News 27/SA/2016
Lunedì, 03 luglio 2016
Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi
Nella settimana n.27 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta
europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 71 ( 18 quelle inviate dal Ministero
della salute italiano).
L’elenco dei lotti respinti alla frontiera comprende i seguenti casi: canna da
zucchero infestata da muffe proveniente dall’Egitto; aflatossine in popcorn giallo in
grano proveniente dall’Argentina; troppo alto livello di migrazione globale da
forche in acciaio inox provenienti dalla Cina; troppo alto livello di migrazione
globale da pentole in acciaio provenienti da Hong Kong; deossinivalenolo in grano
tenero dagli USA.
Allerta notificata dall’Italia per: cadmio in polpo intero pulito congelato in (octopus
membanaceus) proveniente dal Vietnam, via Olanda; conta troppo elevata di
Escherichia coli in cozze refrigerate provenienti dall’Italia; listeria in insalata fredda
con uova di carpa/Hering con cipolle o pesce affumicato proveniente dalla
Romania; istamina in fette di tonno pinna gialla congelate (Thunnus albacares)
provenienti dalla Spagna; mercurio in lombi di pesce spada refrigerati sottovuoto
(Xiphias gladius) provenienti dalla Spagna; listeria monocytogenes in salami
provenienti dall’Italia.
Nella lista delle informative notificata dall’Italia troviamo: mercurio in pasta di tonno
dalla Spagna, etichettatura non corretta di filetti di nasello congelati (Merluccius
productus) provenienti dalla Cina; cadmio in polpo congelato (Octopus vulgaris)
proveniente dal Vietnam; cadmio in calamari refrigerati (Todarodes sagitatus)
provenienti dalla Spagna; mercurio in pesce spada scongelato sottovuoto (Xiphias
gladius) proveniente dalla Spagna; presenza di DNA di ruminante in mangime
completo per acquacoltura proveniente dalla Germania; infestazione da parassiti di
sgombro atlantico refrigerato (Scomber scombrus) proveniente dalla Spagna.
Fonte: rasff.eu
Microplastiche e nanoplastiche in pesci e molluschi, per Efsa necessario valutare i
rischi per la salute.
La contaminazione da microplastiche e nanoplastiche degli alimenti è al centro di
una dichiarazione pubblicata dall’Efsa, su richiesta dell’Istituto federale tedesco per
la valutazione dei rischi (BfR). Per gli esperti dell’agenzia europea per la sicurezza
alimentare la presenza di plastiche, soprattutto nel pesce e nei molluschi, è un
potenziale rischio per la salute dei consumatori. Le conoscenze sull’argomento sono
però molto limitate ed è necessario definire priorità di ricerca per garantire la
sicurezza della popolazione e la tutela dell’ambiente.
Le microparticelle sono frammenti di plastica dimensioni comprese tra il mezzo
centimetro e gli 0,1 micrometri, cioè circa 100 volte più piccole di un capello
umano. Le nanoparticelle, che possono originarsi dalle microplastiche in seguito a
un’ulteriore degradazione, hanno dimensioni comprese tra 1 e 100 nanometri, cioè
fino a 80 mila volte più sottili di un capello. Le nanoparticelle negli alimenti sono
state più volte al centro del dibattito per la mancanza di dati certi sulla loro
sicurezza.
Riprendiamo i punti salienti dell’intervista sulla tossicità delle microplastiche,
pubblicata sul sito Efsa fatta a Peter Hollman, ricercatore capo presso l’istituto di
ricerca RIKILT nonché professore associato di nutrizione e salute presso l’Università di
Wageningen nei Paesi Bassi.
Che cosa sono le micro e le nanoplastiche?
«L’uso sempre più intenso della plastica nel mondo ha causato la formazione negli
oceani di ampie aree di rifiuti di plastica galleggianti, la cosiddetta “zuppa di
plastica”. Sono state osservate aree grandi quanto la Francia. Questi rifiuti di plastica
galleggianti si stanno frammentando gradualmente in particelle più piccole, che
alla fine diventano microplastiche e persino nanoplastiche. Si tratta di pellet, fiocchi,
sferoidi e anche granelli sintetizzati in queste dimensioni.»
Quali alimenti contengono questi materiali?
«Non esistono dati sulla presenza di nanoplastiche negli alimenti, ma vi sono alcune
informazioni sulle microplastiche, in particolare per l’ambiente marino. Si registrano
elevate concentrazioni nei pesci, ma poiché le microplastiche sono presenti per lo
più nello stomaco e nell’intestino, che di solito vengono eliminati, i consumatori non
ne risultano esposti. Tuttavia, nel caso dei crostacei e dei molluschi bivalvi, come le
ostriche e le cozze, il tratto digestivo viene consumato, per cui si ha una certa
esposizione. Ne è stata riferita la presenza anche nel miele, nella birra e nel sale da
tavola.»
Sono nocive per i consumatori?
«È troppo presto per dirlo, ma sembra improbabile, almeno per le microplastiche.
Una potenziale preoccupazione riguarda le elevate concentrazioni di agenti
inquinanti quali i policlorobifenili (PCB) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), che
possono accumularsi nelle microplastiche. Potrebbero anche esserci residui di
composti utilizzati negli imballaggi, come il bisfenolo A (BPA). Alcuni studi indicano
che le microplastiche, dopo il consumo negli alimenti, possono trasferirsi nei tessuti. È
quindi importante stimare l’assunzione media.
Sappiamo che le nanoparticelle di sintesi (da diversi tipi di nanomateriali) possono
penetrare nelle cellule umane, con potenziali conseguenze per la salute. Ma sono
indispensabili ulteriori ricerche e maggiori dati.»
Fonte: ilfattoalimentare.it
Multa di 50 mila euro per il “vino libero” di Eataly, accusata di pubblicità scorretta.
Le bottiglie contengono solfiti.
Il “vino libero” a quanto pare non è poi così libero e Eataly deve pagare una multa
da 50 mila euro per la pubblicità apparsa qualche mese fa sui più importanti
quotidiani. La decisione è stata presa dall’Antitrust che ha ritenuto scorretto lo
slogan scelto per vendere il vino firmato dalla catena Eataly, con l’intento di offrire
al consumatore bottiglie libere “dalla chimica”, ossia da concimi chimici, erbicidi e
solfiti. Nel 2013 Il Fatto Alimentare ne aveva parlato in due differenti articoli (qui e
qui), spiegando quale fosse il senso del prodotto ed evidenziando le criticità di un
messaggio che nelle intenzioni voleva proporre un prodotto con meno sostanze
chimiche rispetto ad altri prodotti, forse in un modo troppo aggressivo.
Le bottiglie di vino Eataly provengono da aziende che aderiscono all’Associazione
Vino Libero e sono state vendute nella catena di Oscar Farinetti dal 2014 fino a
gennaio di quest’anno. Secondo l’Antitrust lo slogan e il nome scelto farebbero
credere ai consumatori che il vino sia totalmente libero da solfiti, erbicidi e concimi.
In realtà non è così, dato che – come la stessa associazione dice sul sito – si tratta di
vini “la cui dose massima di solfiti è inferiore almeno del 40% rispetto al limite previsto
per legge” e anche sulle bottiglie è riportata la dicitura “contiene solfiti”. Da qui
l’accusa riscontrata dall’Antitrust di “pratica commerciale scorretta“. In realtà
Eataly si era impegnata a modificare le etichette delle bottiglie a pratire dal marzo
2015 appiccicando un bollino con la scritta “vino libero da concimi di sintesi, libero
da erbicidi, libero da almeno il 40% dei solfiti rispetto al limite previsto dalla legge” ,
ma l’accordo non è stato rispettato. A questo l’Antitrust è nuovamente intervenuto
e Eataly dovrà modifica i cartelli e le diciture oltre che pagare una multa. Le sanzioni
riguardano anche l’Associazione e le società Mirafiore e Fontanafredda (8.000 €) e i
distributori dei prodotti “Vino Libero” (5.000 €).
Fonte: ilfattoalimentare.it
Nanoparticelle negli alimenti: la sicurezza è ancora da valutare, mancano strumenti
e conoscenze.
Le nanoparticelle sono degli insiemi di atomi o molecole le cui tre dimensioni
(lunghezza, larghezza e altezza) sono comprese fra 1 e 100 nanometri. Per rendersi
conto di cosa stiamo parlando basta dire che un nanometro corrisponde ad un
milionesimo di millimetro (da 40 a 80 mila volte più sottile di un capello). Anche se
invisibili ad occhio nudo le nanoparticelle e i nanomateriali (termine più ampio che
comprende materiali di cui almeno una dimensione è in scala “nano”) trovano
sempre più applicazioni nei prodotti di uso comune (come farmaci, dentifrici e
cosmetici). Molte sono le potenziali applicazioni negli alimenti sotto forma di additivi
o ingredienti, recentemente normati dal Regolamento europeo sui “novel foods”
(1). Tutto ciò però accade anche se non si conoscono bene gli effetti sulla salute.
In Unione Europea, per essere utilizzati negli alimenti, i nanomateriali devono seguire
una procedura di autorizzazione, che prevede una preventiva valutazione del
rischio da parte dell’Efsa. Fino ad ora sono state concesse autorizzazioni solo per
alcuni additivi da usare come materiale plastico a contatto con gli alimenti
(soprattutto bevande) di cui non è stata evidenziata la migrazione nel cibo. Da
parte dell’industria c’è però l’interesse ad un impiego delle nanoparticelle
direttamente nella preparazione degli alimenti, per migliorare le caratteristiche
tecnologiche. Efsa non ha ancora ricevuto richieste in questo senso, anche se da
molti anni esistono additivi autorizzati che hanno dimensioni nano. Il biossido di silicio
(E551), per esempio, è un antiagglomerante utilizzato nei prodotti liofilizzati e in
polvere per rendere più fluide salse come il ketchup. Il biossido di titanio (E171), che
però ha dimensioni medie superiori a 100 nm ed è solo in parte in forma “nano”,
viene aggiunto nelle creme delle brioche per migliorare il colore bianco della
farcitura. La cosa importante da ricordare è che le particelle nanometriche, come
quelle dell’argento e del biossido di titanio, hanno proprietà che gli stessi materiali in
dimensioni macroscopiche non hanno.
La nuova normativa europea prevede che la presenza di ingredienti o additivi
“nano” debba essere dichiarata in etichetta (2). Per controllare l’applicazione della
norma, l’associazione ambientalista francese Ager pour l’environnement ha
analizzato alcuni prodotti comprati al supermercato, verificando in laboratorio
l’eventuale presenza di additivi “nano”. I prodotti scelti sono stati sottoposti ad
analisi fisico-chimiche (dolcetti al cioccolato Napolitain LU, gomma da masticare
Malabar, spezzatino di vitello in scatola William Saurin con biossido di titanio, e il mix
di spezie per guacamole Carrefour con biossido di silicio) che hanno evidenziato la
presenza di additivi in forma nano non dichiarati sull’etichetta.
L’Efsa sta riesaminando la sicurezza di questi additivi autorizzati molti anni prima delle
nuove recenti norme sugli ingredienti “nano” e sulla relativa etichettatura. Il lavoro
non è facile perché le conoscenze sugli effetti delle nanoparticelle sono lacunose e
faticano a tenere il passo con lo sviluppo tecnologico del settore. Alcuni studi hanno
lanciato l’allarme sui possibili effetti negativi sull’uomo, trattandosi di composti
talmente piccoli da essere in grado di entrare nel circolo sanguigno e distribuirsi in
tutti gli organi e i tessuti, con conseguenze solo parzialmente conosciute e
prevedibili. Per questo motivo l’Unione Europea, oltre ad averne regolamentato
l’impiego negli alimenti, è impegnata a promuovere e finanziare la ricerca per
stabilire livelli di sicurezza.
«L’Efsa deve fare i conti con carenze conoscitive importanti – spiega Francesco
Cubadda dell’Istituto superiore di sanità, esperto di valutazione del rischio dei
nanomateriali – e bisogna considerare che il mondo delle nanotecnologie è un
settore che avanza ogni anno con una velocità dieci volte superiore rispetto ad altri
ed è impegnativo restare aggiornati con i test tossicologici e analitici appropriati».
Infatti, sono numerosi i parametri fisico-chimici delle nanoparticelle che influenzano il
modo di interagire con il nostro organismo. Per fare una valutazione di sicurezza
occorre considerare diversi elementi come, per esempio, la dimensione, l’area
superficiale, i rivestimenti, la morfologia e la solubilità. «Fino a quando non si riuscirà
ad elaborare dei paradigmi generali per interpretare le indagini tossicologiche –
continua Cubadda – è necessario valutare tutti i parametri caratteristici di ogni
nanoparticella e il lavoro diventa davvero lungo.»
Ancora più preoccupante è il pericolo emergente delle nanoparticelle di plastica
che si formano in seguito alla disgregazione di rifiuti plastici negli oceani e si
accumulano negli organismi marini entrando nella catena alimentare. Secondo un
documento dell’Efsa non ci sono dati a sufficienza per poter affrontare la questione
e valutare il rischio che corrono i cittadini, soprattutto per le nanoparticelle plastiche
presenti nei tessuti dei pesci e dei molluschi che poi finiscono sulle nostre tavole. «Se
già è difficile valutare la sicurezza di una nanoparticella creata artificialmente –
spiega Cubadda – è ancora più complicato capire gli effetti sulla salute di
frammenti di plastica di dimensione nanometrica. Si tratta di un settore dove la
conoscenza scientifica è praticamente zero.»
Altra storia è quella delle microplastiche, frammenti di plastica di dimensioni
maggiori delle nanoplastiche, dai quali spesso queste ultime originano. Queste
microparticelle però non riescono a superare le barriere dell’organismo e rimangono
confinate allo stomaco e nell’intestino degli animali acquatici. Un potenziale
problema potrebbe presentarsi per gli abituali consumatori di ostriche e molluschi,
che vengono mangiati con le interiora. In questo caso,stiamo parlando di sostanze
tossiche tipiche delle plastiche come gli idrocarburi policiclici aromatici, bifenili
policlorinati e interferenti endocrini come il BPA. Secondo l’Efsa, però, l’apporto
delle sostanze tossiche da pesci e molluschi rimane un problema minimo rispetto alle
altre fonti. (Articolo di Giulia Crepaldi)
(1) Regolamento (UE) 2283/2015 sui cosiddetti “novel foods”, cibi innovativi e di consumo non
comune in Europa.
(2) Regolamento (CE) 1169/2011 sull’etichettatura degli alimenti: tutti gli additivi e ingredienti in forma
di nanomateriali devono essere seguiti dall’indicazione “nano” tra parentesi.
Fonte: ilfattoalimentare.it
Latte d’asina: un alimento della tradizione ancora molto funzionale.
l latte d’asina è un alimento conosciuto sin dall’antichità. Le più antiche
testimonianze storiche che documentano la presenza di allevamenti asinini sono
delle raffigurazioni su bassorilievo risalenti al 2500 a.C. ritrovate in Egitto. Ippocrate e
Plinio il Vecchio ne prescrivevano l’uso come medicamento. Cleopatra e Poppea
ne conoscevano le proprietà cosmetiche. Bisognerà però attendere il Rinascimento
per una prima vera considerazione scientifica del latte di asina da parte dei saggi
del tempo. Francesco I, in Francia, su consiglio dei suoi medici utilizza latte d’asina
per guarire da una lunga malattia. In base all’esperienza di Francesco I in Francia si
diffuse l’abitudine di allevare asine in prossimità di ospedali. Sempre in Francia si
diffuse nel 19° secolo ad opera del Dottor Parrot dell’“Hospital des Enfants Assistés”
la pratica di avvicinare i neonati orfani di madre direttamente al capezzolo
dell’asina; i bambini alimentati in questo modo crescevano meglio ed erano più sani
rispetto ai bambini alimentati con latte vaccino.
Da sempre l’asino ha svolto il ruolo di mezzo di trasporto e di macchina da lavoro.
Nel secolo scorso è stato utilizzato, insieme al mulo, dall’esercito italiano per il
trasporto di armi e rifornimenti. Un ruolo, apparentemente secondario, è stato quello
della produzione di latte anche se nel secolo scorso era normale consuetudine fare
ricorso al latte d’asina nei casi in cui vi fosse carenza di latte materno o quando si
manifestava una intolleranza verso l’assunzione di latte vaccino. A partire dagli anni
’50, l’avvento della meccanizzazione, rese obsoleti gli animali da lavoro e con il
declino della popolazione asinina si perse anche la memoria dell’utilità del suo
prezioso latte. Solo in tempi recenti la comunità scientifica ha riscoperto dalla
tradizione storica l’importanza del latte di asina, studiandone le potenzialità.
Il profilo biochimico del latte d’asina è molto vicino al latte umano pertanto viene
raccomandato come alimento alternativo nei bambini affetti da allergia alle
proteine del latte vaccino. Il latte vaccino ha una concentrazione proteica tripla
rispetto al latte umano ed è proprio la ricchezza in proteine termostabili,
essenzialmente caseine e beta-lattoglobuline, che lo rendono causa di allergia in
circa il 3% dei bambini. È possibile sostituire il latte vaccino con formule di origine
vegetale (soia), oppure con latti idrolizzati che hanno perso il potere allergizzante. Il
problema di queste formule è quello di non essere sempre tollerate, potenzialmente
allergizzanti e di avere un gusto non particolarmente gradevole, per cui spesso sono
assunte mal volentieri dal lattante. Il latte d’asina, a differenza degli altri sostituti del
latte materno, si dimostra in grado di nutrire a basso rischio di allergenicità
garantendo un piacevole sapore dato dalla presenza di lattosio in quantità
superiori.
Interessante anche l’utilizzo in alcune patologie di pertinenza geriatrica. Il latte di
asina è infatti considerato un ottimo alimento per diverse categorie di consumatori
in considerazione dell’elevata digeribilità, del contenuto in vitamine, sali minerali,
zuccheri, immunoglobuline e acidi grassi polinsaturi della serie omega 3. Tra i
minerali spicca l’elevata concentrazione di calcio reso facilmente assimilabile a
livello intestinale dalla presenza di lattosio in concentrazioni simili a quelle del latte
materno, caratteristica questa che influenza positivamente la mineralizzazione ossea
nei primi mesi di vita e in caso di osteoporosi. Il lattosio ha anche un ruolo probiotico
rappresentando il substrato per un corretto sviluppo della flora batterica intestinale.
Non trascurabile la presenza di peptidi bioattivi come il lisozima che ha un ruolo
battericida nei confronti di microrganismi potenzialmente patogeni sia nel latte,
assicurandone una maggiore stabilità microbiologica, sia nell’intestino del
consumatore. L’interazione tra dieta e microbiota intestinale è la chiave di numerosi
fenomeni che influenzano lo stato di salute del soggetto. Il latte d’asina grazie alle
sue caratteristiche agisce in modo selettivo sulla flora batterica intestinale
modulando la risposta immune, antinfiammatoria e metabolica dell’organismo.
Il latte d’asina è un alimento a basso contenuto calorico pertanto adatto a chi
segue diete ipocaloriche, caratterizzato da un basso tenore di grassi saturi
unitamente ad una buona concentrazione di acidi grassi polinsaturi capaci di
interagire nello sviluppo del sistema nervoso del neonato e di grande utilità nella
prevenzione di numerose patologie.
Concentrandoci infine sulla definizione di alimento funzionale, questo, secondo la
Commissione sulla scienza degli alimenti funzionali in Europa (FUFOSE), è «un
alimento che ha un effetto benefico su una o più funzioni nell’organismo, al di là
degli effetti nutritivi, in un modo rilevante per il miglioramento dello stato di salute e
benessere e/o per ridurre il rischio di malattia. È consumato come parte di un regime
alimentare normale. Non è una pillola, una capsula o qualsiasi forma di integratore
alimentare». In quest’ottica il latte d’asina date le sue peculiari proprietà e
caratteristiche può a tutti gli effetti essere considerato alimento funzionale e come
tale potrebbe essere integrato nell’alimentazione di particolari momenti della vita.
(Dal blog di Agostino Macrì)
Fonte: sicurezzalimentare.it
Controlli ufficiali, in Europa stretta su frodi, avanti su trasparenza e razionalizzazione.
In base alla bozza filtrata sui controlli ufficiali, in Europa le frodi- sebbene non sarà
possibile sanzionarle con il doppio del guadagno atteso- come inizialmente
proposto dal Parlamento UE- dovranno essere fortemente dissuasive. E dotate di
sufficiente deterrente per i violatori. Una buona notizia, sebbene poi le scelte
dovranno essere fatte a livello nazionale. Sebbene nominalmente non vi saranno
esenzioni, come inizialmente prospettato- per le micro-imprese, gli Stati membri
portanno decidere di abbassare anche notevolmente le tariffe o addebiti,
considerando proprio gli operatori con basso volume produttivo, o che usano
metodi tradizionali produttivi o che sono situati in regioni soggette a vincoli
geografici particolari. Nonostante la proposta iniziale, a conti fatti e considerando la
struttura produttiva tipica delle imprese europee, al 99% piccole e medie, non sarà
possibile infatti prevedere di sottrarre le micro-imprese dai costi caricati per i controlli
ufficiali. La scelta di caricare i costi dei controlli ufficiali sulle imprese nasce dalla
forte crisi economica dell’Eurozona, che non lascia spazio alle finanze pubbliche per
supplire. I costi caricati alle imprese, riguarderanno i controlli per loghi, simboli e
certificati come il biologico, il DOP/IGP o specialità tradizionali garantite, mentre le
sanzioni in caso di frodi dovranno essere dissuasive, e costituire un deterrente
sufficiente per evitare il ripetersi delle frodi stesse, includendo il potenziale danno alla
salute umana. In base al testo di accordo sulla normativa di revisione sui controlli
ufficiali raggiunto dal Parlamento europeo e dal Consiglio, saranno previste tasse di
scopo per compensare e rendere sostenibili i costi dei controlli ufficiali, così come i
controlli alle frontiere. Ad ogni modo, tali tasse di scopo non potranno eccedere,
anche se dovranno coprire, i costi generali imputabili ai controlli. Coerentemente
con quanto già prospettato, il costo dei controlli dovrebbe essere proporzionato al
tasso di rispetto delle regole- con costi più bassi per chi ha avuto controlli con esito
positivo in passato, in ragione della più bassa frequenza di controlli richiesta per il
futuro. E’ previsto in ogni caso il mantenimento di un Piano Multi Annuale dei
Controlli, come già oggi, in modo armonizzato, in modo da avere una frequenza dei
controlli basata sui rischi. La Commissione tramite i suoi esperti produrrà audit per
verificare la rispondenza dei piani di controllo nazionali alla normativa europea. La
trasparenza sarà un altro caposaldo del regime dei controlli ufficiali, con l’obbligo
da parte degli Stati membri di pubblicare almeno una volta all’anno i risultati.
Controlli veterinari Una ulteriore novità riguarda il dibattito circa la necessità o meno
di impegnare medici veterinari in fase di controlli al macello- e non personale
tecnico- in ragione dei diversi costi. SI è infine optato per lasciare le ispezioni ante-
mortem a personale veterinario, che può essere aiutato da personale tecnico per la
selezione dei capi. Per contro le ispezioni post-mortem potranno essere svolti dagli
ausiliari, previsto che siano poste sufficienti garanzie a responsabilità del veterinario.
Il testo è ancora soggetto a voto finale del Parlamento europeo e ad una adozione
formale dal Consiglio UE. Fonte: sicurezzaalimentare.it
Prodotti fitosanitari negli alimenti, i risultati italiani del 2014.
E’ stato pubblicato l’ultimo rapporto del Ministero della Salute, “Controllo ufficiale sui
residui di prodotti fitosanitari negli alimenti - risultati in Italia per l'anno 2014 “,che
permette di valutare in profondità costituenti importanti della dieta italiana e
mediterranea e continuare a garantire una alimentazione sicura.
Nel corso dell’anno 2014 sono stati analizzati complessivamente 8946 campioni per
verificare la presenza di residui di prodotti fitosanitari. I campioni riguardano
ortofrutta, cereali, alcuni prodotti trasformati, quali olio e vino, i baby food, e altri
prodotti (trasformati di frutta, ortaggi, cereali, le spezie, i semi , etc). Inclusi anche i
risultati del piano coordinato comunitario, i prodotti di origine biologica e alcuni
alimenti di origine animale.
Di questi soltanto 29 sono risultati superiori ai limiti massimi consentiti dalla normativa
vigente, con una percentuale di irregolarità molto contenuta, pari all’0.3%.
Rispetto al 2013 le irregolarità sono diminuite dello 0.2% (erano lo 0.5%). Inoltre i
risultati complessivi nazionali, indicano un elevato livello di protezione del
consumatore considerando che la percentuale d’irregolarità è ben al di sotto della
media europea (1,5%).
I baby food o gli altri prodotti, sono stati campionati anche se non previsti tra gli
alimenti del piano nazionale proprio al fine di garantire una maggiore tutela non
solo dei consumatori ma anche delle fasce più vulnerabili quali i bambini e i
vegetariani.
"Controllo ufficiale sui residui di prodotti fitosanitari negli alimenti - risultati in Italia per l'anno 2014"
http://www.salute.gov.it/imgs/C_17_pubblicazioni_2506_allegato.pdf
Fonte: sicurezzaalimentare.it
Eurobarometro antibiotico resistenza, solo il 39% italiani sa che antibiotici come
promotori crescita è proibito.
L’antibiotico-resistenza è un tema di grande attualità, che vede sforzi concertati
globali e intersettoriali: se in Europa Efsa collabora con l’Agenzia Europea per la
Medicina (EMA) e l’European Center for Disease Control (ECDC), la cooperazione
vede anche una task force Europa –Usa specifica. E più recentemente, nelle proprie
posizioni negoziali, la Commissione europea ha inserito un capitolo proprio sulla
resistenza microbica, per provare a coordinare sforzi su una piaga globale. Circa
25.000 decessi ogni anno sono attribuiti in Europa a fenomeni di insensibilità agli
antibiotici, ed una cifra di pari entità è considerata attibuibile agli Usa (23.000), ma vi
è il forte sospetto che tali dati ne sottostimino la reale portata. Se il piano europeo
per contrastare la resistenza microbica (Action Plan on Antimicrobial Resistance)
copre il periodo 2011-2016, proprio ad aprile 2016 la Commissione europea ha
voluto, tramite il proprio strumento di indagine “Eurobarometro”, verificare la
consapevolezza dei cittadini europei in materia, per capire anche la virtuosità dei
comportamenti di utilizzo. E’ proprio un eccessivo e scriteriato uso degli antibiotici,
anche grazie alla complicità di medici accondiscendenti alle richieste dei pazienti,
che si deve almeno in parte la resistenza agli antibiotici da parte dei ceppi sempre
più aggressivi di batteri.
Si riduce l’uso di antibiotici
Sebbene oltre 1/3 degli europei abbia fatto uso di antibiotici nell’anno solare che
precede l’indagine, il consumo è nel complesso diminuito di circa il 6% , ma con
enormi variazioni tra i paesi. L’Italia purtroppo rimane uno dei paesi che abusano
maggiormente di antibiotici (con il 43% dei cittadini che ne ha fatto uso nell’ultimo
anno, a livello domestico), secondo tra i grandi paesi solo alla Spagna (47%). Per un
confronto, la Svezia ha solo un 18% di uso, l’Olanda un 20% e la Germania un 23%.
Inoltre circa il 73% dei cittadini intervistati dichiara di aver ottenuto gli antibiotici dal
proprio medico tramite prescrizione: una cifra troppo elevata. Basterebbe agire
quindi sui medici per ridurre significativamente il consumo di antibiotici da parte dei
pazienti.
Bassa conoscenza
Ma le conoscenze generiche e specifiche sugli antibiotici e meccanismo di azione
sono in buona parte ancora ignorate: il 57% degli europei non sa che gli antibiotici
non hanno alcuna efficacia contro i virus; la causa principale che ha motivato a
prender gli antibiotici? Bronchite (18%), influenza (16%) e dolore alla gola (14%): tutti
sintomi che possono essere attribuiti ad un quadro virale.
Le conoscenze sugli antibiotici e sul fenomeno dell'antibiotico resistenza rimangono
basse, con la maggioranza degli europei (57%) che non sa che gli antibiotici sono
inefficaci contro i virus, ad esempio. Solo il 28% degli italiani –contro il 72% degli
svedesi- sa che gli antibiotici non uccidono i virus- siamo al quart’ultimo posto in
Europa-. Solo il 49% degli italiani sa che gli antibiotici non sono efficaci per
l’influenza, contro il 79% dei finlandesi. Inoltre gli italiani sono i più ignoranti circa la
consapevolezza che un uso smodato di antibiotici aumenti la resistenza dei batteri
(solo un 49% lo sa), contro il 98% degli svedesi, il 96% degli olandesi, ed il 94% dei
danesi e finlandesi.
L'indagine mostra chiaramente che esiste una correlazione virtuosa tra migliore
informazione e basso consumo di antibiotici. Un gap culturale insomma che riflette
lo stato del paese e che dimostra come sempre più sia necessario fare qualcosa.
Solo il 15% degli italiani ricorda di aver ricevuto informazioni per evitare l’abuso di
antibiotici. Ma il paradosso italiano è che i nostri connazionali sono quelli che
ricevono maggiori informazioni dagli operatori sanitari sugli antibiotici. Informazioni
che però non si traducono-evidentemente- né in conoscenza né successivamente
in comportamenti concreti.
Allevamento e agricoltura
Nonostante l’abuso di antibiotici per l’uomo, gli italiani dimostrano una tendenziale
avversione per l’uso di antibiotici negli allevamenti, anche quando necessario come
trattamento.
Solo il 44% degli intervistati italiani è infatti d'accordo con il fatto che gli animali
d'allevamento ammalati debbano essere trattati con antibiotici se questo è il
trattamento più appropriato (contro il 56% della media europea).
Solo il 39% degli intervistati italiani sa che l'utilizzo degli antibiotici per stimolare la
crescita degli animali d'allevamento è proibito all'interno dell'Ue. La media europea
è ancora più bassa: 37%.
"La mancanza di consapevolezza che emerge dall’indagine indica che bisogna
intensificare gli sforzi", ha detto, il commissario europeo per la Salute e la sicurezza
alimentare, Vytenis Andriukaitis, "dando una forte spinta alla ricerca per lo sviluppo
di nuovi antibiotici e di alternative agli antibiotici".
La sintesi (in inglese)
La scheda informativa sull'Italia
Il Piano d'azione di lotta ai crescenti rischi di resistenza antimicrobica Ue (2011)
Fonte: sicurezzaalimentare.it
Interferenti endocrini, la proposta della Commissione
Vytenis Andriukaitis, Commissario responsabile per la Salute e la sicurezza alimentare,
ha dichiarato: " La Commissione rafforza oggi il proprio impegno a tutela della
salute della popolazione dell'Unione europea." Molte sostanze chimiche impiegate
nei prodotti fitosanitari o nei biocidi sono già state vietate a causa dei loro effetti
avversi, il che dimostra l'impegno dell’UE a proteggere i cittadini dai rischi derivanti
da sostanze chimiche che non sono sicure.”
La Commissione europea ha appena pubblicato due bozze legislative per sostanze
considerate come interferenti endocrini (una per i fitosanitari, l’altra per i biocidi),
nonché una comunicazione ed una relazione di impatto sulla possibile definizione
degli interferenti endocrini, da tempo attesa. Tuttavia, solo fitosanitari e biocidi sono
inclusi al momento, lasciando fuori sostanze come il controverso bisfenolo A usato
nelle plastiche alimentari.
Sarà un approccio che va di pari passo con l’approvazione dei criteri della
Organizzazione Mondiale della Sanità – in modo da favorire una lettura armonizzata
e consensuale su un tema tanto delicato- quello sugli interferenti endocrini. E
sebbene sia ancora presto, il dado è tratto- nel senso che i limiti di azione della
Commissione europea sono stabiliti, così come la strada tracciata.
Interferenti endocrini
In base alla recente e accessibile definizione di Efsa sul proprio glossario on line, gli
interferenti endocrini sono “ Le sostanze attive a livello endocrino (EAS) sono
sostanze in grado di interagire o interferire con la normale azione ormonale.
Quando ciò provoca effetti avversi, si parla di “interferenti endocrini”, e ancora:
“Il sistema endocrino è importante per la salute dell’uomo e degli animali, perché
regola e controlla il rilascio di ormoni. Gli ormoni sono i messaggeri chimici
dell’organismo e sono essenziali per funzioni come il metabolismo, la crescita e lo
sviluppo, il sonno e l’umore. La regolazione ormonale è di particolare importanza
nelle fasi critiche dello sviluppo, ad esempio per il feto o durante l’infanzia. Il sistema
endocrino è molto complesso e la regolazione della secrezione ormonale dipende
da molteplici fattori”.
Cautela per i consumatori ma tutela per i produttori
Un’ulteriore precisazione fatta dalla Commissione riguarda le modalità di regolare gli
interferenti endocrini: come da normativa esistente su fitosanitari e biocidi,
l’approccio seguito è quello di escluderli se rischiosi a priori, e quindi, senza
considerare l’esposizione reale in pubblici target (es, consumatori o lavoratori). Di
conseguenza, non saranno ammesse “dosi sicure” per le due normative, in quando
considerati indesiderabili a tutti gli effetti. Tuttavia, al fine di non penalizzare
eccessivamente la agricoltura europea, sono state consentite eccezioni. In caso
dei fitosanitari ad esempio, in caso di “esposizione limitata” e –qualora vi sia un serio
pericolo per la salute vegetale, in condizioni di uso strettamente controllate”, tali
sostanze potranno essere ammesse.
La Comunicazione
Dal 1999, con la sua “strategia per gli interferenti endocrini”, la Commissione
europea ha stabilito un piano a breve, medio e lungo termine per limitare i danni
possibili da sostanze che interagiscono con il nostro sistema ormonale. Scopo ultimo
è limitarne la possibilità di creare effetti avversi sull’uomo. La Commissione europea
chiederà inoltre un approccio armonizzato di valutazione tra Efsa e Autorità
europea per la valutazione delle sostanze chimiche.
Nel caso dei biocidi, possibili deroghe con utilizzo di interferenti endocrine
riconosciuti come tali potranno essere ammesse sulla base di tre diversi criteri:
- Esposizione limitata;
- Necessità per prevenire o controllare seri pericoli per la salute umana o
ambientale
- Sproporzionato impatto per la società nel suo insieme.
Per contro nel caso dei fitosanitari, le sole condizioni di deroga riguardano la
esposizione limitata.
Il progetto di regolamento sui prodotti fitosanitari sarà votato dagli Stati membri. Il
regolamento sui biocidi sarà discusso da un gruppo di esperti degli Stati membri
prima di essere adottato dalla Commissione.
Entrambe le misure prevedono il coinvolgimento del Parlamento europeo e del
Consiglio. Per assicurare la coerenza tra i due atti la Commissione li presenterà
contemporaneamente al Parlamento europeo e al Consiglio che potranno così
esercitare le loro funzioni.
Fonte: sicurezzaalimentare.it