Implicazioni mediche e biologiche derivanti dall’utilizzo dei principali elettrodomestici e prodotti di elettronica di consumo
1. 1° Seminario
“Implicazioni mediche e biologiche derivanti dall’utilizzo dei
principali elettrodomestici e prodotti di elettronica di
consumo”
2. 1. Introduzione
• Basi scientifiche: basi biologiche, fisiche e chimiche;
• Il mercato dell’elettronica di consumo in Italia e tassi di
penetrazione dei prodotti tra le famiglie italiane.
2. Telefonia mobile e fissa
• Tipologia di prodotti in uso;
• Problematiche legate all’utilizzo dei prodotti e pratiche
potenzialmente pericolose per la salute dell’individuo.
3. Televisori e apparecchi audio video
• Principali tecnologie in uso;
• Problemi legati all’utilizzo frequente dei prodotti;
• Danni da rumore.
4. Prodotti informatici
• Prodotti e tecnologie in uso;
• Problemi legati all’utilizzo frequente di personal computer;
• Problemi legati all’utilizzo frequente di Internet e della posta
elettronica.
5. Piccoli Elettrodomestici
• Tipologia di prodotti in uso;
• Problemi legati all’utilizzo frequente dei prodotti.
6. Pericolosità in casa
• Incidenti domestici;
• Il ruolo degli elettrodomestici e dei prodotti di elettronica di
consumo negli incidenti domestici.
Bibliografia
Sitografia
2
3. 1. INTRODUZIONE
1.1.Basi scientifiche: basi biologiche, fisiche e chimiche
Gli effetti sul normale equilibrio omeostatico dell’organismo umano provocati
dall’utilizzo dei moderni elettrodomestici e prodotti elettronici si fondano su precise basi
chimiche, fisiche e biologiche.
Di seguito vengono riportati i principali agenti fisici, chimici e biologici potenzialmente
patogeni e i relativi effetti sull’organismo umano, derivati dall’utilizzo frequente e
periodico di tali dispositivi.
a) Energia radiante, campi elettrici ed elettromagnetici
Le radiazioni che hanno effetti patogeni sugli organismi viventi e in particolare
sull’uomo sono, secondo le nozioni della fisica moderna, di natura
corpuscolare oppure elettromagnetica. Le prime sono composte da materia,
mentre le seconde sono composte da energia in pacchetti finiti o quanti che
prendono il nome di fotoni.
La loro energia è stabilita dalla Legge di Planck: ε = h ν dove ε è l’energia, h
la costante di Planck (6,6 x 10-27 erg/sec) e v la frequenza della radiazione;
oppure dalla relazione ε = hc / λ dove λ è la lunghezza d’onda e c è la velocità
dell’onda elettromagnetica nel vuoto (3 x 1010 cm/sec).
Le radiazioni si distinguono inoltre in ionizzanti ed eccitanti a seconda che
producano ionizzazione, ovvero eccitamento degli atomi costituenti la materia
che attraversano. Il fenomeno della ionizzazione consiste nello strappare un
elettrone da un’orbita di un atomo producendo uno ione positivo. L’elettrone
espulso e il fotone incidente possono avere ancora sufficiente energia per
produrre ionizzazioni secondarie. L’energia necessaria è di 10 eV e questo
significa che solo le radiazioni con energia uguale o superiore possono
produrre ionizzazione. Il fenomeno della eccitazione avviene quando una
radiazione con energia inferiore a 10 eV viene assorbita da un atomo: in questo
caso si ottiene l’eccitazione dell’atomo che viene appunto definito eccitato.
Sono radiazioni ionizzanti le α, β, γ, i raggi X e i raggi cosmici; sono invece
eccitanti le radiazioni visibili, quelle dell’infrarosso e dell’ultravioletto, tanto
3
4. più quanto è maggiore l’energia della radiazione, cioè quanto è minore la
lunghezza d’onda.
Le radiazioni ionizzanti di natura elettromagnetica danno origine a ioni per
effetto fotoelettrico (espulsione di un elettrone per assorbimento di un fotone,
se il fotone incidente ha energia minore di 0,5 MeV), per effetto Compton
(emissione di un elettrone e rimbalzo con energia ridotta del fotone incidente,
se il fotone incidente ha energia compresa tra 0,5 e 10 MeV), o per produzione
di coppie (espulsione di un positrone o di un elettrone che si annichilano e
spariscono come materia, se l’energia del fotone incidente è maggiore a 5
MeV), mentre quelle corpuscolate producono ionizzazione in virtù della carica
che possiedono.
Corpuscolari (composiz.) Elettromagnetiche (λ) Effetti maggiori
α Nucleo elio Metri Ionizzazione
β Elettroni
Neutroni Onde radio 10-2-1
Protoni Micro onde 1-10-3
Infrarossi 10-3 10-6
Visibile 400-700 nm Eccitazione
Ultravioletto 190-400 nm
Raggi X 10-8 10-12
Raggi γ 10-12 10-15 Ionizzazione
Raggi cosmici
Le interazioni tra fotoni e radiazioni corpuscolate con la materia vivente sono
comprese in un tempo di circa 10-7 – 10-15 secondi. Questa interazione può
produrre effetti biologici particolari, che diventano riconoscibili in un tempo più
lungo, anche dell’ordine di anni. A seconda del processo che produce e cioè a
seconda dell’energia dei fotoni incidenti, l’assorbimento della radiazione
avviene preferenzialmente in certi tessuti biologici piuttosto che in altri tranne
che per l’effetto Compton che avviene nell’osso.
Nella pratica medica, le radiazioni più temibili sono quelle non ionizzanti, ossia
i campi elettromagnetici che si propagano nello spazio sotto forma di onde
elettromagnetiche, le quali non possiedono l’energia necessaria per causare
fenomeni di ionizzazione, ossia non sono in grado di staccare cariche elettriche
dagli atomi.
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5. Le radiazioni non ionizzanti comprendono radiazioni di bassa frequenza e
radiazioni di alta frequenza.
Le sorgenti di radiazioni a bassa frequenza producono radiazioni con frequenze
comprese tra i 3 e i 300 Hz, tuttavia dal punto di vista pratico le frequenze di
maggior interesse sono quelle di 50 Hz, proprie della corrente alternata della
rete elettrica. Le sorgenti di radiazioni a bassa frequenza producono invece
radiazioni con frequenze comprese tra 300 Hz e 300 GHz, tuttavia dal punto di
vista pratico le frequenze di maggior interesse sono quelle riguardanti i ripetitori
radiotelevisivi e le stazioni radio base per la telefonia cellulare.
I campi a frequenza estremamente bassa hanno la capacità di indurre correnti
nel corpo umano che però, considerata la loro modesta entità, sono insufficienti
a consentire ipotesi di danno biologico. Gli effetti acuti si manifestano nel breve
periodo come immediata conseguenza di elevate esposizioni e sono in genere
completamente reversibili. Sono stati segnalati effetti sul sistema visivo e sul
sistema nervoso centrale, stimolazione di tessuti eccitati, extrasistole e
fibrillazione ventricolare. Sono stati segnalati anche sintomi quali cefalea,
insonnia e affaticamento. Gli effetti cronici possono manifestarsi invece dopo
periodi anche lunghi di latenza in conseguenza di lievi esposizioni, senza
alcuna soglia certa; tali effetti hanno natura probabilistica: all’aumentare della
durata dell’esposizione aumenta infatti la probabilità di contrarre un danno ma
non l’entità del danno stesso.
È ancora fonte di acceso dibattito all’interno della comunità scientifica la
relazione tra esposizione a radiazioni non ionizzanti e comparsa di patologie
tumorali (anche se l’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro IARC ha
da tempo classificato i campi magnetici nella classe 2B dei possibili
cancerogeni per l’uomo, insieme al caffè e al cloroformio).
Con il crescere della frequenza aumenta progressivamente l’energia veicolata
dal campo, che viene ceduta ai tessuti sotto forma di calore. Questo effetto è
significativo per i campi ad alta frequenza e viene definito effetto termico.
Le radiazioni da radiofrequenze, a dosi molto elevate, sono in grado di causare
gravi danni legati al calore quali ustioni, cataratta e sterilità temporanea.
Le principali sorgenti di radiazioni elettromagnetiche non ionizzanti oggi
utilizzate, suscettibili di raggiungere livelli variabili di esposizione nelle loro
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6. vicinanze, vengono raggruppate in campi statici, a frequenze estremamente
basse, a frequenze intermedie, a radiofrequenze e a microonde.
Per una migliore comprensione di quanto appena illustrato, occorre però anche
fare una doverosa distinzione tra campi elettrici e campi magnetici: i primi
sono creati infatti da differenze di potenziale elettrico, o tensioni, mentre i
secondi si creano quando circola una corrente elettrica. Un campo elettrico
esiste anche se non c’è corrente; se circola una corrente, l’intensità del campo
magnetico varia con il consumo di potenza, mentre l’intensità del campo
elettrico rimane costante. Come i campi elettrici, inoltre, anche quelli magnetici
sono massimi vicino alla loro sorgente e diminuiscono rapidamente a distanze
maggiori.
Di seguito vengono riportate le maggiori differenze tra i due diversi tipi di campi:
Campi elettrici Campi magnetici
1. I campi elettrici derivano dalla 1. I campi magnetici derivano dalla
tensione corrente elettrica
2. La loro intensità si misura in Volt al 2. La loro intensità si misura in
metro (V/m) ampére al metro (A/m), oppure in
3. Un campo elettrico può essere microtesla (μT) o millitesta (mT)
presente anche se un apparecchio 3. I campi elettromagnetici esistono
è spento solo se un apparecchio è acceso e
4. L’intensità del campo elettrico circola una corrente
diminuisce con la distanza dalla 4. L’intensità del campo magnetico
sorgente diminuisce con la distanza della
5. La maggior parte dei materiali sorgente
scherma in qualche misura i campi 5. I campi magnetici non sono
elettrici schermati dalla maggior parte dei
materiali
Cause di presenza nell’ambiente di campi elettrici possono essere coperte
elettriche, bollitori, apparecchi stereofonici, frigoriferi e ferri da stiro. Cause di
presenza nell’ambiente di campi magnetici sono invece asciugacapelli,
frullatori, televisori, trapani e trenini elettrici. Altre sorgenti di onde
elettromagnetiche si trovano nei settori delle telecomunicazioni, delle
trasmissioni radiotelevisive, degli impianti radioamatoriali, negli impianti radar,
sia militari sia civili, e nelle antenne paraboliche per le comunicazioni satellitari.
Sotto vengono riportate le principali sorgenti di onde elettromagnetiche presenti
nell’ambiente:
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7. Sorgente Frequenza Lunghezza d’onda Onde
Applicazioni 0-3 Hz > 10.000 km Frequenza ultra
industriali bassa
Elettrodotti 3-3.000 Hz 100 km – 10.000 km Frequenza
Elettrodomestici estremamente
bassa
Applicazioni 3-30 kHz 10 km – 100 km Frequenza
industriali, bassissima
Telecomunicazioni,
Telefonia - Telegrafia
Telecomunicazioni 30-300 kHz 1 km – 10km Bassa frequenza
Telegrafi interfonici, 300-3.000 kHz 100 m – 1 km Media frequenza
Telefonia, Radiofonia,
Ultrasuoni
Antenne televisive e 3-30 MHz 10 m – 100 m Alta frequenza
radiofoniche
Radiofonia, 30-300 MHz 1 m – 10 m Altissima frequenza
Televisione
Televisioni, Ponti 300-3.000 MHz 10 cm – 1 m Ultra alta frequenza
radio, Telefonia
mobile, Radiomobile
Telecomunicazioni, TV 3-30 GHz 1 cm – 10 cm Frequenza
satellitare superiore
Telecomunicazioni, 30-300 GHz 1 mm – 1 cm Frequenza
Elettroterapia, estremamente alta
Radioastronomia,
Radar
Di seguito vengono invece riportati i valori indicativi, espressi in microtesla (μT),
dei campi magnetici generati da alcuni elettrodomestici di uso comune a
diversa distanza dal corpo.
Apparecchiatura A ridosso del A 10 cm dal A 20 cm dal A 30 cm dal
corpo corpo corpo corpo
Frigorifero 0,5 – 1,7 1,5 1 0,25
Lavastoviglie 0,3 – 3,4 0,2 0,11 0,1
Lavatrice 0,1 – 27,5 12,6 10 7,2
Televisore 14” 2-7 2,5 1 0,5
Radio 0,3 – 1,5 2 0,8 0,4
registratore
Asciugacapelli 40 - 100 40 5 1,5
Rasoio 50 – 1.300 20 5 1,7
Frullatore 50 - 230 14 3,5 1,5
Ventilatore 30 - 50 2,9 0,4 0,15
Lampada a 60 3,8 0,85 0,27
incandescenza
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8. Più nello specifico, i campi elettromagnetici compresi tra 10 e 300 GHz
vengono assorbiti presso la superficie della pelle e delle parti del corpo
esposte, e l’energia che penetra nei tessuti sottostanti è molto ridotta. Le
esposizioni intense e prolungate nel tempo possono essere molto gravi, in
particolare per gli organi poco vascolarizzati come il cristallino dell’occhio o i
testicoli per i quali la dispersione del calore da parte del sistema circolatorio è
più problematica.
I campi elettromagnetici compresi tra 1 MHz e 10 GHz penetrano invece nei
tessuti esposti e producono induzione di correnti elettriche e riscaldamento a
causa dell’assorbimento di energia. A bassi livelli l’aumento localizzato della
temperatura stimola il sistema termoregolatore a ripristinare le condizioni
termiche iniziali di cui l’individuo è conscio. L’effetto può risultare
particolarmente grave in quanto il riscaldamento interessa zone interne del
corpo e non viene direttamente percepito dagli organi sensoriali; per di più
l’organismo non riesce a smaltirlo adeguatamente attraverso i meccanismi di
compensazione del corpo. Come conseguenza del riscaldamento indotto nei
tessuti e delle sollecitazioni anomale dei meccanismi di termoregolazione, si
possono manifestare diverse risposte dovute al calore, come avviene in
conseguenza di manifestazioni febbrili prolungate o in ambienti surriscaldati.
I campi elettromagnetici inferiori a 1 MHz non producono riscaldamento
significativo, ma inducono soprattutto correnti e cariche elettriche, stimolando in
particolare i nervi e i muscoli.
I campi elettrici statici non penetrano nel corpo mentre i campi magnetici statici
si trasmettono inalterati nel corpo umano senza attenuazione di intensità.
Gli effetti indiretti dei campi elettromagnetici possono avvenire attraverso il
contatto diretto tra una persona e un oggetto con un differente potenziale
elettrico. Tale contatto provoca un rapido passaggio delle cariche elettriche
accumulate sulla superficie del corpo umano o dell’oggetto.
Più in generale, di seguito vengono riportati i principali effetti delle radiazioni
ionizzanti a livello cellulare, soprattutto se relativi a danni da radiazioni
luminose, i quali possono essere di tipo reversibile mentre altri possono
risultare addirittura letali:
Cellule labili: Diminuzione numerosi In cariocinesi:
effetti prevalenti sul nucleo mitosi - adesività
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9. - rotture
↓ - irregolarità dei cromosomi
picnosi
↓
In riposo:
- picnosi
- vacuolizzazione nucleare
- carioressi
- cariolisi
↓
Cariocinesi patologiche
Cellule perenni: Mitocondri
effetti prevalenti sugli - rigonfiamento rigonfiamento
organuli citoplasmatici - rottura membrana
- rottura creste torbido → necrosi
- dissociazione fosforilazioni
da ossidazioni
Lisosomi
- perossidazione lipidica
- rottura membrana
- liberazione enzimi
Reticolo endoplasmatico
- diminuzione sintesi
proteica
In Italia sono stati fissati per la popolazione generale dei limiti di esposizione di
100 μT per l’induzione magnetica e di 5 KV/m per il campo elettrico (Decreto
del Presidente del Consiglio dei Ministri dell’8/7/2003, pubblicato dalla G.U.
n. 200 del 28/8/2003). Tale normativa, emanata in completamento della
precedente Legge 36/01 “Legge quadro sulla protezione delle esposizioni a
campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici”, ha meglio identificato i limiti
di esposizione e i valori di attenzione per la prevenzione degli effetti a breve
termine e dei possibili effetti a lungo termine nella popolazione dovuti
all’esposizione di campi elettromagnetici generati da sorgenti fisse con
frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz.
A livello europeo il Consiglio della Comunità ha fissato invece i limiti di
esposizione ai campi elettromagnetici (Raccomandazione del 12/7/1999
pubblicata sulla G.U.C.E. del 30/7/1999) che si rifanno alle linee guida della
Commissione Internazionale sulla Protezione da Radiazioni Non Ionizzanti
9
10. (ICNIRP Guidelines for limiting exposure to time-varying electric, magnetic and
electromagnetic fields).
b) Corrente elettrica
Il corpo umano che si trovi tra un conduttore e la terra viene attraversato, con
danno, dalla corrente elettrica. Questo dipende dal fatto che l’uomo è
sostanzialmente costituito da una soluzione elettrolitica per cui la corrente
elettrica lo attraversa come attraversa i conduttori elettrolitici, secondo la legge
di Ohm (il rapporto tra la differenza di potenziale ΔV alle estremità del
conduttore e l’intensità I della corrente è costante; ΔV = R dove R è la
resistenza del conduttore, dipendente dal tipo e dalla geometria del conduttore,
e più in particolare da R = ρ l/S dove ρ è la resistenza specifica o resistività del
conduttore, l la lunghezza e S la sezione).
La resistenza elettrica dell’organismo non è costante, ma dipende dalla
costituzione dei tessuti oltre che da altri parametri e varia nei diversi tessuti
essendo in media di 1.000 Ω.
A tensioni superiori a 200 Volt la cute che, a meno che non sia umida, presenta
resistenza elevata, viene perforata e la resistenza diventa quella dei tessuti
interni. Una corrente di una certa intensità e di un certo voltaggio che penetra in
un corpo segue una via prefissata prima di uscire, che dipende dal punto di
ingresso e dalla resistenza minore offerta dai tessuti lungo il suo percorso. In
particolare, il cuore che, per l’elevato contenuto in elettroliti, offre una
resistenza ridotta, viene frequentemente attraversato dalla corrente con la
conseguenza probabile di arresto cardiaco. Se la corrente poi attraversa la
testa, andando verso il tronco, può bloccare anche i centri bulbari.
Le alterazioni da corrente elettrica, iniziano con alterazioni dei sistemi fisico-
chimici che costituiscono l’organismo, da cui derivano gli effetti che si
riscontrano sulle funzioni fisiologiche.
In linea di massima, una corrente continua che attraversa il corpo umano,
provoca delle variazioni della polarizzazione delle membrane cellulari e di
organi con conseguenti variazioni di permeabilità delle membrane stesse e
quindi delle funzioni fisiologiche a queste connesse. In particolare, si verificano
variazioni di distribuzione degli elettroliti nel citoplasma che portano, come
conseguenza, una variazione dello stato chimico-fisico delle proteine, iniziando
10
11. dalla loro solubilità (aumento di viscosità per attraversamento di corrente
continua) e dalla loro attività come enzimi. Cuore, muscoli e nervi vengono
eccitati da una corrente continua alla chiusura e all’apertura del circuito; in
particolare, il cuore può andare incontro a extrasistolia cui segue, all’aumentare
dell’intensità, fibrillazione prima atriale e poi ventricolare.
L’applicazione di una corrente continua, non per periodi brevi, provoca atrofia al
tessuto muscolare probabilmente conseguente a gravi squilibri elettrolitici e di
membrana.
L’azione della corrente alternata dipende, viceversa, dal fatto che a ogni
alternazione, cioè a ogni inversione della polarità tipico dell’andamento
sinusoidale di tale corrente, si ha inversione nella direzione e nel flusso degli
elettroliti nei diversi tessuti e quindi una inversione ciclica della polarizzazione
fisiologica delle membrane. L’effetto totale dipende dalla frequenza della
corrente: infatti, a parità di tensione e intensità, le basse frequenze sono
sicuramente più dannose delle alte frequenze e le altissime frequenze
possono non produrre effetti lesivi. È probabile che le alte e le altissime
frequenze non siano dannose semplicemente perché l’inversione di polarità, in
questi casi è talmente rapida da non portare variazioni apprezzabili, e quindi
dannose, di permeabilità e di flussi ionici nei sistemi elettrolitici separati da
membrane dell’organismo. L’effetto, viceversa, delle basse frequenze sembra
legato in special modo all’attività cardiaca la cui polarità fisiologica varia
ciclicamente con frequenza propria, per cui la corrente alternata a bassa
frequenza, alterandola, può provocare fibrillazione ventricolare. Nei muscoli
scheletrici la corrente alternata provoca contrazione tetanica contemporanea di
tutte le miofibrille interessate alla contrazione, anche di quelle dei muscoli
respiratori, causando così asfissia.
Un particolare effetto della corrente elettrica sull’organismo umano è quello che
va sotto il nome di folgorazione, come conseguenza di una scarica elettrica di
migliaia di Ampère che attraversa il corpo per un tempo inferiore a 1/1000 di
secondo per una differenza di potenziale di milioni di Volt.
La folgorazione nei casi lievi si limita a produrre una scossa elettrica più o
meno forte, ustioni circoscritte e superficiali, e magari anche svenimento; nei
casi più gravi provoca scottature più o meno estese e profonde (che possono
anche arrivare alla carbonizzazione dei tessuti colpiti), perdita istantanea più o
11
12. meno duratura della coscienza, della sensibilità e dei movimenti fino alla
paralisi, sospensione repentina ma momentanea dell’attività cardiaca e
respiratoria; nei casi gravissimi induce morte pressoché istantanea per sincope
cardio-respiratoria.
Più in particolare, quindi, l’entità dello shock elettrico dipende direttamente
dalla quantità di carica elettrica immessa nell’organismo nell’unità di tempo,
cioè dall’intensità di corrente elettrica in circolazione nel sistema biologico.
L’azione di questa, in generale, è caratterizzata da vari parametri, quali la sua
frequenza, la durata del contatto e il percorso effettuato.
Esiste un valore soglia dell’intensità di corrente, oltre la quale i suoi effetti
vengono percepiti, e un valore di rilascio, al di sotto del quale il contatto
elettrico accidentale può essere interrotto autonomamente da parte del
soggetto. Anche poco al di sopra di tale valore, a causa della tetanizzazione,
questi viene “congelato” al circuito e lo shock può essere molto pericoloso,
anche se il contatto è di breve durata. Come già illustrato, si può avere paralisi
della respirazione, a causa del permanere della contrazione muscolare, e/o
alterazioni più o meno persistenti dell’attività bioelettrica cerebrale, lesioni
neurologiche del midollo spinale con conseguente paralisi più o meno estesa,
lesioni di organi di senso (vertigini, sordità, abbagliamento o indebolimento
della vista) e infine ustioni esterne e interne, determinate dall’effetto Joule.
Utilizzando la legge di Ohm, è possibile ricavare la quantità di calore prodotto
e, assumendo la densità dei tessuti pari a quella dell’acqua, è possibile risalire
alla variazione di temperatura nell’intervallo di tempo che consente, a sua volta,
di rilevare come la gravità delle ustioni sia legata alla densità di corrente, più
che all’intensità di corrente. Risulta quindi assai più pericolosa una corrente che
viene introdotta nel corpo umano attraverso un contatto di piccole dimensioni,
che la stessa corrente immessa tramite un contatto avente una grande
superficie. La cute, possedendo un’elevata resistività specifica e un basso
calore specifico, è sicuramente il tessuto che viene maggiormente danneggiato.
Le ustioni interne sul percorso della corrente sono pressoché indolori, a causa
della distruzione delle terminazioni sensitive, e sono progressive a causa della
morte successiva dei tessuti nella zona circostante, non immediatamente
necrotizzati. Ciò provoca, tra l’altro, l’immissione in circolo, a distanza di alcuni
12
13. giorni, di sostanze tossiche e quindi un’insufficienza renale acuta, che può
portare anche a morte inattesa il folgorato, apparentemente in via di guarigione.
Come visto in precedenza, le correnti alternate sono più pericolose, in quanto
causano facilmente il fenomeno della tetanizzazione; tuttavia all’aumentare
della frequenza la pericolosità della corrente diminuisce: infatti se lo stimolo
alternato ha un periodo molto breve, non viene raggiunto il potenziale di soglia
nelle cellule eccitabili e i potenziali d’azione non si innescano. In particolare, a
circa 1 MHz non si ha più shock elettrico, ma esiste tuttavia un effetto, detto
effetto pelle, per il quale l’aumento di frequenza comporta l’interessamento di
strati sempre meno profondi di tessuto. Ciò causa un aumento della densità di
corrente nelle regioni periferiche del corpo, che può portare anche a gravi
ustioni cutanee.
Le ustioni elettriche si distinguono principalmente in:
a) ustioni comuni, causate dall'incendio delle vesti o dell'ambiente secondario
alla scarica elettrica;
b) ustioni da conduttore elettrico reso rovente dal corto circuito, che sono
lesioni a stampo senza caratteristiche proprie dell’elettricità;
c) ustioni da arco voltaico, colpiscono i segmenti corporei più esposti e
producono perdite di sostanza estese e profonde, carbonizzazione completa
dei tessuti, fusione dell'osso in perle di fosfato di calcio e talora mutilazione di
intere parti del corpo;
d) ustioni da corrente elettrica, caratterizzate da necrosi massiva da
coagulazione e disidratazione della cute, e non da carbonizzazione, con
formazione di un'escara di tessuti mummificati;
e) ustioni da fulmine, che possono andare dalla semplice bruciacchiatura dei
peli all'eritema a chiazze, alla necrosi termica, alla carbonizzazione e
all'incenerimento.
Per marchio elettrico si intende invece una lesione cutanea elementare
localizzata al punto di contatto tra la pelle e il conduttore, di cui spesso ne
riproduce la forma. Se ne distinguono di due tipi:
a) senza perdita di sostanza cutanea: costituito da un rilievo rotondo, lineare
o ellittico, leggermente depresso al centro, di colorito giallo pallido e di
consistenza dura. È determinato dallo scollamento degli strati epidermici
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14. profondi in seguito alla formazione di bolle gassose per evaporazione di liquidi
cellulari e interstiziali, con integrità del rivestimento corneo;
b) con perdita di sostanza cutanea: può andare da una semplice
disepitelizzazione a una erosione crateriforme, a stampo con margini
sottominati e con fondo giallastro bruno per incartapecorimento del derma, o
rosso bruno per piccole emorragie puntiformi.
Parametro elettrico Effetto
Intensità:
0 – 25 mA Contrazioni spastiche o tetaniche della
muscolatura (arresto del respiro per
spasmo dei muscoli respiratori o laringei)
25 – 75 mA Probabile arresto cardiaco in diastole
75 mA – 3 A Fibrillazione ventricolare
oltre 3 A Arresto cardiaco
Tensione (ΔV) bassa:
- con resistenza bassa Danni diversi che diventano più gravi
- con resistenza alta all’aumentare della resistenza
Tensione (ΔV) alta:
- con resistenza bassa Ustioni
- con resistenza alta Morte
Effetti della corrente continua:
fisici Disturbi nella polarizzazione normale delle
membrane
chimici Necrosi coagulativa da acidi
Necrosi coagulativa da alcali
fisiologici Fibrillazione ventricolare
Effetti della corrente alternata:
bassa frequenza Fibrillazione ventricolare
Contrazione tetanica dei muscoli respiratori
Non dannosa
alta frequenza
Non dannosa
altissima frequenza
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15. c) Tossicità di metalli pesanti e composti chimici
Alcuni metalli pesanti contenuti all’interno dei prodotti elettronici possono
essere considerati agenti potenzialmente patogeni poiché, combinandosi con i
gruppi sulfidrici –SH, sono in grado di inattivare gli enzimi implicati nelle più
importanti reazioni biochimiche dell’organismo umano.
Questi elementi vengono assorbiti lentamente perché attraversano le mucose
solo quando sono metabolizzati a complessi solubili, si depositano negli organi
con molti elementi del sistema reticolo istiocitario, e vengono eliminati per via
renale o intestinale.
I principali metalli pesanti di interesse patologico, la cui intossicazione può
avvenire mediante contatto fisico, inalazione di polveri o ingestione accidentale,
sono: Mercurio, Piombo, Argento, Arsenico, Bismuto e Tallio.
Agente Meccanismo d’azione Tipo di Sintomi
intossicazione
Mercurio Irritante locale Acuta Vomito
Blocco gruppi -SH Subacuta Tachicardia
Cronica Ipotensione
Shock
Anuria
Dissenteria
Ematemesi
Piombo Vasocostrizione Acuta Orletto gengivale
Paralisi Subacuta Colica addominale
Blocco gruppi -SH Cronica Vomito
Diarrea
Anemia normocronica
Paralisi del radiale
Argento Irritante locale Acuta Pigmentazione cutanea
Astringente Cronica Irritazione alimentare
Caustico Vomito
Diarrea
Arsenico Inibizione gruppi –SH Acuta Gastralgia
Citotossico Subacuta Vomito
Aumento permeabilità Cronica Diarrea
capillare
Bismuto Inattiva gruppi –SH Acuta Dermatite
Ipersensibilità Subacuta Poliuria
Cronica Vertigini
Lipotimia
Jarish Herxheimer
Tallio Accumulo tess. nervoso Acuta Alopecia
Inibizione gruppi -SH Subacuta Atassia
Cronica Movimenti coreiformi
Delirio con allucinazioni
Coma
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16. La presenza di questi metalli all’interno dei prodotti elettronici di uso più
comune è comunque praticamente nulla. A titolo esemplificativo, infatti, di
seguito viene riportata la composizione tipo di una lavatrice (peso medio pari a
67 Kg – fonte APAT), uno degli elettrodomestici più diffusi attualmente nel
nostro Paese con una penetrazione di un apparecchio per abitazione:
Materiale Percentuale (%) Quantità (Kg)
Acciaio 7 4,69
Acciaio zincato 28 18,76
Acciaio inox 10 6,7
Alluminio 3 2,01
Rame 1 0,67
Ghisa 11 7,37
Plastica 5 3,35
Gomma 3 2,01
Vetro 2 1,34
Legno e plastica 4 2,68
Calcestruzzo 22 14,74
Altro 4 2,68
La normativa 2002/95/CE, meglio conosciuta come Direttiva RoHS
(Restriction of Hazardous Substances Directive), adottata nel febbraio del
2003 dalla Comunità Europea impone restrizioni sull'uso di determinate
sostanze pericolose nella costruzione di vari tipi di apparecchiature elettriche
ed elettroniche costruiti o importati nell'Unione Europea e, più in particolare,
pone vincoli sull'utilizzo di Piombo, Mercurio, Cadmio, Cromo esavalente,
Bifenili polibromurati ed Etere di difenile polibromurato.
Il piombo è usato prevalentemente nella saldatura dei componenti sui circuiti
stampati (le leghe comunemente usate contengono 40% piombo e 60%
stagno). Il mercurio viene utilizzato in particolari termostati e lampade a
scarica di mercurio. Il cadmio si utilizza nelle batterie ricaricabili, come
protezione alla corrosione e usura di componenti metallici. Il cromo
esavalente, riconosciuto universalmente come agente cancerogeno, viene
usato in trattamenti di cromatura e nella passivazione della zincatura
elettrolitica, su componenti ferrosi e non ferrosi, per evitare la corrosione e
l’usura delle superfici. I bifenili polibromurati ed eteri di difenile polibromurati
sono aggiunti invece ai polimeri plastici per ottenere proprietà ignifughe.
Le concentrazioni massime previste sono dello 0,1% (tranne il cadmio che è
limitato allo 0,01%) del peso di materiale omogeneo. Ciò significa che i limiti
16
17. non si applicano al peso del prodotto finito, o persino a un componente, ma a
tutta la singola sostanza che compone l’apparecchio elettronico.
Tale normativa è strettamente collegata con la Direttiva comunitaria sulla
rottamazione di apparecchiature elettriche ed elettroniche 2002/96/CE che
regola l'accumulazione, il riciclaggio e il recupero per le apparecchiature
elettriche ed elettroniche obsolete.
Il nostro Paese, recependo le Direttive 2002/95/CE, 2002/96/CE, 2003/108/CE
relative alla riduzione dell'uso di sostanze pericolose nelle apparecchiature
elettriche ed elettroniche, nonché allo smaltimento di rifiuti, ha emanato il
Decreto legislativo n. 151 del 25 luglio 2005 (G.U. 175 del 29/05/05
Supp.Ord. 135) che riguarda i grandi elettrodomestici, i piccoli elettrodomestici,
gli apparecchi informatici e di telecomunicazione, le apparecchiature di
consumo, gli apparati per illuminazione (comprese le lampadine), gli attrezzi
elettronici ed elettrici, i giocattoli, le attrezzature per lo svago e lo sport e i
distributori automatici.
L’inalazione acuta di cadmio può provocare dolore di tipo pleuritico, dispnea,
cianosi, febbre, tachicardia, nausea ed edema polmonare. L’ingestione può
provocare invece grave nausea, vomito, salivazione, crampi addominali e
diarrea. L’esposizione cronica causa anosmia, anemia ipocromica microcitica,
tubulopatia renale con proteinuria e osteomalacia con pseudo fratture.
Il ferro elementare danneggia i mitocondri, provoca perossidazione dei lipidi
causando necrosi renale, tubulare ed epatica e, occasionalmente, danno
miocardico e polmonare. L’ingestione di 20 mg/kg provoca sintomatologia
gastrointestinale, mentre 60 mg/kg causano febbre, iperglicemia, leucocitosi,
letargia, ipotensione, acidosi metabolica, convulsioni, coma, collasso
circolatorio, ittero, elevazione degli enzimi epatici, allungamento del tempo di
protrombina e iperammoniemia.
L’inalazione dei vapori di mercurio provoca infiltrati diffusi o polmonite,
insufficienza respiratoria, edema polmonare, fibrosi e desquamazione
dell’epitelio bronchiale. Le manifestazioni neurologiche includono tremori,
labilità emotiva e polineuropatia. L’esposizione cronica a mercurio produce
tremore intenzionale ed eretismo (eccitabilità, perdita di memoria, insonnia,
timidezza, talvolta delirio). L’ingestione acuta di alte dosi di mercurio metallico
può provocare ematemesi, dolori addominali, insufficienza renale acuta e
17
18. collasso cardiocircolatorio. I composti organici a base di mercurio possono
provocare neurotossicità caratterizzata da parestesie, turbe della visione,
dell’udito, del gusto e dell’olfatto, instabilità alla deambulazione, astenia, perdita
di memoria e depressione. In gravidanza l’esposizione determina ritardo
mentale e alterazioni neurologiche multiple nel neonato.
L’esposizione al piombo in età infantile include dolore addominale seguito da
letargia, anoressia, anemia, atassia e linguaggio sconnesso. Le manifestazioni
più gravi sono caratterizzate da convulsioni, coma, edema cerebrale
generalizzato e insufficienza renale. L’alterazione dello stato cognitivo è dose-
dipendente. Negli adulti i sintomi da esposizione cronica comprendono dolore
addominale, cefalea, irritabilità, dolore articolare, astenia, anemia, neuropatia
motoria e deficit mnesici. L’esposizione cronica a bassi livelli può provocare
nefrite interstiziale, danno tubulare, iperuricemia e ridotta filtrazione
glomerulare. L’incremento di livelli di piombo nell’osso comporta il rischio di
anemia e ipertensione.
d) Allergeni:
Per allergeni si intendono tutte quelle sostanze di struttura chimica e biologica
varia, generalmente innocue, che agendo da antigeni (cioè provocando la
formazione di anticorpi) sono in grado di provocare la comparsa dello stato
allergico; una patologia assai diffusa nel nostro Paese, che presenta una
prevalenza di circa il 10-15% tra la popolazione italiana.
Nella pratica medica per allergia si intende “qualsiasi stato biologico di alterata
sensibilità e reattività organica verso determinate sostanze; o, più in particolare,
uno stato biologico sostenuto da una reazione antigene-anticorpo specifica che
si manifesta solo alla seconda introduzione della sostanza”.
Nella moderna immunologia clinica tali reazioni, definite anafilattiche e
atopiche, vengono classificate come Ipersensibilità di I tipo e sono
caratterizzate dalla risposta dell’organismo, previamente sensibilizzato da un
precedente contatto con un peculiare immunogeno, quando viene raggiunto
una seconda volta dallo stesso.
La peculiarità del fenomeno anafilattico risiede infatti nella discrepanza con
quanto di solito avviene in seguito alla seconda inoculazione di un antigene
che, generalmente, è responsabile della comparsa della cosiddetta risposta
secondaria. Questa, a differenza della risposta primaria, che si manifesta al
18
19. primo contatto con l’antigene il quale dà luogo, dopo alcuni giorni di latenza,
alla comparsa in circolo di anticorpi specifici dapprima della classe IgM e poi
della classe IgG, è caratterizzata da un rapidissimo incremento in circolo degli
anticorpi che, questa volta, sono tutti della classe IgG e permangono nel
sangue per un tempo maggiore.
L’anafilassi è, quindi, indotta a mezzo di due successive inoculazioni
dell’antigene, intervallate da un opportuno lasso di tempo, la prima con effetto
sensibilizzante, la seconda con effetto scatenante.
La sintomatologia che interviene immediatamente dopo il contatto scatenante è
riportabile sempre a due fenomeni essenziali: aumento della permeabilità
capillare e contrazione della muscolatura liscia.
Nell’uomo l’anafilassi si manifesta con pallore, perdita di coscienza, respiro
superficiale e frequente, insensibilità agli stimoli esterni, polso impercettibile e
notevole ipotensione; la morte può sopraggiungere in pochi minuti. Le forme
attenuate sono invece caratterizzate da nausea, vomito, orticaria gigante e
dispnea asmatiforme.
Le più comuni manifestazioni di questa patologia, alla quale è ancora oggi
associato il termine di allergia o atopia, consistono essenzialmente in reazioni
anafilattoidi, asma bronchiale, riniti e congiuntiviti, orticaria localizzata e
generalizzata alle quali si associano anche fenomeni di gastroenterite acuta.
Tra le più importanti fonti di possibili allergie, vi sono le polveri fini, particelle
pressoché invisibili a occhio nudo che possono rimanere sospese nell’aria per
un lungo periodo di tempo. La formazione delle polveri dipende sia da eventi
naturali sia da attività umane quali il riscaldamento civile e domestico, le attività
industriali, le attività agricole e, soprattutto, il traffico veicolare. La loro
pericolosità dipende dalla dimensione delle particelle di cui sono composte:
quanto più piccole sono, tanto più profondamente penetrano nell’apparato
respiratorio.
Di notevole interesse medico-scientifico e grande oggetto di dibattito sociale, è
il cosiddetto PM10, sigla che identifica materiale costituito da polvere, fumo e
piccolissime gocce di sostanze liquide, presente nell'atmosfera sotto forma di
particelle microscopiche, il cui diametro è uguale o inferiore ai 10 µm.
Le principali fonti di PM10 sono l'erosione del suolo, gli incendi boschivi, le
eruzioni vulcaniche, la dispersione di pollini, il sale marino, i processi di
19
20. combustione (tra cui quelli che avvengono nei motori a scoppio, negli impianti
di riscaldamento, in attività industriali, negli inceneritori e nelle centrali
termoelettriche), l’usura di pneumatici, di freni e di asfalto, e dalla
trasformazione in particelle liquide di alcuni gas (composti dell'azoto e dello
zolfo) emessi da varie attività umane.
La nocività delle polveri sottili dipende dalle loro dimensioni, dalla loro natura
chimica e, soprattutto, dalla loro capacità di raggiungere le diverse sezioni
dell'apparato respiratorio. In genere, le patologie legate all'inquinamento da
polveri sottili sono riconosciute essere l'asma, le affezioni cardio-polmonari e la
diminuzione delle funzionalità polmonari. Sulla base di uno studio condotto nel
2000 in otto città del mondo, l'Organizzazione Mondiale della Sanità ha stimato
che le polveri sottili sono responsabili dello 0,5% del totale dei decessi registrati
nell’arco di un anno solare.
I valori limite sono definiti in Italia dal D.L. 60 del 2 aprile 2002; tale Decreto
fissa due limiti accettabili di PM10 nell’atmosfera: il primo è un valore limite di 50
µg/m³ come valore medio misurato in 24 ore da non superare più di 35 volte
all’anno, mentre il secondo come valore limite di 40 µg/m³ come media
annuale.
Particolare tipi di allergeni, molto diffusi nelle case e responsabili della maggior
parte delle reazioni allergiche, sono il Dermatophagoides pteronyssinus e il
Dermatophagoides farinae, più comunemente noti come Acari della polvere.
Più in particolare, si tratta di microrganismi invisibili a occhio nudo, di lunghezza
compresa tra 200 e 400 µm, che si cibano di piccoli frammenti di pelle umana,
della forfora, di funghi e muffe, di alcuni tipi di batteri e di frammenti di insetti. Il
loro ambiente ideale è rappresentato dai luoghi caldi e umidi e la loro presenza
si concentra particolarmente all’interno delle imbottiture di cuscini, materassi,
coperte e peluche, oltre che all’interno di tende, tappeti, e nelle librerie a giorno
dove i libri sono lasciati esposti all'aria. Sono presenti principalmente ad
altitudini inferiori ai 1.500 metri s.l.m. e sopravvivono solo in condizioni di
umidità comprese tra il 55% e il 75% e si sviluppano maggiormente in abitazioni
con livelli di umidità superiori ai 7 g/m3 e con temperature superiori ai 23° C.
Una temperatura tra i 16°C e i 23°C riduce invece il ciclo vitale degli acari da
123 a 34 giorni; le femmine depongono 2,5 uova al giorno a 23°C e invece 3,3
uova al giorno a 35°C. Uno scarso ricambio d'aria determina un incremento
20
21. della concentrazione degli acari in casa. Essi sono trasportati da particelle più
grandi di 10 micron e quindi non possono essere allontanati in condizioni di
quiete.
I loro allergeni (in particolare alcune proteine presenti sul loro corpo e nelle loro
feci) si liberano nell’aria e vengono facilmente inalati: di conseguenza vengono
in contatto con organi o apparati sensibilizzati provocando la tipica
sintomatologia allergica, soprattutto irritazioni alla pelle, alle vie respiratorie e
agli occhi. Essi sono normalmente innocui per la maggioranza delle persone,
ma nei soggetti già sensibilizzati possono provocare rinite, tosse, asma o
eczema. Il periodo di massima concentrazione ambientale è costituito dalle
stagioni autunnale e invernale. In un grammo di polvere possono essere
presenti da 10 a 1.000 esemplari di Dermatofagoidi.
Un altro tipo di allergeni potenzialmente patogeni per l’organismo umano sono
le muffe, microorganismi di origine vegetale in grado di produrre spore che si
disseminano nell’aria durante il periodo di sporulazione (soprattutto nelle
stagioni estiva e autunnale), provocando la sintomatologia allergica.
Le muffe possono crescere sia all’interno sia all’esterno delle abitazioni.
All’interno si rinvengono principalmente su alimenti non adeguatamente
conservati, su indumenti di lana, su pareti e pavimenti umidi, su carta da parati,
sul terriccio e sulle foglie delle piante, nei sistemi di condizionamento dell’aria e
negli umidificatori. All’esterno delle abitazioni si ritrovano principalmente sul
suolo e su materiale organico in decomposizione. Le condizioni ottimali per il
loro sviluppo sono costituite da una temperatura compresa tra i 18° e i 32°C e
da un’umidità superiore al 65%. Nel nostro Paese la muffa più allergizzante è
l’Alternaria seguita dal Cladosporium.
Oltre ai pollini (tradizionalmente molto diffusi durante la stagione primaverile)
allergeni abbastanza comuni sono infine le forfore di animali domestici,
soprattutto di cani e gatti; si tratta di particelle molto piccole che derivano dalla
saliva degli animali e che si depositano sul loro pelo. Le particelle rimangono
facilmente sospese in aria, aderiscono facilmente a tutte le superfici (indumenti
compresi) e quindi sono difficili da rimuovere e possono essere anche
trasportate involontariamente in ambienti dove non sono presenti animali.
21
22. e) Suoni e rumori:
Il suono è un fenomeno fisico che stimola il senso dell’udito: esso è provocato
dal rapido movimento o vibrazione di un qualsiasi corpo. Il suono si trasmette
attraverso le onde sonore che si propagano sia nell’aria sia in altri elementi, e
più in particolare, alla velocità di 340 m/sec nell’aria, di 1.435 m/sec nell’acqua
e di 5.127 m/sec nel ferro.
La frequenza viene espressa in Hertz, ed è data dal numero delle oscillazioni
delle onde sonore per unità di tempo e caratterizza l’altezza del suono. La
lunghezza d’onda λ è legata alla frequenza dalla relazione λ = 340 m/sec /
frequenza. Con il termine di pressione acustica, si intende, invece, la
variazione di pressione di un mezzo elastico rispetto al volume statico P0 (cioè
la pressione barometrica in assenza di suoni) causata dalla propagazione di
un’onda sonora nel mezzo stesso. Viene misurata in dine/cm2.
L’energia del suono è data dalla potenza P per unità di superficie e viene
misurata in Watt/cm2.
L’intensità del suono si misura in decibel, (1/10 di un Bell) con i quali si
misura la pressione acustica provocata dal suono nel mezzo di propagazione.
La pressione acustica necessaria perché un suono sia udibile dall’orecchio
umano varia a seconda della frequenza o altezza dei suoni. La quantità di
decibel è data dalla relazione:
dB = log10 intensità del suono in esame / intensità del suono di riferimento
È possibile distinguere tra loro il concetto di suono da quello di rumore: il
suono è in generale una sensazione che nasce nell'uomo quando una
perturbazione meccanica si propaga in un mezzo elastico facendolo vibrare
mentre il rumore è comunemente identificato come una sensazione uditiva
sgradevole e fastidiosa o intollerabile. L’acustica stabilisce comunque una
differenza oggettiva tra suono e rumore, basata sull’analisi delle vibrazioni: se
22
23. le vibrazioni sono regolari si è in presenza di un suono; se sono invece
irregolari si è in presenza di un rumore. Ciascun individuo ha comunque una
sua personale sensibilità ai suoni, e definisce rumore ciò che percepisce come
non musicale, fastidioso e sgradevole.
L’orecchio umano è in grado di avvertire soltanto suoni compresi tra i 20 e i
20.000 Hz (banda acustica); il massimo della sensibilità uditiva si ha per i
suoni di una frequenza di circa 3.000 Hz. Con l’età tende a diminuire il limite
superiore dei suoni percepibili dall’orecchio umano, nel senso che il giovane
avverte suoni fino a 18-20.000 vibrazioni al secondo, l’uomo maturo suoni fino
a 14-16.000, e il vecchio suoni fino a 8-10.000 vibrazioni al secondo. I suoni di
frequenza inferiore ai 16 Hertz vengono chiamati infrasuoni; quelli superiori ai
20.000 Hertz vengono chiamati ultrasuoni. Un suono di 1.000 Hertz è udibile a
“zero decibel”, mentre scendendo a 30 hertz occorre un’intensità di almeno 60
decibel perché il suono sia udibile. Perché l’orecchio umano possa avvertire
una differenza d’intensità tra due suoni, occorre che questa differenza sia
almeno del 10%.
Più in particolare, la sensibilità dell’orecchio umano non è costante per tutte le
frequenze: ad esempio, se un suono a 1.000 Hz di intensità 20 dB produce una
certa sensazione, per ottenere quella stessa sensazione a 63 Hz sono
necessari circa 45 dB.
Per esprimere l’intensità sonora non secondo i parametri fisici ma secondo
quelli dalla sensibilità umana viene utilizzato il phon. Alla frequenza di 1.000 Hz
il valore del phon coincide con quello del decibel.
Esistono molte fonti potenziali capaci di produrre suoni a decibel elevati. Anche
se tali suoni in piccole dosi non sono dannosi, è bene infatti evitare una lunga
esposizione a suoni di oltre 90 decibel. Anche se breve, un suono intenso può
produrre danni fisici. Per esempio, il suono prodotto da un martello pneumatico
può provocare, al pari di una serata trascorsa all’interno di una moderna
discoteca, danni permanenti all’udito. La soglia del dolore si aggira attorno ai
125 dB (pari a una pressione sonora di circa 2 X 102 microbar).
Dal punto di vista scientifico, invece, sono due gli elementi che concorrono a
rendere un rumore pericoloso per la salute: l’intensità, misurata in decibel, e la
durata.
23
24. A seconda dell’intensità di un rumore gli effetti sull’organismo possono variare
notevolmente, superati certi limiti vi possono essere dei seri danni all’udito.
Di seguito si riportano i valori dei principali rumori con le relative eventuali
ripercussioni sull’organismo:
- Fino ai 40 dB: l’organismo non ne risente;
- Dai 40 ai 60 dB: si riscontrano i primi segni di fastidio e si alterano alcuni
parametri dell’organismo;
- Dai 60 agli 80 dB: aumenta notevolmente la sensazione di stress e
malessere, con segni fisici come tachicardia e colite;
- Dagli 80 ai 120 dB: potrebbero comparire segni di nausea, capogiri ed
emicrania;
- Oltre i 120 dB: danni all’udito e dolore.
In linea generale, il rumore agisce sull’orecchio umano causando, secondo la
natura e l’intensità della stimolazione sonora, un innalzamento della sua soglia
uditiva e, più in particolare:
24
25. - uno stato di sordità temporanea con recupero della sensibilità dopo riposo
notturno in ambiente silenzioso (Spostamento Temporaneo della Soglia
Uditiva STS, che può essere di durata breve, media o prolungata, a seconda
che duri da 1-2 minuti a 16 ore e oltre, fino ad assumere l’aspetto di Fatica
uditiva fisiologica prima e Fatica uditiva patologica poi);
- uno stato di fatica con persistenza della riduzione della sensibilità e disturbi
nell’udibilità della voce di conversazione per circa 10 giorni;
- uno stato di sordità da trauma acustico cronico con riduzione dell'intelligibilità
del 50%.
Molto schematicamente, i principali effetti del rumore sull’apparato uditivo ed
extrauditivo, possono essere riassunti:
Apparato uditivo Effetti extrauditivi
Spostamento Temporaneo della Soglia Reazione di allarme
Uditiva
a) STS1 = Breve (1-2 minuti)
↓
Reazione neurovegetativa
b) STS2 = Media (<16 ore)
c) STS3 = Prolungata (>16 ore) ↓
↓ (permanenza rumore) Lesioni: Cardiovascolari
Gastroenteriche
Neuroendocrine
Spostamento Permanente della Soglia
Sistema Nervoso Centrale
Uditiva = Danno irreversibile
Uso scorretto delle corde vocali
Il timpano è messo in pericolo per lo più da forti impulsi rumorosi, specialmente
se improvvisi, come ad esempio le esplosioni o gli spari. In tutti gli altri casi i
danni all'udito subentrano nell'orecchio interno. Un'esposizione eccessiva al
rumore (carico fonico) causa dapprima una diminuzione della sensibilità delle
cellule uditive: si ha allora la sensazione di avere dell'ovatta nelle orecchie.
L'udito è comunque in grado di riprendersi nelle fasi di riposo. La situazione
diventa invece critica allorché i carichi fonici si ripetono, nel qual caso le fasi di
riposo non bastano più e le cellule sono destinate, col tempo, a morire.
Il rischio di un deficit acustico da rumore non dipende per cui dal fatto che il
suono percepito sia gradevole o sgradevole alle orecchie dell’ascoltatore: il
fattore determinante non è tanto il livello massimo che agisce occasionalmente
sull'udito, bensì il livello sonoro medio costituito dal livello sonoro e dalla durata
d'esposizione.
25
26. Benché l’orecchio sia in grado di proteggersi autonomamente dai suoni costanti
a forte pressione (analogamente a quanto fa anche l’occhio, quando è esposto
a fonti luminose fisse molto intense), è stato scientificamente dimostrato che,
superati precisi limiti di tempo, questa capacità risulta insufficiente e l’eccesso
di pressione sonora può cominciare così a raggiungere la coclea, distruggendo
irreversibilmente le cellule acustiche.
In base a quanto indicato dal Nova Scotia Department of Labour, i tempi limite
di esposizione a pressioni sonore costanti dovrebbero essere:
Pressione sonora costante Tempo limite di esposizione
(indicata in decibel)
80 dB (conversazione media a 1 metro) 16 ore
85 dB (ascolto musicale casalingo medio) 8 ore
90 dB (pub affollato) 4 ore
95 dB (pub affollato con diffusione 2 ore
musicale)
100 dB (bar di una discoteca media) 1 ora
105 dB (concerto rock a 10 metri) 30 minuti
110 dB (martello pneumatico a 1 metro) 15 minuti
115 dB (pista di una discoteca media) 7,5 minuti
120 dB (decollo jet a 1 metro: morte) 0 minuti
Superati tali limiti di tempo, l’apparato uditivo comincia a subire danni
permanenti e cumulativi. Un tipico segnale di pericolo è dato dagli acufeni o dal
titinnio (tinnitus aurium), fastidiosi ronzii che permangono anche per ore nelle
orecchie dopo aver sostato a lungo in ambienti molto rumorosi. Questi
fenomeni sono dovuti alla perdita funzionale definitiva di una parte delle cellule
cocleari, sopraffatte dall’eccesso di pressione sonora subita.
L’accumularsi di questi danni porterà non solo a una progressiva perdita
dell’udito, ma si rifletterà anche su altre importantissime funzioni vitali, sia
fisiologiche (inducendo variazioni del ritmo cardiaco, della vista, della
coordinazione e del tempo di reazione) che psicologiche (aumentando, ad
esempio, l’aggressività). Un danno da rumore compromette inoltre anche la
capacità selettiva dell’udito, dando l’impressione al soggetto di vivere
costantemente circondato da un “miscuglio di suoni”.
Non solo. L’affievolirsi della percezione uditiva soggettiva porterà
inconsapevolmente il soggetto ad ascoltare la musica a un volume oggettivo
sempre più alto, velocizzando sempre più il progredire della sordità traumatica.
26
27. Da un punto di vista strettamente fisico, come prima conseguenza, un ambiente
troppo rumoroso stimola la contrazione dei muscoli, aumenta la dilatazione
delle pupille e aumenta i livelli di ormoni dello stress, come cortisolo,
adrenalina e noradrenalina. Oltre i disturbi fisici, sono molto frequenti anche
quelli di tipo psicologico, che si manifestano con aggressività, stress, ansia e
diminuzione della capacità di concentrazione e memorizzazione.
Anche i rumori che circondano gli individui durante il sonno, anche se non li
svegliano, se sono troppo forti possono essere dannosi per la salute. Dormire
nelle immediate vicinanze di una fonte di disturbo può infatti aumentare la
pressione arteriosa e di conseguenza favorire il rischio di disturbi cardiaci. Ad
affermarlo è uno studio condotto da un gruppo di ricercatori dell’Imperial
College di Londra, pubblicato nel febbraio scorso sulla rivista scientifica
European Heart Journal, contenuto all’interno di un progetto finanziato
dall’Unione Europea identificato dalla sigla HYENA (Hypertension and
Exposure to Noise near Airports).
I dati relativi alla ricerca londinese sono il frutto di uno studio, coordinato da
Lars Jarup, che ha coinvolto 140 volontari che abitano nelle vicinanze
dell’aeroporto di Heathrow. Nel complesso, il progetto HYENA ha esaminato i
dati relativi a quasi 6.000 persone le cui case sono situate vicino ai più grandi
aeroporti europei; per il nostro Paese è stato scelto quello di Milano Malpensa.
Sui volontari, e nelle loro abitazioni, sono stati applicati degli strumenti utili a
misurare, durante le ore notturne, la loro pressione arteriosa ogni 15 minuti e
contemporaneamente i livelli di rumore. In base ai dati raccolti si è riscontrato
che all’aumentare dei decibel aumentava in proporzione la pressione. I rumori
sotto ai 35 decibel sembrerebbero non interferire in maniera significativa con la
salute, superato questo limite però le cose iniziano a cambiare. Sebbene i
volontari rimanevano addormentati e non erano consci del disturbo, i rumori
generati dal passaggio di un aereo causavano un aumento della pressione
arteriosa sistolica di 6,2 mmHg e della pressione arteriosa diastolica di 7,4
mmHg. All’aumentare del rumore era associato un aumento della pressione
arteriosa, per ogni 5 decibel di aumento del rumore la pressione arteriosa
sistolica aumentava in media di 0,66 mmHg.
In linea generale, difatti, la mancanza di riposo dovuta a disturbo del sonno
notturno può causare uno stato di stress che si ripercuote direttamente sulla
27
28. salute, soprattutto perché il cervello interpreta il rumore come un segnale di
pericolo e mette in moto, anche di notte, una serie di reazioni neurovegetative
simili a quelle causate dallo stress, come battito cardiaco accelerato,
respirazione più veloce e aumento della pressione arteriosa.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità durante la notte il rumore non
dovrebbe superare i 50 decibel per evitare problemi di tipo cardiovascolare. Per
evitare i disturbi del sonno come ad esempio l’insonnia, i rumori devono essere
sotto i 42 decibel e per non sentirsi irritati o tesi sotto i 35 decibel. L’esposizione
eccessiva o cronica al rumore può portare alla sordità.
Il D.Lgs. 195/2006 ha fissato i seguenti nuovi limiti per il rumore negli ambienti
di lavoro:
- Valore limite di esposizione (giornata lavorativa di 8 ore): 87dBA;
- Valore superiore di azione (giornata lavorativa di 8 ore): 85 dBA;
- Valore inferiore di azione (giornata lavorativa di 8 ore): 80 dBA;
- Livello di esposizione settimanale al rumore (5 giorni lavorativi, 8 ore al giorno,
nel caso di esposizione giornaliera variabile): 87 dBA.
f) Illuminazione:
L’illuminazione dei locali deve essere tale da non recare danno all’organismo e,
nello stesso tempo, permettere una piena e regolare funzione dell’occhio in
rapporto alle varie attività svolte.
Il flusso luminoso è la quantità di energia luminosa emessa nell’unità di tempo
da una data sorgente e viene valutata secondo la sensazione luminosa che
produce. L’unità di misura è il Lumen (Lm), che equivale alla quantità di energia
intercettata, in un secondo, da un metro quadro di parete di una sfera del raggio
di un metro e al cui centro si trovi una lampada che ha l’intensità di una Candela
internazionale (CI). Una CI emette, in totale, un flusso luminoso pari a 12,56
Lm; e, viceversa, un Lm corrisponde al flusso emesso da 0,0008 CI.
Si chiama invece Lux (lx), o anche Candela metro, l’effetto illuminante prodotto
da un Lm ripartito in maniera uniforme, su una superficie di un metro quadro,
posta normalmente alla sorgente luminosa e alla distanza di un metro da essa.
Si chiama splendore di una sorgente luminosa, inoltre, il rapporto fra il flusso
luminoso e la superficie della sorgente stessa. L’unità dello splendore è il
28
29. Lambert, che corrisponde allo splendore di una sorgente che emette un flusso
pari a un Lm per ogni centimetro quadro di superficie luminosa.
Se l’ambiente di lavoro o di svago si trova in condizioni ottimali di illuminazione,
la funzione visiva si esplica senza conseguenze dannose. Un’illuminazione
impropria, sia in difetto sia in eccesso, produce, invece, rapido affaticamento e
qualora agisca a lungo può provocare anche alterazioni dell’occhio più o meno
rilevanti. I valori di illuminazione raccomandati per alcune attività, sono:
da lux a lux In nessun punto
dell’ambiente meno
di lux
Per leggere e scrivere 50 60 30
Per lavori grossolani 15 25 10
Per lavori di media precisione 40 60 20
Per lavori fini 60 90 30
Per lavori molto fini 90 250 50
I valori di illuminazione ritenuti sufficienti in alcuni locali delle abitazioni sono
invece indicati come:
- Vestiboli e corridoi = da 10 a 20 lux;
- Cucina, stanza da bagno e camere da letto = da 20 a 40 lux;
- Salotti, stanze da pranzo e da soggiorno = da 30 a 50 lux.
Di fronte a deviazioni di qualche entità rispetto ai valori suddetti, l’occhio
reagisce, inizialmente mettendo in opera i vari meccanismi di difesa. Se però
l’azione di una luce impropria si prolunga, si giunge all’affaticamento e,
persistendo la causa, possono manifestarsi alterazioni più o meno cospicue e
irreversibili.
Queste difese, che in gran parte dipendono da movimenti riflessi, sono, fino a un
certo punto, in grado di dosare la quantità di luce che l’occhio e specialmente la
retina possono ricevere. Esse consistono nell’ammiccamento e nel
restringimento della rima palpebrale, nell’aumento della secrezione lacrimale,
nella miosi pupillare e, infine, in riflessi che si svolgono nell’ambito della retina.
Vi sono poi altri meccanismi di difesa rappresentati dall’assorbimento delle
radiazioni luminose a opera delle varie parti dell’occhio con il preciso scopo di
29
30. proteggere gli elementi più preziosi per la funzione visiva, da azioni troppo
violente, o comunque, lesive.
Continuando lo sforzo, i riflessi di difesa giungono al massimo della loro
capacità, finché, se viene superato il limite di tolleranza allo stimolo, cominciano
a ridursi fino a risultare, poi, completamente aboliti.
Accanto alle alterazioni dei meccanismi di difesa, si manifestano anche altri
fenomeni, quali: secchezza della cornea e sensazioni moleste, in dipendenza
della cessata secrezione lacrimale; aumento della secrezione delle ghiandole di
Meibomio e delle ghiandole di Zeiss; iperpigmentazione delle palpebre;
insufficienza dei muscoli estrinseci dell’occhio; fotofobia con spasmo palpebrale;
emeralopia; irregolarità nelle varie funzioni retiniche; aumento del tempo
nell’adattamento dell’occhio alle varie gradazioni della luce.
Un’illuminazione insufficiente costringe ad avvicinare l’occhio all’oggetto
osservato, a una distanza inferiore a quella normale che è di circa 30 cm; ciò
provoca tutta una serie di disturbi della convergenza e dell’accomodamento con
fenomeni soggettivi quali dolore oculare e pesantezza di testa. Quando poi la
permanenza in ambienti scarsamente illuminati diviene abituale può manifestarsi
la miopia.
Una sorgente luminosa di notevole splendore può causare invece il fenomeno
dell’abbagliamento (parziale o totale) i cui sintomi principali consistono nel
temporaneo indebolimento visivo, iperemia retinica, scotomi, midriasi,
lacrimazione, blefarospasmo e dolori periorbitali.
La mancanza di fissità può infine provocare facilmente fatica oculare.
g) Sick Building Syndrome:
Come è noto l’ambiente domestico, di studio o di lavoro è in grado di influenzare
notevolmente lo stato di salute delle persone che lo frequentano, riducendo o
aggravando l’effetto di fattori di rischio di malattia eventualmente presenti al loro
interno.
Una situazione clinica accertata da tempo che può compromettere il corretto
equilibrio tra l’individuo e l’ambiente, esponendolo a un rischio maggiore di
contrarre malattie, è la cosiddetta “Sindrome dell’edificio malato” o Sick
Building Syndrome, che in realtà non è una vera e propria malattia imputabile
a una causa ben precisa, ma piuttosto una serie di disturbi che affliggono le
30
31. persone che passano molte ore all’interno di un ambiente chiuso. Più
precisamente, le persone affette da questa forma di patologia lamentano
sensazioni di disagio acuto, come cefalea, irritazione agli occhi, al naso e alla
gola, tosse secca, pelle disidratata, vertigini o nausea, difficoltà di
concentrazione, affaticamento e particolare sensibilità agli odori. I sintomi, che
svaniscono o si attenuano fortemente allontanandosi dall’edificio, sarebbero in
realtà dovuti alla presenza eccessiva di inquinanti nell’aria (inquinamento
indoor). Sotto vengono riportate, in modo schematico, le principali sostanze
inquinanti rilevabili all’interno degli edifici non industriali e dei mezzi di trasporto:
Ambiente Fonte Inquinante
Casa Fumo di tabacco Particelle respirabili (PM10)
Monossido di carbonio (CO)
Composti organici volatili
Fornelli a gas Ossido nitroso (NO2)
Monossido di carbonio (CO)
Forni a legna e camini Particelle respirabili (PM10)
Monossido di carbonio (CO)
Idrocarburi policlici aromatici
Materiali da costruzione Radon
Formaldeide
Suolo sottostante Radon
Mobili e prodotti per la Composti organici volatili
casa Formaldeide
Riscaldamento a gas Ossido nitroso (NO2)
Monossido di carbonio (CO)
Riscaldamento a kerosene Ossido nitroso (NO2)
Monossido di carbonio (CO)
Anidride solforosa (SO2)
Isolanti Asbesto (o amianto)
Uffici Fumo di tabacco Particelle respirabili (PM10)
Monossido di carbonio (CO)
Composti organici volatili
Materiali da costruzione Composti organici volatili
Formaldeide
Arredamento Composti organici volatili
Formaldeide
Fotocopiatrici e stampanti Composti organici volatili
31
32. Ozono
Condizionatori Agenti biologici
Mezzi di trasporto Aria ambiente Ozono
Monossido di carbonio (CO)
Idrocarburi policlici aromatici
Condizionatori Agenti biologici
La tossicità di queste sostanze non è in genere elevata, ma se accumulate
nell’aria in concentrazioni sufficienti possono causare irritazioni cutanee, oculari,
malesseri, soprattutto se le persone soggiornano in luoghi inquinanti per molte
ore.
Moquette, tappezzerie e impianti di condizionamento possono alloggiare colonie
batteriche, acari e spore fungine le cui tossine possono essere respirate,
causando irritazioni o allergie delle prime vie aeree.
La sintomatologia della Sick Building Syndrome è molto varia: dipende dai
singoli soggetti, dalle condizioni dell’edificio o anche dalle condizioni ambientali
di un singolo ufficio o reparto; investe però almeno il 20% delle persone che vi
soggiornano e permane cronicamente se l’atmosfera interna non viene corretta.
I disturbi più frequenti sono: cefalea, sonnolenza, difficoltà di concentrazione,
nausea, capogiri, infezioni e allergie delle vie respiratorie, senso di costrizione
toracica, difficoltà respiratorie, problemi al naso e alla gola, senso di ostruzione
nasale, prurito, senso di irritazione, gola secca, oppressione, stanchezza,
malessere, febbre, irritazione della pelle, eritema, dermatite allergica e dolore
agli occhi.
h) Tumori
Per tumore si intende una neoformazione di tessuto costituito da cellule atipiche
modificate rispetto alle normali. La malattia tumorale presenta almeno quattro
caratteristiche che la definiscono: clonalità (nella maggior parte dei casi, il
tumore prende origine da una singola cellula mutata, che prolifera fino a formare
un clone di cellule neoplastiche); anaplasia (mancanza della normale
differenziazione cellulare); autonomia (la crescita è completamente svincolata
dai meccanismi di regolazione che operano nell’organismo normale); diffusione
di metastasi (le cellule neoplastiche sviluppano la capacità di proliferare in
modo selvaggio, invadendo i tessuti circostanti e diffondendosi a distanza). I
32
33. tumori vengono distinti in benigni o maligni a seconda delle caratteristiche
biologiche e morfologiche che ne determinano la maggiore o minore
aggressività. È benigno ogni tumore che non mette in pericolo la vita; che si
accresce lentamente per espansione (e non per invasione dei tessuti
circostanti); che è delimitato da una capsula fibrosa; che non dà metastasi e
resta nella sede di origine; che può essere asportato chirurgicamente, con
guarigione completa del paziente. Viceversa le caratteristiche fondamentali dei
tumori maligni sono la rapida proliferazione di cellule, con grado di maturità
variabile; la mancanza di una capsula fibrosa; l’accrescimento invasivo con
infiltrazione progressiva dei tessuti e degli organismi circostanti; la capacità di
dare origine a localizzazioni secondarie, lontane dalla sede primitiva
d’insorgenza dei tumori.
I tumori dipendono da cause solo in parte comprese con esattezza. Lo sviluppo
di una neoplasia è il risultato di un’interazione complessa di fattori, in parte
interni all’organismo e in parte esterni a esso. Per la maggior parte dei tumori il
rischio cresce con l’età; a parte le neoplasie dell’infanzia, peraltro rare, la
maggior parte dei tumori si sviluppa oltre 50 anni, per il naturale calo delle difese
dell’organismo e per il tempo maggiore di esposizione ai cancerogeni ambientali.
Per quanto concerne il sesso, a parte le differenze relative agli organi genitali, le
localizzazioni cambiano quantitativamente nell’uomo e nella donna: in linea di
massima però, sotto i 10 anni e sopra i 60 l’incidenza di tumori maligni prevale
negli individui di sesso maschile. Complesso è il ruolo esercitato dai fattori
genetici. Per molte delle neoplasie più comuni l’incidenza è più alta fra i pazienti
con una storia familiare di tumore (da 3 fino a 30 volte). Per di più numerose
affezioni ereditarie rare sono associate a un rischio di cancro aumentato o alla
presenza di numerose lesioni preneoplastiche, in grado di evolvere verso
condizioni francamente maligne.
In Italia muoiono per tumore circa 130.000 persone all’anno. Le sedi anatomiche
più colpite, a parte il carcinoma della cute, che è certo il più frequente, ma anche
il più facilmente guaribile, sono dell’80% dei casi rappresentate da dieci
localizzazioni elettive: polmone, mammella, sistema linfatico, stomaco, colon-
retto, prostata, utero, vescica, midollo osseo e pancreas. Il tumore del polmone
è uno dei più frequenti e rappresenta la causa di circa un terzo di tutte le morti
33
34. per cancro. Al secondo posto tra i maschi le neoplasie della prostata. Nella
donna la mammella è l’organo più frequentemente colpito.
Questi, più nello specifico, i dieci tumori più frequenti in Italia:
Maschi Femmine Entrambi
1 Polmone Mammella Polmone
2 Stomaco Colon Colon
3 Colon Stomaco Stomaco
4 Prostata Utero Mammella
5 Vescica Polmone Prostata
6 Pancreas Pancreas Pancreas
7 Laringe Ovaio Vescica
8 Leucemie Leucemie Leucemie
9 Cavo orale Encefalo Utero
10 Fegato Fegato Encefalo
L’Unione Internazionale contro il Cancro ha uniformato sia i criteri di giudizio
clinico dello stadio di sviluppo dei tumori sia la terminologia da utilizzare in
riguardo. Queste considerazioni hanno fornito le basi per la creazione del
sistema TNM che prende in considerazione le dimensioni del tumore primitivo
(T), il coinvolgimento dei linfonodi regionali (N) e la presenza di metastasi a
distanza (M).
L’aggiunta di numeri alla lettera T indica l’aumento graduale delle dimensioni del
tumore primitivo e/o l’estensione locale dello stesso Si utilizzano numeri da 1 a 4
corrispondenti a valori che variano a seconda della regione interessata. Nel caso
che in presenza di metastasi non si sia giunti all’identificazione del tumore
primitivo si indica la condizione come T0 mentre per TX si intende la mancanza
di requisiti minimi per giungere alla definizione del tumore primitivo e per Tis il
carcinoma in situ, una peculiare forma di carcinoma non invasivo a sede
intraepiteliale che non supera la membrana basale.
Analogamente si procede per quanto riguarda i linfonodi interessati e l’eventuale
presenza di metastasi a distanza. Per quest’ultime, la condizione M1 viene
suddivisa secondo le sedi delle principali localizzazioni metastatiche che
vengono indicate con le iniziali delle corrispondenti parole in lingua inglese.
Dalla combinazione dei valori attribuiti a T, N e M si giunge all’identificazione
dello stadio nel quale si trova il tumore. Si considerano quattro differenti stadi:
- Stadio I = T1 N0 M0 (Tumore circoscritto, esente da coinvolgimento di
linfonodi e da metastasi);
34
35. - Stadio II = T2 N1 M0 (Tumore circoscritto con interessamento linfonodale ed
esente da mestatasi);
- Stadio III = T3 N2 M0 (Tumore infiltrante i tessuti circostanti con
coinvolgimento linfonodale ma esente da metastasi);
- Stadio IV = T4 N3 M1 (Tumore esteso, con ampio interessamento
linfonodale e localizzazione metastatiche).
1.2. Il mercato dell’elettronica di consumo in Italia e i tassi di
penetrazione dei prodotti tra le famiglie italiane
Il rischio di insorgenza di patologie dovute all’utilizzo di apparecchi elettrodomestici ed
elettronici aumenta in relazione alla penetrazione di questi prodotti all’interno di
abitazioni e ambienti di lavoro.
Secondo un’indagine condotta dall’ISTAT agli inizi del 2008 su un campione di circa
19.000 nuclei familiari per un totale di 49.000 consumatori i beni maggiormente diffusi
risultano essere il televisore (95,9%), il telefono cellulare (85,5%) e il
videoregistratore (62%). Rispetto all’anno precedente sono aumentati soprattutto gli
acquisti dei lettori DVD, dal 51,7% al 56,7%, a scapito dei videoregistratori, destinati
nel giro di qualche anno a essere completamente sostituiti. In crescita anche gli
accessi a Internet, dal 35,6% al 38,8% con un miglioramento della qualità della
connessione: calano infatti quelle con linea tradizionale o ISDN a favore della banda
larga. Questi, più nel dettaglio, i risultati emersi dall’indagine condotta dall’ISTAT:
35
36. Forti divari tecnologici sono riscontrabili andando a segmentare le varie tipologie di
famiglie presenti nella popolazione. Quelle costituite da ultrasessantacinquenni hanno
dichiarato infatti una minore penetrazione dei beni tecnologici, se si escludono il
televisore (96,1%) e il telefono cellulare (52,2%). Ma anche per quanto riguarda, per
esempio, il possesso di apparecchiature legate all’uso della TV, come l’antenna
parabolica o il decoder digitale terrestre, la diffusione è bassissima (rispettivamente il
10,6% e il 6,4%). Al contrario, le famiglie con almeno un minorenne sono senza dubbio
le più hi tech: il 71,2% ha un PC, il 55,7% è dotato di connessione a Internet, che per il
34% è a banda larga, mentre il cellulare ha raggiunto i livelli di penetrazione del
televisore (97,9%). Anche le differenze sociali incidono sui livelli di penetrazione di
questi beni, soprattutto per quanto riguarda i PC e l’utilizzo del web, con un divario che
risulta in crescita. Sul fronte, infine, delle distinzioni geografiche, emerge che il Sud
sconta uno svantaggio nei confronti del Centro e del Nord Italia. Gli unici beni sui quali
le famiglie meridionali hanno parzialmente colmato la distanza rispetto a quelle delle
altre zone del Paese sono le console per i videogiochi e i telefoni cellulari.
Per quanto riguarda il mercato italiano dei beni durevoli, invece, il 2007 si è chiuso con
un controvalore di poco superiore ai 16 miliardi di euro e con un tasso di crescita sul
2006 del +2,9% (fonte: GfK Marketing Service Italia per AIRES). I prodotti di
elettronica di consumo e del settore foto rappresentano insieme oltre il 30% del
mercato, ma se le fotocamere digitali crescono in modo considerevole, l’elettronica
di consumo nel suo complesso cresce meno del mercato. Le performance più
significative sono state quelle dei grandi elettrodomestici cresciuti dell’8% con una
quota che sfiora il 20%, dei piccoli elettrodomestici e dell’home entertainment.
Moderatamente positive anche le variazioni fatte segnare dai settori informatica e
recording media. Unica eccezione negativa, come nei primi sei mesi dell’anno, il
settore della telefonia (-5%).
Più in particolare, il mercato italiano dei grandi elettrodomestici ha confermato nel
2007 la tendenza positiva dell’anno precedente, con una crescita a volume pari al
+5,9% e a valore del +8,2%. Il numero complessivo di pezzi venduti è stato di circa 7,5
milioni e si è tradotto in un giro d’affari pari a 3,2 miliardi di euro. Prendendo in
considerazione i gruppi di prodotto, lavatrici e frigoriferi si confermano essere i più
importanti, rappresentando complessivamente circa la metà delle vendite. Da notare
l’andamento molto positivo delle lavastoviglie, con una crescita del +13% a volume,
superiore di molto alla media del mercato.
36
37. A chiusura 2007, invece, il mercato dei piccoli elettrodomestici in Italia ha continuato
a crescere sia in termini di giro d’affari (+7%) che di numero di unità (+4%),
raggiungendo quasi i 22 milioni di pezzi e più di 1 miliardo di euro. Tale crescita però
risulta meno dinamica rispetto a quella del 2006, anno in cui il settore dei piccoli
elettrodomestici aveva registrato tassi di crescita a due cifre (+12% a valore e + 10% in
volume). Nonostante la crescita di tutti i comparti, è il personal care a trainare il
mercato grazie a un aumento del giro d’affari del +13%. I comparti cucina e casa
(rispettivamente +4,1% e +2,1) hanno rallentato la loro crescita rispetto al 2006, anno
in cui entrambi avevano registrato un trend positivo pari al +11%.
Le macchine da caffè e i microonde risultano i prodotti più dinamici dell’intero
mercato dei piccoli elettrodomestici, registrando rispettivamente una crescita del +18%
e del +15%.
Il mercato della telefonia in Italia vale 3,3 miliardi di euro, continuando a mostrare una
tendenza negativa: -2,2% rispetto al 2006 (era del –2% anche nel confronto tra 2006 e
2005). Questo trend è stato fortemente influenzato dall’andamento negativo del
mercato della telefonia mobile (-7% rispetto al 2006). Il 2007 è stato un anno
comunque importante per il mercato della telefonia mobile: i volumi sono cresciuti del
3% su base annua, attestandosi a 19,8 milioni di terminali venduti. Negativa invece la
situazione in termini di valore, dove vengono raggiunti i 2,5 miliardi di euro, con un
trend di crescita negativo del –7%. Lo scorso anno è stato anche caratterizzato da
sostanziali cambiamenti dal punto di vista tecnologico: la quota di mercato del
segmento UMTS passa dal 26% del 2006 al 29% del 2007, in forte e continua
accelerazione, visto che a dicembre 2007 ha raggiunto il picco massimo del 34%. I Tv-
fonini rappresentano solo il 3% del mercato totale e il mercato degli smartphone ha
mostrato un incremento costante a livello di terminali venduti.
Durante il 2007 il mercato IT è cresciuto del 2%, trend questo, inferiore rispetto alla
crescita del 2006 che era del 3%. Il giro d’affari generatosi assesta poco al di sopra dei
3 miliardi di euro. L’hardware ha rappresentato il 61% del giro d’affari complessivo,
mantenendo costante il livello di importanza rispetto al 2006, e può essere considerato
il driver del mercato, con una crescita del 2%. All’interno di tale comparto l’unico
gruppo di prodotto a ottenere una performance positiva, in termini di trend in valore
sull’anno, è quello dei PC notebook (+6%), mentre i PC desktop (-6%) e i monitor
LCD (-3%) hanno fatto registrare un calo del proprio mercato.
37
38. Il comparto delle periferiche, che ha incrementato il suo peso all’interno del mercato IT
arrivando a sfiorare il 10%, ha fatto registrare una crescita in valore rispetto al 2006 del
7%. Crescita sostenuta dal segmento laser, sia delle stampanti (+17%) sia dei
multifunzione (+59%), e dai multifunzione inkjet (+12%). Il segmento stampanti
inkjet, al contrario, è quello più colpito dall’effetto sostituzione, sempre più evidente
nelle periferiche, e perde il 31% di fatturato generato rispetto all’anno precedente.
Il mercato delle fotocamere digitali nel 2007 ha fatto segnare un fatturato superiore ai
635 milioni di euro con un trend positivo dell’8%, che viene confermato anche a
volume, dove si trova un +25,3% per un totale di circa 3 milioni di apparecchi venduti.
La crescita a valore si registra sia nelle fotocamere compatte (+7%) sia nelle reflex
(+14%). I trend a volume sono più forti dei rispettivi a valore: le compatte, infatti, fanno
segnare un +25,9%, mentre le reflex un +41%.
Il mercato dell’elettronica di consumo, nel corso del 2007, ha sviluppato un giro
d’affari complessivo di poco superiore ai 4.340 milioni di euro, facendo segnare un
trend positivo del +2%; questo trend viene confermato dai dati a volume con quasi 26
milioni di pezzi venduti con un trend di crescita positivo del +4%.
Il segmento video rimane sempre il mercato più importante in termini di valore e
nell’ultimo anno ha fatto registrare un trend di crescita del 4,5%. Il fatturato sviluppato
durante il 2007 ammonta a 3.241 milioni di euro. Il maggior contributo è arrivato dai TV
LCD, come accade sin dal 2005, che hanno un peso del 39,1% a valore e sono
cresciuti del 19,8%. Oltre al dato positivo dei TV LCD, si ha anche l’exploit dei lettori
portatili MPEG4 che aumentano di fatturato del 168%, raggiungendo una quota a
valore del 3,3%. Il comparto dei Plasma è cresciuto in volume facendo registrare un
trend del +25,1% ma una diminuzione del suo fatturato annuo del 17,7%.
L’audio statico conferma in chiusura d’anno la situazione, da tempo evidente, di
generale contrazione delle vendite, concludendo a 1,5 milioni di pezzi, che
corrispondono a un calo del –26,5%, per un mercato a valore di 236 milioni di euro, in
flessione del –12,1%.
L’intero mercato Car nel 2007, composto da Car audio, Car Vision, Car Speakers,
Car navigation fisso e portatile, si conferma il secondo mercato dell’elettronica di
consumo per fatturato sviluppato ma soprattutto uno dei soli due che crescono, con un
trend del +13%. In realtà questo sviluppo è dovuto esclusivamente all’ottima
performance dei navigatori portatili, che si confermano uno dei prodotti di maggior
38
39. successo, riuscendo a contribuire da solo alla crescita a valore dell’elettronica di
consumo con il +2,3%, mentre nel comparto Car sviluppano un +43% di fatturato.
Nonostante questi dati di sostanziale crescita tecnologica, comunque, continua a
persistere il divario tecnologico tra l’Italia e il resto d’Europa e del mondo: nel nostro
Paese, difatti, la dinamica dell'ICT è risultata ancora una volta al di sotto di quella
rilevata alla scala mondiale (+5,5%), nonostante l'interesse diffuso all'information and
communication technology. Dal 2005 al 2007, la penetrazione del cellulare nelle
famiglie italiane è infatti passata dall'80,8 all' 85,5%, quella del PC dal 43,9% al 47,8%
e quella di Internet dal 34,5% al 38,8% (fonte Assinform - NetConsulting).
Ad esempio, l'Internet banking è utilizzato solo dal 12% della popolazione italiana
rispetto al 25% della media europea, l'e-commerce sviluppa appena il 2% del totale
delle vendite al dettaglio, mentre la media europea viaggia a quota 11%. L’Italia
lamenta ancora la più alta percentuale di popolazione, pari al 56%, che non usa
Internet, mentre la media europea è del 40%. In compenso, però, il nostro Paese è
secondo in Europa quanto a quota di popolazione con elevate capacità di utilizzare
Internet: il 9%, subito sotto la Francia (12%) e sopra la media europea (8%).
39
40. Le connessioni Internet attive attualmente nel nostro Paese sono circa 2.780 milioni,
con una crescita del +8,2% rispetto all’anno passato. Quanto a quest’ultimo dato, è
però positivo registrare l'incremento del numero di accessi ad alta velocità, risultati a
fine 2007 pari a 10,1 milioni (18,7%), 9,8 dei quali in modalità xDSL (+19,2%) e di circa
340.000 su fibra ottica (+5,6%).
40
41. 2. TELEFONIA MOBILE E FISSA
2.1 Tipologia di prodotti in uso
La nascita della telefonia cellulare risale al 1973 quando, nei laboratori di ricerca
dell’americana Motorola, venne effettuata la prima chiamata da un telefono mobile. Da
allora, è stato un continuo susseguirsi di evoluzioni e innovazioni tecnologiche che
hanno fatto compiere alla telefonia mobile dei veri e propri passi da gigante, passando
dalla prima alla terza generazione in soli 15 anni.
I primi standard a conoscere la diffusione di massa sono stati il TACS (Total Access
Communication Systems) e l’ETACS (Enhanced TACS) che permettevano
unicamente di inviare e ricevere chiamate voce; a questi è presto subentrato il sistema
GSM (Global System for Mobile Communications) che, alla tradizionale funzionalità
voce, ha aggiunto la possibilità di trasmettere brevi messaggi di testo, i diffusissimi
SMS (arricchiti in futuro anche da immagini, contenuti audio e contenuti video, fino ad
assumere l’aspetto dei moderni MMS). Dal GSM si è poi passati al GPRS (General
Pocket Radio System) che ha aumentato notevolmente la velocità di trasmissione dei
dati, preparando la strada all’arrivo del sistema EDGE (Enhanced Data rates for GSM
Evolution), prima, e della videotelefonia mobile UMTS (Universal Mobile Telephone
System) poi. Da un’unica frequenza utilizzata (quella degli 800 MHz), inoltre, si è
passati a ben quattro diverse frequenze (850, 900, 1.800 e 1.900 MHz) a disposizione
degli utenti.
Il sistema TACS si basava su una tecnologia di tipo analogico in cui le trasmissioni in
ogni cella radio avvenivano a frequenze diverse, in modo da permettere la coesistenza
delle contigue; la sua successiva evoluzione, il sistema ETACS, aveva introdotto un
considerevole aumento delle frequenze disponibili, rendendo ancora più efficiente e
performante il sistema.
Nel sistema GSM, invece, sia il canale di identificazione sia
quello di conservazione sono totalmente digitali,
permettendo quindi un maggior scambio di dati tra diversi
utenti e la possibilità di utilizzare nuovi servizi. Per la
comunicazione fra stazioni base il GSM utilizza la tecnologia TDMA (Time Division
Multiple Access), basata su una coppia di canali radio in duplex, che consente a più
utenti di condividere lo steso set di frequenze cambiando automaticamente la
41
42. frequenza di trasmissione fino a 1.600 volte al secondo. Le reti GSM lavorano in diversi
range di frequenza, e sono composte da un insieme di celle radio di varie dimensioni.
Uno dei componenti più importanti e distintivi del sistema GSM è la cosiddetta SIM
(Subscriber Identity Module), una smart card su cui vengono memorizzati i dati
descrittivi dell’utente, compreso il numero di telefono, e che ha la funzione principale di
fornire l’autenticazione e l’autorizzazione all’utilizzo della rete.
Il sistema GPRS è stato progettato per realizzare il trasferimento di dati a media
velocità, utilizzando i canali TDMA della rete GSM. Più in particolare, il GPRS ha
permesso di trasferire dati in pacchetti, rendendo più veloci e più economiche le
comunicazioni tra diversi utenti. L’EDGE, un’ulteriore evoluzione del GPRS, ha
permesso addirittura di raggiungere velocità ancora maggiori, fra i 20 e i 200 kbps.
L’UMTS è infine la tecnologia indicata come terza generazione, in grado di permettere
le videocomunicazione fra gli utenti di telefonia mobile. L’UMTS, basato sullo standard
W-CDMA, utilizza attualmente i protocolli HSPDA (High Speed Downlink Packet
Access) e HSUPDA (High Speed Uplink Packet Access) con una velocità massima
teorica di scaricamento dati in download di 14,4 Mbps e in upload di 7,2 Mbps.
Fondamentalmente l’UMTS utilizza una coppia di canali a 5 MHz di larghezza di
banda, uno nel range 1.900 MHz per la trasmissione e uno nel range 2.100 MHz per la
ricezione.
Un’ultimissima evoluzione della telefonia cellulare, nata
proprio sulla base delle possibilità, sia tecnologiche sia
commerciali, offerte dalla terza generazione, è il DVB-H
(Digital Video Broadcasting Handheald), nuova
piattaforma tecnologica che permette la radiodiffusione
terrestre sui terminali portatili. Per mezzo di questa
nuova tecnologia è possibile infatti ricevere direttamente sul proprio telefonino i canali
televisivi digitali, sia gratuiti sia pay per view e on demand.
Il DECT (Digital Enhanced Cordless Telecommunication) è un sistema di telefonia
sviluppato sulla base del GSM. Al contrario di quest’ultimo, il DECT non è però un
sistema di telefonia mobile ma un sistema di telefonia cordless, cioè un telefono
destinato a un uso domestico o aziendale che si muove all'interno di un'area
geografica definita e/o limitata da una copertura radio offerta da una o più antenne. Se
la copertura radio lo consente è ammessa anche la migrazione da un'area a un'altra.
42