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Cibo in fermento
La fermentazione è trasformazione
Antica tecnica di conservazione ancora
attuale e futuribile.
Lavoro di microrganismi che creano nuovi
sapori e consistenza, rendono il cibo più
digeribile e ricco di nuove proprietà.
Miso, tempeh, kefir, latti fermentati con
probiotici e pane nascono così.
Percorso esperienziale presso iLab Alimentazione del Museo della
Scienza e della Tecnologia di Milano, con il supporto di Yakult
Aceto, caffè, cioccolato, latti fermentati, salsa di soia, burro, tè: tutti alimenti che ci sono
molto famigliari: con il loro aroma particolare – uno dei più evidenti effetti della
fermentazione – li riconosceremmo ad occhi chiusi. O no?
L’aroma estratto da alimenti che ben conosciamo e messo in anonime provette può in
realtà diventare ben difficile da riconoscere.
Perché? Per diversi motivi:
• l’abitudine ad annusare i cibi – o, più in generale, a conoscerli attraverso tutti i nostri
sensi – era forse più presente un tempo rispetto ad ora
• nel nostro rapporto con i cibi sono coinvolti tutti i sensi, e togliendo alcune dimensioni
come la vista e il tatto le cose si fanno più difficili
• gli alimenti sono un insieme complesso di sostanze, proprietà e fattori, e che
estraendone solo una parte lo rappresentiamo necessariamente in maniera parziale
Il cibo è complessità, e ogni semplificazione rischia di portarci a una visione distorta

GLI ODORI
Si possono fermentare tutti gli alimenti che contengano gli zuccheri di cui si
nutrono i diversi fermenti – solitamente batteri o lieviti.
Zuccheri che possono essere disponibili nell’alimento già così com’è, come nel caso
del latte, o dopo qualche lavorazione, come succede ad esempio nel miso per cui i
semi di soia per poter essere fermentati devono essere prima cotti e addizionati di
Koji, una muffa che taglia gli amidi della soia e ne ottiene glucosio.
Tra le materie prime più utilizzate latte ( yogurt e latti fermentati; formaggi; panna
acida), cereali ( pane, sfarinati, bevande alcoliche), frutta e ortaggi ( aceto, vino,
olive, crauti, kimchi), soia ( salsa di soia, natto, tempeh, miso), carne ( salumi),
ma anche pesci, crostacei e molluschi.

COSA SI
FERMENTA?

DOVE SI È
SVILUPPATA LA
FERMENTAZIONE?

DOVE SI È
SVILUPPATA LA
FERMENTAZIONE? La mappa alla slide precedente riporta una cernita di 100 alimenti fermentati –
escludendo le bevande alcoliche – sulle migliaia presenti ancora oggi in tutto il mondo:
basti pensare che, limitandoci ai soli latti fermentati, se ne conta una quantità superiore ai
400.
Storicamente, in ogni parte del mondo le condizioni climatiche e la flora microbica del
luogo hanno fermentato ciò che in quell’area era disponibile e di cui era utile avere tempi
di conservazione maggiori.
La mappa ci parla quindi di un'Europa che fermenta carni e alcuni ortaggi, di un'Africa
spostata sui cereali – e non tutti adatti alla panificazione: da cereali che non possono
formare glutine per impasto con acqua si sono ottenuti infatti per fermentazione svariati
alimenti più simili a polente. L’Asia è la vera culla degli alimenti fermentati: una vasta
tradizione che copre un numero elevatissimo di alimenti delle più diverse categorie
alimentari, con predominanza di verdure, pesce e legumi (soia in primis).

DOVE SI È
SVILUPPATA LA
FERMENTAZIONE?
Interessante la particolarità del Giappone che, pur avendo una grande tradizione di
alimenti fermentati, ha saputo anche innovare nel tempo utilizzando nuove materie
prime. Nasce così la papaya fermentata, e – da un alimento così poco tradizionale in
questo Paese come il latte - nasce così Yakult.
Il latte infatti cominciò a essere utilizzato – e ben poco – in Giappone solo a seguito
della restaurazione Meiji (1868) con le sue prime aperture agli influssi culturali
dall’Occidente. Il latte e i suoi derivati erano da principio riservati soprattutto a chi
dovesse recuperare uno stato di buona salute, in anni in cui malnutrizione e infezioni,
soprattutto intestinali, erano particolarmente diffuse.
Qualche decennio più tardi, in un contesto socio-sanitario del tutto analogo, il medico
e microbiologo Minoru Shirota - basandosi sulle più avanzate conoscenze scientifiche
di quel tempo - intuì che specifici batteri potessero apportare importanti vantaggi: per
questo volle selezionare un batterio in grado di resistere al passaggio dello stomaco
per poter arrivare vivo nell’intestino, che intuì essere una sorta di centrale del
benessere. Nel 1930 isolò il ceppo probiotico che porta il suo nome, il Lactobacillus
casei Shirota (LcS), e lo usò per fermentare proprio il latte, un ambiente per lui
ideale. Il frutto della sua ricerca fu quindi un nuovo alimento, cui il medico diede il
nome di Yakult.

CONSERVAZIONE
E SICUREZZA
Gli alimenti fermentati vengono quindi tradizionalmente apprezzati per la loro
maggior conservabilità, oltre che per le caratteristiche sensoriali.
Ci si potrebbe quindi chiedere di quanto fossero più conservabili gli alimenti dopo
fermentazione. Non c’è risposta univoca: dipende da quali alimenti sottoponiamo a
fermentazione e da come avviene il processo.
Per dare tuttavia un’idea, possiamo prendere l’esempio del latte crudo prima e dopo
fermentazione.
Se il latte appena munto non subisce nessun trattamento, durerà solo qualche ora
prima di iniziare ad alterarsi. Se lo fermentiamo – così, come latte non pastorizzato,
come era in origine – può durare qualche giorno.
Per il pastore nomade del caucaso – dato che stiamo parlando degli albori della
storia dello yogurt - questo segnava una grande differenza.
Oggi naturalmente la situazione è diversa: abbiamo la pastorizzazione del latte e la
possibilità di refrigerare: il latte fresco arriva tranquillamente a durare 6 giorni, e i latti
fermentati circa un mese (va inoltre detto che uno yogurt “scaduto” ha semplicemente
meno fermenti vivi di quelli richiesti dalla legge per poterlo chiamare yogurt: non è,
anche il giorno dopo la scadenza, un prodotto “andato a male”)

CONSERVAZIONE
E SICUREZZA
Ma come si conservano, a loro volta, gli alimenti fermentati?
La fermentazione da sola in genere non basta a conservare a lungo un alimento, ma
va associata ad un altro metodo di conservazione. Lo yogurt ad esempio va in
frigorifero, il formaggio viene stagionato, i crauti – a tutela della necessaria sicurezza
alimentare - sono in salamoia o sott’aceto. E così via.
Sicurezza alimentare: come produrre cibi fermentati in casa?
In generale, possiamo dire che la sicurezza alimentare è legata a due concetti: quello
della prevenzione e quello del controllo.
Quando si fermenta, bisogna essere certi di quel che si va a fermentare e di cosa
effettuerà la fermentazione.
La materia prima non deve presentare alterazioni e non deve avere microrganismi
che possono interferire con la fermentazione o fermentare loro stessi in maniera
indesiderata, per non rischiare di avere un cattivo risultato in termini di organolettica
o, ancora più importante, di salubrità.

CONSERVAZIONE
E SICUREZZA
Per lo stesso motivo, non è consigliabile andare alla cieca sui microrganismi
fermentanti.
Nel caso dello yogurt, ad esempio, è per questo che prima della fermentazione c’è
una pastorizzazione specifica – in condizioni più vigorose di quella per il latte da
mettere a scaffale come tale – che precede l’aggiunta di fermenti specifici e ben
identificati.
A livello preventivo è fondamentale poi adottare tutte le misure igieniche necessarie,
come ad esempio materiali di lavoro, di taglio e di appoggio adeguati e
adeguatamente sanitizzati.
Il prodotto finale deve poi essere messo in condizioni che ne permettano la
conservazione: come abbiamo detto, la fermentazione da sola non basta a
conservare a lungo.

CONSERVAZIONE
E SICUREZZA
Per quanto riguarda la fase di controllo, a livello aziendale il tutto viene semplificato
dai test del controllo qualità – anche microbiologico. Questo permette di intercettare
eventuali non conformità che diano o che non diano un effetto osservabile facilmente
attraverso i nostri cinque sensi.
Nei procedimenti casalinghi possiamo stare attenti all’eventuale presenza di
alterazioni osservabili: rigonfiamenti dei vasetti (o fuoriuscita di gas o di prodotto
all’apertura), inacidimenti, annerimenti, ammuffimenti, rammollimenti, odori anomali
e/o poco piacevoli (es simili a uova marce), ecc.
Una sostanza che aiuta la sicurezza alimentare nel caso di alimenti fermentati è
sicuramente il sale: la salagione è infatti uno dei metodi di conservazione che
possiamo abbinare alla fermentazione per una buona conservabilità dell’alimento.
Perché l’effetto conservante si verifichi, la salamoia da utilizzare ad esempio nel caso
di verdure fermentate deve avere una concentrazione di almeno il 10% (10 g di sale
in 100 ml di acqua)
Anche l’acidità aiuta: valori di pH inferiori a 4,6 sono considerati sicuri (per avere un
paragone, uno yogurt è generalmente intorno a pH 4,2 – 4,3).
Se a fermentare sono i batteri, nell'alimento di partenza si riverserà dell'acidità, che i
batteri producono quando mangiano zuccheri.
Se aggiungiamo al latte e a un latte fermentato uno stesso indicatore di pH – una
sostanza che cambia il suo colore a seconda del livello di acidità – osserveremo nei
due casi colorazioni diverse. I fermenti hanno cambiato l’acidità dell’alimento da cui
sono partiti (il latte) per formare nuovi alimenti più acidi.
L’acidità gioca un ruolo fondamentale sulle caratteristiche dei nuovi cibi: da un lato è
la vera arma della maggiore conservabilità (abbassando il pH i batteri che possono
alterare gli alimenti hanno vita via via più difficile), dall’altro modificano le componenti
dell’alimento di partenza conferendo nuove proprietà.
Se pensiamo al latte, ad esempio, è proprio l’acidità che si sviluppa con la
fermentazione a far cambiare la struttura delle proteine e a farle coagulare: il risultato
è una maggiore consistenza e una nuova testura del nuovo alimento.
L’acidità è inoltre una componente fondamentale del gusto, aspetto giustamente di
grande rilevanza quando si parla di alimenti

ACIDITÀ
La fermentazione trasforma gli alimenti, con processi dovuti al fatto che il
fermento agisce all'interno dell'alimento, ci sta vivendo, ne ha fatto il proprio habitat.
Molte di queste trasformazioni rendono l'alimento interessante da un punto di vista
nutrizionale: sono alimenti in qualche modo "predigeriti" e contenenti ad esempio
interessanti enzimi.
Uno di questi enzimi, ad esempio, rende possibile assumere latti fermentati anche a
chi non tollera il lattosio, che in questo modo non rinuncia a un'importante fonte di
calcio. In altre parole, chi non può bere latte per via del lattosio è possibile che possa
tranquillamente assumere latti fermentati, perché il lattosio che rimane dopo
fermentazione (che è comunque meno rispetto a quello presente nel latte di
partenza, in quanto la fermentazione ne ha convertito buona parte in acido lattico)
viene ingerito in presenza proprio di quell’enzima che permette di digerirlo (e che
manca a chi è intollerante al lattosio).

FERMENTAZIONE È
TRASFORMAZIONE
Oltre agli enzimi, la fermentazione può portare a un arricchimento in determinate
vitamine e altre sostanze interessanti come le batteriocine, sostanze riversate nel
prodotto fermentato proprio dai fermenti utilizzati, che hanno la capacità di inibire la
crescita di altri microrganismi esplicando un’azione antimicrobica. Anche queste
sostanze possono contribuire alla migliore conservabilità degli alimenti fermentati.
La pre-digestione dell’alimento di partenza da parte dei fermenti regala poi
all’alimento finale una “semplificazione” di importanti nutrienti come le proteine, che
vengono scisse in “pezzi”, costituiti da proteine più corte o addirittura dagli
amminoacidi che le compongono.
Ma allora tutti i cibi fermentati sono sani? Non necessariamente (benché nessun
alimento sia da cancellare dalla nostra dieta in generale): il cibo è complessità, e nel
suo complesso va valutato. E’ bene consumare ad esempio il salame con
morigeratezza, ancor di più in particolari condizioni come ad esempio nei casi di
ipertensione o marcato sovrappeso. Ma questo non dipende dal fatto che sia prodotto
per fermentazione.
Quando tuttavia ai vantaggi nutrizionali legati alla fermentazione si abbina un profilo
nutrizionale complessivamente vantaggioso siamo di fronte a un alimento di
particolare interesse, ancor più se in presenza di ulteriori proprietà che possono
portare vantaggi alla salute.

FERMENTAZIONE È
TRASFORMAZIONE
Quali fermentazioni esistono?
Ne esistono diverse: vediamone alcune.
Assai nota è quella alcolica, in cui alcuni lieviti – a volte coadiuvati da qualche muffa
specifica – trasformano il glucosio in alcol etilico e CO2. Accanto a queste sostanze
principali se ne possono formare altre, come l’acido malico, con la sua nota
aromatica aspra. Nella produzione di alcuni vini rossi importanti, l’acido malico viene
convertito mediante fermentazione malolattica (ad opera di batteri lattici) in acido
lattico (e CO2), con una variazione delle note aromatiche verso un gusto nel
complesso più armonico.
Un’altra fermentazione piuttosto famigliare è quella acetica, in cui l’etanolo –
precedentemente ottenuto per fermentazione alcolica – viene convertito in presenza
di ossigeno ad acido acetico per opera di alcuni batteri acetici.
Nella fermentazione lattica gli zuccheri vengono convertiti da batteri lattici in acido
lattico, come avviene per nella produzione dei derivati fermentati del latte. Glucosio e
acido lattico possono essere poi convertiti da batteri propionici in acido propionico,
acido acetico e CO2. E’ la fermentazione propionica, che sviluppando gas va a
formare ad esempio i buchi dell’Emmenthal

QUALI
FERMENTAZIONI
ESISTONO?
La fermentazione porta negli alimenti diversi vantaggi a livello nutrizionale, come
abbiamo visto: ancor prima che noi ingeriamo quei cibi, quindi, i fermenti hanno già
fatto un ottimo lavoro, e lo hanno fatto all’interno del nuovo cibo che hanno creato.
Ma possono fare ancora qualcosa? Possono fare di più? Una volta che li
mangiamo, con gli alimenti fermentati, cosa fanno all’interno del nostro organismo?
Il destino di tutto ciò che ingeriamo è andare incontro a un percorso ricco di insidie,
volte a distruggere quel che mangiamo. E’ qualcosa di assolutamente molto utile:
distruggere significa digerire, e digerire è l’unico modo in cui possiamo ridurre il cibo
in sostanze che poi possiamo assorbire.
Dal punto di vista di un fermento tuttavia questo percorso crea una grande difficoltà:
generalmente infatti non sopravvivono ai nostri succhi digestivi.
Alcuni tuttavia ci riescono: sono i fermenti lattici definiti probiotici.

COSA FANNO
DOPO INGERITI?
I fermenti probiotici, dopo aver apportato anch’essi vantaggi nutrizionali
nell'alimento, continuano a operare all'interno del nostro organismo arrivando in
quantità adeguate nell’intestino.
Questo può essere ben visualizzato utilizzando delle piastre di coltura con terreni
specifici, in grado di mimare le varie fasi della nostra digestione: laddove i normali
fermenti non sopravvivono, i probiotici continuano invece a proliferare.
Il vantaggio che offrono grazie alla loro sopravvivenza al passaggio da stomaco e
intestino è quello di favorire l’equilibrio del microbiota intestinale, un tempo
chiamato flora.
La comunità scientifica mostra interesse crescente per lo studio del ruolo del
microbiota intestinale, che potrebbe essere ora solo all’inizio.
Si parla oggi di asse intestino – cervello, a indicare il modo in cui non solo il nostro
cervello può influire sulle funzioni intestinali, ma anche l’equilibrio o non-equilibrio del
microbiota può “parlare” al cervello potenzialmente modulando ad esempio stati di
stress, ansia, depressione.
Il microbiota dialoga inoltre con il nostro sistema immunitario, oltre a essere
implicato nella funzionalità intestinale in senso più stretto.

COSA FANNO
DOPO INGERITI?

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Polla 25 settembre 2011
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Cibo in fermento

  • 2. La fermentazione è trasformazione Antica tecnica di conservazione ancora attuale e futuribile. Lavoro di microrganismi che creano nuovi sapori e consistenza, rendono il cibo più digeribile e ricco di nuove proprietà. Miso, tempeh, kefir, latti fermentati con probiotici e pane nascono così. Percorso esperienziale presso iLab Alimentazione del Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano, con il supporto di Yakult
  • 3. Aceto, caffè, cioccolato, latti fermentati, salsa di soia, burro, tè: tutti alimenti che ci sono molto famigliari: con il loro aroma particolare – uno dei più evidenti effetti della fermentazione – li riconosceremmo ad occhi chiusi. O no? L’aroma estratto da alimenti che ben conosciamo e messo in anonime provette può in realtà diventare ben difficile da riconoscere. Perché? Per diversi motivi: • l’abitudine ad annusare i cibi – o, più in generale, a conoscerli attraverso tutti i nostri sensi – era forse più presente un tempo rispetto ad ora • nel nostro rapporto con i cibi sono coinvolti tutti i sensi, e togliendo alcune dimensioni come la vista e il tatto le cose si fanno più difficili • gli alimenti sono un insieme complesso di sostanze, proprietà e fattori, e che estraendone solo una parte lo rappresentiamo necessariamente in maniera parziale Il cibo è complessità, e ogni semplificazione rischia di portarci a una visione distorta  GLI ODORI
  • 4. Si possono fermentare tutti gli alimenti che contengano gli zuccheri di cui si nutrono i diversi fermenti – solitamente batteri o lieviti. Zuccheri che possono essere disponibili nell’alimento già così com’è, come nel caso del latte, o dopo qualche lavorazione, come succede ad esempio nel miso per cui i semi di soia per poter essere fermentati devono essere prima cotti e addizionati di Koji, una muffa che taglia gli amidi della soia e ne ottiene glucosio. Tra le materie prime più utilizzate latte ( yogurt e latti fermentati; formaggi; panna acida), cereali ( pane, sfarinati, bevande alcoliche), frutta e ortaggi ( aceto, vino, olive, crauti, kimchi), soia ( salsa di soia, natto, tempeh, miso), carne ( salumi), ma anche pesci, crostacei e molluschi.  COSA SI FERMENTA?
  • 5.  DOVE SI È SVILUPPATA LA FERMENTAZIONE?
  • 6.  DOVE SI È SVILUPPATA LA FERMENTAZIONE? La mappa alla slide precedente riporta una cernita di 100 alimenti fermentati – escludendo le bevande alcoliche – sulle migliaia presenti ancora oggi in tutto il mondo: basti pensare che, limitandoci ai soli latti fermentati, se ne conta una quantità superiore ai 400. Storicamente, in ogni parte del mondo le condizioni climatiche e la flora microbica del luogo hanno fermentato ciò che in quell’area era disponibile e di cui era utile avere tempi di conservazione maggiori. La mappa ci parla quindi di un'Europa che fermenta carni e alcuni ortaggi, di un'Africa spostata sui cereali – e non tutti adatti alla panificazione: da cereali che non possono formare glutine per impasto con acqua si sono ottenuti infatti per fermentazione svariati alimenti più simili a polente. L’Asia è la vera culla degli alimenti fermentati: una vasta tradizione che copre un numero elevatissimo di alimenti delle più diverse categorie alimentari, con predominanza di verdure, pesce e legumi (soia in primis).
  • 7.  DOVE SI È SVILUPPATA LA FERMENTAZIONE? Interessante la particolarità del Giappone che, pur avendo una grande tradizione di alimenti fermentati, ha saputo anche innovare nel tempo utilizzando nuove materie prime. Nasce così la papaya fermentata, e – da un alimento così poco tradizionale in questo Paese come il latte - nasce così Yakult. Il latte infatti cominciò a essere utilizzato – e ben poco – in Giappone solo a seguito della restaurazione Meiji (1868) con le sue prime aperture agli influssi culturali dall’Occidente. Il latte e i suoi derivati erano da principio riservati soprattutto a chi dovesse recuperare uno stato di buona salute, in anni in cui malnutrizione e infezioni, soprattutto intestinali, erano particolarmente diffuse. Qualche decennio più tardi, in un contesto socio-sanitario del tutto analogo, il medico e microbiologo Minoru Shirota - basandosi sulle più avanzate conoscenze scientifiche di quel tempo - intuì che specifici batteri potessero apportare importanti vantaggi: per questo volle selezionare un batterio in grado di resistere al passaggio dello stomaco per poter arrivare vivo nell’intestino, che intuì essere una sorta di centrale del benessere. Nel 1930 isolò il ceppo probiotico che porta il suo nome, il Lactobacillus casei Shirota (LcS), e lo usò per fermentare proprio il latte, un ambiente per lui ideale. Il frutto della sua ricerca fu quindi un nuovo alimento, cui il medico diede il nome di Yakult.
  • 8.  CONSERVAZIONE E SICUREZZA Gli alimenti fermentati vengono quindi tradizionalmente apprezzati per la loro maggior conservabilità, oltre che per le caratteristiche sensoriali. Ci si potrebbe quindi chiedere di quanto fossero più conservabili gli alimenti dopo fermentazione. Non c’è risposta univoca: dipende da quali alimenti sottoponiamo a fermentazione e da come avviene il processo. Per dare tuttavia un’idea, possiamo prendere l’esempio del latte crudo prima e dopo fermentazione. Se il latte appena munto non subisce nessun trattamento, durerà solo qualche ora prima di iniziare ad alterarsi. Se lo fermentiamo – così, come latte non pastorizzato, come era in origine – può durare qualche giorno. Per il pastore nomade del caucaso – dato che stiamo parlando degli albori della storia dello yogurt - questo segnava una grande differenza. Oggi naturalmente la situazione è diversa: abbiamo la pastorizzazione del latte e la possibilità di refrigerare: il latte fresco arriva tranquillamente a durare 6 giorni, e i latti fermentati circa un mese (va inoltre detto che uno yogurt “scaduto” ha semplicemente meno fermenti vivi di quelli richiesti dalla legge per poterlo chiamare yogurt: non è, anche il giorno dopo la scadenza, un prodotto “andato a male”)
  • 9.  CONSERVAZIONE E SICUREZZA Ma come si conservano, a loro volta, gli alimenti fermentati? La fermentazione da sola in genere non basta a conservare a lungo un alimento, ma va associata ad un altro metodo di conservazione. Lo yogurt ad esempio va in frigorifero, il formaggio viene stagionato, i crauti – a tutela della necessaria sicurezza alimentare - sono in salamoia o sott’aceto. E così via. Sicurezza alimentare: come produrre cibi fermentati in casa? In generale, possiamo dire che la sicurezza alimentare è legata a due concetti: quello della prevenzione e quello del controllo. Quando si fermenta, bisogna essere certi di quel che si va a fermentare e di cosa effettuerà la fermentazione. La materia prima non deve presentare alterazioni e non deve avere microrganismi che possono interferire con la fermentazione o fermentare loro stessi in maniera indesiderata, per non rischiare di avere un cattivo risultato in termini di organolettica o, ancora più importante, di salubrità.
  • 10.  CONSERVAZIONE E SICUREZZA Per lo stesso motivo, non è consigliabile andare alla cieca sui microrganismi fermentanti. Nel caso dello yogurt, ad esempio, è per questo che prima della fermentazione c’è una pastorizzazione specifica – in condizioni più vigorose di quella per il latte da mettere a scaffale come tale – che precede l’aggiunta di fermenti specifici e ben identificati. A livello preventivo è fondamentale poi adottare tutte le misure igieniche necessarie, come ad esempio materiali di lavoro, di taglio e di appoggio adeguati e adeguatamente sanitizzati. Il prodotto finale deve poi essere messo in condizioni che ne permettano la conservazione: come abbiamo detto, la fermentazione da sola non basta a conservare a lungo.
  • 11.  CONSERVAZIONE E SICUREZZA Per quanto riguarda la fase di controllo, a livello aziendale il tutto viene semplificato dai test del controllo qualità – anche microbiologico. Questo permette di intercettare eventuali non conformità che diano o che non diano un effetto osservabile facilmente attraverso i nostri cinque sensi. Nei procedimenti casalinghi possiamo stare attenti all’eventuale presenza di alterazioni osservabili: rigonfiamenti dei vasetti (o fuoriuscita di gas o di prodotto all’apertura), inacidimenti, annerimenti, ammuffimenti, rammollimenti, odori anomali e/o poco piacevoli (es simili a uova marce), ecc. Una sostanza che aiuta la sicurezza alimentare nel caso di alimenti fermentati è sicuramente il sale: la salagione è infatti uno dei metodi di conservazione che possiamo abbinare alla fermentazione per una buona conservabilità dell’alimento. Perché l’effetto conservante si verifichi, la salamoia da utilizzare ad esempio nel caso di verdure fermentate deve avere una concentrazione di almeno il 10% (10 g di sale in 100 ml di acqua) Anche l’acidità aiuta: valori di pH inferiori a 4,6 sono considerati sicuri (per avere un paragone, uno yogurt è generalmente intorno a pH 4,2 – 4,3).
  • 12. Se a fermentare sono i batteri, nell'alimento di partenza si riverserà dell'acidità, che i batteri producono quando mangiano zuccheri. Se aggiungiamo al latte e a un latte fermentato uno stesso indicatore di pH – una sostanza che cambia il suo colore a seconda del livello di acidità – osserveremo nei due casi colorazioni diverse. I fermenti hanno cambiato l’acidità dell’alimento da cui sono partiti (il latte) per formare nuovi alimenti più acidi. L’acidità gioca un ruolo fondamentale sulle caratteristiche dei nuovi cibi: da un lato è la vera arma della maggiore conservabilità (abbassando il pH i batteri che possono alterare gli alimenti hanno vita via via più difficile), dall’altro modificano le componenti dell’alimento di partenza conferendo nuove proprietà. Se pensiamo al latte, ad esempio, è proprio l’acidità che si sviluppa con la fermentazione a far cambiare la struttura delle proteine e a farle coagulare: il risultato è una maggiore consistenza e una nuova testura del nuovo alimento. L’acidità è inoltre una componente fondamentale del gusto, aspetto giustamente di grande rilevanza quando si parla di alimenti  ACIDITÀ
  • 13. La fermentazione trasforma gli alimenti, con processi dovuti al fatto che il fermento agisce all'interno dell'alimento, ci sta vivendo, ne ha fatto il proprio habitat. Molte di queste trasformazioni rendono l'alimento interessante da un punto di vista nutrizionale: sono alimenti in qualche modo "predigeriti" e contenenti ad esempio interessanti enzimi. Uno di questi enzimi, ad esempio, rende possibile assumere latti fermentati anche a chi non tollera il lattosio, che in questo modo non rinuncia a un'importante fonte di calcio. In altre parole, chi non può bere latte per via del lattosio è possibile che possa tranquillamente assumere latti fermentati, perché il lattosio che rimane dopo fermentazione (che è comunque meno rispetto a quello presente nel latte di partenza, in quanto la fermentazione ne ha convertito buona parte in acido lattico) viene ingerito in presenza proprio di quell’enzima che permette di digerirlo (e che manca a chi è intollerante al lattosio).  FERMENTAZIONE È TRASFORMAZIONE
  • 14. Oltre agli enzimi, la fermentazione può portare a un arricchimento in determinate vitamine e altre sostanze interessanti come le batteriocine, sostanze riversate nel prodotto fermentato proprio dai fermenti utilizzati, che hanno la capacità di inibire la crescita di altri microrganismi esplicando un’azione antimicrobica. Anche queste sostanze possono contribuire alla migliore conservabilità degli alimenti fermentati. La pre-digestione dell’alimento di partenza da parte dei fermenti regala poi all’alimento finale una “semplificazione” di importanti nutrienti come le proteine, che vengono scisse in “pezzi”, costituiti da proteine più corte o addirittura dagli amminoacidi che le compongono. Ma allora tutti i cibi fermentati sono sani? Non necessariamente (benché nessun alimento sia da cancellare dalla nostra dieta in generale): il cibo è complessità, e nel suo complesso va valutato. E’ bene consumare ad esempio il salame con morigeratezza, ancor di più in particolari condizioni come ad esempio nei casi di ipertensione o marcato sovrappeso. Ma questo non dipende dal fatto che sia prodotto per fermentazione. Quando tuttavia ai vantaggi nutrizionali legati alla fermentazione si abbina un profilo nutrizionale complessivamente vantaggioso siamo di fronte a un alimento di particolare interesse, ancor più se in presenza di ulteriori proprietà che possono portare vantaggi alla salute.  FERMENTAZIONE È TRASFORMAZIONE
  • 15. Quali fermentazioni esistono? Ne esistono diverse: vediamone alcune. Assai nota è quella alcolica, in cui alcuni lieviti – a volte coadiuvati da qualche muffa specifica – trasformano il glucosio in alcol etilico e CO2. Accanto a queste sostanze principali se ne possono formare altre, come l’acido malico, con la sua nota aromatica aspra. Nella produzione di alcuni vini rossi importanti, l’acido malico viene convertito mediante fermentazione malolattica (ad opera di batteri lattici) in acido lattico (e CO2), con una variazione delle note aromatiche verso un gusto nel complesso più armonico. Un’altra fermentazione piuttosto famigliare è quella acetica, in cui l’etanolo – precedentemente ottenuto per fermentazione alcolica – viene convertito in presenza di ossigeno ad acido acetico per opera di alcuni batteri acetici. Nella fermentazione lattica gli zuccheri vengono convertiti da batteri lattici in acido lattico, come avviene per nella produzione dei derivati fermentati del latte. Glucosio e acido lattico possono essere poi convertiti da batteri propionici in acido propionico, acido acetico e CO2. E’ la fermentazione propionica, che sviluppando gas va a formare ad esempio i buchi dell’Emmenthal  QUALI FERMENTAZIONI ESISTONO?
  • 16. La fermentazione porta negli alimenti diversi vantaggi a livello nutrizionale, come abbiamo visto: ancor prima che noi ingeriamo quei cibi, quindi, i fermenti hanno già fatto un ottimo lavoro, e lo hanno fatto all’interno del nuovo cibo che hanno creato. Ma possono fare ancora qualcosa? Possono fare di più? Una volta che li mangiamo, con gli alimenti fermentati, cosa fanno all’interno del nostro organismo? Il destino di tutto ciò che ingeriamo è andare incontro a un percorso ricco di insidie, volte a distruggere quel che mangiamo. E’ qualcosa di assolutamente molto utile: distruggere significa digerire, e digerire è l’unico modo in cui possiamo ridurre il cibo in sostanze che poi possiamo assorbire. Dal punto di vista di un fermento tuttavia questo percorso crea una grande difficoltà: generalmente infatti non sopravvivono ai nostri succhi digestivi. Alcuni tuttavia ci riescono: sono i fermenti lattici definiti probiotici.  COSA FANNO DOPO INGERITI?
  • 17. I fermenti probiotici, dopo aver apportato anch’essi vantaggi nutrizionali nell'alimento, continuano a operare all'interno del nostro organismo arrivando in quantità adeguate nell’intestino. Questo può essere ben visualizzato utilizzando delle piastre di coltura con terreni specifici, in grado di mimare le varie fasi della nostra digestione: laddove i normali fermenti non sopravvivono, i probiotici continuano invece a proliferare. Il vantaggio che offrono grazie alla loro sopravvivenza al passaggio da stomaco e intestino è quello di favorire l’equilibrio del microbiota intestinale, un tempo chiamato flora. La comunità scientifica mostra interesse crescente per lo studio del ruolo del microbiota intestinale, che potrebbe essere ora solo all’inizio. Si parla oggi di asse intestino – cervello, a indicare il modo in cui non solo il nostro cervello può influire sulle funzioni intestinali, ma anche l’equilibrio o non-equilibrio del microbiota può “parlare” al cervello potenzialmente modulando ad esempio stati di stress, ansia, depressione. Il microbiota dialoga inoltre con il nostro sistema immunitario, oltre a essere implicato nella funzionalità intestinale in senso più stretto.  COSA FANNO DOPO INGERITI?