di un registro
       dell’immaginazione o della figurazione, che sembrerebbe necessario, a questo punto, ripensare
       daccapo […] può darsi che il fenomeno dello spettacolo generalizzato, con la dimensione, diciamo
       tele-mondiale, che non soltanto lo accompagna, ma che gli è consustanziale, riveli tutt’altro, se ci
       sforziamo di decifrarlo altrimenti» (J-L. Nancy 2001:132).
Ci sembra opportuno a questo punto considerare che:
-effettivamente è necessario ripensare il rapporto tra legame sociale e ordine simbolico;
-se in linea di principio vi possono essere fondamenti validi per una critica al situazionismo
ciò non toglie che lo spettacolismo nelle società occidentali tende sempre più ad estremizzarsi
giungendo alla negazione e ed allo sfruttamento spettacolare del soggetto attraverso forme
sempre più esasperate di espropriazione, come in certa spettacolarità mediale; in tale ambito il
con-essere e la com-parizione di cui parla Nancy nel suo Essere singolare plurale (2001)
divengono partecipi di una omologazione generalizzata che elude ogni autenticità;
-certamente l’ontologia della com-parizione è da considerarsi il primo e fondamentale passo di
un pensiero critico rinnovato ma bisogna fare ancora i conti con tutta una serie di modalità
attraverso cui la società dello spettacolo partecipa a forme evidenti di patologia nella
dimensione dell’essere sociale. E in questo ambito di valutazioni ci sembra pertinente citare
Robert Kurz

       «[Le idee di Debord] sono perfino più attuali che mai. Debord, nel suo tempo, tenne in vista
       principalmente il mezzo spettacolare televisivo constatando uno sviluppo del moderno feticismo
       giunto a un grado di accumulazione del capitale in cui esso diventa immagine e sostituisce
       interamente il mondo sensoriale con una selezione delle immagini. Ciò naturalmente non si
       riferisce solo alla semplice tecnologia mediale ma a una nuova qualità della sussunzione reale al
       capitale (Marx), una sussunzione non solo dei processi di produzione, ma della totalità della vita e
       della totalità dell'esperienza, a una feticizzazione di tutte le relazioni fino all'intimità, come [sopra]
       ho già suggerito, come soggezione di tutte le sfere della vita alla astrazione reale del valore e
       come liberazione dell'individuo astratto. A ciò corrisponde una medializzazione del quotidiano in
       cui i mezzi tecnici di comunicazione non si autonomizzano per sé, ma nel loro carattere inscritto
       nella merce e, in un certo modo, duplicano il feticismo della forma merce. Questo sviluppo si è
       drammaticamente intensificato con le nuove tecnologie della comunicazione della terza
       rivoluzione industriale. Ora, non si tratta appena di cruda tecnica, ma di una virtualizzazione
       generale del mondo della vita, come si può vedere nell'onnipresenza del telemobile, SMS etc. e
       soprattutto di Internet. Ciò va di pari passo con la virtualità del nuovo capitalismo finanziario, che
       si è staccato dall'accumulazione reale del capitale, come fenomeno di crisi. Nel virtualismo del

                                                           14
pensiero postmoderno, tutto questo processo fu ideologizzato e parzialmente compreso male come
       emancipazione. Ma non é altro se non un'espressione della crisi del soggetto, nella quale si
       riproduce come fenomeno della coscienza il limite interno del moderno sistema produttore di
       merci» (2006).

3.14
Un esito pervasivo della società dello spettacolo riscontrabile nelle società avanzate, infine, è
quello che Vanni Codeluppi (2011:91) chiama spectacle/performance paradigm. Uno stato in
cui nei soggetti non esiste più nessuna separazione tra la dimensione pubblica e quella privata.
Nelle tendenze delle società performative (N. Abercrombie B. Longhurst 1998) abbiamo che
       «la vita sociale viene percepita da parte di molti soggetti come una continua rappresentazione» (V.
       Codeluppi 2011:92).

Si tratta di una diffusa sindrome da audience ovvero il sentirsi continuamente sotto l’occhio di
telecamere o parte di uno spettacolo. Ciò con le implicazioni linguistiche (stereotipi
comunicativi) e di immagine conseguenti. Un’interconnessione continua, ormai costitutiva
della quotidianità.
La società dello spettacolo diviene quindi società dell’audience in cui «si guarda e si è
guardati» (V. Codeluppi 2011:92), una società in cui tutti si sentono attori ed in cui una
preoccupazione prevalente è quella del come mostrarsi nei social-network.
Per Abercrombie e Longhurst (1988:86) questa audience si presenta in modo semplice (faccia a
faccia, incontri politici ecc.), di massa (mediale) o diffusa. Quest’ultima sta ad indicare la
continua consapevolezza di un ruolo nelle persone, il sentirsi sempre, nella vita quotidiana
parte di un’audience indipendentemente dalla partecipazione mediatica. L’audience diffusa è
visibile attraverso cinque modelli: il consumer, il fan, il cultist, l’enthusiast ed il pretty
producer. Si parte da un basso livello di competenze mediatiche che tendono poi ad aumentare
con il passaggio da un modello a quello successivo (V. Codeluppi 1011:93).
Abbiamo inoltre che:
- nella sindrome da audience è abbastanza evidente la componente narcisistica (vedi punti
4.1.a e 6.5);
- le ricerche suddette completano integrano ed aggiornano quanto aveva scritto negli anni ’50
Erving Goffman sulla vita quotidiana come rappresentazione (E. Goffman ed. 2005);
- vista alla luce delle analisi lacaniane la sindrome da audience conferma il potente ruolo del
grande Altro nella formazione dell’Io (vedi punto 4.1.b) e nella sua direttività nelle dinamiche
dell’Immaginario, ovvero quella alienazione strutturante (P. Stanziale 1995:117) relativa alla
seconda spaltung (la prima spaltung - alienazione strutturale - si ha nel processo di distinzione
tra sé e sé – soggetto > linguaggio) riguardante la costruzione della ’Io che diviene
personaggio (delineazione di una propria narrazione nell’ambito della catena significante -
linguaggio > ricostruzione nel linguaggio).
-secondo un approccio costruzionista (M. Sorice 2005:167 – V. Codeluppi 2011:94) gli
individui tendono a formare la loro identità percependosi come audience, in tal modo integrano
l’esperienza vissuta riorganizzando continuamente il proprio sé con materiali espressivi e
narrazioni diverse. Tale approccio non ci convince pienamente là dove derive identitarie sono
originate e risucchiate dal grande Altro verso forme di godimento smarrito senza efficaci
elaborazioni di ancoraggio soggettive (vedi punto 4.3.5.b).

4 Scenari immaginari




                                                       15
4.1
L’Immaginario in Lacan è presente a vari livelli nelle sue teorizzazioni. Per quanto ci
riguarda esamineremo quelle teorizzazioni che assumono un interesse particolare per il
nostro percorso.

4.1.a- Vediamo anzitutto che l’Immaginario è connesso con la fase dello specchio attraverso
cui si definisce nel rapporto narcisistico tra il soggetto e il suo Io. Quindi l’immaginario è
l’ambito in cui il soggetto stabilisce una relazione (duale) con l’ immagine di un proprio
simile, relazione come attrazione erotica, tensione aggressiva (aspetto intersoggettivo) (J.
Laplanche J. B. Pontalis 1968).

   Il narcisismo è direttamente collegato alle dinamiche dello società dello spettacolo, ma è anche il
   portato dei vari ambiti del marketing. Il narcisista, come scrive Pezzella (1996) è il soggetto che,
   nell’apparire debordiano, è il più adeguato ad essere risucchiato dalla “fantasmagoria delle merci”
   (W. Benjamin 1986) e dalle loro euforiche offerte di possibilità e di metamorfosi. Si tratta di un Io
   indebolito che presenta un risvolto aggressivo proprio della psiche narcisista (J. Lacan 1974). Il
   narcisista è il soggetto dell’esperienza degradata e ipotrofica sul piano del reale, colui in cui prevale
   la visione rispetto all’azione e alla riflessione. Il suo mondo è quello in cui la restrizione
   dell’autonomia soggettiva si accompagna alla progressiva perdita del principio di realtà (M.
   Pezzella 1996:85,103).

4.1.b- Abbiamo poi lo schema L             (J. Lacan 1974:50)        relativo alla dialettica
dell’intersoggettività, schema che riteniamo particolarmente interessante dato che:

-viene individuata una oggettivazione immaginaria del soggetto,
-prende forma il ruolo del grande Altro o Ordine simbolico.

                  S/                        a’ (ltro) – oggetto “petit a”
   Soggetto barrato                         Oggetto del desiderio
   Mancanza a essere (Es)                   REALE
                                            Desiderio ($ <> a) Godimento


     Inconscio                                               Relazione
                                                            Immaginaria

   A1                                       Grande Altro
   Sostituti dell’oggetto                   Ordine Simbolico
   del desiderio                            Ordine dei significanti
   Io (moi)                                 La legge
                                            Il potere

           (Estetica Politica Economia Media Ecc.)


                                     Schema L



In questa schematizzazione (che abbiamo integrato con varie specificazioni) il soggetto nel
suo originario desiderio si rivolge agli oggetti rappresentati da petit a ma questo suo
desiderio senza fine è dell’ordine dell’impossibilità (relativa al Reale punto 4.4),
conseguentemente instaura una relazione immaginaria con sostituti dell’oggetto del
desiderio (a1) attraverso i quali struttura il suo Io ovvero il Moi alienato come metonimia

                                                       16
del desiderio. Chi dirige il gioco, però, è l’Altro assoluto dell’Ordine simbolico che lo
domina e definisce il soggetto dal lato dell’Io e dal lato dell’inconscio (l’inconscio del
soggetto è il discorso dell’Altro) (J. Lacan 1974:842). E questo in una processualità senza
fine.

   In questa teoria sono già chiaramente presenti elementi relativi a una economia dell’immaginario che si
   fa politica nella misura in cui il desiderio umano viene manipolato e il soggetto si presenta con un Io
   spossessato dalle realtà di dominio dal potere/ordine Simbolico/grande Altro.

La concezione di Žižek del grande Altro ha come riferimento sia il Simbolico lacaniano che
la dialettica del Geist hegeliano. Il grande Altro, oltre a rappresentare il potere nelle sue varie
forme, è anche l’insieme delle convenzioni che si danno, ma comprende anche la
“trasgressione intrinseca” relativa alla legge non scritta che costituisce il lato osceno del
potere e della legge stessa (S. Žižek 1999) (vedi punto 4.5.e).

4.2
In effetti qui già siamo nel pieno dello statuto dell’Immaginario. Il passo successivo è
certamente quello più importante dato che riguarda il lacaniano nodo borromeo che unisce i
tre Registri, le tre dimensioni essenziali del campo psicoanalitico: l’Immaginario, il
Simbolico e il Reale (RSI), registri che richiamano lo schema L (vedi punto 4.1.b) e che si
inquadrano organicamente nello schema R (J. Lacan 1974:549).




                                                     Schema R

           Si tratta della struttura del soggetto relativamente ai registri del Simbolico, dell'Immaginario e
           del Reale. Nel quadrato vi è una terna simbolica, una terna immaginaria ed il quadrangolo del
           reale. Il triangolo del simbolico occupa metà del quadrato perché è strutturante. La linea
           tratteggiata vale per l'immaginario. Il triangolo dell'immaginario è basato sulla relazione duale
           dell'Io con l'Altro (narcisismo, proiezione ecc.), avente come vertice O (phi), il fallo, oggetto
           immaginario di identificazione col proprio essere (vivente). Il campo del simbolico presenta le
           tre funzioni di: ideale dell'Io, con cui il soggetto si reperisce nel registro del simbolico, del
           significante dell'oggetto M, del Nome-del-Padre nel luogo dell'Altro A. La linea I M raddoppia
           il rapporto del soggetto con l'oggetto del desiderio mediante la catena significante, rapporto
           che, nell'algebra lacaniana verrà ad essere scritto S/ <> a (in cui sono legati il soggetto barrato,
           il desiderio e l'oggetto a- il punzone <> indica il desiderio, come abbiamo già visto). Rilevante
           è il fatto che il campo del reale è inquadrato e mantenuto dalla relazione immaginaria e dal
           rapporto simbolico (P. Stanziale 2001).

4.3
La teoria lacaniana RSI è stata- ed è- oggetto di approfondimenti e di torsioni. In particolare
questa teoria rappresenta un passaggio obbligato oggi per l’estetica e la critica d’arte che
attraverso la rilettura hegeliana delle teorie lacaniane da parte di S. Žižek hanno trovato
ampie articolazioni analitiche per quanto riguarda, sul loro versante,             l’economia
dell’immaginario.
Non possiamo, così, non riferirci alla linea Lacan-Žižek e quindi alle letture della RSI da
parte di vari autori nel cercare di delineare uno statuto dell’immaginario con la sua


                                                           17
economia connessa al desiderio che è, come abbiamo accennato in precedenza, radicato
in esso e di cui è un drive che lo anima e lo orienta (F. Carmagnola 2006).

4.3.1
Estrapoliano dal contesto delle teorie lacaniane (J. Lacan 1974 1982), relativamente
all’Immaginario, che:
-esso è la struttura dell’Io (Moi),
-la funzione immaginaria è subordinata alle determinazioni del Simbolico,
-l’Immaginario e il Simbolico si distinguono in funzione delle loro relazioni col Reale,
-la funzione immaginaria presiede all’investimento narcisistico dell’oggetto.

Per quanto riguarda il Simbolico (che Lacan mutua dall’antropologia strutturale di C. Lévi-
Strauss):
-esso è costituente per il soggetto,
-esso non copre e spiega tutto,
- esso annoda e snoda l’Immaginario col Reale (J. Lacan 1974).

E quindi il Reale è l’impossibile, esso sussiste al di fuori della simbolizzazione, è l’inconscio
in quanto indicibile. Il Reale è il luogo che accoglie ciò che è rifiutato dal Simbolico ed è
connesso col godimento (jouissance) (S. Žižek 2004)

                                              Immaginario


                                                   Godimento

                            Simbolico                                     Reale


   4.3.2- Non è possibile escludere, poi, dal quadro che stiamo delineando il
   contributo importante offerto dalla psicoanalisi lacaniana all’economia
   dell’immaginario con il concetto di godimento. Questa jouissance riguarda ciò
   che va al di là del principio del piacere ed è connessa con il Reale lacaniano.
   Questo perché l’approccio psicoanalitico all’ideologia di dominio- nei suoi
   rapporti con la cultura di massa- si presenta abbastanza esplicativo nella direzione
   di una visione politica dell’immaginario contemporaneo connesso con l’universo
   spettacolare (M. Senaldi 2008).




   4.3.2.a- Il concetto di godimento trova la sua centralità in Žižek (2001 2004) che lo intende, con
   riferimento alla psicoanalisi lacaniana (Lust im Unlust), come oscuro supplemento superegoico,
   come dato proprio dell’ideologia, riscontrabile come la segreta oscenità presente nell’esercizio del
   potere- e delle relative forme di linguaggio, nei risvolti della cultura di massa e, quindi, nell’ambito
   dello spettacolare contemporaneo. Tenendo presente quanto scrive Žižek:



                                                       18
«quand’è che io incontro l’altro nel Reale del suo essere… solo quando incontro
      l’altro nel suo momento di jouissance, cioè quando scopro in lui/lei un piccolo
      dettaglio- un gesto compulsivo, una eccessiva espressione del volto, un tic- che
      segnala l’intensità della realtà della sua jouissance ...l’incontro con il Reale è sempre
      traumatico, c’è qualcosa perfino di minimamente osceno in esso» (S. Žižek 1999:32)

ecco che, seguendo la metodologia žižekiana, troviamo, ad esempio, come il potere spettacolista
televisivo si tradisca come godimento nel ghigno-sorriso involontario che appare in alcuni
momenti-clou spettacolari sul volto di una ideatrice-conduttrice di format d’intrattenimento
pomeridiani. Personaggio proprio della videocrazia contemporanea, esperta nell’organizzare
artificiali cortocircuiti emozionali tra persone e nella spettacolarizzazione di continui outing di
adolescenti che saranno famosi. Questo emergere del godimento, nella teoria lacaniana dei
quattro discorsi (J. Lacan 1982 M. Recalcati 1995) (vedi punto 4.3.3), è proprio del discorso del
maître in cui un significante-padrone (la presentatrice iscritta nell’ordine simbolico come
espressione del potere) agendo nell’alterità spettacolare (espressione di un sapere), rimuove sia la
produzione di godimento (objet petit a)- che però affiora- che la sua verità di soggetto barrato
(mancanza a essere). Questa dinamica introduce la dimensione del godimento nella dimensione
mediocratica della società dello spettacolo ma anche apre, in Žižek, al rapporto tra cultura di
massa e Ordine Simbolico. Sullo sfondo della società dello spettacolo tale rapporto si presenta nel
quadro di una complessa processualità nella quale la cultura di massa rappresenta
l’immaginario del Simbolico che, nel suo farsi godimento, tradisce il Reale del Simbolico
mostrandone le oscenità di fondo (S. Žižek 1999). Il godimento allora, come reale del
Simbolico rivela l’altro lato di questo, le modalità di mascheramento del suo vuoto costitutivo
(vedi punto 4.8).
4.3.2.b- S. Žižek (1999) nota anche, riferendosi a Lacan (1983), come nell’epoca attuale si
verifichi una inversione nella struttura superegoica freudiana per cui se prima l’individuo era
portato a reprimere il piacere e il godimento nel rispettare le leggi del sociale, l’attuale
soggetto post-storico è all’inverso condannato all’eccesso, a dover godere. Il super-io non solo
pone divieti ma costringe anche al godimento: «Niente costringe qualcuno a godere, tranne il
super-io. Il super-io è l’imperativo del godimento -Godi!» (J. Lacan 1983:85).
4.3.3- A completamento di questa parte relativa al godimento non possiamo non
richiamarci alla lacaniana teoria dei quattro discorsi (J. Lacan 1982) accennando
al discorso della civiltà e del capitalista (J. Lacan 19878:40) tralasciando i
discorsi dell’isterico, dell’università e dell’analista.
      La teoria dei quattro discorsi è un classico della psicoanalisi lacaniana. Premesso
      che il discorso- sulla linea Althusser-Lacan- è una determinazione dell’ordine
      simbolico, abbiamo con questa teoria l’inclusione del soggetto nella struttura. Si
      stabiliscono quindi rapporti tra significante e godimento e tra simbolico e reale: tutto
      secondo i principi di una topica, di una dinamica e di una economia in quanto c’e,
      come direbbe Lacan, della produzione, di un più-di-godimento (collegabile ad un
      plusvalore) (M. Recalcati 1995).

      Premesso che nel matema lacaniano dei discorsi i posti sono:


       (/agente/direzione/parvenza)             (/Altro/sign. padrone/sapere/)

       (/verità/soggetto )                       (/produz./scarto/godimento/)


                                                    e che
      S1 = significante padrone,
      S2 = il sapere,
      S/ = soggetto barrato (mancanza-a-essere),
      a = oggetto “piccolo a”, godimento,
      ---= barra di rimozione.

      abbiamo il matema del discorso della Civiltà (o del Padrone) e del Capitalista


                                                 19
Discorso del/la Padrone/Civiltà

                                     S1               S2
                                   --------         -------
                                     S/                a




                               Discorso del Capitalista

                                     S/              S2
                                    -----         ------
                                     S1              a


       in cui è rilevabile, nel primo matema, il freudiano disagio della civiltà: rimozione del
       soggetto barrato (nel posto della verità) da parte di un (agente) significante padrone,
       con il sapere nel posto dell’Altro e con la produzione di godimento (il marxiano
       plus-valore può essere connesso, come accennato in precedenza, con il plus-godere)
       (S. Žižek 2004). Nel secondo matema, troviamo una inversione per cui in azione è il
       soggetto barrato (agente) che rimuove il suo essere significante-padrone (verità) nel
       rivolgersi ad un sapere/Altro e producendo, anche in questo caso, plus-di-godimento
       (J. Lacan 1978 A. Soueix 1995 M. Recalcati 1995 2010).

4.3.4- Quest’ultimo matema è particolarmente interessante dato che costituisce una
intersezione tra psicoanalisi, filosofia, economia e politica.
       Si osserva ulteriormente:

       a) che il capitalista ha sembiante di padrone, è sganciato da un rimosso Significante-
       causa, la parvenza determina la verità;
       b) che l’unica verità è la propria, è il soggetto che detiene il potere;
       c) che si tratta di una posizione tipica del capitalismo contemporaneo in cui non
       esiste conflitto tra ideale e godimento;
       d) che il circuito discorsivo è veloce e circolare secondo l’andamento delle frecce e
       giocato sul godimento, ovvero si ha una circolarità del consumo senza limiti con una
       soddisfazione illusoria; e) che il soggetto si rivolge al sapere (scientifico) per
       produrre oggetti-gadget per consumo e godimento;
       e) Lacan ritiene la macchina capitalistica veloce nel consumo fino alla consunzione
       (J. Lacan 1978), ovvero consumando la macchina capitalistica si consuma e il suo
       consumarsi comprende la sintomatologia contemporanea delle tossicodipendenze,
       delle anoressie dello shopping compulsivo ecc..

 4.3.5- A questo punto riteniamo utile parlare della precisa convergenza di due
 recenti e ponderose ricerche sui rapporti tra capitalismo, discorso del padrone e
 godimento. M. Magatti (2009), nel suo definire criticamente le illusioni del
 capitalismo tecno-nichilista e M. Recalcati (2010), nel suo individuare le figure
 della nuova clinica psicoanalitica, hanno strutturato, sulla linea Lacan- Žižek, un
 insieme di percorsi interpretativi di particolare interesse.

 4.3.5.a- Per capitalismo tecno-nichilista Magatti intende l’approdo attuale del capitalismo in cui
 individua due componenti fondamentali:
 -la crescente tecnicizzazione della vita sociale ed la continua innovazione tecnologica che non solo
 modificano i mezzi disponibili ma ridefiniscono anche i fini legittimi;

                                                  20
- il nichilismo come Weltanshauung che emerge alla fine del XX secolo come «sostrato spirituale
di un’epoca in grado di sostenere una crescita indefinita» (M. Magatti 2009:105).
Il capitalismo tecno-nichilista si sostiene sulla sintonia di queste due componenti in una
necessitante dinamica di continui mutamenti per saturare la componente nichilistica la quale
opera a tre livelli:
-l’immaterialità viene trasformata e resa disponibile per lo sfruttamento economico;
-il capitalismo viene reso compatibile con qualunque cultura;
-viene ridotto il rischio di porre in discussione i fini perseguiti (M. Magatti 2009:107).
Il capitalismo tecno-nichilistico per Magatti è inoltre caratterizzato da tre riduzioni:
«la riduzione temporale all'orizzonte dell'immediatezza (escludendo così ogni possibilità di rinvio,
ossia esattamente di ciò che permette al desiderio di sostenersi nel tempo);
la riduzione individualistica (ciascuno ha il proprio desiderio, di modo che la dimensione
relazionale del desiderio è sostanzialmente esclusa se non nella forma surrogatola della mimesi);
la riduzione materialistica (che attribuisce centralità al corpo e ai sensi e che, di conseguenza, fa
del soddisfacimento la sua misura) » (M. Magatti 2009:132).

Magatti evidenzia come Lacan consenta di andare oltre Marx per capire la nostra epoca che vede
l’affermazione dell’economia affettiva:

      «il capitalismo è così importante nella storia umana - e non una semplice
      sovrastruttura - proprio perché è capace di lavorare sul desiderio, proponendo il
      consumo come una strada per colmare il vuoto su cui il desiderio in quanto tale si
      attiva. Un tale obiettivo, tuttavia, si rivela sempre illusorio, dato che il vuoto non è
      mai completamente riempito attraverso gli oggetti, che devono essere continuamente
      rinnovati per saturare la nuova mancanza, in un movimento circolare, ingannevole
      e senza fine. Frammentando, l'esperienza in una successione di azioni che non
      hanno null'altro in comune se non il riempire provvisoriamente il vuoto, il
      capitalismo è, sempre di più, costretto a sradicare il desiderio dal legame che esso ha
      con la condizione esistenziale dell'uomo, riducendolo a semplice "godimento".
      [..] Contravvenendo all'approccio repressivo e disciplinatorio che ancora prevaleva
      nel capitalismo sociale, il comando che il capitalismo tecno-nichilista rivolge ai sin-
      goli individui è quello di cogliere l'attimo, vivere l'emozione, assaporare
      l'opportunità. [..] Per procedere in questa direzione, la creazione di un ambito
      disancorato da un preciso ordine culturale, nel quale prevalgono i linguaggi non
      verbali iconici e musicali e dove il singolo individuo è autorizzato a prendere ciò che
      più gli piace costituisce una pre-condizione fondamentale.
      […] E che con l'avvento del capitalismo tecno-nichilista, crolla il meccanismo del
      divieto che aveva retto nel capitalismo sociale e l'essere umano deve diventare,
      secondo la felice espressione di Deleuze e Guattari, una vera e propria "macchina
      desiderante": il capitalismo tecno-nichilista vive del fatto che il desiderio venga
      continuamente attivato e sia in grado di essere realizzato e poi di nuovo riattivato.
      Dato che l'individuo non è più disposto a (o in grado di) stare dentro la griglia rigida
      dei ruoli e delle norme sociali, l'ordine istituzionale delle cose - almeno nella sua
      rappresentazione – deve essere continuamente esposto a una dinamica di distruzio-
      ne/ricostruzione. Il che è possibile grazie all'amplissima disponibilità di significati e
      all'accresciuta mobilità, che indeboliscono qualunque ordine normativo, e all'esten-
      sione della libertà di scopo, che offre la possibilità (almeno teorica) di aggiornare
      continuamente i propri obiettivi.
      [..] I tratti centrali del nuovo quadro psicanalitico del capitalismo tecno-nichilista
      sono efficacemente colti nell'opera di Zizek che, sviluppando le tesi di Lacan e
      Miller, parla di, “economia libidica del plusgodere”.
      [..] Da questo contesto, in cui il godimento vive di continue dislocazioni e si
      mantiene solo nel passaggio da un oggetto all'altro, emergono due implicazioni
      particolarmente rilevanti.
      La prima è la natura illimitata del processo di mutamenti che viene attivato. E ciò in
      quanto il desiderio si costituisce come un asintoto: più ci si avvicina, più elude la
      presa; più si pensa di possederlo e più se ne accerta la mancanza. Ciò lo rende un si-
      gnificante vuoto, una forma senza contenuto: dobbiamo sempre desiderare qualcosa,
      anche se non sappiamo mai bene cosa, e anche se sappiamo che non potremo mai
      placare la nostra sete. E dunque saturiamo questa valenza libera accettando di buon
      grado di aderire alle sollecitazioni - così potenti e studiate - che l'economia affettiva
      è in grado di distribuire a piene mani.

                                                 21
[..] Secondo Zizek (2004), i concetti lacaniani di "plusgodere" e "objet petit a"
      aiutano a interpretare il senso del rapporto tra soggetto e merce nei termini di uno
      stato dì sollecitazione permanente, continuamente inappagato, rivelando anche la
      rapida obsolescenza a cui sono destinate le merci e i desideri stessi, poiché solo tale
      dinamica garantisce la possibilità di ri-produzione dell'attività economica. Per questa
      ragione, il circuito novità/obsolescenza - così ossessivo nella nostra vita sociale -
      costituisce un elemento intrinseco alla produzione capitalistica contemporanea. Ciò
      dà vita a un'economia libidinale che, per definizione, non riesce mai a compiersi: in
      termini lacaniani, di fronte all'incapacità di affrontare le questioni centrali della
      nostra esistenza - rispetto alla quale ognuno è lasciato letteralmente a se stesso – il
      capitalismo tecno-nichilista propone uno sterminato numero di "abjets a" che
      offrono al massimo quelle che Lacan ha chiamato delle "lichettes", cioè delle "fettine
      di jouissance"'. Affinchè queste lichettes possano in qualche modo funzionare è
      necessario, però, il loro continuo ricambio, così da rigenerare il movimento tra
      mancanza ed eccesso. Anche se ripetutamente facciamo esperienza della delusione
      che essi producono, i beni che ci vengono offerti dall'economia affettiva si
      presentano in grado di generare un surplus di godimento che riesce, almeno
      provvisoriamente, a soddisfarci. » (M. Magatti 2009:105, 106, 107, 132,133, 134,
      135) (vedi punti 4.1.b, 4,2, 4.3.2, 4.3.2.b, 4.3.3).




4.3.5.b- Recalcati (2010), evidenziando il fatto che le analisi di Magatti prolungano, sul piano
sociologico, le riflessioni lacaniane, a sua volta, disegna un ampio percorso dal punto di vista
della clinica psicoanalitica da cui estrapoliano un segmento che, partendo dal discorso del
capitalista, perviene a quella clinica della tossicomania che permette di segnalare «come il nostro
tempo non solo tende a produrre comportamenti tossicomanici ma si configura esso stesso come
un tempo intossicato» (M. Recalcati 2010:195).

Il quinto discorso di Lacan, il discorso del capitalista, presentato a Milano nel 1972 (J. Lacan
1974), per Recalcati porta Lacan di là dalle tesi weberiane sul caratterere etico delle origini del
capitalismo per cui la l'ascetismo protestante consentirebbe l'accumulazione del capitale e la
produzione del profitto. Il discorso del capitalista lacaniano, al contrario, «esalta a senso unico la
spinta del godimento contro ogni forma di legame» (M. Recalcati 2010:28). Recalcati mostra
come il discorso del capitalista (vedi punto 4.3.3) è un discorso

      «al limite di ogni possibile discorso, perché se il discorso è un modo per definire il
      legame sociale, in quanto ogni discorso si organizza per introdurre un certo freno
      significante al godimento e per rendere possibile in questo modo una civilizzazione
      dei legami tra gli esseri umani, quello del capitalista. tende a distruggere ogni forma
      discorsiva affermando il soggetto come pura spinta al godimento solitario, dunque
      dissolvendo ogni freno al godimento, anzi, incoraggiando il godimento come nuova
      forma di comandamento sociale (corsivi miei). Il sacrificio di sé risulta così
      totalmente contraddittorio in un regime che pone il proprio fondamento
      sull'imperativo sregolato del "consumo di consumo". La mancanza di godimento
      come condizione dell'accumulazione del capitale - secondo la classica tesi weberiana
      -si trasforma beffardamente in una proletarizzazione generalizzata e in una
      precarizzazione diffusa. La mancanza di godimento anziché costituire la condizione
      etica del profitto dà luogo a una pura avidità di godere. Questo significa, come
      propone di fare Lacan nella sua matematizzazione del discorso del capitalista, porre il
      soggetto sbarrato nella posizione di agente, ovvero nella posizione che definisce
      l'orientamento specifico, la direzione di fondo, di un discorso. Diversamente dal
      discorso del padrone dove la mancanza è prodotta dall'azione stessa del significante
      che impone al soggetto una perdita di godimento in cambio della sua iscrizione
      simbolica.


                                                  22
[..] nel discorso della Civiltà e nel discorso del capitalista la mancanza si trasfigura
in una avidità di consumo che vuole scalzare il potere letale del significante essendo
prodotta dalla continua offerta di oggetti di godimento proposta dal mercato. Questo
significa porre nella posizione dell'agente [vedi punto 4.3.2.a] il soggetto sbarrato:
non è l'Ideale che aggrega i legami sociali, né l'interdizione al godimento che ne
scaturisce, ma la convulsione del soggetto sbarrato che domanda oggetti in grado di
sanarne la divisione, salvo verificare che l’astuzia del discorso del capitalista
consiste proprio nel produrre e nell'introdurre sul mercato oggetti che anziché
soddisfare la domanda hanno il potere di alimentarla compulsivamente. D'altra parte
l'elevazione del soggetto sbarrato nel luogo dell'agente significa che il cedimento
della funzione orientativa dell'Ideale è stato rimpiazzato dall'illusione che non esista
più alcun padrone al di fuori del soggetto ridotto, per usare l'espressione di
Lipovetsky, a "turboconsumatore". Tuttavia l'individualismo sfrenato che sostiene il
discorso del capitalista non è affatto una forma di disalienazione del soggetto dalla
schiavitù nei confronti dei significanti padroni, ma una nuova forma di schiavitù. Il
discorso del capitalista, come fa notare il conservatore Lacan, è chiaramente una
forma di assoggettamento e non di liberazione. Marcuse parlava a questo proposito di
desublimazione repressiva: non è il soggetto che desidera, ma che esige un
godimento che spenga ogni suo desiderio (corsi miei).
[..] L'algebra lacaniana del discorso del capitalista richiude, anziché aprire, come
accade invece per il soggetto dell'inconscio, il rapporto tra soggetto diviso e l’oggetto
piccolo (a): l'oggetto non è perduto, non è indice della mancanza, ma si solidifica
illusoriamente, restando contiguo al soggetto, a sua disposizione, a portata di mano e
di bocca. È questo il significato della osservazione di Lacan secondo cui la macchina
iperattiva del discorso ilei capitalista sì muove troppo rapidamente, senza tregua,
viaggiando come su due rotelle, raggiungendo una velocità infernale che abolisce il
soggetto e che rivela l'anima profondamente nichilistica di questo discorso. Il
soggetto sbarrato, situato nel matema del discorso del capitalista in una posizione
agente, si rivela così una cifra ironica: nessun padrone, nessuna radice, nessun
libertà assoluta di godere. Eppure in questa pseudopadronanza, in questa libertà
immaginaria, per riprendere il titolo efficace dell'ultimo lavoro di Mauro Magatti sul
capitalismo tecno-nichilista, il soggetto si trova schiavo dell'oggetto che più che
consumare diventa ciò che lo consuma, oggetto passivo della "volontà di godimento"
dell'Altro del discorso del capitalista più che l'euforico protagonista di un mondo
senza più limiti. Il "turboconsumatore" del quale Lipovetsky, per certi versi, tesse le
lodi non è solo, come crede il sociologo francese, il padrone razionale dei suoi, gusti
e delle possibilità delle loro soddisfazioni, un Giano bifronte capace di "sfruttare a
tutto campo le potenzialità aperte da quelle che sono le due grandi finalità della
modernità: efficienza e felicità sulla terra", ma è anche l'espressione di un godimento
sganciato dalla castrazione simbolica, impermeabile al discorso amoroso, antivitale,
che non si genera solo dai consumi ma che tende a consumare anche chi consuma, a
utilizzare il consumo delle cose come modo di compensazione della disinserzione del
soggetto da ogni legame con l'Altro (corsivi miei).
[..] La caduta dell'Ideale e della sua funzione orientativa e l'affermazione dell'oggetto
di godimento in una posizione di agente sono i due elementi cruciali che animano il
discorso del capitalista come macchina anonima di godimento e mostrano la
precarietà simbolica dell'Altro contemporaneo: crisi della politica, dell'ideologia, del
religioso, della dimensione valoriale, del discorso educativo, epoca postideologica,
postmoderna, ipermoderna, postumana. Si tratta di una precarietà che è il prodotto di
una instabilità dei legami, di legami senza Ideale,instabili, liquidi direbbe Bauman,
esposti alla contingenza del sintomo. Ma anche di legami chiusi, cristallizzati, non-
liquidi, reificati, solidificati, gelati, molecolari, involuti, segregativi. La caduta
dell'ideale, la crisi del discorso del padrone, come ho già fatto notare, non comporta
solo la liquefazione dei legami in quanto privati di ogni orientamento ideale, ma
tende anche a rafforzare un loro compattamento monadico, autistico, apatico,
narcisisticamente ostile allo scambio simbolico.
[..] Il conflitto tra principio di piacere e principio di realtà, tra programma pulsionale
e programma della Civiltà si è stemperato e al suo posto è subentrata una domanda
collettiva di omologazione agli stili di godimento prevalenti. In questa prospettiva la
prestazione diventa un effetto dell'imperativo sociale del Super-io sadìano: Godi!
Questo principio tende però a non fare legame ma a isolare Ì soggetti nel loro statuto
individuale, monadico, precario.

                                            23
[..] Cosa produce il discorso del capitalista? Produce insoddisfazione. Produce
               l'insoddisfazione come una nuova forma clinica della precarietà. La nostra epoca
               non è più quella delle masse radunate dall'Ideale. Non è più l'epoca degli entusiasmi
               fanatici che potevano scaturire dall’idea di appartenere a un solo grande corpo
               sociale. La nostra epoca vive piuttosto il contrasto generato dal discorso del
               capitalista tra l'effetto maniacalizzante dovuto alla soppressione dei limiti del
               godimento e la tendenza a precipitare verso un sentimento depressivo di estraneità,
               di inesistenza, di superfluità, di indifferenza e di fatica di esistere (corsivi miei).
               [..] Affermare che il nostro tempo è un tempo intossicato o, se si preferisce, sostenere
               l'idea che la diffusione epidemica di comportamenti tossicomanici sia da porre in
               stretta relazione con una intossicazione generalizzata del discorso sociale o, ancora,
               pensare che l'intossicazione non sia solo un'esperienza soggettiva, circoscritta ai
               soggetti che consumano droghe, ma che sia il nostro tempo, il tempo della Civiltà
               ipermoderna, a essere profondamente intossicato, e che, di conseguenza, l'in-
               tossicazione sia innanzitutto un'esperienza collettiva e non solo individuale, pone
               con forza il problema di una diagnosi teorica del programma contemporaneo della
               Civiltà. Per provare a riassumere in modo sintetico il nostro modo di intendere
               questa intossicazione generalizzata, mi farò guidare da due citazioni che hanno avuto
               per il nostro lavoro di ricerca la funzione di bussole teoriche. Una la conosciamo già.
               È di Jacques Lacan (1982:90) e si trova in un'intervista televisiva degli anni Settanta,
               nella quale egli definisce il modo di godimento prevalente della società
               contemporanea come un godimento smarrito. Soffermiamoci ancora su questa
               espressione. Cosa significa porre il godimento della Civiltà ipermoderna come un
               godimento smarrito? Significa fondamentalmente ritenere che la pratica pulsionale e,
               più in generale, il problema stesso della soddisfazione non sia più ancorato,
               agganciato, abbonato, a una legge simbolica che ne definisca l'orientamento. Il
               godimento smarrito è un godimento privo della bussola fallica o, se si preferisce, non
               castrato, non regolato dalla castrazione simbolica, non limitato, arginato, orientato
               appunto, dalla funzione normativa della castrazione. Il godimento smarrito è una de-
               clinazione del godimento che non si coniuga più con l'Ideale ma che ne ha, piuttosto,
               usurpato il posto.
               La seconda citazione è di uno psicoanalista italiano, recentemente e prematuramente
               scomparso. Si tratta di Agostino Racalbuto (2003:296 segg.). In una sua riflessione
               sulla tossicomania ha avuto modo di definire il nostro tempo come contrassegnato da
               uno "spazio psichico drogato", dove, nella sua prospettiva, drogato vuoi dire
               precisamente: troppo pieno di oggetti, dunque intossicato da un eccesso di presenza
               di oggetti di godimento, da ciò che definisce un "uso concreto dell'oggetto" e da un
               esercizio difensivo della "realtà percettivo-motoria come controinvestimento rispetto
               a una realtà psichica interna collassata o pericolosa, ad alto potenziale distruttivo",
               nel quale "l'agito prende il posto del pensato".
               Lo spazio psichico drogato di cui parla Racalbuto non coincide con lo spazio mentale
               individuale. Si isola piuttosto una tendenza generale della psicopatologia
               contemporanea: l'agito surclassa il pensato, la tendenza alla scarica prevale sulla
               necessità che si dia tempo per depositare l'esperienza, la spinta all'evacuazione senza
               elaborazione simbolica s'impone come una modalità diffusa di funzionamento della
               soggettività ipermoderna che appare come privo di soggetto dell'inconscio.» (M.
               Recalcati 2010:28, 29, 30, 31, 195,196, 197) (corsivi miei).

4.4
Passiamo quindi a strutturare lo schema seguente che inquadra le scansioni temporali della
RSI e definisce la matrice di partenza per la dinamica delle relazioni successive tra i vari
elementi.

.....Reale...........................Immaginario......................................Simbolico

.....Passato/Presente.........(Passato) Presente/Futuro....................Passato/Presente (Futuro)
.....Godimento..................Desiderio.............................................Domanda
.....Es.....................................Io....................................................SuperIo (seconda topica freudiana)


                                                                 24
….Religione…………….Estetica……………………………....Etica (S. Žižek 1999)

4.5
S. Žižek, poi, interpreta l’ambito RSI in chiave hegeliana ridefinendolo. Il risultato è un
importante e «plastico» lavoro teorico (M. Senaldi in S. Žižek 2004:304), che per quanto
riguarda l’immaginario, non è scevro però da varie ambiguità nelle sue varie versioni.


Immaginario
4.5.a- M. Senaldi nel suo saggio Slavoj Žižek e l’immaginario (2007) esamina il concetto
sartriano di immaginario (Sartre è «il primo ‘analista’ dell’imaginaire») rilevando la sua
connotazione negativa come pensiero di qualcosa che manca, come «fuga dal presente»,
compensazione «negativa» (concetto di derivazione hegelo-kojèviana) che è tale però
rispetto ad un «eccesso di realtà» (reel sartriano). Prende così forma la distinzione tra Reale
e realtà che viene ripresa da Lacan e chiarita in Žižek. In ogni caso l’immaginario sartriano,
pur nel suo essere un nulla immaginario, produce effetti reali e Senaldi mostra come per il
Sartre degli anni ’70 l’immaginario rappresenti la determinazione cardine di una persona,
ovvero il centro della soggettività dell’Io (Moi).
Senaldi poi mostra come correlata a questo concetto di immaginario troviamo la nozione di
fantasia propria della realtà psichica, nella prospettiva freudiana, per cui il soggetto è
determinato da fantasie originarie che ne condizionano l’ immaginario.

4.5.b- Scrive Žižek :
     «L’immaginario non realizza semplicemente un desiderio in modo allucinatorio: piuttosto, la sua
     funzione è simile a quella dello “schematismo trascendentale” kantiano: una fantasia qualunque
     costituisce il nostro desiderio, fornisce le sue coordinate; o meglio, letteralmente, “ci insegna come
     desiderare”» (S. Žižek 2004:19).

L’immaginario žižekiano, inoltre, nasce come luogo di scarto del simbolico il quale però
trova una necessità funzionale nell’immaginario. Carmagnola (2002) sostiene che questo è
perverso e non ha niente di creativo e di liberatorio dato che si colloca in una realtà
incoerente e simbolicamente disarticolata in cui il fantasma non trova alcun ancoraggio ed in
cui il godimento è coatto.
Carmagnola mostra come questo immaginario non sia alternativo, come non rimandi a forme
di mediazione o a presentificazioni mentali di assenze (S. Žižek 2000). Al contrario
l’immaginario žižekiano è inquadrato in modo drammatico e ambiguo, rapportato ad un
simbolico preda di crisi storico-culturali colluso con il reale forcluso producendo fantasmi
osceni.
Una concezione diversa da quella di C. Castoriadis (1988:89) che postula un immaginario
radicale da intendersi come «creazione incessante ed essenzialmente indeterminata (sociale -
storica e psichica) di figure/forme/immagini, a partire da cui soltanto si può parlare di
qualche cosa». Anche diversa da quella di G. Durand che scrive dell’immaginario come
«l’insieme delle immagini e delle relazioni fra immagini che costituisce il capitale dell’homo
sapiens» (G. Durand 1972:123).
Carmagnola nota poi come l’immaginario di Žižek, già di per sé ambiguo, è reso ancora più
ambiguo e contorto nelle spire della dialettica hegeliana. Conseguentemente schematizza tre
versioni dell’immaginario žižekiano, versioni peraltro che convergono, in vario modo, con
quanto scritto da A. Piotti (in S. Žižek 1999) e da M. Senaldi (in S. Žižek 2004).




                                                       25
4.5.b.a- Fantasy
Si tratta dell’Immaginario nel/del Simbolico/grande Altro. Una fantasia che orienta il
desiderio dentro la Legge ed oltre la Legge inverandone la funzione anche per la parte non
scritta, oscena, (vedi il concetto di trasgressione intrinseca – punto 4.1.b . S. Žižek 1999 ) A.
Piotti (1999) rileva come questo aspetto del grande Altro ne mostri la fragilità e la possibilità
di collasso (corsivi miei).
M. Senaldi (2007), a sua volta, individua in Žižek tre caratterizzazioni della Fantasy:

4.5.b.a.a- la fantasy come schema attraverso cui oggetti concreti possono avere la funzione di
oggetti del desiderio colmando le lacune della struttura formale simbolica;
4.5.b.a.b- la fantasy come intersoggettività accostando il carattere soggettivo del fantasma
con il fantasma collettivo dell’illusione;
4.5.b.a.c- la fantasy come ciò che riempie una lacuna o risolve un intoppo presenti in una
narrazione/racconto della rete simbolica.
Su questo percorso troviamo altri veli, altre caratterizzazioni žižekiane dell’Immaginario che
richiamiamo qui di seguito per completezza:
- l’Immaginario che «tenta di mettere in scena l’impossibile scena della castrazione della
castrazione... ciò che conduce l’immaginario vicino al suo vero significato, vicino alla
perversione»;
- il rituale perverso che inscena l’atto della castrazione, della perdita primordiale che
permette al soggetto di entrare nell’ordine simbolico (S. Žižek 2004 cit.);
- l’Immaginario che si richiama alla situazione per cui il racconto fantasmatico a causa di un
circuito temporale comporta la presenza di uno «sguardo impossibile», ciò che realizza un
profitto ideologico;
- l’Immaginario che deve funzionare come trasgressione intrinseca (4.5.b.a) della struttura
simbolica per consentire a questa di attivarsi (il riferimento cinematografico žižekiano è
Codice d’onore);
-l’Immaginario come modalità di interazione tra un testo pubblico e il suo supporto
fantasmatico.

4.5.b.b- Fiction
È la seconda versione dell’Immaginario definita da Carmagnola (2006:201) finzione. Si tratta
del «fantasma del soprasensibile che è funzionale alla stessa sussistenza dell’ordine
simbolico». Un’apparenza che serve a costituire la realtà, ma anche la legge scritta simbolica
(A. Piotti 1999).
Fantasy e Fiction hanno per Žižek – nota Carmagnola (citando M. Senaldi in S. Žižek 2004) -
una duplice caratterizzazione: sono interdipendenti e sono costitutivi del grande Altro. A.
Piotti (S. Žižek 1999:203) sottolinea invece la funzione di plot, di trama, della fiction
(corsivi miei).

4.5.b.c- Simulacro
Carmagnola definisce questa versione dell’Immaginario come «la più inquietante» perché
quando l’ordine simbolico collassa, si disintegra, il reale viene fuori. Emerge così il
simulacro come spettro, fantasma: è l’ immaginario dell’orrore e dell’osceno del Reale non
arginato dal simbolico. Si tratta della nostra situazione attuale, il «deserto del reale»
žižekiano.

4.5.b.d- Le fantasies, inoltre, come strumentale sutura del Simbolico, escono dall’ambito
individuale e, per Žižek, divengono ideologia da intendersi, questa, come supporto
fantasmatico dell’ordine sociale dato che «è la realtà stessa che non può essere riprodotta
senza mistificazione ideologica» (S. Žižek G. Daly 2006:97). Siamo qui nell’ambito

                                               26
intersoggettivo in cui il concetto lacaniano di Immaginario è portato al suo limite (M. Senaldi
2007).

4.5.b.e- Per quanto riguarda l’immaginario collettivo quanto scrive F. Carmagnola (2007:70)
ci sembra abbastanza illuminante e pertinente al percorso che stiamo tracciando.

     «Da una parte [l’immaginario collettivo] è il mana, che potremmo definire come un “significante
     fluttuante”, senza legami se non arbitrari con i possibili significati. Dall’altra parte, immaginario è
     anche il soggetto, o meglio l’istanza collettiva, acentrica e anonima che ci dice “come dobbiamo
     desiderare” o che ci costringe a godere. In sintesi, potrei definire l’immaginario oggi come una sorta
     di soggetto collettivo e impersonale o meglio di super-io sociale estroflesso nella rete della
     comunicazione mediale, con una posizione implicitamente normativa e esplicitamente seduttiva»
     (vedi schema 5.2.1 - l’immaginario produce - l’immaginario è prodotto).

E recentemente ancora Carmagnola ha tracciato una nuova mappa dell’Immaginario
intendendolo come Archivio, Facoltà, Macchina. Ovvero tracciature, rappresentazioni,
direzionalità.
     «In una prima accezione [Archivio] l’immaginario è inteso come una sorta di luogo virtuale -
     psichico o culturale - che raccoglie le grandi immagini «influenti» o anche le root-metaphors (S.
     C. Pepper, 1942) o le «metafore assolute» e fondatrici. Le sue caratteristiche sono principalmente
     due: la limitatezza (si tratta di un numero finito di immagini e delle loro varianti) e il carattere
     trans-storico: le grandi immagini che si riferiscono alla vita dell'uomo, al suo rapporto con la
     natura e il cosmo, possono essere classificate come una sorta di corredo antropologico che si
     ripete nelle Decorrenze storiche e nelle varianti culturali (G. Durand 1972)».
     […] In una seconda accezione [Facoltà] l'accento cade invece sul soggetto e sull'attività.
     L’immaginario o meglio gli immaginari non sono il prodotto o il risultato di un'attività di
     produzione, di una Facoltà che può essere definita immaginazione culturale o collettiva - sia nella
     sua versione trascendentale che nella sua versione antropo-sociologica (C. Taylor, 2004). Secondo
     Taylor, in particolare, gli «immaginari sociali» sono, né più né meno, «il modo in cui» le persone,
     i collettivi sociali, «immaginano che-» possa o debba svilupparsi la forma dell'esistenza comune,
     una sorta di sceneggiatura collettiva che riguarda i caratteri dell'identità sociale.
     […] In una terza accezione [Macchina] possiamo definire l'immaginario come un'istanza o una
     potenza de-soggettiva ma priva di centro, veicolata da specifici sistemi o «dispositivi». Il suo
     ruolo, la sua funzione, è di carattere pragmatico, e consiste nel presentare o nel produrre
     riferimenti che riguardano le modalità o le direzioni del «sentire» o del «desiderio». In questa
     dimensione l’immaginario ha un carattere coattivo, benché non nella forma esplicita di un
     comando» (corsivi miei) (F. Carmagnola 2010:12).

Con riferimento, poi, al concetto di sistema sociale di Luhman (1989) Carmagnola disegna una
sorta di sistema dell’Immaginario in cui individua:
- un apparato di produzione di «figure normative» del sistema sociale da intendersi come
sottosistema in grado di generare plusvalore simbolico di valorizzazione (valorizzazione che
trova ovviamente nella merce il suo - naturale - campo di applicazione),
- una complementarietà tra la suddetta «fabbrica del desiderio» e la produzione di
valore nella economia della conoscenza (vedi punto 5.3),
- un ambiente, quello dei media, ovvero una specie di «eco-sistema» entro cui proficuamente
vanno ad operare l’economia del desiderio e l’economia della conoscenza (vedi punto 6.6),
- il sistema Arte, il sistema Moda e il sistema Design come sistemi «esemplari»
nell’economia dell’immaginario e «nelle strategie di ingegnerizzazione del sentire» (F.
Carmagnola 2010:46).

4.5.b.f- Per Carmagnola infine

     «L'immaginario è una cosa molto concreta. Come l'inconscio, è là fuori, nella città, per le strade.
     Basta guardare: il nostro sguardo ne è preda, vi si ammala. Il nostro sguardo è come l'uomo della
     folla di Poe, che non vive se non abbagliato e confuso nel vortice della moltitudine.

                                                      27
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  • 1. Manuale minimo di economia politica dell’immaginario Contributo a una critica dell’economia politica di Pasquale Stanziale 1- Note di viaggio Indicazioni di percorso 2- Slittamenti progressivi del desiderio Il desiderio da Hegel a Lacan passando per Platone e Kojève 3- Lo spettacolo e la coscienza del re La società dello spettacolo nell’economia dell’Immaginario 4- Scenari immaginari Dallo statuto dell’Immaginario alla fiction economy 5- Fantasmagorie dell’oscuro oggetto I Registri del soggetto, l’economia e la merce 6- Affetti collaterali Soggetti e consumatori nell’epoca del biocapitalismo 1
  • 2. ISBN 978-88-906569-0-3 Questo volume è soggetto a copyleft. Tutti possono utilizzarlo e diffonderlo, per intero o in parte, gratuitamente e senza scopo di lucro. 2
  • 3. 1 Note di viaggio 1.1 Le note che seguono sono la continuazione di nostre precedenti ricerche (P.Stanziale 1998) attraverso cui individuammo nell’economia politica dell’immaginario un ambito critico di grande rilevanza filosofica e politica pertinente ad un contesto culturale che vede coinvolte la filosofia, l’economia politica, l’estetica come economia (F. Carmagnola 2006) e la psicoanalisi di massa . Partimmo da un bilancio critico del concetto debordiano di società dello spettacolo (G. Debord 2002) richiamandone il background artistico-filosofico, esaminandone il ruolo filosofico e politico e verificandone, nel quadro dello sviluppo capitalistico, la validità delle intuizioni e delle profezie, ma anche evidenziandone i limiti (P. Stanziale 2008 2009) In questo percorso riscontrammo che le narrazioni situazioniste risultavano attuali e inattuali malgrado i molteplici tentativi liquidatori e le strumentali rimozioni poste in atto negli ultimi decenni. Le teorizzazioni situazioniste presentavano consapevolezze e spunti critici connessi strategicamente con una critica dell’economia politica di cui l’economia dell’immaginario è visibilmente un fondamento funzionale. 1.2 Ci è sembrato quindi utile cercare di strutturare un approccio/itinerario relativo a quest’area dell’economia dell’immaginario anche per ciò che riguarda i suoi risvolti propriamente economici e politici. Ciò come complemento a quella critica dell’immaginario dell’economia (A. Marino 2008 2009 2010), con i suoi miti, le sue contraddizioni e le sue realtà devastanti. 1.3 Punto di partenza non può non essere il desiderio umano con le sue caratterizzazioni, le sue dinamiche, con la serie delle sue concettualizzazioni da cui abbiamo estrapolato un segmento che ci è sembrato particolarmente funzionale al contesto delle nostre note. Abbiamo quindi riconsiderato la debordiana società dello spettacolo come successiva tappa imprescindibile nella prospettiva di un’economia politica dell’immaginario. La parte centrale di questo lavoro cerca di focalizzare una specie di modello interpretativo dei rapporti tra l’economia dell’immaginario e l’Ordine simbolico o Grande Altro attraverso le teorie di J. Lacan e S. Žižek. L’ultima parte esamina in modo sintomale i risvolti economici, politici e sociali dell’economia dell’immaginario in relazione ad alcune tendenze del capitalismo contemporaneo, prendendo in carico la dimensione mediale ed alcuni aspetti delle strategie connesse con quella che F. Carmagnola (2006) chiama fiction economy. 2 Slittamenti progressivi del desiderio 2.1 Il termine desiderio corrisponde al latino cupiditas e al greco έπιθυμία relativi al significato generale di appetizione, ovvero il principio che muove l’uomo all’azione, ma anche, in una seconda accezione, l’appetizione di ciò che è piacevole. 3
  • 4. Ma desiderio è anche riferibile al latino antico de-siderare, ciò che implica uno sguardo intenso verso qualcosa di lontano e attraente. In Aristotele abbiamo il desiderio come órexis che richiama il tendersi, lo sporgersi. Agostino intende il desiderio come amor, qualcosa da cui non si può sfuggire essendo proprio dell’essere umano. In Spinoza il desiderio è connesso, nell’Etica, alla tristezza relativa alla mancanza della cosa che amiamo. Spinoza inoltre definisce il desiderio come essenza dell'uomo e quindi come fondamento dell'antropologia: il desiderio è la proiezione dell'individuo verso gli oggetti, e non la «mancanza» dell'oggetto (E. Balibar 1988:102). Riscontriamo già in questa sintesi una serie di definizioni del desiderio abbastanza significative nella loro pluralità e nelle loro convergenze: spunti teorici che troveremo, variamente articolati, nelle teorie di cui ci occuperemo. 2.2 È nella lettura della Fenomenologia dello Spirito di Hegel operata da A. Kojève negli anni ’30 a Parigi che troviamo quelle caratterizzazioni del concetto di desiderio che saranno variamente sviluppate nella filosofia francese (e non solo) successivamente e che faranno parlare, non senza qualche polemica, di temperie hegejeviana (S. Benvenuto 2006). Per quanto ci riguarda riteniamo che l’Introduzione alla lettura di Hegel di A. Kojève (1996) rappresenti, per il quadro che intendiamo delineare, un inevitabile e produttivo punto di partenza. In questa Introduzione troviamo una dialettica del desiderio risultante dalla Fenomenologia dello Spirito letta e commentata come un’antropologia filosofica. Troviamo in Hegel che il desiderio è proprio dell’autocoscienza che come tale si desidera negli oggetti dei quali deve «sperimentare dolorosamente la loro ‘indipendenza’ dato che può soddisfare il proprio desiderio solo attraverso la loro mediazione» (G.W.F. Hegel ed. 1973:189). Proseguendo su questo percorso Kojève sottolinea il fatto che il desiderio umano – antropogeno- è fondamentalmente desiderio di riconoscimento. «esso [desiderio umano] differisce dunque dal Desiderio animale .... per il fatto che si dirige non verso un oggetto reale, “positivo”, dato, ma verso un altro Desiderio. Così, per esempio, nel rapporto tra l'uomo e la donna, il Desiderio è umano unicamente se l'uno non desidera il corpo bensì il desiderio dell'altro, se vuole “possedere” - o “assimilare” il Desiderio assunto come tale, se cioè vuole essere “desiderato”, “amato” o, meglio ancora, “riconosciuto” nel suo valore umano, nella sua realtà di individuo umano. Parimenti, il Desiderio che si dirige verso un oggetto naturale è umano soltanto nella misura in cui e “mediato” dal Desiderio di un altro che si dirige sullo stesso oggetto: è umano desiderare ciò che gli altri desiderano, perché lo desiderano. Cosi, un oggetto perfettamente inutile dal punto di vista biologico (come una decorazione o il vessillo dei nemico) può essere desiderato perché è oggetto di altri desideri. Un tale Desiderio non può che essere un Desiderio umano, e la realtà umana come realtà diversa da quella animale si crea solo mediante l'azione che soddisfa tali Desideri: la storia umana è la storia dei desideri desiderati» (A. Kojève 1996:20) (corsivi miei). E quindi in questa dialettica del desiderio troviamo che «All'opposto della conoscenza, che mantiene l'uomo in una quiete passiva, il desiderio lo tiene in- quieto e lo spinge all'azione. Essendo nata dal Desiderio, l'azione tende a soddisfarlo, e può farlo solo mediante la “ negazione “, la distruzione o, per lo meno, la trasformazione dell'oggetto desiderato: per soddisfare la fame, ad esempio, occorre distruggere o, in ogni caso, trasformare il nutrimento. Pertanto, ogni azione è “negatrice”. Lungi dal lasciare il dato così com'è, l'azione lo distrugge; se non nel suo essere, almeno nella sua forma data. E, in rapporto al dato, ogni “negatività-negatrice” è necessariamente attiva. Ma l'azione negatrice non è puramente distruttiva. Infatti, se l'azione che nasce dal Desiderio, per soddisfarlo, distrugge una realtà oggettiva, al suo posto essa crea, in e mediante questa stessa distruzione, una realtà soggettiva. [...] In generale, l'Io del Desiderio è un vuoto che riceve un contenuto positivo reale solo dall'azione negatrice che soddisfa il Desiderio, distruggendo, trasformando e “assimilando” il non-Io desiderato. Il contenuto positivo dell'Io, 4
  • 5. costituito dalla negazione, è una funzione del contenuto positivo del non-Io negato» (A. Kojève 1996:18) (corsivi miei). Judith Butler poi, così scrive del rapporto tra tempo e desiderio nella lettura kojèviana di Hegel: «Il desiderio è un nulla che è essenzialmente temporalizzato: un “nulla rivelato” o un “vuoto irreale” che vuole essere riempito e che, attraverso tale desiderio, crea un futuro temporale. Con “tempo”, Kojève intende il tempo vissuto, l'esperienza del tempo condizionato dal modo con cui gli agenti creano, attraverso le loro speranze, paure e memorie, un'esperienza specifica del futuro, del presente e del passato. L'esperienza del desiderio, in particolare, fa emergere l'avvenire (futurity) «il moto generato dall'Avvenire è il moto generato dal desiderio» (A. Kojève 1996:457). In linea con il suo rifiuto dell'”essere naturale” considerato irrilevante per la coscienza umana, Kojève abbandona il tempo naturale a favore di una temporalità umana essenzialmente strutturata dal desiderio e dalla tensione al suo soddisfacimento. Il desiderio insoddisfatto è un'assenza che circoscrive il tipo di presenza per mezzo della quale esso potrebbe abbandonare se stesso in quanto assenza. Nella misura in cui il desiderio postula se stesso come vacuità determinata, ossia come vuoto di un qualche specifico oggetto o Altro, è esso stesso una sorta di presenza; esso è “la presenza di un'assenza”; in effetti, tale assenza “sa” ciò che manca. Si tratta di quel sapere tacito che è 1'anticipazione. L'anticipazione della soddisfazione da origine all'esperienza concreta dell'avvenire. Il desiderio rivela, quindi, l'essenziale temporalità degli esseri umani» (J. Butler 2009:80). Kojève poi, attraverso una serie di torsioni dei concetti hegeliani, visti in chiave antropologico-heideggeriana, struttura un nucleo teorico che troverà vari sviluppi e articolazioni nella filosofia francese del ‘900, particolarmente in Bataille che riterrà la vera lezione di Kojève consistente nel fatto che «l’uomo diviene sempre “altro”. L’ animale che differisce di continuo da se stesso [...] il desiderio come perenne desiderio di altra cosa». (G. Bataille 1988 in M. Borch-Jacobsen 1999:93). In Kojève il desiderio, infine, è ciò crea il soggetto attraverso le sue istanze, il desiderio non viene dopo il soggetto ma lo precede determinando le modalità dell’essere del soggetto stesso. Vale a dire che il desiderio è intenzionale ed è in tale campo che prende forma l’identità del soggetto. L’intenzionalità del desiderio- come intenzionalità della coscienza (riferimento d’obbligo e F. Brentano 1874 ed. 2009)- muove sempre in un confronto con la realtà sociale. In questo confronto emerge un soggetto che, come rileva J. Butler 2009:75), non è ciò che è ma diviene ciò che non è, anticipando la concezione sartriana dell’in sé e del per sé. 2.3 Jacques Lacan, facendo propria la lezione kojèviana fa del desiderio uno dei fondamenti della sua teoria psicoanalitica (e della relativa clinica). Sinteticamente ne indichiamo qui di seguito alcuni punti (J. Lacan 1958-59 1974 1978 1982) ripresi con una certa continuità da vari studiosi di quest’area. 2.3.a- Nel percorso della coscienza infelice troviamo anzitutto la originaria mancanza-a- essere del soggetto che trova nel complemento materno la soddisfazione del suo bisogno primario. 2.3.a.a «..il desiderio è una mancanza generata dal tempo precedente che serve a rispondere alla mancanza suscitata dal tempo conseguente ..» (J. Lacan 1979:122) (corsivi miei). 2.3.b- Al successivo stadio pulsionale è connesso il vettore del desiderio orientato verso oggetti e sostituti. 2.3.c- Il desiderio quindi si produce nell’al-di-là e nell’al-di-qua della domanda che lo anima dispiegandosi nel luogo dell’Altro (Ordine simbolico). Esso non è riducibile, come tensione continua, all’automatismo dei bisogni. 5
  • 6. 2.3.d- Il desiderio è dell’Altro: non siamo noi il soggetto che desidera, ma è l’Altro a desiderare, e questo Altro è l’inconscio con le sue strategie. 2.3.d-a «Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro, in cui dell è la determinazione che i grammatici chiamano soggettiva, ciò che egli desidera in quanto Altro (e che costituisce la vera portata della passione umana). Ecco perché la questione dell’Altro, che ritorna al soggetto dal posto dove questi ne attende un oracolo, nella formazione di un Che vuoi? è quella che meglio lo conduce alla strada del proprio desiderio» (J. Lacan 1979:135). Ma il desiderio umano è anche, come abbiamo visto (vedi punto 2.2), desiderio del desiderio dell’altro nel senso che vuole essere ciò che all’altro manca, la causa del suo desiderio. Il desiderio sembra, così, preso in una specie di doppio vincolo batesoniano, abbiamo cioè, da una parte, il soggetto con l’Altro che desidera per lui e, dall’altra, il soggetto in rapporto con l’altro del «Cosa vogliono gli altri da me? Cosa vedono in me? Cosa sono io per quegli altri?» (S. Žižek 2009:98), ovvero quell’area che R. Girard (1965 1999) definisce del desiderio mimetico. 2.3.e- Il desiderio è una metonimia. 2.3.f- Il desiderio è la metonimia della mancanza-a-essere. 2.3.g- Il desiderio è pertinente al fantasma secondo l’algoritmo S/ <> a (‘S/’ indica il soggetto barrato, il punzone ‘<>’ è il desiderio, ‘a’ è l’oggetto del desiderio detto anche ‘oggetto piccolo a’- il punzone si legge ‘desiderio di’ e si legge in entrambi i sensi). Il fantasma per Lacan è ciò che tiene per il soggetto il posto del reale (J. Lacan 1974), esso è il motore della realtà psichica e il desiderio stesso è supportato dal fantasma di cui una parte è nell’Altro (Ordine simbolico). Il fantasma lacaniano è irriducibile all’immaginazione ma ne costituisce un effetto, esso è una immagine posta in funzione nella struttura significante e marca con la sua presenza la risposta del soggetto alla domanda. 2.3.h- Il desiderio si avvita in una dinamica senza fine sul bordo di un vuoto che è propulsore e costitutivo del soggetto. 2.3.i- Il desiderio, in relazione all’oggetto, è preso in una dialettica della negazione (vedi anche punto 2.2), ovvero «nel quadro della teoria lacaniana il desiderio non può avere in realtà alcun oggetto, pena non essere più ciò che è: la negatività pura e semplice di un soggetto che si desidera nei suoi oggetti (Hegel) e che può farlo solo negandosi di continuo in essi, negandoli via via come ciò che egli non è -un “oggetto dato” (Kojève), una cosa “in-sé” (Sartre). È dunque escluso che il soggetto- desiderio abbia la benché minima relazione con un oggetto (la famosa “relazione d'oggetto” dei post-freudiani (Sem. IV, sedute del 21 e 28 novembre 1956), poiché l'oggetto, lungi dall'essere ciò con cui entra in un rapporto di complementarità o di armonia, è invece ciò che egli stesso è “non essendo!” In tal senso, l'oggetto è sempre un “fallito”» (J. Lacan 1983:58 in M. Borch-Jacobsen 1999:242). 2.3.l- Il desiderio umano è pur sempre teso alla ricerca di senso e tende a congiungere natura e cultura avendo quello sfondo di ambiguità con la latenza inquietante del perturbante freudiano (F. Ciaramelli 1994) ovvero l’unheimliche, il nucleo di ciò che coniuga in maniera inquietante lo spaventoso e il familiare. 2.3.m- Il desiderio non si appaga come il bisogno, di un oggetto, ma si radica nell’immaginario del soggetto (J. M. Palmier 1972). 2.3.n- Rispetto al desiderio la posizione di G. Deleuze si colloca criticamente all’incrocio di due direttrici, da una parte Deleuze insiste sull’errore di far derivare il desiderio dalla mancanza, da un’altra parte pone in evidenza la natura sovraindividuale del desiderio nel senso che il soggetto desiderante è sempre preso in un campo di desideri, all’interno di un 6
  • 7. flusso collettivo di desideri. Deleuze pone sotto accusa quell’area filosofico-psicoanalitica che tratta del desiderio partendo dalla mancanza ritenendo che in tal modo non si tiene conto della autentica natura del desiderio il quale si colloca nella dimensione dell’eccesso divenendo una forza produttiva e creativa. «Ci si obietta che sottraendo il desiderio alla mancanza e alla legge, non si potrà ottenere altro che uno stato di natura, un desiderio realizzato naturalmente e spontaneamente. Noi diciamo esattamente il contrario: non esiste desiderio se non all’interno del costruire o dell’operare. Non si può afferrare o concepire un desiderio al di fuori di una determinata costruzione, su di un piano che non sia preesistente, ma che deve esso stesso essere costruito. Che ciascuno, gruppo o individuo, costruisca il piano immanente dove condurre la sua vita ed i suoi progetti è la sola cosa che conta. Al di fuori di queste condizioni, viene infatti a mancare qualcosa, ma si tratta precisamente delle condizioni che rendono il desiderio possibile» (G. Deleuze 1996:59). Ma il desiderio, per Deleuze, in ogni caso cambia, esso è soggetto storicamente al mutamento e tende a strutturarsi sempre come combinazione, concatenazione di desiderio. «Finora si è parlato di desiderio astrattamente perché si è isolato un oggetto che si suppone essere l’oggetto del desiderio, e allora si può dire ‘desidero una donna, desidero partire per un viaggio…’ E noi dicevamo [Deleuze e Guattari] una cosa semplice: non si desidera mai veramente qualcuno o qualcosa. Si desidera sempre un ‘insieme’.[…] Quando una donna dice ‘desidero un vestito’ è evidente che non lo desidera in astratto. Lo desidera nel suo contesto, nella sua organizzazione di vita. Il desiderio è non solo in relazione a un paesaggio, ma a delle persone, i suoi amici, la sua professione. Non si desidera mai qualcosa di isolato. Ma ancora, non desidero neanche un insieme, desidero in un insieme. In altri termini non c’è desiderio che non scorra in un concatenamento. […] Desiderare è costruire un concatenamento, costruire un insieme. L’insieme di una gonna, di un raggio di sole…di una strada, il concatenamento di un paesaggio, di un colore. Ecco cos’è il desiderio. E costruire un concatenamento significa costruire una regione. Concatenare. Il concatenamento è un fenomeno fisico, è come una differenza. Perché accada qualsiasi evento c’è bisogno di una differenza di potenziale e ci vogliono due livelli, bisogna essere in due, allora accade qualcosa. Un lampo o un ruscelletto e siamo nel dominio del desiderio. Un desiderio è costruire. Tutti passiamo il nostro tempo a costruire. Per me quando qualcuno dice ‘desidero la tal cosa’ significa che sta costruendo un concatenamento. Il desiderio non è nient’altro» (G. Deleuze 1996b:111). 2.4 Questa sommaria perimetrazione del desiderio umano, nella sua dialettica, nella sua ambiguità di fondo, nel suo rapporto con l’oggetto, il fatto che l’oggetto è desiderato per la sua soggettivazione, che è sempre fallito, che andrebbe a collocarsi nel luogo della mancanza dell’altro: tutto ciò già indica che il desiderio umano produce e può essere prodotto. A questo punto è già possibile affermare che il desiderio, alla luce delle teorie marginaliste- e attraverso il concetto di economia libidinale di Lyotard (1978) (vedi punto 5.6.3)- si inquadra come partecipe del movimento economico, dato che il desiderio è nello stesso tempo una componente del circuito economico e un drive per l’Immaginario. Conseguenza di ciò è la soggettivizzazione del valore a misura di desiderio: ciò che comporta la valorizzazione economica degli aspetti immateriali, immaginari, simbolici. (F. Carmagnola 2006). 2.5 Vogliamo occuparci in questa parte di quanto scrive Carmagnola (2006:119) nel paragrafo “Le irrisolvibili ambiguità del desiderio” in cui vengono individuati in modo articolato aspetti del desiderio che riteniamo particolarmente significativi. 7
  • 8. 2.5.a- L’economia dei beni simbolici o dell' immaginario è da intendersi certamente come economia del desiderio. 2.5.b- Il divenire economico del desiderio come desiderio “dell’altro” presenta una serie di scansioni: - “desiderio di essere desiderato” (dall’altro); - “desiderio di essere come l’altro”; - “desiderio infinito di altro... che nessun oggetto è in grado di colmare”; - relativo al desiderio feticista abbiamo il desiderio ricorsivo, “desiderio come desiderio di desiderio” (corsivi miei). Carmagnola ) così riassume questa sua linea teorica: «L’economia del desiderio oggi è la piena integrazione della pulsione al circuito allargato della valorizzazione. Essa pare raggiungere, al suo estremo, un risultato paradossale: suscita e incrementa il desiderio, in modo tale che la sua stessa vuotezza finisce per devitalizzarlo, trasformandolo in nulla» (F. Carmagnola 2006:124). E aggiunge che «quando il desiderio diventa desiderio di nulla finisce per uccidere se stesso nella noia e nell’angoscia della pura coazione. Più che desiderare il nulla, il vuoto simbolico della brand, si finisce a non desiderare più nulla. Il carattere ricorsivo e vuoto del desiderio diventa comportamento nichilistico» (F. Carmagnola 2006:126). Carmagnola a questo punto evidenzia schematicamente quattro possibilità: - (1- Presenza) l’oggetto del desiderio è « trascendente e oscuro.. è promessa di felicità»; - (2- Assenza) il desiderio si avvita «nella ripetizione vuota e autoreferenziale»; - (3- Eccedenza) il desiderio diviene «pulsione antropologica all’eccesso» (i riferimenti sono Bataille e Sade); - (4- Funzionalità) il desiderio «è tutto interno al circuito economico, il suo oggetto è immanente al mercato» (il riferimento è S. Kinsella – 2008- della serie I love shopping) (F. Carmagnola 2006:127). Sull’asse 2 – 4 Carmagnola (2006:127) individua il «terreno di espansione del nichilismo» e sull’asse 1 – 2 «il terreno dell’utopia». 2.5.c- - Il nichilismo come tragico sfondo culturale, esito del disincanto del mondo, si staglia sullo sfondo di un disagio che si è accentuato in questi ultimi anni contribuendo a far emergere le contraddizioni del sistema globale con le sue paure calcolate e le sue felicità fantasmatiche. Un’epoca delle passioni tristi (M. Benasayag G. Schmit 2004 e U. Galimberti 2008) in cui il futuro-promessa è stato sostituito dal futuro-minaccia per cui il desiderio tende a bloccarsi in un presente in cui la libido narcisistica prevale sulla libido oggettuale in una diffusa, dominante insicurezza. In tale spazio hanno certamente buon gioco la regressione feticistica nel campo di un immaginario appositamente prodotto. Questo oscillare del desiderio tra un nichilismo legato alla sua vuotezza e un’utopia che che «ne fa il motore di una dinamica simile alle forze produttive» produce un squilibrio che per Carmagnola (cit.) consente al desiderio di sfuggire (marxianamente) «alla legge dell’equivalenza». Prende forma così una dinamica che comprende sia l’irriducibilità del desiderio al bisogno sia l’irriducibilità del desiderio alla domanda. Questa dinamica emerge in una prospettiva psicoanalitica nella quale il desiderio «cerca di imporsi senza tener conto del linguaggio e dell’inconscio dell’altro ed esige un riconoscimento assoluto» (corsivi miei) (J. Laplanche J. B. Pontalis 1968 in Carmagnola 2006:129). 8
  • 9. Aggiungiamo che, sempre in ambito psicoanalitico, il desiderio (Begierde) è pur sempre legato alle leggi del processo primario e trova la sua soddisfazione in riproduzioni allucinatorie connesse all’identità di percezione. Esso non consiste in una relazione con un oggetto reale ma, per Lacan, sorge come scarto tra il bisogno e la domanda (punto 2.3.c) ed è connesso, come abbiamo visto, al fantasma. 2.6 Il desiderio non è una cosa semplice scrive Lacan ripreso poi da F. Carmagnola (2007) che sviluppa ulteriormente una serie di serrate analisi del problema individuando nell’ágalma quella nozione particolare che emerge originariamente nel Simposio platonico quando Alcibiade espone la sua verità rivelando il suo desiderio per Socrate, ovvero non per il sileno Socrate ma per il tesoro, l’entità fantasmatica che Socrate ha in sé. Questa nozione trova una sua propria accezione produttiva in Lacan che «di fatto ha inventato ágalma, lo ha messo all’ordine del giorno per noi.. […] è Lacan a fargli fare una torsione verso il vuoto, a farne il segno dell’incessante desiderio, a consegnarcelo come emblema di quel soggetto moderno contrassegnato dalla mancanza costitutiva e strutturale» (corsivi miei). (F. Carmagnola 2007:19) Ágalma in Lacan «è quell’oggetto che il soggetto crede essere la mira del suo desiderio, e dove porta all’estremo il misconoscimento dell’oggetto come causa del desiderio» (J. Lacan 2006:41). Ma Ágalma è un termine polisemico e Carmagnola ne declina i vari significati seguendo Lacan: .apparizione, fantasma, oggetto che introduce nel soggetto […] un vacillamento- .ornamento, parure- .oggetto prezioso- .oggetto non-oggetto- .richiamo, trucco, oggetto insolito- .oggetto parziale- .incarnazione immaginaria del soggetto- .punto di apparizione non iconico, non rappresentativo del divino-reale- .oggetto noyau (F. Carmagnola 2007:33) Ágalma come oggetto parziale si presenta naturalmente come entità privilegiata dato che la sua parzialità costituisce ciò che nutre la vettorialità del desiderio nella sua forte caratterizzazione immaginaria, ma che è pertinente ad un Reale (vedi punto 4.7). Connesso con questo significato troviamo ágalma come incarnazione immaginaria del soggetto il quale in tale incarnazioni trova una serie di figurazioni tra le quali il suo essere marcato dalla lacaniana mancanza-a-essere. L’ultima significazione, oggetto noyau, invece, indica sia una connessione col desiderio sia tutto ciò che va dall’inconscio al soggetto e che si sottrae alla coscienza condensandosi proprio in ágalma. Una prima conclusione di Carmagnola è che ágalma si colloca in una duplice dinamica: da una parte abbiamo forme di spiazzamento, da un’altra abbiamo la tensione verso forme di valorizzazione: dinamiche articolate tra l’immaginario e il reale (vedi punto 4.3.1). Risulta già abbastanza evidente, a questo punto, come ágalma sia strettamente in rapporto con l’universo della merce, rapporto di cui ci occuperemo più avanti. 9
  • 10. 3 Lo spettacolo e la coscienza del re 3.1 Ci occuperemo ora dell’ambito filosofico-politico della Società dello Spettacolo di G. Debord, un’area che molti autori che oggi si occupano di economia dell’immaginario evitano di attraversare, come abbiamo già accennato, per varie ragioni ma che rimane, a nostro avviso, una riferimento importante per una serie di motivi di cui vogliamo accennarne alcuni. -La società dello spettacolo costituisce lo sfondo sul quale, ieri come oggi, prendono forma le dinamiche e i processi relativi al desiderio, al consumo delle immagini, all’immaginario ed alla fiction economy. -Gran parte di quello che è successo sulla scena sociale, politica, comunicativa ed anche urbanistica degli ultimi cinquant’anni era profeticamente presente nelle intuizioni di Debord e dei suoi amici situazionisti come opportunamente ha sostenuto Agamben (1988) -Come abbiamo già scritto (P. Stanziale 2008) la storia ha dato alle domande debordiane, risposte invertite in relazione alle ideologie connesse con lo sviluppo capitalistitico per cui l’apparato critico debordiano viene usato contro Debord stesso (G. Debord 2002). -Per Debord «Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale» (G. Debord 2002:58). -La società dello spettacolo, nella sua ideologia di fondo, si presenta come quell’Ordine (l’Immaginario) in grado di generare consenso collettivo (S. Žižek 2004). -La società dello spettacolo trova una sua modalità di lettura nell’intenderla come come il trionfo dell’immaginario simbolizzato a misura di simbolico (vedi punto 4.7) . 3.2 La società dello spettacolo (SdS) di Debord rappresenta inconfutabilmente un punto di non ritorno nell’ambito di una teoria critica della società, critica, nel senso che sarà sempre della Sds che occorrerà tener conto per comprendere correttamente le strategie di autoriproduzione e accumulazione capitalistiche. Proposte di analisi come quelle contenute nei concetti di accesso rifkiniano, di new economy, di alienazione biotecnologica, di economia finzionale, viste in una loro collocazione critica, non possono non essere ricondotte alle concezioni di fondo della Sds, unitamente alle analisi di R. Vaneigem e degli altri situazionisti ortodossi e non. La Sds corrisponde, ad una fase storica di ristrutturazione del capitale - nella seconda metà del ‘900 - che consolida talune strategie di dominio nell’ambito produttivo e dà origine a nuove direttrici di consumo relative al passaggio all’avere e al baudrillardiano simulare. Per Debord, 10
  • 11. inoltre, il divenire immagine del capitale si realizza nella metamorfosi della merce che tende a perdere il suo valore d'uso acquistando valore a partire dall'immaginario sociale. 3.3 È possibile inoltre verificare come vi sia una corrispondenza tra elementi teorici debordiani ed alcuni significativi ambiti analitici contemporanei. In particolare la distinzione debordiana tra società in cui lo spettacolo si presenta concentrato, diffuso o integrato (Sds e Commentari del 1997) viene, per molti aspetti ad avere un riscontro con le fasi dello sviluppo del capitalismo dei consumi esaminate da Lipovetsky (2007) ovvero: 1) la fase della nascita dei mercati di massa, 2) la fase del ciclo storico che inizia negli anni ’50 caratterizzata dalle società del consumo di massa- e che richiama ampiamente lo spettacolare diffuso debordiano, 3) la fase infine che va oltre lo standing ed è caratterizzata dai consumi emotivi ed è pertinente alla organizzazione economica post-fordista e al turbo-consumerismo, segnando il destino felice dell’ homo consumericus. Questa terza fase corrisponde, per moltissimi aspetti a quella dello spettacolo integrato nel suo senso ultimo, quando la spettacolarità «si è mescolata ad ogni realtà…. perché l’esperienza pratica del compimento sfrenato della volontà della ragione mercantile mostra, rapidamente e senza eccezioni, che il divenir-mondo della falsificazione era (è) anche un divenir-falsificazione del mondo» (G. Debord 1997:194). 3.4 Le 72 tesi dei primi tre capitoli della Sds tracciano un percorso organico, partendo dal concetto di separazione - che riprende in una prospettiva innovativa sia il concetto di alienazione (sulla linea Hegel, Feuerbach, Marx) che il concetto di scissione (del Lukàcs della Teoria del romanzo) - per giungere al concetto di falsa unità che informa di sé tutta la realtà spettacolare. La separazione che si compie per Debord (con riferimento anche all’eccesso di metafisica lukàcsiano) sembra portare a compimento quel processo di scissione tra il soggetto e se stesso originato dalla rottura dell’unità presente nel mondo greco. 3.5 Debord tratta del dominio proprio di una società che è dello spettacolo in cui «all’affermazione dell’apparire corrisponde una separazione dalla vita» (G. Debord 2002:64). Lo spettacolo, quindi, si fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e pervasivo il suo essere capitale. Sono presenti in questi assunti del primo capitolo rielaborazioni tratte dal giovane Marx, quando scrive dell’alienazione nella società borghese, mentre il secondo capitolo riprende il concetto di feticismo della merce sulla linea Marx-Lukàcs. Debord afferma che il predominio dello spettacolo si attua attraverso l’occupazione della vita sociale da parte della merce. A ciò corrisponde la vittoria del valore di scambio sul valore d’uso in una società che sancisce la vittoria dell’economia autonoma. Ma è nel rapporto tra economia e società che Debord individua una possibile forma di riscatto là dove, infine, l’economia finirebbe col dipendere pur sempre dalla società e dalla lotta di classe. Parafrasando Freud, Debord afferma che l’Io deve situarsi là dove c’era l’es economico e, politicamente, che «il desiderio della coscienza e la coscienza del desiderio» costituiscono un unico progetto mirante all’abolizione delle classi (G. Debord 2002:155). 3.6 È inevitabile, a questo punto, affrontare quell’importante nodo teorico riguardante il rapporto indissolubile tra economia, spettacolo e immaginario. Nodo borromeo che si fa struttura 11
  • 12. divenendo un nucleo dialettico in grado di articolare in modo evolutivo le intuizioni debordiane. Questa struttura traduce fondamentalmente il significato e il significante della merce ovvero l’immagine-merce, il feticcio-merce, ovvero fascinazione, illusione, scambio, consumo. Ciò in una fase di evoluzione strutturale dell’economia verso una evidente ed affermata sua autonomia che può essere ben correlata alle marxiane due astrazioni/alienazioni (A. Jappe 1999) ovvero lo Stato e il Denaro riguardanti il divenire membro di una comunità e l’accesso al mondo del lavoro. L’ipostatizzazione di queste astrazioni/alienazioni si concreta nello spettacolo da intendersi come ideologia materializzata (G. Debord 2002 cit.), ambito che vedremo in seguito in una prospettiva diversa. Questi riferimenti che attualizzano, attraverso Debord, le istanze del giovane Marx vengono riaffermate- come giustamente sottolinea Jappe - nel Capitale che individua nell’astrazione la forma-merce dell’economia moderna. 3.7 Come nota, poi, M. Pezzella (1996:78) il potere economico richiama immediatamente un immaginario inseparabile dal desiderio (come vedremo in seguito), un immaginario che va oltre il valore d’uso realizzando il valore di scambio. Si tratta qui di individuare «l’economia nella sua cultura» (W. Benjamin 1986:595 in Pezzella 1996:79) che mostra come economia e immaginario siano termini legati da un indissolubile legame funzionale nell’ambito di quella economia libidinale di cui parla Lyotard (1978) in cui il dispositivo pulsionale si mobilità rispondendo alle sollecitazioni feticistiche della merce (vedi punto 5.6.3). Per quanto riguarda lo spettacolo esso non è una sovrastruttura - nel tradizionale linguaggio marxista - e neanche una simulazione (J. Baudrillard 1979). Esso, nel contesto della Sds, è allo stesso tempo: una figurazione dell'immaginario (la fantasy/fiction žižekiana), una tecnica di produzione e un motore della circolazione del capitale. 3.8 Versante di articolazione di questa struttura, e costituente importante di essa è, ancora una volta, il desiderio. Lacan che scrive che «lo sfruttamento del desiderio è la grande invenzione del discorso del capitalista, perché dopotutto bisogna indicarlo col proprio nome. Devo dire che è un marchingegno maledettamente riuscito» (1974:513). Il desiderio nei situazionisti ha una ruolo centrale. Lo troviamo variamente concettualizzato sia in Debord che in Vaneigem il quale struttura una vera e propria antropologia del desiderio (P. Stanziale 2004), risvolto inevitabile di una soggettività radicale (R. Vaneigem 1994 2004). 3.9 Nel terzo capitolo della Sds Debord mostra come nella sua unità fittizia, lo spettacolo tenda a mascherare le contraddizioni e le lacerazioni della società e dei poteri che la dominano. La banalizzazione, la vedette specializzata nel vissuto apparente, le finte lotte spettacolari: tutto ciò rappresenta un artificiale che traduce nello spettacolare la falsificazione della vita sociale. Uno spettacolare che si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso a seconda della miseria che smentisce o mantiene (troviamo qui già delineato, anche se su un piano diverso, quanto emerge dalla dialettica RSI di cui ci occupiamo nei Capitoli 4 e 5). 12
  • 13. 3.10 Per quanto riguarda le risposte invertite alle domande debordiane troviamo che queste sono fatte proprie dal marketing di aziende (Negozi Hollister ecc. - M. D’Ambrosio 2008), la deriva debordiana è sperimentata e istituzionalizzata da Facoltà di Architettura romane e torinesi ed è presente in alcuni format TV nei quali vengono costruite situazioni emozionanti da attraversare. Il gruppo Luther Blisset (oggi Wu Ming), anche, ha fatto la sua parte (P. Stanziale 1998) con le relative denigrazioni e con critiche di cui qualcuna, a nostro avviso, fondata. Che dire poi di quel gigantesco dètournement pervasivo che prende il nome di postmoderno, figurazioni che assemblano stili precedenti secondo un progetto ludico, partecipando ad uno spettacolo globale, ad un immenso “simulacro immaginifico” (F. Jameson 1994) tra stereotipizzazioni e nostalgie. 3.11 La narrazione situazionista ebbe indubbiamente successo (G. Debord G. Sanguinetti 1999 P. Virno 1999 P. Stanziale 2008) ma la sua spinta si infranse contro la massiccia affermazione del dominio capitalista in espansione, vittoria e sconfitta dunque- come affermato da molti- ma anche lo stabilizzarsi di un nucleo di teoria critica di riferimento come tappa importante di un itinerario che, partito da lontano, deve essere ripreso e organicamente integrato con nuovi e più incisivi strumenti di analisi a fronte di scenari contemporanei stagliati sullo sfondo di reticoli schizoidi in cui il soggetto è frammentato, risucchiato tra forme di estetizzazione di massa e mercificazioni edonistiche, tra godimenti autoritari, esaltazioni narcisistiche ed esplosioni nichilistiche. Il tutto costituendo le nuove frontiere dello spettacolo che tende in modo sempre più pressante a saturare quella totalità che R. Vaneigem (1994) in Banalità di base (Tesi 24) intende come «la realtà oggettiva nel cui movimento la soggettività può inserirsi sotto forma di realizzazione» e «là dove non vi è realizzazione vi è lo spettacolo». 3.12 Il concetto di società dello spettacolo rappresenta indubbiamente un riduttore di complessità contribuendo ad un comprensione critica dell’universo socio-politico attuale. Questo perché lo spettacolo- come abbiamo già visto- ha assunto un valore strutturale con tutto ciò che ne deriva sia per l’economia del soggetto che per l’ambito sociale e politico. Il passaggio dalla società post-industriale alla società del dominio spettacolare ha avuto una duplice conseguenza: l’emergere di una diversa strategia di potere basata su parametri, che sono andati a modificare vari ambiti tra cui quelli biologici, politici e comunicativi, e il fatto che tutto questo è avvenuto nel cuore stesso del sociale che il potere ha potuto ristrutturare secondo i sui nuovi indirizzi. Lo spettacolare integrato debordiano è stato il risultato di questo stato di cose, riuscendo ad imporsi in modo autonomo e articolato divenendo una funzione vitale costitutiva della volontà individuale. 13
  • 14. 3.13 Secondo J-L Nancy (2001), infine, la critica dell’attuale globalizzazione capitalistica, passa per la critica del radicalismo filosofico situazionista alla società dello spettacolo, intesa (quest’ultima) come il compimento della «mercificazione generale dei feticci […] con la produzione e il consumo di beni materiali e simbolici (tra cui, in primo luogo, l’ordinamento del diritto democratico) che hanno tutti il carattere d’immagine, d’inganno o di sembiante» (J-L. Nancy 2001:98). La società dello spettacolo è, in ultima analisi, quella «che porta a compimento pieno l’alienazione, grazie ad un’appropriazione immaginaria dell’appropriazione reale. Il segreto dell’inganno è questo: l’appropriazione reale non è altro che una libera immaginazione creatrice di sé, indissolubilmente individuale e collettiva ma la merce spettacolare, in tutte le sue forme, non è a sua volta altro che un immaginario venduto al posto di questa immaginazione autentica» (J-L. Nancy 2001:121). Nancy partendo da queste analisi ritiene che la critica situazionista sia inficiata dalla metafisica dicotomia tra una verità dell’essere vs una fallace apparenza: «il limite della critica situazionista consisterebbe nel non aver compreso appieno ciò che rendeva manifesto, ossia la costitutiva dimensione simbolico-spettacolare del legame sociale […] la questione [è quella] di capire se lo spettacolo non sia, in un modo o nell’altro, una dimensione costitutiva della società: in altri termini, se ciò che chiamiamo il legame sociale possa essere pensato al di fuori di un ordine simbolico e se quest’ultimo possa a sua volta essere concepito al di fuori di un registro dell’immaginazione o della figurazione, che sembrerebbe necessario, a questo punto, ripensare daccapo […] può darsi che il fenomeno dello spettacolo generalizzato, con la dimensione, diciamo tele-mondiale, che non soltanto lo accompagna, ma che gli è consustanziale, riveli tutt’altro, se ci sforziamo di decifrarlo altrimenti» (J-L. Nancy 2001:132). Ci sembra opportuno a questo punto considerare che: -effettivamente è necessario ripensare il rapporto tra legame sociale e ordine simbolico; -se in linea di principio vi possono essere fondamenti validi per una critica al situazionismo ciò non toglie che lo spettacolismo nelle società occidentali tende sempre più ad estremizzarsi giungendo alla negazione e ed allo sfruttamento spettacolare del soggetto attraverso forme sempre più esasperate di espropriazione, come in certa spettacolarità mediale; in tale ambito il con-essere e la com-parizione di cui parla Nancy nel suo Essere singolare plurale (2001) divengono partecipi di una omologazione generalizzata che elude ogni autenticità; -certamente l’ontologia della com-parizione è da considerarsi il primo e fondamentale passo di un pensiero critico rinnovato ma bisogna fare ancora i conti con tutta una serie di modalità attraverso cui la società dello spettacolo partecipa a forme evidenti di patologia nella dimensione dell’essere sociale. E in questo ambito di valutazioni ci sembra pertinente citare Robert Kurz «[Le idee di Debord] sono perfino più attuali che mai. Debord, nel suo tempo, tenne in vista principalmente il mezzo spettacolare televisivo constatando uno sviluppo del moderno feticismo giunto a un grado di accumulazione del capitale in cui esso diventa immagine e sostituisce interamente il mondo sensoriale con una selezione delle immagini. Ciò naturalmente non si riferisce solo alla semplice tecnologia mediale ma a una nuova qualità della sussunzione reale al capitale (Marx), una sussunzione non solo dei processi di produzione, ma della totalità della vita e della totalità dell'esperienza, a una feticizzazione di tutte le relazioni fino all'intimità, come [sopra] ho già suggerito, come soggezione di tutte le sfere della vita alla astrazione reale del valore e come liberazione dell'individuo astratto. A ciò corrisponde una medializzazione del quotidiano in cui i mezzi tecnici di comunicazione non si autonomizzano per sé, ma nel loro carattere inscritto nella merce e, in un certo modo, duplicano il feticismo della forma merce. Questo sviluppo si è drammaticamente intensificato con le nuove tecnologie della comunicazione della terza rivoluzione industriale. Ora, non si tratta appena di cruda tecnica, ma di una virtualizzazione generale del mondo della vita, come si può vedere nell'onnipresenza del telemobile, SMS etc. e soprattutto di Internet. Ciò va di pari passo con la virtualità del nuovo capitalismo finanziario, che si è staccato dall'accumulazione reale del capitale, come fenomeno di crisi. Nel virtualismo del 14
  • 15. pensiero postmoderno, tutto questo processo fu ideologizzato e parzialmente compreso male come emancipazione. Ma non é altro se non un'espressione della crisi del soggetto, nella quale si riproduce come fenomeno della coscienza il limite interno del moderno sistema produttore di merci» (2006). 3.14 Un esito pervasivo della società dello spettacolo riscontrabile nelle società avanzate, infine, è quello che Vanni Codeluppi (2011:91) chiama spectacle/performance paradigm. Uno stato in cui nei soggetti non esiste più nessuna separazione tra la dimensione pubblica e quella privata. Nelle tendenze delle società performative (N. Abercrombie B. Longhurst 1998) abbiamo che «la vita sociale viene percepita da parte di molti soggetti come una continua rappresentazione» (V. Codeluppi 2011:92). Si tratta di una diffusa sindrome da audience ovvero il sentirsi continuamente sotto l’occhio di telecamere o parte di uno spettacolo. Ciò con le implicazioni linguistiche (stereotipi comunicativi) e di immagine conseguenti. Un’interconnessione continua, ormai costitutiva della quotidianità. La società dello spettacolo diviene quindi società dell’audience in cui «si guarda e si è guardati» (V. Codeluppi 2011:92), una società in cui tutti si sentono attori ed in cui una preoccupazione prevalente è quella del come mostrarsi nei social-network. Per Abercrombie e Longhurst (1988:86) questa audience si presenta in modo semplice (faccia a faccia, incontri politici ecc.), di massa (mediale) o diffusa. Quest’ultima sta ad indicare la continua consapevolezza di un ruolo nelle persone, il sentirsi sempre, nella vita quotidiana parte di un’audience indipendentemente dalla partecipazione mediatica. L’audience diffusa è visibile attraverso cinque modelli: il consumer, il fan, il cultist, l’enthusiast ed il pretty producer. Si parte da un basso livello di competenze mediatiche che tendono poi ad aumentare con il passaggio da un modello a quello successivo (V. Codeluppi 1011:93). Abbiamo inoltre che: - nella sindrome da audience è abbastanza evidente la componente narcisistica (vedi punti 4.1.a e 6.5); - le ricerche suddette completano integrano ed aggiornano quanto aveva scritto negli anni ’50 Erving Goffman sulla vita quotidiana come rappresentazione (E. Goffman ed. 2005); - vista alla luce delle analisi lacaniane la sindrome da audience conferma il potente ruolo del grande Altro nella formazione dell’Io (vedi punto 4.1.b) e nella sua direttività nelle dinamiche dell’Immaginario, ovvero quella alienazione strutturante (P. Stanziale 1995:117) relativa alla seconda spaltung (la prima spaltung - alienazione strutturale - si ha nel processo di distinzione tra sé e sé – soggetto > linguaggio) riguardante la costruzione della ’Io che diviene personaggio (delineazione di una propria narrazione nell’ambito della catena significante - linguaggio > ricostruzione nel linguaggio). -secondo un approccio costruzionista (M. Sorice 2005:167 – V. Codeluppi 2011:94) gli individui tendono a formare la loro identità percependosi come audience, in tal modo integrano l’esperienza vissuta riorganizzando continuamente il proprio sé con materiali espressivi e narrazioni diverse. Tale approccio non ci convince pienamente là dove derive identitarie sono originate e risucchiate dal grande Altro verso forme di godimento smarrito senza efficaci elaborazioni di ancoraggio soggettive (vedi punto 4.3.5.b). 4 Scenari immaginari 15
  • 16. 4.1 L’Immaginario in Lacan è presente a vari livelli nelle sue teorizzazioni. Per quanto ci riguarda esamineremo quelle teorizzazioni che assumono un interesse particolare per il nostro percorso. 4.1.a- Vediamo anzitutto che l’Immaginario è connesso con la fase dello specchio attraverso cui si definisce nel rapporto narcisistico tra il soggetto e il suo Io. Quindi l’immaginario è l’ambito in cui il soggetto stabilisce una relazione (duale) con l’ immagine di un proprio simile, relazione come attrazione erotica, tensione aggressiva (aspetto intersoggettivo) (J. Laplanche J. B. Pontalis 1968). Il narcisismo è direttamente collegato alle dinamiche dello società dello spettacolo, ma è anche il portato dei vari ambiti del marketing. Il narcisista, come scrive Pezzella (1996) è il soggetto che, nell’apparire debordiano, è il più adeguato ad essere risucchiato dalla “fantasmagoria delle merci” (W. Benjamin 1986) e dalle loro euforiche offerte di possibilità e di metamorfosi. Si tratta di un Io indebolito che presenta un risvolto aggressivo proprio della psiche narcisista (J. Lacan 1974). Il narcisista è il soggetto dell’esperienza degradata e ipotrofica sul piano del reale, colui in cui prevale la visione rispetto all’azione e alla riflessione. Il suo mondo è quello in cui la restrizione dell’autonomia soggettiva si accompagna alla progressiva perdita del principio di realtà (M. Pezzella 1996:85,103). 4.1.b- Abbiamo poi lo schema L (J. Lacan 1974:50) relativo alla dialettica dell’intersoggettività, schema che riteniamo particolarmente interessante dato che: -viene individuata una oggettivazione immaginaria del soggetto, -prende forma il ruolo del grande Altro o Ordine simbolico. S/ a’ (ltro) – oggetto “petit a” Soggetto barrato Oggetto del desiderio Mancanza a essere (Es) REALE Desiderio ($ <> a) Godimento Inconscio Relazione Immaginaria A1 Grande Altro Sostituti dell’oggetto Ordine Simbolico del desiderio Ordine dei significanti Io (moi) La legge Il potere (Estetica Politica Economia Media Ecc.) Schema L In questa schematizzazione (che abbiamo integrato con varie specificazioni) il soggetto nel suo originario desiderio si rivolge agli oggetti rappresentati da petit a ma questo suo desiderio senza fine è dell’ordine dell’impossibilità (relativa al Reale punto 4.4), conseguentemente instaura una relazione immaginaria con sostituti dell’oggetto del desiderio (a1) attraverso i quali struttura il suo Io ovvero il Moi alienato come metonimia 16
  • 17. del desiderio. Chi dirige il gioco, però, è l’Altro assoluto dell’Ordine simbolico che lo domina e definisce il soggetto dal lato dell’Io e dal lato dell’inconscio (l’inconscio del soggetto è il discorso dell’Altro) (J. Lacan 1974:842). E questo in una processualità senza fine. In questa teoria sono già chiaramente presenti elementi relativi a una economia dell’immaginario che si fa politica nella misura in cui il desiderio umano viene manipolato e il soggetto si presenta con un Io spossessato dalle realtà di dominio dal potere/ordine Simbolico/grande Altro. La concezione di Žižek del grande Altro ha come riferimento sia il Simbolico lacaniano che la dialettica del Geist hegeliano. Il grande Altro, oltre a rappresentare il potere nelle sue varie forme, è anche l’insieme delle convenzioni che si danno, ma comprende anche la “trasgressione intrinseca” relativa alla legge non scritta che costituisce il lato osceno del potere e della legge stessa (S. Žižek 1999) (vedi punto 4.5.e). 4.2 In effetti qui già siamo nel pieno dello statuto dell’Immaginario. Il passo successivo è certamente quello più importante dato che riguarda il lacaniano nodo borromeo che unisce i tre Registri, le tre dimensioni essenziali del campo psicoanalitico: l’Immaginario, il Simbolico e il Reale (RSI), registri che richiamano lo schema L (vedi punto 4.1.b) e che si inquadrano organicamente nello schema R (J. Lacan 1974:549). Schema R Si tratta della struttura del soggetto relativamente ai registri del Simbolico, dell'Immaginario e del Reale. Nel quadrato vi è una terna simbolica, una terna immaginaria ed il quadrangolo del reale. Il triangolo del simbolico occupa metà del quadrato perché è strutturante. La linea tratteggiata vale per l'immaginario. Il triangolo dell'immaginario è basato sulla relazione duale dell'Io con l'Altro (narcisismo, proiezione ecc.), avente come vertice O (phi), il fallo, oggetto immaginario di identificazione col proprio essere (vivente). Il campo del simbolico presenta le tre funzioni di: ideale dell'Io, con cui il soggetto si reperisce nel registro del simbolico, del significante dell'oggetto M, del Nome-del-Padre nel luogo dell'Altro A. La linea I M raddoppia il rapporto del soggetto con l'oggetto del desiderio mediante la catena significante, rapporto che, nell'algebra lacaniana verrà ad essere scritto S/ <> a (in cui sono legati il soggetto barrato, il desiderio e l'oggetto a- il punzone <> indica il desiderio, come abbiamo già visto). Rilevante è il fatto che il campo del reale è inquadrato e mantenuto dalla relazione immaginaria e dal rapporto simbolico (P. Stanziale 2001). 4.3 La teoria lacaniana RSI è stata- ed è- oggetto di approfondimenti e di torsioni. In particolare questa teoria rappresenta un passaggio obbligato oggi per l’estetica e la critica d’arte che attraverso la rilettura hegeliana delle teorie lacaniane da parte di S. Žižek hanno trovato ampie articolazioni analitiche per quanto riguarda, sul loro versante, l’economia dell’immaginario. Non possiamo, così, non riferirci alla linea Lacan-Žižek e quindi alle letture della RSI da parte di vari autori nel cercare di delineare uno statuto dell’immaginario con la sua 17
  • 18. economia connessa al desiderio che è, come abbiamo accennato in precedenza, radicato in esso e di cui è un drive che lo anima e lo orienta (F. Carmagnola 2006). 4.3.1 Estrapoliano dal contesto delle teorie lacaniane (J. Lacan 1974 1982), relativamente all’Immaginario, che: -esso è la struttura dell’Io (Moi), -la funzione immaginaria è subordinata alle determinazioni del Simbolico, -l’Immaginario e il Simbolico si distinguono in funzione delle loro relazioni col Reale, -la funzione immaginaria presiede all’investimento narcisistico dell’oggetto. Per quanto riguarda il Simbolico (che Lacan mutua dall’antropologia strutturale di C. Lévi- Strauss): -esso è costituente per il soggetto, -esso non copre e spiega tutto, - esso annoda e snoda l’Immaginario col Reale (J. Lacan 1974). E quindi il Reale è l’impossibile, esso sussiste al di fuori della simbolizzazione, è l’inconscio in quanto indicibile. Il Reale è il luogo che accoglie ciò che è rifiutato dal Simbolico ed è connesso col godimento (jouissance) (S. Žižek 2004) Immaginario Godimento Simbolico Reale 4.3.2- Non è possibile escludere, poi, dal quadro che stiamo delineando il contributo importante offerto dalla psicoanalisi lacaniana all’economia dell’immaginario con il concetto di godimento. Questa jouissance riguarda ciò che va al di là del principio del piacere ed è connessa con il Reale lacaniano. Questo perché l’approccio psicoanalitico all’ideologia di dominio- nei suoi rapporti con la cultura di massa- si presenta abbastanza esplicativo nella direzione di una visione politica dell’immaginario contemporaneo connesso con l’universo spettacolare (M. Senaldi 2008). 4.3.2.a- Il concetto di godimento trova la sua centralità in Žižek (2001 2004) che lo intende, con riferimento alla psicoanalisi lacaniana (Lust im Unlust), come oscuro supplemento superegoico, come dato proprio dell’ideologia, riscontrabile come la segreta oscenità presente nell’esercizio del potere- e delle relative forme di linguaggio, nei risvolti della cultura di massa e, quindi, nell’ambito dello spettacolare contemporaneo. Tenendo presente quanto scrive Žižek: 18
  • 19. «quand’è che io incontro l’altro nel Reale del suo essere… solo quando incontro l’altro nel suo momento di jouissance, cioè quando scopro in lui/lei un piccolo dettaglio- un gesto compulsivo, una eccessiva espressione del volto, un tic- che segnala l’intensità della realtà della sua jouissance ...l’incontro con il Reale è sempre traumatico, c’è qualcosa perfino di minimamente osceno in esso» (S. Žižek 1999:32) ecco che, seguendo la metodologia žižekiana, troviamo, ad esempio, come il potere spettacolista televisivo si tradisca come godimento nel ghigno-sorriso involontario che appare in alcuni momenti-clou spettacolari sul volto di una ideatrice-conduttrice di format d’intrattenimento pomeridiani. Personaggio proprio della videocrazia contemporanea, esperta nell’organizzare artificiali cortocircuiti emozionali tra persone e nella spettacolarizzazione di continui outing di adolescenti che saranno famosi. Questo emergere del godimento, nella teoria lacaniana dei quattro discorsi (J. Lacan 1982 M. Recalcati 1995) (vedi punto 4.3.3), è proprio del discorso del maître in cui un significante-padrone (la presentatrice iscritta nell’ordine simbolico come espressione del potere) agendo nell’alterità spettacolare (espressione di un sapere), rimuove sia la produzione di godimento (objet petit a)- che però affiora- che la sua verità di soggetto barrato (mancanza a essere). Questa dinamica introduce la dimensione del godimento nella dimensione mediocratica della società dello spettacolo ma anche apre, in Žižek, al rapporto tra cultura di massa e Ordine Simbolico. Sullo sfondo della società dello spettacolo tale rapporto si presenta nel quadro di una complessa processualità nella quale la cultura di massa rappresenta l’immaginario del Simbolico che, nel suo farsi godimento, tradisce il Reale del Simbolico mostrandone le oscenità di fondo (S. Žižek 1999). Il godimento allora, come reale del Simbolico rivela l’altro lato di questo, le modalità di mascheramento del suo vuoto costitutivo (vedi punto 4.8). 4.3.2.b- S. Žižek (1999) nota anche, riferendosi a Lacan (1983), come nell’epoca attuale si verifichi una inversione nella struttura superegoica freudiana per cui se prima l’individuo era portato a reprimere il piacere e il godimento nel rispettare le leggi del sociale, l’attuale soggetto post-storico è all’inverso condannato all’eccesso, a dover godere. Il super-io non solo pone divieti ma costringe anche al godimento: «Niente costringe qualcuno a godere, tranne il super-io. Il super-io è l’imperativo del godimento -Godi!» (J. Lacan 1983:85). 4.3.3- A completamento di questa parte relativa al godimento non possiamo non richiamarci alla lacaniana teoria dei quattro discorsi (J. Lacan 1982) accennando al discorso della civiltà e del capitalista (J. Lacan 19878:40) tralasciando i discorsi dell’isterico, dell’università e dell’analista. La teoria dei quattro discorsi è un classico della psicoanalisi lacaniana. Premesso che il discorso- sulla linea Althusser-Lacan- è una determinazione dell’ordine simbolico, abbiamo con questa teoria l’inclusione del soggetto nella struttura. Si stabiliscono quindi rapporti tra significante e godimento e tra simbolico e reale: tutto secondo i principi di una topica, di una dinamica e di una economia in quanto c’e, come direbbe Lacan, della produzione, di un più-di-godimento (collegabile ad un plusvalore) (M. Recalcati 1995). Premesso che nel matema lacaniano dei discorsi i posti sono: (/agente/direzione/parvenza) (/Altro/sign. padrone/sapere/) (/verità/soggetto ) (/produz./scarto/godimento/) e che S1 = significante padrone, S2 = il sapere, S/ = soggetto barrato (mancanza-a-essere), a = oggetto “piccolo a”, godimento, ---= barra di rimozione. abbiamo il matema del discorso della Civiltà (o del Padrone) e del Capitalista 19
  • 20. Discorso del/la Padrone/Civiltà S1 S2 -------- ------- S/ a Discorso del Capitalista S/ S2 ----- ------ S1 a in cui è rilevabile, nel primo matema, il freudiano disagio della civiltà: rimozione del soggetto barrato (nel posto della verità) da parte di un (agente) significante padrone, con il sapere nel posto dell’Altro e con la produzione di godimento (il marxiano plus-valore può essere connesso, come accennato in precedenza, con il plus-godere) (S. Žižek 2004). Nel secondo matema, troviamo una inversione per cui in azione è il soggetto barrato (agente) che rimuove il suo essere significante-padrone (verità) nel rivolgersi ad un sapere/Altro e producendo, anche in questo caso, plus-di-godimento (J. Lacan 1978 A. Soueix 1995 M. Recalcati 1995 2010). 4.3.4- Quest’ultimo matema è particolarmente interessante dato che costituisce una intersezione tra psicoanalisi, filosofia, economia e politica. Si osserva ulteriormente: a) che il capitalista ha sembiante di padrone, è sganciato da un rimosso Significante- causa, la parvenza determina la verità; b) che l’unica verità è la propria, è il soggetto che detiene il potere; c) che si tratta di una posizione tipica del capitalismo contemporaneo in cui non esiste conflitto tra ideale e godimento; d) che il circuito discorsivo è veloce e circolare secondo l’andamento delle frecce e giocato sul godimento, ovvero si ha una circolarità del consumo senza limiti con una soddisfazione illusoria; e) che il soggetto si rivolge al sapere (scientifico) per produrre oggetti-gadget per consumo e godimento; e) Lacan ritiene la macchina capitalistica veloce nel consumo fino alla consunzione (J. Lacan 1978), ovvero consumando la macchina capitalistica si consuma e il suo consumarsi comprende la sintomatologia contemporanea delle tossicodipendenze, delle anoressie dello shopping compulsivo ecc.. 4.3.5- A questo punto riteniamo utile parlare della precisa convergenza di due recenti e ponderose ricerche sui rapporti tra capitalismo, discorso del padrone e godimento. M. Magatti (2009), nel suo definire criticamente le illusioni del capitalismo tecno-nichilista e M. Recalcati (2010), nel suo individuare le figure della nuova clinica psicoanalitica, hanno strutturato, sulla linea Lacan- Žižek, un insieme di percorsi interpretativi di particolare interesse. 4.3.5.a- Per capitalismo tecno-nichilista Magatti intende l’approdo attuale del capitalismo in cui individua due componenti fondamentali: -la crescente tecnicizzazione della vita sociale ed la continua innovazione tecnologica che non solo modificano i mezzi disponibili ma ridefiniscono anche i fini legittimi; 20
  • 21. - il nichilismo come Weltanshauung che emerge alla fine del XX secolo come «sostrato spirituale di un’epoca in grado di sostenere una crescita indefinita» (M. Magatti 2009:105). Il capitalismo tecno-nichilista si sostiene sulla sintonia di queste due componenti in una necessitante dinamica di continui mutamenti per saturare la componente nichilistica la quale opera a tre livelli: -l’immaterialità viene trasformata e resa disponibile per lo sfruttamento economico; -il capitalismo viene reso compatibile con qualunque cultura; -viene ridotto il rischio di porre in discussione i fini perseguiti (M. Magatti 2009:107). Il capitalismo tecno-nichilistico per Magatti è inoltre caratterizzato da tre riduzioni: «la riduzione temporale all'orizzonte dell'immediatezza (escludendo così ogni possibilità di rinvio, ossia esattamente di ciò che permette al desiderio di sostenersi nel tempo); la riduzione individualistica (ciascuno ha il proprio desiderio, di modo che la dimensione relazionale del desiderio è sostanzialmente esclusa se non nella forma surrogatola della mimesi); la riduzione materialistica (che attribuisce centralità al corpo e ai sensi e che, di conseguenza, fa del soddisfacimento la sua misura) » (M. Magatti 2009:132). Magatti evidenzia come Lacan consenta di andare oltre Marx per capire la nostra epoca che vede l’affermazione dell’economia affettiva: «il capitalismo è così importante nella storia umana - e non una semplice sovrastruttura - proprio perché è capace di lavorare sul desiderio, proponendo il consumo come una strada per colmare il vuoto su cui il desiderio in quanto tale si attiva. Un tale obiettivo, tuttavia, si rivela sempre illusorio, dato che il vuoto non è mai completamente riempito attraverso gli oggetti, che devono essere continuamente rinnovati per saturare la nuova mancanza, in un movimento circolare, ingannevole e senza fine. Frammentando, l'esperienza in una successione di azioni che non hanno null'altro in comune se non il riempire provvisoriamente il vuoto, il capitalismo è, sempre di più, costretto a sradicare il desiderio dal legame che esso ha con la condizione esistenziale dell'uomo, riducendolo a semplice "godimento". [..] Contravvenendo all'approccio repressivo e disciplinatorio che ancora prevaleva nel capitalismo sociale, il comando che il capitalismo tecno-nichilista rivolge ai sin- goli individui è quello di cogliere l'attimo, vivere l'emozione, assaporare l'opportunità. [..] Per procedere in questa direzione, la creazione di un ambito disancorato da un preciso ordine culturale, nel quale prevalgono i linguaggi non verbali iconici e musicali e dove il singolo individuo è autorizzato a prendere ciò che più gli piace costituisce una pre-condizione fondamentale. […] E che con l'avvento del capitalismo tecno-nichilista, crolla il meccanismo del divieto che aveva retto nel capitalismo sociale e l'essere umano deve diventare, secondo la felice espressione di Deleuze e Guattari, una vera e propria "macchina desiderante": il capitalismo tecno-nichilista vive del fatto che il desiderio venga continuamente attivato e sia in grado di essere realizzato e poi di nuovo riattivato. Dato che l'individuo non è più disposto a (o in grado di) stare dentro la griglia rigida dei ruoli e delle norme sociali, l'ordine istituzionale delle cose - almeno nella sua rappresentazione – deve essere continuamente esposto a una dinamica di distruzio- ne/ricostruzione. Il che è possibile grazie all'amplissima disponibilità di significati e all'accresciuta mobilità, che indeboliscono qualunque ordine normativo, e all'esten- sione della libertà di scopo, che offre la possibilità (almeno teorica) di aggiornare continuamente i propri obiettivi. [..] I tratti centrali del nuovo quadro psicanalitico del capitalismo tecno-nichilista sono efficacemente colti nell'opera di Zizek che, sviluppando le tesi di Lacan e Miller, parla di, “economia libidica del plusgodere”. [..] Da questo contesto, in cui il godimento vive di continue dislocazioni e si mantiene solo nel passaggio da un oggetto all'altro, emergono due implicazioni particolarmente rilevanti. La prima è la natura illimitata del processo di mutamenti che viene attivato. E ciò in quanto il desiderio si costituisce come un asintoto: più ci si avvicina, più elude la presa; più si pensa di possederlo e più se ne accerta la mancanza. Ciò lo rende un si- gnificante vuoto, una forma senza contenuto: dobbiamo sempre desiderare qualcosa, anche se non sappiamo mai bene cosa, e anche se sappiamo che non potremo mai placare la nostra sete. E dunque saturiamo questa valenza libera accettando di buon grado di aderire alle sollecitazioni - così potenti e studiate - che l'economia affettiva è in grado di distribuire a piene mani. 21
  • 22. [..] Secondo Zizek (2004), i concetti lacaniani di "plusgodere" e "objet petit a" aiutano a interpretare il senso del rapporto tra soggetto e merce nei termini di uno stato dì sollecitazione permanente, continuamente inappagato, rivelando anche la rapida obsolescenza a cui sono destinate le merci e i desideri stessi, poiché solo tale dinamica garantisce la possibilità di ri-produzione dell'attività economica. Per questa ragione, il circuito novità/obsolescenza - così ossessivo nella nostra vita sociale - costituisce un elemento intrinseco alla produzione capitalistica contemporanea. Ciò dà vita a un'economia libidinale che, per definizione, non riesce mai a compiersi: in termini lacaniani, di fronte all'incapacità di affrontare le questioni centrali della nostra esistenza - rispetto alla quale ognuno è lasciato letteralmente a se stesso – il capitalismo tecno-nichilista propone uno sterminato numero di "abjets a" che offrono al massimo quelle che Lacan ha chiamato delle "lichettes", cioè delle "fettine di jouissance"'. Affinchè queste lichettes possano in qualche modo funzionare è necessario, però, il loro continuo ricambio, così da rigenerare il movimento tra mancanza ed eccesso. Anche se ripetutamente facciamo esperienza della delusione che essi producono, i beni che ci vengono offerti dall'economia affettiva si presentano in grado di generare un surplus di godimento che riesce, almeno provvisoriamente, a soddisfarci. » (M. Magatti 2009:105, 106, 107, 132,133, 134, 135) (vedi punti 4.1.b, 4,2, 4.3.2, 4.3.2.b, 4.3.3). 4.3.5.b- Recalcati (2010), evidenziando il fatto che le analisi di Magatti prolungano, sul piano sociologico, le riflessioni lacaniane, a sua volta, disegna un ampio percorso dal punto di vista della clinica psicoanalitica da cui estrapoliano un segmento che, partendo dal discorso del capitalista, perviene a quella clinica della tossicomania che permette di segnalare «come il nostro tempo non solo tende a produrre comportamenti tossicomanici ma si configura esso stesso come un tempo intossicato» (M. Recalcati 2010:195). Il quinto discorso di Lacan, il discorso del capitalista, presentato a Milano nel 1972 (J. Lacan 1974), per Recalcati porta Lacan di là dalle tesi weberiane sul caratterere etico delle origini del capitalismo per cui la l'ascetismo protestante consentirebbe l'accumulazione del capitale e la produzione del profitto. Il discorso del capitalista lacaniano, al contrario, «esalta a senso unico la spinta del godimento contro ogni forma di legame» (M. Recalcati 2010:28). Recalcati mostra come il discorso del capitalista (vedi punto 4.3.3) è un discorso «al limite di ogni possibile discorso, perché se il discorso è un modo per definire il legame sociale, in quanto ogni discorso si organizza per introdurre un certo freno significante al godimento e per rendere possibile in questo modo una civilizzazione dei legami tra gli esseri umani, quello del capitalista. tende a distruggere ogni forma discorsiva affermando il soggetto come pura spinta al godimento solitario, dunque dissolvendo ogni freno al godimento, anzi, incoraggiando il godimento come nuova forma di comandamento sociale (corsivi miei). Il sacrificio di sé risulta così totalmente contraddittorio in un regime che pone il proprio fondamento sull'imperativo sregolato del "consumo di consumo". La mancanza di godimento come condizione dell'accumulazione del capitale - secondo la classica tesi weberiana -si trasforma beffardamente in una proletarizzazione generalizzata e in una precarizzazione diffusa. La mancanza di godimento anziché costituire la condizione etica del profitto dà luogo a una pura avidità di godere. Questo significa, come propone di fare Lacan nella sua matematizzazione del discorso del capitalista, porre il soggetto sbarrato nella posizione di agente, ovvero nella posizione che definisce l'orientamento specifico, la direzione di fondo, di un discorso. Diversamente dal discorso del padrone dove la mancanza è prodotta dall'azione stessa del significante che impone al soggetto una perdita di godimento in cambio della sua iscrizione simbolica. 22
  • 23. [..] nel discorso della Civiltà e nel discorso del capitalista la mancanza si trasfigura in una avidità di consumo che vuole scalzare il potere letale del significante essendo prodotta dalla continua offerta di oggetti di godimento proposta dal mercato. Questo significa porre nella posizione dell'agente [vedi punto 4.3.2.a] il soggetto sbarrato: non è l'Ideale che aggrega i legami sociali, né l'interdizione al godimento che ne scaturisce, ma la convulsione del soggetto sbarrato che domanda oggetti in grado di sanarne la divisione, salvo verificare che l’astuzia del discorso del capitalista consiste proprio nel produrre e nell'introdurre sul mercato oggetti che anziché soddisfare la domanda hanno il potere di alimentarla compulsivamente. D'altra parte l'elevazione del soggetto sbarrato nel luogo dell'agente significa che il cedimento della funzione orientativa dell'Ideale è stato rimpiazzato dall'illusione che non esista più alcun padrone al di fuori del soggetto ridotto, per usare l'espressione di Lipovetsky, a "turboconsumatore". Tuttavia l'individualismo sfrenato che sostiene il discorso del capitalista non è affatto una forma di disalienazione del soggetto dalla schiavitù nei confronti dei significanti padroni, ma una nuova forma di schiavitù. Il discorso del capitalista, come fa notare il conservatore Lacan, è chiaramente una forma di assoggettamento e non di liberazione. Marcuse parlava a questo proposito di desublimazione repressiva: non è il soggetto che desidera, ma che esige un godimento che spenga ogni suo desiderio (corsi miei). [..] L'algebra lacaniana del discorso del capitalista richiude, anziché aprire, come accade invece per il soggetto dell'inconscio, il rapporto tra soggetto diviso e l’oggetto piccolo (a): l'oggetto non è perduto, non è indice della mancanza, ma si solidifica illusoriamente, restando contiguo al soggetto, a sua disposizione, a portata di mano e di bocca. È questo il significato della osservazione di Lacan secondo cui la macchina iperattiva del discorso ilei capitalista sì muove troppo rapidamente, senza tregua, viaggiando come su due rotelle, raggiungendo una velocità infernale che abolisce il soggetto e che rivela l'anima profondamente nichilistica di questo discorso. Il soggetto sbarrato, situato nel matema del discorso del capitalista in una posizione agente, si rivela così una cifra ironica: nessun padrone, nessuna radice, nessun libertà assoluta di godere. Eppure in questa pseudopadronanza, in questa libertà immaginaria, per riprendere il titolo efficace dell'ultimo lavoro di Mauro Magatti sul capitalismo tecno-nichilista, il soggetto si trova schiavo dell'oggetto che più che consumare diventa ciò che lo consuma, oggetto passivo della "volontà di godimento" dell'Altro del discorso del capitalista più che l'euforico protagonista di un mondo senza più limiti. Il "turboconsumatore" del quale Lipovetsky, per certi versi, tesse le lodi non è solo, come crede il sociologo francese, il padrone razionale dei suoi, gusti e delle possibilità delle loro soddisfazioni, un Giano bifronte capace di "sfruttare a tutto campo le potenzialità aperte da quelle che sono le due grandi finalità della modernità: efficienza e felicità sulla terra", ma è anche l'espressione di un godimento sganciato dalla castrazione simbolica, impermeabile al discorso amoroso, antivitale, che non si genera solo dai consumi ma che tende a consumare anche chi consuma, a utilizzare il consumo delle cose come modo di compensazione della disinserzione del soggetto da ogni legame con l'Altro (corsivi miei). [..] La caduta dell'Ideale e della sua funzione orientativa e l'affermazione dell'oggetto di godimento in una posizione di agente sono i due elementi cruciali che animano il discorso del capitalista come macchina anonima di godimento e mostrano la precarietà simbolica dell'Altro contemporaneo: crisi della politica, dell'ideologia, del religioso, della dimensione valoriale, del discorso educativo, epoca postideologica, postmoderna, ipermoderna, postumana. Si tratta di una precarietà che è il prodotto di una instabilità dei legami, di legami senza Ideale,instabili, liquidi direbbe Bauman, esposti alla contingenza del sintomo. Ma anche di legami chiusi, cristallizzati, non- liquidi, reificati, solidificati, gelati, molecolari, involuti, segregativi. La caduta dell'ideale, la crisi del discorso del padrone, come ho già fatto notare, non comporta solo la liquefazione dei legami in quanto privati di ogni orientamento ideale, ma tende anche a rafforzare un loro compattamento monadico, autistico, apatico, narcisisticamente ostile allo scambio simbolico. [..] Il conflitto tra principio di piacere e principio di realtà, tra programma pulsionale e programma della Civiltà si è stemperato e al suo posto è subentrata una domanda collettiva di omologazione agli stili di godimento prevalenti. In questa prospettiva la prestazione diventa un effetto dell'imperativo sociale del Super-io sadìano: Godi! Questo principio tende però a non fare legame ma a isolare Ì soggetti nel loro statuto individuale, monadico, precario. 23
  • 24. [..] Cosa produce il discorso del capitalista? Produce insoddisfazione. Produce l'insoddisfazione come una nuova forma clinica della precarietà. La nostra epoca non è più quella delle masse radunate dall'Ideale. Non è più l'epoca degli entusiasmi fanatici che potevano scaturire dall’idea di appartenere a un solo grande corpo sociale. La nostra epoca vive piuttosto il contrasto generato dal discorso del capitalista tra l'effetto maniacalizzante dovuto alla soppressione dei limiti del godimento e la tendenza a precipitare verso un sentimento depressivo di estraneità, di inesistenza, di superfluità, di indifferenza e di fatica di esistere (corsivi miei). [..] Affermare che il nostro tempo è un tempo intossicato o, se si preferisce, sostenere l'idea che la diffusione epidemica di comportamenti tossicomanici sia da porre in stretta relazione con una intossicazione generalizzata del discorso sociale o, ancora, pensare che l'intossicazione non sia solo un'esperienza soggettiva, circoscritta ai soggetti che consumano droghe, ma che sia il nostro tempo, il tempo della Civiltà ipermoderna, a essere profondamente intossicato, e che, di conseguenza, l'in- tossicazione sia innanzitutto un'esperienza collettiva e non solo individuale, pone con forza il problema di una diagnosi teorica del programma contemporaneo della Civiltà. Per provare a riassumere in modo sintetico il nostro modo di intendere questa intossicazione generalizzata, mi farò guidare da due citazioni che hanno avuto per il nostro lavoro di ricerca la funzione di bussole teoriche. Una la conosciamo già. È di Jacques Lacan (1982:90) e si trova in un'intervista televisiva degli anni Settanta, nella quale egli definisce il modo di godimento prevalente della società contemporanea come un godimento smarrito. Soffermiamoci ancora su questa espressione. Cosa significa porre il godimento della Civiltà ipermoderna come un godimento smarrito? Significa fondamentalmente ritenere che la pratica pulsionale e, più in generale, il problema stesso della soddisfazione non sia più ancorato, agganciato, abbonato, a una legge simbolica che ne definisca l'orientamento. Il godimento smarrito è un godimento privo della bussola fallica o, se si preferisce, non castrato, non regolato dalla castrazione simbolica, non limitato, arginato, orientato appunto, dalla funzione normativa della castrazione. Il godimento smarrito è una de- clinazione del godimento che non si coniuga più con l'Ideale ma che ne ha, piuttosto, usurpato il posto. La seconda citazione è di uno psicoanalista italiano, recentemente e prematuramente scomparso. Si tratta di Agostino Racalbuto (2003:296 segg.). In una sua riflessione sulla tossicomania ha avuto modo di definire il nostro tempo come contrassegnato da uno "spazio psichico drogato", dove, nella sua prospettiva, drogato vuoi dire precisamente: troppo pieno di oggetti, dunque intossicato da un eccesso di presenza di oggetti di godimento, da ciò che definisce un "uso concreto dell'oggetto" e da un esercizio difensivo della "realtà percettivo-motoria come controinvestimento rispetto a una realtà psichica interna collassata o pericolosa, ad alto potenziale distruttivo", nel quale "l'agito prende il posto del pensato". Lo spazio psichico drogato di cui parla Racalbuto non coincide con lo spazio mentale individuale. Si isola piuttosto una tendenza generale della psicopatologia contemporanea: l'agito surclassa il pensato, la tendenza alla scarica prevale sulla necessità che si dia tempo per depositare l'esperienza, la spinta all'evacuazione senza elaborazione simbolica s'impone come una modalità diffusa di funzionamento della soggettività ipermoderna che appare come privo di soggetto dell'inconscio.» (M. Recalcati 2010:28, 29, 30, 31, 195,196, 197) (corsivi miei). 4.4 Passiamo quindi a strutturare lo schema seguente che inquadra le scansioni temporali della RSI e definisce la matrice di partenza per la dinamica delle relazioni successive tra i vari elementi. .....Reale...........................Immaginario......................................Simbolico .....Passato/Presente.........(Passato) Presente/Futuro....................Passato/Presente (Futuro) .....Godimento..................Desiderio.............................................Domanda .....Es.....................................Io....................................................SuperIo (seconda topica freudiana) 24
  • 25. ….Religione…………….Estetica……………………………....Etica (S. Žižek 1999) 4.5 S. Žižek, poi, interpreta l’ambito RSI in chiave hegeliana ridefinendolo. Il risultato è un importante e «plastico» lavoro teorico (M. Senaldi in S. Žižek 2004:304), che per quanto riguarda l’immaginario, non è scevro però da varie ambiguità nelle sue varie versioni. Immaginario 4.5.a- M. Senaldi nel suo saggio Slavoj Žižek e l’immaginario (2007) esamina il concetto sartriano di immaginario (Sartre è «il primo ‘analista’ dell’imaginaire») rilevando la sua connotazione negativa come pensiero di qualcosa che manca, come «fuga dal presente», compensazione «negativa» (concetto di derivazione hegelo-kojèviana) che è tale però rispetto ad un «eccesso di realtà» (reel sartriano). Prende così forma la distinzione tra Reale e realtà che viene ripresa da Lacan e chiarita in Žižek. In ogni caso l’immaginario sartriano, pur nel suo essere un nulla immaginario, produce effetti reali e Senaldi mostra come per il Sartre degli anni ’70 l’immaginario rappresenti la determinazione cardine di una persona, ovvero il centro della soggettività dell’Io (Moi). Senaldi poi mostra come correlata a questo concetto di immaginario troviamo la nozione di fantasia propria della realtà psichica, nella prospettiva freudiana, per cui il soggetto è determinato da fantasie originarie che ne condizionano l’ immaginario. 4.5.b- Scrive Žižek : «L’immaginario non realizza semplicemente un desiderio in modo allucinatorio: piuttosto, la sua funzione è simile a quella dello “schematismo trascendentale” kantiano: una fantasia qualunque costituisce il nostro desiderio, fornisce le sue coordinate; o meglio, letteralmente, “ci insegna come desiderare”» (S. Žižek 2004:19). L’immaginario žižekiano, inoltre, nasce come luogo di scarto del simbolico il quale però trova una necessità funzionale nell’immaginario. Carmagnola (2002) sostiene che questo è perverso e non ha niente di creativo e di liberatorio dato che si colloca in una realtà incoerente e simbolicamente disarticolata in cui il fantasma non trova alcun ancoraggio ed in cui il godimento è coatto. Carmagnola mostra come questo immaginario non sia alternativo, come non rimandi a forme di mediazione o a presentificazioni mentali di assenze (S. Žižek 2000). Al contrario l’immaginario žižekiano è inquadrato in modo drammatico e ambiguo, rapportato ad un simbolico preda di crisi storico-culturali colluso con il reale forcluso producendo fantasmi osceni. Una concezione diversa da quella di C. Castoriadis (1988:89) che postula un immaginario radicale da intendersi come «creazione incessante ed essenzialmente indeterminata (sociale - storica e psichica) di figure/forme/immagini, a partire da cui soltanto si può parlare di qualche cosa». Anche diversa da quella di G. Durand che scrive dell’immaginario come «l’insieme delle immagini e delle relazioni fra immagini che costituisce il capitale dell’homo sapiens» (G. Durand 1972:123). Carmagnola nota poi come l’immaginario di Žižek, già di per sé ambiguo, è reso ancora più ambiguo e contorto nelle spire della dialettica hegeliana. Conseguentemente schematizza tre versioni dell’immaginario žižekiano, versioni peraltro che convergono, in vario modo, con quanto scritto da A. Piotti (in S. Žižek 1999) e da M. Senaldi (in S. Žižek 2004). 25
  • 26. 4.5.b.a- Fantasy Si tratta dell’Immaginario nel/del Simbolico/grande Altro. Una fantasia che orienta il desiderio dentro la Legge ed oltre la Legge inverandone la funzione anche per la parte non scritta, oscena, (vedi il concetto di trasgressione intrinseca – punto 4.1.b . S. Žižek 1999 ) A. Piotti (1999) rileva come questo aspetto del grande Altro ne mostri la fragilità e la possibilità di collasso (corsivi miei). M. Senaldi (2007), a sua volta, individua in Žižek tre caratterizzazioni della Fantasy: 4.5.b.a.a- la fantasy come schema attraverso cui oggetti concreti possono avere la funzione di oggetti del desiderio colmando le lacune della struttura formale simbolica; 4.5.b.a.b- la fantasy come intersoggettività accostando il carattere soggettivo del fantasma con il fantasma collettivo dell’illusione; 4.5.b.a.c- la fantasy come ciò che riempie una lacuna o risolve un intoppo presenti in una narrazione/racconto della rete simbolica. Su questo percorso troviamo altri veli, altre caratterizzazioni žižekiane dell’Immaginario che richiamiamo qui di seguito per completezza: - l’Immaginario che «tenta di mettere in scena l’impossibile scena della castrazione della castrazione... ciò che conduce l’immaginario vicino al suo vero significato, vicino alla perversione»; - il rituale perverso che inscena l’atto della castrazione, della perdita primordiale che permette al soggetto di entrare nell’ordine simbolico (S. Žižek 2004 cit.); - l’Immaginario che si richiama alla situazione per cui il racconto fantasmatico a causa di un circuito temporale comporta la presenza di uno «sguardo impossibile», ciò che realizza un profitto ideologico; - l’Immaginario che deve funzionare come trasgressione intrinseca (4.5.b.a) della struttura simbolica per consentire a questa di attivarsi (il riferimento cinematografico žižekiano è Codice d’onore); -l’Immaginario come modalità di interazione tra un testo pubblico e il suo supporto fantasmatico. 4.5.b.b- Fiction È la seconda versione dell’Immaginario definita da Carmagnola (2006:201) finzione. Si tratta del «fantasma del soprasensibile che è funzionale alla stessa sussistenza dell’ordine simbolico». Un’apparenza che serve a costituire la realtà, ma anche la legge scritta simbolica (A. Piotti 1999). Fantasy e Fiction hanno per Žižek – nota Carmagnola (citando M. Senaldi in S. Žižek 2004) - una duplice caratterizzazione: sono interdipendenti e sono costitutivi del grande Altro. A. Piotti (S. Žižek 1999:203) sottolinea invece la funzione di plot, di trama, della fiction (corsivi miei). 4.5.b.c- Simulacro Carmagnola definisce questa versione dell’Immaginario come «la più inquietante» perché quando l’ordine simbolico collassa, si disintegra, il reale viene fuori. Emerge così il simulacro come spettro, fantasma: è l’ immaginario dell’orrore e dell’osceno del Reale non arginato dal simbolico. Si tratta della nostra situazione attuale, il «deserto del reale» žižekiano. 4.5.b.d- Le fantasies, inoltre, come strumentale sutura del Simbolico, escono dall’ambito individuale e, per Žižek, divengono ideologia da intendersi, questa, come supporto fantasmatico dell’ordine sociale dato che «è la realtà stessa che non può essere riprodotta senza mistificazione ideologica» (S. Žižek G. Daly 2006:97). Siamo qui nell’ambito 26
  • 27. intersoggettivo in cui il concetto lacaniano di Immaginario è portato al suo limite (M. Senaldi 2007). 4.5.b.e- Per quanto riguarda l’immaginario collettivo quanto scrive F. Carmagnola (2007:70) ci sembra abbastanza illuminante e pertinente al percorso che stiamo tracciando. «Da una parte [l’immaginario collettivo] è il mana, che potremmo definire come un “significante fluttuante”, senza legami se non arbitrari con i possibili significati. Dall’altra parte, immaginario è anche il soggetto, o meglio l’istanza collettiva, acentrica e anonima che ci dice “come dobbiamo desiderare” o che ci costringe a godere. In sintesi, potrei definire l’immaginario oggi come una sorta di soggetto collettivo e impersonale o meglio di super-io sociale estroflesso nella rete della comunicazione mediale, con una posizione implicitamente normativa e esplicitamente seduttiva» (vedi schema 5.2.1 - l’immaginario produce - l’immaginario è prodotto). E recentemente ancora Carmagnola ha tracciato una nuova mappa dell’Immaginario intendendolo come Archivio, Facoltà, Macchina. Ovvero tracciature, rappresentazioni, direzionalità. «In una prima accezione [Archivio] l’immaginario è inteso come una sorta di luogo virtuale - psichico o culturale - che raccoglie le grandi immagini «influenti» o anche le root-metaphors (S. C. Pepper, 1942) o le «metafore assolute» e fondatrici. Le sue caratteristiche sono principalmente due: la limitatezza (si tratta di un numero finito di immagini e delle loro varianti) e il carattere trans-storico: le grandi immagini che si riferiscono alla vita dell'uomo, al suo rapporto con la natura e il cosmo, possono essere classificate come una sorta di corredo antropologico che si ripete nelle Decorrenze storiche e nelle varianti culturali (G. Durand 1972)». […] In una seconda accezione [Facoltà] l'accento cade invece sul soggetto e sull'attività. L’immaginario o meglio gli immaginari non sono il prodotto o il risultato di un'attività di produzione, di una Facoltà che può essere definita immaginazione culturale o collettiva - sia nella sua versione trascendentale che nella sua versione antropo-sociologica (C. Taylor, 2004). Secondo Taylor, in particolare, gli «immaginari sociali» sono, né più né meno, «il modo in cui» le persone, i collettivi sociali, «immaginano che-» possa o debba svilupparsi la forma dell'esistenza comune, una sorta di sceneggiatura collettiva che riguarda i caratteri dell'identità sociale. […] In una terza accezione [Macchina] possiamo definire l'immaginario come un'istanza o una potenza de-soggettiva ma priva di centro, veicolata da specifici sistemi o «dispositivi». Il suo ruolo, la sua funzione, è di carattere pragmatico, e consiste nel presentare o nel produrre riferimenti che riguardano le modalità o le direzioni del «sentire» o del «desiderio». In questa dimensione l’immaginario ha un carattere coattivo, benché non nella forma esplicita di un comando» (corsivi miei) (F. Carmagnola 2010:12). Con riferimento, poi, al concetto di sistema sociale di Luhman (1989) Carmagnola disegna una sorta di sistema dell’Immaginario in cui individua: - un apparato di produzione di «figure normative» del sistema sociale da intendersi come sottosistema in grado di generare plusvalore simbolico di valorizzazione (valorizzazione che trova ovviamente nella merce il suo - naturale - campo di applicazione), - una complementarietà tra la suddetta «fabbrica del desiderio» e la produzione di valore nella economia della conoscenza (vedi punto 5.3), - un ambiente, quello dei media, ovvero una specie di «eco-sistema» entro cui proficuamente vanno ad operare l’economia del desiderio e l’economia della conoscenza (vedi punto 6.6), - il sistema Arte, il sistema Moda e il sistema Design come sistemi «esemplari» nell’economia dell’immaginario e «nelle strategie di ingegnerizzazione del sentire» (F. Carmagnola 2010:46). 4.5.b.f- Per Carmagnola infine «L'immaginario è una cosa molto concreta. Come l'inconscio, è là fuori, nella città, per le strade. Basta guardare: il nostro sguardo ne è preda, vi si ammala. Il nostro sguardo è come l'uomo della folla di Poe, che non vive se non abbagliato e confuso nel vortice della moltitudine. 27