2. Il sofware conta (Miconi, 2013)
Il web non è culturalmente neutrale. La tecnologia crea
dei frame: delle cornici che definiscono un campo di
possibilità (nuove e più ampie), ma allo stesso tempo
pongono seri limiti alle azioni.
Software come promotori (facilitano alcune pratiche,
come l’intelligenza collettiva, il web collaborativo ecc.)
e, allo stesso tempo, limitatori (software takes
command - Manovich, 2010).
Le pratiche umane (nuove o vecchie che siano), una
volta calate nello spazio digitale, vengono modellate e
modificate dal nuovo ambiente, e sottoposte alla
regolamentazione dei codici e dei software della rete.
3. “Il codice è legge” (Lessing, 2006)
Il Web è sfuggito a lungo alla regolamentazione giuridica
(estensione globale VS normative nazionali, velocità tecnologie VS
lentezza apparati regolatori), ma questo non lo rende un territorio
vergine, libero da ogni forma di autorità e controllo, spalancato di
fronte alla libera iniziativa degli individui.
Non è la legge a dominare sul Web, sono i codici informatici i veri
strumenti di governo della rete.
I codici informatici determinano quello che le persone possono o
non possono fare, diventano essi stessi una forma di
regolamentazione (sono una sorta di “burocrazia” della rete).
Ma quando gli interessi commerciali determinano i codici e gli
algoritmi, creano una sorta di “legge privatizzata”.
Norme giuridiche pubbliche VS algoritmi privati (e spesso segreti, o così
complessi da agire sotto la soglia di consapevolezza degli utenti)
4. “Il codice è legge” (Lessing, 2006)
!
La partita decisiva per il futuro della rete si gioca sul controllo
dei codici (informatici): dal momento che i codici esercitano un
forte potere sui comportamenti umani, sarà decisivo il ruolo dei
soggetti e dei gruppi sociali in grado di controllarli e modificarli.
Critica all’influenza sociale delle tecno-élite (Galloway, 2004): I
protocolli tecnici, gli algoritmi e gli standard sono stabiliti da
un’oligarchia di scienziati (e manager di imprese private)
provenienti da una classe sociale piuttosto omogenea. Mentre
la rete è usata ogni giorno da persone molto diverse tra loro, chi
decide gli standard (le regole) è una piccola tecno-élite.
Necessità di una negoziazione sociale sulla messa a punto
dei codici informatici.
6. Il punto di vista di Facebook
2006: Zuckerberg capisce che l’algoritmo che sta alla base di FB non riesce più a soddisfare le
esigenze dei suoi utenti. Chi ha molti amici e mette parecchi like può trovarsi fino a 15 mila nuovi
post da leggere. Una cifra enorme che rischia di mettere in difficoltà gli iscritti e di farli scappare
verso altri lidi.
«Il nostro obiettivo è mostrare agli utenti ciò che gli interessa», spiega Mosseri (da 15.000 a 300
post per utente).
«Vogliamo fare fatica al posto vostro. Quello che gli utenti vedono sulla loro bacheca è
determinato dalle loro connessioni (amici e gruppi di appartenenza), dall’interazione con essi e
con i contenuti».
«La posizione nella bacheca dipende anche dalle mie abitudini, se mi guardo più spesso
immagini o contenuti video». E’ chiaro poi che se un utente guarda spesso i post del New York
Times, i contenuti di questo giornale avranno un punteggio più alto e dunque saranno meglio
posizionati sulla timeline.
Ma News Feed non è rimasto immune dalle critiche. Molti non gradivano infatti che fosse
Facebook a decidere cosa gli utenti dovessero vedere sulle loro bacheche.
Contenuti tratti da: Serafini M., “Facebook, parla Mister Algoritmo: ‘Così selezioniamo per voi’” 12/03/2015
Adam Mosseri (32 anni), alla guida del
team di News Feed
“Se quello che vediamo sulle nostre
bacheche ci piace o meno dipende da lui”