2 i network nelle organizzazioni knowledge intensiv i knowledge network nelle organizzazioni knowledge intensive
1. Florindo Russo
I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. - 2002
2. I knowledge network nelle organizzazioni knowledge intensive
I NETWORK NELLE ORGANIZZAZIONI
KNOWLEDGE INTENSIVE.
IL CASO MILK
CAPITOLO 2
I KNOWLEDGE NETWORK NELLE
ORGANIZZAZIONI KNOWLEDGE INTENSIVE
2. Florindo Russo
I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002
2. La conoscenza e le organizzazioni
2 I KNOWLEDGE NETWORK NELLE
ORGANIZZAZIONI KNOWLEDGE INTENSIVE
2.1 LE ORGANIZZAZIONI KNOWLEDGE INTENSIVE
La particolare attenzione data alla conoscenza nei contesti competitivi ci
spinge a parlare di organizzazioni che basano le loro risorse e competenze
sulla conoscenza e che sostengo il loro vantaggio competitivo attraverso
fonti cognitive. Tutto ciò contribuisce a utilizzare termini quali
organizzazioni knowledge intensive, che ben definiscono la criticità della
componente conoscenza.
2.1.1 Approcci
Il concetto di knowledge intensive può essere analizzato attraverso tre
approcci.
Il primo considera la natura del lavoro: un’organizzazione knowledge
intensive è legata alla perdita di routine. E’ possibile associare a differenti
livelli di routine differenti livelli di attenzione e complessità cognitiva.
L’esecuzione di compiti strettamente legati alla routine richiede sia un
basso grado di attenzione che di complessità cognitiva. L’aumento
dell’esplorazione verso territori poco familiari e lo sviluppo di nuove
routine richiedono una maggiore attenzione e una crescente complessità
cognitiva. L’intersezione di questi elementi fornisce una prima
comprensione di cosa sia un organizzazione knowledge intensive.
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2. La conoscenza e le organizzazioni
Fonte: Carlsen e Valiakangas, 1998
Un secondo approccio è considerare la natura della conoscenza
proponendo differenti forme di knowledge presenti all’interno
dell’organizzazione. Le dimensioni chiavi sono la conoscenza tacita ed
esplicita da un lato, e la conoscenza individuale e collettiva dall’altro. La
prima dimensione è stata già analizzata mentre la seconda vuole
sottolineare il luogo all’interno del quale la conoscenza risiede.
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2. La conoscenza e le organizzazioni
Fonte: Hakonsen e Carlsen, 1999
Cercando di comprendere il valore di un’organizzazione è stato
sottolineato come esso sia altamente legato all’aspetto tacito della
conoscenza e, quindi, un’organizzazione knowledge intensive non può che
puntare verso questa direzione. A livello individuale questa conoscenza è
embrained ed embodied, mentre a livello collettivo è encultured e
embedded. Questa analisi non si concentra sulla perdita di
esternalizzazione, o sul concetto stesso di tacit knowledge come
particolarmente prezioso, ma vuole sottolineare il legame esistente tra il
valore di questa conoscenza tacita ed il concetto di un’organizzazione
knowledge intensive.
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2. La conoscenza e le organizzazioni
Un terzo approccio cerca di definire un’organizzazione knowledge
intensive ponendo l’attenzione sulla dimensione di flow piuttosto che su
quella di stock. In tale contesto gli elementi caratterizzanti sono:
- la necessità di coordinazione (Alvesson, 1993; Mintzberg, 1983);
- un alto grado di comunicazione (Blackler, 1995);
- un alto grado d’interazione (Perrow, 1984);
- una rapida rotazione all’interno della spirale della creazione di
conoscenza organizzativa (Nonaka e Takeuchi, 1995).
Sintetizzando, il concetto di organizzazioni knowledge intensive può essere
associato: 1) alla natura del lavoro, 2) alla natura della conoscenza e a
come questa è rappresentata, e 3) all’intensità dei processi di
coordinazione, comunicazione, interazione e creazione di conoscenza.
Adattato da: Carlsen e Valiakangas, 1998
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2. La conoscenza e le organizzazioni
2.1.2 Caratteristiche
Le organizzazioni knowledge intensive stanno assumendo nella realtà
economica attuale sempre maggiore importanza e rilievo ed è, quindi,
necessario delineare le caratteristiche distintive di questi sistemi. Queste
organizzazioni, nelle loro molteplici forme, fondano la loro essenza, come
tutte le imprese, nella capacità di generare valore. Gli ambienti che
presentano elevata dinamicità, complessità, diversità e ostilità sono,
generalmente, i sistemi competitivi di riferimento delle organizzazioni
knowledge intensive. Queste, per poter creare valore in tali contesti,
devono fondamentalmente essere proattive, creative ed innovative.
I processi di innovazione, in quanto tali, risentono negativamente della
presenza di strutture gerarchiche a sostegno dell’organizzazione e delle
logiche divisionali del lavoro. Tutto ciò, infatti, limita il nascere di
intuizioni ed idee. Nelle organizzazioni innovative il focus è rivolto sulle
pratiche di lavoro, di natura complesse e ricche di contenuti.
In questi contesti, le persone maggiormente produttive sono quelle che
riescono a partecipare in modo creativo alle pratiche di lavoro quotidiane.
Ci troviamo di fronte a strutture organizzative flessibili e complesse, che
lasciano ampi spazi di autonomia, che definiscono di volta in volta i ruoli e
le responsabilità in relazione alle situazioni e agli obiettivi. Questi fattori
influenzano profondamente i contesti organizzativi, che risultano
estremamente complessi e dinamici.
Tutto ciò spinge le organizzazioni innovative a creare ambienti lavorativi
dove le persone siano supportare nei processi di interazione e di
cooperazione continua, elementi essenziali per favorire la condivisione di
conoscenze. Le attività lavorative sono organizzate, prevalentemente, per
progetti, team di lavoro interfunzionali che cooperano e collaborano
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2. La conoscenza e le organizzazioni
sinergicamente per sviluppare il sistema d’offerta e concepire soluzioni
innovative.
Ciascun individuo, con il proprio bagaglio di competenze e di conoscenze
e, sulla base delle proprie esperienze, contribuisce allo svolgimento delle
attività del gruppo in cui è inserito e dove molto è lasciato alla creatività e
all’iniziativa individuale. Persone provenienti da discipline e ambiti di
esperienza diversa, se fatte lavorare assieme, riescono ad approcciare i
problemi da molteplici prospettive e, quindi, ad averne una visione più
completa che influenza in maniera positiva i processi di risoluzione e di
decisione.
In simili ambienti di lavoro non esistono confini netti e distinti tra gli
ambiti di competenza individuali. L’organizzazione flessibile del lavoro e
gli ampi margini di autonomia lasciati ai team interfunzionali sono
perfettamente in linea con le strategie perseguite dalle organizzazioni
knowledge intensive, il cui obiettivo è quello di fronteggiare la complessità
e la turbolenza ambientale esterna. Ma queste caratteristiche costituiscono
allo stesso tempo un punto di forza, ed un potenziale fattore di debolezza
di queste organizzazioni.
Infatti, il rischio è che questi costanti processi di innovazione minaccino
l’identità e l’integrità dell’organizzazione nel suo complesso, minandone
la stabilità e l’unitarietà delle performances organizzative. Risulta
necessario creare una cultura e dei valori condivisi che consentano di
allineare i contributi e gli sforzi di tutti verso obiettivi chiari e ben definiti,
e di sviluppare uno stile riconoscibile, che costituisca sia un punto di
riferimento interno, sia un elemento di espressione unitario verso l’esterno.
La circolazione e la condivisione di conoscenze diventa un fattore
determinante per garantire tale allineamento. In questo modo, è possibile
che i processi di innovazione continua non costituiscano un elemento di
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disturbo, ma vengano “ammortizzati” da tutti e incorporati nelle routine
lavorative. È evidente che le organizzazioni innovative sono caratterizzate
da un elevato grado di complessità interna, che esige notevoli sforzi in
termini di gestione e coordinamento.
La capacità di innovazione dipende principalmente dalla capacità
organizzativa di creare e condividere la conoscenza e di supportare
l’apprendimento a livello diffuso nell’organizzazione. Entrambi gli
elementi sono condizioni necessarie per un’organizzazione che voglia
perseguire una politica di trasformazione e innovazione continua, per
affrontare la complessità e la turbolenza ambientale che caratterizza il
mercato attuale. Le organizzazioni knowledge intensive devono, quindi,
sviluppare una profonda sensibilità verso l’esterno, un atteggiamento
proattivo nei confronti del cambiamento e delle tendenze evolutive del
mercato e, soprattutto, devono valorizzare la conoscenza al loro interno
per poterla mettere in relazione alle esigenze produttive e strategiche.
Il punto di forza delle organizzazioni innovative è quello di saper
interpretare l’andamento del mercato, per cercare di anticiparne le
tendenze future della domanda, individuando segmenti e nuovi profili di
utenti verso cui indirizzarsi. Questo richiede una profonda conoscenza
della clientela e del mercato esterno per essere in grado di cogliere le
trasformazioni sociali e culturali, che influenzano inevitabilmente i bisogni
e le tendenze all’acquisto delle persone. Quindi, i confini tra esterno ed
interno vengono ripensati in termini di continui processi osmotici di
comunicazione tra l’organizzazione e l’ambiente in cui opera. Tuttavia, la
conoscenza del mercato non basta a garantire che i prodotti/servizi offerti
risultino innovativi e vengano considerati rilevanti dalla clientela. A
questo devono aggiungersi delle solide competenze distintive di base, che
costituiscono il fulcro della capacità produttiva di un’organizzazione e
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della sua identità. La combinazione e la sintesi di queste conoscenze e
delle esperienze passate consentono di sviluppare delle intuizioni e delle
idee particolarmente creative che permettono alle organizzazioni di
affrontare la turbolenza e i cambiamenti continui con maggiore dinamismo
e successo.
Il problema fondamentale della riflessione sulle organizzazioni knowledge
intensive è quello della combinazione di un grado sufficiente di
prevedibilità e governabilità, razionalità delle strutture e di solide modalità
per sviluppare e potenziare il carattere creativo e innovativo dei processi.
Quindi, è necessario conciliare l’ordine organizzativo con la creatività
umana.
In questi contesti si presenta in modo più esteso uno dei problemi classici
degli studi organizzativi: il contrasto tra organizzazione formale e
organizzazione informale, fra organizzazione e persone.
2.1.3 Il modello 4C
Alle organizzazioni knowledge intensive si applicano bene nuove forme e
modelli organizzativi oggi proposti per organizzazioni grandi e piccole:
prendono il comando process-centred organizations (Trist, 1950; Miller e
Rice, 1967; Butera, 1992; Edvinsson e Malone, 1997; Champy, 1995;
Davenport e Nohria, 1994; etc.); learning organizations (Senge, 1990);
high commitment organizations; network organizations (Butera, 1995;
Dioguardi, 1996; Nohria e Eccles; 1993).
In questa sede si vuole proporre il modello di Butera (1998) delle 4C:
“Comunità che innova attraverso la Cooperazione, la Comunicazione e le
Conoscenza condivise”.
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Una organizzazione 4C è caratterizzata da 4 elementi:
- una cooperazione intrinseca, tramite la quale si lavora con regole
sviluppate, in tutto o in parte, dai membri stessi dell’organizzazione,
per realizzare obiettivi comuni e condivisi.
- una comunicazione estesa, che si avvale delle diverse forme di
comunicazione supportate da adeguati strumenti tecnologici e che si
estende oltre i confini dell’organizzazione.
- una conoscenza condivisa, basata sulla condivisione e sul governo fra i
membri dell’organizzazione dei processi, interni ed esterni, e delle
forme legate alla conoscenza
- una comunità performante, orientata all'innovazione, ossia una
organizzazione razionale e naturale fatta di gruppi socialmente capaci,
team autoregolati, comunità che apprendono, corporazioni cosmopolite
etc. (Butera, 1995)
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Fonte: Butera, 1998
La cooperazione intrinseca o autoregolata si basa sul concetto di lavorare
insieme per pianificare ed implementare azioni attraverso le decisioni
collettive dei membri dell’organizzazione, in merito al cosa, al perché, al
quando, al dove e al come lavorare. E’, perciò, una cooperazione
socializzata nel contenuto e nella forma, dove si ha riguardo non solo ai
processi di trasformazione di materiali e dati, ma anche a quelli di
coordinamento e innovazione.
In tale contesto la cooperazione determina e presuppone un apprendimento
continuo e autogenera le proprie regole.
La comunicazione estesa che ha luogo nelle organizzazioni knowledge
intensive è sostanzialmente un agire umano. Comunicazione, infatti, non è
elaborazione e trasmissione delle informazioni ma è “l'agire umano
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orientato a trasferire informazioni, segni, simboli e significati lungo canali
e con mezzi di varia natura da un emittente (che è usualmente un soggetto
individuale o collettivo che ha bisogno che il suo messaggio venga inteso e
condiviso) ad un ricevente (che è usualmente un soggetto individuale o
collettivo che arricchisce la propria capacità se acquisisce a fondo il
messaggio per elaborarlo secondo i suoi interessi)” (Butera, 1994).
La comunicazione estesa è, quindi, un agire comunicativo fra due o più
persone che si trovano faccia a faccia o in posizione remota, che operano
nella stessa o in differenti organizzazioni, che comunicano in tempo reale
e in differita, che utilizzano l’ICT, che attingono a diverse basi di dati.
Nel modello 4C la comunicazione si avvale delle tecnologie disponibili ma
si sviluppa in seguito alla presenza di prerequisiti sociali che preesistono
alla comunicazione:
- gruppi sociali, che hanno regole e risorse proprie, in cui si svolge la
comunicazione;
- valori e obiettivi dei gruppi sociali che sottendono la comunicazione;
- scopi e bisogni della comunità a cui la comunicazione attiene;
- sistemi di regolazione sociale per definire le regole per i livelli
d’accesso alle informazioni.
La conoscenza condivisa ed i processi ad essa legati sono la principale
componente delle organizzazioni knowledge intensive, ma il presupposto
di base affinché si generi valore è che la conoscenza sia condivisa. Il
modello 4C valorizza e sviluppa la conoscenza condivisa che include
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l’impiego simultaneo e condiviso, da un lato, di tutte le forme di
conoscenza, quali quelle embedded ed encoded (ossia quelle contenuta nei
dati, nelle informazioni formalizzate residenti in testi, data base, software,
ecc) che quelle embrained, embodied ed encultured” (ossia la conoscenza
esperta basata su esperienze, competenze, valori, vision che stanno nella
testa delle persone) (Blackler, 1995); dall’altro, di tutti i processi legati alla
conoscenza, quali creazione, acquisizione, archiviazione, reperimento,
distribuzione, condivisione.
In particolare vi è una progettazione e sviluppo integrato di strutture, ruoli,
tecnologie dell’informazione e della comunicazione. Tecnologie
dell’informazione e Internet e Intranet non sono semplicemente magazzini
e “autostrade di conoscenze” ma infrastrutture per supportare le persone e i
gruppi (Butera, 1995), integrando ogni tipo di espressioni di conoscenza.
In tale contesto si perfezionano i due aspetti della conoscenza tacita:
knowledge as object e knowledge as process.
La comunità performante di lavoro orientate all’innovazione, nelle
organizzazione knowledge intensive, è un gruppo “naturale” (cioè
emergente dalla dinamica dei gruppi sociali impegnanti nella scoperta e
nell’ingegnerizzazione delle conoscenze) e “razionale” (cioè un sistema di
regole razionali frutto di progettazione intenzionale).
In questo tipo di comunità, a differenza delle comunità naturali, i processi
di conoscenza e i processi sociali hanno obiettivi condivisi e sono posti in
un framework organizzativo, ossia da procedure, regole, sistemi anche ad
alto livello di formalizzazione da cui "riparte" per operare piuttosto che
rappresentare le norme per operare. (Butera, 1995)
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Questo modello organizzativo infine implica un riorientamento attivo
(ossia "progettuale") per:
- sviluppare culture, sistemi e supporti per la cooperazione e per la
partecipazione
- potenziare la comunicazione interna ed esterna con l’ausilio delle ICT
- reingegnerizzare i processi di conoscenza
- sviluppare forme di team autoregolati, organizzazione del lavoro
esperto, comunità di pratica, sistemi professionali. (Butera, 1995)
2.2 APPRENDIMENTO
Un nuovo approccio all’organizzazione aziendale vede l’impresa come un
sistema capace di generare apprendimento, cioè come insieme di risorse di
conoscenza e relazioni che partecipano al progetto di costruzione di valore
per il mercato (Vicari, 1991).
2.2.1 Lo spazio
Ogni atto della nostra esistenza è un momento di apprendimento, sia esso
consapevole o inconsapevole, volontario o involontario. Attraverso
l’apprendimento, un soggetto tenta di adeguarsi, e allo stesso tempo, di
modificare l’ambiente circostante. In ogni caso è il risultato
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2. La conoscenza e le organizzazioni
dell’interazione di un individuo con un ambiente fisico, con un contesto
sociale o con se stesso. Con una metafora geometrica è possibile
rappresentare lungo tre assi cartesiani i tre principali ambiti interagendo
con i quali l’individuo impara.
Fonte: Midoro, 2000
Un punto dello spazio individuato da questi tre assi è una forma di
interazione, che ha come risultato un apprendimento.
Lungo la dimensione “ambito individuale” risiedono quelle forme di
apprendimento in cui hanno rilevanza attività come la riflessione, la
fantasia, la creatività, la meditazione, e in cui è minima l’interazione con
l’ambiente esterno e con il contesto sociale. In realtà, ogni tipo di
apprendimento è il risultato di un processo individuale, stimolato o
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catalizzato da fattori esterni. Tuttavia, qui si vuole sottolineare il fatto che,
in certi apprendimenti, è fondamentale l’interazione con il proprio io.
Lungo la dimensione “ambiente fisico esterno” abbiamo gli apprendimenti
frutto dell’interazione con il mondo esterno. Rivestono un ruolo
fondamentale, in questa fase, i nostri sensi e le nostre percezioni, che
rappresentano gli strumenti attraverso i quali interagiamo. Questi strumenti
sono influenzati da fattori individuali e sociali. In modo semplificato,
possiamo pensare che in questo contesto rientrano le interazioni con
l’ambiente esterno, mediate dai nostri sensi e dalla nostra cultura.
Lungo la dimensione “contesto sociale” si trovano quegli apprendimenti
risultanti in modo predominante dall’interazione con le altre persone:
l’insegnante, un compagno di scuola, un gruppo di lavoro, un comunità di
professionisti.
Nel caso più generale, una forma di apprendimento risulta essere il frutto
della contemporanea interazione con l’ambiente individuale, con un
ambiente fisico e con un contesto sociale. I diverse componenti esprimono
l’influenza dei tre tipi di interazione.
Questa visione dell’apprendimento, come flusso cooperativo di attività, ci
riconduce alla visione della conoscenza come processo. La svolta
semantica che dal predominio dell’etichetta “apprendimento” si indirizza a
quella di “knowledge" è indicativa di un approccio disciplinare che
progressivamente lascia dietro di sé le modalità di rappresentazione del
fenomeno apprendimento quale processo, cognitivo e/o psicologico a
favore di rappresentazioni maggiormente sociali, distribuite, collettive,
attivate entro contesti di attività, ambiti culturali e simbolici, con la
mediazione di vecchie e nuove tecnologie e modalità di organizzazione del
lavoro (Ghepardi, 2000).
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2.2.2 L’interazione tra competenza ed esperienza
Riconsiderando la conoscenza come processo di giustificazione pubblica
delle proprie credenze e il contesto sociale, quale elemento dello spazio di
apprendimento, è possibile affermare che conoscere è, quindi, manifestare
competenze distinte in comunità sociali. Tuttavia la competenza definita
socialmente è sempre in interrelazione con l’esperienza. E’ in questa
interrelazione che avviene l’apprendimento (Wenger, 2000).
Quando un novizio entra in una nuova comunità ha voglia di imparare, di
essere un apprendista, di allineare la propria esperienza con la competenza
che la stessa comunità definisce tale. In questo contesto la competenza
traina l’esperienza.
Quando un membro di una comunità, considerato “un esperto del
mestiere”, entra in contatto con stimoli differenti dal suo riferimento
sociale di appartenenza, sperimenta particolari interrelazioni che possono
ampliare la sua visione del mondo e dei fenomeni. Adesso sono note
limitazioni di cui prima non si aveva consapevolezza. Questa esperienza
non combacia perfettamente con la pratica comune della sua comunità.
L’esperto ha voglia di comunicare il proprio vissuto ai suoi pari, cosicché
anche loro possano espandere i loro orizzonti. In questo contesto è
l’esperienza a trainare la competenza.
Quindi, sia che siamo neo-assunti o veterani, l’apprendimento coinvolge
sempre queste due componenti: le competenze che si sono consolidate nel
tempo grazie ai sistemi sociali ai quali apparteniamo e le nostre esperienze
del mondo come membri, come esseri umani.
L’apprendimento cosi definito è una interrelazione tra competenza sociale
e esperienza personale. E’ una relazione dinamica a due vie tra persone e
sistemi sociali di apprendimento ai quali esse partecipano. Combina
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2. La conoscenza e le organizzazioni
trasformazioni personali con l’evoluzione delle strutture sociali (Wenger,
2000).
2.2.3 Modalità di apprendimento
Risulta ormai chiaro che qualsiasi processo di apprendimento è il frutto di
interazioni fra diversi elementi all’interno di uno spazio con molteplici
dimensioni. In particolare, l’apprendimento che riguarda la componente
“interazione con il contesto sociale” supera i concetti di “imparare per
mezzo di altri” e “imparare dagli altri” come modalità di apprendimento.
Nel primo caso uno o più individui si pongono come obiettivo il far
apprendere qualcosa a qualcuno. In questo tipo di interazione il controllo
del processo didattico è nelle mani dell’agente didattico ed esistono due
flussi di informazione: uno che va dall’agente didattico al discente, l’altro
dal discente all’agente didattico. Il primo flusso è rivolto a indurre un
apprendimento come risultato di un atto comunicativo, l’altro è utilizzato
dall’agente didattico per individuare le modifiche indotte dalla
comunicazione didattica. In questa modalità di interazione esiste un
feedback da parte del discente e il modellarsi della comunicazione
didattica sulla base del feedback. Si parla, allora, di sistemi didattici ad
anello chiuso. Tipico è il caso del padre che dà una spiegazione al proprio
bambino accertandosi che abbia capito.
Nel secondo caso manca il feedback e la comunicazione didattica è
monodirezionale e spesso manca l’intenzionalità rivolta a indurre un
apprendimento. Questo tipo di processo didattico viene denominato ad
anello aperto. Esempi sono: un programma televisivo, un allievo nuotatore
che analizza i movimenti di un campione.
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2.3 I KNOWLEDGE NETWORK
Il concetto di apprendimento che in questa sede si vuole analizzare è
collegato a quello di “imparare con gli altri”. “Gli altri” risultano essere la
fonte del nostro stesso apprendimento e, al medesimo tempo, noi lo siamo
per loro. Si realizza un apprendimento come processo collettivo, non
focalizzato a un determinato argomento didattico, continuo, trasformativo,
frutto della partecipazione di individui, dove la collaborazione è il
meccanismo di base per i processi di knowledge sharing.
Collaborazione vuol dire lavorare insieme, il che implica una condivisione
di compiti e un’esplicita intenzione di “aggiungere valore”, per creare
qualcosa di nuovo o differente attraverso un processo collaborativo,
deliberato e strutturato, in contrasto con un semplice scambio di
informazioni o esecuzioni di istruzioni. Un’ampia definizione di
apprendimento collaborativo potrebbe essere l’acquisizione da parte degli
individui di conoscenza, abilità o atteggiamenti che sono il risultato di
un’intenzione di gruppo, o, detto più chiaramente, un apprendimento
individuale come risultato di un processo di gruppo (Kaye, 1992).
Alla luce di quanto detto c’è piena convergenza tra “apprendimento
collaborativo”, “imparare con gli altri” e ”interazione con il contesto
sociale”.
Ovviamente questo processo collaborativo è limitato a un campo
rappresentato da un insieme di soggetti che formano essi stesso un
network. Partendo dalla definizione data da Knoke e Kuklinski (1983), un
network è un particolare tipo di relazioni che congiungono uno specifico
gruppo di persone, oggetti o eventi. Quindi, due sono i fattori essenziali
per la realizzazione di un network: il primo è l’esistenza di un gruppo di
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elementi, il secondo è che fra questi elementi ci siano specifiche relazioni
(Zornoza, Alcamì 1999).
Ponendo la nostra attenzione sulle persone e sulle conoscenza che in esse
risiedono, è possibile definire un knowledge network come un insieme di
persone che hanno, fra di loro, un comune interesse.
Avere un comune interesse è la chiave per la collaborazione e, quindi, per
avviare un processo di apprendimento collaborativo e di knowledge
sharing, ma non necessariamente tutti i membri di un knowledge network
condividono le stesse competenze.
Questi knowledge network possono essere definiti come sistemi sociali di
apprendimento, all’interno dei quali ciascun membro ha determinate
relazioni con gli altri soggetti costituenti il network e, queste relazioni,
sono quelle che ci consentono di “sapere”.
2.3.1 Modalità di appartenenza
E’ possibile appartenere ad un sistema sociale di apprendimento attraverso
diverse forme. In particolare Wenger (2000) identifica tre modalità di
appartenenza:
- coinvolgimento: svolgere attività insieme, parlare con altre persone,
produrre artefatti attraverso un processo di collaborazione. La nostra
esperienza e il nostro senso di appartenenza sono profondamente
influenzati da quello che siamo in grado di fare e da come il mondo
reagisce alle nostre azioni;
- immaginazione: realizzare un’immagine di noi stessi, dei nostri gruppi
di riferimento e del mondo al fine di orientarci. Questa modalità non si
lega alla fantasia come concetto di opposto alla realtà. Anzi, essa
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2. La conoscenza e le organizzazioni
contribuisce ad avere una visione più chiara del mondo che ci circonda.
Sapere che la terra è rotonda non è, ad esempio, fantasia. Nonostante
ciò, è necessario un serio atto di immaginazione;
- allineamento: assicurarsi che le nostre attività siano allineate, in misura
sufficiente, con altri processi che possono essere al di fuori del nostro
coinvolgimento. Questa modalità è legata ad un processo di
coordinamento di prospettive, interpretazioni e azioni per realizzare
obiettivi comuni.
E’ importante porre l’attenzione sulle differenti modalità di appartenenza
per due ragioni.
In primo luogo, ciascuna modalità contribuisce a definire un sistema
sociale di apprendimento, anche se non devono essere considerate
singolarmente, perché, generalmente, coesistono ed ogni sistema le
coinvolge in misure e combinazioni diverse. Nonostante ciò, una può
dominare rispetto alle altre e pertanto dare una particolarità distinta ad una
struttura sociale.
In secondo luogo, ogni modalità richiede un diverso tipo di lavoro. Il
lavoro legato al coinvolgimento necessita, per essere svolto, dell’esistenza
di attività congiunte, mentre il lavoro dell’immaginazione richiede che ci
si allontani dalla nostra situazione. Quindi, le modalità di appartenenza
possono essere in conflitto fra di loro, ma possono anche risultare
complementari. Per esempio, usare l’immaginazione per avere un quadro
completo del contesto delle nostre azioni può contribuire positivamente al
lavoro del coinvolgimento, perché si comprendono maggiormente le
relazioni sottostanti determinate attività. Pertanto, è utile cercare di
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2. La conoscenza e le organizzazioni
sviluppare queste tre modalità congiuntamente, bilanciando i limiti di una
con il lavoro di un’altra.
Tutto ciò contribuisce sia ai processi di apprendimento che a quelli di
collaborazione e condivisione.
E’ stato precedentemente definito che all’interno di un knowledge network
i membri condividono un comune interesse. Quando questo interesse è
rappresentato da una specifica e comune pratica e, quindi, da una comune
serie di competenze e abilità, è possibile parlare di comunità di pratica.
2.4 LE COMUNITA’ DI PRATICA
Le comunità di pratica sono i mattoni costitutivi di un sistema sociale di
apprendimento poiché sono i “contenitori” sociali delle competenze che
costituiscono questi sistemi. Attraverso la partecipazione a queste
comunità, è possibile definire quali siano le competenze in un determinato
contesto (Wenger 2000).
I membri di una comunità sono informalmente legati a ciò che essi fanno
insieme. Essi, generalmente, si aiutano a vicenda nel risolvere problemi,
condividere informazioni, costruire piani per le attività della comunità.
Queste mutue interazioni e relazioni permettono di costruire un corpo di
conoscenze e un senso di identità che è proprio della comunità.
2.4.1 Dimensioni
Le comunità di pratica, sostiene Wenger (1998), definiscono le
competenze combinando tre elementi.
23. Florindo Russo
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2. La conoscenza e le organizzazioni
Innanzitutto i membri sono legati fra di loro dal concetto di impresa
comune, relativo alla comprensione sviluppata collettivamente
dell’oggetto della loro comunità, e si ritengono reciprocamente
responsabili per questo senso comune di impresa. Si forma un’immagine
condivisa dei problemi e delle alternative percorribili, delle priorità
condivise negoziate fra i membri e uno sviluppo di una comune
consapevolezza. La competenza implica la conoscenza dell’impresa in
misura tale da poter contribuirvi.
In secondo luogo, i membri si impegnano reciprocamente per costruire la
loro comunità. Essi pongono in essere norme e relazioni di mutualità che
sono il prodotto delle interazione fra i soggetti della comunità, che
interagiscono e condividono l’esperienza che è propria di ciascuno allo
scopo di alimentare l’apprendimento collettivo e la fiducia. La competenza
implica la capacità di impegnarsi con la comunità ed essere ritenuto
affidabile in queste interazioni.
In terzo luogo. Le comunità di pratica producono un repertorio condiviso
di risorse comuni, un set di conoscenze, linguaggi, strumenti, artefatti e
routine che veicolano il sapere collettivo e custodiscono la memoria della
comunità. La competenza implica avere accesso a questo repertorio e
essere in grado di usarlo in modo appropriato.
Pertanto l’impresa comune, la mutualità e un repertorio condiviso
rappresentano le tre dimensioni interrelate di una comunità di pratica.
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I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002
2. La conoscenza e le organizzazioni
Adattamento da: Wenger, 1998
2.4.2 La pratica come principio epistemologico
Le comunità di pratiche si basano sull’assunto che il processo di
apprendimento è interamente situato non soltanto nello spazio e nel tempo,
ma, anche, inestricabilmente rispetto alla pratica sociale.
Il concetto di apprendimento attraverso la partecipazione a delle pratiche
consente di mettere a fuoco il fatto che, nelle attività di lavoro quotidiane,
l’apprendere non è un’attività separata dalle altre; al contrario ha luogo nel
flusso delle esperienze, in modo più o meno consapevole (Gherardi 2000).
La pratica è un principio epistemologico perché per apprendere che gli
oggetti hanno un’esistenza diversamente dalla nostra li dobbiamo prima
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2. La conoscenza e le organizzazioni
subordinare alla nostra stessa prassi. Per poter conoscere come sono le
cose quando non sono in contatto con noi dobbiamo prima entrare in
contatto con loro. Una pratica risulta essere il prodotto di specifiche
condizioni storiche e sociali che, a loro volta, sono il frutto di pratiche
precedenti e che sono trasformate nelle pratiche attuali. Il processo
materiale della produzione coinvolge la produzione o la riproduzione della
società.
Partecipare ad una pratica è, quindi, un modo attraverso il quale è possibile
acquisire conoscenza in azione, ma anche di cambiare tale conoscenza.
Anche il contributo sociologico allo studio dell’apprendimento
organizzativo sottolinea il concetto di apprendimento come partecipazione,
come luogo produzione di senso, di significati negoziati, di ordine
negoziato, nonché di relazioni sociali quali veicolo di opportunità di
apprendimento (Gherardi e Nicolini, 2000).
Il concetto di pratica include sia elementi espliciti che taciti. Include cosa
si rappresenta e cosa si assume, linguaggi, strumenti, immagini, simboli,
ruoli, criteri specifici, procedure codificate; ma include anche tutte le
relazioni implicite, convenzioni tacite, gesti, intuizioni, percezioni,
assunzioni e visioni condivise del mondo (Wenger, 1998).
Ogni pratica genera un senso condiviso riconducibile al processo della
negoziazione fra partecipanti. Il senso non corrisponde alla percezione del
singolo, né ad una realtà autoreferenziale ma è il frutto di una
coproduzione tra i partecipanti, che lo influenzano e ne sono a loro volta
influenzati. La negoziabilità del senso è la condizione per la sua
rinnovabilità.
Per Wenger (1998) la negoziazione risulta essere la somma di due
elementi fra di loro complementari: la partecipazione e la reificazione. Il
primo concetto descrive le esperienze di vita all’interno del mondo al
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2. La conoscenza e le organizzazioni
quale apparteniamo come membri di una comunità sociale; è la possibilità
di una mutua identificazione nell’altro che discende dalla reciproca abilità
di negoziazione del senso collettivo. Il secondo concetto descrive il
processo attraverso il quale si produce un oggetto che congela l’esperienza
legata alla partecipazione; è la cristallizzazione del senso collettivo in
artefatti e oggetti attorno ai quali ruota la negoziazione del senso e il
coordinamento delle azioni dei singoli.
La partecipazione e la reificazione servono come forme di memoria e fonti
di continuità e discontinuità e, quindi, come canali attraverso i quali è
possibile influenzare l’evoluzione della pratica (Wenger, 1998).
2.4.3 Le comunità nell’organizzazione
Le comunità di pratica sono presenti in qualsiasi organizzazione. Dato che
l’appartenenza ad esse si basa sulla partecipazione, piuttosto che su un
concetto statico di status, queste comunità non sono legate alle strutture
formali organizzative; esse attraversano i confini e le gerarchie
istituzionali. Queste comunità possono trovarsi:
- all’interno di business units: comunità di pratica sorgono quando le
persone indirizzano i loro sforzi verso la soluzione di problemi
comuni, attraverso modalità di lavoro collaborative e partecipative,
dove l’individualità perde il posto a favore della collettività;
- attraverso i confini delle business units: spesso la conoscenza
rilevante per determinate attività o processi è distribuita in differenti
unità della stessa organizzazione. Persone che lavorano in questi
contesti, fra di loro separati, formano spontanemante e
informalmente comunità di pratica per poter condividere esperienze
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I network nelle organizzazioni knowledge intensive. Il caso M.I.L.K. – 2002
2. La conoscenza e le organizzazioni
e continuare a mantenere vive le loro competenze, elementi
costituenti del gruppo. In queste situazioni le comunità possono
sviluppare visioni strategiche che trascendono la frammentazione
organizzativa e proporre piani di azioni che nessuna unità di
business, considerata singolarmente, potrebbe porre in essere;
- attraverso i confini dell’organizzazione: in alcuni casi si
costituiscono comunità di pratica i cui membri appartengono anche
a contesti organizzativi distinti. E’ il caso dove il concetto di
relazioni con l’esterno prende forma all’interno
dell’organizzazione.
Le comunità di pratica non devono, quindi, essere considerate delle nuove
o particolari unità organizzative. Esse si distinguono dagli altri tipi di
gruppi presenti nell’organizzazione per il modo attraverso i quali si
definiscono le competenze e l’esistenza oltre i confini di tempo e spazio.
Una comunità di pratica è differente da un’unità funzionale o di business,
in quanto sono gli stessi membri della comunità a decidere cosa fare, a
sviluppare in modo collettivo la loro capacità di comprensione dei
fenomeni e stabilire l’oggetto della loro pratica. Questo processo
costituente è altamente dinamico e i confini di una comunità risultano
molto più flessibili rispetto a quelli di un’unità organizzativa.
Una comunità di pratica è differente da un team, poiché l’apprendimento e
l’interesse comune sono le ragione dell’aggregazione dei membri, e non
compiti stabiliti a priori. Esiste un processo volontario di unione che fonda
le sue origini sul valore che i soggetti percepiscono in virtù di essere
membri di una comunità e non in relazione al partecipare ad un progetto.
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2. La conoscenza e le organizzazioni
Pertanto non esistono limiti temporali legati all’inizio e al termine di
attività da svolgere.
Una comunità di pratica è differente da un network, perché i partecipanti
non sono fra di loro legati solo da un insieme di relazioni, ma queste
relazioni hanno un oggetto: la pratica; queste relazioni rispecchiano
l’identità della comunità come gruppo e dei singoli, tutti coinvolti in un
collettivo processo di apprendimento.
Le persone che fanno parte di queste comunità appartengono,
contemporaneamente, anche alle strutture organizzate: nelle unità di
business essi costituiscono l’organizzazione; nei teams realizzano progetti;
nei network danno vita ad un insieme di relazioni. E’ proprio in queste
comunità che i soggetti sviluppano, in primo luogo, le proprie conoscenze,
che permettono di svolgere le altre attività; sono proprio questi gruppi
informali a rendere la formale struttura organizzativa effettiva e possibile.
2.4.4 L’importanza delle comunità
Le comunità di pratica risultano importanti per il funzionamento
dell’organizzazione, ma diventano cruciali in quegli ambienti dove la
conoscenza è ritenuta un elemento fondamentale: le organizzazioni
knowledge intensive. Da questo punto di vista la struttura formale
aziendale muta: assistiamo al passaggio da una forma di organizzazione
normativa ad una effettiva, che risulta compressa e all’interno della quale
si costituiscono costellazioni di interconnessioni fra comunità di pratica
interne ed esterne. Ogni comunità si relazione a specifici aspetti delle
competenze organizzative coinvolgenti elementi hard e soft, tecnici e
relazionali.
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2. La conoscenza e le organizzazioni
Organizzazione normativa
Organizzazione effettiva
Fonte: elaborazione
propria
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2. La conoscenza e le organizzazioni
All’interno di una comunità di pratica hanno luogo fenomeni vitali per i
processi legati alla conoscenza, quali la creazione, l’accumulazione e la
diffusione, all’interno di una organizzazione. Queste comunità:
- sono dei nodi per lo scambio e l’interpretazione delle informazioni.
Poiché i membri posseggono un comune senso di comprensione dei
fenomeni, essi sono in grado di identificare ciò che è rilevante per la
propria comunità e di presentare le informazioni in modo efficace ed
efficiente, attraverso modalità e strumenti che non necessariamente
risultano essere dell’organizzazione. Di conseguenza, una comunità di
pratica che supera i confini interni ed esterni dell’azienda risulta un
canale ideale per la trasmissione delle informazioni;
- possono trattenere la conoscenza attraverso “living ways”,
differentemente da quanto accade per un manuale o un database. I
membri sono in grado di contestualizzare le informazioni e di rendere
saldo, quindi, il legame di queste con l’explicit knowledge. Pertanto,
nella condivisione del contesto basato sulle circostanze e sulle
relazioni, le comunità rappresentano un tipo di ba e, quindi, un
elemento fondamentale per i processi di knowledge creation. Le
comunità di pratica custodiscono gli aspetti taciti della conoscenza che
i sistemi formali non possono catturare. Per questo motivo risultano
utili anche per le fasi iniziali di incorporazione nell’organizzazione di
nuovi entranti;
- rappresentano un contesto per definire e rafforzare l’identità. Le
comunità non hanno limiti di tempo come i tems e, diversamente dalle
business units, sono gli stessi membri a definire come organizzarsi.
31. Florindo Russo
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2. La conoscenza e le organizzazioni
L’identità permette, all’interno di un mondo dove le informazioni e la
loro circolazione aumentano sempre maggiormente, di riconoscere
quelle sulle quali porre attenzione e ciò risulta cruciale per gli aspetti
legati all’apprendimento organizzativo. Inoltre, combina esperienza e
competenza in un modo di apprendere e rappresenta la chiave per
decidere cosa conta, con chi ci identifichiamo, di chi ci fidiamo e con
chi condividere quello che comprendiamo. In tale contesto, l’identità si
lega fortemente al concetto di care di von Krog (1998).
Attraverso queste visioni delle comunità di pratica ben si comprende il
legame con il concetto di “ba” di Nonaka e Konno (1998). In realtà un
comunità può essere considerata, in definitiva, un tipo di “ba”.
Adattamento da: Konno, 2000
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2. La conoscenza e le organizzazioni
Le organizzazioni, per sviluppare la capacità di creare e ritenere
conoscenza, devono comprendere i processi attraverso i quali queste
comunità d’apprendimento si evolvono e interagiscono (Wenger, 1998).
2.5 L’ACTIVITY THEORY
Il concetto di comunità di pratica è proposto, in questa sede, come uno
strumento per analizzare i sistemi sociali di apprendimento e, quindi, i
knowledge network. Risulta però opportuno integrare, seppur brevemente,
tale strumento di analisi attraverso un altro framework concettuale:
l’activity theory, termine comunemente accettato per identificare un filone
di teorie e ricerche.
L’activity theory differisce dalla teoria delle comunità di pratica, in
relazione all’unità di analisi, non per il livello ma per la direzione di
analisi; entrambe, infatti, si collocano nell’intersezione tra il livello
dell’individuo come soggetto e il livello dell’organizzazione come sistema.
Quella delle comunità, è una teoria diretta ad analizzare il lavoro empirico
di un gruppo di persone, che operano insieme, e ciò si rivela molto utile
soprattutto per descrivere le reazioni informali all’interno delle formali
strutture organizzative. L’activity theory indirizza la propria attenzione
verso quei processi che attraversano le differenti unità organizzative al fine
di identificare le attività che costituiscono il sistema di analisi. Infatti, è il
sistema di attività localizzato storicamente ad essere al centro dell’activity
theory, che considera l’apprendimento come un risultato attivo, dipendente
dalle risorse culturali.
Un sistema di attività dovrebbe, almeno, includere i seguenti elementi
(Engestrom, 1999):
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2. La conoscenza e le organizzazioni
1) Il soggetto: l’individuo o il sottogruppo scelto come punto di vista per
l’analisi dell’intero sistema di attività.
2) L’oggetto: il problema fisico o concettuale verso il quale l’attività è
diretta.
3) Gli strumenti: l’insieme di elementi fisici, tecnologici, simbolici,
concettuali, esterni e interni mediante i quali è possibile formare o
trasformare l’oggetto in un risultato.
4) La comunità: un gruppo di individui che condividono, in generale, lo
stesso oggetto.
5) La divisione del lavoro: sia quelle orizzontali, tra i compiti dei membri
della comunità, che quelle verticali, all’interno delle divisioni di potere
e responsabilità.
6) Le regole sociali: l’insieme delle regole, norme e convenzioni esplicite
e tacite che condizionano le attività e le interazioni all’interno del
sistema.
L’infrastruttura culturale che supporta l’apprendimento include gli
strumenti condivisi dai membri di una comunità, così come la sua
divisione del lavoro e le sue regole sociali.
34. Florindo Russo
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2. La conoscenza e le organizzazioni
Fonte: Blacker, 1995
A causa della loro complessità i sistemi di attività possono essere
considerati sistemi che producono tensione. In effetti, ciascuna delle linee
rette che rappresenta le relazioni nella figura triangolare dovrebbe essere
sostituita da linee ondulate o spezzate per enfatizzare le incoerenze che
inevitabilmente si sviluppano nei sistemi di attività (Blackler 1999).
Queste incoerenze sono spesso ignorate. Nonostante ciò, le tensioni
all’interno, fra gli elementi del sistema, e all’esterno, tra un sistema e
l’altro, possono fornire le basi per un ciclo di apprendimento collettivo.
L’activity theory differisce dalla teoria delle comunità di pratica,
innanzitutto, per la sua assunzione dell’oggetto come forza che guida la
direzione dell’intero sistema d’attività. L’oggetto corrisponde a ciò che
Wenger definisce impresa comune, ma non risulta soggetto a
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2. La conoscenza e le organizzazioni
negoziazione. L’activity theory enfatizza l’aspetto produttivo orientato
all’oggetto prima ancora che quello comunicativo orientato al soggetto.
Gli elementi quali strumenti e regole sociali si associano a ciò che Wenger
descrive come repertorio condiviso; mentre la comunità è semplicemente
un gruppo di individui che condividono lo stesso oggetto, concetto
palesemente limitato comparato allo stesso utilizzato da Wenger.
2.6 VERSO UNA SINTESI
Entrambi i concetti di comunità di pratica e di activity system possono
essere considerati strumenti per l’analisi dei knowledge network, ed
offrono, allo stesso tempo, validi contributi alla comprensione di questi
network.
Un knowledge network all’interno di una organizzazione knowledge
intensive è definito in parte dalle sue qualità come comunità, per esempio
l’estensione attraverso la quale identificare l’impresa comune, la mutualità
e il repertorio condiviso, e la negoziazione del senso legata alla pratica
comune. Ma esso è definito anche dai sui ruoli all’interno
dell’organizzazione come sistema di attività. E’ possibile, quindi,
estendere la teoria delle comunità di pratica con elementi dell’activity
theory. Hakonsen e Carlsen (1999) propongono di rafforzare la
dimensione dell’impresa comune con la nozione di oggetto, attraverso il
quale si indirizzano gli sforzi dei soggetti verso obiettivi inerenti alle
logiche di mercato. Inoltre la dimensione relativa alla mutualità potrebbe
essere rafforzata con quella dalla divisione del lavoro, la quale permette di
distinguere le caratteristiche delle attività in termini di coordinazione, ruoli
e processi.
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Adattato da: Hakonsen e Carlsen, 1999