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News 13/SA/2015
Lunedì,06 Aprile 2015
Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi
Pesticidi in zenzero dal Nicaragua e cromo in coltelli cinesi. Ritirati dal mercato
europeo 64 prodotti
Nella settimana n°13 del 2015 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta
europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 64 (12 quelle inviate dal Ministero
della salute italiano).
L’elenco dei prodotti distribuiti in Italia che non implicano un intervento urgente
comprende un caso: alto contenuto di alluminio in farina di banano dagli Stati Uniti.
Tra i lotti respinti alle frontiere od oggetto di informazione, l’Italia segnala: migrazione
di cromo da set per barbecue dalla Cina; migrazione di cromo dal set di coltelli
cinesi; residui di pesticida (ciproconazolo) in zenzero dal Nicaragua; eccesso di
Escherichia coli in vongole vive italiane (distribuite in Germania); infestazione
parassitaria da Anisakis simplex di rana pescatrice refrigerata (Lophius piscatorius)
dalla Francia; aflatossine in arachidi dal Gambia; mercurio in due lotti filetti di pesce
spada fresco (Xiphias gladius) dalla Spagna.
E ancora: pelapatate dalla Cina in materiale non adatto al contatto con alimenti
(in acciaio inox AISI 201); sostanza non autorizzata (carbendazim) in riso dall’India;
norovirus in ostriche (Crassostrea gigas) dalla Francia, via Monaco; eccesso di
Escherichia coli in mitili vivi (Mytilus galloprovincialis) dalla Spagna.
Questa settimana tra le esportazioni italiane in altri Paesi che sono state ritirate dal
mercato, la Finlandia segnala la presenza di DNA di ruminanti in farina di pesce
destinata a mangime (distribuita anche in Estonia e Lettonia) (Articolo di Valeria
Nardi) Fonte: ilfattoalimentare.it
Arriva l’etichetta di origine per la carne di maiale, di agnello e di pollo.
Il 1 aprile 2015 entra in vigore il regolamento UE 1337/2013 che estende una
etichetta di origine per la carne di maiale, di agnello e di pollo l’indicazione
dell’origine oltre che il nome dello stato dove è stato allevato e macellato l’animale.
Si tratta dell’estensione di quanto già avviene da anni per la carni bovine e del
primo di trentacinque atti di esecuzione che il “Food Information Regulation” (reg. UE
1169/2011, vedi Ebook) ha delegato alla Commissione europea. Vediamo ora in
dettaglio come sono cambiate le etichette della carne.
Le carni suine, ovine, caprine e quelle avicole devono indicare sull’etichetta
l’origine limitando le diciture al Paese di allevamento e a quello macellazione, senza
riportare quello di nascita come previsto per le carni bovine che da anni devono
riportare questa specifica dicitura (*). All’appello mancano solo e carni equine, di
coniglio e di lepre. Secondo alcuni si tratta solo di una dimenticanza del legislatore
europeo. Per indicazione di origine si intende il nome in chiaro dei Paesi di nascita,
allevamento e macellazione
In alternativa alla scritta sul paese di allevamento e su quello di macellazione si può
riportare sull’etichetta la parola “Origine…” seguita dal nome della nazione. Solo
questa parola garantisce che l’animale è stato allevato, macellato ed è pure nato
in un unico territorio. In altre parole solo quando sull’etichetta compare la scritta
“Origine Italia ” abbiamo la certezza che si tratta di animali italiani al 100% nati,
allevati e macellati nel nostro paese. Quando invece si trova la frase allevato in
Italia e macellato in Italia vuol dire che l’animale è nato all’estero e poi è stato
trasportato nel nostro paese per essere allevato e macellato.
Le nuove regole valgono solo per la carne fresca, congelata o surgelata venduta
tal quale oppure sezionata e/o macinata. Sono escluse le preparazioni a base di
carne come gli spiedini di pollo e maiale o le cotolette tipo cordon bleu di pollo da
friggere ad esempio, abbinate ad altri ingredienti (aromi, spezie, pangrattato,
formaggi o salumi). Sono escluse dalla norma anche le carni trasformate, come
bresaola, prosciutti e salumi vari, cotechini e zamponi, etc.
Se sul nome del paese dove l’animale è nato e dove viene macellato non ci sono
dubbi, la criticità sorge quando bisogna definire il nome del paese di allevamento.
Per evitare ambiguità il legislatore ha definito dei criteri ben precisi da rispettare
– i suini si intendono allevati in un determinato Paese quando hanno trascorso gli
ultimi quattro mesi di vita (se vengono macellati quando hanno più di sei mesi)
oppure abbiano raggiunto un certo sviluppo (oltre 30 kg, per gli animali uccisi prima
dei sei mesi con un peso superiore agli 80 kg),
oppure l’intera fase di allevamento (se i suini sono stati macellati prima dei sei mesi
di vita, con un peso inferiore a 80 kg).
– ovini e caprini si intendono allevati in un determinato Paese quando hanno
trascorso gli ultimi sei mesi di vita (o la vita intera, se portati al macello prima dei sei
mesi di età),
– il pollame si intende allevato nel Paese ove ha trascorso l’ultimo mese (se allevato
per oltre un mese), o almeno dove è stato messo all’ingrasso (se macellato prima di
un mese di vita).
Rimane da chiarire un passaggio fondamentale, cioè l’applicazione delle nuove
regole non solo alle etichette degli alimenti preimballati ma anche a quelle della
carne “preincartata” ovvero lavorata nei laboratori interni dei supermercati
oppure esposta in vendita sui banchi di macellerie e pollerie. Il regolamento CE
1760/2000, nell’introdurre l’origine obbligatoria sulle carni bovine, aveva
espressamente esteso le informazioni obbligatorie anche alle carni vendute sfuse
preincartate al consumatore. Il nuovo regolamento UE 1337/2013 non è altrettanto
chiaro. Risulta perciò utile un chiarimento da parte dei competenti Ministeri dello
sviluppo economico, dell’agricoltura e della salute), per la miglior tutela dei
consumatori italiani. I quali peraltro, ricordiamo, sono ancora in attesa del fatidico
“decreto sanzioni” (leggi approfondimento), e più in generale di un provvedimento
organico ove siano riportate in modo chiaro tutte le disposizioni da applicare in Italia
per l’informazione relativa ai prodotti alimentari, a seguito dell’entrata in vigore del
regolamento UE 1169/2011. (Articolo di Dario Dongo)
(*) Provvedimento in vigore dall’ormai lontano anno 2000, all’indomani dello scandalo paneuropeo
dell’encefalopatia bovina spongiforme (BSE, nota anche come “mucca pazza”. Reg. CE 1760,
1825/2000). Fonte: ilfattoalimentare.it
Calorie degli alcolici: è scontro sull’indicazione in etichetta tra i produttori di birra e
quelli di superalcolici. I prodotti sono troppo diversi tra loro.
L’associazione dei produttori europei di birra, la Brewers of Europe, ha annunciato
l’inserimento volontario dell’indicazione degli ingredienti e dei valori nutrizionali sulle
etichette delle birre, per dimostrare che contengono meno calorie del vino e dei
superalcolici.
Una tabella pubblicata dall’associazione indica che 100 millilitri di whisky hanno 245
kcal, mentre la stessa quantità di vino rosso ne ha 96, il vino bianco 82, mentre la
birra solo 46 (con un tasso alcolico tra il 4,5 e il 5,5%). Attualmente, la normativa
europea non obbliga a riportare gli ingredienti e le informazioni nutrizionali per le
bevande con un tasso alcolico superiore all’1,2%. L’iniziativa di Brewers of
Europe sarà applicata in modo volontario dai singoli produttori, che potranno
riportare le informazioni sull’etichetta e/o online.
Secondo i produttori di superalcolici si tratta di un’informazione fuorviante, perché
un confronto su 100 millilitri di bevande così diverse confonde il consumatore. Inoltre,
la comparazione risulterebbe in conflitto con i messaggi che auspicano di bere in
modo responsabile. Infatti, nota spiritsEurope, 100 millilitri corrispondono a una parte
della quantità di birra che una persona consuma con una porzione, mentre
equivalgono a tre porzioni di superalcolici, che sono il massimo consigliato agli
uomini e più del massimo per le donne.
Fonte: ilfattoalimentare.it
Tutela del Made in Italy: nasce l’Associazione “Italian Sounding”
È oramai evidente che i nomi italiani, le diciture italianeggianti, il tricolore italiano e
le immagini che richiamano il Bel Paese, vengono spesso utilizzati impropriamente
per pubblicizzare articoli che d’italiano non hanno nulla. Questo fenomeno,
denominato “Italian Sounding”, si sta diffondendo sempre più a macchia d’olio
danneggiando i nostri prodotti più prestigiosi, in particolare quelli del comparto
enogastronomico (vini, olio extra vergine d’oliva, formaggi, caffè, pizza, pasta,
sughi, ecc.) ma anche di altri settori rilevanti come, ad esempio, il design e la moda
(abbigliamento e accessori).
L’Italian Sounding è, di fatto, sinonimo di contraffazione del “Made in Italy” che,
oltre a raggirare il consumatore proponendogli prodotti solo apparentemente simili
ad articoli tipicamente e tradizionalmente italiani, crea ingenti danni economici ai
produttori.
D’altronde il prodotto italiano rappresenta un forte richiamo per i consumatori
poiché è sinonimo di tradizione e cultura, e di contro sta crescendo il numero di
imprenditori disonesti che, immettendo sul mercato articoli contraffatti, realizza
guadagni facili e veloci.
A difesa dei prodotti nostrani, il 24 febbraio scorso è stata costituita l’associazione
“Italian Sounding” fondata dalla Camera di Commercio Italo Tedesca, dalla
Camera di Commercio italiana per la Germania, insieme a Confagricoltura e alle
Organizzazioni Conflavoro PMI, Promindustria, Ciao Italia, Agronomia Food GMBH,
Associazione dei sommelier tedeschi DE.SA. L’obiettivo primario dell’associazione è
quello di difendere il “Made in Italy” in Germania.
Analizzando i dati forniti dalla Camera di Commercio italiana in Germania, emerge
che ben il 40% dei consumatori tedeschi predilige i prodotti italiani. Questo
apprezzamento del “Made in Italy” però non trova riscontro con quanto è presente
sugli scaffali dei supermercati tedeschi, dove molto spesso gli articoli esposti
sembrano, a causa di riferimenti ingannevoli, dei prodotti tipici italiani ma in realtà
non lo sono affatto. Precisiamo che in Germania, contrariamente a quanto avviene
negli altri Paesi, la tutela alla contraffazione di prodotti italiani si configura
esclusivamente in un illecito civile, quindi senza alcun intervento da parte delle
Autorità Pubbliche. Usualmente la questione viene risolta rapidamente e in modo
efficace, però il diritto tedesco prevede che l’illecito venga denunciato solo da
determinate categorie di associazioni (Camere di Commercio, associazioni di
consumatori o private che rappresentino un numero rilevante di imprenditori).
Quanto sopra spiega il motivo principale della nascita dell’associazione “Italian
Sounding”, che legittimamente potrà rappresentare gli imprenditori italiani e
difendere i consumatori contro le violazioni perpetrate a loro danno, così come
previsto dalla legislazione tedesca. (Articolo di Martina Bernardi)
Fonte: www.sicurezzalimentare.it
imprenditori disonesti che, immettendo sul mercato articoli contraffatti, realizza
guadagni facili e veloci.
A difesa dei prodotti nostrani, il 24 febbraio scorso è stata costituita l’associazione
“Italian Sounding” fondata dalla Camera di Commercio Italo Tedesca, dalla
Camera di Commercio italiana per la Germania, insieme a Confagricoltura e alle
Organizzazioni Conflavoro PMI, Promindustria, Ciao Italia, Agronomia Food GMBH,
Associazione dei sommelier tedeschi DE.SA. L’obiettivo primario dell’associazione è
quello di difendere il “Made in Italy” in Germania.
Analizzando i dati forniti dalla Camera di Commercio italiana in Germania, emerge
che ben il 40% dei consumatori tedeschi predilige i prodotti italiani. Questo
apprezzamento del “Made in Italy” però non trova riscontro con quanto è presente
sugli scaffali dei supermercati tedeschi, dove molto spesso gli articoli esposti
sembrano, a causa di riferimenti ingannevoli, dei prodotti tipici italiani ma in realtà
non lo sono affatto. Precisiamo che in Germania, contrariamente a quanto avviene
negli altri Paesi, la tutela alla contraffazione di prodotti italiani si configura
esclusivamente in un illecito civile, quindi senza alcun intervento da parte delle
Autorità Pubbliche. Usualmente la questione viene risolta rapidamente e in modo
efficace, però il diritto tedesco prevede che l’illecito venga denunciato solo da
determinate categorie di associazioni (Camere di Commercio, associazioni di
consumatori o private che rappresentino un numero rilevante di imprenditori).
Quanto sopra spiega il motivo principale della nascita dell’associazione “Italian
Sounding”, che legittimamente potrà rappresentare gli imprenditori italiani e
difendere i consumatori contro le violazioni perpetrate a loro danno, così come
previsto dalla legislazione tedesca. (Articolo di Martina Bernardi)
Fonte: www.sicurezzalimentare.it

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  • 1. News 13/SA/2015 Lunedì,06 Aprile 2015 Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi in zenzero dal Nicaragua e cromo in coltelli cinesi. Ritirati dal mercato europeo 64 prodotti Nella settimana n°13 del 2015 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 64 (12 quelle inviate dal Ministero della salute italiano). L’elenco dei prodotti distribuiti in Italia che non implicano un intervento urgente comprende un caso: alto contenuto di alluminio in farina di banano dagli Stati Uniti. Tra i lotti respinti alle frontiere od oggetto di informazione, l’Italia segnala: migrazione di cromo da set per barbecue dalla Cina; migrazione di cromo dal set di coltelli cinesi; residui di pesticida (ciproconazolo) in zenzero dal Nicaragua; eccesso di Escherichia coli in vongole vive italiane (distribuite in Germania); infestazione parassitaria da Anisakis simplex di rana pescatrice refrigerata (Lophius piscatorius) dalla Francia; aflatossine in arachidi dal Gambia; mercurio in due lotti filetti di pesce spada fresco (Xiphias gladius) dalla Spagna. E ancora: pelapatate dalla Cina in materiale non adatto al contatto con alimenti (in acciaio inox AISI 201); sostanza non autorizzata (carbendazim) in riso dall’India; norovirus in ostriche (Crassostrea gigas) dalla Francia, via Monaco; eccesso di Escherichia coli in mitili vivi (Mytilus galloprovincialis) dalla Spagna. Questa settimana tra le esportazioni italiane in altri Paesi che sono state ritirate dal mercato, la Finlandia segnala la presenza di DNA di ruminanti in farina di pesce destinata a mangime (distribuita anche in Estonia e Lettonia) (Articolo di Valeria Nardi) Fonte: ilfattoalimentare.it
  • 2. Arriva l’etichetta di origine per la carne di maiale, di agnello e di pollo. Il 1 aprile 2015 entra in vigore il regolamento UE 1337/2013 che estende una etichetta di origine per la carne di maiale, di agnello e di pollo l’indicazione dell’origine oltre che il nome dello stato dove è stato allevato e macellato l’animale. Si tratta dell’estensione di quanto già avviene da anni per la carni bovine e del primo di trentacinque atti di esecuzione che il “Food Information Regulation” (reg. UE 1169/2011, vedi Ebook) ha delegato alla Commissione europea. Vediamo ora in dettaglio come sono cambiate le etichette della carne. Le carni suine, ovine, caprine e quelle avicole devono indicare sull’etichetta l’origine limitando le diciture al Paese di allevamento e a quello macellazione, senza riportare quello di nascita come previsto per le carni bovine che da anni devono riportare questa specifica dicitura (*). All’appello mancano solo e carni equine, di coniglio e di lepre. Secondo alcuni si tratta solo di una dimenticanza del legislatore europeo. Per indicazione di origine si intende il nome in chiaro dei Paesi di nascita, allevamento e macellazione In alternativa alla scritta sul paese di allevamento e su quello di macellazione si può riportare sull’etichetta la parola “Origine…” seguita dal nome della nazione. Solo questa parola garantisce che l’animale è stato allevato, macellato ed è pure nato in un unico territorio. In altre parole solo quando sull’etichetta compare la scritta “Origine Italia ” abbiamo la certezza che si tratta di animali italiani al 100% nati, allevati e macellati nel nostro paese. Quando invece si trova la frase allevato in Italia e macellato in Italia vuol dire che l’animale è nato all’estero e poi è stato trasportato nel nostro paese per essere allevato e macellato. Le nuove regole valgono solo per la carne fresca, congelata o surgelata venduta tal quale oppure sezionata e/o macinata. Sono escluse le preparazioni a base di carne come gli spiedini di pollo e maiale o le cotolette tipo cordon bleu di pollo da friggere ad esempio, abbinate ad altri ingredienti (aromi, spezie, pangrattato, formaggi o salumi). Sono escluse dalla norma anche le carni trasformate, come bresaola, prosciutti e salumi vari, cotechini e zamponi, etc. Se sul nome del paese dove l’animale è nato e dove viene macellato non ci sono dubbi, la criticità sorge quando bisogna definire il nome del paese di allevamento. Per evitare ambiguità il legislatore ha definito dei criteri ben precisi da rispettare – i suini si intendono allevati in un determinato Paese quando hanno trascorso gli ultimi quattro mesi di vita (se vengono macellati quando hanno più di sei mesi) oppure abbiano raggiunto un certo sviluppo (oltre 30 kg, per gli animali uccisi prima dei sei mesi con un peso superiore agli 80 kg), oppure l’intera fase di allevamento (se i suini sono stati macellati prima dei sei mesi di vita, con un peso inferiore a 80 kg).
  • 3. – ovini e caprini si intendono allevati in un determinato Paese quando hanno trascorso gli ultimi sei mesi di vita (o la vita intera, se portati al macello prima dei sei mesi di età), – il pollame si intende allevato nel Paese ove ha trascorso l’ultimo mese (se allevato per oltre un mese), o almeno dove è stato messo all’ingrasso (se macellato prima di un mese di vita). Rimane da chiarire un passaggio fondamentale, cioè l’applicazione delle nuove regole non solo alle etichette degli alimenti preimballati ma anche a quelle della carne “preincartata” ovvero lavorata nei laboratori interni dei supermercati oppure esposta in vendita sui banchi di macellerie e pollerie. Il regolamento CE 1760/2000, nell’introdurre l’origine obbligatoria sulle carni bovine, aveva espressamente esteso le informazioni obbligatorie anche alle carni vendute sfuse preincartate al consumatore. Il nuovo regolamento UE 1337/2013 non è altrettanto chiaro. Risulta perciò utile un chiarimento da parte dei competenti Ministeri dello sviluppo economico, dell’agricoltura e della salute), per la miglior tutela dei consumatori italiani. I quali peraltro, ricordiamo, sono ancora in attesa del fatidico “decreto sanzioni” (leggi approfondimento), e più in generale di un provvedimento organico ove siano riportate in modo chiaro tutte le disposizioni da applicare in Italia per l’informazione relativa ai prodotti alimentari, a seguito dell’entrata in vigore del regolamento UE 1169/2011. (Articolo di Dario Dongo) (*) Provvedimento in vigore dall’ormai lontano anno 2000, all’indomani dello scandalo paneuropeo dell’encefalopatia bovina spongiforme (BSE, nota anche come “mucca pazza”. Reg. CE 1760, 1825/2000). Fonte: ilfattoalimentare.it
  • 4. Calorie degli alcolici: è scontro sull’indicazione in etichetta tra i produttori di birra e quelli di superalcolici. I prodotti sono troppo diversi tra loro. L’associazione dei produttori europei di birra, la Brewers of Europe, ha annunciato l’inserimento volontario dell’indicazione degli ingredienti e dei valori nutrizionali sulle etichette delle birre, per dimostrare che contengono meno calorie del vino e dei superalcolici. Una tabella pubblicata dall’associazione indica che 100 millilitri di whisky hanno 245 kcal, mentre la stessa quantità di vino rosso ne ha 96, il vino bianco 82, mentre la birra solo 46 (con un tasso alcolico tra il 4,5 e il 5,5%). Attualmente, la normativa europea non obbliga a riportare gli ingredienti e le informazioni nutrizionali per le bevande con un tasso alcolico superiore all’1,2%. L’iniziativa di Brewers of Europe sarà applicata in modo volontario dai singoli produttori, che potranno riportare le informazioni sull’etichetta e/o online. Secondo i produttori di superalcolici si tratta di un’informazione fuorviante, perché un confronto su 100 millilitri di bevande così diverse confonde il consumatore. Inoltre, la comparazione risulterebbe in conflitto con i messaggi che auspicano di bere in modo responsabile. Infatti, nota spiritsEurope, 100 millilitri corrispondono a una parte della quantità di birra che una persona consuma con una porzione, mentre equivalgono a tre porzioni di superalcolici, che sono il massimo consigliato agli uomini e più del massimo per le donne. Fonte: ilfattoalimentare.it Tutela del Made in Italy: nasce l’Associazione “Italian Sounding” È oramai evidente che i nomi italiani, le diciture italianeggianti, il tricolore italiano e le immagini che richiamano il Bel Paese, vengono spesso utilizzati impropriamente per pubblicizzare articoli che d’italiano non hanno nulla. Questo fenomeno, denominato “Italian Sounding”, si sta diffondendo sempre più a macchia d’olio danneggiando i nostri prodotti più prestigiosi, in particolare quelli del comparto enogastronomico (vini, olio extra vergine d’oliva, formaggi, caffè, pizza, pasta, sughi, ecc.) ma anche di altri settori rilevanti come, ad esempio, il design e la moda (abbigliamento e accessori). L’Italian Sounding è, di fatto, sinonimo di contraffazione del “Made in Italy” che, oltre a raggirare il consumatore proponendogli prodotti solo apparentemente simili ad articoli tipicamente e tradizionalmente italiani, crea ingenti danni economici ai produttori. D’altronde il prodotto italiano rappresenta un forte richiamo per i consumatori poiché è sinonimo di tradizione e cultura, e di contro sta crescendo il numero di
  • 5. imprenditori disonesti che, immettendo sul mercato articoli contraffatti, realizza guadagni facili e veloci. A difesa dei prodotti nostrani, il 24 febbraio scorso è stata costituita l’associazione “Italian Sounding” fondata dalla Camera di Commercio Italo Tedesca, dalla Camera di Commercio italiana per la Germania, insieme a Confagricoltura e alle Organizzazioni Conflavoro PMI, Promindustria, Ciao Italia, Agronomia Food GMBH, Associazione dei sommelier tedeschi DE.SA. L’obiettivo primario dell’associazione è quello di difendere il “Made in Italy” in Germania. Analizzando i dati forniti dalla Camera di Commercio italiana in Germania, emerge che ben il 40% dei consumatori tedeschi predilige i prodotti italiani. Questo apprezzamento del “Made in Italy” però non trova riscontro con quanto è presente sugli scaffali dei supermercati tedeschi, dove molto spesso gli articoli esposti sembrano, a causa di riferimenti ingannevoli, dei prodotti tipici italiani ma in realtà non lo sono affatto. Precisiamo che in Germania, contrariamente a quanto avviene negli altri Paesi, la tutela alla contraffazione di prodotti italiani si configura esclusivamente in un illecito civile, quindi senza alcun intervento da parte delle Autorità Pubbliche. Usualmente la questione viene risolta rapidamente e in modo efficace, però il diritto tedesco prevede che l’illecito venga denunciato solo da determinate categorie di associazioni (Camere di Commercio, associazioni di consumatori o private che rappresentino un numero rilevante di imprenditori). Quanto sopra spiega il motivo principale della nascita dell’associazione “Italian Sounding”, che legittimamente potrà rappresentare gli imprenditori italiani e difendere i consumatori contro le violazioni perpetrate a loro danno, così come previsto dalla legislazione tedesca. (Articolo di Martina Bernardi) Fonte: www.sicurezzalimentare.it
  • 6. imprenditori disonesti che, immettendo sul mercato articoli contraffatti, realizza guadagni facili e veloci. A difesa dei prodotti nostrani, il 24 febbraio scorso è stata costituita l’associazione “Italian Sounding” fondata dalla Camera di Commercio Italo Tedesca, dalla Camera di Commercio italiana per la Germania, insieme a Confagricoltura e alle Organizzazioni Conflavoro PMI, Promindustria, Ciao Italia, Agronomia Food GMBH, Associazione dei sommelier tedeschi DE.SA. L’obiettivo primario dell’associazione è quello di difendere il “Made in Italy” in Germania. Analizzando i dati forniti dalla Camera di Commercio italiana in Germania, emerge che ben il 40% dei consumatori tedeschi predilige i prodotti italiani. Questo apprezzamento del “Made in Italy” però non trova riscontro con quanto è presente sugli scaffali dei supermercati tedeschi, dove molto spesso gli articoli esposti sembrano, a causa di riferimenti ingannevoli, dei prodotti tipici italiani ma in realtà non lo sono affatto. Precisiamo che in Germania, contrariamente a quanto avviene negli altri Paesi, la tutela alla contraffazione di prodotti italiani si configura esclusivamente in un illecito civile, quindi senza alcun intervento da parte delle Autorità Pubbliche. Usualmente la questione viene risolta rapidamente e in modo efficace, però il diritto tedesco prevede che l’illecito venga denunciato solo da determinate categorie di associazioni (Camere di Commercio, associazioni di consumatori o private che rappresentino un numero rilevante di imprenditori). Quanto sopra spiega il motivo principale della nascita dell’associazione “Italian Sounding”, che legittimamente potrà rappresentare gli imprenditori italiani e difendere i consumatori contro le violazioni perpetrate a loro danno, così come previsto dalla legislazione tedesca. (Articolo di Martina Bernardi) Fonte: www.sicurezzalimentare.it