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Epicuro
Ἐπίκουρος (Samo, 342 a.C. – Atene, 270 a.C.)
di Renato Curreli
Filosofia e storia – Liceo Classico G. Siotto Pintor – Cagliari
1. La filosofia del κῆπος
Epicuro, originario di Samo,
stabilitosi ad Atene nel 306
a.C., acquistò una casa nella
periferia della città che
divenne la sede della sua
scuola filosofica.
La casa era dotata di un giardino
(κῆπος) ed è per questo motivo
che si parlò di scuola del giardino e di filosofi del giardino.
La scuola di Epicuro era aperta a tutti: liberi e schiavi, aristocratici o comuni cittadini,
uomini e donne.
Gli insegnamenti di Epicuro dovevano essere accolti in quanto tali e nessuno era
autorizzato a modificarli.
La scuola costituiva una comunità organizzata quasi religiosamente e la fedeltà a
Epicuro era forse più importante dell’eventuale elaborazione teorica.
Epicuro morì a causa di calcoli renali. I suoi ultimi momenti sono così descritti da
Diogene Laerzio (180 – 240 d.C.):
Morì di calcoli renali dopo quattordici giorni di malattia, come scrive Ermarco nelle lettere. Ermippo riferisce
che Epicuro in punto di morte, entrato in una tinozza di bronzo piena di acqua calda, chiese del vino puro e lo
bevve d'un fiato. Dopo aver raccomandato agli amici di non dimenticare il suo pensiero, spirò. Noi abbiamo
scritto per lui questo epigramma: «"Siate felici e memori del mio pensiero", furono le ultime parole di Epicuro
agli amici. Entrato nel calore della tinozza, con uno stesso sorso bevve vino puro e il freddo della morte. Tale fu
la sua vita e tale la sua fine.»
Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, X, Vita di Epicuro.
2. Gli scritti
Epicuro fu autore di circa 300 scritti di cui ci è rimasto molto poco.
In particolare è andata perduta quasi per intero l’opera principale, Sulla Natura (Περί
Φύσεως).
Ancora Diogene Laerzio ci ha conservato integralmente tre lettere di Epicuro (a
Erodoto, a Pitocle, a Meneceo) nelle quali troviamo gli aspetti fondamentali del suo
pensiero.
2. La canonica
Secondo Epicuro il vero fine della vita
umana è la felicità, perciò la logica e la
fisica svolgono una funzione preparatoria
all’etica, e risultano a essa subordinate.
La logica epicurea è chiamata
canonica perché ricerca il
canone, ossia la regola che
consenta di distinguere il vero
dal falso, guidando l’uomo nel
campo della conoscenza.*
____________
* Canone deriva dal greco κανών -όνος, forse connesso con κάννα, termine che si riferiva originariamente alla canna,
passando poi a indicare anche il regolo usato da varî artigiani per eseguire misure, da cui il significato più generale di
regola.
Famoso è il Canone dello scultore Policleto (V sec. a.C.), un trattato perduto sulle proporzioni dell'anatomia umana (450
a.C. ca).
Nella figura è possibile vedere delle copie in bronzo o marmo del Doriforo di Policleto il cui originale, come tutte le opere
dello scultore, è andato perduto.
2.1. Il criterio di verità
La regola epicurea, ovvero il criterio di verità, si fonda sulle sensazioni, sulle
anticipazioni e sulle emozioni.
Sensazioni: seguendo la teoria atomistica di Democrito, Epicuro spiega che esse
si producono nella nostra anima a causa del flusso di atomi che si
stacca dai corpi e forma delle immagini (εἴδωλον, pl. εἴδωλα) che sono
copie dei corpi da cui provengono.
Anticipazioni: le sensazioni prodotte dagli εἴδωλα, conservandosi nella memoria,
danno luogo ai concetti, detti da Epicuro prolèssi (πρόληψις, anticipa-
zione), rappresentazioni generiche o immagini mnemoniche schema-
tiche che consentono di anticipare sensazioni future.
Emozioni: pur riguardando la vita pratica, e non la logica, sono comunque un
criterio di verità in quanto riconducibili al piacere e al dolore che
accompagnano le sensazioni. Questa è anche la via che conduce
all’etica, perché il piacere è il bene, mentre il dolore è il male.
2.2. L’evidenza
Le sensazioni sono sempre vere ed evidenti, ma sono tali anche le
emozioni che le accompagnano e le anticipazioni che derivano da
esse. Perciò sensazioni anticipazioni ed emozioni costituiscono il
criterio fondamentale della verità.
In realtà è proprio l’evidenza sensibile a costituire il criterio di verità
più autentico e radicale.
2.3. L’errore e l’opinione
Sensazioni prolepsi e emozioni sono sempre vere, perciò in esse non
può esserci errore. Questo invece può generarsi nell’opinione – ossia
nei giudizi che formuliamo basandoci sulle prolepsi – la quale può
essere vera o falsa:
Vera se è in accordo con le sensazioni, Falsa se non lo è.
3. La fisica
La fisica, mostrando il vero funzionamento della natura, ha lo scopo di
liberare l’uomo dalla paura di forze misteriose e spaventevoli.
Se non ci turbasse la paura dei fenomeni celesti e non temessimo che la morte
possa essere per noi qualcosa che ci tocca da vicino e non ci nuocesse l’ignoran-
za del confine dei piaceri e dei dolori, non avremmo alcun bisogno della scienza
della natura.
Epicuro, Massime capitali, XI
La fisica epicurea ripropone, pur modificandola,
quella di Democrito di Abdera (460 a.C. – 370 a.C. circa) e
si fonda, quindi, sulla materia e sulle leggi che
presiedono al suo movimento.
• Esistono solo i corpi e il vuoto
(incorporeo) dove essi si muovono.
I corpi possono agire o subire una
azione, mentre il vuoto non agisce
né subisce (e perciò è incorporeo);
è però lo spazio che permette il
movimento dei corpi.
• I corpi macroscopici sono composti di particelle ultime indivisibili: gli atomi
(ἄτομος, indivisibile, ἀ- + tema di τέμνω, io taglio).
• Gli atomi, infiniti, si muovono perennemente nel vuoto(κενόν), anch’esso infinito.
• Gli atomi – che non hanno colore, odore, sapore, etc. – si diversificano per peso,
dimensione e figura, sebbene queste differenze non siano infinite.
• Muovendosi nel vuoto, gli atomi si urtano e si aggregano.
Gli atomi si muovono di moto rettilineo
uniforme e il loro peso fa sì che tale
movimento sia diretto dall’alto verso il basso.
Se questo movimento avvenisse per linee
parallele e senza incontrare ostacoli
(vedi figura), come potrebbero aggregarsi
per dar luogo ai corpi?
Secondo Epicuro è necessario dunque ipotizzare un’ inclinazione o
deviazione (παρέγκλισις; lat. clinamen) casuale nella direzione degli atomi,
affinché questi possano incontrarsi e dare luogo, con la loro
aggregazione, ai vari corpi.
3.1. Differenze tra la fisica di Democrito e quella di Epicuro
• Per Democrito la proprietà caratteristica della materia è il movimento; per
Epicuro è il peso.
• La fisica di Democrito è deterministica, perché si basa sul nesso causale (rapporti
di causa-effetto) ed esclude la libertà e qualsiasi finalismo dall’ordine naturale.
• Facendo ricorso alla παρέγκλισις, Epicuro introduce la casualità nell’ordine fisico.
Quest’aspetto, trasportato nel campo etico, rende possibile la libertà umana
senza la quale, per Epicuro, non avrebbe alcun senso parlare di scelte e di
moralità.
3.2. I mondi, Dio e l’anima
• La fisica di Epicuro prevede l’esistenza di infiniti mondi, talvolta simili al nostro,
talvolta diversi.
• La realtà è in continua trasformazione, per cui tutti i mondi sono destinati a
nascere e perire.
• Ne consegue che i mondi sono infiniti sia dal punto di vista spaziale, che da quello
temporale.
• Epicuro ritiene che non vi sia alcuna divinità creatrice dei vari universi, ma questo
non equivale a negare la realtà degli dei, la cui esistenza è comprovata dalla
presenza del loro concetto nella mente umana, concetto che deve per forza
derivare da un effluvio di atomi che può aver luogo solo se esiste una realtà
effettiva che lo origina.
• Secondo Epicuro, gli dei:
 hanno forma umana, che
è la più perfetta e quella
più consona ad esseri
razionali;
 sono maschi e femmine e
il loro numero è molto
grande;
 vivono la loro vita beata
negli spazi vuoti tra gli
infiniti mondi.
Gli dei possono intervenire
nelle faccende umane?
La risposta di Epicuro è negativa:
• in primo luogo perché se gli dei si occupassero del mondo umano, entrando in
contatto con le sue miserie e i suoi problemi, perderebbero la loro beatitudine;
• in secondo luogo perché gli dei, in base alla loro infinita potenza, sarebbero in
grado di eliminare il male dal mondo; ma dato che invece il male esiste, non resta
che pensare che gli dei non si occupano delle vicende umane.
• L’anima è formata da una serie di particelle che si diffondono in tutto il corpo
come un soffio caldo vivificante.
• Le particelle che costituiscono
l’anima sono sottili e rotonde,
e perciò particolarmente
mobili e adatte alle funzioni
che esse debbono svolgere.
• Il morire determina la
separazione di tali particelle
e la conseguente dissoluzione
dell’anima. La morte, con il venir meno dell’anima, è uno stato in cui non si
provano più sensazioni, ed è proprio per questo motivo che temerla è da stolti.
4. L’etica
• La canonica e la fisica, svolto il loro compito preparatorio, lasciano dunque il
campo all’etica – cui sono subordinate – la quale si occupa di guidare l’uomo nella
ricerca della felicità, il vero scopo della vita umana.
• La felicità si identifica con il piacere (ἡδονή ) perché quest’ultimo è direttamente
connesso con il bene, mentre il dolore lo è con il male.
La filosofia è la via per raggiungere la felicità, ma per
conseguire questo scopo deve riuscire a liberare l’uomo
dalle passioni, dai turbamenti e dalle opinioni errate su
se stesso e sul mondo. Il vero fine della filosofia è dunque
pratico (etico/morale) e non esclusivamente teoretico.
4.1. Il quadrifarmaco
La filosofia deve prescrivere all’uomo un quadruplice rimedio (τό τετραϕάρμακον/ἡ
τετραϕάρμακος, τετρα-, quattro + ϕάρμακον, medicina, rimedio), ossia offrire
quattro considerazioni che consentano di vincere le corrispondenti paure umane più
comuni. *
__________________
* τό τετραϕάρμακον ( tetrafarmaco) era in origine un noto impiastro composto di cera, sego, pece e resina.
I. Paura degli dei: Non bisogna aver paura degli dei perchè essi sono esseri
perfetti che vivono nella loro beatitudine senza mai occuparsi
delle vicende umane.
II. Paura della morte: Non bisogna temere la morte, perchè essa non ha una vera
realtà. Infatti “quando noi ci siamo, la morte non c’è, e quando
essa sopravviene noi non ci siamo più.” (Epicuro, Lettera a Meneceo, 125)
III. Paura di non accedere al piacere: Il piacere è intimamente connesso alla natura
umana, e perciò è facilmente raggiungibile.
IV. Paura del male:* Non bisogna aver paura del male, ovvero del dolore, dato che
se lieve sarà sopportabile, se acuto sarà di breve durata, se
acutissimo condurrà alla morte, che è uno stato di insensibilità
dove scomparirà ogni dolore.
______________________
* I precetti del quadrifarmaco sono le prime quattro delle quaranta Κύριαι Δόξαι , Massime capitali, che condensano le
principali dottrine epicuree (Cfr. D. Laerzio, Vite, cit.)
Il quadrifarmaco
L’uomo che impara ad applicare il τετραϕάρμακον troverà la calma interiore
e conseguirà la felicità, per quanto la vita possa essere tormentosa. Proprio
questo è secondo Epicuro il vero scopo della filosofia, come traspare dalla
seguente massima:
Vano è il discorso di quel filosofo che non curi qualche umana passione: e come l’arte medica non
è di alcun giovamento se non ci libera dalle malattie dei corpi, così non è di alcun giovamento
neppure la filosofia se non ci libera dalle malattie dell’anima“. (Epicuro, Opere, Utet 1974, I, p. 181)
4.2. Il piacere
Il bene e la felicità si identificano col piacere, che Epicuro distingue in
dinamico (o in movimento) e stabile (catastematico).
Dinamico = gioia e euforia
PIACERE
Stabile = assenza di dolore, e perciò il vero piacere
Secondo Epicuro la felicità può essere intesa solo in senso negativo,
essendo uno stato in cui non c’è dolore (ἀπονία, assenza di dolore; ἀ- priv. + πόνος,
dolore) o in cui non c’è turbamento (ἀταραξία, imperturbabilità; ἀ- priv. + tema di
ταράσσω, sono agitato, sono turbato).
La ricerca della felicità intesa come un sereno stato d’animo
determinato dall’atarassia e dall’aponia, implica una attenta
valutazione dei bisogni umani.
Vi sono vari tipi di bisogni:
1. Naturali e necessari: sono le normali esigenze della natura umana; in certi casi, se non soddisfatte,
possono anche provocare la morte (fame, sete, sonno, etc.).
1. Naturali e non necessari: mangiare è un bisogno naturale e necessario; non è necessario, invece,
mangiare molto.
3. Non naturali e non necessari: sono bisogni indotti da desideri determinati dalla vanità umana, come
la ricerca degli onori, del potere o della ricchezza.
I bisogni naturali e necessari devono essere soddisfatti, gli altri vanno abbandonati.
• L’uomo davanti a ogni bisogno deve chiedersi quali saranno le
conseguenze e gli effetti di un suo eventuale appagamento.
• È perciò necessario un calcolo razionale dei piaceri per trovare di
volta in volta, attraverso una condotta saggia ed equilibrata, quello
più stabile e vantaggioso per l’esistenza umana.
• Questo calcolo razionale dei vantaggi e degli svantaggi implica
scelte e decisioni pratiche, inerenti alla condotta della vita ed è,
perciò, la più elevata delle virtù.
• È una saggezza che va considerata superiore alla dimensione della
pura ricerca teorica e scientifica, perché è in grado di orientare la
vita umana, indirizzandola verso quei piaceri catastematici che sono
la vera felicità.
• Il piacere, anche nella sua dimensione più sottile e mentale, è
sempre e comunque in stretta relazione con i sensi:
Per mio conto io non so concepire che cosa è il bene, se prescindo dai piaceri del gusto, dai
piaceri d'amore, dai piaceri dell'udito, da quelli che derivano dalle belle immagini percepite
dagli occhi e in generale da tutti i piaceri che gli uomini hanno dai sensi. Non è vero che
solo la gioia della mente è un bene; giacché la mente si rallegra nella speranza dei piaceri
sensibili, nel cui godimento la natura umana può liberarsi al dolore.
Epicuro, Sul fine
• L’ ἀπονία consisterà dunque nel non provare dolori corporali, mentre
l’ ἀταραξία proverrà dal non farsi dominare da eccessive
preoccupazioni intorno agli stati e ai bisogni del corpo.
• Il fatto che Epicuro ritenga primario il piacere sensibile, non deve far
pensare ad un edonismo smodato e senza regole. Infatti sarà
l’intervento della ragione che calcolerà quale possa essere il piacere
migliore da trovarsi per conseguire i più efficaci e soddisfacenti
equilibri corporei ed emotivi.
[…]Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come
credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il
corpo a non soffrire e l'animo a essere sereno. Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il
godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza
della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi
condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene
supremo è l'intelligenza delle cose, perciò tale genere di intelligenza è anche più apprezzabile della stessa
filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia
intelligente, bella e giusta, né vita intelligente, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono
connaturate alla felicità e da questa inseparabili.
Epicuro, Lettera a Meneceo, 131-132
4.3. L’amicizia
Epicuro ha riservato all’amicizia una parte molto importante della sua riflessione.
Inizialmente i legami tra le persone nascono avendo di mira l’utile e il vantaggio
personale, ma una volta scoperti sentimenti più profondi tali legami diventano un
bene in sé, dando luogo all’amicizia vera e propria, in cui è più piacevole dare che
ricevere.
Di tutte le cose che la sapienza procura in vista della vita felice, il bene più grande è l'acquisto
dell'amicizia.
Epicuro, Massime Capitali, XXVII
4.3. La politica
Per Aristotele l’uomo era fondamentalmente
un animale politico (ζῷον πολιτικόν, Politica I, 2, 1253a)
Le conquiste di Alessandro e la conseguente
perdita dell’autonomia ateniese spiega,
invece, lo scarso interesse di Epicuro per
la partecipazione alla vita politica. lo Stato
viene inteso, in quest’ottica, semplicemente
come una istituzione finalizzata a difendere
gli interessi degli individui che stanno sotto
la sua protezione.
La politica appare a Epicuro come un fardello
inutile che può allontanare dalla ricerca della vera felicità e compromettere gli
equilibri che questa richiede. Meglio è per l’uomo tenersi lontano da tali affanni e
ricercare la propria tranquillità interiore: «λάθε βιώσας», vivi nascosto, era infatti a
questo riguardo il consiglio di Epicuro.
Ideato e realizzato da
Renato Curreli
Filosofia e Storia – Liceo Classico G. Siotto Pintor – Cagliari

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Epicuro

  • 1. Epicuro Ἐπίκουρος (Samo, 342 a.C. – Atene, 270 a.C.) di Renato Curreli Filosofia e storia – Liceo Classico G. Siotto Pintor – Cagliari
  • 2. 1. La filosofia del κῆπος Epicuro, originario di Samo, stabilitosi ad Atene nel 306 a.C., acquistò una casa nella periferia della città che divenne la sede della sua scuola filosofica. La casa era dotata di un giardino (κῆπος) ed è per questo motivo che si parlò di scuola del giardino e di filosofi del giardino. La scuola di Epicuro era aperta a tutti: liberi e schiavi, aristocratici o comuni cittadini, uomini e donne. Gli insegnamenti di Epicuro dovevano essere accolti in quanto tali e nessuno era autorizzato a modificarli. La scuola costituiva una comunità organizzata quasi religiosamente e la fedeltà a Epicuro era forse più importante dell’eventuale elaborazione teorica.
  • 3. Epicuro morì a causa di calcoli renali. I suoi ultimi momenti sono così descritti da Diogene Laerzio (180 – 240 d.C.): Morì di calcoli renali dopo quattordici giorni di malattia, come scrive Ermarco nelle lettere. Ermippo riferisce che Epicuro in punto di morte, entrato in una tinozza di bronzo piena di acqua calda, chiese del vino puro e lo bevve d'un fiato. Dopo aver raccomandato agli amici di non dimenticare il suo pensiero, spirò. Noi abbiamo scritto per lui questo epigramma: «"Siate felici e memori del mio pensiero", furono le ultime parole di Epicuro agli amici. Entrato nel calore della tinozza, con uno stesso sorso bevve vino puro e il freddo della morte. Tale fu la sua vita e tale la sua fine.» Diogene Laerzio, Vite dei filosofi, X, Vita di Epicuro. 2. Gli scritti Epicuro fu autore di circa 300 scritti di cui ci è rimasto molto poco. In particolare è andata perduta quasi per intero l’opera principale, Sulla Natura (Περί Φύσεως). Ancora Diogene Laerzio ci ha conservato integralmente tre lettere di Epicuro (a Erodoto, a Pitocle, a Meneceo) nelle quali troviamo gli aspetti fondamentali del suo pensiero.
  • 4. 2. La canonica Secondo Epicuro il vero fine della vita umana è la felicità, perciò la logica e la fisica svolgono una funzione preparatoria all’etica, e risultano a essa subordinate. La logica epicurea è chiamata canonica perché ricerca il canone, ossia la regola che consenta di distinguere il vero dal falso, guidando l’uomo nel campo della conoscenza.* ____________ * Canone deriva dal greco κανών -όνος, forse connesso con κάννα, termine che si riferiva originariamente alla canna, passando poi a indicare anche il regolo usato da varî artigiani per eseguire misure, da cui il significato più generale di regola. Famoso è il Canone dello scultore Policleto (V sec. a.C.), un trattato perduto sulle proporzioni dell'anatomia umana (450 a.C. ca). Nella figura è possibile vedere delle copie in bronzo o marmo del Doriforo di Policleto il cui originale, come tutte le opere dello scultore, è andato perduto.
  • 5. 2.1. Il criterio di verità La regola epicurea, ovvero il criterio di verità, si fonda sulle sensazioni, sulle anticipazioni e sulle emozioni. Sensazioni: seguendo la teoria atomistica di Democrito, Epicuro spiega che esse si producono nella nostra anima a causa del flusso di atomi che si stacca dai corpi e forma delle immagini (εἴδωλον, pl. εἴδωλα) che sono copie dei corpi da cui provengono. Anticipazioni: le sensazioni prodotte dagli εἴδωλα, conservandosi nella memoria, danno luogo ai concetti, detti da Epicuro prolèssi (πρόληψις, anticipa- zione), rappresentazioni generiche o immagini mnemoniche schema- tiche che consentono di anticipare sensazioni future. Emozioni: pur riguardando la vita pratica, e non la logica, sono comunque un criterio di verità in quanto riconducibili al piacere e al dolore che accompagnano le sensazioni. Questa è anche la via che conduce all’etica, perché il piacere è il bene, mentre il dolore è il male.
  • 6. 2.2. L’evidenza Le sensazioni sono sempre vere ed evidenti, ma sono tali anche le emozioni che le accompagnano e le anticipazioni che derivano da esse. Perciò sensazioni anticipazioni ed emozioni costituiscono il criterio fondamentale della verità. In realtà è proprio l’evidenza sensibile a costituire il criterio di verità più autentico e radicale. 2.3. L’errore e l’opinione Sensazioni prolepsi e emozioni sono sempre vere, perciò in esse non può esserci errore. Questo invece può generarsi nell’opinione – ossia nei giudizi che formuliamo basandoci sulle prolepsi – la quale può essere vera o falsa: Vera se è in accordo con le sensazioni, Falsa se non lo è.
  • 7. 3. La fisica La fisica, mostrando il vero funzionamento della natura, ha lo scopo di liberare l’uomo dalla paura di forze misteriose e spaventevoli. Se non ci turbasse la paura dei fenomeni celesti e non temessimo che la morte possa essere per noi qualcosa che ci tocca da vicino e non ci nuocesse l’ignoran- za del confine dei piaceri e dei dolori, non avremmo alcun bisogno della scienza della natura. Epicuro, Massime capitali, XI La fisica epicurea ripropone, pur modificandola, quella di Democrito di Abdera (460 a.C. – 370 a.C. circa) e si fonda, quindi, sulla materia e sulle leggi che presiedono al suo movimento.
  • 8. • Esistono solo i corpi e il vuoto (incorporeo) dove essi si muovono. I corpi possono agire o subire una azione, mentre il vuoto non agisce né subisce (e perciò è incorporeo); è però lo spazio che permette il movimento dei corpi. • I corpi macroscopici sono composti di particelle ultime indivisibili: gli atomi (ἄτομος, indivisibile, ἀ- + tema di τέμνω, io taglio). • Gli atomi, infiniti, si muovono perennemente nel vuoto(κενόν), anch’esso infinito. • Gli atomi – che non hanno colore, odore, sapore, etc. – si diversificano per peso, dimensione e figura, sebbene queste differenze non siano infinite. • Muovendosi nel vuoto, gli atomi si urtano e si aggregano.
  • 9. Gli atomi si muovono di moto rettilineo uniforme e il loro peso fa sì che tale movimento sia diretto dall’alto verso il basso. Se questo movimento avvenisse per linee parallele e senza incontrare ostacoli (vedi figura), come potrebbero aggregarsi per dar luogo ai corpi? Secondo Epicuro è necessario dunque ipotizzare un’ inclinazione o deviazione (παρέγκλισις; lat. clinamen) casuale nella direzione degli atomi, affinché questi possano incontrarsi e dare luogo, con la loro aggregazione, ai vari corpi.
  • 10. 3.1. Differenze tra la fisica di Democrito e quella di Epicuro • Per Democrito la proprietà caratteristica della materia è il movimento; per Epicuro è il peso. • La fisica di Democrito è deterministica, perché si basa sul nesso causale (rapporti di causa-effetto) ed esclude la libertà e qualsiasi finalismo dall’ordine naturale. • Facendo ricorso alla παρέγκλισις, Epicuro introduce la casualità nell’ordine fisico. Quest’aspetto, trasportato nel campo etico, rende possibile la libertà umana senza la quale, per Epicuro, non avrebbe alcun senso parlare di scelte e di moralità.
  • 11. 3.2. I mondi, Dio e l’anima • La fisica di Epicuro prevede l’esistenza di infiniti mondi, talvolta simili al nostro, talvolta diversi. • La realtà è in continua trasformazione, per cui tutti i mondi sono destinati a nascere e perire. • Ne consegue che i mondi sono infiniti sia dal punto di vista spaziale, che da quello temporale. • Epicuro ritiene che non vi sia alcuna divinità creatrice dei vari universi, ma questo non equivale a negare la realtà degli dei, la cui esistenza è comprovata dalla presenza del loro concetto nella mente umana, concetto che deve per forza derivare da un effluvio di atomi che può aver luogo solo se esiste una realtà effettiva che lo origina.
  • 12. • Secondo Epicuro, gli dei:  hanno forma umana, che è la più perfetta e quella più consona ad esseri razionali;  sono maschi e femmine e il loro numero è molto grande;  vivono la loro vita beata negli spazi vuoti tra gli infiniti mondi.
  • 13. Gli dei possono intervenire nelle faccende umane? La risposta di Epicuro è negativa: • in primo luogo perché se gli dei si occupassero del mondo umano, entrando in contatto con le sue miserie e i suoi problemi, perderebbero la loro beatitudine; • in secondo luogo perché gli dei, in base alla loro infinita potenza, sarebbero in grado di eliminare il male dal mondo; ma dato che invece il male esiste, non resta che pensare che gli dei non si occupano delle vicende umane.
  • 14. • L’anima è formata da una serie di particelle che si diffondono in tutto il corpo come un soffio caldo vivificante. • Le particelle che costituiscono l’anima sono sottili e rotonde, e perciò particolarmente mobili e adatte alle funzioni che esse debbono svolgere. • Il morire determina la separazione di tali particelle e la conseguente dissoluzione dell’anima. La morte, con il venir meno dell’anima, è uno stato in cui non si provano più sensazioni, ed è proprio per questo motivo che temerla è da stolti.
  • 15. 4. L’etica • La canonica e la fisica, svolto il loro compito preparatorio, lasciano dunque il campo all’etica – cui sono subordinate – la quale si occupa di guidare l’uomo nella ricerca della felicità, il vero scopo della vita umana. • La felicità si identifica con il piacere (ἡδονή ) perché quest’ultimo è direttamente connesso con il bene, mentre il dolore lo è con il male. La filosofia è la via per raggiungere la felicità, ma per conseguire questo scopo deve riuscire a liberare l’uomo dalle passioni, dai turbamenti e dalle opinioni errate su se stesso e sul mondo. Il vero fine della filosofia è dunque pratico (etico/morale) e non esclusivamente teoretico. 4.1. Il quadrifarmaco La filosofia deve prescrivere all’uomo un quadruplice rimedio (τό τετραϕάρμακον/ἡ τετραϕάρμακος, τετρα-, quattro + ϕάρμακον, medicina, rimedio), ossia offrire quattro considerazioni che consentano di vincere le corrispondenti paure umane più comuni. * __________________ * τό τετραϕάρμακον ( tetrafarmaco) era in origine un noto impiastro composto di cera, sego, pece e resina.
  • 16. I. Paura degli dei: Non bisogna aver paura degli dei perchè essi sono esseri perfetti che vivono nella loro beatitudine senza mai occuparsi delle vicende umane. II. Paura della morte: Non bisogna temere la morte, perchè essa non ha una vera realtà. Infatti “quando noi ci siamo, la morte non c’è, e quando essa sopravviene noi non ci siamo più.” (Epicuro, Lettera a Meneceo, 125) III. Paura di non accedere al piacere: Il piacere è intimamente connesso alla natura umana, e perciò è facilmente raggiungibile. IV. Paura del male:* Non bisogna aver paura del male, ovvero del dolore, dato che se lieve sarà sopportabile, se acuto sarà di breve durata, se acutissimo condurrà alla morte, che è uno stato di insensibilità dove scomparirà ogni dolore. ______________________ * I precetti del quadrifarmaco sono le prime quattro delle quaranta Κύριαι Δόξαι , Massime capitali, che condensano le principali dottrine epicuree (Cfr. D. Laerzio, Vite, cit.) Il quadrifarmaco
  • 17. L’uomo che impara ad applicare il τετραϕάρμακον troverà la calma interiore e conseguirà la felicità, per quanto la vita possa essere tormentosa. Proprio questo è secondo Epicuro il vero scopo della filosofia, come traspare dalla seguente massima: Vano è il discorso di quel filosofo che non curi qualche umana passione: e come l’arte medica non è di alcun giovamento se non ci libera dalle malattie dei corpi, così non è di alcun giovamento neppure la filosofia se non ci libera dalle malattie dell’anima“. (Epicuro, Opere, Utet 1974, I, p. 181) 4.2. Il piacere Il bene e la felicità si identificano col piacere, che Epicuro distingue in dinamico (o in movimento) e stabile (catastematico). Dinamico = gioia e euforia PIACERE Stabile = assenza di dolore, e perciò il vero piacere
  • 18. Secondo Epicuro la felicità può essere intesa solo in senso negativo, essendo uno stato in cui non c’è dolore (ἀπονία, assenza di dolore; ἀ- priv. + πόνος, dolore) o in cui non c’è turbamento (ἀταραξία, imperturbabilità; ἀ- priv. + tema di ταράσσω, sono agitato, sono turbato). La ricerca della felicità intesa come un sereno stato d’animo determinato dall’atarassia e dall’aponia, implica una attenta valutazione dei bisogni umani. Vi sono vari tipi di bisogni: 1. Naturali e necessari: sono le normali esigenze della natura umana; in certi casi, se non soddisfatte, possono anche provocare la morte (fame, sete, sonno, etc.). 1. Naturali e non necessari: mangiare è un bisogno naturale e necessario; non è necessario, invece, mangiare molto. 3. Non naturali e non necessari: sono bisogni indotti da desideri determinati dalla vanità umana, come la ricerca degli onori, del potere o della ricchezza. I bisogni naturali e necessari devono essere soddisfatti, gli altri vanno abbandonati.
  • 19. • L’uomo davanti a ogni bisogno deve chiedersi quali saranno le conseguenze e gli effetti di un suo eventuale appagamento. • È perciò necessario un calcolo razionale dei piaceri per trovare di volta in volta, attraverso una condotta saggia ed equilibrata, quello più stabile e vantaggioso per l’esistenza umana.
  • 20. • Questo calcolo razionale dei vantaggi e degli svantaggi implica scelte e decisioni pratiche, inerenti alla condotta della vita ed è, perciò, la più elevata delle virtù. • È una saggezza che va considerata superiore alla dimensione della pura ricerca teorica e scientifica, perché è in grado di orientare la vita umana, indirizzandola verso quei piaceri catastematici che sono la vera felicità. • Il piacere, anche nella sua dimensione più sottile e mentale, è sempre e comunque in stretta relazione con i sensi: Per mio conto io non so concepire che cosa è il bene, se prescindo dai piaceri del gusto, dai piaceri d'amore, dai piaceri dell'udito, da quelli che derivano dalle belle immagini percepite dagli occhi e in generale da tutti i piaceri che gli uomini hanno dai sensi. Non è vero che solo la gioia della mente è un bene; giacché la mente si rallegra nella speranza dei piaceri sensibili, nel cui godimento la natura umana può liberarsi al dolore. Epicuro, Sul fine
  • 21. • L’ ἀπονία consisterà dunque nel non provare dolori corporali, mentre l’ ἀταραξία proverrà dal non farsi dominare da eccessive preoccupazioni intorno agli stati e ai bisogni del corpo. • Il fatto che Epicuro ritenga primario il piacere sensibile, non deve far pensare ad un edonismo smodato e senza regole. Infatti sarà l’intervento della ragione che calcolerà quale possa essere il piacere migliore da trovarsi per conseguire i più efficaci e soddisfacenti equilibri corporei ed emotivi. […]Quando dunque diciamo che il bene è il piacere, non intendiamo il semplice piacere dei goderecci, come credono coloro che ignorano il nostro pensiero, o lo avversano, o lo interpretano male, ma quanto aiuta il corpo a non soffrire e l'animo a essere sereno. Perché non sono di per se stessi i banchetti, le feste, il godersi fanciulli e donne, i buoni pesci e tutto quanto può offrire una ricca tavola che fanno la dolcezza della vita felice, ma il lucido esame delle cause di ogni scelta o rifiuto, al fine di respingere i falsi condizionamenti che sono per l'animo causa di immensa sofferenza. Di tutto questo, principio e bene supremo è l'intelligenza delle cose, perciò tale genere di intelligenza è anche più apprezzabile della stessa filosofia, è madre di tutte le altre virtù. Essa ci aiuta a comprendere che non si dà vita felice senza che sia intelligente, bella e giusta, né vita intelligente, bella e giusta priva di felicità, perché le virtù sono connaturate alla felicità e da questa inseparabili. Epicuro, Lettera a Meneceo, 131-132
  • 22. 4.3. L’amicizia Epicuro ha riservato all’amicizia una parte molto importante della sua riflessione. Inizialmente i legami tra le persone nascono avendo di mira l’utile e il vantaggio personale, ma una volta scoperti sentimenti più profondi tali legami diventano un bene in sé, dando luogo all’amicizia vera e propria, in cui è più piacevole dare che ricevere. Di tutte le cose che la sapienza procura in vista della vita felice, il bene più grande è l'acquisto dell'amicizia. Epicuro, Massime Capitali, XXVII
  • 23. 4.3. La politica Per Aristotele l’uomo era fondamentalmente un animale politico (ζῷον πολιτικόν, Politica I, 2, 1253a) Le conquiste di Alessandro e la conseguente perdita dell’autonomia ateniese spiega, invece, lo scarso interesse di Epicuro per la partecipazione alla vita politica. lo Stato viene inteso, in quest’ottica, semplicemente come una istituzione finalizzata a difendere gli interessi degli individui che stanno sotto la sua protezione. La politica appare a Epicuro come un fardello inutile che può allontanare dalla ricerca della vera felicità e compromettere gli equilibri che questa richiede. Meglio è per l’uomo tenersi lontano da tali affanni e ricercare la propria tranquillità interiore: «λάθε βιώσας», vivi nascosto, era infatti a questo riguardo il consiglio di Epicuro.
  • 24. Ideato e realizzato da Renato Curreli Filosofia e Storia – Liceo Classico G. Siotto Pintor – Cagliari