2. Il conflitto: alcune
prospettive
Il conflitto è «madre di tutte le cose (…) Occorre sapere che il
conflitto è comune, che il contrasto è giustizia, e che tutte le cose
accadono secondo contrasto e necessità (e che in ciò che) discorda
sta l’armonia più bella». (Eraclito, frammento 80)
Secondo Kurt Lewin il conflitto è “una situazione in cui le forze di
valore approssimativamente uguale ma dirette in senso opposto,
agiscono simultaneamente sull’individuo”
Come in ogni interazione umana, anche nel conflitto tra individui
l’assenza di comunicazione è impossibile (Watzlawick, 1964)
Disaccordi a livello di contenuto e a livello di relazione ((Di Fabio,
1999):
- contrasti: “difetti” di comunicazione riconducibili alla dimensione
di contenuto, ovvero divergenze di opinioni
- conflitti: “difetti” di comunicazione afferenti alla dimensione della
relazione
3. Il conflitto: alcune
prospettive
I TRE ASSI DELLA GESTIONE DEI CONFLITTI
(Sclavi, 2003)
Autoconsapevolezza emozionale: presa di coscienza delle
modalità con cui si partecipa a tali contesti
Ascolto attivo: consapevolezza del ruolo e delle caratteristiche,
anche emotive, dell’interlocutore, e padronanza delle tecniche della
comunicazione efficace
Creatività: Abbandono di schemi rigidi (es. torto/ragione) e volontà
di affrontare le resistenze a considerare vie alternative, bizzarre o
controintuitive nella gestione dei conflitti
4. Autoconsapevolezza emozionale
“Le emozioni non ti informano su quello che vedi, ma su come
guardi” (Sclavi, 2000)
L’emozione mi informa su di me e sulla situazione, quindi posso scegliere
come adattare di conseguenza il comportamento previsto o se usare una
strategia alternativa.
“L’ansia e il timore, prima e durante il conflitto, sono aspetti fisiologici:
l’uomo imperturbabile è culturale, non naturale” (Scotto, 1998)
“l’ansia deriva dal timore che il confronto con l’altro mi destrutturi, cioè
metta in crisi, mini le mie basi, la mia fiducia in me, la mia immagine di me;
in tal senso, il confronto con l’altro è un’eco del mio confronto con le parti
diverse di me stesso/a”.
5. Autoconsapevolezza
emozionale
Ruolo della paura nella creazione, conservazione o
escalation della violenza dei conflitti:
La paura della collera dell’altro si manifesta con l’impossibilità
di affrontare persone autoritarie che hanno imposto una
propria posizione up su una down
La paura di essere rifiutati, derisi o venire ostracizzati
impedisce di assumersi rischi o di essere aperti e onesti nella
propria carriera lavorativa, così come nelle relazioni
interpersonali
La paura di ascoltare può portare una persona a discutere per
anni senza mai affrontare il conflitto vero e proprio
6. Ascolto attivo
L’atto comunicativo è permeato della definizione che l’individuo da
di sé (“ecco come mi vedo”)
I feedback che forniamo negli scambi comunicativi possono essere
visti proprio come reazioni alla definizione che l’altro ha dato di sé
La Scuola di Palo Alto distingue tre modi di reagire a questo piano di
comunicazione (Di Fabio, 1999)
- il rifiuto: “tu hai torto”
- la disconferma: “tu non esisti”
- la conferma: “sei importante, ho stima di te, ti riconosco,
rispetto il tuo punto di vista e quindi la tua individualità”
7. Modalità di ascolto
dell’interlocutore
Ascolto finto: Ascolto passivo, senza reazioni, vissuto solo come
opportunità per poter parlare.
Ascolto logico: L´attenzione sarà concentrata sul contenuto di ciò che
viene espresso ed anche l´interlocutore potrebbe avere l´errata convinzione
di essere stato capito.
Ascolto attivo: Ci si mette in condizione di “ascolto efficace” cercando di
entrare nel punto di vista del nostro interlocutore e comunque
condividendo, per quello che è umanamente possibile, le sensazioni che
manifesta, siano esse implicite (linguaggio analogico), siano esse esplicite
(linguaggio numerico)
Atteggiamento assertivo (McKay, Davis e Fanning, 1995): modalità di
ascolto attivo rivolto a sé e all’altro
8. Creatività
“Due ragazzi litigano per un’ arancia. Alla fine i due
si mettono d´accordo e dividono il frutto a metà. A
questo punto la ragazza mangia la polpa e getta la
buccia, il ragazzo prende la buccia per farne una
torta e getta via il resto. Chiarendo gli obiettivi e
“inventando” una soluzione sarebbe stato possibile
un esito ottimale del conflitto:
a lei tutta la polpa, a lui tutta la buccia.”
(Fischer, Ury, Patton, 1991)
9. Creatività
Secondo la prospettiva della negoziazione creativa è essenziale:
a) separare le persone dal problema
b) mettere a fuoco gli interessi e non le posizioni
Soluzioni all’interno della cornice (cambiamento1) VS.
Risolvere la situazione cambiando la cornice (cambiamento2)
(Watzlawick, 1974)
“una persona che ha un incubo può tentare molte cose nel suo sogno: correre,
nascondersi, lottare, strillare, saltare da un dirupo ecc., ma nessun
cambiamento da uno qualunque di tali comportamenti a un altro porrebbe mai
fine all’incubo. […] destarsi, evidentemente, non fa più parte del sogno, ma è
un cambiamento ad uno stato completamente diverso.”
10. Creatività
Ironia: strumento per operare quegli “spostamenti”, “rotture” o
“trasformazioni” che impediscono la produzione di soluzioni
creative ai
problemi e ai conflitti
Goffman (1955) sottolinea la riduzione dello stress connessa all’uso di forme
scherzose che sono utili nella negoziazione di quelle azioni potenzialmente
minacciose per l’immagine personale
L’autoironia può creare una forma di empatia diffondendo un “atteggiamento
rilassato”, sdrammatizzando l’enfasi e ridimensionando le situazioni (Hay,
2000)
Secondo Sclavi (2003) “per diventare esperto nell’arte di ascoltare” e quindi di
risolvere in modo positivo i conflitti “devi adottare una metodologia
umoristica. Ma quando hai imparato ad ascoltare l’umorismo viene da sé…”
11. La gestione creativa dei
conflitti
La bibliotecaria esperta di ascolto attivo
In una biblioteca due utenti stanno litigando fra loro: uno vuole aprire la
finestra perché gli manca l’aria e l’altro vuole che rimanga chiusa perchè
ha i reumatismi e teme la corrente. Alzano la voce e disturbano gli
altri lettori. Arriva una prima bibliotecaria: «Silenzio! Se non vi sedete e
state zitti, vi faccio uscire entrambi!»
Si siedono, ma dopo un po’ ricominciano a litigare.
Arriva una seconda bibliotecaria la quale ascolta attentamente
entrambi e poi, dopo una breve riflessione, propone: «Che
ne dite se apriamo la finestra della stanza accanto, in modo che l’aria
circoli senza provocare correnti?»
(Fischer & Ury, 1995)
12. La gestione creativa del conflitto
Due abitudini di pensiero
SISTEMI SEMPLICI SISTEMI COMPLESSI
Dove le “stesse cose” hanno lo
stesso significato
Dove le “stesse cose” hanno
significati differenti
Stesse premesse implicite Diverse premesse implicite
Ciò che diamo per scontato
(cornici) ci aiuta a comunicare)
Ciò che diamo per scontato
(cornici) ci impedisce di
comunicare
Io ho ragione, tu hai torto (o
viceversa)
Tutti hanno ragione. Anche chi dice
che non possono aver ragione tutti
Controllo di primo grado (Saper
prevedere l’arco di reazioni
possibili)
Controllo di secondo grado (Saper
trasformare le reazioni inattese in
conoscenza)
Mondo mono - culturale Mondo pluri - culturale
Universo Pluriverso
13. La gestione creativa del conflitto
L’ascolto attivo e l’approccio alla complessità
ASCOLTO PASSIVO ASCOLTO ATTIVO
Statico (Unica prospettiva
giusta)
Dinamico (Una pluralità di
prospettive)
Passivo (rispecchiare la realtà) Attivo (costruzione della
realtà)
In controllo (incidenti di
percorso e imbarazzi:negativi)
Goffo (incidenti di percorso e
imbarazzi: positivi)
Soggettivo: no; Oggettivo: sì Né soggettivo, né oggettivo
(esplorare mondi possibili)
Neutralizzare le emozioni Centralità delle emozioni
14. La gestione creativa del conflitto
Argomentare vs. esplorare
Argomentare Esplorare
In negativo. Nell’argomentare i disputanti si
esprimono:
1) Contro una posizione/proposizione al fine di provare
che qualcosa è sbagliato
2) Contro una persone/personalità al fine di screditare
l’avversario
In negativo. Assenti
L’esplorazione sospende la negazione e colloca le
opzioni esistenti in attesa mentre altre possibilità
vengono ideate
In positivo. Argomentando è possibile
dibattere:
1) In favore di una posizione/ proposizione presentata
come spiegazione o proposta alternativa
2) In favore della persona/personalità
dell’interlocutore esprimendo rispetto per
l’avversario, ma l’intenzione di produrre un
cambiamento nel suo punto di vista tramite la
persuasione e una nuova auto-identificazione
In positivo.
1) L’esplorazione si propone di ampliare i punti di vista
di entrambi gli interlocutori
spingendo entrambi ad immaginare futuri
possibili
portando alla luce similarità o
complementarietà che possono far coesistere i
due punti di vista in un nuovo contesto
identificando gli obiettivi comuni già presenti d
individuando obiettivi da perseguire
congiuntamente
esprimendo le proprie emozioni ed interessi
15. La gestione creativa del conflitto
Argomentare vs. esplorare
Esplorare
In positivo.
2. L’esplorazione ricorre a strumenti ed
esercizi del pensiero creativo, come:
Costruire mappe di possibilità che danno spazio a:
i propri sogni e le proprie speranze. I propri dubbi
e timori.
Con i processi di pensiero delle tre R: Ribaltare le
posizioni: ogni parte difende la posizione
antagonista. Role Playing: ogni parte mette in
scena i sentimenti, le emozioni e gli interessi
dell’avversario. Riflettere, una volta tornati al
proprio ruolo, su ciò che si è scoperto
Esplorando l’universo delle «tre storie»: Lo
scenario peggiore: costruire la storia di un possibile
fallimento; Lo scenario migliore: narrare la storia di
un possibile successo; Lo scenario più probabile:
narrare una storia sugli esiti più probabili, se niente
cambia.
16. La gestione creativa del conflitto
Logica dell’argomentazione e dell’esplorazione
nelle decisioni pubbliche
Argomentazione nelle decisioni
pubbliche
Esplorazione nelle decisioni pubbliche
Ogni attore presenta le proprie “pronte alla
approvazione” (Ego, potere, etc…)
Le posizioni sono discusse valutando per ognuna i
pro e i contro. I pro gratificano, i contro sono vissuti
come critiche anche alla persona, oltre che al merito
Il leader è personalmente responsabile del successo
del lavoro del gruppo. Stabilisce l’agenda dei lavori e
l’ordine del giorno
Premessa implicita: il gruppo “da solo” non riesce ad
arrivare a buone soluzioni. Ha bisogno di una forte
personalità
Gli attori presentano una grande quantità di idee, di
posizioni, rimandando a dopo il momento della
discussione
La discussione cerca di rivedere il problema alla luce
di tutte queste idee. Si procede con il metodo delle
proposte positive cumulative (evitando le critiche)
Il leader ha la funzione di convocatore e iniziatore
del processo di indagine. Designa un facilitatore che
aiuta i membri del gruppo a stabilire regole
procedurali ad hoc e a mettere a fuoco gli obiettivi
Premessa implicita: il gruppo è in grado di lavorare
in modo polifonico e creativo.
Il leader vede se stesso come:
- Una persona particolarmente dotata nell’indovinare
i pensieri e i desideri altrui
- Uno che sa “cosa è meglio” per gli interlocutori
- Uno che sa attivare gerarchie formali e informali.
Nessuno sa bene quanto lui come si implementano
le decisioni (= ideal-tipo dell’autoreferenzialità)
Il leader vede se stesso come:
-Il garante del “gioco dell’ascolto” fra tutti gli attori
interessati al problema in questione
- Si tiene discretamente in disparte per l’intero
processo
17. Elogio del coffee break
Metodologie orientate all’inclusione di tutti i partecipanti
alle decisioni cui sono interessati, attraverso l’apprendimento
reciproco e la progettazione creativa
Open Space Technology (OST) (Owen, 1997):
Metodo che si propone in modo molto esplicito
l’instaurarsi di “relazioni pure”, che possono essere
troncate a proprio piacimento in qualsiasi momento,
come condizione del proprio buon funzionamento
18. Un esempio di utilizzo della metodologia OST: la
ricerca-azione “Una città desiderabile” con
l’associazione Orlando
L’Ost (Open Space Technology) è una metodologia di discussione
collettiva che esclude contenuti preconfezionati: non esiste un
programma di svolgimento dei lavori, ma poche semplici regole
volte a stimolare la proposta dei temi del dibattito da parte delle
partecipanti. Non possiamo quindi dirvi di cosa si parlerà perché
sarete voi a deciderlo, in base ai vostri interessi e desideri.
Tratto dal sito www.women.it del Centro Donne di Bologna
19. “Una città desiderabile”: ricerca-azione c/o il Centro
Donne di Bologna
Sabato 14 febbraio 2004
9,00-9,30
Si inizia a conoscersi e a prendere confidenza con lo spazio consumando insieme la colazione.
9,30-9,40
Il Comitato promotore espone una breve presentazione dell’esperienza dell’Ost, illustrando le finalità del progetto
“Una città desiderabile” e il lavoro svolto finora.
9,40-10,10
Una introduzione ai lavori illustra i principi e le modalità di svolgimento dell’Ost.
Plenaria: partendo dalla domanda iniziale, si apre il “mercato dei temi”. Ognuna proporrà una propria risposta alla
domanda, individuando così un tema di proprio interesse: in base all’adesione da parte delle donne presenti ai
diversi temi di discussione si costituiranno dei gruppi di lavoro. Responsabile di ogni gruppo sarà la donna che ha
proposto il relativo tema di discussione.
I gruppi formatisi si distribuiranno nelle salette predisposte per la discussione, facilmente accessibili e attrezzate
con sedie e lavagne di carta: le sale sono separate per facilitare lo svolgimento dei lavori, ma non c’è nessun
vincolo di scelta, si rimane in un gruppo finché interessa e si è libere di spostarsi da un luogo all’altro. Un
tabellone collocato nella sala centrale riporterà temi e luoghi dei diversi gruppi di lavoro, costruendo mano a
mano l’agenda della giornata.
10,10-11,20
Prima sessione: i gruppi di lavoro si riuniscono per distutere il tema prescelto.
11,20-11,35
Restituzione: alla fine della sessione la responsabile di ogni gruppo si reca nella sala computer per stendere un
resoconto della discussione svolta. Le altre iniziano a prendere posto in vista della seduta plenaria.
11,35-12,05
Plenaria: si riapre il “mercato dei temi” per costituire nuovi gruppi o rilanciare quelli precedenti se la discussione
non si è ancora esaurita.
12,05-13,15
Seconda sessione: i gruppi di lavoro si riuniscono per esplorare nuovi temi o proseguire nella trattazione di quelli
precedenti.
13,15-13,30
Restituzione: alla fine della sessione la responsabile di ogni gruppo si reca nella sala computer per stendere un
resoconto della discussione svolta. Le altre iniziano a prendere posto per il pranzo.
20. “Una città desiderabile”: ricerca-azione c/o il Centro
Donne di Bologna
13,30-14,30
Pranzo
Ci si riunisce nuovamente nello spazio comune per consumare insieme il pranzo.
14,30-15,00
Plenaria: si riapre il “mercato dei temi” per costituire nuovi gruppi o rilanciare quelli precedenti se la discussione
non si è ancora esaurita.
15,00-16,10
Terza sessione: i gruppi di lavoro si riuniscono per esplorare nuovi temi o proseguire nella trattazione di quelli
precedenti.
16,10-16,25
Restituzione: alla fine della sessione la responsabile di ogni gruppo si reca nella sala computer per stendere un
resoconto della discussione svolta. Le altre iniziano a prendere posto in vista della seduta plenaria.
16,25-17,00
Plenaria finale: a tutte le donne verranno distribuiti i report prodotti nel corso della giornata da ogni gruppo di
lavoro. Ognuna tornerà a casa con un “istant book” che illustra lo svolgimento e i contenuti emersi dalla
discussione complessiva.
17,00-18,00
Chiusura lavori
Domenica 15 febbraio 2004
Sabato 14 febbraio 2004
9,00-9,30
Ci si ritrova consumando insieme la colazione.
9,30-12,30
Si organizzano dei Focus groups sui temi emersi il giorno precedente. Attraverso l’aiuto
di facilitatrici, si riprendono i temi emersi per “rimacinarli” e poi elaborare una relazione articolata.
21. Un approccio interculturale alla
trasformazione dei conflitti
(Marianella Scalvi, 2005)
A conflict transformation
approach to intercultural
communication and an
intercultural approach in conflict
transformation processes
22. Seven Rules of the Art of Listening
(by Marianella Sclavi)
1. Never be in a hurry to reach conclusions. Conclusions are the most ephemeral part
of your research.
2. What you are seeing depends on your point of view. In order to see your point of
view, you have to change it.
3. In order to understand what another person is saying, you must assume that
he/she is right and ask him/her to help you to understand why it is.
4. The emotions are basic tools of knowledge if you understand that they speak a
language of analogies and relationships. They don't tell you what you are looking at,
but how you are looking at it.
5. A good listener is an explorer of possible worlds. The signals which he or she finds
most important are the ones that seem both negligible and annoying, both marginal
and irritating, since they refuse to mesh with previous convictions and certainties.
6. A good listener is happy to accept the self-contradictions that come to the fore in
personal thoughts and interpersonal communications. Misunderstandings are accepted
as occasions for entering the most exciting field of all: the creative management of
conflicts.
7. To become an expert in listening you must follow a humor methodology. But when
you have learned how to listen, it is humor that will follow you.
23. Ascolto e interculturalità: dall’empatia
all’exotopia
L’empatia evoca una capacità di immedesimazione in un
conflitto all’interno del quale sono presenti similarità fra
le posizioni contrapposte
L’exotopia richiede un “dislocamento” da se stessi al fine
di dislocare l’altro
25. Il cronotopo umoristico
Fase 1) Bewilderment (and annoyance): stupore di fronte a un
fenomeno che appare come non intellegibile, strambo
Fase 2) First Illumination: tramite una sorta di salto mentale si
riesce a comprendere il significato sotteso ad un fenomeno
Fase 3) Second Illumination: è possibile realizzare che qualcosa
come una parola senza significato nel linguaggio ordinario ci
ha creato problemi di comunicazione (e di reciproca
comprensione)
(Freud, 1905)
33. La gestione nonviolenta dei conflitti:
ri/conoscere il conflitto per gestirlo
(di Roberto Tecchio)
Il conflitto è uno stato della relazione caratterizzato dalla
presenza di un problema cui si associa un disagio
Dimensione personale e dimensione sociale del conflitto
Una incompatibilità (o scontro, divergenza, opposizione, ecc.) tra
scopi (o interessi, valori, opinioni, bisogni, ecc.) perseguiti da attori
diversi (persone, gruppi, Stati, ecc.)”
Saper stare costruttivamente nel conflitto significa anche saper stare
costruttivamente nel disagio
Centralità del rapporto (a livello personale e sociale) con la
sofferenza
Gestiamo i problemi per gestire il nostro
disagio
34. La gestione nonviolenta dei conflitti:
gestire il disagio
Quasi tutti gli uomini muoiono per i rimedi che usano più che per le loro
malattie. (Molière)
Gestire positivamente il disagio non vuol dire cercare di eliminarlo
Per gestire positivamente il disagio è necessario prendersene cura
dentro di noi
Attento riconoscimento e profonda accettazione del disagio
Il disagio continua ad esserci ma è diverso da prima
Accettazione e cambiamento: un apparente paradosso
Distinguere la persona dal suo comportamento
C’è un “oggetto” che va sempre e comunque accettato: la persona
C’è un “oggetto” che non va sempre accettato: il comportamento
35. La gestione nonviolenta dei conflitti:
gestire i problemi
“Nel perseguire l’impossibile rendiamo irraggiungibile il
realizzabile”
Cos’è un problema?
Qualcosa che non accetto e che voglio cambiare
Tu fai qualcosa che non dovresti fare/ Tu non fai qualcosa che dovresti fare
Cosa non accetto del comportamento dell’altro?
Che effetti ha su di me quel comportamento?
Che sentimenti mi provoca quel comportamento?
Gestione della dimensione interiore del
problema-conflitto
36. La gestione nonviolenta dei
conflitti:
gestire i problemi
Il problema esiste nel momento in cui il soggetto lo riconosce
Riconoscere subito l’esistenza dei problemi
Riconoscere non vuol dire essere d’accordo
Percezione di problemi e problemi di percezione
Il cambiamento di percezione è un obiettivo fondamentale
Si vede ciò che si è abituati a vedere o ciò che si vuol vedere
Comunicare per gestire
Comunicare è gestire
E’ impossibile non gestire un conflitto
37. Trasformazione e risoluzione dei
conflitti
Noi, da soli, possiamo solo gestire il conflitto, mai risolverlo
Trasformazione del conflitto a livello personale
Saper aiutare l’altro a gestire il suo disagio
Accogliere sinceramente il disagio dell’altro, ascoltarlo
Non tutti i problemi possono essere risolti qui e ora come vorremmo
Gestione positiva del disagio (cioè della dimensione interiore del conflitto su cui
abbiamo massimo potere)
Può “garantire” la trasformazione del conflitto a livello personale (pace
personale)
Non può mai “garantire” la trasformazione del conflitto a livello sociale
(pace sociale)
Non può mai “garantire” la risoluzione dei conflitti a livello sociale (consente
di utilizzare al meglio le risorse di creatività e intelligenza fortemente
compromesse dagli stati emotivi negativi)
38. Il Consenso: una introduzione
(di Roberto Tecchio)
Nella democrazia di stile occidentale si considera il principio “una testa, un
voto” come il solo potere di cui ciascuno ha bisogno
Nel voto democratico, di solito, a livelli sia macro che micro, una minoranza
significativa è profondamente scontenta del risultato
Il compromesso è un altro metodo per raggiungere una decisione,
solitamente attraverso una negoziazione
Il consenso, che qui presentiamo, è un modo più creativo per prendere
decisioni. E' un processo in cui non può essere raggiunta alcuna decisione a
meno che tutti i presenti non abbiano la deliberata volontà di accettarla
• La prima e fondamentale condizione affinchè il consenso sia attuabile è
che ogni singolo membro del gruppo si senta impegnato a farlo funzionare
• C'è bisogno di riconoscere che il problema del singolo membro del gruppo
è un problema di tutto il gruppo
39. Il Consenso: un abbozzo di
procedura basilare
1. Definite e formulate in gruppo il problema o la decisione da prendere. E' d'aiuto se si
riesce a farlo tenendo separati problemi e questioni dalle persone che li sollevano.
2. Generate in gruppo, in un'atmosfera libera e non giudicante, possibili soluzioni. Queste
vengono scritte su un cartellone. Tutte, anche le più assurde. Cercate di tenere un
livello di energia alto, con suggerimenti veloci, istintivi ed intuitivi.
3. Create uno spazio per le domande di chiarimento sulle soluzioni generate.
4. Discutete le opzioni annotate. Modificatene alcune, altre eliminatele, e sviluppate una
breve lista. Quali sono le favorite?
5. Esplicitate le proposte, o quelle che avrete selezionato, affinchè queste siano chiare a
tutti.
6. Discutete i pro e i contro di ciascuna proposta, assicurandovi che ciascuno abbia la
possibilità di contribuire al dibattito.
7. Se ci sono grosse obiezioni ritornate al punto 6 o, talvolta, al 4 (questo è ciò che fa sì
che si consumi del tempo e si pratichi la pazienza...).
8. Se non ci sono grossi ostacoli, formulate la decisione e verificate tra tutti se vi è un
accordo sulla sua definizione finale.
9. Riconoscete le eventuali obiezioni minori e incorporate emendamenti proposti con
spirito amichevole.
10. Discutetene.
11. Verificate il consenso.
40. Il Consenso: un abbozzo di procedura
basilare
Possibili forme di opposizione
il non-supporto: “Non vedo la necessità di tale decisione, ma acconsento”;
le riserve personali (trascritte nei verbali della riunione, se lo volete). “Penso che sia
un errore ma posso acconsentire”;
stare a parte: “Personalmente non posso fare questo, ma non impedirò ad altri di
farlo per il gruppo”.
Il “blocco” e le sue alternative
Il “blocco” dovrebbe essere basato su questioni di principio; qualcosa che riguardi
l'etica, dei fatti specifici, probabili conseguenze negative per il gruppo, piuttosto che
sulla base di proprie personali preferenze o impulsi egoistici
Un blocco comporta la necessità per chi lo ha posto di fare proposte concrete su
come continuare il processo decisionale
• dichiarare che non vi è consenso al momento e aggiornare la decisione ad un
incontro futuro
• chiarire il clima del gruppo
• ricominciare il processo decisionale per cercare soluzioni più soddisfacenti
• abbandono del gruppo stesso
41. Il Consenso e l’azione diretta
nonviolenta: mezzi e fini
Il processo decisionale consensuale è non solo un metodo per
prendere decisioni, ma anche una maniera di costruire relazioni
comunitarie, fiducia, un senso di sicurezza e di mutuo aiuto,
importante soprattutto nei periodi di stress ed emergenza
Non è certamente un processo adatto per decisioni veloci, ma può
certamente aiutare a costruire una base sicura sulla quale decisioni
di emergenza possono essere prese senza che il gruppo non le
riconosca come proprie
42. Sul conflitto e sul consenso
Il conflitto è generalmente visto come un ostacolo al
raggiungimento di accordi e un perturbatore di rapporti
pacifici
mentre …
La tesi che è alla base del Consenso Formale è che il conflitto
nonviolento sia necessario e auspicabile
Non è facile creare il tipo di ambiente dove le differenze possono
essere espresse senza paura nè risentimento
44. Basi su cui il Consenso è costruito
Fiducia
Sviluppando la fiducia, il processo del consenso incoraggia lo sviluppo intellettuale e emozionale
dell'individuo all'interno di un gruppo
Rispetto
Il rispetto per i problemi emozionali come per quelli di ordine razionale promuovono il tipo di
ambiente necessario per sviluppare il consenso
Unità di scopo
Deve esserci una base unificante, un punto d'inizio comune, che sia riconosciuto e accettato da
tutti
Nonviolenza
E' idea comune che il potere di rivelare la propria verità sia la massima forza concessa per
persuadere gli altri del proprio punto di vista
Riconoscere il proprio potere (o self-empowerment)
Il consenso promuove e si basa sull'auto affermazione del proprio potere
Cooperazione
La cooperazione è una responsabilità condivisa nel trovare le soluzioni a tutti i problemi
45. Basi su cui il Consenso è costruito
Risoluzione del conflitto
Diversi punti di vista sottolineano e esplorano la forza e la debolezza di atteggiamenti, convinzioni
e progetti. Senza il conflitto, si è meno portati a pensare e a valutare le proprie opinioni e
pregiudizi
Impegno verso il gruppo
I bisogni del gruppo hanno una certa priorità sui desideri dell'individuo
Partecipazione attiva
Con incoraggiamento ogni persona può sviluppare conoscenza ed esperienza, e la capacità di
partecipare
Parità di accesso al potere
Strutture ugualitarie e che debbano rendere conto del loro operato, promuovono l'accesso universale
al potere
Pazienza
Il consenso non può essere affrettato
46. Impedimenti al Consenso
Mancanza di addestramento al consenso
Se l’apprendimento del Consenso Formale non viene reso facilmente accessibile,
si limiterà la piena partecipazione e si creeranno iniquità che mineranno
tale processo
Strutture gerarchiche esterne
E’ auspicabile che gli individui e i gruppi riconoscano che possono
essere autonomi
in relazione al potere esterno se vogliono assumersi la responsabilità
dei propri atti
Pregiudizio sociale
I membri del gruppo sono responsabili di rendersi conto di quando i loro
atteggiamenti sono influenzati da abitudini sociali disgreganti e di cambiarli.
Quando esiste un'atmosfera di supporto che permette di riconoscere
e cambiare atteggiamenti indesiderabili, il gruppo nel suo insieme
ne trae beneficio
47. Tavola dei diritti
A) DICHIARAZIONE DEI DIRITTI DI OGNI PARTECIPANTE
1. Io ho il diritto di essere trattato con rispetto. Così gli altri.
2. Io ho il diritto di avere ed esprimere opinioni e sentimenti. Così gli altri.
3. Io ho il diritto di essere ascoltato e preso seriamente. Così gli altri.
4. Io ho il diritto di dire "no" senza sentirmi in colpa. Così gli altri.
5. Io ho il diritto di chiedere ciò di cui ho bisogno. Così gli altri.
6. Io ho il diritto di cambiare opinione. Così gli altri.
48. Tavola dei diritti
B) ORIENTAMENTI PER UNA COMUNICAZIONE
COSTRUTTIVA
1. Usare messaggi "io" di confronto costruttivo.
2. Ascoltare attivamente, e verificare se abbiamo capito veramente
quello che gli altri volevano dire, e viceversa.
3. Fare attenzione non solo ai contenuti, ma anche ai sentimenti
espressi.
4. Distinguere le persone dai problemi e dalle loro azioni: evitare di
attribuire intenzioni agli altri e di giudicarli, attenersi ai fatti e ai
comportamenti.
5. Essere precisi ed evitare le generalizzazioni.
49. Tavola dei diritti
C) ORIENTAMENTI PER COOPERARE NEL CONFLITTO
1. Passare dalla visione "me contro te", al "Noi".
2. Passare dalle "prese di posizione" agli Interessi e Bisogni in gioco.
3. Concentrarsi invece che sul Passato, sul Presente e sul Futuro.
4. Passare dall'Impossibile al Possibile.
5. Passare dalla Colpevolizzazione all'assunzione di Responsabilità.
50. Il metodo del Consenso in pratica: la
“Carta italiana dei Criteri del Commercio
Equo e Solidale”
Primo momento chiave:
La decisione, presa all’inizio del processo, di arrivare ad approvare la carta senza
ricorrere al tradizionale metodo della votazione in assemblea, bensì con un
procedimento decisionale orientato al consenso (MC)
Secondo momento chiave:
Il Comitato responsabile accettò la proposta di facilitazione non solo in sede
assembleare ma una vera e propria assistenza lungo tutto il cammino
LA PROPOSTA E LA RISPOSTA (settembre 1998)
51. Il metodo del Consenso in pratica: la
“Carta italiana dei Criteri del Commercio
Equo e Solidale”
LA PRIMA ASSEMBLEA (gennaio 1999)
• Facilitatori “esterni, ma non estranei”
• I facilitatori avrebbero agito all’interno di regole esplicite note a tutti
Passaggi chiave del MC in questa fase
• Lo spostamento del potere decisionale dalla sede dell’assemblea
plenaria all’interno dei gruppi di lavoro
• L’affidamento ai facilitatori anche di alcune fasi dell’assemblea plenaria
Valutazione finale in plenaria
52. Il metodo del Consenso in pratica: la
“Carta italiana dei Criteri del Commercio
Equo e Solidale”
LA SECONDA ASSEMBLEA (giugno 1999)
Primo momento chiave
Aiutare l’assemblea ad accettare la depressione e frustrazione provocata
dal mancato raggiungimento dell’obiettivo tangibile e fortemente atteso
di avere la Carta ultimata
Secondo momento chiave
Definire con precisione tempi e modi per uscire dall’impasse e risolvere il conflitto
a) Data e luogo dell’incontro, soggetti organizzatori
b) Soggetti da coinvolgere direttamente nel tentativo di risolvere la questione
c) Criteri di fondo sul modo in cui gestire la questione medesima
53. Il metodo del Consenso in pratica: la
“Carta italiana dei Criteri del Commercio
Equo e Solidale”
COOPERARE NEL CONFLITTO (settembre 1999)
La procedura di lavoro si svolge in tre fasi:
Individuazione dei “bisogni condivisi”
Ricerca delle soluzioni che potrebbero rispondere ai bisogni comuni individuati
e riconosciuti
Scelta della soluzione ottimale
- Ruolo fondamentale della consulenza e facilitazione all’interno del MC
- Condizioni necessarie contestuali: desiderio sincero dei partecipanti
di guardare al futuro e superare le vecchie paure lavorando per un
obiettivo comune
54. Applicare il metodo del consenso:
alcuni problemi di linguaggio e problemi di
comunicazione
Accordo e Disaccordo: si riferiscono solo al piano dei contenuti delle decisioni (le
proposte)
Accordo Pieno: massima accettazione rispetto ad una proposta, unanimità
Accordo Parziale: si accettano pienamente solo alcune parti del contenuto di una
proposta e meno o per nulla altre parti
Disaccordo Parziale: esprime una posizione di maggior dubbio, o minor convinzione,
riguardo alla proposta
Disaccordo Totale: non si è per nulla convinti, anzi si può essere convinti del contrario
di ciò che si sta dicendo
Consenso: si riferisce sial al contenuto sia soprattutto alle relazioni tra i soggetti; si ha
quando, pur non essendo in qualche misura d’accordo sul contenuto di una decisione, si
è comunque d’accordo nel prendere, o non prendere, quella determinata decisione
55. Applicare il metodo del Consenso:
alcuni problemi di linguaggio e comunicazione
Obiezione: indica che il disaccordo è talmente forte da chiedere il blocco o
sospensione della decisione su una determinata proposta
-Blocco: si decide di non assumere quella proposta o di non prendere
quella decisione. Non è mai il singolo o una minoranza a “bloccare” la
proposta, ma il gruppo nel suo insieme (riconoscimento o
legittimazione)
-Stare da parte: accettare che una decisione venga presa anche se in
rapporto ad essa il disaccordo rimane
- Veto: questa parola non ha senso all’interno di un processo orientato al
consenso; ha senso invece in quelli orientati all’unanimità
- Impegno: il MC ha come obiettivo quello di portare un gruppo a
prendere delle decisioni intelligenti e creative con la migliore garanzia di
esser poi realizzate
56. La mediazione sociale e la gestione
dei conflitti
(Carocci & Antolini, 2007)
La mediazione sociale è un insieme di azioni che
contribuiscono alla costruzione (o ricostruzione) di
scambi comunicativi, finalizzate alla comprensione e
alla gestione delle ragioni e delle condizioni della
compatibilità relazionale. Affronta anche le
questioni inerenti l’equilibrio comunitario e l’ordine
relazionale che coinvolgono direttamente i cittadini
57. La mediazione sociale e la gestione dei
conflitti
La mediazione sociale si inserisce all’interno di un rinnovato
senso delle politiche sociali, che assumono pieno significato
quando sono in grado di rigenerare legami tra le persone e
moltiplicare le possibilità di condividere e affrontare i problemi
Non è solo una pratica per riparare i danni che si producono
nelle società complesse, ma è anche l’occasione per riscrivere
nuovi patti di cittadinanza, tra i cittadini, tra le generazioni,
con le istituzioni
Non solo uno strumento usato da specialisti, ma un approccio
utile per costruire un nuovo modello di prassi sociale
Ha a che fare con il tema dell’insicurezza urbana e dei vissuti
che i cittadini elaborano nel loro rapporto con la città e con gli
altri abitanti
58. La mediazione sociale e la gestione dei
conflitti
Secondo Bonafé-Schmit le prassi di mediazione sociale
di basano sul concetto che il quartiere deve essere
riconosciuto come luogo adatto alla gestione dei
conflitti. In genere i progetti di mediazione sociale
hanno l’obiettivo di proporre un modello alternativo
di regolazione dei conflitti a partire dagli abitanti del
quartiere, con l’obiettivo di suscitare azioni che
mirino a ricomporre forme di socialità a partire dalla
regolazione di questi conflitti
59. La mediazione sociale e la gestione dei
conflitti
IL CONCETTO DI “SICUREZZA URBANA”:
Sforzo di ripensare la tradizionale nozione di sicurezza
Prende in esame non solo le minacce costituite dalle forme dirette di
violenza come la criminalità, ma la qualità della sicurezza e del senso
di sicurezza delle persone e delle comunità
Non solo la quantità della violenza ma la qualità delle relazioni
Centralità di variabili che intervengono su tali percezioni di minaccia:
povertà, stato di salute, fruibilità dell’ambiente urbano,
partecipazione alla vita sociale, diritti di cittadinanza, discriminazione,
mancanza di accesso al reddito, all’istruzione, alla sanità, etc…
Crescente esplosione mediatica della criminalità
60. La mediazione sociale e la gestione dei
conflitti
Una città può essere in grado di restituire ai propri abitanti una
nuova percezione di sicurezza, quando, oltre ad un’integrazione
con la sicurezza di ordine pubblico, è in grado di promuovere tra
gli stessi abitanti processi comunicativi bidirezionali e derivanti da
pratiche quotidiane in cui la gestione “creativa” dei conflitti tragga
un valore aggiunto dalla partecipazione dei cittadini
- Possibilità di generare processi di legalità condivisi
- Il presupposto di fondo è che i conflitti degenerino anche
a causa di chiusure comunicative e difficoltà relazionali
61. Il progetto “Mediazione Sociale” a Roma
Promosso dall’Ufficio Roma Sicura del Comune di Roma (precedente
giunta) ed è stato affidato ad un’ATI composta da tre cooperative
sociali: Parsec, Magliana ’80, Eureka 1
Sei zone della periferia romana dove il progetto è stato
implementato: Largo Sperlonga, Ponte di Nona, Quartaccio,
Pietralata, Bastogi e Tor Fiscale
Équipe composte da psicologi, sociologi, antropologi, educatori,
esperti informe di mediazione in ambito sociale, interculturale,
familiare e scolastico
Il progetto “Mediazione Sociale” non si è proposto
come erogatore di un servizio
62. Il progetto “Mediazione Sociale” a
Roma: elementi di metodo
Conflitti riguardanti dati e informazioni:
Assenza o carenza di informazioni
Informazioni erronee
Differenza di opinione sull’importanza delle informazioni
Differenze nell’interpretazione dei dati
Differenze nei procedimenti di valutazione
Conflitti relazionali
Emozioni intense delle parti coinvolte
Percezioni diffuse e condivise e stereotipi
Bassi livelli di comunicazione o errori nella comunicazione
Comportamenti negativi ripetitivi
Conflitti tra valori
Differenti criteri di valutazione delle idee o dei comportamenti
Mete valoriali mutuamente escludentesi
Differenti modelli di vita, ideologici o religiosi
63. Il progetto “Mediazione Sociale” a
Roma: elementi di metodo
Conflitti di interessi
Una competizione percepita o reale
Differenti interessi sostantivi
Differenti interessi di procedura
Differenti interessi psicologici
Conflitti strutturali
Modelli di comportamento o di interazione di tipo distruttivo
Disuguaglianze di controllo, nella proprietà o nella distribuzione delle risorse
Disuguaglianze di potere o autorità
Fattori geografici, fisici o ambientali che impediscono la cooperazione
Limiti di tempo
64. Il progetto “Mediazione Sociale” a
Roma: fasi di attività
- Mappatura dei conflitti, il rilevamento dei bisogni del territorio,
l’individuazione dei possibili interlocutori e delle risorse
territoriali
- Sensibilizzazione degli interlocutori territoriali e delle istituzioni
locali alla cultura e alla prassi della mediazione sociale
- Il lavoro nella comunità: l’empowerment della comunità
attraverso la (ri)costruzione delle reti di relazioni, azioni di
animazione sociale e di rimessa in comunicazione delle
componenti sociali su terreni neutri
- La costruzione di tavoli sociali e la progettazione partecipata
- L’apertura di spazi integrati di mediazione (Sportelli
Arcobaleno)
65. Il progetto “Mediazione Sociale” a Roma
“Quello che distingue il processo di apprendimento individuale
rispetto a un luogo, dalla mente locale di un luogo, è la
frequentazione collettiva e assidua nel tempo:
la conoscenza è legata a un qui”
(La Cecla, 1992)
66. Il progetto “Mediazione Sociale” a Roma: le
attività in ambito scolastico
Programmi di sensibilizzazione e di formazione destinati al personale
della scuola che hanno riguardato in particolare l’educazione alla
legalità come prevenzione della criminalità minorile
Incontri di sensibilizzazione del corpo docente e non docente e degli
operatori del privato sociale sulla sicurezza urbana, mediazione
sociale, empowerment di comunità, tecniche comunicative e nuovi
linguaggi giovanili
Un programma di ricerca-azione di monitoraggio dei conflitti e dei
bisogni dei territori con adulti, ragazzi e agenzie educative
Laboratori mediatici e narrativi (video, foto, arteterapia, etc…) tesi
alla gestione emozionale del conflitto, alla percezione degli spazi
sicuri e insicuri, alla riscoperta del territorio
Costruzione di eventi di animazione in collaborazione con le reti
territoriali attivate dal progetto
67. Il progetto “Mediazione Sociale” a Roma
Approccio multi-track nell’affrontare un mondo complesso,
per sostenere buone relazioni internazionali o una
buona gestione del territorio:
Dirigenti generali delle principali istituzioni nazionali o locali
Dirigenti delle istituzioni intermedie pubbliche e private e anche di
grandi associazioni o organizzazioni non governative
Cittadini e abitanti
68. Produrre stupore, sorpresa, nella gestione
creativa dei conflitti
TRIBALIZZAZIONE Si costruisce un setting che sia metafora del
luogo-tempo del fenomeno in oggetto
MOBILITAZIONE Si costruisce, ricavandola direttamente
dall’esperienza, una dinamica che coinvolga
la struttura profonda implicata nel fenomeno
in oggetto
POLARIZZAZIONE Si dà spazio all’esplicitazione del conflitto
simbolico e bloccato che costituisce oggetto
del fenomeno
DEPRESSIONE Si lascia che tutte le “soluzioni”
precedentemente adottate vengano agite
SBLOCCO Si aspetta che venga agita una ridefinizione
del conflitto simbolico bloccato
EUFORIA Si celebra con un rito la nuova soluzione
trovata
RITRIBALIZZAZIONE Si ridonda l’esistenza della nuova soluzione
trovata e si permette la ridefinizione delle
posizioni degli attori precedentemente
conflittuali
69. L’approccio della peace psychology
Essa si inscrive “in una visione
di pace positiva (e) fa una distinzione netta
tra violenza diretta e violenza strutturale.
Per fronteggiare la prima, la psicologia della
pace incoraggia la conduzione nonviolenta
del conflitto attraverso processi di dialogo;
per affrontare la violenza strutturale, la
psicologia della pace si allinea, invece, con
la ricerca nonviolenta e attiva della giustizia
sociale” (Christie, 2004, p.26)
70. L’approccio della peace psychology
Il suo ambito d’elezione non
saranno solo gli scenari di guerra o guerriglia
ma tutti gli ambiti che intrinsecamente
promuovono culture e pratiche in grado di
ostacolare il pieno sviluppo dei bisogni
individuali (ad es. pratiche sessiste, classiste,
nazionaliste, discriminatorie…)
(Sarrica, 2007)
71. Un esempio di ricerca: lo studio di pace e
guerra come rappresentazioni sociali
A cavallo tra il 2000 e il 2001:
ATTIVISTI PACIFISTI:
- mostravano di far riferimento a rappresentazioni sociali di guerra che
lasciavano aperte delle possibilità concrete di azione rispetto a quelle
emotivamente più cariche e terrificanti elicitate dai non attivisti.
- sembravano aver sviluppato una rappresentazione sufficientemente
stabile e ancorata alle pratiche quotidiane del concetto di Pace.
- “coping di comunità”: affrontando la minaccia della guerra in gruppo e
tramite attività strumentali.
COMUNI CITTADINI (non attivisti):
- sembravano porsi soprattutto su un piano emotivo e individuale,
senza individuare nella pace un’alternativa concreta, valida e
percorribile.
72. Un esempio di ricerca: lo studio di pace e
guerra come rappresentazioni sociali
Fra il 2004 e il 2005 (Sarrica, M. & Contarello, A., 2004)
NON ATTIVISTI
Instabilità nella rappresentazione di pace:
- aspetti simbolici (ad es. colombe bianche, cieli azzurri) e introspettivi
(quiete dei sensi) associati a una visione utopica della pace
- nuovi temi come rispetto e cooperazione: elementi funzionali al
peacebuilding introdotti nel discorso pubblico dalle associazioni
pacifiste
73. Un esempio di ricerca: lo studio di pace e
guerra come rappresentazioni sociali
Nel 2007 (Sarrica, M. & Grimaldi, F., 2007)
Giovani coinvolti all’interno della “Rete per
la Promozione di una Cultura di Pace negli Istituti Superiori Veneziani”
Rappresentazione della guerra minacciosa e centrata su tre temi
chiave:
le conseguenze drammatiche su persone (morte) e cose (distruzione)
la dimensione emozionale di vittime (sofferenza, dolore) e carnefici
(cattiveria, violenza)
temi di attualità e alcune delle cause economiche
74. Un esempio di ricerca: lo studio di pace e
guerra come rappresentazioni sociali
Nel 2007
Giovani coinvolti all’interno della “Rete per
la Promozione di una Cultura di Pace negli Istituti Superiori Veneziani”
La rappresentazione della Pace secondo una tripartizione:
Il primo tema rimanda a un’idea di pace intima, di quiete personale
Il secondo ripropone la sfera della pace come utopia
Il terzo include temi che rimandano alla sfera dei principi necessari alla attiva
costruzione della pace e include concetti come fratellanza, uguaglianza,
solidarietà, rispetto
75. Un esempio di ricerca: lo studio di pace e
guerra come rappresentazioni sociali
La pace, cioè, inizia a non
essere definita solo come assenza di guerra
e come benessere personale, ma come
sforzo attivo e quotidiano di costruzione e di
gestione delle relazioni, anche conflittuali
Se si abbandonano aspirazioni miracolistiche quanto mai
improbabili anche queste piccole riflessioni possono contribuire
alla promozione della pace
76. Conflitto e riconciliazione
(Leone e D’Errico, 2008)
IL TEMPO FA DIMENTICARE LE GUERRE?
La costruzione sociale dell’identità possa essere usata non solo
per sostenere la tensione distruttiva tra i gruppi, ma anche, in
modo più nascosto e sottile, per sostenere il desiderio diffuso
della maggioranza delle persone senza potere, prime vittime
di ogni situazione di guerra, di ritornare ad una vita pacifica
ed armoniosa, elaborando in modi diversi e spesso creativi il
ricordo dei passati conflitti (Leone e Mastrovito, 2007).
77. Conflitto e riconciliazione
IL TEMPO FA DIMENTICARE LE GUERRE?
I processi psico-sociali di costruzione e di comunicazione delle
identità collettive
Riduzione dell’ostilita’
nel breve periodo
Riconciliazione matura nel
lungo periodo
78. Conflitto e riconciliazione
IL TEMPO FA DIMENTICARE LE GUERRE?
Rapporto tra tempo e dimenticanza: la distanza temporale non agisce
direttamente sull’inaccessibilità dei ricordi
Paradosso della memoria (Ricoeur, 1998): non è con la “medicina del
tempo” che le persone comuni possono giungere a non rievocare più il ricordo
dell’ostilità subita.
Appare invece necessario descrivere i processi attivi con cui, nella
comunicazione agli altri e a sé stessi della propria immagine collettiva,
gradualmente si rielabora il significato di quanto è accaduto
Un senso del passato che implichi una rappresentazione di se stessi
come non necessariamente contrapposta ed ostile a quella dell’ex
nemico
79. Conflitto e riconciliazione
L’IMMEDIATO DOPO CONFLITTO: PERCORSO SOCIO-
EMOZIONALE E PERCORSO STRUMENTALE DI RIDUZIONE
DELL’OSTILITA’ (NADLER, 2002; NADLER E LIVIATAN, 2006)
Tipo di conflitto
Circostanze di risoluzione del conflitto
Scopo della riconciliazione
80. Conflitto e riconciliazione
IL PERCORSO SOCIO-EMOZIONALE (Es. Sud-Africa)
Tipo di conflitto: all’interno della stessa società o Stato
Circostanze di risoluzione del conflitto: chiara rappresentazione di chi è
l’aggressore, cui va imputata la maggiore responsabilità delle violenze
perpetrate, e chi è la vittima
Scopo della riconciliazione: ricominciare a vivere come un’unità all’interno
della stessa società o Stato
IMPLICAZIONI:
- Rimuovere le barriere emozionali, soprattutto il senso di vendetta da parte
delle ex vittime
- Ruolo cruciale della dimensione narrativa: presentazione di scuse e ricerca del
perdono finalizzate a provare empatia per chi ha sofferto da parte di chi
chiede scusa e fiducia verso chi chiede scusa da parte di chi ha sofferto
81. Conflitto e riconciliazione
IL PERCORSO STRUMENTALE (Es. conflitto israelo-palestinese)
Tipo di conflitto: due gruppi nazionali distinti, che non condividono lo stesso
territorio
Circostanze di risoluzione del conflitto: entrambe le parti in causa
rivendicano la propria condizione di vittima
Scopo della riconciliazione: la completa separazione dei contendenti
IMPLICAZIONI:
- Accettazione del diritto ad esistere dell’altro
- Progetti di cooperazione paritaria, per esempio su bisogni di tipo basilare come
l’irrigazione, l’agricoltura, etc…
- Paritarietà delle condizioni di status
- Presenza di una terza parte legittimata e gradita da entrambi i contendenti
82. Conflitto e riconciliazione
LA RICONCILIAZIONE MATURA
Passaggio dalla valutazione dell’opportunità di una relazione cooperativa con
l’ex nemico ad una sorta di accomodamento identitario (Kelman, 2006): si
implica che una parte centrale della propria identità sia costituita dalla
negazione del nemico
Ristrutturazione delle credenze sul proprio gruppo e i suoi obiettivi, sul
gruppo rivale, sulle relazioni del passato conflittuale e sulla pace (Bar-Tal e
Ennink, 2004)
Cambiamento individuale: compliance superficiale con le decisioni di vertice,
identificazione dell’individuo con le proposte dei propri leaders,
internalizzazione vera e propria di queste fasi di influenza sociale (Kelman,
1958)
Una nuova visione del vecchio nemico e,
parallelamente, di se stessi
83. Conflitto e indifferenza
(Zamperini, 2004)
Indifferenza civile: quella che utilizziamo verso il simile, anche
all’interno di contesti quotidiani. Società dell’individualismo le cui
caratteristiche salienti sono l’indifferenza e l’impazienza.
Indifferenza verso il diverso: ossia verso l’escluso (come avviene
in molte società autoritarie). Es. una larga parte della società
argentina è stata definita “sovversiva” e quindi esclusa dalla vita
sociale.
Questi gesti non hanno solo una
valenza politica ma anche
un’influenza decisiva sulla sfera
psicologica individuale
La comunità è una sorta di
“arma a doppio taglio”: può
essere considerata un valore
aggiunto ma può anche essere
strumento di esclusione