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News 09/SA/2016
Lunedì, 29 Febbraio 2016
Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi
Nella settimana n.9 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta
europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 46 (12 quelle inviate dal
Ministero della salute italiano). Tra i casi di allerta l'Italia segnala: due casi di elevato
numero di Escherichia coli nei mitili refrigerati (Mytilus galloprovincialis) provenienti
dalla Spagna; Escherichia coli Shiga - produzione in formaggi a latte crudo dalla
Francia.
Tra i lotti respinti alle frontiere od oggetto di informazione, l’Italia segnala: mercurio in
cibo per animali proveniente dalla Thailandia; propargite (sostanza non autorizzata)
in Tè verde da India, cacao e altre preparazioni; cadmio in pezzi di calamari
congelati da India cefalopodi e ai relativi prodotti alimentari; livello alto di
migrazione globale da guanti di nitrile dal Vietnam;
aflatossine in mandorle sbucciate provenienti dagli Stati Uniti, in arachidi in guscio e
noci provenienti dalla Cina e in arachidi sgusciati provenienti dall'Egitto.
Nella lista delle informative sui prodotti diffusi in Italia che non implicano un
intervento urgente troviamo: troppo alto conteggio di Escherichia coli in mitili vivi
provenienti da Italia; mercurio in pesce spada fresco ( Xiphias gladius ) dalla
Spagna.
Questa settimana non vi sono esportazioni italiane in altri Paesi che sono state ritirate
dal mercato.
Fonte: rasff.eu
ZIKA, la Commissione Europea pronta a finanziare progetti
“Sebbene allo stato attuale il rischio di Zika sia estremamente basso, non esistono
vaccini o efficaci misure di contrasto (come test diagnostici rapidi)”: queste le
parole del portavoce della Commissione europea, che si è detto pronto- una volta
provata la base scientifica del virus con le malformazioni congenite- a stanziare 10
milioni di euro per la DG Ricerca al fine di sviluppare nuovi strumenti di contrasto.
Inoltre, la buona notizia è che entro Horizon 2020- il programma di ricerca della
Commissione europea, offre già la possibilità di finanziare progetti che possono
aiutare nella lotta contro Zika . Uno è un bando di € 40 milioni per la ricerca sullo
sviluppo di vaccini per la malaria e le malattie infettive trascurate , che comprende
il virus Zika . Un ulteriore tranche di 10 milioni di € riguarda le infrastrutture di ricerca e
contribuirà al controllo delle malattie trasmesse da vettori.
Il virus ha visto la prima grande epidemia nel 2007, mentre è noto dal 1947 (quando
è stato isolato in scimmie in Uganda)-il primo caso di infezione all’uomo è stata
registrata nel 1952 (Uganda e Tanzania), solo nel 1968, il virus è stato isolato da
campioni umani in Nigeria. Dal 2014 è apparso nella Polinesia francese il primo
focolaio con rilevanza globale.
Il Brasile e l’America Latina sono le regioni globali attualmente più colpite, ma la
diffusione globale della zanzara tigre rende Zika difficilmente debellabile.
Le istituzioni europee inoltre fanno tesoro delle pregresse esperienza dell’Ebola,
chiedendo un ruolo attivo da parte delle autorità sanitarie degli stati membi. Nelle
Conclusioni del Consiglio sugli insegnamenti da trarre per la salute pubblica
dall’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale — La sicurezza sanitaria nell’Unione
europea (2015/C 421/04),
Il Consiglio rammenta che “Stati membri sono invitati a proseguire ed ampliare la
cooperazione sulla preparazione, il monitoraggio, l’allarme rapido e la reazione
coordinata in tutte le materie connesse alle emergenze sanitarie pubbliche;”
suggerendo altresì agli Stati europei collaborazione intersettoriale nell’affrontare le
emergenze di sanità pubblica di portata internazionale; nonchè lo scambio di
buone prassi nel settore della prevenzione e del trattamento, inclusa la protezione e
la formazione del personale sanitario; ma anche il rafforzamento della ricerca
relativa alla preparazione, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo di metodi
diagnostici, vaccini e prodotti.
Fonte: sicurezzaalimentare.it
Il ristorante in casa: è necessaria una regolamentazione del lavoro dal punto di vista
igienico e fiscale
La commissione industria della Camera ha approvato una risoluzione, con cui
impegna il governo a regolamentare l’attività degli home restaurant, definiti come
“una nuova tipologia di attività che rischia altrimenti di configurarsi anomala sul
piano della concorrenza, della fiscalità e della tutela della salute pubblica”. Gli
home restaurant sono attività di ristorazione svolte nella propria abitazione, rivolte a
poche persone, trattate come propri ospiti, però paganti.
È un’attività in veloce espansione, grazie alle piattaforme web. Secondo alcune
stime di addetti al settore, nel 2014 sono stati organizzati 37 mila eventi social eating,
con una partecipazione di circa 300.000 persone e un incasso medio, per singola
serata, pari a 194 euro. Secondo uno studio CST per Fiepet Confesercenti, nel 2014
l’universo degli home restaurant ha fatturato 7,2 milioni di euro, con settemila cuochi
social attivi e una tendenza prevista in ulteriore crescita
La necessità di una regolamentazione, afferma il governo, deriva dal fatto che
“esiste il rischio concreto che, a fronte di modalità diverse di fare ristorazione, dove
da un lato ci sono imprese e lavoratori soggetti a norme e prescrizioni rigorose a
tutela della qualità del servizio, della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei
clienti e dall’altro attività potenzialmente scevre da vincoli e controlli, anche igienici
e fiscali, ci sia una significativo vulnus alla concorrenza nel settore, con evidente
penalizzazione delle imprese in regola”. (Articolo di Beniamino Bonardi )
Fonte: ilfattoalimentare.it
Coldiretti lancia la “Battaglia del grano” contro la materia prima importata. Barilla,
De Cecco, Rummo, Garofalo e le altre marche stanno a guardare.
Blitz del Corpo Forestale al porto di Bari contro le navi colme di grano duro
(importato) alla ricerca di micotossine. È il nuovo episodio della serie “Battaglia del
grano” la telenovela del 21° secolo, girata in Puglia da Coldiretti dove si racconta la
storia di un gruppo di volontari che cercano di respingere le navi nemiche.
Purtroppo non è la sceneggiatura di un film ma quanto succede in Italia dove un
gruppo di giovani con le bandiere gialle cerca di opporsi all’arrivo di uno dei tanti
carichi di grano duro necessari per preparare la pasta: Barilla, Rummo, Del Verde,
De Cecco, Garofalo, ecc. La pasta della “dieta mediterranea” è fatta con quel
grano e senza quelle navi l’Italia non potrebbe esportare all’estero un solo chilo di
spaghetti visto che il 30-40% circa del grano duro utilizzato per la pasta (1,5 milioni di
tonnellate) viene importato dall’estero. C’è di più: la semola che arriva è
mediamente di ottima qualità e serve a integrare la nostra materia prima che non
sempre ha quantità di glutine elevate. La campagna contro le importazioni portata
avanti da Coldiretti è demenziale, e può solo fare breccia per la scarsa
competenza dei media, ma soprattutto per l’assenza delle aziende produttrici che
preferiscono non replicare agli attacchi e si rifiutano di scrivere sulle etichette che la
pasta italiana è fatta con grano straniero.
Barilla ad esempio, esalta l’impiego di semola 100% made in Italy nella pasta Voiello
( marchio di sua proprietà) e ne fa un argomento di vendita, ma dimentica di
scrivere sulle confezioni degli “Spaghetti n.5” l’origine della materia prima, quasi a
voler nascondere la presenza di semola importata. Un comportamento analogo si
registra per le altre marche come Rummo, Garofalo, Agnesi… tutte utilizzano grano
importato ma nessuno lo scrive sulle confezioni.
In questa situazione ha buon gioco Coldiretti, molto abile nel lasciare intendere che
il prodotto straniero sia in qualche modo contaminato e di scarsa qualità ecc. Si
lancia il sospetto che il grano contenga micotossine, facendo finta di ignorare che
tutte le materie prime importate devono rispettare i requisiti igienico-sanitari richiesti
per i prodotti nazionali. I controlli sulle micotossine sono di routine e le positività
riguardano tutte le partite di grano in modo indifferenziato (italiano e straniero)
essendo collegato alla stagionalità e alla conservazione. Dopo la bufala del
concentrato di pomodoro cinese utilizzato nelle bottiglie di passata italiana, adesso
Coldiretti lancia la battaglia contro gli spaghetti italiani, colpevoli di essere preparati
con il 30-40% di grano che secondo l’associazione contiene quantità elevate di
micotossine. Dopo la nuova puntata della telenovela La battaglia del grano, sono
scese in campo anche le aziende che accusano l’associazione di agricoltori di
essere “irresponsabile”, quando lascia intendere che la pasta fatta con grano non
del tutto italiano non è sicura, buona, o “pulita”. Anche i produttori di Italmopa
questa volta hanno deciso di reagire e accusano giustamente Coldiretti di
“terrorismo mediatico”. Bisogna rivendicare con forza che i nostri spaghetti sono
buoni perché le aziende hanno conoscenze e capacità accumulate in anni di
storia. Lasciare intendere che la qualità della pasta sia correlata alla sola origine
della materia prima – come fa Coldiretti – è un concetto che può esprime solo chi
non è mai entrato in un pastificio.
La produzione italiana di grano duro non è sufficiente a soddisfare le richieste del
mercato
Di seguito riportiamo alcune concetti che tutti i consumatori di pasta dovrebbero
conoscere. Il testo è ripreso da un documento firmato da Aidepi l’associazione che
raggruppa le principali aziende.
1. La produzione italiana di grano duro non è sufficiente a soddisfare le richieste dei
produttori italiani di pasta. C’è un deficit di materia prima nazionale pari a circa il 30-
40% del fabbisogno.
2. L’industria pastaia importa da sempre grano duro dall’estero. Non è una novità di
questi anni. Il mito della pasta italiana si è costruito nell’Ottocento, proprio
utilizzando grano di altissima qualità russo e canadese. Il Canada è tutt’ora il
principale produttore ed esportare di grano duro al mondo, seguono USA, Australia,
Russia e Francia.
3. Il grano estero non viene comprato per risparmiare: spesso costa anche di più.
4. Il problema della contaminazione del grano dovuta alle micotossine riguarda
tutte le materie prime sia nazionali che importate nella stessa misura. Se dai controlli
delle aziende la materia prima non risulta essere a norma, non viene utilizzata per la
pastificazione.
5. Affermare che comprando pasta fatta con il 100% di grano duro nazionale si
salva il granaio d’Italia è fuorviante, perché tutta la materia prima nazionale viene
acquistata e poi miscelata con quella importata. Il grano duro italiano non è
sufficiente a coprire questa domanda. E comunque sono in commercio prodotti
realizzati con grano 100% di origine. (Articolo di Roberto La Pira)
Fonte: ilfattoalimentare.it
Tutela Made in Italy, necessaria la trasparenza in etichetta
Difendere il Made in Italy, vuol dire difendere la produzione agroalimentare e il
lavoro di tantissimi agricoltori del nostro Paese.
“In un momento difficile per l’economia, dobbiamo portare sul mercato il valore
aggiunto della trasparenza, con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli
alimenti come ha chiesto il 96,5% degli italiani, sulla base della consultazione
pubblica online sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari, condotta dal Ministero
delle Politiche Agricole”.
E’ quanto afferma il Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel commentare i
punti del position paper che l’Italia presenterà alla Commissione Europea in vista del
prossimo Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura di marzo, illustrati dal Ministro Maurizio
Martina, alla riunione con gli assessori all’agricoltura delle Regioni italiane.
Sotto accusa la normativa comunitaria che consente di spacciare come Made in
Italy prodotti importati dall’estero, per la mancanza di norme chiare e trasparenti
sull’etichettatura di origine. “La mancanza di trasparenza in etichetta sulla reale
origine, colpisce formaggi e salumi, ma anche il latte a lunga conservazione o al
carne di coniglio. Il risultato è che gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali,
riguardano 2 prosciutti su 3 venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati
all’estero; ma anche 3 cartoni di latte a lunga conservazione, su 4 che sono stranieri
senza indicazione in etichetta, come pure la metà delle mozzarelle”, denuncia il
Presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo.
“La battaglia di Coldiretti per la trasparenza in Europa – afferma Moncalvo –
continua anche sul versante del prezzo del latte, per garantire la giusta
remunerazione degli allevatori italiani ai quali il latte viene pagato ben al disotto dei
costi di produzione. Nel 2015, secondo lo studio di Coldiretti, hanno chiuso circa 1000
stalle da latte, oltre il 60% delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili
sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente con il venir meno di una attività di
presidio indispensabile contro il degrado”.
Fonte:http://giovanimpresa.coldiretti.it
Sotto accusa la normativa comunitaria che consente di spacciare come Made in
Italy prodotti importati dall’estero, per la mancanza di norme chiare e trasparenti
sull’etichettatura di origine. “La mancanza di trasparenza in etichetta sulla reale
origine, colpisce formaggi e salumi, ma anche il latte a lunga conservazione o al
carne di coniglio. Il risultato è che gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali,
riguardano 2 prosciutti su 3 venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati
all’estero; ma anche 3 cartoni di latte a lunga conservazione, su 4 che sono stranieri
senza indicazione in etichetta, come pure la metà delle mozzarelle”, denuncia il
Presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo.
“La battaglia di Coldiretti per la trasparenza in Europa – afferma Moncalvo –
continua anche sul versante del prezzo del latte, per garantire la giusta
remunerazione degli allevatori italiani ai quali il latte viene pagato ben al disotto dei
costi di produzione. Nel 2015, secondo lo studio di Coldiretti, hanno chiuso circa 1000
stalle da latte, oltre il 60% delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili
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Fonte:http://giovanimpresa.coldiretti.it

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  • 1. News 09/SA/2016 Lunedì, 29 Febbraio 2016 Sistema di Allerta Rapido europeo per Alimenti e Mangimi Pesticidi Nella settimana n.9 del 2016 le segnalazioni diffuse dal Sistema rapido di allerta europeo per alimenti e mangimi (Rasff) sono state 46 (12 quelle inviate dal Ministero della salute italiano). Tra i casi di allerta l'Italia segnala: due casi di elevato numero di Escherichia coli nei mitili refrigerati (Mytilus galloprovincialis) provenienti dalla Spagna; Escherichia coli Shiga - produzione in formaggi a latte crudo dalla Francia. Tra i lotti respinti alle frontiere od oggetto di informazione, l’Italia segnala: mercurio in cibo per animali proveniente dalla Thailandia; propargite (sostanza non autorizzata) in Tè verde da India, cacao e altre preparazioni; cadmio in pezzi di calamari congelati da India cefalopodi e ai relativi prodotti alimentari; livello alto di migrazione globale da guanti di nitrile dal Vietnam; aflatossine in mandorle sbucciate provenienti dagli Stati Uniti, in arachidi in guscio e noci provenienti dalla Cina e in arachidi sgusciati provenienti dall'Egitto. Nella lista delle informative sui prodotti diffusi in Italia che non implicano un intervento urgente troviamo: troppo alto conteggio di Escherichia coli in mitili vivi provenienti da Italia; mercurio in pesce spada fresco ( Xiphias gladius ) dalla Spagna. Questa settimana non vi sono esportazioni italiane in altri Paesi che sono state ritirate dal mercato. Fonte: rasff.eu
  • 2. ZIKA, la Commissione Europea pronta a finanziare progetti “Sebbene allo stato attuale il rischio di Zika sia estremamente basso, non esistono vaccini o efficaci misure di contrasto (come test diagnostici rapidi)”: queste le parole del portavoce della Commissione europea, che si è detto pronto- una volta provata la base scientifica del virus con le malformazioni congenite- a stanziare 10 milioni di euro per la DG Ricerca al fine di sviluppare nuovi strumenti di contrasto. Inoltre, la buona notizia è che entro Horizon 2020- il programma di ricerca della Commissione europea, offre già la possibilità di finanziare progetti che possono aiutare nella lotta contro Zika . Uno è un bando di € 40 milioni per la ricerca sullo sviluppo di vaccini per la malaria e le malattie infettive trascurate , che comprende il virus Zika . Un ulteriore tranche di 10 milioni di € riguarda le infrastrutture di ricerca e contribuirà al controllo delle malattie trasmesse da vettori. Il virus ha visto la prima grande epidemia nel 2007, mentre è noto dal 1947 (quando è stato isolato in scimmie in Uganda)-il primo caso di infezione all’uomo è stata registrata nel 1952 (Uganda e Tanzania), solo nel 1968, il virus è stato isolato da campioni umani in Nigeria. Dal 2014 è apparso nella Polinesia francese il primo focolaio con rilevanza globale. Il Brasile e l’America Latina sono le regioni globali attualmente più colpite, ma la diffusione globale della zanzara tigre rende Zika difficilmente debellabile. Le istituzioni europee inoltre fanno tesoro delle pregresse esperienza dell’Ebola, chiedendo un ruolo attivo da parte delle autorità sanitarie degli stati membi. Nelle Conclusioni del Consiglio sugli insegnamenti da trarre per la salute pubblica dall’epidemia di Ebola nell’Africa occidentale — La sicurezza sanitaria nell’Unione europea (2015/C 421/04), Il Consiglio rammenta che “Stati membri sono invitati a proseguire ed ampliare la cooperazione sulla preparazione, il monitoraggio, l’allarme rapido e la reazione coordinata in tutte le materie connesse alle emergenze sanitarie pubbliche;” suggerendo altresì agli Stati europei collaborazione intersettoriale nell’affrontare le emergenze di sanità pubblica di portata internazionale; nonchè lo scambio di buone prassi nel settore della prevenzione e del trattamento, inclusa la protezione e la formazione del personale sanitario; ma anche il rafforzamento della ricerca relativa alla preparazione, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo di metodi diagnostici, vaccini e prodotti. Fonte: sicurezzaalimentare.it
  • 3. Il ristorante in casa: è necessaria una regolamentazione del lavoro dal punto di vista igienico e fiscale La commissione industria della Camera ha approvato una risoluzione, con cui impegna il governo a regolamentare l’attività degli home restaurant, definiti come “una nuova tipologia di attività che rischia altrimenti di configurarsi anomala sul piano della concorrenza, della fiscalità e della tutela della salute pubblica”. Gli home restaurant sono attività di ristorazione svolte nella propria abitazione, rivolte a poche persone, trattate come propri ospiti, però paganti. È un’attività in veloce espansione, grazie alle piattaforme web. Secondo alcune stime di addetti al settore, nel 2014 sono stati organizzati 37 mila eventi social eating, con una partecipazione di circa 300.000 persone e un incasso medio, per singola serata, pari a 194 euro. Secondo uno studio CST per Fiepet Confesercenti, nel 2014 l’universo degli home restaurant ha fatturato 7,2 milioni di euro, con settemila cuochi social attivi e una tendenza prevista in ulteriore crescita La necessità di una regolamentazione, afferma il governo, deriva dal fatto che “esiste il rischio concreto che, a fronte di modalità diverse di fare ristorazione, dove da un lato ci sono imprese e lavoratori soggetti a norme e prescrizioni rigorose a tutela della qualità del servizio, della salute e della sicurezza dei lavoratori e dei clienti e dall’altro attività potenzialmente scevre da vincoli e controlli, anche igienici e fiscali, ci sia una significativo vulnus alla concorrenza nel settore, con evidente penalizzazione delle imprese in regola”. (Articolo di Beniamino Bonardi ) Fonte: ilfattoalimentare.it Coldiretti lancia la “Battaglia del grano” contro la materia prima importata. Barilla, De Cecco, Rummo, Garofalo e le altre marche stanno a guardare. Blitz del Corpo Forestale al porto di Bari contro le navi colme di grano duro (importato) alla ricerca di micotossine. È il nuovo episodio della serie “Battaglia del grano” la telenovela del 21° secolo, girata in Puglia da Coldiretti dove si racconta la storia di un gruppo di volontari che cercano di respingere le navi nemiche. Purtroppo non è la sceneggiatura di un film ma quanto succede in Italia dove un gruppo di giovani con le bandiere gialle cerca di opporsi all’arrivo di uno dei tanti carichi di grano duro necessari per preparare la pasta: Barilla, Rummo, Del Verde, De Cecco, Garofalo, ecc. La pasta della “dieta mediterranea” è fatta con quel grano e senza quelle navi l’Italia non potrebbe esportare all’estero un solo chilo di
  • 4. spaghetti visto che il 30-40% circa del grano duro utilizzato per la pasta (1,5 milioni di tonnellate) viene importato dall’estero. C’è di più: la semola che arriva è mediamente di ottima qualità e serve a integrare la nostra materia prima che non sempre ha quantità di glutine elevate. La campagna contro le importazioni portata avanti da Coldiretti è demenziale, e può solo fare breccia per la scarsa competenza dei media, ma soprattutto per l’assenza delle aziende produttrici che preferiscono non replicare agli attacchi e si rifiutano di scrivere sulle etichette che la pasta italiana è fatta con grano straniero. Barilla ad esempio, esalta l’impiego di semola 100% made in Italy nella pasta Voiello ( marchio di sua proprietà) e ne fa un argomento di vendita, ma dimentica di scrivere sulle confezioni degli “Spaghetti n.5” l’origine della materia prima, quasi a voler nascondere la presenza di semola importata. Un comportamento analogo si registra per le altre marche come Rummo, Garofalo, Agnesi… tutte utilizzano grano importato ma nessuno lo scrive sulle confezioni. In questa situazione ha buon gioco Coldiretti, molto abile nel lasciare intendere che il prodotto straniero sia in qualche modo contaminato e di scarsa qualità ecc. Si lancia il sospetto che il grano contenga micotossine, facendo finta di ignorare che tutte le materie prime importate devono rispettare i requisiti igienico-sanitari richiesti per i prodotti nazionali. I controlli sulle micotossine sono di routine e le positività riguardano tutte le partite di grano in modo indifferenziato (italiano e straniero) essendo collegato alla stagionalità e alla conservazione. Dopo la bufala del concentrato di pomodoro cinese utilizzato nelle bottiglie di passata italiana, adesso Coldiretti lancia la battaglia contro gli spaghetti italiani, colpevoli di essere preparati con il 30-40% di grano che secondo l’associazione contiene quantità elevate di micotossine. Dopo la nuova puntata della telenovela La battaglia del grano, sono scese in campo anche le aziende che accusano l’associazione di agricoltori di essere “irresponsabile”, quando lascia intendere che la pasta fatta con grano non del tutto italiano non è sicura, buona, o “pulita”. Anche i produttori di Italmopa questa volta hanno deciso di reagire e accusano giustamente Coldiretti di “terrorismo mediatico”. Bisogna rivendicare con forza che i nostri spaghetti sono buoni perché le aziende hanno conoscenze e capacità accumulate in anni di storia. Lasciare intendere che la qualità della pasta sia correlata alla sola origine della materia prima – come fa Coldiretti – è un concetto che può esprime solo chi non è mai entrato in un pastificio. La produzione italiana di grano duro non è sufficiente a soddisfare le richieste del mercato
  • 5. Di seguito riportiamo alcune concetti che tutti i consumatori di pasta dovrebbero conoscere. Il testo è ripreso da un documento firmato da Aidepi l’associazione che raggruppa le principali aziende. 1. La produzione italiana di grano duro non è sufficiente a soddisfare le richieste dei produttori italiani di pasta. C’è un deficit di materia prima nazionale pari a circa il 30- 40% del fabbisogno. 2. L’industria pastaia importa da sempre grano duro dall’estero. Non è una novità di questi anni. Il mito della pasta italiana si è costruito nell’Ottocento, proprio utilizzando grano di altissima qualità russo e canadese. Il Canada è tutt’ora il principale produttore ed esportare di grano duro al mondo, seguono USA, Australia, Russia e Francia. 3. Il grano estero non viene comprato per risparmiare: spesso costa anche di più. 4. Il problema della contaminazione del grano dovuta alle micotossine riguarda tutte le materie prime sia nazionali che importate nella stessa misura. Se dai controlli delle aziende la materia prima non risulta essere a norma, non viene utilizzata per la pastificazione. 5. Affermare che comprando pasta fatta con il 100% di grano duro nazionale si salva il granaio d’Italia è fuorviante, perché tutta la materia prima nazionale viene acquistata e poi miscelata con quella importata. Il grano duro italiano non è sufficiente a coprire questa domanda. E comunque sono in commercio prodotti realizzati con grano 100% di origine. (Articolo di Roberto La Pira) Fonte: ilfattoalimentare.it Tutela Made in Italy, necessaria la trasparenza in etichetta Difendere il Made in Italy, vuol dire difendere la produzione agroalimentare e il lavoro di tantissimi agricoltori del nostro Paese. “In un momento difficile per l’economia, dobbiamo portare sul mercato il valore aggiunto della trasparenza, con l’obbligo di indicare in etichetta l’origine degli alimenti come ha chiesto il 96,5% degli italiani, sulla base della consultazione pubblica online sull’etichettatura dei prodotti agroalimentari, condotta dal Ministero delle Politiche Agricole”. E’ quanto afferma il Presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo nel commentare i punti del position paper che l’Italia presenterà alla Commissione Europea in vista del prossimo Consiglio dei Ministri dell’Agricoltura di marzo, illustrati dal Ministro Maurizio Martina, alla riunione con gli assessori all’agricoltura delle Regioni italiane.
  • 6. Sotto accusa la normativa comunitaria che consente di spacciare come Made in Italy prodotti importati dall’estero, per la mancanza di norme chiare e trasparenti sull’etichettatura di origine. “La mancanza di trasparenza in etichetta sulla reale origine, colpisce formaggi e salumi, ma anche il latte a lunga conservazione o al carne di coniglio. Il risultato è che gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali, riguardano 2 prosciutti su 3 venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero; ma anche 3 cartoni di latte a lunga conservazione, su 4 che sono stranieri senza indicazione in etichetta, come pure la metà delle mozzarelle”, denuncia il Presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo. “La battaglia di Coldiretti per la trasparenza in Europa – afferma Moncalvo – continua anche sul versante del prezzo del latte, per garantire la giusta remunerazione degli allevatori italiani ai quali il latte viene pagato ben al disotto dei costi di produzione. Nel 2015, secondo lo studio di Coldiretti, hanno chiuso circa 1000 stalle da latte, oltre il 60% delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente con il venir meno di una attività di presidio indispensabile contro il degrado”. Fonte:http://giovanimpresa.coldiretti.it
  • 7. Sotto accusa la normativa comunitaria che consente di spacciare come Made in Italy prodotti importati dall’estero, per la mancanza di norme chiare e trasparenti sull’etichettatura di origine. “La mancanza di trasparenza in etichetta sulla reale origine, colpisce formaggi e salumi, ma anche il latte a lunga conservazione o al carne di coniglio. Il risultato è che gli inganni del finto Made in Italy sugli scaffali, riguardano 2 prosciutti su 3 venduti come italiani, ma provenienti da maiali allevati all’estero; ma anche 3 cartoni di latte a lunga conservazione, su 4 che sono stranieri senza indicazione in etichetta, come pure la metà delle mozzarelle”, denuncia il Presidente di Coldiretti Roberto Moncalvo. “La battaglia di Coldiretti per la trasparenza in Europa – afferma Moncalvo – continua anche sul versante del prezzo del latte, per garantire la giusta remunerazione degli allevatori italiani ai quali il latte viene pagato ben al disotto dei costi di produzione. Nel 2015, secondo lo studio di Coldiretti, hanno chiuso circa 1000 stalle da latte, oltre il 60% delle quali si trovava in montagna, con effetti irreversibili sull’occupazione, sull’economia, sull’ambiente con il venir meno di una attività di presidio indispensabile contro il degrado”. Fonte:http://giovanimpresa.coldiretti.it