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"Le diossine, i furani e i PCB (bifenili policlorurati) sono un gruppo di sostanze chimiche tossiche e
persistenti che hanno effetti negativi sulla salute umana e sull'ambiente, tra cui dermotossicità,
immunotossicità, disturbi della funzionalità riproduttiva, teratogenicità, alterazioni del sistema
endocrino ed effetti cancerogeni". Inizia così la comunicazione della Commissione europea al
Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale, pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale delle Comunità europee il 17 novembre 2001.

Secondo la comunicazione, l'esposizione alle diossine oltre ad essere stata correlata a varie forme
tumorali, sarebbe causa di un'aumentata prevalenza del diabete e un incremento della mortalità
dovuta a diabete e a malattie cardiovascolari. In bambini esposti a diossine e/o PCB durante la
gestazione sono stati riscontrati inoltre effetti sullo sviluppo del sistema nervoso e sulla
neurobiologia del comportamento, oltrché sull'equilibrio ormonale della tiroide, sulla cute, sui denti,
sullo sviluppo, sul comportamento, ecc. L'uomo è tra le vittime principali di simili esposizioni,
poiché si trova alla fine della catena trofica acquatica di questi prodotti che tendono ad accumularsi
nel grasso animale.

Non si può più prescindere da un intervento mirato per evitare gli effetti sull'ambiente e sulla salute
umana derivate dalle diossine e dai PCB. Sono stati infatti registrati fenomeni di bioaccumulo
derivanti dal rilascio di queste sostanze da parte di discariche, suoli inquinati e sedimenti. Inoltre
sembra che le caratteristiche tossiche di queste sostanze siano state sottovalutate: secondo recenti
dati epidemiologici è stato dimostrata l'esistenza di effetti sullo sviluppo cerebrale, sulla
riproduzione e sul sistema endocrino, colpendo i gruppi umani più vulnerabili come i lattanti e i
feti. Infine, l'esposizione a queste sostanze tossiche supera la dose tollerabile settimanale e
giornaliera in una parte considerevole della popolazione europea.

Sebbene i cittadini europei siano estremamente sensibili al problema delle diossine (ricordiamo
l'episodio di Seveso nel 1976) e dei PCB ed esista una normativa che disciplina l'emissione di
queste sostanze così pericolose per la salute e l'ambiente con conseguenze che perdurano nel tempo,
nonostante siano stati compiuti molti progressi sul fronte della riduzione delle emissioni e
dell'esposizione a tali sostanze, permangono ancora molte lacune. Manca un approccio sistematico
al problema e necessita un pronto intervento da parte della Commissione europea che riduca la
presenza di questi composti nell'ambiente, nei mangimi e negli alimenti, proponendo azioni a breve,
medio e lungo termine. Questa strategia deve anche tenere conto dei nuovi paesi che a breve
aderiranno all'Unione Europea e che dovranno in qualche modo ed entro tempi brevi adeguarsi alle
normative restrittive adottate dagli altri paesi. Una siffatta strategia dovrebbe garantire il completo
controllo del problema entro dieci anni, trascorsi i quali, dovrà essere rivalutata in base ai risultati
conseguiti.

Città Ho Chi Minh (Saigon). Thanh Thanh Dong ha 14 anni e almeno da quando ne aveva
cinque è ospite dell'Orfanotrofio n. 6 di Città Ho Chi Minh. Quando l'ho visto si teneva seduto
su una stuoia sostenendosi con due esili braccia deformi, mentre la sua gamba sinitra, piegata
in modo innaturale, passava sotto il suo corpo. Thanh è sordo e muto. Dietro di lui, sdraiate
alla peggio sulla stessa stuoia, stavano le sue sorelle gemelle Tarn e Nga. Tutti e tre sono nati
nella provincia di Tay Ninh, nel Vietnam meridionale, presso la frontiera cambogiana, una
regione che durante la «guerra americana», come si dice qui, è stata abbondantemente
irrorata con il defoliante noto come "agente arancione" che contiene una buona parte di
diossina.

Thanh, Tarn e Nga fanno parte di una generazione di "morti viventi", eredità terribile di una
guerra              che              tutti            vogliono                  dimenticare.

Biologi, medici ed ecologisti di tutto il mondo stanno oggi cercando di capire quali possono
essere gli effetti a lungo termine dei 72 milioni di litri di erbicidi che sono stati versati su più di
tre milioni e mezzo di ettari di foresta, di piantagioni, di frutteti e di risaie del Sud Vietnam.

Le forze aeree degli Stati Uniti usavano per queste missioni il nome in codice di «Operation
Ranch Hand», cioè «Operazione bracciante agricolo», ma qualche bello spirito del Pentagono le
ribattezzò «Operazioni Inferno».

L'uso dei defolianti ebbe inizio prima su piccola scala poi via via in dimensioni sempre
maggiori, dal 1961 per applicare le teorie del generale britannico Sir Robert G.K. Thompson
che aveva represso con successo la guerriglia in Malesia nel secondo dopoguerra. Sir Robert
Thompson è colui che disse: «Se il guerrigliero è un pesce nell'acqua, bisogna levare l'acqua e
il pesce morirà». Gli americani applicarono alla lettera questa massima tentando di trasformare
le        foreste         del         Sud          Vietnam         in        un         deserto.

Nel 1970 le missioni "Farm Hand" vennero bloccate per le pressioni di gruppi di ecologisti e
anche di una potente lobby di agricoltori statunitensi preoccupati per la rarefazione degli
erbicidi sul mercato interno. «Ma in realtà cessò solo la documentazione ufficiale, perché le
operazioni con gli erbicidi continuarono con aerei fomiti da Australia e Thailandia al regime di
Nguyen Van Thieu», dice la dottoressa Nguyen Thi Ngoc Phuong, dell'ospedale Tu Du di Città
Ho Chi Minh. La dottoressa, una dei maggiori esperti vietnamiti nel campo dei tumori, lavora
all'ospedale Tu Du dal 1962 e attualmente ne è vicedirettrice. Il suo contributo alla storia della
guerra del Vietnam è una diligente raccolta di informazioni comparate tra le condizioni di salute
delle persone che vivevano in regioni fortemente irrorate con defolianti e quelle che vivevano
in                                         zone                                            sicure.

Quando finalmente gli americani posero veramente fine alle operazioni con i defolianti, il
Congresso di Washington costituì un comitato per esaminare «gli effetti degli erbicidi nel
Vietnam meridionale». Mentre la guerra si avvicinava alla fine il comitato cercava di raccogliere
informazioni in loco per valutare l'ampiezza delle distruzioni dell'ambiente e verificare la teoria
secondo la quale tra le popolazioni delle zone irrorate si riscontravano con maggiori frequenze
malformazioni nei feti, aborti spontanei ed irregolarità cromosomiche.

Già nel 1970 il professor Ton That Tung, recentemente scomparso ad Hanoi, aveva segnalato
in una conferenza scientifica in Francia che nelle zone irrorate del Sud Vietnam i casi di cancro
al fegato si erano moltiplicati per cinque. Ton That Tung avanzò anche l'ipotesi che la diossina
contenuta nei defolianti provocasse aberrazioni cromosomiche e potesse avere effetti negativi
sulla                                    capacità                                   riproduttiva.

La questione rimase in sospeso perché «i piani per la raccolta di informazioni scientifiche
attendibili furono frustrati dall'offensiva nordvietnamita della primavera del 1972» come scrisse
il comitato istituito dal Congresso americano nel suo rapporto finale del 1974. Ma la dottoressa
Phuong, anche dopo la guerra, ha continuato a raccogliere dati. In particolare ha concentrato
la sua ricerca sul villaggio di Thanh Phong, nel delta del Mekong, il cui territorio fu
abbondantemente irrorato, confrontando le condizioni dei suoi abitanti con un gruppo di
cittadini di Saigon che non erano stati a contatto con i defolianti. La scienziata è giunta alla
conclusione che «vi sono buoni motivi di pensare che i defolianti abbiano effetti nocivi non
soltanto per la generazione presente, ma anche per le generazioni future».

I tre principali prodotti chimici usati nell'operazione "Farm Hand" furono l' "agente bianco",
l'"agente blu" e l'"agente arancione"; quest'ultimo contiene tracce di diossina come impurità. Il
biologo americano Arthur H. Westinghouse calcola che durante la guerra sono stati versati
sulle campagne del Vietnam meridionale almeno 57 milioni di chilogrammi di "agente
arancione" che secondo un suo calcolo prudenziale contenevano 170 chilogrammi di
diossina. E, secondo il dottor Barry Commoner, direttore del Centro per la biologia dei sistemi
naturali dell'università di Washington, basterebbero 85 grammi di diossina immessi nella
rete idrica di New York per uccidere tutta la popolazione della città. Il dottor
Commoner definisce la diossina «la più tossica tra le sostanze fabbricate dall'uomo».

Basta visitare li gabinetto della dottoressa Phuong per renderci conto degli orrori della guerra
chimica che oggi ritorna d'attualità dopo l'uso dei gas da parte degli irakeni nella 'Guerra del
Golfo". Dentro recipienti di vetro si possono vedere, conservati sotto alcool, feti deformi,
mostruosità fantascientifiche, tra le quali spicca la figura allucinante di un rugoso bimbo-
ciclope. Su un altro scaffale la dottoressa Phuong conserva una serie di recipienti che mostrano
l'evoluzione di una gravidanza anormale nota nel linguaggio medico come "mole vescicolare":
non si sviluppa un feto, ma una massa di cisti «simili ad un grappolo d'uva». E, afferma la
dottoressa Phuong, «su quattro di queste gravidanze anormali una si trasforma in tumore
all'utero». La "mole vescicolare" è cento volte più frequente nelle zone irrorate con diossina.
Ora la scienziata sta per avviare una ricerca per studiare l influenza della diossina sul sistema
nervoso centrale e sui cromosomi.

Intanto Thanh, le sue sorelle, migliaia di altri vietnamiti vivono una vita vegetativa, ignari che
sulla loro sorte nei tribunali americani si sono ingaggiate complesse battaglie legali per
ottenere che il governo degli Stati Uniti risarcisca in parte le sue vittime.
Trenta aprile 1975: le truppe nordvietnamite entrano a Saigon. Finisce così la guerra del
Vietnam. Ma non per tutti. Sono quattro milioni le persone che subiscono gli effetti dell'Agent
Orange (Agente Arancio), il defogliante alla diossina che l'aeronautica Usa riversò nel paese.
Ancora oggi i figli dei reduci devono convivere con gravi patologie. E chiedono giustizia.
Nguyen Van Lanh giace da 22 anni su una stuoia in una stanza buia come una caverna e dalla
sua bocca sempre spalancata escono urla che lacerano il silenzio. Gli hanno legato le mani con
uno straccio per evitare che si graffi e la madre Le Thi Mit lo accarezza cercando di calmarlo.
Siamo nel folto della giungla, nel villaggio di Cam Nghia, Provincia di Quang Tri, appena a sud
della zona demilitarizzata che durante la guerra divideva il Vietnam del Nord da quello del Sud.
Ci si arriva percorrendo una strada di terra rossa che si arrampica tra le colline coperte da una
vegetazione lussureggiante. Abbandonato il fuoristrada si prosegue a piedi. Il sole e la natura
circostante rendono la passeggiata gradevole, ma giunti alla meta la situazione diventa di
colpo angosciante.
Nguyen Van Lanh ha un fratello più piccolo, Van Truong, di 16 anni, che striscia verso la soglia
della baracca e guarda atterrito gli estranei che hanno invaso la sua solitudine domestica.
Porta sempre una mano sugli occhi, come se non volesse vedere, e continua a rivoltarsi su
stesso senza trovare pace.
La guerra del Vietnam si è conclusa nel 1975 ma i fratelli Nguyen, nati dopo la fine del
conflitto, ne sono ancora vittime. La malattia mentale da cui sono afflitti e le deformità fisiche
sono conseguenza dell'Agente Arancio, l'erbicida dall'alto contenuto di diossina che gli aerei
Usa hanno fatto piovere tra il 1961 e il 1971 sul delta del Mekong e nella zona degli altopiani
centrali ai confini col Laos. Cento milioni di litri di una miscela altamente tossica furono usati
per defogliare le foreste lungo il sentiero di Ho Chi Minh, rifugio dei vietcong. Lo scopo
dell'operazione Ranch Hand era quello distruggere la coltre verde della foresta, individuare il
nemico e colpirlo con bombe al napalm ad alto potenziale sganciate dai B-52.
Le Thi Mit, madre dei fratelli Nguyen, ha 58 anni ed un volto segnato dalle sofferenze di una
vita fatta di dolore e povertà. Ricorda i tempi della guerra: «Gli aerei passavano più volte
spargendo una nuvola giallastra dall'odore acre. Ci sentivamo soffocare. Gli occhi lacrimavano.
Dopo alcuni giorni le foglie degli alberi iniziavano a cadere. Nessuno ci aveva avvisato della
pericolosità della sostanza e per anni abbiamo continuato a bere l'acqua dei pozzi e a mangiare
i prodotti della terra. Si trattava di sopravvivere».
Alla fine della guerra i coniugi Nguyen ebbero un figlio, Van Phu. Morì all'età di quattro anni a
causa delle malformazioni. Poi arrivarono i suoi fratelli, anche loro malati. Stessi sintomi. Non
parlano, non sentono. Non possono stare né seduti né in piedi. Non chiedono mai nulla,
nemmeno da mangiare.
Dice Le Thi Mit: «Viviamo di un piccolo sussidio mensile del governo. Mio marito Van Loc lavora
nei campi e così riusciamo a mangiare. I ragazzi li imbocco, uno dopo l'altro. Così da più di
vent'anni. Vi ringrazio di essere venuti. È necessario che tutto il mondo sappia».
                                               Il dramma dei fratelli Nguyen non è purtroppo un
                                               caso isolato. I numeri sono impressionanti. Secondo
                                               le stime diffuse dalla Croce Rossa vietnamita sono 4
                                               milioni le persone che dal termine del conflitto
                                               subiscono gli effetti dell'Agent Orange.
                                               Cinquecentomila sono i casi più gravi che vengono
                                               curati in centri specializzati come il Tu Du Hospital
                                               di Ho Chi Minh City, una struttura moderna
                                               costruita agli inizi anni '90. Attualmente accoglie 60
                                               bambini vittime dell'Agente Arancio provenienti da
                                               varie province.
                                               Nel Peace Village, il reparto specializzato nella cura
                                               delle vittime della diossina, operano 3 medici e 24
                                               infermiere specializzate. Il 90% dei bambini affetti
                                               vengono abbandonati alla nascita dalle famiglie e
                                               passano tutta la vita nell'ospedale. Per i casi più
                                               gravi non c'è speranza di miglioramento. Per gli altri
                                               si tenta un recupero che permetta loro di vivere una
                                               vita quasi normale e di svolgere un lavoro.
                                               Miss Truong Thi Ten, una delle infermiere
specializzate di maggior esperienza, ci guida alla visita del reparto iniziando da una sorta di
dark room dove vengono conservati in flaconi di formalina i feti nati morti o deceduti subito
dopo la nascita a causa delle gravi malformazioni. Abbiamo davanti agli occhi una galleria degli
orrori che fa capire l'entità del problema: una strage silenziosa che continua dagli anni '70 e
che miete ogni anno migliaia di vittime innocenti che non hanno nulla a che fare con la guerra
combattuta dai loro padri o dai nonni più di trenta anni fa. Girando tra le corsie s'incontrano
bambini di ogni età. Vengono dalle aree del delta del Mekong, dalla provincia di Kontum e dalle
altre province ai confini col Laos e la Cambogia. Recenti prelievi effettuati nelle zone colpite
sulle vittime, gli animali e la falda acquifera confermano che la contaminazione continua anche
ai nostri giorni attraverso il ciclo alimentare. La diossina, assunta attraverso il cibo o il latte
materno, entra in circolo, raggiunge gli organi bersaglio e provoca tumori o mutazioni del Dna,
in una catena di infinite sofferenze.
Nguyen Duc e Viet giunsero al Tu Du Hospital appena nati, 24 anni fa. I due gemelli
provenivano dal distretto di Sa Thay, provincia di Kontum, uno dei luoghi più contaminati. Uniti
all’altezza della pelvi, un bacino, due gambe, un pene, all’età di 8 anni vennero operati e divisi.
Duc ebbe un destino più favorevole. Grazie alle cure superò gli handicap fisici, riuscì a studiare
e ad inserirsi nello staff dell’ospedale. Il fratello Viet tuttora vegeta nel letto, curato dalle
infermiere e dalla madre Lam Thi di 52 anni.
Nell’aula adibita allo studio incontro una giovane che scrive col piede: Pham Thi Thuy Linh, ha
12 anni ed è nata senza braccia. Scrive e lavora al computer usando i piedi. Ha una scrittura
molto ordinata, bellissima. Se si troveranno i soldi per le protesi il suo futuro sarà diverso.
La catastrofe ambientale e sociale è ancora evidente in alcune aree rurali come la Valle di A-
Luoi, ad ovest di Huè, nei pressi della frontiera col Laos. Qui la vita degli abitanti – gruppi
minoritari di etnia Pa Co – è molto difficile. Un grande cartello all’entrata del villaggio di Dong
Son ricorda il pericolo: vietato coltivare e bere l’acqua dei pozzi. «È proibito portare anche gli
animali al pascolo. Viviamo del solo contributo dello Stato» dice Quynh Bay, un ex-
combattente. «Questa è una zona maledetta, non c’è futuro. Dai tempi della guerra la terra è
malata e ogni famiglia ha almeno un bambino disabile». Sua figlia, la piccola Ho Thi Nga, di 7
anni, non parla, non sente e si regge a mala pena sulle gambe.




A Bien Hoa, centinaia di chilometri più a sud, stessa situazione, stessa sofferenza. Da qui
partivano gli aerei Usa impegnati nell’operazione Ranch Hand. Tutta l’area è tuttora
pesantemente inquinata. Così pure il vicino Lago di Dong Nai dove gli aerei scaricavano i
residui di erbicidi rimasti nei serbatoi al termine di ogni missione. E i risultati li si può
constatare visitando il locale «Centro per i bambini vittime della diossina». Su una popolazione
di 500.000 abitanti ci sono 1.000 vittime di gravi malformazioni e lesioni cerebrali irreversibili.
Il costo umano, sociale ed economico è altissimo. Per le famiglie, dove i figli sono visti come
forza-lavoro, dover mantenere tre o quattro bimbi gravemente malati e non autosufficienti è
insostenibile. A questo segue il dramma dell’abbandono delle stesse vittime e l’emarginazione
sociale.
Il Vietnam è un Paese in forte espansione economica. Guarda al mercato internazionale ed al
futuro ma deve fare i conti con questa pesante eredità. La questione di fondo resta quella delle
responsabilità. Una svolta si è avuta con la creazione ad Hanoi, il 10 gennaio 2004,
dell’Associazione vietnamita delle vittime dell’agente arancio/diossina. Non appena creata,
l’associazione ha presentato alla corte di giustizia del distretto di New York una querela contro
le 36 imprese che hanno fabbricato l’Agente Arancio per l’esercito americano. Tra le società le
più note sono la Monsanto e la Dow Chemical. Le motivazioni giuridiche sono molte: violazioni
delle leggi internazionali, crimini di guerra, fabbricazione di prodotti pericolosi, danni sia
involontari che intenzionali, arricchimento abusivo, ecc. I querelanti richiedono risarcimenti per
le lesioni personali subite, i morti, le nascite di bambini malformati e anche per la necessaria
decontaminazione dell’ambiente. Per ora il ricorso, esaminato unicamente dal punto di vista
dell’ammissibilità, è stato rigettato dal tribunale, in prima istanza, il 10 marzo scorso. I
querelanti hanno subito presentato ricorso in appello, perché il loro obiettivo è non solo
ottenere riparazione per le sofferenze subite, ma anche vedere la comunità internazionale, in
particolare gli Stati Uniti, riparare ad una scandalosa dimenticanza della storia «ufficiale».
In questo senso, il processo non può essere che un primo passo, perché al di là delle vittime e
delle industrie chimiche, la questione delle conseguenze dell’agente arancio concerne prima di
tutto e soprattutto due stati, gli Stati Uniti e il Vietnam, avendo il primo commesso un crimine
di guerra, il secondo essendo stato colpito nella sua popolazione e nella sua terra. Si pone
dunque il problema della validità del diritto umanitario e della pressante necessità di riparare i
danni di guerra.
La signora Nguyen Thi Hong di 47 anni è tra le vittime che nei prossimi mesi si presenterà di
fronte alla Corte americana per chiedere ricorso. È una veterana di guerra, ha combattuto nella
giungla nella provincia di Quang Tri, è stata ferita e ha perso una mano. Ricorda di aver
respirato più volte l’aria avvelenata dalla nube arancione ma dice con orgoglio: «Abbiamo
sofferto e vinto. Ma il peggio è venuto dopo. Ho avuto 4 figli tutti affetti dalla diossina. Il
veleno sta ancora nel nostro sangue. Sono stata operata più volte di cancro e la mia pelle è
piena di ulcere. Ogni cura è inutile. Quando finirà questo inferno?». Ancora oggi, pochissimi fra
i turisti che si recano al museo di crimini di guerra di Saigon sanno che quei due feti deformi
sotto formalina, nella teca circondata dalle foto di battaglie in bianco e nero di Larry Burrows,
non fanno parte di un passato da archiviare con i suoi orrori, ma del presente.

Il giorno della diossina

Si dice diossina, ma si dovrebbe dire diossine, perché ce n’è più di una. E poi non sono soltanto le diossine:
esistono anche i ploliclorobifenili. Tutte sostanze accomunate dal fatto di portare con sé numerosi atomi di
cloro, anzi di cloro esavalente. Il cloro è una delle sostanze più reattive esistenti, e quando un atomo riesce
a reagire con tutto o quasi, il più delle volte crea danni. Se poi è veicolato da sostanze che si stoccano nei
grassi (lipofile) e quindi possono legarsi al tessuto adiposo, i danni sono assicurati. Diossina, in Italia,
significa Seveso, significa Icmesa. La famigerata “fabbrica dei profumi” che il 10 luglio di 30 anni fa, a causa
dello scoppio di un reattore surriscaldato, durante una manutenzione, liberò una nube che portava con sé
10, o 12, chilogrammi di diossina. L’ Icmesa, di proprietà della Givaudan, a sua volta di proprietà della
Hoffmann La Roche, cioè la Roche, produceva tra l’altro triclorofenolo, impiegato per produrre diserbanti,
battericidi e altro, ed è a questa lavorazione che si deve la presenza nel reattore della diossina. Si disse, e si
dice ancora, che la presenza della diossina non fosse soltanto un sottoprodotto di una lavorazione, ma che in
realtà fosse essa stessa uno dei prodotti dell’Icmesa, un prodotto per scopi bellici. Sì, perché quella
particolare diossina, il TCDD, fu impiegata come defoliante, con il nome di Orange agent (agente arancio)
durante la guerra del Vietnam, dove le forze armate statunitensi la sparsero a piene mani dai bombardieri e
dai mezzi di terra. Si parla di 100 milioni di litri o, nell’ipotesi più conservativa, di 72 milioni di litri e soltanto
per quanto riguarda la diffusione dall’aria. Lo scopo era affamare i Vietcong, il risultato fu una serie di morti
che continua ancora oggi.

Un cancerogeno riconosciuto
I danni causati dalle diossine sono di diversa natura. In primo luogo, nell’esposizione acuta e a grandi
quantità si producono ulcerazioni della pelle, ed è la pelle il primo bersaglio anche delle esposizioni meno
forti, con una malattia chiamata cloracne, molto caratteristica perché si manifesta inizialmente con lesioni
simili a grandi “punti neri”. Detto questo, già dal 1997 la IARC di Lione (Agenzia internazionale per la ricerca
sul cancro) l’ha riconosciuta come agente cancerogeno, e due anni prima aveva fatto la stessa cosa l’Agenzia
per la protezione ambientale statunitense (l’EPA). Sono stati messi in luce anche effetti sull’apparato
riproduttivo e quanto è avvenuto a Seveso ha confermato questo dato. In una ricerca pubblicata da Lancet
nel 2000, a firma di Paolo Mocarelli, del Dipartimento di medicina di laboratorio dell’ospedale di Desio, si è
dimostrato che l’esposizione alla diossina nell’uomo, soprattutto prima dei 19 anni, determina una minore
capacità di procreare figli maschi. Nella popolazione di Seveso colpita dalla diossina nella fase prepuberale,
infatti, si è avuta la nascita di 50 bambini e 81 bambine quando di solito il rapporto è di 106 a 100. Nello
studio, inoltre, si è dimostrato che questo effetto si presenta anche quando nel genitore vi erano
concentrazioni di diossina nel sangue molto basse.

Non fu il Vietnam, però...
E’ chiaro che Seveso non fu il Vietnam, ma non si può nemmeno archiviare come un incidente di percorso
banale, ma le conseguenze vanno spiegate. Il 10 luglio 1976 la diossina liberata dall’Icmesa determinò la
contaminazione di un’area abbastanza vasta; i livelli di contaminazione variavano a in funzione della distanza
dall’impianto. All’epoca i mezzi di indagine, e le conoscenze, non erano sviluppate come oggi, e la
valutazione del livello di inquinamento fu fatta in base alla presenza di diossina nel terreno. In base a questo
criterio si ebbe la suddivisione in tre zone: A, B e R (zona di rispetto). Le concentrazioni medie nel terreno
variavano da 15,5 a 580,4 m g/m2 in zona A; da 1,7 a 4,3 m g/m2 in zona B; e da 0,9 a 1,4 m g/m2 in zona
R. Quanto alle persone colpite, nei campioni di sangue prelevati al momento dell’incidente tra i soggetti più
esposti di età superiore a 13 anni le concentrazioni medie di TCDD erano pari a 443 ppt (parti per trilione)
nei 177 soggetti della zona A; 87 ppt nei 54 soggetti della zona B e a 15 ppt nei 17 soggetti della zona di
rispetto. Complessivamente le persone esposte furono 800 nell'area A, 6.000 nella B e 30.000 nell'area di
rispetto. A oggi si stima che la mortalità complessiva non sia aumentata rispetto a quella prevista. Le cause,
di morte, però hanno avuto una ridistribuzione. Come è tipico dopo le calamità e gli incidenti, nelle zone più
inquinate si è assistito a un aumento delle morti per causa cardiovascolari e respiratorie, anche se qui il
nesso con la diossina non sembra esistere. Sono però aumentati anche i tumori del sistema linfatico (linfomi)
e quelli del tessuto emopoietico (le leucemie). Nel periodo se ne sarebbero dovuti verificare 21, mentre
invece ce ne furono 35. Numeri esigui? Fa poca impressione? Si consideri che era una piccola fabbrica, come
tante ce ne sono...

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Le diossine

  • 1. "Le diossine, i furani e i PCB (bifenili policlorurati) sono un gruppo di sostanze chimiche tossiche e persistenti che hanno effetti negativi sulla salute umana e sull'ambiente, tra cui dermotossicità, immunotossicità, disturbi della funzionalità riproduttiva, teratogenicità, alterazioni del sistema endocrino ed effetti cancerogeni". Inizia così la comunicazione della Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee il 17 novembre 2001. Secondo la comunicazione, l'esposizione alle diossine oltre ad essere stata correlata a varie forme tumorali, sarebbe causa di un'aumentata prevalenza del diabete e un incremento della mortalità dovuta a diabete e a malattie cardiovascolari. In bambini esposti a diossine e/o PCB durante la gestazione sono stati riscontrati inoltre effetti sullo sviluppo del sistema nervoso e sulla neurobiologia del comportamento, oltrché sull'equilibrio ormonale della tiroide, sulla cute, sui denti, sullo sviluppo, sul comportamento, ecc. L'uomo è tra le vittime principali di simili esposizioni, poiché si trova alla fine della catena trofica acquatica di questi prodotti che tendono ad accumularsi nel grasso animale. Non si può più prescindere da un intervento mirato per evitare gli effetti sull'ambiente e sulla salute umana derivate dalle diossine e dai PCB. Sono stati infatti registrati fenomeni di bioaccumulo derivanti dal rilascio di queste sostanze da parte di discariche, suoli inquinati e sedimenti. Inoltre sembra che le caratteristiche tossiche di queste sostanze siano state sottovalutate: secondo recenti dati epidemiologici è stato dimostrata l'esistenza di effetti sullo sviluppo cerebrale, sulla riproduzione e sul sistema endocrino, colpendo i gruppi umani più vulnerabili come i lattanti e i feti. Infine, l'esposizione a queste sostanze tossiche supera la dose tollerabile settimanale e giornaliera in una parte considerevole della popolazione europea. Sebbene i cittadini europei siano estremamente sensibili al problema delle diossine (ricordiamo l'episodio di Seveso nel 1976) e dei PCB ed esista una normativa che disciplina l'emissione di queste sostanze così pericolose per la salute e l'ambiente con conseguenze che perdurano nel tempo, nonostante siano stati compiuti molti progressi sul fronte della riduzione delle emissioni e dell'esposizione a tali sostanze, permangono ancora molte lacune. Manca un approccio sistematico al problema e necessita un pronto intervento da parte della Commissione europea che riduca la presenza di questi composti nell'ambiente, nei mangimi e negli alimenti, proponendo azioni a breve, medio e lungo termine. Questa strategia deve anche tenere conto dei nuovi paesi che a breve aderiranno all'Unione Europea e che dovranno in qualche modo ed entro tempi brevi adeguarsi alle normative restrittive adottate dagli altri paesi. Una siffatta strategia dovrebbe garantire il completo controllo del problema entro dieci anni, trascorsi i quali, dovrà essere rivalutata in base ai risultati conseguiti. Città Ho Chi Minh (Saigon). Thanh Thanh Dong ha 14 anni e almeno da quando ne aveva cinque è ospite dell'Orfanotrofio n. 6 di Città Ho Chi Minh. Quando l'ho visto si teneva seduto su una stuoia sostenendosi con due esili braccia deformi, mentre la sua gamba sinitra, piegata in modo innaturale, passava sotto il suo corpo. Thanh è sordo e muto. Dietro di lui, sdraiate alla peggio sulla stessa stuoia, stavano le sue sorelle gemelle Tarn e Nga. Tutti e tre sono nati nella provincia di Tay Ninh, nel Vietnam meridionale, presso la frontiera cambogiana, una regione che durante la «guerra americana», come si dice qui, è stata abbondantemente irrorata con il defoliante noto come "agente arancione" che contiene una buona parte di diossina. Thanh, Tarn e Nga fanno parte di una generazione di "morti viventi", eredità terribile di una guerra che tutti vogliono dimenticare. Biologi, medici ed ecologisti di tutto il mondo stanno oggi cercando di capire quali possono essere gli effetti a lungo termine dei 72 milioni di litri di erbicidi che sono stati versati su più di
  • 2. tre milioni e mezzo di ettari di foresta, di piantagioni, di frutteti e di risaie del Sud Vietnam. Le forze aeree degli Stati Uniti usavano per queste missioni il nome in codice di «Operation Ranch Hand», cioè «Operazione bracciante agricolo», ma qualche bello spirito del Pentagono le ribattezzò «Operazioni Inferno». L'uso dei defolianti ebbe inizio prima su piccola scala poi via via in dimensioni sempre maggiori, dal 1961 per applicare le teorie del generale britannico Sir Robert G.K. Thompson che aveva represso con successo la guerriglia in Malesia nel secondo dopoguerra. Sir Robert Thompson è colui che disse: «Se il guerrigliero è un pesce nell'acqua, bisogna levare l'acqua e il pesce morirà». Gli americani applicarono alla lettera questa massima tentando di trasformare le foreste del Sud Vietnam in un deserto. Nel 1970 le missioni "Farm Hand" vennero bloccate per le pressioni di gruppi di ecologisti e anche di una potente lobby di agricoltori statunitensi preoccupati per la rarefazione degli erbicidi sul mercato interno. «Ma in realtà cessò solo la documentazione ufficiale, perché le operazioni con gli erbicidi continuarono con aerei fomiti da Australia e Thailandia al regime di Nguyen Van Thieu», dice la dottoressa Nguyen Thi Ngoc Phuong, dell'ospedale Tu Du di Città Ho Chi Minh. La dottoressa, una dei maggiori esperti vietnamiti nel campo dei tumori, lavora all'ospedale Tu Du dal 1962 e attualmente ne è vicedirettrice. Il suo contributo alla storia della guerra del Vietnam è una diligente raccolta di informazioni comparate tra le condizioni di salute delle persone che vivevano in regioni fortemente irrorate con defolianti e quelle che vivevano in zone sicure. Quando finalmente gli americani posero veramente fine alle operazioni con i defolianti, il Congresso di Washington costituì un comitato per esaminare «gli effetti degli erbicidi nel Vietnam meridionale». Mentre la guerra si avvicinava alla fine il comitato cercava di raccogliere informazioni in loco per valutare l'ampiezza delle distruzioni dell'ambiente e verificare la teoria secondo la quale tra le popolazioni delle zone irrorate si riscontravano con maggiori frequenze malformazioni nei feti, aborti spontanei ed irregolarità cromosomiche. Già nel 1970 il professor Ton That Tung, recentemente scomparso ad Hanoi, aveva segnalato in una conferenza scientifica in Francia che nelle zone irrorate del Sud Vietnam i casi di cancro al fegato si erano moltiplicati per cinque. Ton That Tung avanzò anche l'ipotesi che la diossina contenuta nei defolianti provocasse aberrazioni cromosomiche e potesse avere effetti negativi sulla capacità riproduttiva. La questione rimase in sospeso perché «i piani per la raccolta di informazioni scientifiche attendibili furono frustrati dall'offensiva nordvietnamita della primavera del 1972» come scrisse il comitato istituito dal Congresso americano nel suo rapporto finale del 1974. Ma la dottoressa Phuong, anche dopo la guerra, ha continuato a raccogliere dati. In particolare ha concentrato la sua ricerca sul villaggio di Thanh Phong, nel delta del Mekong, il cui territorio fu abbondantemente irrorato, confrontando le condizioni dei suoi abitanti con un gruppo di cittadini di Saigon che non erano stati a contatto con i defolianti. La scienziata è giunta alla conclusione che «vi sono buoni motivi di pensare che i defolianti abbiano effetti nocivi non soltanto per la generazione presente, ma anche per le generazioni future». I tre principali prodotti chimici usati nell'operazione "Farm Hand" furono l' "agente bianco", l'"agente blu" e l'"agente arancione"; quest'ultimo contiene tracce di diossina come impurità. Il biologo americano Arthur H. Westinghouse calcola che durante la guerra sono stati versati sulle campagne del Vietnam meridionale almeno 57 milioni di chilogrammi di "agente arancione" che secondo un suo calcolo prudenziale contenevano 170 chilogrammi di diossina. E, secondo il dottor Barry Commoner, direttore del Centro per la biologia dei sistemi naturali dell'università di Washington, basterebbero 85 grammi di diossina immessi nella rete idrica di New York per uccidere tutta la popolazione della città. Il dottor Commoner definisce la diossina «la più tossica tra le sostanze fabbricate dall'uomo». Basta visitare li gabinetto della dottoressa Phuong per renderci conto degli orrori della guerra
  • 3. chimica che oggi ritorna d'attualità dopo l'uso dei gas da parte degli irakeni nella 'Guerra del Golfo". Dentro recipienti di vetro si possono vedere, conservati sotto alcool, feti deformi, mostruosità fantascientifiche, tra le quali spicca la figura allucinante di un rugoso bimbo- ciclope. Su un altro scaffale la dottoressa Phuong conserva una serie di recipienti che mostrano l'evoluzione di una gravidanza anormale nota nel linguaggio medico come "mole vescicolare": non si sviluppa un feto, ma una massa di cisti «simili ad un grappolo d'uva». E, afferma la dottoressa Phuong, «su quattro di queste gravidanze anormali una si trasforma in tumore all'utero». La "mole vescicolare" è cento volte più frequente nelle zone irrorate con diossina. Ora la scienziata sta per avviare una ricerca per studiare l influenza della diossina sul sistema nervoso centrale e sui cromosomi. Intanto Thanh, le sue sorelle, migliaia di altri vietnamiti vivono una vita vegetativa, ignari che sulla loro sorte nei tribunali americani si sono ingaggiate complesse battaglie legali per ottenere che il governo degli Stati Uniti risarcisca in parte le sue vittime.
  • 4. Trenta aprile 1975: le truppe nordvietnamite entrano a Saigon. Finisce così la guerra del Vietnam. Ma non per tutti. Sono quattro milioni le persone che subiscono gli effetti dell'Agent Orange (Agente Arancio), il defogliante alla diossina che l'aeronautica Usa riversò nel paese. Ancora oggi i figli dei reduci devono convivere con gravi patologie. E chiedono giustizia. Nguyen Van Lanh giace da 22 anni su una stuoia in una stanza buia come una caverna e dalla sua bocca sempre spalancata escono urla che lacerano il silenzio. Gli hanno legato le mani con uno straccio per evitare che si graffi e la madre Le Thi Mit lo accarezza cercando di calmarlo. Siamo nel folto della giungla, nel villaggio di Cam Nghia, Provincia di Quang Tri, appena a sud della zona demilitarizzata che durante la guerra divideva il Vietnam del Nord da quello del Sud. Ci si arriva percorrendo una strada di terra rossa che si arrampica tra le colline coperte da una vegetazione lussureggiante. Abbandonato il fuoristrada si prosegue a piedi. Il sole e la natura circostante rendono la passeggiata gradevole, ma giunti alla meta la situazione diventa di colpo angosciante. Nguyen Van Lanh ha un fratello più piccolo, Van Truong, di 16 anni, che striscia verso la soglia della baracca e guarda atterrito gli estranei che hanno invaso la sua solitudine domestica. Porta sempre una mano sugli occhi, come se non volesse vedere, e continua a rivoltarsi su stesso senza trovare pace. La guerra del Vietnam si è conclusa nel 1975 ma i fratelli Nguyen, nati dopo la fine del conflitto, ne sono ancora vittime. La malattia mentale da cui sono afflitti e le deformità fisiche sono conseguenza dell'Agente Arancio, l'erbicida dall'alto contenuto di diossina che gli aerei Usa hanno fatto piovere tra il 1961 e il 1971 sul delta del Mekong e nella zona degli altopiani centrali ai confini col Laos. Cento milioni di litri di una miscela altamente tossica furono usati per defogliare le foreste lungo il sentiero di Ho Chi Minh, rifugio dei vietcong. Lo scopo dell'operazione Ranch Hand era quello distruggere la coltre verde della foresta, individuare il nemico e colpirlo con bombe al napalm ad alto potenziale sganciate dai B-52. Le Thi Mit, madre dei fratelli Nguyen, ha 58 anni ed un volto segnato dalle sofferenze di una vita fatta di dolore e povertà. Ricorda i tempi della guerra: «Gli aerei passavano più volte spargendo una nuvola giallastra dall'odore acre. Ci sentivamo soffocare. Gli occhi lacrimavano. Dopo alcuni giorni le foglie degli alberi iniziavano a cadere. Nessuno ci aveva avvisato della pericolosità della sostanza e per anni abbiamo continuato a bere l'acqua dei pozzi e a mangiare i prodotti della terra. Si trattava di sopravvivere». Alla fine della guerra i coniugi Nguyen ebbero un figlio, Van Phu. Morì all'età di quattro anni a causa delle malformazioni. Poi arrivarono i suoi fratelli, anche loro malati. Stessi sintomi. Non parlano, non sentono. Non possono stare né seduti né in piedi. Non chiedono mai nulla, nemmeno da mangiare. Dice Le Thi Mit: «Viviamo di un piccolo sussidio mensile del governo. Mio marito Van Loc lavora nei campi e così riusciamo a mangiare. I ragazzi li imbocco, uno dopo l'altro. Così da più di vent'anni. Vi ringrazio di essere venuti. È necessario che tutto il mondo sappia». Il dramma dei fratelli Nguyen non è purtroppo un caso isolato. I numeri sono impressionanti. Secondo le stime diffuse dalla Croce Rossa vietnamita sono 4 milioni le persone che dal termine del conflitto subiscono gli effetti dell'Agent Orange. Cinquecentomila sono i casi più gravi che vengono curati in centri specializzati come il Tu Du Hospital di Ho Chi Minh City, una struttura moderna costruita agli inizi anni '90. Attualmente accoglie 60 bambini vittime dell'Agente Arancio provenienti da varie province. Nel Peace Village, il reparto specializzato nella cura delle vittime della diossina, operano 3 medici e 24 infermiere specializzate. Il 90% dei bambini affetti vengono abbandonati alla nascita dalle famiglie e passano tutta la vita nell'ospedale. Per i casi più gravi non c'è speranza di miglioramento. Per gli altri si tenta un recupero che permetta loro di vivere una vita quasi normale e di svolgere un lavoro. Miss Truong Thi Ten, una delle infermiere
  • 5. specializzate di maggior esperienza, ci guida alla visita del reparto iniziando da una sorta di dark room dove vengono conservati in flaconi di formalina i feti nati morti o deceduti subito dopo la nascita a causa delle gravi malformazioni. Abbiamo davanti agli occhi una galleria degli orrori che fa capire l'entità del problema: una strage silenziosa che continua dagli anni '70 e che miete ogni anno migliaia di vittime innocenti che non hanno nulla a che fare con la guerra combattuta dai loro padri o dai nonni più di trenta anni fa. Girando tra le corsie s'incontrano bambini di ogni età. Vengono dalle aree del delta del Mekong, dalla provincia di Kontum e dalle altre province ai confini col Laos e la Cambogia. Recenti prelievi effettuati nelle zone colpite sulle vittime, gli animali e la falda acquifera confermano che la contaminazione continua anche ai nostri giorni attraverso il ciclo alimentare. La diossina, assunta attraverso il cibo o il latte materno, entra in circolo, raggiunge gli organi bersaglio e provoca tumori o mutazioni del Dna, in una catena di infinite sofferenze. Nguyen Duc e Viet giunsero al Tu Du Hospital appena nati, 24 anni fa. I due gemelli provenivano dal distretto di Sa Thay, provincia di Kontum, uno dei luoghi più contaminati. Uniti all’altezza della pelvi, un bacino, due gambe, un pene, all’età di 8 anni vennero operati e divisi. Duc ebbe un destino più favorevole. Grazie alle cure superò gli handicap fisici, riuscì a studiare e ad inserirsi nello staff dell’ospedale. Il fratello Viet tuttora vegeta nel letto, curato dalle infermiere e dalla madre Lam Thi di 52 anni. Nell’aula adibita allo studio incontro una giovane che scrive col piede: Pham Thi Thuy Linh, ha 12 anni ed è nata senza braccia. Scrive e lavora al computer usando i piedi. Ha una scrittura molto ordinata, bellissima. Se si troveranno i soldi per le protesi il suo futuro sarà diverso. La catastrofe ambientale e sociale è ancora evidente in alcune aree rurali come la Valle di A- Luoi, ad ovest di Huè, nei pressi della frontiera col Laos. Qui la vita degli abitanti – gruppi minoritari di etnia Pa Co – è molto difficile. Un grande cartello all’entrata del villaggio di Dong Son ricorda il pericolo: vietato coltivare e bere l’acqua dei pozzi. «È proibito portare anche gli animali al pascolo. Viviamo del solo contributo dello Stato» dice Quynh Bay, un ex- combattente. «Questa è una zona maledetta, non c’è futuro. Dai tempi della guerra la terra è malata e ogni famiglia ha almeno un bambino disabile». Sua figlia, la piccola Ho Thi Nga, di 7 anni, non parla, non sente e si regge a mala pena sulle gambe. A Bien Hoa, centinaia di chilometri più a sud, stessa situazione, stessa sofferenza. Da qui partivano gli aerei Usa impegnati nell’operazione Ranch Hand. Tutta l’area è tuttora pesantemente inquinata. Così pure il vicino Lago di Dong Nai dove gli aerei scaricavano i residui di erbicidi rimasti nei serbatoi al termine di ogni missione. E i risultati li si può constatare visitando il locale «Centro per i bambini vittime della diossina». Su una popolazione
  • 6. di 500.000 abitanti ci sono 1.000 vittime di gravi malformazioni e lesioni cerebrali irreversibili. Il costo umano, sociale ed economico è altissimo. Per le famiglie, dove i figli sono visti come forza-lavoro, dover mantenere tre o quattro bimbi gravemente malati e non autosufficienti è insostenibile. A questo segue il dramma dell’abbandono delle stesse vittime e l’emarginazione sociale. Il Vietnam è un Paese in forte espansione economica. Guarda al mercato internazionale ed al futuro ma deve fare i conti con questa pesante eredità. La questione di fondo resta quella delle responsabilità. Una svolta si è avuta con la creazione ad Hanoi, il 10 gennaio 2004, dell’Associazione vietnamita delle vittime dell’agente arancio/diossina. Non appena creata, l’associazione ha presentato alla corte di giustizia del distretto di New York una querela contro le 36 imprese che hanno fabbricato l’Agente Arancio per l’esercito americano. Tra le società le più note sono la Monsanto e la Dow Chemical. Le motivazioni giuridiche sono molte: violazioni delle leggi internazionali, crimini di guerra, fabbricazione di prodotti pericolosi, danni sia involontari che intenzionali, arricchimento abusivo, ecc. I querelanti richiedono risarcimenti per le lesioni personali subite, i morti, le nascite di bambini malformati e anche per la necessaria decontaminazione dell’ambiente. Per ora il ricorso, esaminato unicamente dal punto di vista dell’ammissibilità, è stato rigettato dal tribunale, in prima istanza, il 10 marzo scorso. I querelanti hanno subito presentato ricorso in appello, perché il loro obiettivo è non solo ottenere riparazione per le sofferenze subite, ma anche vedere la comunità internazionale, in particolare gli Stati Uniti, riparare ad una scandalosa dimenticanza della storia «ufficiale». In questo senso, il processo non può essere che un primo passo, perché al di là delle vittime e delle industrie chimiche, la questione delle conseguenze dell’agente arancio concerne prima di tutto e soprattutto due stati, gli Stati Uniti e il Vietnam, avendo il primo commesso un crimine di guerra, il secondo essendo stato colpito nella sua popolazione e nella sua terra. Si pone dunque il problema della validità del diritto umanitario e della pressante necessità di riparare i danni di guerra. La signora Nguyen Thi Hong di 47 anni è tra le vittime che nei prossimi mesi si presenterà di fronte alla Corte americana per chiedere ricorso. È una veterana di guerra, ha combattuto nella giungla nella provincia di Quang Tri, è stata ferita e ha perso una mano. Ricorda di aver respirato più volte l’aria avvelenata dalla nube arancione ma dice con orgoglio: «Abbiamo sofferto e vinto. Ma il peggio è venuto dopo. Ho avuto 4 figli tutti affetti dalla diossina. Il veleno sta ancora nel nostro sangue. Sono stata operata più volte di cancro e la mia pelle è piena di ulcere. Ogni cura è inutile. Quando finirà questo inferno?». Ancora oggi, pochissimi fra i turisti che si recano al museo di crimini di guerra di Saigon sanno che quei due feti deformi sotto formalina, nella teca circondata dalle foto di battaglie in bianco e nero di Larry Burrows, non fanno parte di un passato da archiviare con i suoi orrori, ma del presente. Il giorno della diossina Si dice diossina, ma si dovrebbe dire diossine, perché ce n’è più di una. E poi non sono soltanto le diossine: esistono anche i ploliclorobifenili. Tutte sostanze accomunate dal fatto di portare con sé numerosi atomi di cloro, anzi di cloro esavalente. Il cloro è una delle sostanze più reattive esistenti, e quando un atomo riesce a reagire con tutto o quasi, il più delle volte crea danni. Se poi è veicolato da sostanze che si stoccano nei grassi (lipofile) e quindi possono legarsi al tessuto adiposo, i danni sono assicurati. Diossina, in Italia, significa Seveso, significa Icmesa. La famigerata “fabbrica dei profumi” che il 10 luglio di 30 anni fa, a causa dello scoppio di un reattore surriscaldato, durante una manutenzione, liberò una nube che portava con sé 10, o 12, chilogrammi di diossina. L’ Icmesa, di proprietà della Givaudan, a sua volta di proprietà della Hoffmann La Roche, cioè la Roche, produceva tra l’altro triclorofenolo, impiegato per produrre diserbanti, battericidi e altro, ed è a questa lavorazione che si deve la presenza nel reattore della diossina. Si disse, e si dice ancora, che la presenza della diossina non fosse soltanto un sottoprodotto di una lavorazione, ma che in realtà fosse essa stessa uno dei prodotti dell’Icmesa, un prodotto per scopi bellici. Sì, perché quella particolare diossina, il TCDD, fu impiegata come defoliante, con il nome di Orange agent (agente arancio) durante la guerra del Vietnam, dove le forze armate statunitensi la sparsero a piene mani dai bombardieri e dai mezzi di terra. Si parla di 100 milioni di litri o, nell’ipotesi più conservativa, di 72 milioni di litri e soltanto per quanto riguarda la diffusione dall’aria. Lo scopo era affamare i Vietcong, il risultato fu una serie di morti che continua ancora oggi. Un cancerogeno riconosciuto
  • 7. I danni causati dalle diossine sono di diversa natura. In primo luogo, nell’esposizione acuta e a grandi quantità si producono ulcerazioni della pelle, ed è la pelle il primo bersaglio anche delle esposizioni meno forti, con una malattia chiamata cloracne, molto caratteristica perché si manifesta inizialmente con lesioni simili a grandi “punti neri”. Detto questo, già dal 1997 la IARC di Lione (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) l’ha riconosciuta come agente cancerogeno, e due anni prima aveva fatto la stessa cosa l’Agenzia per la protezione ambientale statunitense (l’EPA). Sono stati messi in luce anche effetti sull’apparato riproduttivo e quanto è avvenuto a Seveso ha confermato questo dato. In una ricerca pubblicata da Lancet nel 2000, a firma di Paolo Mocarelli, del Dipartimento di medicina di laboratorio dell’ospedale di Desio, si è dimostrato che l’esposizione alla diossina nell’uomo, soprattutto prima dei 19 anni, determina una minore capacità di procreare figli maschi. Nella popolazione di Seveso colpita dalla diossina nella fase prepuberale, infatti, si è avuta la nascita di 50 bambini e 81 bambine quando di solito il rapporto è di 106 a 100. Nello studio, inoltre, si è dimostrato che questo effetto si presenta anche quando nel genitore vi erano concentrazioni di diossina nel sangue molto basse. Non fu il Vietnam, però... E’ chiaro che Seveso non fu il Vietnam, ma non si può nemmeno archiviare come un incidente di percorso banale, ma le conseguenze vanno spiegate. Il 10 luglio 1976 la diossina liberata dall’Icmesa determinò la contaminazione di un’area abbastanza vasta; i livelli di contaminazione variavano a in funzione della distanza dall’impianto. All’epoca i mezzi di indagine, e le conoscenze, non erano sviluppate come oggi, e la valutazione del livello di inquinamento fu fatta in base alla presenza di diossina nel terreno. In base a questo criterio si ebbe la suddivisione in tre zone: A, B e R (zona di rispetto). Le concentrazioni medie nel terreno variavano da 15,5 a 580,4 m g/m2 in zona A; da 1,7 a 4,3 m g/m2 in zona B; e da 0,9 a 1,4 m g/m2 in zona R. Quanto alle persone colpite, nei campioni di sangue prelevati al momento dell’incidente tra i soggetti più esposti di età superiore a 13 anni le concentrazioni medie di TCDD erano pari a 443 ppt (parti per trilione) nei 177 soggetti della zona A; 87 ppt nei 54 soggetti della zona B e a 15 ppt nei 17 soggetti della zona di rispetto. Complessivamente le persone esposte furono 800 nell'area A, 6.000 nella B e 30.000 nell'area di rispetto. A oggi si stima che la mortalità complessiva non sia aumentata rispetto a quella prevista. Le cause, di morte, però hanno avuto una ridistribuzione. Come è tipico dopo le calamità e gli incidenti, nelle zone più inquinate si è assistito a un aumento delle morti per causa cardiovascolari e respiratorie, anche se qui il nesso con la diossina non sembra esistere. Sono però aumentati anche i tumori del sistema linfatico (linfomi) e quelli del tessuto emopoietico (le leucemie). Nel periodo se ne sarebbero dovuti verificare 21, mentre invece ce ne furono 35. Numeri esigui? Fa poca impressione? Si consideri che era una piccola fabbrica, come tante ce ne sono...