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Davide Bonera                                                                                                                             Pedagogista




                                                         ANDREA NON SEMPRE
                                                         VA A SCUOLA
                                                         VOLENTIERI
                                                         Tra Fami glia e Scuola: piccole stori e
                                                         di una collaborazione mai finita!
                                                         30 gennaio 20 09



                                             PROGETTO “NESSUNO FUO RI 2 ” L. 23/99
                                             Centro Inizi ati va G enit ori Democratici
                                             Comune di Villa Carci na – As s. Ser vizi all a Pers ona
                                             Istit uto Comprensi vo “T. Oli velli”
                                             La Vela – S oc. Coop. O nl us




        Sommario

        Premessa.......................................................................................................................................1
        Troppa distanza tra insegnanti e genitori!....................................................................................1
        Andrea: “schema di lavoro… cooperativo” .................................................................................3
        Oltre il Patto di Corresponsabilità educativa …dal “Contratto” all’Alleanza .............................4
        E l’organizzazione scolastica? .....................................................................................................5
        Verso l’alleanza possibile: attenzione e attenzioni ......................................................................6
        La serata è conclusa .....................................................................................................................8
        Saluto finale ...............................................................................................................................10
        Crediti.........................................................................................................................................10



Premessa
Vorrei dare inizio alla serata mettendovi1 alla prova attraverso l’analisi di una situazione critica. Avviando le
nostre serate, ci siamo abituati a prendere in considerazione situazioni concrete, eventi quotidiani che
possono capitare a chiunque e con i quali siamo chiamati a fare i conti.
La situazione critica è attinente (guarda caso) a tale Andrea, che… non sempre va a scuola volentieri.

Andrea ha 12 anni e alcune volte non va a scuola molto volentieri. Negli ultimi tempi i docenti si sono resi
conto che il suo rendimento è decisamente peggiorato, anche per quanto riguarda gli aspetti organizzativi:
non porta il materiale, è disordinato, non annota i compiti.
Le insegnanti di Lettere e Inglese, rispettivamente Marta e Maria, valutata la situazione con altri docenti,
decidono di convocare i genitori per comprendere meglio la situazione e affrontarla nel migliore dei modi
possibile.
All’appuntamento si presenta Olga, la madre di Andrea.

Proviamo ora a mettere in scena questo colloquio e poi ci prendiamo il tempo per ragionare su cosa
emerge.



Troppa distanza tra insegnanti e genitori!

Ringrazio gli attori che si sono prestati alla simulazione e provo ad annotare alcune considerazioni
sull’incontro.

1
    L’autore si rivolge ai genitori intervenuti alla serata.

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Davide Bonera                                                                                           Pedagogista


In genere, quando si assiste ad un incontro tra due persone, specie quando queste sono chiamate a
collaborare dal punto di vista educativo, un modo molto semplice per valutarne l’efficacia è
chiedersi quanto le persone coinvolte, a seguito della comunicazione, hanno modificato il proprio
modo di vedere le cose abbracciando quello dell’altro. Questo dato, apparentemente banale,
richiama il significato profondo della comunicazione e della sua importanza.
Applicando questa valutazione alla nostra esercitazione veniamo assaliti da un senso di
scoraggiamento.
Tanto il genitore, quanto gli insegnanti hanno avviato la comunicazione con una serie di idee e un
campionario di argomenti da portare all’altro che difficilmente hanno modificato nel corso del
dialogo. In altre parole, hanno cominciato a parlare, ma nessuna delle parti ha ascoltato; hanno
cominciato a dialogare, ma nessuna delle parti ha cambiato il proprio modo di vedere la faccenda,
tant’è che gli interlocutori non sono riusciti a raggiungere una visione comune, nè a tentare una
soluzione condivisa del problema. In altre parole, non sono riusciti a risolvere il problema di
Andrea.
Ma entriamo meglio nei dettagli contenutistici dell’esercitazione.
Il genitore si è presentato all’appuntamento con visibili timori e un generale atteggiamento di
resistenza. Come spesso succede nella realtà, anche da parte di Olga la convocazione viene vissuta
non come un segnale importante di alleanza, o di richiesta di collaborazione, ma per le modalità con
cui viene proposta, come messa alla prova o peggio come esame delle sue capacità genitoriali.
Per un genitore il fatto di essere convocato a scuola rappresenta una situazione di stress, perché apre
scenari emotivi talvolta intensi e di difficile controllo.
L’atteggiamento resistente di Olga, messo in evidenza anche dalla postura “chiusa” e distante, non
trova certo motivi per venire meno di fronte al comportamento degli insegnanti.
I professori che accolgono Olga sono freddi: si limitano ad un convenzionale “buongiorno” e non
brillano per senso di ospitalità. Piuttosto che prendersi il tempo per mettere a proprio agio Olga (che
è visibilmente a disagio) iniziano a sciorinare i motivi della convocazione, a consegnare il problema
ben confezionato, indagando le sue origini e pretendendo che venga risolto a casa con un maggiore
impegno genitoriale. Questo atteggiamento magari non rispecchia l’intenzionalità dei docenti, ma
(ed è questo che conta) tali sono i vissuti di Olga e tale è la ricaduta relazionale.
Ergo, come sopra si diceva, Olga se ne va dal colloquio con qualche senso di colpa in più, una
pessima immagine dei docenti e la ferma convinzione che deve impegnarsi ad essere molto più
rigida e punitiva nei confronti di Andrea.
Da parte loro, i docenti confermano che le problematiche dipendono quasi esclusivamente dalle
relazioni familiari e che, segnalando la faccenda alla madre, il loro compito educativo sì è pressoché
esaurito.
Analizzando più approfonditamente i contenuti della comunicazione circa le problematiche di
Andrea, è facile constatare come esse non siano state di fatto prese in considerazione.
Non sono emerse ipotesi (si badi bene: ipotesi, non soluzioni) per esempio sul perché Andrea sia
disordinato o male organizzato e non si è analizzata l’eventuale escalation di questi comportamenti:
Andrea non è stato messo al centro di un confronto pedagogico, ma è stato utilizzato (quasi
esclusivamente) come “campo di battaglia” per fazioni che talora attaccano e talaltra difendono.
E’ come se nel corso del colloquio non fossero a confronto due stili educativi che cercano di
integrarsi, ma due diverse “visioni” della stessa persona, che devono predominare l’una sull’altra.

Prima di proseguire mi sembra molto eloquente riproporre la rivisitazione dell’originale “finestra di
Johari”, un simpatico schema per comprendere i segreti e il valore della comunicazione
interpersonale2.



2
  Sarebbe affascinante approfondire in questa sede lo schema di Johari, ma… non c’è tempo e, comunque, è molto più
intrigante lasciare spazio alla curiosità…

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Davide Bonera                                                                                                  Pedagogista




Andrea: “schema di lavoro… cooperativo”

Seppur con uno sforzo di fantasia, immaginiamo che la finestra rappresenti Andrea.
Di lui ci sono aspetti che sono contemporaneamente noti tanto alla famiglia quanto alla scuola
(quadrante A), si tratta per esempio di dati anagrafici, aspetti estetici, voti e valutazioni. C’è poi
un’area che possiamo dire nota solo alla famiglia (quadrante B), aspetti del comportamento riferiti
alle relazioni familiari, atteggiamenti e competenze extrascolastiche, tutto il mondo, insomma, che
Andrea vive all’esterno della scuola e che quasi mai “entra” nella scuola stessa. Il quadrante C
rappresenta l’Andrea “scolastico” con tutte le implicazioni e le conseguenze.
Questa eccessiva schematizzazione non deve spaventarci; si tratta solo di un artificio per mostrare
(e non potrebbe essere altrimenti) che Andrea, come tutte le persone, gioca ruoli diversi a seconda
dei contesti nei quali fa esperienze di relazione con gli altri. Capita spesso di incontrare genitori che
riferiscono che il proprio figlio a casa si comporta benissimo, mentre a scuola è considerato uno
scalmanato. Viceversa, assistiamo in alcuni casi alla situazione opposta con bambini ben organizzati
e ligi in contesti extracasalinghi, lavativi e disordinati nelle relazioni domestiche.
Ma la cosa più interessante dello schema è il quadrante D, che rappresenta una serie di informazioni
che non sono note né alla scuola, né tanto meno alla famiglia e neppure ad Andrea stesso.
Dal momento che scuola e famiglia collaborano e si scambiano informazioni, riversando cioè
informazioni dai quadranti B e C nel quadrante A, è inevitabile che quest’ultimo aumenti di
estensione, riducendo automaticamente l’area non nota (il quadrante D).
L’aumento dell’area del quadrante D equivale al fatto che Andrea aumenta la conoscenza di sé ed è
questo il più importante servizio educativo che scuola e famiglia possono esercitare cooperando.

L’esercitazione ci ha portato a constatare quanto il mondo della scuola e quello della famiglia siano
tristemente lontani dal raggiungimento di un livello ottimale di cooperazione3.


3
  Quando vengono scritti questi interventi, è buona norma che l’autore (qualsiasi esso sia) accentui gli aspetti negativi,
piuttosto che le aree luminose, delle tematiche che va trattando. Questa consuetudine ha lo scopo di assetare il lettore e
portarlo a desiderare di liberarsi dalla propria situazione sempre negativa e mai funzionante per aspirare ad altro. Si
tratta ovviamente di un puro artificio retorico, per altro ben conosciuto e ampiamente utilizzato dai più famosi oratori,
che persegue l’unico scopo di tenere attaccati al testo i lettori che vanno così alla ricerca di una soluzione. La realtà
delle cose è ben altra: le difficoltà scuola famiglia ci sono, ma non sono insormontabili; come per altro il tanto agognato

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Davide Bonera                                                                                                 Pedagogista


Se avessimo presentato lo schema di Johari all’inizio della serata, invitando gli attori a giocare con
esso con l’obbiettivo di diminuire l’area del quadrante D, la simulazione avrebbe seguito un corso
molto diverso. Olga e gli insegnanti avrebbero avviato la comunicazione con meno resistenze, meno
presunzioni, meno giudizi e meno consigli… limitandosi (si fa per dire) a scambiarsi conoscenze
note “solo a sé”. Inevitabilmente si sarebbero raggiunte maggior intesa e cooperazione al servizio di
Andrea4.
Se lo schema di Johari può favorire un approccio sereno e costruttivo alla comunicazione
scuola/famiglia, è bene ricordare che un ottimo livello di cooperazione si costruisce anche
attraverso aspetti formali e di carattere organizzativo.


Oltre il Patto di Corresponsabilità educativa …dal “Contratto” all’Alleanza

Per favorire la comunicazione educativa tra scuola e famiglia, sono stati redatti documenti, definiti
nella maggior parte dei casi “patti”, che hanno lo scopo di sancire la volontà di queste agenzie
educative di collaborare.
Queste prassi hanno un preciso riferimento legislativo…
Promuovendo la costruzione di “patti educativi”, il legislatore ha inteso offrire indicazioni concrete
e strumenti importanti per la costruzione di rapporti democratici e simmetrici tra genitori ed
insegnanti, seppur nella netta distinzione di peculiarità e competenze.
Anche Villa Carcina ha il suo patto!
Esso dettaglia molto bene quali sono le competenze della scuola rispetto all’educazione degli
studenti e sancisce una serie di obblighi/impegni che tutte le parti (docenti/scuola, genitori/famiglia
e studenti) devono impegnarsi a rispettare e portare a termine per il mantenimento del patto stesso.
Leggendolo si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un documento contrattuale che descrive il
rapporto tra famiglia e scuola e attraverso il quale è facile ritrovare i propri diritti e doveri.
Tale documento, pur essendo certamente utile nel chiarire le reciproche competenze e nel segnare i
confini di azione delle due parti, non è comunque privo di aspetti critici.
In primo luogo, è importante ricordare che il documento rappresenta uno strumento di alleanza e
non l’Alleanza in quanto tale. La sottolineatura può apparire banale, ma quante volte in educazione
la fatica di elaborare un documento di tale portata ‘esaurisce’ la tensione verso un processo che
proprio questa grande fatica deve avviare!
In secondo luogo, non è infrequente che spesso documenti di tale significato rischino di trasformarsi
in lettera morta, perché annunciano sistemi di valori e prassi che sono così idealmente perfette da
cozzare con la realtà quotidiana che li rende propositi… irrealizzabili.
Infine, il documento in sé non offre indicazioni concrete su come mantenere e rinforzare tale patto ,
se non la generica constatazione che ognuno debba fare la propria parte, e quindi è inadeguato per
affrontare situazioni di emergenza, dove pare necessario esprimere competenze di collaborazione
più sofisticate.
Ecco che, per esempio, di fronte a situazioni di emergenza educativa (come il caso di Andrea), il
“documento/patto” non viene nemmeno preso in considerazione, né tanto meno utilizzato come
piattaforma di lavoro.
Semmai, il riferimento ad esso, come succede nei contratti, è occasione per sollevare le reciproche
carenze, mettere in evidenza i punti deboli delle capacità educative, in una sorta di gara a chi ha
‘sbagliato di più’, a chi è meno capace di educare e di solito soccombe chi si sente solo, chi
percepisce se stesso come meno ‘attrezzato’.

“livello ottimale di cooperazione” non esiste in senso statico (almeno in questa vita), ma è sempre un processo… in
fieri.
4
  Mi è capitato di proporre la finestra di Johari come schema di lavoro cooperativo a gruppi di genitori con la proposta
di applicarlo nelle loro relazioni con la scuola. Il riscontro è stato ottimo e ha portato ad un importante miglioramento
della qualità delle relazioni stesse.

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Davide Bonera                                                                                Pedagogista


Questo aspetto rappresenta una delle contraddizioni più evidenti di questo sistema, perché, a ben
vedere, genitori ed insegnanti non sono delle controparti arroccate ciascuna sulle proprie posizioni e
tese a difendere il proprio feudo. Anche perché le competenze ‘territoriali’ e gli interessi non sono
in contrasto, ma coincidono e sono cuciti dal medesimo valore: il bene del figlio e dell’alunno.
Quando si scopre che l’oggetto/soggetto dell’incontro tra genitori ed insegnanti è unico e
irripetibile, seppur con sfaccettature diverse, che le parti desiderano entrambe la stessa cosa e che
non si stanno contendendo la ragione dei fatti, la logica dell’incontro si modifica ed il rapporto non
assume più la natura di un contratto, ma quello di un’alleanza.
Se il rapporto scuola famiglia è regolato solo dalle circolari ministeriali, atti formali, comunicazioni
scuola/famiglia e dalle disposizioni del legislatore (che comunque sono prassi necessarie per molti
aspetti), prevarrà un rapporto forse formalmente “corretto”, ma sostanzialmente c’è il serio rischio
che si diffondano lontananza e diffidenza reciproche.
I docenti di Andrea e la madre, per superare la situazione di crisi, devono fare qualcosa di più:
passare da un’idea di contratto ad un proposito di alleanza.



E l’organizzazione scolastica?

Una prima considerazione per cercare di spiegare le difficoltà verso la costruzione di una alleanza
soddisfacente chiama in causa il tema generale dell’organizzazione e della gestione scolastica.
Molte difficoltà, si è detto e si dice, possono essere dovute alla inadeguata organizzazione
scolastica, e quindi alle circolari applicative poco chiare, alle leggi che sarebbero sbagliate e mosse
da ideologie distorte e via di seguito.
Pertanto ci si aspetta una massiccia e profonda riforma istituzionale come panacea di tutti i mali.
All’interno di questa logica di pensiero non si collocano solo i riformisti di turno, ma anche i
controriformisti, accomunati dalla convinzione che l’impianto legislativo e il sistema organizzativo
siano i primi aspetti da curare e salvaguardare. E’ frequente che questo atteggiamento consolidi
posizioni spesso ideologizzate e settarie che offrono soluzioni quasi sempre parziali. Ma non è
questo il punto.
Molte osservazioni a proposito del sistema organizzativo scolastico sono indispensabili anche per il
dibattito educativo: attraverso il miglioramento dell’istituzione si possono evitare e limitare certe
disfunzioni. Riflettiamo per esempio sull’istituto dei colloqui e su quanto sia importante garantire
dal punto di vista organizzativo la possibilità che i genitori incontrino i docenti e che questi possano
avere il tempo necessario per curare i contatti con la famiglia e spiegare l’andamento scolastico
dello studente.
Ma questo non garantisce che i colloqui siano un istituto perfetto e perfettamente funzionante.
Spesso si sottovaluta che le persone vengono prima delle istituzioni e che i rapporti di
collaborazione, se possono essere facilitati o ostacolati dalle caratteristiche dell’organizzazione,
sono in parte dovuti ai valori e alle decisioni di chi opera in esse.
Non dimentichiamoci quindi che sono le persone che possono “fare andar bene “ le istituzioni. In tal
senso (e squisitamente dal punto di vista educativo) non possiamo assolutamente confermare che
seppur avendolo utilizzato, il colloquio sia stato per Olga un momento molto positivo.
Pensiamo poi a grandi educatori del passato, o anche agli eroici insegnanti del presente, che si sono
trovati a combattere e/o resistere contro l’organizzazione per affermare innovazioni educative e un
fare pedagogico assolutamente divergente rispetto al sistema istituzionale nel quale operano.
Possiamo concludere che una buona organizzazione scolastica crea i presupposti, ma non esaurisce
completamente il tema dell’alleanza.
Non occupandomi in modo specifico di sistemi organizzativi, non posso esprimere un parere
definitivo, ma ritengo di poter affermare che anche aspettando la migliore riforma possibile, e anche
se questa trovasse un giorno il suo compimento, non si creda che il tema dell’alleanza educativa si

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Davide Bonera                                                                                                 Pedagogista


esaurisca e che genitori e insegnanti non debbano quotidianamente affaticarsi per ricercare una
maggiore sintonia tra le parti.


Verso l’alleanza possibile: attenzione e attenzioni
Ripercorrendo la simulazione iniziale, della quale ci siamo impegnati a mettere in evidenza gli
aspetti esclusivamente negativi, possiamo per analogia o per contrasto sottolineare una serie di
attenzioni che se contemplate, potrebbero favorire un buon livello di collaborazione.

I Attenzione: un pizzico di assertività
Non c’è che dire, Marta e Maria (le docenti) hanno espresso, anche se in forma diversa, uno stile
comunicativo (e un atteggiamento) piuttosto… volitivo. Esse cercavano il più possibile di tenere
banco e di comandare la comunicazione, preoccupandosi del fatto che le loro opinioni o ‘sentenze’
giungessero nel più breve tempo possibile e senza sconti al povero mittente5. Da parte sua, Olga ha
mantenuto per tutta la comunicazione un atteggiamento sommesso, tragicamente e passivamente
conciliante.
Due modi opposti di gestire la comunicazione, che spesso non portano a conoscersi e collaborare.
Lo stile della comunicazione dovrebbe essere da ambedue le parti il più possibile assertivo, tendente
cioè ad un giusto equilibrio tra la forza con la quale è necessario esprimere i propri concetti e la
pacatezza nell’accogliere i concetti dell’altro.
Si tratta di una qualità (quella dell’assertività) che si può apprendere e coltivare, ma che presuppone
alcuni passaggi cognitivi ed emotivi molto importanti. In primo luogo è bene definire che cosa si
vuole dire, successivamente curare il modo con cui si dice, ponendo attenzione anche su quale
messaggio arriva e su come viene compreso dall’altro.
Non c’è nulla da dire sulle buone intenzioni di Marta e Maria e sul desiderio di sollecitare in Olga
maggiori presenza e attenzione alle faccende scolastiche di Andrea, ma l’impeto da loro mostrato e
soprattutto lo scarso livello di ascolto delle fatiche di Olga, hanno portato la loro comunicazione a
fallire miseramente, incrementando in Olga un personale senso di inefficacia e una sfiducia nei
confronti dell’istituzione scolastica.
“Mi sono sentita giudicata”, “mi sono sentita poco accolta”, “è solo colpa mia”, “la fanno facile
loro”: queste e altre locuzioni passano per la testa di Olga alla fine del colloquio e non sono certo
pensieri che favoriscono la costruzione di una collaborazione coi docenti!

II Attenzione: un pizzico di ottimismo
Il risultato più evidente della simulazione è che i pensieri di Olga allontanano sempre di più
l’ipotesi di una possibile cooperazione. La mamma di Andrea si porta via una pessima opinione di
Marta e Maria, opinione che di solito si traduce in pregiudizi e luoghi comuni quali: “con tutti i
soldi che prendono…”, “invece di insegnare, perdono il tempo a fare le maestrine anche ai
genitori”, ecc.
Suggeriamo allora ad Olga che la costruzione e la tenuta di un’alleanza sono dovute alla certezza
che anche i docenti agiscono, nel modo e nella misura in cui è loro possibile, per il comune
obiettivo: fare in modo che i ragazzi vadano volentieri a scuola e imparino con soddisfazione.
E’ incredibile affermarlo, ma solamente il miglioramento scolastico di Andrea può permettere la
distensione tra docenti e genitori.
Ma vi sembra giusto: un moccioso di 12 anni che pensa solo a se stesso diventa l’arbitro del bello e
cattivo tempo tra un gruppo di adulti!


5
 Dalla simulazione è emersa un’immagine piuttosto caricaturale dei docenti. Questa non corrisponde alla realtà, anche
se della realtà mette in evidenza alcuni caratteri generali. Se lo stesso copione fosse stato interpretato da insegnanti,
piuttosto che da genitori, probabilmente non sarebbe emersa un’immagine così accentuata di difetti! (Ce ne scusiamo
con i lettori, specie se appartenenti alla categoria dei docenti).

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Davide Bonera                                                                                                     Pedagogista


Difficile suggerire ad Olga, evitando il rischio di apparire banale, che dovrebbe sforzarsi di
cancellare dalla testa i ‘pensieri cattivi’ e rimodulare i pregiudizi…
Eppure pare che un passaggio cognitivo necessario sia proprio questo: sforzarsi di trovare gli aspetti
positivi dell’altro.
Nella condizione di Olga, pare impossibile riuscire ad effettuare quel passaggio mentale, eppure la
strada è proprio quella e tutti i genitori che hanno osservato Olga possono trarne alcuni
insegnamenti.
In tal senso sarebbe bello che, al di là dell’andamento scolastico dei figli, i genitori ogni tanto si
incontrassero coi docenti e si facessero i complimenti. Sarebbe interessante sperimentare situazioni
nelle quali gli adulti non si incontrano solo per affrontare i problemi degli studenti e nemmeno per
dirsi che il ragazzo è bravo, piuttosto per comunicarsi che… gli adulti coinvolti funzionano.
Sarebbe interessante finalizzare gli incontri alla conoscenza reciproca fine a se stessa e non in
funzione dei figli/studenti.
Costruire una relazione “al di là dei figli” ma “per i figli” può sembrare contraddittorio. Vediamola
così: genitori e docenti si incontrano a causa dell’andamento dei figli e per questa ragione sono
‘obbligati’ ad incontrarsi. Il funzionamento dell’intervento educativo in favore dei figli non può
prescindere dal funzionamento dell’incontro scuola famiglia, che quindi viene prima. In tal senso
l’introduzione e l’applicazione di un atteggiamento empatico sono quanto mai necessari.

III Attenzione: un pizzico di empatia
Proseguiamo questo viaggio in compagnia di Olga e delle sue fatiche alla ricerca del’alleanza
perfetta con le docenti.
Tutte le buone alleanze oltre alla necessità di essere alimentate da assertività e speranza, hanno
bisogno di un atteggiamento empatico.
I genitori si sono mai chiesti (e lo hanno mai chiesto) come gli insegnanti ‘tengono la classe’? Si
sono mai informati coi diretti interessati circa i modi di intendere la disciplina e l’uso delle
punizioni, di dare significato ai voti e ai compiti a casa? Si sono mai sforzati di comprendere la
biografia professionale degli insegnanti e le motivazioni del loro agire educativo? I genitori si sono
mai posti nell’ottica di partecipare alla ‘filosofia educativa’ che sta dietro ogni comportamento del
docente, comprendendola nelle sue ragioni più vere e valoriali?
Un atteggiamento di questo tipo potrebbe suscitare nei docenti alcune comprensibili resistenze per il
fatto di sentirsi vagamente indagati. Ma tutto dipenderà dalla capacità del genitore di manifestare le
proprie intenzioni che saranno orientate al confronto e alla conoscenza e non all’indagine e al
giudizio.
Tutto ciò può sembrare un percorso faticosissimo e lo è, ma non dobbiamo dimenticare che
l’empatia6 (perché è di questo che si sta trattando) è un atteggiamento naturale delle persone, forse
soffocato dai ruoli e dal regime di funzionamento sociale, ma pur sempre naturale e quindi destinato
a contagiare le loro azioni.

IV Attenzione: un pizzico di conoscenza in più
Olga, come molti genitori, si porta appresso un’immagine stereotipata degli insegnanti, che di solito
oscilla tra il superman tutto fare e il burocrate parassita.
Ma quali sono le caratteristiche che fanno di un insegnante un insegnante, appunto?
Per quanto ci sforziamo di attribuire al ruolo dell’insegnante infinite competenze e onnipotenze
educative, tanto che è frequentissimo il meccanismo della delega, in realtà il suo campo di azione è
ben circoscrivibile entro quattro tipi di conoscenze, che, scusate il gioco di parole, è bene che i
genitori conoscano7.


6
 Cfr. “Educare all’empatia”, dispensa n. 5, incontro del 16 maggio 2008.
7
 Questo paragrafo è particolarmente ‘ispirato’ dalla lettura di articoli e saggi di altri autori, dei quali però non ricordo
con precisione nomi e opere. Mi scuso con gli interessati e resto a disposizione per le ratifiche necessarie.

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Davide Bonera                                                                                  Pedagogista


Conoscenza della materia. Va da sé che il docente deve ben conoscere la disciplina che si appresta
ad insegnare, tanto da riuscire a far ‘innamorare’ di essa gli allievi.
Conoscenza del metodo. Altro elemento tecnico e di studio che di solito i docenti apprendono
durante il percorso di studi universitari e risponde non già a quello che insegno, ma a come lo
insegno.
Conoscenza di sé. E’ fondamentale per ogni persona (figuriamoci per chi si appresta ad educare!)
avere una percezione chiara dei propri punti di forza e di debolezza, che equivale al sapersi
ascoltare e comprendere, ad accettarsi per migliorare.
Conoscenza di un proprio ideale di ruolo. E’ la conoscenza che ci dice quanto l’insegnate si
senta in cammino per migliorare il proprio lavoro come fonte di realizzazione di sé e quindi di
benessere. E’ la sintesi dei desiderata e dei sogni che gli insegnanti hanno circa il proprio ruolo.
L’elevata cura di queste quattro conoscenze determinano il docente perfetto!
Se Olga vuole costruire l’alleanza, è bene che si informi circa il livello di conoscenza degli
insegnanti di Andrea riferito a queste quattro aree.

V (e ultima) Attenzione: schivare le trappole
Tutti i percorsi sono lastricati di trappole che spesso bloccano le persone, la comunicazione e
minano alla base le migliori intenzioni di alleanza. Ci sono trappole che sono peculiari dei genitori e
altre che lo sono degli insegnanti. In questa sede ci limiteremo a sottolineare quelle che sono emerse
durante la simulazione e che riguardano tutti gli attori coinvolti.
Scarica barile. Trappola molto frequente tanto tra i genitori quanto tra gli insegnanti, che porta ad
attribuire sempre alla controparte le responsabilità di una situazione. Nella nostra simulazione
abbiamo avuto la possibilità di assistere alla versione “docenti” per cui le responsabilità del non
funzionamento di Andrea sembrano di esclusiva proprietà dei genitori. Magari è vero, ma il
meccanismo dello scaricabarile, come abbiamo più volte ricordato, confina Olga in una situazione
di disagio e priva di supporto che la manda in crisi.
Lamentarsi e basta. Un altro modo per resistere al cambiamento è quello di limitarsi alla lamentela
senza formulare richieste e passare a forme di azione sociale come per esempio “il lasciarsi
coinvolgere” dai rappresentanti o dai docenti… Di solito la lamentela e basta è un ottimo alibi per
farsi esonerare ed autoescludersi dai processi di cambiamento.
Coltivare i pregiudizi con la stessa passione con la quale si coltiva l’orto. E’ carnefice e vittima del
pregiudizio chi afferma che i genitori sono tutti assenti...o che gli insegnanti sono tutti fannulloni...,
estendendo all’intera categoria giudizi che sarebbero magari adatti a pochi di essi. Abbiamo in
passato riflettuto sul tema del pregiudizio8 e siamo giunti alla conclusione che se in prima battuta il
possesso di un pre-giudizio può rappresentare un punto di partenza orientativo, l’ostinazione attorno
ad esso e la rigidità nel coltivarlo portano a non intravvedere le diversità delle persone e a non
apprezzare il positivo esistente da entrambe le parti.
Bastare a se stessi perché mia figlia/o va bene a scuola. La trappola nella quali tutti i genitori
sperano di cadere (sigh). Esiste di questa trappola anche una versione tipica degli insegnanti
quando, per esempio, la classe funziona e scatta un meccanismo di autoreferenzialità esagerato e
poco democratico.
Fare lo struzzo perché mio figlia/o va male a scuola. Per molti genitori questa non rappresenta una
trappola, ma, ahimè, una calda coperta che protegge dal rigore dell’inverno. Anche di questa
trappola esiste una versione specifica per insegnanti. Il sintomo più eloquente: tenere tutto quello
che succede rigorosamente tra le mura della classe!


La serata è conclusa
Concludiamo la serata proponendo alcune esercitazioni per fare prove di alleanza.

8
    Cfr. “Educare all’empatia”, dispensa n. 5, incontro del 16 maggio 2008

                                                             8
Davide Bonera                                                                                                 Pedagogista


Si tratta di alcuni giochi proposti nel corso di laboratori finalizzati alla costruzione di una solida
alleanza scuola famiglia e portati all’attenzione del progetto “Nessuno Fuori” da Claudio Girelli
durante il laboratorio “Genitori e figli: compagni di banco” al quale parteciparono anche alcuni
insegnanti.
Gioco di Johari. Genitori ed insegnanti, in sedi separate, compilano i propri riquadri di competenza
ponendo attenzione a scrivere il numero maggiore di aspetti che conoscono dello studente/figlio.
Successivamente si riuniscono e condividono i propri lavori. Elaborando uno schema comune i
giocatori faranno confluire nel riquadro A il numero maggiore di informazioni9.
Gioco del protocollo relazionale. Genitori ed insegnanti compilano in sede separata lo schema di
seguito riportato avendo cura di indicare quali sono le condizioni, i modi d’essere e di agire che
tanto insegnanti quanto i genitori mettono nella relazione e che possono favorire od ostacolare la
collaborazione. Nella fase successiva i partecipanti si confrontano sugli elaborati e cercano di
riflettere sulle sollecitazioni scritte.
In genere è un esercizio che favorisce molto l’esplicitazione dei punti di vista negativi e dei
pregiudizi, ma offre anche la lettura dei punti di forza di questa relazione sui quali vale la pena
riflettere al fine di rinforzarli.

                                          Ciò che favorisce la           Ciò che ostacola la
                                             collaborazione                 collaborazione


                       Insegnanti

                         Genitori

                    Gioco del protocollo relazionale: indicare negli appositi spazi le
                    condizioni, i modi d’essere e di agire che ostacolano o
                    favoriscono la collaborazione.


Gioco della situazione ideale
Genitori ed insegnanti provano a compilare il seguente schema a partire dalle situazioni quotidiane
di collaborazione scuola/famiglia che sentono di dover migliorare.


                                                      Cose che la       Cose che la        Azioni per
                Situazione         Situazione
                quotidiana            Ideale         favoriscono        ostacolano         migliorare

                  INCONTRI
                 INFORMALI

                 COLLOQUI

                   AVVISI

                    ECC..


9
 Come abbiamo scritto in precedenza, la rivisitazione dello schema di Johari non è solo un’esercitazione ludica, ma un
modo di pensare la collaborazione secondo la quale la vera conoscenza di sé di uno studente/figlio si realizza solo con il
contributo congiunto di genitori ed insegnati.

                                                            9
Davide Bonera                                                                               Pedagogista


Saluto finale
Scuola e famiglia, genitori ed insegnanti sono uniti dalla medesima tensione a volere il bene dei
figli/studenti e le diversità di carattere, di luogo e di compiti non devono diventare fonti di
incomprensione. La condivisione del valore reciproco deve spingere a cercare di capirsi, a superare
le difficoltà e a costruire l’accordo.


Crediti
Un sentito ringraziamento a tutte le persone che in vario modo e a vario titolo si sono rivolte in
questi mesi allo Sportello di Consulenza pedagogica, contribuendo con i loro racconti e
suggerimenti alla stesura di questa dispensa.
Un augurio a tutti coloro, compreso il sottoscritto, che talvolta sono ‘travolti’ dai pregiudizi, ma
che, nonostante questo, lavorano per la costruzione di una solida alleanza scuola/famiglia. Grazie.




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  • 1. Davide Bonera Pedagogista ANDREA NON SEMPRE VA A SCUOLA VOLENTIERI Tra Fami glia e Scuola: piccole stori e di una collaborazione mai finita! 30 gennaio 20 09 PROGETTO “NESSUNO FUO RI 2 ” L. 23/99 Centro Inizi ati va G enit ori Democratici Comune di Villa Carci na – As s. Ser vizi all a Pers ona Istit uto Comprensi vo “T. Oli velli” La Vela – S oc. Coop. O nl us Sommario Premessa.......................................................................................................................................1 Troppa distanza tra insegnanti e genitori!....................................................................................1 Andrea: “schema di lavoro… cooperativo” .................................................................................3 Oltre il Patto di Corresponsabilità educativa …dal “Contratto” all’Alleanza .............................4 E l’organizzazione scolastica? .....................................................................................................5 Verso l’alleanza possibile: attenzione e attenzioni ......................................................................6 La serata è conclusa .....................................................................................................................8 Saluto finale ...............................................................................................................................10 Crediti.........................................................................................................................................10 Premessa Vorrei dare inizio alla serata mettendovi1 alla prova attraverso l’analisi di una situazione critica. Avviando le nostre serate, ci siamo abituati a prendere in considerazione situazioni concrete, eventi quotidiani che possono capitare a chiunque e con i quali siamo chiamati a fare i conti. La situazione critica è attinente (guarda caso) a tale Andrea, che… non sempre va a scuola volentieri. Andrea ha 12 anni e alcune volte non va a scuola molto volentieri. Negli ultimi tempi i docenti si sono resi conto che il suo rendimento è decisamente peggiorato, anche per quanto riguarda gli aspetti organizzativi: non porta il materiale, è disordinato, non annota i compiti. Le insegnanti di Lettere e Inglese, rispettivamente Marta e Maria, valutata la situazione con altri docenti, decidono di convocare i genitori per comprendere meglio la situazione e affrontarla nel migliore dei modi possibile. All’appuntamento si presenta Olga, la madre di Andrea. Proviamo ora a mettere in scena questo colloquio e poi ci prendiamo il tempo per ragionare su cosa emerge. Troppa distanza tra insegnanti e genitori! Ringrazio gli attori che si sono prestati alla simulazione e provo ad annotare alcune considerazioni sull’incontro. 1 L’autore si rivolge ai genitori intervenuti alla serata. 1
  • 2. Davide Bonera Pedagogista In genere, quando si assiste ad un incontro tra due persone, specie quando queste sono chiamate a collaborare dal punto di vista educativo, un modo molto semplice per valutarne l’efficacia è chiedersi quanto le persone coinvolte, a seguito della comunicazione, hanno modificato il proprio modo di vedere le cose abbracciando quello dell’altro. Questo dato, apparentemente banale, richiama il significato profondo della comunicazione e della sua importanza. Applicando questa valutazione alla nostra esercitazione veniamo assaliti da un senso di scoraggiamento. Tanto il genitore, quanto gli insegnanti hanno avviato la comunicazione con una serie di idee e un campionario di argomenti da portare all’altro che difficilmente hanno modificato nel corso del dialogo. In altre parole, hanno cominciato a parlare, ma nessuna delle parti ha ascoltato; hanno cominciato a dialogare, ma nessuna delle parti ha cambiato il proprio modo di vedere la faccenda, tant’è che gli interlocutori non sono riusciti a raggiungere una visione comune, nè a tentare una soluzione condivisa del problema. In altre parole, non sono riusciti a risolvere il problema di Andrea. Ma entriamo meglio nei dettagli contenutistici dell’esercitazione. Il genitore si è presentato all’appuntamento con visibili timori e un generale atteggiamento di resistenza. Come spesso succede nella realtà, anche da parte di Olga la convocazione viene vissuta non come un segnale importante di alleanza, o di richiesta di collaborazione, ma per le modalità con cui viene proposta, come messa alla prova o peggio come esame delle sue capacità genitoriali. Per un genitore il fatto di essere convocato a scuola rappresenta una situazione di stress, perché apre scenari emotivi talvolta intensi e di difficile controllo. L’atteggiamento resistente di Olga, messo in evidenza anche dalla postura “chiusa” e distante, non trova certo motivi per venire meno di fronte al comportamento degli insegnanti. I professori che accolgono Olga sono freddi: si limitano ad un convenzionale “buongiorno” e non brillano per senso di ospitalità. Piuttosto che prendersi il tempo per mettere a proprio agio Olga (che è visibilmente a disagio) iniziano a sciorinare i motivi della convocazione, a consegnare il problema ben confezionato, indagando le sue origini e pretendendo che venga risolto a casa con un maggiore impegno genitoriale. Questo atteggiamento magari non rispecchia l’intenzionalità dei docenti, ma (ed è questo che conta) tali sono i vissuti di Olga e tale è la ricaduta relazionale. Ergo, come sopra si diceva, Olga se ne va dal colloquio con qualche senso di colpa in più, una pessima immagine dei docenti e la ferma convinzione che deve impegnarsi ad essere molto più rigida e punitiva nei confronti di Andrea. Da parte loro, i docenti confermano che le problematiche dipendono quasi esclusivamente dalle relazioni familiari e che, segnalando la faccenda alla madre, il loro compito educativo sì è pressoché esaurito. Analizzando più approfonditamente i contenuti della comunicazione circa le problematiche di Andrea, è facile constatare come esse non siano state di fatto prese in considerazione. Non sono emerse ipotesi (si badi bene: ipotesi, non soluzioni) per esempio sul perché Andrea sia disordinato o male organizzato e non si è analizzata l’eventuale escalation di questi comportamenti: Andrea non è stato messo al centro di un confronto pedagogico, ma è stato utilizzato (quasi esclusivamente) come “campo di battaglia” per fazioni che talora attaccano e talaltra difendono. E’ come se nel corso del colloquio non fossero a confronto due stili educativi che cercano di integrarsi, ma due diverse “visioni” della stessa persona, che devono predominare l’una sull’altra. Prima di proseguire mi sembra molto eloquente riproporre la rivisitazione dell’originale “finestra di Johari”, un simpatico schema per comprendere i segreti e il valore della comunicazione interpersonale2. 2 Sarebbe affascinante approfondire in questa sede lo schema di Johari, ma… non c’è tempo e, comunque, è molto più intrigante lasciare spazio alla curiosità… 2
  • 3. Davide Bonera Pedagogista Andrea: “schema di lavoro… cooperativo” Seppur con uno sforzo di fantasia, immaginiamo che la finestra rappresenti Andrea. Di lui ci sono aspetti che sono contemporaneamente noti tanto alla famiglia quanto alla scuola (quadrante A), si tratta per esempio di dati anagrafici, aspetti estetici, voti e valutazioni. C’è poi un’area che possiamo dire nota solo alla famiglia (quadrante B), aspetti del comportamento riferiti alle relazioni familiari, atteggiamenti e competenze extrascolastiche, tutto il mondo, insomma, che Andrea vive all’esterno della scuola e che quasi mai “entra” nella scuola stessa. Il quadrante C rappresenta l’Andrea “scolastico” con tutte le implicazioni e le conseguenze. Questa eccessiva schematizzazione non deve spaventarci; si tratta solo di un artificio per mostrare (e non potrebbe essere altrimenti) che Andrea, come tutte le persone, gioca ruoli diversi a seconda dei contesti nei quali fa esperienze di relazione con gli altri. Capita spesso di incontrare genitori che riferiscono che il proprio figlio a casa si comporta benissimo, mentre a scuola è considerato uno scalmanato. Viceversa, assistiamo in alcuni casi alla situazione opposta con bambini ben organizzati e ligi in contesti extracasalinghi, lavativi e disordinati nelle relazioni domestiche. Ma la cosa più interessante dello schema è il quadrante D, che rappresenta una serie di informazioni che non sono note né alla scuola, né tanto meno alla famiglia e neppure ad Andrea stesso. Dal momento che scuola e famiglia collaborano e si scambiano informazioni, riversando cioè informazioni dai quadranti B e C nel quadrante A, è inevitabile che quest’ultimo aumenti di estensione, riducendo automaticamente l’area non nota (il quadrante D). L’aumento dell’area del quadrante D equivale al fatto che Andrea aumenta la conoscenza di sé ed è questo il più importante servizio educativo che scuola e famiglia possono esercitare cooperando. L’esercitazione ci ha portato a constatare quanto il mondo della scuola e quello della famiglia siano tristemente lontani dal raggiungimento di un livello ottimale di cooperazione3. 3 Quando vengono scritti questi interventi, è buona norma che l’autore (qualsiasi esso sia) accentui gli aspetti negativi, piuttosto che le aree luminose, delle tematiche che va trattando. Questa consuetudine ha lo scopo di assetare il lettore e portarlo a desiderare di liberarsi dalla propria situazione sempre negativa e mai funzionante per aspirare ad altro. Si tratta ovviamente di un puro artificio retorico, per altro ben conosciuto e ampiamente utilizzato dai più famosi oratori, che persegue l’unico scopo di tenere attaccati al testo i lettori che vanno così alla ricerca di una soluzione. La realtà delle cose è ben altra: le difficoltà scuola famiglia ci sono, ma non sono insormontabili; come per altro il tanto agognato 3
  • 4. Davide Bonera Pedagogista Se avessimo presentato lo schema di Johari all’inizio della serata, invitando gli attori a giocare con esso con l’obbiettivo di diminuire l’area del quadrante D, la simulazione avrebbe seguito un corso molto diverso. Olga e gli insegnanti avrebbero avviato la comunicazione con meno resistenze, meno presunzioni, meno giudizi e meno consigli… limitandosi (si fa per dire) a scambiarsi conoscenze note “solo a sé”. Inevitabilmente si sarebbero raggiunte maggior intesa e cooperazione al servizio di Andrea4. Se lo schema di Johari può favorire un approccio sereno e costruttivo alla comunicazione scuola/famiglia, è bene ricordare che un ottimo livello di cooperazione si costruisce anche attraverso aspetti formali e di carattere organizzativo. Oltre il Patto di Corresponsabilità educativa …dal “Contratto” all’Alleanza Per favorire la comunicazione educativa tra scuola e famiglia, sono stati redatti documenti, definiti nella maggior parte dei casi “patti”, che hanno lo scopo di sancire la volontà di queste agenzie educative di collaborare. Queste prassi hanno un preciso riferimento legislativo… Promuovendo la costruzione di “patti educativi”, il legislatore ha inteso offrire indicazioni concrete e strumenti importanti per la costruzione di rapporti democratici e simmetrici tra genitori ed insegnanti, seppur nella netta distinzione di peculiarità e competenze. Anche Villa Carcina ha il suo patto! Esso dettaglia molto bene quali sono le competenze della scuola rispetto all’educazione degli studenti e sancisce una serie di obblighi/impegni che tutte le parti (docenti/scuola, genitori/famiglia e studenti) devono impegnarsi a rispettare e portare a termine per il mantenimento del patto stesso. Leggendolo si ha l’impressione di trovarsi di fronte ad un documento contrattuale che descrive il rapporto tra famiglia e scuola e attraverso il quale è facile ritrovare i propri diritti e doveri. Tale documento, pur essendo certamente utile nel chiarire le reciproche competenze e nel segnare i confini di azione delle due parti, non è comunque privo di aspetti critici. In primo luogo, è importante ricordare che il documento rappresenta uno strumento di alleanza e non l’Alleanza in quanto tale. La sottolineatura può apparire banale, ma quante volte in educazione la fatica di elaborare un documento di tale portata ‘esaurisce’ la tensione verso un processo che proprio questa grande fatica deve avviare! In secondo luogo, non è infrequente che spesso documenti di tale significato rischino di trasformarsi in lettera morta, perché annunciano sistemi di valori e prassi che sono così idealmente perfette da cozzare con la realtà quotidiana che li rende propositi… irrealizzabili. Infine, il documento in sé non offre indicazioni concrete su come mantenere e rinforzare tale patto , se non la generica constatazione che ognuno debba fare la propria parte, e quindi è inadeguato per affrontare situazioni di emergenza, dove pare necessario esprimere competenze di collaborazione più sofisticate. Ecco che, per esempio, di fronte a situazioni di emergenza educativa (come il caso di Andrea), il “documento/patto” non viene nemmeno preso in considerazione, né tanto meno utilizzato come piattaforma di lavoro. Semmai, il riferimento ad esso, come succede nei contratti, è occasione per sollevare le reciproche carenze, mettere in evidenza i punti deboli delle capacità educative, in una sorta di gara a chi ha ‘sbagliato di più’, a chi è meno capace di educare e di solito soccombe chi si sente solo, chi percepisce se stesso come meno ‘attrezzato’. “livello ottimale di cooperazione” non esiste in senso statico (almeno in questa vita), ma è sempre un processo… in fieri. 4 Mi è capitato di proporre la finestra di Johari come schema di lavoro cooperativo a gruppi di genitori con la proposta di applicarlo nelle loro relazioni con la scuola. Il riscontro è stato ottimo e ha portato ad un importante miglioramento della qualità delle relazioni stesse. 4
  • 5. Davide Bonera Pedagogista Questo aspetto rappresenta una delle contraddizioni più evidenti di questo sistema, perché, a ben vedere, genitori ed insegnanti non sono delle controparti arroccate ciascuna sulle proprie posizioni e tese a difendere il proprio feudo. Anche perché le competenze ‘territoriali’ e gli interessi non sono in contrasto, ma coincidono e sono cuciti dal medesimo valore: il bene del figlio e dell’alunno. Quando si scopre che l’oggetto/soggetto dell’incontro tra genitori ed insegnanti è unico e irripetibile, seppur con sfaccettature diverse, che le parti desiderano entrambe la stessa cosa e che non si stanno contendendo la ragione dei fatti, la logica dell’incontro si modifica ed il rapporto non assume più la natura di un contratto, ma quello di un’alleanza. Se il rapporto scuola famiglia è regolato solo dalle circolari ministeriali, atti formali, comunicazioni scuola/famiglia e dalle disposizioni del legislatore (che comunque sono prassi necessarie per molti aspetti), prevarrà un rapporto forse formalmente “corretto”, ma sostanzialmente c’è il serio rischio che si diffondano lontananza e diffidenza reciproche. I docenti di Andrea e la madre, per superare la situazione di crisi, devono fare qualcosa di più: passare da un’idea di contratto ad un proposito di alleanza. E l’organizzazione scolastica? Una prima considerazione per cercare di spiegare le difficoltà verso la costruzione di una alleanza soddisfacente chiama in causa il tema generale dell’organizzazione e della gestione scolastica. Molte difficoltà, si è detto e si dice, possono essere dovute alla inadeguata organizzazione scolastica, e quindi alle circolari applicative poco chiare, alle leggi che sarebbero sbagliate e mosse da ideologie distorte e via di seguito. Pertanto ci si aspetta una massiccia e profonda riforma istituzionale come panacea di tutti i mali. All’interno di questa logica di pensiero non si collocano solo i riformisti di turno, ma anche i controriformisti, accomunati dalla convinzione che l’impianto legislativo e il sistema organizzativo siano i primi aspetti da curare e salvaguardare. E’ frequente che questo atteggiamento consolidi posizioni spesso ideologizzate e settarie che offrono soluzioni quasi sempre parziali. Ma non è questo il punto. Molte osservazioni a proposito del sistema organizzativo scolastico sono indispensabili anche per il dibattito educativo: attraverso il miglioramento dell’istituzione si possono evitare e limitare certe disfunzioni. Riflettiamo per esempio sull’istituto dei colloqui e su quanto sia importante garantire dal punto di vista organizzativo la possibilità che i genitori incontrino i docenti e che questi possano avere il tempo necessario per curare i contatti con la famiglia e spiegare l’andamento scolastico dello studente. Ma questo non garantisce che i colloqui siano un istituto perfetto e perfettamente funzionante. Spesso si sottovaluta che le persone vengono prima delle istituzioni e che i rapporti di collaborazione, se possono essere facilitati o ostacolati dalle caratteristiche dell’organizzazione, sono in parte dovuti ai valori e alle decisioni di chi opera in esse. Non dimentichiamoci quindi che sono le persone che possono “fare andar bene “ le istituzioni. In tal senso (e squisitamente dal punto di vista educativo) non possiamo assolutamente confermare che seppur avendolo utilizzato, il colloquio sia stato per Olga un momento molto positivo. Pensiamo poi a grandi educatori del passato, o anche agli eroici insegnanti del presente, che si sono trovati a combattere e/o resistere contro l’organizzazione per affermare innovazioni educative e un fare pedagogico assolutamente divergente rispetto al sistema istituzionale nel quale operano. Possiamo concludere che una buona organizzazione scolastica crea i presupposti, ma non esaurisce completamente il tema dell’alleanza. Non occupandomi in modo specifico di sistemi organizzativi, non posso esprimere un parere definitivo, ma ritengo di poter affermare che anche aspettando la migliore riforma possibile, e anche se questa trovasse un giorno il suo compimento, non si creda che il tema dell’alleanza educativa si 5
  • 6. Davide Bonera Pedagogista esaurisca e che genitori e insegnanti non debbano quotidianamente affaticarsi per ricercare una maggiore sintonia tra le parti. Verso l’alleanza possibile: attenzione e attenzioni Ripercorrendo la simulazione iniziale, della quale ci siamo impegnati a mettere in evidenza gli aspetti esclusivamente negativi, possiamo per analogia o per contrasto sottolineare una serie di attenzioni che se contemplate, potrebbero favorire un buon livello di collaborazione. I Attenzione: un pizzico di assertività Non c’è che dire, Marta e Maria (le docenti) hanno espresso, anche se in forma diversa, uno stile comunicativo (e un atteggiamento) piuttosto… volitivo. Esse cercavano il più possibile di tenere banco e di comandare la comunicazione, preoccupandosi del fatto che le loro opinioni o ‘sentenze’ giungessero nel più breve tempo possibile e senza sconti al povero mittente5. Da parte sua, Olga ha mantenuto per tutta la comunicazione un atteggiamento sommesso, tragicamente e passivamente conciliante. Due modi opposti di gestire la comunicazione, che spesso non portano a conoscersi e collaborare. Lo stile della comunicazione dovrebbe essere da ambedue le parti il più possibile assertivo, tendente cioè ad un giusto equilibrio tra la forza con la quale è necessario esprimere i propri concetti e la pacatezza nell’accogliere i concetti dell’altro. Si tratta di una qualità (quella dell’assertività) che si può apprendere e coltivare, ma che presuppone alcuni passaggi cognitivi ed emotivi molto importanti. In primo luogo è bene definire che cosa si vuole dire, successivamente curare il modo con cui si dice, ponendo attenzione anche su quale messaggio arriva e su come viene compreso dall’altro. Non c’è nulla da dire sulle buone intenzioni di Marta e Maria e sul desiderio di sollecitare in Olga maggiori presenza e attenzione alle faccende scolastiche di Andrea, ma l’impeto da loro mostrato e soprattutto lo scarso livello di ascolto delle fatiche di Olga, hanno portato la loro comunicazione a fallire miseramente, incrementando in Olga un personale senso di inefficacia e una sfiducia nei confronti dell’istituzione scolastica. “Mi sono sentita giudicata”, “mi sono sentita poco accolta”, “è solo colpa mia”, “la fanno facile loro”: queste e altre locuzioni passano per la testa di Olga alla fine del colloquio e non sono certo pensieri che favoriscono la costruzione di una collaborazione coi docenti! II Attenzione: un pizzico di ottimismo Il risultato più evidente della simulazione è che i pensieri di Olga allontanano sempre di più l’ipotesi di una possibile cooperazione. La mamma di Andrea si porta via una pessima opinione di Marta e Maria, opinione che di solito si traduce in pregiudizi e luoghi comuni quali: “con tutti i soldi che prendono…”, “invece di insegnare, perdono il tempo a fare le maestrine anche ai genitori”, ecc. Suggeriamo allora ad Olga che la costruzione e la tenuta di un’alleanza sono dovute alla certezza che anche i docenti agiscono, nel modo e nella misura in cui è loro possibile, per il comune obiettivo: fare in modo che i ragazzi vadano volentieri a scuola e imparino con soddisfazione. E’ incredibile affermarlo, ma solamente il miglioramento scolastico di Andrea può permettere la distensione tra docenti e genitori. Ma vi sembra giusto: un moccioso di 12 anni che pensa solo a se stesso diventa l’arbitro del bello e cattivo tempo tra un gruppo di adulti! 5 Dalla simulazione è emersa un’immagine piuttosto caricaturale dei docenti. Questa non corrisponde alla realtà, anche se della realtà mette in evidenza alcuni caratteri generali. Se lo stesso copione fosse stato interpretato da insegnanti, piuttosto che da genitori, probabilmente non sarebbe emersa un’immagine così accentuata di difetti! (Ce ne scusiamo con i lettori, specie se appartenenti alla categoria dei docenti). 6
  • 7. Davide Bonera Pedagogista Difficile suggerire ad Olga, evitando il rischio di apparire banale, che dovrebbe sforzarsi di cancellare dalla testa i ‘pensieri cattivi’ e rimodulare i pregiudizi… Eppure pare che un passaggio cognitivo necessario sia proprio questo: sforzarsi di trovare gli aspetti positivi dell’altro. Nella condizione di Olga, pare impossibile riuscire ad effettuare quel passaggio mentale, eppure la strada è proprio quella e tutti i genitori che hanno osservato Olga possono trarne alcuni insegnamenti. In tal senso sarebbe bello che, al di là dell’andamento scolastico dei figli, i genitori ogni tanto si incontrassero coi docenti e si facessero i complimenti. Sarebbe interessante sperimentare situazioni nelle quali gli adulti non si incontrano solo per affrontare i problemi degli studenti e nemmeno per dirsi che il ragazzo è bravo, piuttosto per comunicarsi che… gli adulti coinvolti funzionano. Sarebbe interessante finalizzare gli incontri alla conoscenza reciproca fine a se stessa e non in funzione dei figli/studenti. Costruire una relazione “al di là dei figli” ma “per i figli” può sembrare contraddittorio. Vediamola così: genitori e docenti si incontrano a causa dell’andamento dei figli e per questa ragione sono ‘obbligati’ ad incontrarsi. Il funzionamento dell’intervento educativo in favore dei figli non può prescindere dal funzionamento dell’incontro scuola famiglia, che quindi viene prima. In tal senso l’introduzione e l’applicazione di un atteggiamento empatico sono quanto mai necessari. III Attenzione: un pizzico di empatia Proseguiamo questo viaggio in compagnia di Olga e delle sue fatiche alla ricerca del’alleanza perfetta con le docenti. Tutte le buone alleanze oltre alla necessità di essere alimentate da assertività e speranza, hanno bisogno di un atteggiamento empatico. I genitori si sono mai chiesti (e lo hanno mai chiesto) come gli insegnanti ‘tengono la classe’? Si sono mai informati coi diretti interessati circa i modi di intendere la disciplina e l’uso delle punizioni, di dare significato ai voti e ai compiti a casa? Si sono mai sforzati di comprendere la biografia professionale degli insegnanti e le motivazioni del loro agire educativo? I genitori si sono mai posti nell’ottica di partecipare alla ‘filosofia educativa’ che sta dietro ogni comportamento del docente, comprendendola nelle sue ragioni più vere e valoriali? Un atteggiamento di questo tipo potrebbe suscitare nei docenti alcune comprensibili resistenze per il fatto di sentirsi vagamente indagati. Ma tutto dipenderà dalla capacità del genitore di manifestare le proprie intenzioni che saranno orientate al confronto e alla conoscenza e non all’indagine e al giudizio. Tutto ciò può sembrare un percorso faticosissimo e lo è, ma non dobbiamo dimenticare che l’empatia6 (perché è di questo che si sta trattando) è un atteggiamento naturale delle persone, forse soffocato dai ruoli e dal regime di funzionamento sociale, ma pur sempre naturale e quindi destinato a contagiare le loro azioni. IV Attenzione: un pizzico di conoscenza in più Olga, come molti genitori, si porta appresso un’immagine stereotipata degli insegnanti, che di solito oscilla tra il superman tutto fare e il burocrate parassita. Ma quali sono le caratteristiche che fanno di un insegnante un insegnante, appunto? Per quanto ci sforziamo di attribuire al ruolo dell’insegnante infinite competenze e onnipotenze educative, tanto che è frequentissimo il meccanismo della delega, in realtà il suo campo di azione è ben circoscrivibile entro quattro tipi di conoscenze, che, scusate il gioco di parole, è bene che i genitori conoscano7. 6 Cfr. “Educare all’empatia”, dispensa n. 5, incontro del 16 maggio 2008. 7 Questo paragrafo è particolarmente ‘ispirato’ dalla lettura di articoli e saggi di altri autori, dei quali però non ricordo con precisione nomi e opere. Mi scuso con gli interessati e resto a disposizione per le ratifiche necessarie. 7
  • 8. Davide Bonera Pedagogista Conoscenza della materia. Va da sé che il docente deve ben conoscere la disciplina che si appresta ad insegnare, tanto da riuscire a far ‘innamorare’ di essa gli allievi. Conoscenza del metodo. Altro elemento tecnico e di studio che di solito i docenti apprendono durante il percorso di studi universitari e risponde non già a quello che insegno, ma a come lo insegno. Conoscenza di sé. E’ fondamentale per ogni persona (figuriamoci per chi si appresta ad educare!) avere una percezione chiara dei propri punti di forza e di debolezza, che equivale al sapersi ascoltare e comprendere, ad accettarsi per migliorare. Conoscenza di un proprio ideale di ruolo. E’ la conoscenza che ci dice quanto l’insegnate si senta in cammino per migliorare il proprio lavoro come fonte di realizzazione di sé e quindi di benessere. E’ la sintesi dei desiderata e dei sogni che gli insegnanti hanno circa il proprio ruolo. L’elevata cura di queste quattro conoscenze determinano il docente perfetto! Se Olga vuole costruire l’alleanza, è bene che si informi circa il livello di conoscenza degli insegnanti di Andrea riferito a queste quattro aree. V (e ultima) Attenzione: schivare le trappole Tutti i percorsi sono lastricati di trappole che spesso bloccano le persone, la comunicazione e minano alla base le migliori intenzioni di alleanza. Ci sono trappole che sono peculiari dei genitori e altre che lo sono degli insegnanti. In questa sede ci limiteremo a sottolineare quelle che sono emerse durante la simulazione e che riguardano tutti gli attori coinvolti. Scarica barile. Trappola molto frequente tanto tra i genitori quanto tra gli insegnanti, che porta ad attribuire sempre alla controparte le responsabilità di una situazione. Nella nostra simulazione abbiamo avuto la possibilità di assistere alla versione “docenti” per cui le responsabilità del non funzionamento di Andrea sembrano di esclusiva proprietà dei genitori. Magari è vero, ma il meccanismo dello scaricabarile, come abbiamo più volte ricordato, confina Olga in una situazione di disagio e priva di supporto che la manda in crisi. Lamentarsi e basta. Un altro modo per resistere al cambiamento è quello di limitarsi alla lamentela senza formulare richieste e passare a forme di azione sociale come per esempio “il lasciarsi coinvolgere” dai rappresentanti o dai docenti… Di solito la lamentela e basta è un ottimo alibi per farsi esonerare ed autoescludersi dai processi di cambiamento. Coltivare i pregiudizi con la stessa passione con la quale si coltiva l’orto. E’ carnefice e vittima del pregiudizio chi afferma che i genitori sono tutti assenti...o che gli insegnanti sono tutti fannulloni..., estendendo all’intera categoria giudizi che sarebbero magari adatti a pochi di essi. Abbiamo in passato riflettuto sul tema del pregiudizio8 e siamo giunti alla conclusione che se in prima battuta il possesso di un pre-giudizio può rappresentare un punto di partenza orientativo, l’ostinazione attorno ad esso e la rigidità nel coltivarlo portano a non intravvedere le diversità delle persone e a non apprezzare il positivo esistente da entrambe le parti. Bastare a se stessi perché mia figlia/o va bene a scuola. La trappola nella quali tutti i genitori sperano di cadere (sigh). Esiste di questa trappola anche una versione tipica degli insegnanti quando, per esempio, la classe funziona e scatta un meccanismo di autoreferenzialità esagerato e poco democratico. Fare lo struzzo perché mio figlia/o va male a scuola. Per molti genitori questa non rappresenta una trappola, ma, ahimè, una calda coperta che protegge dal rigore dell’inverno. Anche di questa trappola esiste una versione specifica per insegnanti. Il sintomo più eloquente: tenere tutto quello che succede rigorosamente tra le mura della classe! La serata è conclusa Concludiamo la serata proponendo alcune esercitazioni per fare prove di alleanza. 8 Cfr. “Educare all’empatia”, dispensa n. 5, incontro del 16 maggio 2008 8
  • 9. Davide Bonera Pedagogista Si tratta di alcuni giochi proposti nel corso di laboratori finalizzati alla costruzione di una solida alleanza scuola famiglia e portati all’attenzione del progetto “Nessuno Fuori” da Claudio Girelli durante il laboratorio “Genitori e figli: compagni di banco” al quale parteciparono anche alcuni insegnanti. Gioco di Johari. Genitori ed insegnanti, in sedi separate, compilano i propri riquadri di competenza ponendo attenzione a scrivere il numero maggiore di aspetti che conoscono dello studente/figlio. Successivamente si riuniscono e condividono i propri lavori. Elaborando uno schema comune i giocatori faranno confluire nel riquadro A il numero maggiore di informazioni9. Gioco del protocollo relazionale. Genitori ed insegnanti compilano in sede separata lo schema di seguito riportato avendo cura di indicare quali sono le condizioni, i modi d’essere e di agire che tanto insegnanti quanto i genitori mettono nella relazione e che possono favorire od ostacolare la collaborazione. Nella fase successiva i partecipanti si confrontano sugli elaborati e cercano di riflettere sulle sollecitazioni scritte. In genere è un esercizio che favorisce molto l’esplicitazione dei punti di vista negativi e dei pregiudizi, ma offre anche la lettura dei punti di forza di questa relazione sui quali vale la pena riflettere al fine di rinforzarli. Ciò che favorisce la Ciò che ostacola la collaborazione collaborazione Insegnanti Genitori Gioco del protocollo relazionale: indicare negli appositi spazi le condizioni, i modi d’essere e di agire che ostacolano o favoriscono la collaborazione. Gioco della situazione ideale Genitori ed insegnanti provano a compilare il seguente schema a partire dalle situazioni quotidiane di collaborazione scuola/famiglia che sentono di dover migliorare. Cose che la Cose che la Azioni per Situazione Situazione quotidiana Ideale favoriscono ostacolano migliorare INCONTRI INFORMALI COLLOQUI AVVISI ECC.. 9 Come abbiamo scritto in precedenza, la rivisitazione dello schema di Johari non è solo un’esercitazione ludica, ma un modo di pensare la collaborazione secondo la quale la vera conoscenza di sé di uno studente/figlio si realizza solo con il contributo congiunto di genitori ed insegnati. 9
  • 10. Davide Bonera Pedagogista Saluto finale Scuola e famiglia, genitori ed insegnanti sono uniti dalla medesima tensione a volere il bene dei figli/studenti e le diversità di carattere, di luogo e di compiti non devono diventare fonti di incomprensione. La condivisione del valore reciproco deve spingere a cercare di capirsi, a superare le difficoltà e a costruire l’accordo. Crediti Un sentito ringraziamento a tutte le persone che in vario modo e a vario titolo si sono rivolte in questi mesi allo Sportello di Consulenza pedagogica, contribuendo con i loro racconti e suggerimenti alla stesura di questa dispensa. Un augurio a tutti coloro, compreso il sottoscritto, che talvolta sono ‘travolti’ dai pregiudizi, ma che, nonostante questo, lavorano per la costruzione di una solida alleanza scuola/famiglia. Grazie. 10