Opinioni a confronto - L’importanza di essere “green” a cura di Luca Mei

RadiciGroup
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La green economy è una moda passeggera o un modo virtuoso di condurre le attività umane? Cosa pensano a riguardo gli operatori del settore materie plastiche e quali iniziative attuano in chiave di sostenibilità? Biopolimeri si o biopolimeri no? Questi e tanti altri i temi affrontati nel giro di opinioni di questo numero. MACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013

MARKETING

OPINIONI A CONFRONTO

L’IMPORTANZA

DI ESSERE “GREEN”
LA GREEN ECONOMY È UNA MODA PASSEGGERA O UN MODO VIRTUOSO DI CONDURRE LE ATTIVITÀ
UMANE? COSA PENSANO A RIGUARDO GLI OPERATORI DEL SETTORE MATERIE PLASTICHE E QUALI
INIZIATIVE ATTUANO IN CHIAVE DI SOSTENIBILITÀ? BIOPOLIMERI SI O BIOPOLIMERI NO? QUESTI E TANTI
ALTRI I TEMI AFFRONTATI NEL GIRO DI OPINIONI DI QUESTO NUMERO.
A CURA DI LUCA MEI

O

ggi essere “green” significa trovarsi a metà
strada tra moda passeggera con cui darsi lustro e vero e proprio modo virtuoso di
condurre le attività umane. Un dato però è certo: in
ogni caso fa bene non solo all’ambiente, ma anche
all’economia. Secondo i dati di una recente ricerca della Camera di Commercio di Milano, il volume d’affari prodotto dalle imprese “verdi” nel solo
capoluogo lombardo supererebbe gli 8 miliardi di
euro, ossia oltre il 59% del fatturato della green
economy lombarda (che totalizza 13,5 miliardi di
euro di fatturato) e il 16% del totale nazionale (pari
a 49 miliardi). E questi valori sono in costante crescita. Tra i settori considerati nella ricerca rientrano
anche la raccolta, il riutilizzo e il riciclo di rifiuti, quasi per catapultarci direttamente dentro l’argomento
del “giro di opinioni” di questo numero.
Ma restiamo per un momento ancora sui risultati

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emersi dalla ricerca. Quello “verde” sta divenendo
sempre più un settore trasversale vero e proprio
dell’economia e, in Lombardia, si posiziona al quinto posto per importanza, prima di quello alimentare e dopo quello farmaceutico, con il 7,4% del
volume d’affari complessivo del manifatturiero. In
termini occupazionali sono quasi 10 mila gli “eco
lavoratori”, di cui 6000 nel settore delle energie rinnovabili, e anche in questo caso i numeri sarebbero in crescita (che non è male di questi tempi).
Inoltre, tra le professionalità più richieste figurano
gli addetti al ciclo dei rifiuti. A riguardo, poi, nascono anche nuovi momenti di incontro e confronto,
come la prima edizione del Forum della Sostenibilità, che ha avuto luogo a Milano il 31 ottobre, nato
per promuovere, tra le altre cose, l’approccio alle
problematiche socio-ambientali come leva per lo
sviluppo di una maggiore competitività d’impresa.

Nelle pagine che seguono, dunque, ritroviamo
alcuni di questi spunti, sebbene marcatamente
contestualizzati e strettamente attinenti al settore
delle materie plastiche, sul fronte tanto della produzione quanto delle tecnologie di trasformazione. Ciò che di interessante emerge è un’opinione generale che va nella stessa direzione, ossia
quella dell’importanza di essere green, appunto
come recita il titolo, seppure ciascuno degli intervistati declini in maniera tutta personale il modo,
per così dire, di arrivare a destinazione. Elemento
questo, crediamo, capace di catturare l’attenzione del lettore.

RITIENE CHE LA CORSA A DIVENTARE PIÙ
“GREEN” SIA SOLO UNA MODA PASSEGGERA
O LE AZIENDE INTENDONO DAVVERO
RIDURRE L’IMPATTO AMBIENTALE DELLA
MACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013
OPINIONI A CONFRONTO
PROPRIA ATTIVITÀ? QUAL È LA STRATEGIA
DELLA VOSTRA SOCIETÀ A RIGUARDO?
Giovanni Luoni (Elba): “Non credo si tratti solo
di una moda passeggera, ritengo invece che una
maggiore attenzione ai problemi ambientali e a un
più oculato utilizzo delle risorse sia oramai divenuto
un “must”. È però vero che la corsa al “green” viene molto spesso utilizzata come veicolo pubblicitario o di marketing e non apporta significativi vantaggi in termini di impatto ambientale”.
Giorgio Colombo (Icma San Giorgio): “La variabile ambientale è certamente importante da
considerare, anche se bisogna stare molto attenti
a che non si trasformi in ulteriori vincoli di tipo normativo che appesantiscano la normale e responsabile gestione aziendale, anche rispetto ai nostri
concorrenti diretti. Le macchine che stiamo costruendo sono sempre più efficienti sul fronte del
consumo energetico: questa è la nostra strategia.
La grande attenzione verso soluzioni tecnologiche
avanzate per il riciclo di materiali plastici e resine
biodegradabili rappresenta un altro punto di eccellenza che ci riguarda”.
Claudio Maestrini (Kromabatch): “Penso che la
coscienza ecologica sia oggi diffusa e condivisa tra
le aziende del settore delle materie plastiche, molto più di quanto non si creda. Detto questo, tuttavia, non posso evitare di sospettare che il prefisso
“green” sia diventato una sorta di mantra che si
vorrebbe utilizzare in ogni circostanza e, purtroppo, spesso a sproposito. Per quanto ci riguarda,
nonostante la nostra attività coinvolga letteralmente centinaia di cambi colore all’anno, praticamente
ricicliamo tutte le materie prime al nostro interno
e tutte le nostre apparecchiature sono raffreddate ad acqua in circuito chiuso. Il nostro impatto
ambientale è ridotto veramente al minimo. Inoltre,
abbiamo contribuito all’introduzione della plastica
oxobiodegradabile in Italia, che riteniamo essere
un prodotto che merita considerazione e che, non

giore consapevolezza dell’impatto dei processi
produttivi. Una strategia di questo tipo risulta tuttavia, in un momento di scarsità di investimenti, difficilmente perseguibile a breve termine, a causa del
considerevole impegno economico richiesto cui
fa eco un non immediato ritorno. La nostra azienda risulta, comunque, particolarmente sensibile a
questa tematica dal punto di vista sia energetico,
con la possibilità di sfruttare fonti rinnovabili, sia
scientifico, con progetti di ricerca volti alla riduzione dell’impatto ambientale del processo produttivo
e del prodotto”.

Giorgio Colombo, Icma San Giorgio

Filippo Servalli (RadiciGroup): “Oggi il binomio
business sostenibilità è da considerarsi realmente imprescindibile. Non si tratta di una moda passeggera o di mere azioni di marketing. Le imprese
stanno cambiando, e dovranno cambiare sempre
di più il loro modo di produrre, di approvvigionarsi, di vendere. Così come il consumatore sta modificando, e dovrà modificare in maniera radicale,
le proprie scelte di acquisto. Il senso vero della
green economy, o meglio, “economia sostenibile”, espressione che preferisco, è questo. Siamo

Secondo i dati più recenti, il volume d’affari
prodotto dalle imprese “verdi” a livello nazionale
ammonta a circa 49 miliardi di euro”
solo a mio giudizio, rappresenta la più valida opportunità di soluzione al problema dell’accumulo
dei rifiuti plastici nell’ambiente”.
Armando Pagani (Elastomers Union): “La tensione delle aziende verso una politica più “green”,
iniziata come moda e proseguita grazie anche a
incentivi fiscali, si sta attualmente sviluppando con
una più reale attenzione all’ambiente e una magMACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013

formance del prodotto è fondamentale. La politica del nostro gruppo è quella di agire in maniera
concreta, da monte a valle della nostra filiera industriale, per fare della sostenibilità uno strumento di
business, di cultura societaria, un approccio nella
gestione aziendale. È una visione ampia che pone
al centro dell’attenzione la misurazione sistemica e
rigorosa di indicatori non solo ambientali ed economici, ma anche relativi a diritti umani, pratiche e
condizioni di lavoro, società, responsabilità di prodotto. Come da linee guida della GRI (Global Reporting Initiative, ndr)”.

solo all’inizio di un percorso che necessita il superamento di molte barriere, lo sappiamo bene. Si
tratta di una sfida complessa, ma che il sistema
mondo non può esimersi dall’affrontare. Serve
concretezza, servono azioni. È necessario convincere i mercati con motivazioni concrete e credibili
nello scegliere e nel premiare i prodotti green. Nel
nostro caso, per esempio, garantire sostenibilità a
parità, in alcuni casi addirittura superiorità, di per-

Sergio Lombardini (Versalis): “Siamo agli inizi dello sviluppo di un nuovo albero della chimica,
con molte incognite e con naturali rischi industriali
e di sviluppo prodotti. Il successo, oltre alle abilità
delle singole società che intraprenderanno questa
strada, dipenderà dall’ambiente normativo che si
creerà in Europa, non sorretto da sussidi, ma che
dovrà avere come obiettivo la valutazione reale dei
nuovi prodotti in termini di LCA (Life Cycle Assessment), la metodologia che quantifica l’impatto
ambientale di un prodotto nella sua intera vita, fino
allo smaltimento. Certamente ci sono un “fashion
green” e anche un fenomeno di “greenwashing”
(appropriazione ingiustificata di virtù ambientalistiche) che attirano molti player a cimentarsi in questo campo, specie in questa fase iniziale. Versalis,
invece, ritiene che ci siano tutti i presupposti per
avere successo industriale in questo sviluppo e per
poter integrare questo nuovo albero della chimica
con quello tradizionale della chimica da fonti fossili,
grazie al suo background industriale e all’esperienza pluriennale della ricerca nel campo del rinnovabile, oltre che a una sua forte attività di ricerca e
sviluppo”.

MOLTE AZIENDE OGGI PRODUCONO AUTONOMAMENTE L’ENERGIA DI CUI HANNO BISOGNO ATTRAVERSO FONTI ALTERNATIVE,

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MARKETING

Claudio Maestrini, Kromabatch
A sinistra:
Giovanni Luoni, Elba

IN PRIMIS IL FOTOVOLTAICO. COME VI ORIENTATE AL RIGUARDO?
Luoni: “Il nostro gruppo ha già adottato dallo scorso anno questa soluzione. Infatti abbiamo in funzione
due impianti fotovoltaici per un totale di 300 kW/h”.
Colombo: “Preferiamo investire nella nostra attività specifica; ho visto e mi hanno proposto piani di
investimento per pannelli fotovoltaici, ma abbiamo
altre priorità”.
Maestrini: “Per quanto ci riguarda non ci siamo
ancora orientati verso fonti di energia alternativa.
Personalmente ho ancora forti perplessità sulla
tecnologia fotovoltaica, la cui resa non mi sembra
sufficiente a giustificarne un utilizzo così massiccio
come quello al quale siamo stati spinti in Italia. Il
costo dell’energia rappresenta per noi una variabile rilevante, ma la mia opinione è che la soluzione
di questo problema non debba essere demandata alle singole aziende, ma debba essere presa in
carico dal “sistema Italia” nel suo complesso. Nel
bouquet energetico sono i fornitori che dovrebbero
offrire una sempre più elevata percentuale da fonti
rinnovabili”.

co. Molti dei nostri siti italiani, grazie al supporto
di Geogreen, azienda nata negli Anni Ottanta per
produrre e vendere energia a RadiciGroup e oggi
trasformatasi in un punto di riferimento aperto al
mercato, sono alimentati grazie all’energia prodotta nelle diverse centrali idroelettriche di cui dispone
Geogreen sul territorio. Tra gli investimenti più recenti di questa realtà, fornitore e partner di RadiciGroup, ci sono proprio quelli nel settore idroelettrico. In quanto al fotovoltaico, a oggi non possiamo
contare su impianti installati, ma Geogreen possiede tutte le conoscenze del caso per fornire a clienti esterni consulenze e progetti anche per impianti
alimentati con questa fonte”.
Lombardini: “La generazione di energia da fonte
rinnovabile è nel business di Eni e, quindi, Versalis vi guarda con estrema attenzione e interesse,
come un elemento necessario per creare un polo
integrato per la produzione di prodotti rinnovabili.
Riserviamo un’attenzione particolare alla generazione di vapore a media e bassa pressione, utility
principale per le fermentazioni”.

Pagani: “L’impiego di fonti energetiche alternative
appare particolarmente interessante e il fotovoltaico risulta una tecnologia sufficientemente collaudata da poter garantire un accettabile grado di stabilità. Si tratta, quindi, di un investimento che verrà
valutato per uno sviluppo prossimo dell’azienda”.

PERSEGUIRE UNA STRATEGIA GREEN
PRESENTA COSTI SUPERIORI RISPETTO
ALL’ATTIVITÀ STANDARD E INFLUISCE
SULLA VOSTRA PRODUTTIVITÀ?
RITENENTE COMUNQUE CHE NE VALGA
LA PENA E CHE VI SIANO RITORNI POSITIVI
PERCEPIBILI GIÀ NEL BREVE-MEDIO
PERIODO?

Servalli: “Il nostro gruppo ha da tempo scelto di
sposare la filosofia energetica dell’idroelettrico. A
oggi, circa il 40% dell’energia utilizzata per alimentare i nostri siti produttivi, è proprio da idroelettri-

Luoni: “L’applicazione di una corretta strategia
“ecologica” nel ciclo produttivo delle nostre linee,
se debitamente gestita, non genera particolari costi aggiuntivi, ma, altresì, genera una riduzione degli scarti e dei rifiuti conferiti”.

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Colombo: “Tutte le attività economiche che presentano costi superiori rispetto a valide alternative vanno valutate con grande cautela. Sui ritorni
ottenibili è comunque difficile dare una giudizio a
livello di singola unità produttiva, è più un discorso di sistema paese. Mi sembra che comunque le
economie avanzate vadano sempre più verso modelli circolari, nei quali c’è spazio e opportunità per
ripensare con profitto i modelli lineari del passato”.
Maestrini: “Personalmente ritengo che, per affermarsi solidamente, la green economy non debba ricorrere ad aiuti o sovvenzioni, ma debba fare
leva unicamente sull’efficienza dei processi, la
qualità dei prodotti e l’efficacia della comunicazione, che devono essere sufficienti a orientare il
mercato senza costringerlo. Un’economia verde
basata stabilmente su divieti, aiuti di stato, sovvenzioni occulte non può garantire la prosperità di
un settore né nel breve, né, tantomeno, nel lungo periodo. Io, poi, nutro una radicata diffidenza nei confronti di tutte le manovre distorsive del
mercato. Pertanto, in considerazione anche del
momento particolarmente difficile, noi vogliamo, e
dobbiamo, orientarci verso soluzioni che, pur con
un respiro più ampio, ci consentano di migliorare
la nostra competitività nell’immediato. Anche per
questo riteniamo che la plastica oxobiodegradabile rappresenti un’opportunità assolutamente da
cogliere”.
Pagani: “Le strategie green non sono attualmente
sufficientemente promosse e appoggiate dalla politica di sviluppo italiana e, poiché richiedono inizialmente un incremento sostanziale dei costi, il loro
sviluppo risulta rallentato. Appoggiamo tuttavia,
compatibilmente con la crescita aziendale, questo
MACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013
OPINIONI A CONFRONTO
tipo di politica, sebbene non riteniamo possibile un
riscontro positivo a breve-medio periodo quanto,
piuttosto, un reale impatto a lungo termine”.
Nicolangelo Peduto (Radici Chimica): “La nostra strategia green, con particolare riferimento ai
prodotti, comprende tre assi di sviluppo: biopolimeri, in particolare biopoliammidi ottenute parzialmente o totalmente da fonti rinnovabili, riciclo post
industriale e design di prodotti ottenuti da fonti
tradizionali. A seconda dei casi, possono esserci
differenze nei costi e nella produttività, sia in un
senso che nell’altro. Con il riciclo post industriale
recuperiamo e selezioniamo i nostri scarti di produzione o fuori norma, riciclandoli in prodotti con
prestazioni adeguate per svariate applicazioni, ottenendo chiari vantaggi in termini di costi e impatto ambientale. Per quel che riguarda le biopoliammidi i costi di produzione sono sicuramente
più alti rispetto a quelli delle poliammidi tradizionali, come la 6 e la 6.6. Questi “nuovi” polimeri
mostrano però vantaggi in termini di prestazioni,
tali da essere messi in concorrenza con altre poliammidi/polimeri tradizionali che a loro volta presentano spesso costi superiori. È da rimarcare il
fatto che la produzione industriale di queste biopoliammidi non richiede investimenti in nuovi impianti, ma a volte solo adeguamenti di strutture
esistenti e utilizzate nella produzione di plastiche
tradizionali. Stiamo inoltre lavorando su prodotti
ottenuti dal petrolio che, preservando prestazioni equivalenti ai prodotti tradizionali, consentano
un risparmio energetico nella loro trasformazione,
Sotto a sinistra:
Armando Pagani, Elastomers Union
A destra:
Filippo Servalli, RadiciGroup

MACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013

unitamente a un aumento notevole di produttività. Ritengo quindi che perseguire una strategia
sostenibile sia assolutamente necessario, esattamente come la ricerca di fonti alternative di
energia e in particolare di energia verde. Un’attività che implica certamente sforzo e impegno, ma
che risulta molto stimolante sia per chi si occupa
di ricerca e sviluppo sia per chi deve creare mercato e valore per questi prodotti”.
Lombardini: “Come in tutti i progetti di ricerca,
siamo all’inizio di una curva di investimento che richiede per sua natura di sopportare costi con ritorni economici di medio-lungo periodo; è però anche
vero che il centro ricerche di materie prime da fonti
rinnovabili Versalis di Novara è impegnato da ben 5
anni in questo settore. Oltre a Matrica (la joint venture con Novamont), che ha beneficiato dello sviluppo
di tecnologie avanzate di Novamont, Versalis ha iniziato da diversi anni lo studio di prodotti da materie
prime rinnovabili ed è ormai vicina alla realizzazione
industriale con nuovi processi”.

SECONDO LEI L’IMPATTO AMBIENTALE DEI
BIOPOLIMERI È DAVVERO COSÌ INFERIORE
RISPETTO A QUELLO DELLE PLASTICHE
TRADIZIONALI, CONSIDERANDO LA
POSSIBILITÀ DI RICICLO DI QUESTE ULTIME E
LO SFRUTTAMENTO DEL TERRITORIO DI CUI
NECESSITANO INVECE LE PRIME?
Luoni: “Assolutamente no. Innanzitutto le plastiche bio sono estremamente costose e tecnicamente limitate. Inoltre, voglio ricordare che le plastiche “tradizionali” sono riciclabili per definizione
e regolarmente utilizzate anche al 100% in alcuni
prodotti”.
Colombo: “Sono due modelli di salvaguardia am-

bientale differenti, che possono benissimo coesistere; non vedo l’utilità di fare classifiche, dato che
perseguono entrambe un medesimo obiettivo”.
Maestrini: “A questa domanda è necessaria una
premessa, che viene troppo spesso dimenticata.
Fino a quando gli idrocarburi fossili costituiranno la
materia prima principale per la produzione di combustibili e di carburanti, la produzione di polimeri
convenzionali rappresenterà la necessaria “chiusura” del ciclo della raffinazione. Non c’è dubbio che
sia molto meglio utilizzare il petrolio per produrre
oggetti a elevata tecnologia e riciclabili, piuttosto
che bruciarlo, a maggior ragione se per fare questo si utilizzano frazioni che altrimenti non troverebbero impieghi. Ciò non significa che i biopolimeri
non possano e non debbano avere un loro spazio.
Al contrario ritengo che si tratti di materiali estremamente interessanti e promettenti. Quello che
auspico, però, è che non prevalga un approccio
manicheo; spero cioè che con l’intento, tutto commerciale, di promuovere lo sviluppo di determinati
prodotti non si finisca per demonizzarne ingiustamente altri, come invece purtroppo mi sembra stia
capitando, soprattutto in Italia. Venendo al merito della domanda, io credo che purtroppo oggi il
dibattito che riguarda il rapporto tra biopolimeri e
plastica convenzionale e il loro reale impatto ambientale non sia affatto sereno: si utilizzano i risultati
di studi troppo spesso incompleti e di parte come
clave per sostenere tesi preconcette. Il risultato è
che non si riesce a giungere a conclusioni veramente attendibili, imparziali e condivise. Il materiale
perfetto non esiste e i biopolimeri presentano ancora notevoli criticità. Temo che fingere di ignorarle,
per imporne un uso esclusivo e massiccio, possa
rivelarsi un danno per l’economia e per l’ambiente.
Quello che, invece, dovremmo cercare di fare, a

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MARKETING

mio modestissimo avviso, è valutare bene le potenzialità e le caratteristiche dei biopolimeri per fare
in modo che vengano utilizzati nei settori ad alto
valore aggiunto che sono in grado di pagarne i costi di sviluppo e produzione”.
Pagani: “I biopolimeri sono considerati, erroneamente, come un’alternativa ai polimeri tradizionali,
quando, invece, dovrebbero affiancare questi ultimi. L’impatto ambientale dei biopolimeri, in fase di
produzione, non è trascurabile, ma giustificato per
tutti quei prodotti che, come gli imballaggi, risultano difficilmente soggetti a una raccolta differenziata
e vengono comunemente dispersi nell’ambiente. Il
riciclo dei materiali tradizionali, che può comprendere anche i biopolimeri, è sicuramente da promuovere e incentivare a livello aziendale e familiare. Una migliore separazione, una ricerca mirata a
identificare nuove applicazioni per il riciclo e il riuso dei materiali, una politica più efficace di riutilizzo
dei manufatti, potrebbero abbassare ulteriormente
l’impatto dei prodotti plastici”.
Peduto: “Nel caso di Radici Chimica parliamo di
biopolimeri i cui costituenti provengono parzialmente o totalmente da fonti rinnovabili. I vantaggi
in termini di impatto ambientale, rispetto alle plastiche tradizionali, riguardano soprattutto le minori
emissioni di anidride carbonica. Per quanto riguarda l’aspetto riciclo, non vi è assolutamente alcuna
differenza tra biopolimeri, cioè polimeri derivati da
fonti rinnovabili, e resine tradizionali: entrambi possono ugualmente essere riciclati. Diverso è se si
parla di polimeri biodegradabili, ma non rientrano
nella nostra gamma prodotti. Il tema dello sfruttamento del territorio è certamente importante. Il nostro gruppo ha effettuato un’analisi di tracciabilità
relativamente alla provenienza delle materie prime
di origine naturale utilizzate, accertandosi che le
coltivazioni, come nel caso della pianta dell’olio di
ricino dai cui semi si ricava l’acido sebacico della

riciclo di quest’ultimo. Il valore di questo parametro
è strettamente legato al segmento di mercato d’utilizzo di ogni specifico prodotto. La biodegradabilità può non essere strettamente richiesta in segmenti quali tubi e raccordi piuttosto che in quello
delle suole delle scarpe, mentre ha un elevato valore, per esempio, per gli shopper, i sacchetti per
rifiuti o i film agricoli per pacciamatura, che richiedono un fine vita diverso del prodotto”.

BIOPOLIMERI A PARTE, UN MATERIALE
CHE CONTENGA SOLAMENTE UNA
PERCENTUALE DI POLIMERO DERIVATO DA
FONTI RINNOVABILI È, SECONDO VOI, UNA
SOLUZIONE GREEN O PUÒ, INVECE, RENDERE
DIFFICOLTOSO IL SUCCESSIVO RICICLO DEL
PRODOTTO, TRATTANDOSI DI MATERIALI DI
DIVERSA NATURA?
Luoni: “Qualsiasi materiale plastico riciclabile può
essere riciclato praticamente all’infinito, anche se
perde parzialmente le sue caratteristiche”.
Colombo: “Bisognerebbe interrogarsi sulle ragioni
di tali formulazioni, che non conosco. È chiaro che,
se si creano le premesse per rendere difficoltosa la
chiusura del cerchio, mi sembra vi sia un problema, ma non ho la competenza per argomentare
oltre al buon senso”.
Maestrini: “Credo che la risposta a questa domanda sia abbastanza semplice: per quanto riguarda le materie plastiche, il fine vita che va privilegiato - e in questo senso mi sembra si muova
tutta la legislazione comunitaria - è il riciclo. Pertanto, materiali ibridi, che richiedano percorsi dedicati
di riciclo o, peggio, che non siano riciclabili, costituiscono un problema”.
Pagani: “I polimeri da fonti rinnovabili possono
essere un’ulteriore soluzione green, ma devono
sempre essere considerati all’interno del processo

Essere “green” significa trovarsi a metà strada
tra moda passeggera e comportamento virtuoso;
in ogni caso, fa bene non solo all’ambiente,
ma anche all’economia
nostra PA6.10, vengano effettuate su terreni semiaridi. Queste coltivazioni non sono così in concorrenza con le colture alimentari”.
Lombardini: “L’LCA è lo strumento idoneo per
quantificare l’impatto ambientale dei prodotti da
materie prime rinnovabili e per valorizzarli al meglio.
Vorrei però rimarcare che sono due cose differenti il grado di rinnovabilità e la biodegradabilità del
prodotto, che determina la necessità o meno di un

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Nicolangelo Peduto, Radici Chimica

che solo in parte, ottenuta da fonte rinnovabile è un
materiale la cui produzione implicherà minori emissioni di CO2. Dal punto di vista del riciclo, il fatto
che un materiale contenga soltanto una percentuale di polimero da fonti rinnovabili, non implica
sostanziali differenze rispetto alle plastiche tradizionali. La componente green sta diventando così importante da rappresentare un elemento di classificazione dei tecnopolimeri, che va ad aggiungersi
agli altri due assi tradizionali e cioè: i costi di produzione; le prestazioni tecniche. Lavorando su questi
tre assi è possibile ottenere una gamma di polimeri con componente “verde” che hanno prestazioni
diverse e, quindi, possono essere orientati verso
applicazioni specifiche ottimizzandone i costi”.
Lombardini: “Moltissimi prodotti non provengono
da fonte rinnovabile al 100%, ma non per questo
sono da considerarsi un compromesso green. Ancora una volta, però, penso si debba distinguere la
biodegradabilità dal grado di rinnovabilità. È utile
sapere che si possono ottenere prodotti biodegradabili anche da materie prime fossili (DMC) e prodotti non biodegradabili da materie prime rinnovabili, e viceversa”.

produttivo completo. Le materie prime rinnovabili
posseggono una ridotta stabilità di composizione
e caratteristiche; quindi vanno accuratamente valutate, dosate e controllate al fine di non modificare
le proprietà del prodotto finito. La possibilità di riciclo generalmente non risulta compromessa”.

COSE NE PENSATE DELL’IMPIEGO DEGLI
ADDITIVI OXOBIODEGRADANTI?

Peduto: “Per quel che riguarda la nostra gamma
di prodotti, si tratta assolutamente di una soluzione green. Un materiale la cui componente sia, an-

Colombo: “Non sono un chimico per cui mi è difficile commentare in merito; posso solo dire che, a
un convegno a cui ho partecipato, un noto e stima-

Luoni: “È la risposta a basso costo all’esigenza
di bio. Vi sono però forti dubbi sulla reale “biodegradabilità” del prodotto e, quindi, del rispetto delle
norme a riguardo”.

MACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013
OPINIONI A CONFRONTO

Sergio Lombardini, Versalis

to professore universitario italiano esperto in materia non si esprimeva positivamente su tali additivi in
termini di alternativa ai biopolimeri ottenuti da fonti
naturali; sono due cose veramente differenti”.
Maestrini: “Premesso che la mia, naturalmente,
è un opinione di parte, sono convinto che siano
prodotti validi e che meritino di essere considerati.
Per quanto riguarda la loro efficacia rimando all’abbondante letteratura scientifica disponibile e ai lavori effettuati dal professor Chiellini dell’Università
di Pisa, che è un’autorità in questo campo. Vorrei
ribadire peraltro che fare di ogni erba un fascio e
accomunare tutti gli additivi presenti sul mercato
è un errore. Gli additivi oxobiodegradanti sono gli
unici per i quali è nota la composizione, si conosce il meccanismo d’azione ed esiste una letteratura che ne mette in evidenza le caratteristiche e,
giustamente, anche i limiti. Il principale è che oggi
sono efficaci solo se applicati alle poliolefine. Vorrei toccare anche un paio di punti controversi, vale
a dire la questione della riciclabilità e quella della
compostabilità. Nonostante organizzazioni anche
autorevoli - sto pensando a EuPC - avanzino dubbi sulla riciclabilità della plastica oxobiodegradabile,
non mi risulta che sia mai stato mostrato un solo
studio scientifico convincente che provi un loro impatto negativo sul riciclo, mentre le evidenze contrarie esistono, ma più di tutto vale il fatto che la
plastica oxobiodegradabile è quotidianamente riciclata senza problemi dalle migliaia di aziende che
la utilizzano nel mondo. Peraltro trovo francamente
piuttosto singolare che i riciclatori si preoccupino di
un eventuale contaminazione del loro flusso con la
plastica oxobiodegradabile e trascurino il fatto che
già oggi è invece la bioplastica a inquinare la racMACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013

colta differenziata della plastica. Non vorrei fare del folklore, ma nel condominio
dove abito, per esempio, capita spessissimo di trovare sacchetti in biopolimero
compostabile nella frazione della plastica. Per quanto riguarda la compostabilità poi, mi sembra che oggi assistiamo
a una sorta di furore ideologico, per cui
tutto dovrebbe essere compostabile: la
bottiglia, la biro, addirittura i manufatti più
sofisticati come cavatappi e altri accessori da cucina. Credo di non sbagliarmi
se affermo che la bioplastica nel compostaggio dovrebbe avere funzioni di contenimento e al massimo essere utilizzata
per oggetti che non si riescono facilmente a separare da residui di cibo. Che senso abbia gettare nel compostaggio una
biro o una bottiglia francamente mi sfugge. Senza aprire la controversa questione della reale compatibilità della plastica
oxobiodegradabile con i processi di compostaggio, il fatto che essa non sia conforme alla (molto
criticabile) norma 13432 non mi pare pertanto una
limitazione così grave. Qual è il senso della plastica oxobiodegradabile allora? Lo abbiamo ripetuto
fino all’estenuazione: la plastica oxobiodegradabile
deve seguire il destino della plastica convenzionale, vale a dire che deve essere riciclata ed eventualmente termovalorizzata, perché è assolutamente
compatibile con entrambi i processi. Ma il punto

testuosa). Perché, invece che lanciarsi in polemiche sterili e viziate da considerazioni che non hanno nulla di scientifico, al Ministero dell’Ambiente e
a quello dello Sviluppo Economico non si apre un
tavolo che dia garanzie di imparzialità e non si valutano tutte le opzioni e le opportunità per lanciare
e rilanciare l’industria della plastica nella sua interezza, convenzionale, riciclata, oxobiodegradabile
e da fonti rinnovabili, nel nostro Paese, che solo
pochi anni fa in questo settore non aveva nulla da
invidiare alla Germania e che oggi invece segna
drammaticamente il passo?”.
Pagani: “Come per i polimeri biodegradabili, l’utilizzo di additivi oxobiodegradanti riduce significativamente la persistenza del materiale in natura, ma
risulta sempre un intervento a valle. Ricerca, educazione e politica del recupero agiscono per ridurre, a monte, la mole di materiale di scarto”.
Peduto: “Non sono molto favorevole a questa soluzione. Ci sono brevetti che proteggono composizioni di questo tipo anche sulla poliammide. Ma
l’effetto primario degli additivi oxobiodegradanti, in
sinergia con la luce e l’ossigeno, è quello di frantumare e polverizzare gli articoli in plastica senza
evidenza di una loro completa biodegradabilità.
A quel punto meglio avere il pezzo integro per limitare il suo impatto sull’ambiente. Inoltre, la degradazione può essere accelerata se il pezzo viene sottoposto a particolari condizioni di esercizio e

Oggi, questo settore trasversale dà anche vita
a nuovi momenti di incontro e confronto, come
il primo Forum della Sostenibilità, che si è
svolto a Milano il 31 ottobre scorso”
è che l’abbandono dei rifiuti plastici e il loro accumulo nell’ambiente è un problema sistemico, che
non può essere completamente risolto e che, rappresenta oggi un serio problema anche - e soprattutto - in Italia, come viene peraltro rimarcato da
tutte le associazioni ambientaliste. Io faccio spesso
l’esempio degli airbag sull’auto. Tutti quanti speriamo che non ci capiti mai di usarli, tuttavia oggi non
ne faremmo più a meno. Peraltro nessun legislatore si è mai sognato di proibire l’installazione degli
airbag con la giustificazione che incentiverebbero
la guida pericolosa. La oxobiodegradazione rappresenta una sorta di airbag per la plastica: nessuno vuole che la plastica finisca nell’ambiente, e
tutti ci impegniamo perché non ci finisca più, ma se
succede è molto meglio che si biodegradi in tempi
relativamente rapidi piuttosto che si accumuli per
secoli (giusto per evitare confusioni la plastica oxobiodegradabile si biodegrada, non si frammenta
semplicemente, quindi anche questa critica è pre-

può, quindi, avvenire anche durante la fase di vita
dell’articolo stesso, pregiudicandone le prestazioni
e certamente limitandone la diffusione. La posizione del nostro gruppo è, invece, quella di dedicare
risorse oltre che al riciclo post industriale, nel quale
siamo organizzati con strutture industriali di rilievo,
anche al riciclo post consumo e stiamo già lavorando in questo senso. Abbiamo, infatti, definito,
soprattutto con l’area materie plastiche, dei progetti molto importanti già in fase di industrializzazione”.
Lombardini: “Esiste una norma UNI che classifica
i prodotti in biodegradabili o meno. Una considerazione non prettamente scientifica fa dubitare che
l’impiego di additivi possa rendere biodegradabile
un prodotto che non lo è, come il polietilene. Comunque, è la stretta e rigorosa applicazione della norma che determina la biodegradabilità di un
prodotto”.

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Opinioni a confronto - L’importanza di essere “green” a cura di Luca Mei

  • 1. MARKETING OPINIONI A CONFRONTO L’IMPORTANZA DI ESSERE “GREEN” LA GREEN ECONOMY È UNA MODA PASSEGGERA O UN MODO VIRTUOSO DI CONDURRE LE ATTIVITÀ UMANE? COSA PENSANO A RIGUARDO GLI OPERATORI DEL SETTORE MATERIE PLASTICHE E QUALI INIZIATIVE ATTUANO IN CHIAVE DI SOSTENIBILITÀ? BIOPOLIMERI SI O BIOPOLIMERI NO? QUESTI E TANTI ALTRI I TEMI AFFRONTATI NEL GIRO DI OPINIONI DI QUESTO NUMERO. A CURA DI LUCA MEI O ggi essere “green” significa trovarsi a metà strada tra moda passeggera con cui darsi lustro e vero e proprio modo virtuoso di condurre le attività umane. Un dato però è certo: in ogni caso fa bene non solo all’ambiente, ma anche all’economia. Secondo i dati di una recente ricerca della Camera di Commercio di Milano, il volume d’affari prodotto dalle imprese “verdi” nel solo capoluogo lombardo supererebbe gli 8 miliardi di euro, ossia oltre il 59% del fatturato della green economy lombarda (che totalizza 13,5 miliardi di euro di fatturato) e il 16% del totale nazionale (pari a 49 miliardi). E questi valori sono in costante crescita. Tra i settori considerati nella ricerca rientrano anche la raccolta, il riutilizzo e il riciclo di rifiuti, quasi per catapultarci direttamente dentro l’argomento del “giro di opinioni” di questo numero. Ma restiamo per un momento ancora sui risultati 10 emersi dalla ricerca. Quello “verde” sta divenendo sempre più un settore trasversale vero e proprio dell’economia e, in Lombardia, si posiziona al quinto posto per importanza, prima di quello alimentare e dopo quello farmaceutico, con il 7,4% del volume d’affari complessivo del manifatturiero. In termini occupazionali sono quasi 10 mila gli “eco lavoratori”, di cui 6000 nel settore delle energie rinnovabili, e anche in questo caso i numeri sarebbero in crescita (che non è male di questi tempi). Inoltre, tra le professionalità più richieste figurano gli addetti al ciclo dei rifiuti. A riguardo, poi, nascono anche nuovi momenti di incontro e confronto, come la prima edizione del Forum della Sostenibilità, che ha avuto luogo a Milano il 31 ottobre, nato per promuovere, tra le altre cose, l’approccio alle problematiche socio-ambientali come leva per lo sviluppo di una maggiore competitività d’impresa. Nelle pagine che seguono, dunque, ritroviamo alcuni di questi spunti, sebbene marcatamente contestualizzati e strettamente attinenti al settore delle materie plastiche, sul fronte tanto della produzione quanto delle tecnologie di trasformazione. Ciò che di interessante emerge è un’opinione generale che va nella stessa direzione, ossia quella dell’importanza di essere green, appunto come recita il titolo, seppure ciascuno degli intervistati declini in maniera tutta personale il modo, per così dire, di arrivare a destinazione. Elemento questo, crediamo, capace di catturare l’attenzione del lettore. RITIENE CHE LA CORSA A DIVENTARE PIÙ “GREEN” SIA SOLO UNA MODA PASSEGGERA O LE AZIENDE INTENDONO DAVVERO RIDURRE L’IMPATTO AMBIENTALE DELLA MACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013
  • 2. OPINIONI A CONFRONTO PROPRIA ATTIVITÀ? QUAL È LA STRATEGIA DELLA VOSTRA SOCIETÀ A RIGUARDO? Giovanni Luoni (Elba): “Non credo si tratti solo di una moda passeggera, ritengo invece che una maggiore attenzione ai problemi ambientali e a un più oculato utilizzo delle risorse sia oramai divenuto un “must”. È però vero che la corsa al “green” viene molto spesso utilizzata come veicolo pubblicitario o di marketing e non apporta significativi vantaggi in termini di impatto ambientale”. Giorgio Colombo (Icma San Giorgio): “La variabile ambientale è certamente importante da considerare, anche se bisogna stare molto attenti a che non si trasformi in ulteriori vincoli di tipo normativo che appesantiscano la normale e responsabile gestione aziendale, anche rispetto ai nostri concorrenti diretti. Le macchine che stiamo costruendo sono sempre più efficienti sul fronte del consumo energetico: questa è la nostra strategia. La grande attenzione verso soluzioni tecnologiche avanzate per il riciclo di materiali plastici e resine biodegradabili rappresenta un altro punto di eccellenza che ci riguarda”. Claudio Maestrini (Kromabatch): “Penso che la coscienza ecologica sia oggi diffusa e condivisa tra le aziende del settore delle materie plastiche, molto più di quanto non si creda. Detto questo, tuttavia, non posso evitare di sospettare che il prefisso “green” sia diventato una sorta di mantra che si vorrebbe utilizzare in ogni circostanza e, purtroppo, spesso a sproposito. Per quanto ci riguarda, nonostante la nostra attività coinvolga letteralmente centinaia di cambi colore all’anno, praticamente ricicliamo tutte le materie prime al nostro interno e tutte le nostre apparecchiature sono raffreddate ad acqua in circuito chiuso. Il nostro impatto ambientale è ridotto veramente al minimo. Inoltre, abbiamo contribuito all’introduzione della plastica oxobiodegradabile in Italia, che riteniamo essere un prodotto che merita considerazione e che, non giore consapevolezza dell’impatto dei processi produttivi. Una strategia di questo tipo risulta tuttavia, in un momento di scarsità di investimenti, difficilmente perseguibile a breve termine, a causa del considerevole impegno economico richiesto cui fa eco un non immediato ritorno. La nostra azienda risulta, comunque, particolarmente sensibile a questa tematica dal punto di vista sia energetico, con la possibilità di sfruttare fonti rinnovabili, sia scientifico, con progetti di ricerca volti alla riduzione dell’impatto ambientale del processo produttivo e del prodotto”. Giorgio Colombo, Icma San Giorgio Filippo Servalli (RadiciGroup): “Oggi il binomio business sostenibilità è da considerarsi realmente imprescindibile. Non si tratta di una moda passeggera o di mere azioni di marketing. Le imprese stanno cambiando, e dovranno cambiare sempre di più il loro modo di produrre, di approvvigionarsi, di vendere. Così come il consumatore sta modificando, e dovrà modificare in maniera radicale, le proprie scelte di acquisto. Il senso vero della green economy, o meglio, “economia sostenibile”, espressione che preferisco, è questo. Siamo Secondo i dati più recenti, il volume d’affari prodotto dalle imprese “verdi” a livello nazionale ammonta a circa 49 miliardi di euro” solo a mio giudizio, rappresenta la più valida opportunità di soluzione al problema dell’accumulo dei rifiuti plastici nell’ambiente”. Armando Pagani (Elastomers Union): “La tensione delle aziende verso una politica più “green”, iniziata come moda e proseguita grazie anche a incentivi fiscali, si sta attualmente sviluppando con una più reale attenzione all’ambiente e una magMACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013 formance del prodotto è fondamentale. La politica del nostro gruppo è quella di agire in maniera concreta, da monte a valle della nostra filiera industriale, per fare della sostenibilità uno strumento di business, di cultura societaria, un approccio nella gestione aziendale. È una visione ampia che pone al centro dell’attenzione la misurazione sistemica e rigorosa di indicatori non solo ambientali ed economici, ma anche relativi a diritti umani, pratiche e condizioni di lavoro, società, responsabilità di prodotto. Come da linee guida della GRI (Global Reporting Initiative, ndr)”. solo all’inizio di un percorso che necessita il superamento di molte barriere, lo sappiamo bene. Si tratta di una sfida complessa, ma che il sistema mondo non può esimersi dall’affrontare. Serve concretezza, servono azioni. È necessario convincere i mercati con motivazioni concrete e credibili nello scegliere e nel premiare i prodotti green. Nel nostro caso, per esempio, garantire sostenibilità a parità, in alcuni casi addirittura superiorità, di per- Sergio Lombardini (Versalis): “Siamo agli inizi dello sviluppo di un nuovo albero della chimica, con molte incognite e con naturali rischi industriali e di sviluppo prodotti. Il successo, oltre alle abilità delle singole società che intraprenderanno questa strada, dipenderà dall’ambiente normativo che si creerà in Europa, non sorretto da sussidi, ma che dovrà avere come obiettivo la valutazione reale dei nuovi prodotti in termini di LCA (Life Cycle Assessment), la metodologia che quantifica l’impatto ambientale di un prodotto nella sua intera vita, fino allo smaltimento. Certamente ci sono un “fashion green” e anche un fenomeno di “greenwashing” (appropriazione ingiustificata di virtù ambientalistiche) che attirano molti player a cimentarsi in questo campo, specie in questa fase iniziale. Versalis, invece, ritiene che ci siano tutti i presupposti per avere successo industriale in questo sviluppo e per poter integrare questo nuovo albero della chimica con quello tradizionale della chimica da fonti fossili, grazie al suo background industriale e all’esperienza pluriennale della ricerca nel campo del rinnovabile, oltre che a una sua forte attività di ricerca e sviluppo”. MOLTE AZIENDE OGGI PRODUCONO AUTONOMAMENTE L’ENERGIA DI CUI HANNO BISOGNO ATTRAVERSO FONTI ALTERNATIVE, 11
  • 3. MARKETING Claudio Maestrini, Kromabatch A sinistra: Giovanni Luoni, Elba IN PRIMIS IL FOTOVOLTAICO. COME VI ORIENTATE AL RIGUARDO? Luoni: “Il nostro gruppo ha già adottato dallo scorso anno questa soluzione. Infatti abbiamo in funzione due impianti fotovoltaici per un totale di 300 kW/h”. Colombo: “Preferiamo investire nella nostra attività specifica; ho visto e mi hanno proposto piani di investimento per pannelli fotovoltaici, ma abbiamo altre priorità”. Maestrini: “Per quanto ci riguarda non ci siamo ancora orientati verso fonti di energia alternativa. Personalmente ho ancora forti perplessità sulla tecnologia fotovoltaica, la cui resa non mi sembra sufficiente a giustificarne un utilizzo così massiccio come quello al quale siamo stati spinti in Italia. Il costo dell’energia rappresenta per noi una variabile rilevante, ma la mia opinione è che la soluzione di questo problema non debba essere demandata alle singole aziende, ma debba essere presa in carico dal “sistema Italia” nel suo complesso. Nel bouquet energetico sono i fornitori che dovrebbero offrire una sempre più elevata percentuale da fonti rinnovabili”. co. Molti dei nostri siti italiani, grazie al supporto di Geogreen, azienda nata negli Anni Ottanta per produrre e vendere energia a RadiciGroup e oggi trasformatasi in un punto di riferimento aperto al mercato, sono alimentati grazie all’energia prodotta nelle diverse centrali idroelettriche di cui dispone Geogreen sul territorio. Tra gli investimenti più recenti di questa realtà, fornitore e partner di RadiciGroup, ci sono proprio quelli nel settore idroelettrico. In quanto al fotovoltaico, a oggi non possiamo contare su impianti installati, ma Geogreen possiede tutte le conoscenze del caso per fornire a clienti esterni consulenze e progetti anche per impianti alimentati con questa fonte”. Lombardini: “La generazione di energia da fonte rinnovabile è nel business di Eni e, quindi, Versalis vi guarda con estrema attenzione e interesse, come un elemento necessario per creare un polo integrato per la produzione di prodotti rinnovabili. Riserviamo un’attenzione particolare alla generazione di vapore a media e bassa pressione, utility principale per le fermentazioni”. Pagani: “L’impiego di fonti energetiche alternative appare particolarmente interessante e il fotovoltaico risulta una tecnologia sufficientemente collaudata da poter garantire un accettabile grado di stabilità. Si tratta, quindi, di un investimento che verrà valutato per uno sviluppo prossimo dell’azienda”. PERSEGUIRE UNA STRATEGIA GREEN PRESENTA COSTI SUPERIORI RISPETTO ALL’ATTIVITÀ STANDARD E INFLUISCE SULLA VOSTRA PRODUTTIVITÀ? RITENENTE COMUNQUE CHE NE VALGA LA PENA E CHE VI SIANO RITORNI POSITIVI PERCEPIBILI GIÀ NEL BREVE-MEDIO PERIODO? Servalli: “Il nostro gruppo ha da tempo scelto di sposare la filosofia energetica dell’idroelettrico. A oggi, circa il 40% dell’energia utilizzata per alimentare i nostri siti produttivi, è proprio da idroelettri- Luoni: “L’applicazione di una corretta strategia “ecologica” nel ciclo produttivo delle nostre linee, se debitamente gestita, non genera particolari costi aggiuntivi, ma, altresì, genera una riduzione degli scarti e dei rifiuti conferiti”. 12 Colombo: “Tutte le attività economiche che presentano costi superiori rispetto a valide alternative vanno valutate con grande cautela. Sui ritorni ottenibili è comunque difficile dare una giudizio a livello di singola unità produttiva, è più un discorso di sistema paese. Mi sembra che comunque le economie avanzate vadano sempre più verso modelli circolari, nei quali c’è spazio e opportunità per ripensare con profitto i modelli lineari del passato”. Maestrini: “Personalmente ritengo che, per affermarsi solidamente, la green economy non debba ricorrere ad aiuti o sovvenzioni, ma debba fare leva unicamente sull’efficienza dei processi, la qualità dei prodotti e l’efficacia della comunicazione, che devono essere sufficienti a orientare il mercato senza costringerlo. Un’economia verde basata stabilmente su divieti, aiuti di stato, sovvenzioni occulte non può garantire la prosperità di un settore né nel breve, né, tantomeno, nel lungo periodo. Io, poi, nutro una radicata diffidenza nei confronti di tutte le manovre distorsive del mercato. Pertanto, in considerazione anche del momento particolarmente difficile, noi vogliamo, e dobbiamo, orientarci verso soluzioni che, pur con un respiro più ampio, ci consentano di migliorare la nostra competitività nell’immediato. Anche per questo riteniamo che la plastica oxobiodegradabile rappresenti un’opportunità assolutamente da cogliere”. Pagani: “Le strategie green non sono attualmente sufficientemente promosse e appoggiate dalla politica di sviluppo italiana e, poiché richiedono inizialmente un incremento sostanziale dei costi, il loro sviluppo risulta rallentato. Appoggiamo tuttavia, compatibilmente con la crescita aziendale, questo MACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013
  • 4. OPINIONI A CONFRONTO tipo di politica, sebbene non riteniamo possibile un riscontro positivo a breve-medio periodo quanto, piuttosto, un reale impatto a lungo termine”. Nicolangelo Peduto (Radici Chimica): “La nostra strategia green, con particolare riferimento ai prodotti, comprende tre assi di sviluppo: biopolimeri, in particolare biopoliammidi ottenute parzialmente o totalmente da fonti rinnovabili, riciclo post industriale e design di prodotti ottenuti da fonti tradizionali. A seconda dei casi, possono esserci differenze nei costi e nella produttività, sia in un senso che nell’altro. Con il riciclo post industriale recuperiamo e selezioniamo i nostri scarti di produzione o fuori norma, riciclandoli in prodotti con prestazioni adeguate per svariate applicazioni, ottenendo chiari vantaggi in termini di costi e impatto ambientale. Per quel che riguarda le biopoliammidi i costi di produzione sono sicuramente più alti rispetto a quelli delle poliammidi tradizionali, come la 6 e la 6.6. Questi “nuovi” polimeri mostrano però vantaggi in termini di prestazioni, tali da essere messi in concorrenza con altre poliammidi/polimeri tradizionali che a loro volta presentano spesso costi superiori. È da rimarcare il fatto che la produzione industriale di queste biopoliammidi non richiede investimenti in nuovi impianti, ma a volte solo adeguamenti di strutture esistenti e utilizzate nella produzione di plastiche tradizionali. Stiamo inoltre lavorando su prodotti ottenuti dal petrolio che, preservando prestazioni equivalenti ai prodotti tradizionali, consentano un risparmio energetico nella loro trasformazione, Sotto a sinistra: Armando Pagani, Elastomers Union A destra: Filippo Servalli, RadiciGroup MACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013 unitamente a un aumento notevole di produttività. Ritengo quindi che perseguire una strategia sostenibile sia assolutamente necessario, esattamente come la ricerca di fonti alternative di energia e in particolare di energia verde. Un’attività che implica certamente sforzo e impegno, ma che risulta molto stimolante sia per chi si occupa di ricerca e sviluppo sia per chi deve creare mercato e valore per questi prodotti”. Lombardini: “Come in tutti i progetti di ricerca, siamo all’inizio di una curva di investimento che richiede per sua natura di sopportare costi con ritorni economici di medio-lungo periodo; è però anche vero che il centro ricerche di materie prime da fonti rinnovabili Versalis di Novara è impegnato da ben 5 anni in questo settore. Oltre a Matrica (la joint venture con Novamont), che ha beneficiato dello sviluppo di tecnologie avanzate di Novamont, Versalis ha iniziato da diversi anni lo studio di prodotti da materie prime rinnovabili ed è ormai vicina alla realizzazione industriale con nuovi processi”. SECONDO LEI L’IMPATTO AMBIENTALE DEI BIOPOLIMERI È DAVVERO COSÌ INFERIORE RISPETTO A QUELLO DELLE PLASTICHE TRADIZIONALI, CONSIDERANDO LA POSSIBILITÀ DI RICICLO DI QUESTE ULTIME E LO SFRUTTAMENTO DEL TERRITORIO DI CUI NECESSITANO INVECE LE PRIME? Luoni: “Assolutamente no. Innanzitutto le plastiche bio sono estremamente costose e tecnicamente limitate. Inoltre, voglio ricordare che le plastiche “tradizionali” sono riciclabili per definizione e regolarmente utilizzate anche al 100% in alcuni prodotti”. Colombo: “Sono due modelli di salvaguardia am- bientale differenti, che possono benissimo coesistere; non vedo l’utilità di fare classifiche, dato che perseguono entrambe un medesimo obiettivo”. Maestrini: “A questa domanda è necessaria una premessa, che viene troppo spesso dimenticata. Fino a quando gli idrocarburi fossili costituiranno la materia prima principale per la produzione di combustibili e di carburanti, la produzione di polimeri convenzionali rappresenterà la necessaria “chiusura” del ciclo della raffinazione. Non c’è dubbio che sia molto meglio utilizzare il petrolio per produrre oggetti a elevata tecnologia e riciclabili, piuttosto che bruciarlo, a maggior ragione se per fare questo si utilizzano frazioni che altrimenti non troverebbero impieghi. Ciò non significa che i biopolimeri non possano e non debbano avere un loro spazio. Al contrario ritengo che si tratti di materiali estremamente interessanti e promettenti. Quello che auspico, però, è che non prevalga un approccio manicheo; spero cioè che con l’intento, tutto commerciale, di promuovere lo sviluppo di determinati prodotti non si finisca per demonizzarne ingiustamente altri, come invece purtroppo mi sembra stia capitando, soprattutto in Italia. Venendo al merito della domanda, io credo che purtroppo oggi il dibattito che riguarda il rapporto tra biopolimeri e plastica convenzionale e il loro reale impatto ambientale non sia affatto sereno: si utilizzano i risultati di studi troppo spesso incompleti e di parte come clave per sostenere tesi preconcette. Il risultato è che non si riesce a giungere a conclusioni veramente attendibili, imparziali e condivise. Il materiale perfetto non esiste e i biopolimeri presentano ancora notevoli criticità. Temo che fingere di ignorarle, per imporne un uso esclusivo e massiccio, possa rivelarsi un danno per l’economia e per l’ambiente. Quello che, invece, dovremmo cercare di fare, a 13
  • 5. MARKETING mio modestissimo avviso, è valutare bene le potenzialità e le caratteristiche dei biopolimeri per fare in modo che vengano utilizzati nei settori ad alto valore aggiunto che sono in grado di pagarne i costi di sviluppo e produzione”. Pagani: “I biopolimeri sono considerati, erroneamente, come un’alternativa ai polimeri tradizionali, quando, invece, dovrebbero affiancare questi ultimi. L’impatto ambientale dei biopolimeri, in fase di produzione, non è trascurabile, ma giustificato per tutti quei prodotti che, come gli imballaggi, risultano difficilmente soggetti a una raccolta differenziata e vengono comunemente dispersi nell’ambiente. Il riciclo dei materiali tradizionali, che può comprendere anche i biopolimeri, è sicuramente da promuovere e incentivare a livello aziendale e familiare. Una migliore separazione, una ricerca mirata a identificare nuove applicazioni per il riciclo e il riuso dei materiali, una politica più efficace di riutilizzo dei manufatti, potrebbero abbassare ulteriormente l’impatto dei prodotti plastici”. Peduto: “Nel caso di Radici Chimica parliamo di biopolimeri i cui costituenti provengono parzialmente o totalmente da fonti rinnovabili. I vantaggi in termini di impatto ambientale, rispetto alle plastiche tradizionali, riguardano soprattutto le minori emissioni di anidride carbonica. Per quanto riguarda l’aspetto riciclo, non vi è assolutamente alcuna differenza tra biopolimeri, cioè polimeri derivati da fonti rinnovabili, e resine tradizionali: entrambi possono ugualmente essere riciclati. Diverso è se si parla di polimeri biodegradabili, ma non rientrano nella nostra gamma prodotti. Il tema dello sfruttamento del territorio è certamente importante. Il nostro gruppo ha effettuato un’analisi di tracciabilità relativamente alla provenienza delle materie prime di origine naturale utilizzate, accertandosi che le coltivazioni, come nel caso della pianta dell’olio di ricino dai cui semi si ricava l’acido sebacico della riciclo di quest’ultimo. Il valore di questo parametro è strettamente legato al segmento di mercato d’utilizzo di ogni specifico prodotto. La biodegradabilità può non essere strettamente richiesta in segmenti quali tubi e raccordi piuttosto che in quello delle suole delle scarpe, mentre ha un elevato valore, per esempio, per gli shopper, i sacchetti per rifiuti o i film agricoli per pacciamatura, che richiedono un fine vita diverso del prodotto”. BIOPOLIMERI A PARTE, UN MATERIALE CHE CONTENGA SOLAMENTE UNA PERCENTUALE DI POLIMERO DERIVATO DA FONTI RINNOVABILI È, SECONDO VOI, UNA SOLUZIONE GREEN O PUÒ, INVECE, RENDERE DIFFICOLTOSO IL SUCCESSIVO RICICLO DEL PRODOTTO, TRATTANDOSI DI MATERIALI DI DIVERSA NATURA? Luoni: “Qualsiasi materiale plastico riciclabile può essere riciclato praticamente all’infinito, anche se perde parzialmente le sue caratteristiche”. Colombo: “Bisognerebbe interrogarsi sulle ragioni di tali formulazioni, che non conosco. È chiaro che, se si creano le premesse per rendere difficoltosa la chiusura del cerchio, mi sembra vi sia un problema, ma non ho la competenza per argomentare oltre al buon senso”. Maestrini: “Credo che la risposta a questa domanda sia abbastanza semplice: per quanto riguarda le materie plastiche, il fine vita che va privilegiato - e in questo senso mi sembra si muova tutta la legislazione comunitaria - è il riciclo. Pertanto, materiali ibridi, che richiedano percorsi dedicati di riciclo o, peggio, che non siano riciclabili, costituiscono un problema”. Pagani: “I polimeri da fonti rinnovabili possono essere un’ulteriore soluzione green, ma devono sempre essere considerati all’interno del processo Essere “green” significa trovarsi a metà strada tra moda passeggera e comportamento virtuoso; in ogni caso, fa bene non solo all’ambiente, ma anche all’economia nostra PA6.10, vengano effettuate su terreni semiaridi. Queste coltivazioni non sono così in concorrenza con le colture alimentari”. Lombardini: “L’LCA è lo strumento idoneo per quantificare l’impatto ambientale dei prodotti da materie prime rinnovabili e per valorizzarli al meglio. Vorrei però rimarcare che sono due cose differenti il grado di rinnovabilità e la biodegradabilità del prodotto, che determina la necessità o meno di un 14 Nicolangelo Peduto, Radici Chimica che solo in parte, ottenuta da fonte rinnovabile è un materiale la cui produzione implicherà minori emissioni di CO2. Dal punto di vista del riciclo, il fatto che un materiale contenga soltanto una percentuale di polimero da fonti rinnovabili, non implica sostanziali differenze rispetto alle plastiche tradizionali. La componente green sta diventando così importante da rappresentare un elemento di classificazione dei tecnopolimeri, che va ad aggiungersi agli altri due assi tradizionali e cioè: i costi di produzione; le prestazioni tecniche. Lavorando su questi tre assi è possibile ottenere una gamma di polimeri con componente “verde” che hanno prestazioni diverse e, quindi, possono essere orientati verso applicazioni specifiche ottimizzandone i costi”. Lombardini: “Moltissimi prodotti non provengono da fonte rinnovabile al 100%, ma non per questo sono da considerarsi un compromesso green. Ancora una volta, però, penso si debba distinguere la biodegradabilità dal grado di rinnovabilità. È utile sapere che si possono ottenere prodotti biodegradabili anche da materie prime fossili (DMC) e prodotti non biodegradabili da materie prime rinnovabili, e viceversa”. produttivo completo. Le materie prime rinnovabili posseggono una ridotta stabilità di composizione e caratteristiche; quindi vanno accuratamente valutate, dosate e controllate al fine di non modificare le proprietà del prodotto finito. La possibilità di riciclo generalmente non risulta compromessa”. COSE NE PENSATE DELL’IMPIEGO DEGLI ADDITIVI OXOBIODEGRADANTI? Peduto: “Per quel che riguarda la nostra gamma di prodotti, si tratta assolutamente di una soluzione green. Un materiale la cui componente sia, an- Colombo: “Non sono un chimico per cui mi è difficile commentare in merito; posso solo dire che, a un convegno a cui ho partecipato, un noto e stima- Luoni: “È la risposta a basso costo all’esigenza di bio. Vi sono però forti dubbi sulla reale “biodegradabilità” del prodotto e, quindi, del rispetto delle norme a riguardo”. MACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013
  • 6. OPINIONI A CONFRONTO Sergio Lombardini, Versalis to professore universitario italiano esperto in materia non si esprimeva positivamente su tali additivi in termini di alternativa ai biopolimeri ottenuti da fonti naturali; sono due cose veramente differenti”. Maestrini: “Premesso che la mia, naturalmente, è un opinione di parte, sono convinto che siano prodotti validi e che meritino di essere considerati. Per quanto riguarda la loro efficacia rimando all’abbondante letteratura scientifica disponibile e ai lavori effettuati dal professor Chiellini dell’Università di Pisa, che è un’autorità in questo campo. Vorrei ribadire peraltro che fare di ogni erba un fascio e accomunare tutti gli additivi presenti sul mercato è un errore. Gli additivi oxobiodegradanti sono gli unici per i quali è nota la composizione, si conosce il meccanismo d’azione ed esiste una letteratura che ne mette in evidenza le caratteristiche e, giustamente, anche i limiti. Il principale è che oggi sono efficaci solo se applicati alle poliolefine. Vorrei toccare anche un paio di punti controversi, vale a dire la questione della riciclabilità e quella della compostabilità. Nonostante organizzazioni anche autorevoli - sto pensando a EuPC - avanzino dubbi sulla riciclabilità della plastica oxobiodegradabile, non mi risulta che sia mai stato mostrato un solo studio scientifico convincente che provi un loro impatto negativo sul riciclo, mentre le evidenze contrarie esistono, ma più di tutto vale il fatto che la plastica oxobiodegradabile è quotidianamente riciclata senza problemi dalle migliaia di aziende che la utilizzano nel mondo. Peraltro trovo francamente piuttosto singolare che i riciclatori si preoccupino di un eventuale contaminazione del loro flusso con la plastica oxobiodegradabile e trascurino il fatto che già oggi è invece la bioplastica a inquinare la racMACPLAS n. 337 - Ottobre/Novembre 2013 colta differenziata della plastica. Non vorrei fare del folklore, ma nel condominio dove abito, per esempio, capita spessissimo di trovare sacchetti in biopolimero compostabile nella frazione della plastica. Per quanto riguarda la compostabilità poi, mi sembra che oggi assistiamo a una sorta di furore ideologico, per cui tutto dovrebbe essere compostabile: la bottiglia, la biro, addirittura i manufatti più sofisticati come cavatappi e altri accessori da cucina. Credo di non sbagliarmi se affermo che la bioplastica nel compostaggio dovrebbe avere funzioni di contenimento e al massimo essere utilizzata per oggetti che non si riescono facilmente a separare da residui di cibo. Che senso abbia gettare nel compostaggio una biro o una bottiglia francamente mi sfugge. Senza aprire la controversa questione della reale compatibilità della plastica oxobiodegradabile con i processi di compostaggio, il fatto che essa non sia conforme alla (molto criticabile) norma 13432 non mi pare pertanto una limitazione così grave. Qual è il senso della plastica oxobiodegradabile allora? Lo abbiamo ripetuto fino all’estenuazione: la plastica oxobiodegradabile deve seguire il destino della plastica convenzionale, vale a dire che deve essere riciclata ed eventualmente termovalorizzata, perché è assolutamente compatibile con entrambi i processi. Ma il punto testuosa). Perché, invece che lanciarsi in polemiche sterili e viziate da considerazioni che non hanno nulla di scientifico, al Ministero dell’Ambiente e a quello dello Sviluppo Economico non si apre un tavolo che dia garanzie di imparzialità e non si valutano tutte le opzioni e le opportunità per lanciare e rilanciare l’industria della plastica nella sua interezza, convenzionale, riciclata, oxobiodegradabile e da fonti rinnovabili, nel nostro Paese, che solo pochi anni fa in questo settore non aveva nulla da invidiare alla Germania e che oggi invece segna drammaticamente il passo?”. Pagani: “Come per i polimeri biodegradabili, l’utilizzo di additivi oxobiodegradanti riduce significativamente la persistenza del materiale in natura, ma risulta sempre un intervento a valle. Ricerca, educazione e politica del recupero agiscono per ridurre, a monte, la mole di materiale di scarto”. Peduto: “Non sono molto favorevole a questa soluzione. Ci sono brevetti che proteggono composizioni di questo tipo anche sulla poliammide. Ma l’effetto primario degli additivi oxobiodegradanti, in sinergia con la luce e l’ossigeno, è quello di frantumare e polverizzare gli articoli in plastica senza evidenza di una loro completa biodegradabilità. A quel punto meglio avere il pezzo integro per limitare il suo impatto sull’ambiente. Inoltre, la degradazione può essere accelerata se il pezzo viene sottoposto a particolari condizioni di esercizio e Oggi, questo settore trasversale dà anche vita a nuovi momenti di incontro e confronto, come il primo Forum della Sostenibilità, che si è svolto a Milano il 31 ottobre scorso” è che l’abbandono dei rifiuti plastici e il loro accumulo nell’ambiente è un problema sistemico, che non può essere completamente risolto e che, rappresenta oggi un serio problema anche - e soprattutto - in Italia, come viene peraltro rimarcato da tutte le associazioni ambientaliste. Io faccio spesso l’esempio degli airbag sull’auto. Tutti quanti speriamo che non ci capiti mai di usarli, tuttavia oggi non ne faremmo più a meno. Peraltro nessun legislatore si è mai sognato di proibire l’installazione degli airbag con la giustificazione che incentiverebbero la guida pericolosa. La oxobiodegradazione rappresenta una sorta di airbag per la plastica: nessuno vuole che la plastica finisca nell’ambiente, e tutti ci impegniamo perché non ci finisca più, ma se succede è molto meglio che si biodegradi in tempi relativamente rapidi piuttosto che si accumuli per secoli (giusto per evitare confusioni la plastica oxobiodegradabile si biodegrada, non si frammenta semplicemente, quindi anche questa critica è pre- può, quindi, avvenire anche durante la fase di vita dell’articolo stesso, pregiudicandone le prestazioni e certamente limitandone la diffusione. La posizione del nostro gruppo è, invece, quella di dedicare risorse oltre che al riciclo post industriale, nel quale siamo organizzati con strutture industriali di rilievo, anche al riciclo post consumo e stiamo già lavorando in questo senso. Abbiamo, infatti, definito, soprattutto con l’area materie plastiche, dei progetti molto importanti già in fase di industrializzazione”. Lombardini: “Esiste una norma UNI che classifica i prodotti in biodegradabili o meno. Una considerazione non prettamente scientifica fa dubitare che l’impiego di additivi possa rendere biodegradabile un prodotto che non lo è, come il polietilene. Comunque, è la stretta e rigorosa applicazione della norma che determina la biodegradabilità di un prodotto”. 15