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Co-operare.
Proposte per uno sviluppo umano integrale
a cura di
Paolo Venturi e Sara Rago

FONDO

PROMOZIONE COOPERATIVE
È vietata la riproduzione degli scritti
apparsi sulla Rivista salvo espressa
autorizzazione della Direzione di AICCON.

AICCON
Piazzale della Vittoria, 15
47121 Forlì
Tel. 0543.62327 - Fax 0543.374676
www.aiccon.it
INDICE

introduzione	

7

di Paolo Venturi e Sara Rago
sessione di apertura – nuove strade per lo
sviluppo: quando co-operare conviene
intervento	

15

Quando co-operare conviene	
di Enrico Giovannini

23

intervento	

35

intervento	

40

imprenditorialità sociale: potenzialità
e promozione in rete	

45

di Stefano Zamagni

di Mauro Magatti
di Gianni Pittella
di Alberto Valentini

sessione parallela 1 – market
l’economia sociale al bivio

- non market:

quale mercato per quale economia?	

55

la finanza per l’impresa sociale	

65

costruire un ecosistema per la promozione
delle imprese sociali	

72

di Leonardo Becchetti
di Sergio Gatti

di Giuseppe Guerini

il posizionamento strategico della cooperazione
sociale per lo sviluppo locale	
89

di Eleonora Vanni

3
sessione parallela 2 – prove di nuovo welfare:
società civile, filantropia e volontariato
il ruolo della filantropia nella
costruzione del welfare di comunità	

di Bernardino Casadei

97

governance delle politiche sociali
e terzo settore in italia	

103

ri-generare il welfare	

126

le associazioni e il convenzionamento
con gli enti locali: il caso dell’auser	

131

di Luca Fazzi

di Cristiano Gori

di Francesco Montemurro

sessione di chiusura – liberare il lavoro.
l’occupazione di giovani e donne
nell’economia sociale
il contributo della cooperazione
al mercato del lavoro	

di Carlo Borzaga	
occupazione: fabbisogni formativi
e prospettive dell’economia sociale	
di Claudio Gagliardi	
lavoro e mutualità	

di Giuliano Poletti
giovani e donne: prospettive occupazionali
e loro ruolo nel volontariato	
di Linda Laura Sabbadini

159
170
184
188

la cura degli altri tra lavoro pagato
e non pagato: tensioni e potenzialità 	

195

conclusioni	

202

di Chiara Saraceno

di Stefano Zamagni
4
APPENDICE
presentazione – evoluzione della domanda
di credito per il terzo settore	

209

indagine conoscitiva	

224

di Roberto Felici, Giorgio Gobbi, Raffaella Pico
a cura di AICCON Ricerca

5
INTRODUZIONE
a cura di Paolo Venturi1 e Sara Rago2

Il tema della XII edizione
La crisi degli ultimi anni ha inasprito la situazione socioeconomica italiana mettendo in lu­ e, da un lato, l’insostec
nibilità del tradizionale modello di welfare e, dall’altro,
l’inappropria­ezza del paradigma economico tradizionat
le nel far fronte a nuove sfide sociali ed econo­ iche, tra le
m
quali, ad esempio, il problema occupazionale.
In Italia, il welfare state, così come delineato e conosciuto dal secondo dopoguerra ad og­ i, ha incominciato già
g
da diversi anni a dimostrare le proprie debolezze, poiché
nato come corollario ad un sistema economico, orientato
dapprima alla produzione di ricchezza e, so­o secondarial
mente, alla sua ridistribuzione.
In questo contesto caratterizzato da una crisi “entropica”, ossia di senso, occorre riflettere sui paradigmi all’origine del nostro modello di sviluppo economico e sociale.
I soggetti dell’Economia Civile si sono progressivamente
caratterizzati, anche dal punto di vista di scelte organizzative e vincoli formali, come organizzazioni impegnate
prevalente­ ente nella produzione di beni e servizi in gram
do di stabilire particolari relazioni di fiducia con i propri
consumatori e lavoratori dando “mercato”, insieme al valore d’uso e al valore di scambio, anche al valore di legame.
La forma di impresa cooperativa ne è esempio, avendo
al suo interno, da un lato, la dimen­ ione economica, che
s
impone che il suo agire si collochi all’interno del mercato e delle sue logiche, e, dall’altro, quella sociale, in
quanto ente che persegue fini meta-economici ed è in
grado di generare esternalità positive a vantaggio di altri
	 Direttore AICCON.
	 AICCON Ricerca.

1
2

7
soggetti e potenzialmente dell’in­ era collettività.
t
Ma la cooperazione non è soltanto una forma imprenditoriale. È anche un modello or­ anizzativo e di governang
ce adottato da persone e istituzioni che insieme decidono di operare per il raggiungimento di un determinato
fine (co-operare, concetto differente da quello di collaborare, che implica, invece, una condivisione dei mezzi, ma
non dei fini).
La transizione in atto verso un modello di welfare cd. civile presuppone necessariamente che questi soggetti assumano ruoli da protagonisti per la costruzione di iniziative condivi­ e che abbiano ricadute sull’intera collettività.
s
All’interno della riflessione sul ruolo dell’Economia Civile in tempo di crisi globale e alla luce dei processi di riforma a cui stiamo assistendo, forte è il dibattito sul tema dell’occupazio­ne. Fondamentale risulta la funzione e il
ruolo specifico di modelli ispirati alla mutualità e alla democrazia come quello cooperativo, con particolare attenzione all’occupazione di giovani e donne.
Le sessioni della XII edizione
All’interno della sessione di apertura de “Le Giornate di
Bertinoro per l’Economia Civile 2012”, intitolata “Nuove
strade per lo sviluppo: quando co-operare conviene”, si
è sviluppato un dibattito basato sulla premessa che nella
società e nell’economia post-moderna, uno dei principali
fattori di sviluppo è la cooperazione, sia quella che si realizza all’interno della singola impresa, sia quella che configura l’intero sistema economico.
Ad esempio, le persone desiderano entrare in cooperativa
non solamente per perseguire il proprio interesse, ma anche perché sono genuinamente interessate a vivere valori
come democrazia, giustizia sociale, libertà.
L’impresa di successo, oggi, è un’organizzazione che fa
della creazione e condivisione di conoscenza il proprio
fattore di vantaggio comparato, facendo leva sulle motivazioni, estrinseche e intrinseche, di tutti i suoi collaboratori
(cd. learning organization). È la compresenza armoniosa
8
di relazioni cooperative e competitive tra gli stessi lavoratori, oltre che tra lavoratori e impresa, a rendere praticabile tale modello, alternativo a quello basato sul mero
calcolo dei tempi di lavoro e sull’esecuzione di mansioni
codificate in protocolli (modello cd. fordista).
Anche a livello di sistema economico è oggi acquisito che
l’obiettivo da perseguire è quello di giungere ad un modello di “competizione co-operativa” che valga a sostituire l’ormai obsoleto modello di “competizione posizionale”,
in cui occorre sconfiggere l’altro per dare risalto a se stessi.
La sfida odierna deriva, dunque, dall’esigenza di rendere
pluralistico l’assetto istituzionale dell’economia di mercato, avente quale obiettivo lo sviluppo economico ed umano della comunità.
Durante le sessioni parallele pomeridiane sono stati sviluppati due focus tematici legati al tema principale della
XII Edizione de “Le Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile”.
La sessione parallela “Market-Non Market: l’Economia
Sociale al bivio”, ha preso le mosse dal fatto che è opinione largamente diffusa che i soggetti dell’Economia Sociale siano caratterizzati da una capacità di resistenza e di
adattamento alla crisi (cd. resilienza) maggiore rispetto ad
altri soggetti economici.
Infatti, lo sviluppo delle cooperative sociali in particolare,
ovvero soggetti in grado di far fronte alla dimensione economica e, al contempo, di rispondere ad esigenze di tipo
sociale, ha portato alla nascita di nuove imprese e alla “riconversione” in tale forma giuridica di altre cooperative
già esistenti e operanti da tempo sul mercato del welfare.
In occasione della crisi economica, la cooperazione sociale ha inoltre dato prova di vivacità imprenditoriale, attraverso il tentativo di sviluppare un maggiore orientamento al mercato per sopperire alla necessità di finanziamenti.
Tali dinamiche imprenditoriali sono sempre più incentivate anche dalle diverse azioni proposte a livello europeo3
	 Cfr. a titolo esemplificativo la Social Business Initiative (ottobre 2011).
3

9
volte a promuovere la generazione di innovazione sociale
da parte degli imprenditori sociali.
Con la seconda sessione parallela, dal titolo “Prove di
Nuovo Welfare: Società Civile, Filantropia e Volontariato”, si è voluto invece sviluppare un ragionamento in merito allo stato attuale dei servizi di welfare, nonché del
ruolo dell’Economia Sociale nella costruzione di un nuovo welfare. Infatti, l’incapacità del tradizionale sistema di
welfare nel dare risposta alla quota crescente di bisogni
(vecchi e nuovi) generati dalla congiuntura negativa ha
ampliato il potenziale di azione dei soggetti dell’Economia Civile, che in molti casi si sono fatti carico di responsabilità, rendendosi protagonisti.
Nell’affrontare le tematiche connesse al welfare, in una
logica di avanzamento del ruolo dei soggetti dell’Economia Civile, la priorità si configura come la ricombinazione
delle risorse messe a disposizione da una pluralità di figure, ovvero organizzazioni della società civile, volontariato,
fondazioni ed enti locali, al fine di creare nuove politiche
sociali attraverso la creazione di nuove reti e di un nuovo rapporto pubblico-privato sociale il cui fine è produrre un impatto sull’intera collettività (cd. collective impact).
“Le Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile 2012”
si sono concluse con la sessione “Liberare il lavoro. L’occupazione di giovani e donne nell’Economia Sociale”. La
cooperazione offre occupazione a oltre 1.200.000 persone, delle quali il 52% sono donne: la forte componente
di occupazione femminile è connaturata, da un lato, alla tradizione dei servizi di cura su cui la cooperazione organizza il proprio sistema di offerta; dall’altro, si lega alla
particolare attenzione ai temi della conciliazione. Relativamente a quest’ultima, diverse sono le realtà aziendali
che attualmente adottano buone prassi (seppure non ancora in ottica sistemica) volte a produrre una cultura sul
tema che permetta alle famiglie di compiere realmente in
libertà le proprie scelte lavorative e procreative.
Altrettanta importanza è rivestita dai soggetti dell’Economia Sociale in termini di opportunità lavorative offerte ai
giovani. Si tratta, infatti, di un problema sociale crescen10
te, sotto diversi aspetti: la mancanza di autonomia, la rarefazione delle speranze e delle aspettative per il futuro, la
tensione nei nuclei familiari, carriere lavorative che iniziano troppo tardi per assicurare domani un’adeguata rendita pensionistica.
La sessione ha approfondito i temi dell’evoluzione del
mercato del lavoro, in particolar modo rappresentando
le specificità e le potenzialità del modello cooperativo nel
perseguire percorsi di crescita capaci di mettere al centro
il capitale umano presente nei territori.

11
SESSIONE DI APERTURA

NUOVE STRADE PER LO SVILUPPO:
QUANDO CO-OPERARE CONVIENE
INTERVENTO
di Stefano Zamagni
Università di Bologna

Da quando è nata l’economia di mercato, ovvero dal 1400
in avanti, i due termini cooperazione e competizione si sono alternati, come due facce della stessa medaglia, a seconda delle fasi storiche. Da qualche tempo a questa parte e nel prossimo futuro, il termine cooperazione tornerà a
dominare la scena intellettuale, politica e dell’azione pratica. Siamo oggi entrati in una nuova fase di trasformazione profonda dove la parola d’ordine, ma soprattutto
le pratiche dell’agire economico e sociale, tenderanno a
privilegiare la dimensione cooperativa. Questo è il motivo per cui oggi si parla di competizione cooperativa, in
alternativa alla competizione posizionale (positional competition) che è prevalsa fino a poco tempo fa. In questo
senso, la globalizzazione ha generato un effetto perverso,
cioè una conseguenza non attesa, derivante dal fatto che
nessuno avrebbe immaginato che la Terza rivoluzione industriale, quella delle tecnologie infotelematiche, avrebbe
avuto l’effetto di spingere verso l’adozione di nuovi modelli di competizione. La globalizzazione, cioè, sta partorendo un’esigenza che negli ultimi duecento anni non si
era verificata, cioè la necessità di co-operare.
La spiegazione di quanto appena asserito risiede nel fatto
che è necessario prendere atto di quanto ormai acquisito
a livello internazionale, ovvero la nozione per cui il fattore decisivo di sviluppo è il cd. capitale istituzionale, inteso come insieme di istituzioni, in questo caso specifico di
natura economica. Se si assume un approccio diacronico,
diverse sono state le spiegazioni del processo di sviluppo.
La prima era quella che faceva dipendere lo sviluppo dalla localizzazione geografica. Successivamente si è passati
prima al cd. capitale naturale, cioè le risorse, e poi al ca15
pitale umano, ovvero al riconoscimento dell’importanza
degli investimenti specifici per l’istruzione delle persone.
Oggi, il fattore chiave – che tuttavia non esclude gli altri –
è il capitale istituzionale. Le istituzioni sono le regole del
gioco: se queste sono applicate all’arena politica si parlerà di istituzioni politiche, se sono invece applicate al gioco economico si tratterà di istituzioni economiche. Esempi di queste ultime sono le regole del mercato del lavoro,
il codice commerciale, il sistema bancario, il sistema fiscale. In un recente libro, gli studiosi americani Acemoglu e
Robinson (2012)4 introducono un’efficace distinzione a livello terminologico. Essi sostengono che vi sono due categorie di istituzioni economiche: quelle estrattive e quelle
inclusive. Le istituzioni economiche estrattive sono quelle che estraggono il valore aggiunto creato nel sistema e
lo trasformano in rendita, la quale affluisce quasi sempre
nelle mani di una élite. Queste istituzioni, pertanto, non
garantiscono lo sviluppo duraturo; al massimo, possono
garantire la crescita. Le istituzioni economiche inclusive
sono quelle che, invece, tendono ad includere nel processo produttivo, e in generale nell’attività economica, tutti,
indipendentemente dalle loro connotazioni e specificità.
Oggi si è in grado di dimostrare che i problemi legati alla
crisi – soprattutto in Italia – sono dovuti al fatto che, per
una serie di ragioni, ci troviamo in presenza di un’abbondanza di istituzioni economiche estrattive e troppo poche
inclusive. Un esempio in tal senso è la finanza, che è la forma più vistosa e preoccupante di istituzione economica
estrattiva. La rendita finanziaria è oggi il vero problema,
perché trasforma il valore aggiunto che deriva dal sistema
in rendita, che è sempre parassitaria, come sosteneva già
all’inizio dell’Ottocento David Ricardo.
La necessità, dunque, è quella di bilanciare nuovamente l’assetto istituzionale. La quota di rendita nel reddito
nazionale non deve superare il 15-16 percento – sosteneva Ricardo – se si vuole che un paese sia capace di futu	 Acemoglu, D., Robinson, J. (2012), Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity, and Poverty, Crown Business, New York.
4

16
ro. La burocrazia è un altro esempio di istituzione estrattiva, perché per definizione non crea valore aggiunto. In
Italia, la rendita è circa il 33% sul Pil nazionale e, quindi, è comprensibile perché non vi sia sviluppo e la ripresa tardi ad arrivare. L’austerità peggiora la situazione: è
necessario, dunque, ridurre l’area della rendita attraverso
provvedimenti legislativi e amministrativi, poiché se quel
33% scendesse al 15% verrebbero liberate risorse che si
trasformerebbero in profitto – e quindi investimento – e
in salari – e quindi in aumento dei livelli di consumo e in
miglioramenti degli standard di vita.
Ebbene, per accrescere la quota delle istituzioni economiche inclusive, bisogna comprendere perché c’è bisogno della cooperazione. In generale, la teoria economica e quella sociologica hanno ormai compreso che il ruolo
del Terzo settore non può più essere quello di rimedio ai
fallimenti dello Stato e del mercato. Oggi, si è in grado di
poter dimostrare che la grande novità di questa epoca è
che il Terzo settore diventa necessario – ovvero indispensabile – se si vuole transitare da un assetto istituzionale di
tipo estrattivo, nemico di uno sviluppo umano integrale,
ad un assetto istituzionale di tipo inclusivo. In Italia – ma
non solo – questo messaggio non è ancora chiaro alla totalità del Terzo settore. Sono ancora troppe le cooperative sociali, le associazioni di promozione sociale, le fondazioni che si concepiscono come “rimedio”. Come la teoria
psicologica dell’attribuzione insegna, quando un soggetto ripete a se stesso di essere in un determinato modo, esso si convince di esserlo veramente.
Tre sono le principali novità che connotano la nostra epoca. La prima è quella dell’aumento endemico e sistemico
delle diseguaglianze. In un recente saggio Branko Milanovic´ (2012)5, grande esperto di statistiche sulle diseguaglianze, mostra l’andamento delle diseguaglianze nei diversi paesi e all’interno di uno stesso paese dal 1800 ad
oggi. Negli ultimi quarant’anni il tasso di crescita delle di	 Milanovic B. (2012), Chi ha e chi non ha, Collana “Saggi”,
´,
Il Mulino, Bologna.
5

17
seguaglianze è aumentato molto di più rispetto al tasso di
aumento della ricchezza. Ciò è un paradosso, perché anche in passato esistevano le diseguaglianze, ma esse – come mostrato dalla curva di Kuznets – tendevano a diminuire con l’aumento del reddito pro-capite. Oggi è vero
il contrario. È noto che ciò è avvenuto perché si è affermata la tesi dell’elitarismo, tesi che sostiene la necessità di
far convergere le risorse – di vario tipo – ai più dotati perché, in tal modo, essi produrranno di più e tutti successivamente potranno spartirne i frutti. Ma un processo di
questa natura non fa altro che aumentare ancora di più le
diseguaglianze. L’altra causa della crescita delle diseguaglianze è da ricercare nella nota tesi secondo cui agendo in modo auto-interessato si beneficiano gli altri. Adam
Smith ha specificato le condizioni di questo agire e cioè
che la Mano Invisibile funziona solamente in un mercato
civile, dove “civile” denota che devono darsi determinate
condizioni, ad esempio, assenza di oligopoli cioè i gruppi di potere ed informazione simmetrica. Parlare di Mano Invisibile sapendo che si è in presenza di un mercato
“incivile”, che non consente l’accesso a tutti né garantisce parità di condizioni, vuol dire assecondare e avvalorare l’aumento delle diseguaglianze.
La seconda ragione è la transizione da welfare state a welfare society. Il primo luogo in cui si è cominciato a parlare di welfare sono stati gli Stati Uniti e non l’Inghilterra. Il
1919 è l’anno in cui Rockefeller, Ford e Carnegie, insieme
ad altri grandi imprenditori americani, firmarono il famoso patto che ha dato vita al welfare capitalism, cioè il capitalismo del benessere, che si basa sull’idea che sono le
imprese che devono farsi carico del benessere dei propri
dipendenti e delle loro famiglie, in nome del “principio
di restituzione”. Il problema risiede nel fatto che il welfare capitalism non può essere di tipo universalistico. Questo è il motivo per cui vent’anni dopo Keynes darà vita
al welfare state, affidando allo Stato il compito di garantire il benessere dei cittadini. Oggi il welfare state non è
più proponibile: pur rimanendo valida l’idea dell’universalismo, infatti, oggi si parla di welfare society, alla cui im18
plementazione i soggetti di Terzo settore diventano fondamentali. Condizione per l’efficacia del welfare state è
avere una buona burocrazia, politici non corrotti, risorse
pubbliche sufficienti; per costruire la welfare society, invece, non è possibile non includere le organizzazioni della società civile.
C’è infine una terza novità che ci aiuta a comprendere
la transizione in atto ed è quella che oggi va sotto il nome di corporate social entrepreneurship, cioè l’imprenditorialità sociale delle imprese capitalistiche. Questo è l’ultimo anello di una catena originata negli anni Cinquanta in
America con l’idea della corporate social responsibility e
che oggi è diventata obsoleta. La nuova frontiera è quella della corporate social entrepreneurship: l’idea di base è
che le imprese stesse di tipo capitalistico stiano cercando
di internalizzare ciò che prima avevano esternalizzato. Fino a tempi recenti, infatti, l’impresa capitalistica che voleva “fare del bene” si limitava a dare del lavoro alla cooperazione sociale; adesso, invece, l’impresa capitalistica fa
da sola quello che prima esternalizzava. Si sta dunque verificando un fenomeno di crowding out, cioè un effetto di
spiazzamento: l’impresa capitalistica, che ha compreso la
lezione della responsabilità sociale dell’impresa, torna sui
suoi passi e decide di fare da sola quello che prima faceva fare al mondo del volontariato e della cooperazione sociale, anche se in maniera meno efficiente. Questo significa che ormai è stata superata la fase del primo capitalismo
e si va verso quello che oggi è noto come shared capitalism, ovvero il capitalismo condiviso, termine introdotto da
un gruppo di studiosi americani (tra cui Freeman e Kruse); in realtà, si tratta di un ritorno del concetto per la prima volta dopo secoli. L’aggettivo “condiviso” rinvia a diverse categorie di soggetti, tra cui i dipendenti, i fornitori,
i clienti e il territorio. Oggi si vanno diffondendo sempre
più queste pratiche e si capisce, di conseguenza, perché il
termine co-operazione sia tornato alla ribalta: se si vuole
interrompere il processo di aumento delle diseguaglianze,
se si vuole realizzare la welfare society e se si vuole comprendere la linea di tendenza dello shared capitalism, è ne19
cessario affermare il significato profondo della nozione di
cooperazione.
Al contempo, è però necessario fare attenzione a non confondere il concetto di cooperazione con quello di collaborazione, dove con quest’ultimo si intende “lavorare insieme”, mentre co-operare significa “operare insieme”. La
differenza tra opera e lavoro è stata introdotta da Aristotele: collaborare vuol dire mettere insieme i mezzi ma non
condividere i fini. In questo caso ognuno dei collaboratori
mantiene il proprio fine, pur condividendo i mezzi. Nella
cooperazione, invece, si mettono insieme i mezzi e si condividono i fini. Ecco perché la cooperazione è un concetto molto più ampio rispetto alla collaborazione. Anche le
imprese capitalistiche collaborano, fra di loro e al proprio
interno; tuttavia ognuna mantiene un fine che è diverso
da quello degli altri, anche se non necessariamente conflittuale. Nella cooperazione, invece, i cooperatori devono
poter condividere il fine del loro operare insieme.
Tutto questo significa che si sta aprendo una nuova stagione per il Terzo settore, stagione di cui già si vedono i
primi segni. Il decreto legislativo n. 141/2010 aveva affidato al Ministro dell’Economia il compito di emanare un
decreto attuativo che è in corso di realizzazione. Quest’ultimo consentirà ai soggetti del mondo non profit l’erogazione del credito, ovvero del microcredito. L’art. 111 del
Testo Unico Bancario sostiene che affinché un soggetto
possa essere autorizzato a realizzare il microcredito è necessaria la presenza di una funzione di tutoraggio di prenditori di fondi e, in secondo luogo, che ci sia una pluralizzazione dei soggetti capaci di erogare. Ciò implica che
il microcredito non è una mera attività bancaria solo più
piccola di quella commerciale, bensì che nel microcredito occorre prevedere una forma di assistenza e di monitoraggio continuo. Queste forme di tutoraggio spetteranno
ai soggetti del Terzo settore; inoltre, tale decreto attuativo consentirà alle cooperative sociali, alle fondazioni e alle associazioni di promozione sociale di erogare credito.
In questa modalità alle microimprese fino a 25 mila euro
e ai soggetti individuali e alle famiglie fino a 10 mila euro.
20
Ciò significa che si potrà avviare la creazione di un mercato finanziario sociale, rispetto al quale soggetti come Banca Popolare Etica e, per certi aspetti, Banca Prossima potranno giocare un ruolo di rilievo.
Un altro esempio che va in questa direzione è quello
dell’Inghilterra, dove esistono da tempo le Community Interest Company (CIC), mentre negli Stati Uniti d’America sono state istituite le Low Profit Limited Liability Company (L3C). Sta dunque emergendo sempre più la figura
della low profit firm, cioè un’impresa che ha come suo
obiettivo quello di porre un tetto alla produzione e all’erogazione di profitto e che vincola il capitale sottoscritto
alla realizzazione di obiettivi di natura sociale.
Se dovesse accadere che il mondo capitalistico andasse
avanti nella direzione del modello dello shared capitalism,
rendendo vano il compito del non profit, sarebbe qualcosa di molto grave. Sappiamo che un piccolo numero di
imprese capitalistiche si stanno già muovendo su questa
strada, creando un effetto di spiazzamento nei confronti
del mondo del Terzo settore.
È necessario pertanto riaprire il dibattito su questi temi,
perché la nuova stagione che si è aperta va nella direzione di esaltare la cooperazione. Questo è il motivo per cui
in una parte del mondo accademico si sta pensando di
dare vita ad una scuola di economia civile (SEC) ovvero
ad un luogo di livello nazionale dove si possa produrre
“pensiero pensante”, quello che è capace di indicare la
direzione dell’incedere. L’intento principale che la SEC
vuole perseguire è quello di ripensare in chiave generativa il ruolo dell’imprenditore nel nuovo contesto economico che si è venuto a configurare al seguito dei fenomeni della globalizzazione e della Terza rivoluzione
industriale. È ormai acquisito che l’azione economica,
oggi, non può essere riduttivamente concepita nei termini di tutto ciò che vale ad aumentare il prodotto sperando che ciò possa bastare ad assicurare la convenienza
sociale; piuttosto, essa deve mirare alla vita in comune.
Come Aristotele aveva ben compreso, la vita in comune è cosa ben diversa dalla mera comunanza, la quale ri21
guarda anche gli animali al pascolo. In questo, infatti,
ciascun animale mangia per proprio conto e cerca, se gli
riesce, di sottrarre cibo gli altri. Nella società degli umani, invece, il bene di ciascuno può essere raggiunto solo con l’opera di tutti. E soprattutto, il bene di ciascuno
non può essere fruito se non lo è anche dagli altri.
Oggi sappiamo che per assicurare la sostenibilità di una
vitale economia di mercato c’è bisogno di una continua
immissione di valori dall’esterno del mercato stesso, proprio come suggerisce – su un altro fronte – il paradosso
di Bockenforde secondo cui lo Stato liberale secolarizzato
vive di presupposti che esso medesimo non può garantire. Il cuore del paradosso sta nel fatto che lo Stato liberale può esistere solo se la libertà che esso promette ai suoi
cittadini viene regolata dalla costituzione morale dei singoli e da strutture sociali ispirate al bene comune. Se, invece, lo Stato liberale tenta di imporre quella regolazione,
esso rinuncia al proprio essere liberale, finendo con ricadere in quella stessa istanza di totalismo da cui afferma
di emanciparsi. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale
per il mercato. L’economia di mercato postula bensì l’eguaglianza tra coloro che vi prendono parte, ma genera
ex-post diseguaglianza di risultati. E quando l’eguaglianza nell’essere diverge troppo e troppo a lungo dall’eguaglianza nell’avere, è la ragion stessa del mercato ad essere
messa in dubbio. Ebbene, operare affinché l’economia di
mercato torni ad essere civile – come lo fu, ma per troppo breve tempo, ai suoi albori – è la grande sfida di civiltà che l’impresa di oggi deve saper accogliere dotandosi di
una dose massiccia di coraggio e di intelligenza.
Soleva dire Sant’Ambrogio ai suoi diocesani che si lamentavano delle conseguenze della caduta dell’impero romano: “Felice il crollo se la ricostruzione farà più bello l’edificio”. Felice allora questa crisi, pesante e pericolosa come
poche, se al termine il “nostro edificio” – cioè la nostra civitas – diventerà oltre che più grande anche più bello. Allora si potrà dire che la crisi non è passata invano.

22
quando co-operare conviene

di Enrico Giovannini
Presidente Istat

Recentemente è stato costituito, su volontà del Primo Ministro del Bhutan, un gruppo internazionale (composto
da circa 40 persone tra economisti, ecologisti, psicologi)
per il ridisegno del modello di sviluppo economico. Da
una prima tornata di discussioni è emersa una grande preoccupazione complessiva sul fronte ecologico, a causa dei
cambiamenti climatici. Nel Forum mondiale dell’Ocse,
tenutosi ad ottobre 2012, sulla misurazione del benessere, Geoffrey Sachs ha svolto una relazione su questo tema
con una slide veramente impressionante sugli eventi climatici eccezionali che stanno avvenendo già adesso in tutto il mondo. Inoltre, è emerso come la necessità di cambiare il modello di funzionamento dell’economia e della
società richieda uno sforzo molto ampio e complesso che
si viene oggi a scontrare con un problema fondamentale,
ovvero il ruolo del cosiddetto “Stato etico”. Lo Stato del
Bhutan ha posizionato il tema della felicità al centro della propria funzione-obiettivo, proprio in una fase in cui
la maggior parte dei giovani bhutanesi che vivono nei villaggi si stanno spostando nella capitale, con conseguenti
problemi di sovraffollamento, e mentre la televisione sta
iniziando a cambiare i modelli di consumo e le preferenze
degli individui che vivono in quel paese. Infine, è importante ricordare come tra le motivazioni della crisi attuale
vi sia il desiderio smodato di consumi a valere sul debito:
negli Stati Uniti, ad esempio nel corso degli anni Novanta
e Duemila, si è verificata una straordinaria redistribuzione
del reddito a favore dei ricchi, accompagnata da una politica di credito a buon mercato per la classe media, i cui
modelli di consumo sono alimentati da un marketing ossessivo che tende a rendere endogene le preferenze (con23
trariamente a quanto ipotizza la teoria economica).
Alla luce di questa premessa, la prima battaglia da condurre per portare le società occidentali (e non solo) su un
percorso di sviluppo diverso è di tipo culturale. Bill Clinton ha recentemente raccontato come la Fondazione da
lui presieduta sia riuscita a convincere tutti i produttori
di bevande gassate a togliere tali prodotti dai distributori
automatici delle scuole. La Fondazione Clinton è riuscita
in questa operazione attraverso la costruzione di un business case che ha dimostrato come un ragazzo che inizia a
bere a 6 anni la bevanda gassata, a 20 molto probabilmente avrà sviluppato il diabete o sarà obeso: di conseguenza, sarà costretto ad interromperne il consumo per il resto
della vita. Per le aziende produttrici, quindi, è molto più
conveniente aspettare che la persona abbia compiuto 15
anni per promuoverne il consumo, perché così gli individui consumeranno il prodotto da quel momento fino alla
fine della loro vita.
Questo esempio dimostra come, allungando l’orizzonte
temporale, le politiche delle imprese diventano più coerenti con l’obiettivo di un benessere di lungo termine.
Comprendere le modalità attraverso cui sia possibile allungare l’orizzonte temporale appare, quindi, necessario
per prendere in modo migliore le nostre decisioni, come
individui e come collettività. Questa sfida, naturalmente,
si confronta con la tendenza a massimizzare i profitti di
brevissimo periodo, alimentata da un sistema finanziario
che consente, attraverso il trading, di ottenere in pochi attimi profitti immensi.
Il paradigma della massimizzazione dei profitti nel breve termine è molto distante dall’idea di una cooperazione, anche
intergenerazionale, poiché si rifà piuttosto all’idea di “competizione” nel senso peggiore del termine, ovvero quella in
cui il riferimento è soltanto l’individuo. Per questo il capovolgimento culturale necessario cui ci si trova di fronte oggi
richiede una rifondazione di teorie in grado di rimettere al
centro i beni relazionali, e all’interno delle quali il tema della politica per sviluppare il benessere degli individui e delle società diventa altissimo, anche se assai complicato.
24
Purtroppo, questa tendenza a concentrarsi sul breve termine ha effetti anche sulle statistiche che produciamo e,
quindi, sull’immagine che diamo della nostra società. Ad
esempio, l’Europa chiede dati economici sempre più tempestivi ed in grado di evidenziare i cambiamenti di breve
periodo. Ma poiché politiche volte a cambiare gli attuali
modelli di comportamento (si pensi alle cosiddette “riforme strutturali”) tendono a produrre un “effetto j” – ovvero inizialmente producono effetti negativi e solo successivamente, nel lungo termine, positivi – le statistiche
disponibili contribuiscono a rendere immediatamente
evidente l’effetto negativo, concorrendo a rendere estremamente costose in termini sociali ed elettorali tali scelte.
La domanda “Quando co-operare conviene” si rivolge,
quindi, anche agli statistici e agli analisti, perché sviluppino indicatori attraverso cui rendere visibile il vantaggio di
un modello cooperativo.
In un recente libro6, Richard Sennet fa presente ciò che
la teoria dei giochi ha da tempo dimostrato, ovvero che la
scelta cooperativa sia, per il valore dei risultati che comporta, una strategia maggiormente vincente rispetto a
quella che opta per comportamenti competitivi. In particolare, Sennet osserva come in alcune grandi imprese della New Economy, dove il prodotto e i processi devono essere costantemente innovati, l’organizzazione del lavoro
basata sulla competizione tra diversi team di lavoro – che
vengono composti e ricomposti periodicamente – produca effetti positivi di breve termine sulla creatività, ma effetti negativi di lungo periodo: i partecipanti ad un team,
infatti, sanno che i propri “compagni” un giorno diventeranno “avversari” e, quindi, tendono a tenere per sé le migliori idee, al fine di non avvantaggiare i colleghi.
Le relazioni sociali, intese come rapporti affettivi duraturi, sono estremamente importanti anche per il benessere
delle persone. Infatti, Sennet nota come il lavoro a breve
termine determini «relazioni sociali superficiali; e quando
	 Sennett, R. (2012), Insieme. Rituali, piaceri, politiche della
collaborazione, Feltrinelli, Milano.
6

25
le persone non rimangono a lungo in una organizzazione,
la loro conoscenza di questa, così come la stessa identificazione con essa si indeboliscono. Messe insieme, le relazioni superficiali e i deboli legami istituzionali rinforzano
l’effetto “silos”: la gente si fa gli affari propri, non si lascia coinvolgere in problemi che non la riguardano direttamente, in particolare non entra in relazione con quanti,
nell’istituzione, svolgono compiti di altro genere».
Questo fenomeno è alla base anche del concetto di capitale sociale. Il capitale sociale, inteso come relazioni interpersonali, norme sociali e fiducia, conta per l’attività
economica sia come fattore di produzione (input produttivo e/o produttività totale dei fattori) sia come determinante dei costi di transazione (Baker, 1990). Le relazioni
sociali, attraverso la condivisione di informazioni e il coordinamento, risolvono i problemi dovuti all’asimmetria
informativa e ai comportamenti opportunistici e contribuiscono ad attenuare i fallimenti del mercato dovuti alla mancanza o inaccuratezza delle informazioni. Tuttavia,
come alcuni autori hanno sottolineato, il modo con cui
funzionano l’economia e le città in cui viviamo (più del
50% della popolazione mondiale vive in siti urbani) tende a distruggere le relazioni sociali, perché il tempo dedicato al commuting è tempo il più delle volte giudicato come “perso”.
La fiducia e la collaborazione tra le persone può essere
eventualmente misurata da due punti di vista:
–– le reti sociali;
–– il capitale sociale.
Nell’iniziativa Istat-Cnel sulla misurazione del “Benessere
equo e sostenibile – BES”, sono state ascoltate le opinioni
dei cittadini in merito all’associazionismo, alla politica e,
in generale, a ciò che conta per il benessere delle persone.
Il progetto – che mira a valutare il progresso della società italiana – ha individuato 12 dimensioni del benessere,
declinate in 134 indicatori, illustrandole in un rapporto in
corso di pubblicazione: 1) ambiente; 2) salute; 3) benessere economico; 4) istruzione e formazione; 5) lavoro e con26
ciliazione tempi di vita; 6) relazioni sociali; 7) sicurezza; 8)
benessere soggettivo; 9) paesaggio e patrimonio culturale;
10) ricerca e innovazione; 11) qualità dei servizi; 12) politica e istituzioni. Questi ultimi quattro elementi rappresentano le precondizioni per riuscire a realizzare le precedenti otto dimensioni.
Per ciò che riguarda le “relazioni sociali” si è scelto di
procedere con la misurazione dei seguenti ambiti: a) società civile7; b) economia sociale8; c) famiglia e relazioni
sociali9. Vediamo allora l’evoluzione di alcuni degli indicatori selezionati.
In poco più di venticinque anni, le persone coinvolte nelle reti di solidarietà sono aumentate in misura significativa: la quota di individui che forniscono almeno un aiuto
(caregiver) passa, infatti, dal 20,8% del 1983 al 26,8% del
2009. Nello stesso periodo, nonostante il considerevole
incremento di popolazione anziana e molto anziana, si riducono di molto (dal 23,3% del 1983 al 16,9% del 2009)
le famiglie che beneficiano del supporto delle reti di aiuto informale (Figura 1). Più caregiver, dunque, raggiungono meno famiglie.

	 I cui indicatori sono “indice sintetico di partecipazione sociale” e “fiducia generalizzata nella gran parte delle persone”.
8
	 Che contiene i seguenti indicatori: “organizzazioni non profit ogni 10.000 abitanti”; “cooperative sociali ogni 10.000 abitanti”; “attività di volontariato”; “aiuti gratuiti dati”; “finanziamento
delle associazioni”.
9
	 Declinato in 4 indicatori, ovvero “soddisfazione per le relazioni familiari”, “soddisfazione per le relazioni amicali”, “persone
su cui contare”, “attività ludiche dei bambini da tre a dieci anni
svolte con i genitori”.
7

27
Fig. 1 – 	Famiglie che ricevono aiuti informali per tipologia (valori
percentuali per 100 famiglie con le stesse caratteristiche)

Cambiano anche le direttrici dei flussi di aiuto: nel 1983
ai primi posti della graduatoria delle famiglie più aiutate dalla rete informale si collocavano le famiglie con individui ultraottantenni (35,5%), mentre le famiglie con un
bambino con meno di 14 anni e madre occupata si trovavano solamente al quinto posto. Nel 2009, al contrario,
è proprio quest’ultimo tipo di famiglia a guadagnare la
prima posizione (37,5%), mentre le famiglie con almeno
un anziano di 80 anni e più scendono al terzo posto della graduatoria (26,3%). Le donne, sempre più sovraccariche per il numero di ore di lavoro familiare all’interno del
proprio nucleo, condividono di più l’aiuto con altre persone e diminuiscono il tempo mediamente dedicato agli
aiuti (da 37,3 nel 1998 a 31,1 ore al mese nel 2009). Diminuisce anche il tempo che gli uomini dedicano agli aiuti
(da 26,4 a 21,5 ore al mese).
Infine, la costruzione di capitale sociale dipende fortemente dai livelli di istruzione e dal reddito e non dalle
differenze di genere (Figura 2). I giovani, i meno istruiti e i più poveri hanno meno fiducia negli altri (Figura 3).
Il problema è di grande portata, poiché i giovani sono il
futuro, ma i meno istruiti in Italia sono numerosi (il tasso
di abbandono scolastico dei giovani stranieri che vivono
in Italia è pari a quasi il 45%) e i poveri sono in crescita.
28
95
90
85
80
75
70
65

Uomini Donne 15-24 25-34 35-54 55-64
Genere

65+

Età

Media Dipl. Laurea

1

2

Istruzione

3

4

5

Reddito

Fig. 2 – Percentuale di persone che hanno qualcuno su cui contare in caso di necessità (2008)
40
35
30
25
20
15
10

Uomini Donne 15-24 25-34 35-54 55-64
Genere

Età

65+

Media Dipl. Laurea
Istruzione

1

2

3

4

5

Reddito

Fig. 3 – Percentuale di persone che sostengono che ci si possa fidare della maggior parte delle persone (2008)

Tra il 2007 e il 2010 (Figura 4) è cresciuta la quota di persone che hanno svolto attività di volontariato o che hanno partecipato ad attività di associazionismo culturale e
ricreativo (+8,7% e +5,5%). Si è ridotta la partecipazione
attiva alle altre associazioni (-5,3%), ma più persone hanno donato soldi (+5,4%).
Già a partire dal 2004, è andata riducendosi la quota di
persone che frequentano amici almeno una volta a settimana (Figura 5).

29
riunioni in associazioni ecologiche, per i diritti civili, per la pace
riunioni in associazioni culturali, ricreative o di altro tipo
attività gratuita per associazioni di volontariato
attività gratuita per associazioni non di volontariato
attività gratuita per un sindacato
soldi versati ad una associazione
20
18
16
14
12
10
8
6
4
2
0
2000

2001

2002

2003

2005

2006

2007

2008

2009

2010

Fig. 4 – Percentuale di persone di 14 anni e più che ha svolto alcune attività sociali nei 12 mesi precedenti l’intervista

30
Fig. 5 – Persone di 6 anni e più che incontrano amici almeno 1 volta la settimana (%)

In effetti, misurare la fiducia e la collaborazione richiede indicatori più dettagliati di quelli fin qui illustrati. Per
questo l’Istat ha avviato anche un’iniziativa sulla Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) che coinvolge tutte le imprese italiane quotate, in partnership con il network italiano dei manager che si occupano di questo tema (CSR
Manager Network Italia), che promuove l’introduzione
di figure professionali dedicate alla RSI nelle imprese e
nelle istituzioni. La RSI rappresenta un’opportunità per
rafforzare le relazioni tra le aziende, gli stakeholder e la
comunità, generando benefici che ricadono su tutta l’attività delle aziende: permettendo di massimizzare gli utili di
lungo periodo, essa rappresenta anche un vantaggio per le
aziende in termini di competitività, crescita e stabilità. Le
relazioni sociali sono, infatti, necessarie per generare crescita economica e fiducia e affidabilità nei comportamenti economici e sono insite nel concetto di capitale sociale.
L’affidabilità reciproca fa sì che si realizzino quei processi
31
cooperativi capaci di favorire la crescita economica e l’assenza di opportunismo facilita la realizzazione di processi
cooperativi che possono produrre risultati vantaggiosi per
tutti (Degli Antoni, 2006)10. La RSI può favorire lo sviluppo socio-economico di un territorio, aumentandone il livello di fiducia e l’ampiezza delle reti sociali: le imprese
si servono dei beni pubblici (come i capitali immateriali)
che avvantaggiano l’impresa, i suoi stakeholder e, indirettamente, gli stessi concorrenti dell’impresa (Aoki, 2001)11.
Nello specifico, la collaborazione tra Istat e CSR si propone di confrontare i concetti utilizzati per il calcolo degli indicatori di RSI e quelli posti alla base degli indicatori statistici normalmente elaborati in questo campo. Oggi
sempre più imprese redigono il bilancio sociale, ma non
ci sono ancora indicatori che possano mettere a confronto tali dati. Il lavoro che Istat sta portando avanti con CSR
Manager Network Italia si propone anche di standardizzare le definizioni/classificazioni sviluppate dalla Global Reporting Initiative (GRI) con quelle della statistica ufficiale,
in modo da potere fornire alle imprese indicatori di benchmark. Questa collaborazione consentirà al CSR Manager
Network di attivare un sistema di raccolta delle informazioni su base regolare e di ripetere le elaborazioni negli anni, permettendo di identificare i trend più significativi.
Attualmente è in corso il nuovo Censimento dell’Industria e dei Servizi, che è particolarmente rilevante in quanto punta a rilevare anche alcuni elementi relazionali presenti sia nelle imprese che nelle istituzioni non profit. In
particolare, per ciò che riguarda le imprese, si andranno
a rilevare:
a. 	le relazioni, cioè quanto le imprese lavorino su commessa, subfornitura, in consorzio, contratto di rete,
10
	 Degli Antoni, G. (2006), “Capitale sociale e crescita economica: una verifica empirica a livello regionale e provinciale”, Rivista Italiana degli Economisti, 3, pp.363-393.
11
	 Aoki, M. (2001), Toward a Comparative Institutional Analysis, Cambridge, Mass. MIT Press.

32
attraverso altri accordi formali (joint venture, ATI,
ecc.), franchising, accordo informale;
b.	 i soggetti con cui esse intrattengono i rapporti e il
loro numero;
c.	 le funzioni per le quali l’impresa intrattiene rapporti con altri soggetti;
d.	 la localizzazione dei soggetti con cui collabora;
e. 	il grado di potere decisionale dell’impresa nella gestione strategica degli accordi di collaborazione;
f.	 l’impatto sulla competitività dell’impresa.
Per ciò che concerne le motivazioni e gli ostacoli, interessante è il tentativo di misurare anche i timori e le aspettative a fronte della quali le persone decidono di co-operare o meno. Si va, dunque, al di là dei fenomeni classici
e si cerca, attraverso i quesiti posti nell’indagine censuaria, di catturare le motivazioni che spingono le imprese a
co-operare.
Analogamente, per il non profit il Censimento è estremamente importante per misurare la consistenza del settore, anche in confronto con i dati del 1999-2001, e per
rispondere ad esigenze informative nazionali e internazionali, attraverso la creazione di un conto satellite del settore non profit, nonché con la messa a regime di un registro
statistico. Il Censimento andrà dunque a rilevare l’assetto
istituzionale, la struttura organizzativa, le caratteristiche e
la localizzazione delle unità istituzionali non profit e delle
loro unità locali. Sul tema della reti, il Censimento contiene alcune domande che riguardano l’adesione ad associazioni nazionali ed internazionali di secondo livello, patti
o intese con istituzioni, con imprese pubbliche e altri soggetti. Grazie ai dati raccolti sarà possibile capire meglio le
relazioni tra imprese e istituzioni, all’interno del non profit e non solo.
Infine, si sta cercando di esplorare nuove opportunità sul
tema del Collaborative Working Environment (CWE), cioè
forme di collaborazione tra imprese molto meno strutturate rispetto al passato, soprattutto grazie alla tecnologia.
Il CWE fornisce le competenze per condividere le infor33
mazioni, scambiarsi le idee e per realizzare un’effettiva
ed efficiente collaborazione tra diversi tipi di expertise in
un’organizzazione: web-based conferencing and collaboration, desktop videoconferencing, instant messaging. Si ritiene che il CWE sia in grado di accrescere la produttività e la creatività attraverso la nuove forme di lavoro nella
produzione e in knowledge intensive businesses (Commissione europea, New Collaborative Working Environments
2020). L’Istat con il progetto europeo “Blue-Ets” si pone
l’obiettivo di affrontare il problema dello sviluppo di migliori indicatori statistici sulla «Business collaboration and
Collaborative Working Environments (CWE)», per migliorare la disponibilità di dati sull’impegno delle imprese e dei lavoratori nella collaborazione e sulle competenze necessarie per questo processo. Per questo all’interno
del Censimento sulle imprese ci sono delle domande sulle
trasversalità e sulla condivisione, sull’informazione, sullo
scambio di esperienze.
Tutto ciò fornirà molte informazioni per capire meglio se
l’Italia abbia sufficienti strumenti a disposizione per affrontare le sfide economiche e imprenditoriali che l’attendono. Le informazioni rilevate saranno ancora più utili
nel momento in cui l’utenza – in senso lato – si sarà appropriata di questa conoscenza e l’abbia fatta diventare
intelligenza collettiva. Per questo la speranza è che vi sia
una collaborazione tra l’Istat e il mondo del Terzo settore,
affinché, anche dopo la rilevazione, l’informazione diventi conoscenza condivisa utile per cambiare la cultura nella
direzione voluta.

34
INTERVENTO*12
di Mauro Magatti
Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano

La crisi attuale, che ha avuto inizio cinque anni fa, è una
crisi di tipo strutturale. Naturalmente, come in tutte le
crisi, c’è una componente che si distrugge, che richiede la
gestione di una serie di problemi che si vengono a generare, ma c’è anche un’altra componente che si viene a creare. La questione da affrontare non risiede nel dare nuovamente vita al sistema come conosciuto ex ante la crisi,
perché non può oramai più funzionare, dato che sono venute meno le condizioni storiche che ne stavano alla base.
Dall’evento storico che ha dato inizio alla stagione che si
è conclusa con il 2008, ovvero la caduta del muro di Berlino (1989), sono passati vent’anni. Un periodo di tempo
storicamente ben determinato, a conclusione del quale c’è
stato un avanzamento che ha visto protagonista un unico
soggetto politico-istituzionale a livello internazionale ed
una fase di espansione, che ha generato l’idea che potesse essere senza limiti.
Il tema culturale di fondo ricomprende l’espansione della
finanza, quella della geografia, quella della mobilità, nonché quella della soggettività. In quei vent’anni, per delle
ragioni storiche precise, l’idea di espansione illimitata ha
trovato terreno fertile. La crisi attuale, invece, evidenzia
come sostanzialmente non potrà essere applicato d’ora in
avanti lo stesso modello di crescita illimitata di tipo individualistico, poiché oggi diverse sono le realtà con cui è necessario confrontarsi: la questione climatica, quella sociale
e della disuguaglianza, quella della demografia e dell’invecchiamento, nonché quella di un’insostenibilità di una
finanza la cui espansione non ha più un fondamento.
	 Testo non rivisto dall’Autore.

12 *

35
Finora si è vissuta una stagione in cui le democrazie avanzate, l’Occidente – l’Europa e gli Stati Uniti –, hanno conosciuto una crescita ed un benessere diffuso, una democrazia relativamente forte, il pluralismo culturale. Anche
sul piano dei comportamenti si è giunti ad una condizione
di libertà. In passato, immaginando l’idea di libertà, questa
veniva associata alla presenza concomitante di un ragionevole benessere, una ragionevole democrazia ed un ragionevole pluralismo culturale. Una volta raggiunta tale condizione, a partire dagli anni ’70 e ’80, le democrazie avanzate
hanno vissuto una stagione “adolescenziale”, poiché è tipico dell’adolescente pensare in maniera individualista, considerando gli altri un limite alla propria libertà.
Non si può incolpare solo la finanza per ciò che è successo; la finanza è stata l’archetipo, il luogo in cui un processo culturale si è incarnato in maniera idealtipica. L’egemonia di questa matrice culturale è arrivata addirittura
a santificare la flessibilità lavorativa come luogo della libertà. Tale contesto culturale, che ha portato alla crisi attuale, è oggi terminato ed ha lasciato posto ad un contesto multipolare.
Le democrazie avanzate sono entrate ora in una stagione
molto ardua, difficile, problematica e tesa, ma la cui via di
uscita può essere solamente e ragionevolmente un mondo migliore. Non è possibile, infatti, pensare di risanare il
modello del passato, con tutti gli esiti negativi che questo
ha prodotto. Certamente è necessario un cambiamento di
tipo culturale non approssimativo, alla base del quale si
trova la presa di consapevolezza di ciò che la crisi ci insegna, ovvero che la libertà individualistica puramente basata sulla tecnica è parziale, non regge e produce una serie di conseguenze negative.
Guardando al mondo della cooperazione, del Terzo settore e dell’Economia Civile, la stagione in corso è una fase di straordinaria opportunità, se si sarà in grado di cogliere fino in fondo la natura di questa crisi. Mentre nel
ventennio precedente, infatti, questi soggetti sembravano
andare controcorrente, volgendo lo sguardo al futuro tutto il patrimonio economico ed imprenditoriale – laddove
36
sarà capace di uscire dalla “riserva” e di diventare invece
pensiero diffuso – potrà avere un ruolo economicamente
più rilevante, quindi anche su un piano non solo culturale ed istituzionale, nonché a livello macro. L’obiettivo da
perseguire è quello di tradurre in maniera nuova una serie
di elementi che la nostra tradizione ci lascia relativamente all’aspetto relazionale, cooperativo, istituzionale, ovvero relativo allo stare insieme, affinché possa essere definitivamente superata l’idea del puro individualismo e del
totale “senza limiti”.
Piuttosto che di “decrescita”, bisogna parlare di un nuovo modello di sviluppo, perché il tema della crescita e dello sviluppo è connaturato alla capacità umana di andare
oltre la situazione in cui ci si trova in un determinato momento. La capacità dell’uomo di auto-trascendenza è l’origine della crescita e dello sviluppo. Il problema non risiede tanto nel desiderio dell’uomo, bensì nel modo in cui
il sistema capitalistico soddisfa quel desiderio attraverso
un sistema di preferenze endogene: è il sistema culturale
che genera il meccanismo delle preferenze dell’uomo. È
necessario, dunque, riuscire ad orientare il sistema di preferenze affinché l’uomo possa perseguire nella propria vita obiettivi di senso di tipo relazionale intesi come principale dimensione della sua condizione di libertà.
Pertanto, è necessario creare le condizioni affinché vi sia
più capacità di ospitare nella società obiettivi di senso e di
significato che le persone, in una pluralità culturale come
quella in cui viviamo, possono esprimere e che incidono
sull’idea di libertà. L’esistenza degli altri e di vincoli non
sono un limite alla libertà dell’uomo: bisogna dare un senso al nostro agire, capire che il valore non è retorica ma è
una scelta di vita. Il tema della crisi evidenzia la necessità
di non regredire sulla strada della libertà – anche rispetto alle istituzioni, all’economico, al vivere sociale – bensì
di progredire in maniera più consapevole del nostro essere liberi. È necessario costruire un progetto civile e democratico “di senso”, un progetto che stia dentro ad una
storia ed accolga una pluralità, senza riconcentrare verticisticamente la direzione di marcia.
37
In tutto questo, il tema della cooperazione porta con sé
diversi elementi di interesse. Primo, la capacità di co-operare è un’arte di cui si ha un enorme bisogno. È necessario dar vita a forme di libertà in cui si mantiene e si valorizza lo stare insieme all’altro. Si tratta in tal senso di un
problema evolutivo: avere luoghi in cui si esercita concretamente il co-operare è assolutamente importante e strategico. Quelli degli ultimi vent’anni sono modelli in cui la
cooperazione non veniva contemplata, lasciando posto ad
altri sistemi di organizzazione. Per non diventare masse di
individui, invece, bisogna costruire contesti in cui le persone imparino a co-operare e capiscano che la democrazia ha un passo: non quello del proprio delirio di onnipotenza, bensì il passo “dell’altro”.
Secondo, sul piano istituzionale è necessario pluralizzare
le forme organizzative e societarie, perché vi è la necessità di una democrazia economica più ricca rispetto a quella
del passato. Avendo fatto passi in avanti dal punto di vista
della libertà – le persone hanno raggiunto livelli di istruzione più elevati e sono più consapevoli – è necessario articolare le forme della vita sociale ed economica. Avere
diverse tipologie di imprese ed organizzazioni è una ricchezza oggettiva: pluralizzare le forme con cui le persone
realizzano anche valore economico è un prezioso aspetto
di qualità del vivere.
Terzo tema è quello del welfare, partito nel secolo scorso
semplicemente come un sistema di protezione delle persone. Oggi, nelle società evolute, è chiaro che il sistema
di welfare deve cambiare, a fronte del cambiamento delle
società stesse. Il tema dell’educazione rientra nel concetto di welfare: laddove ci sono percorsi formativi di qualità nonché la conseguente capacità di garantire l’accesso
a tutti i cittadini, le società raggiungono maggiori risultati
anche dal punto di vista economico. Per tale ragione, l’approccio all’educazione deve essere concepito come investimento e non come mero costo o voce di spesa.
L’area di azione del welfare è sempre più ampia: oramai
intere parti della vita economica riguardano la cura della
persona, poiché le società avanzate si trovano a dover af38
frontare il problema di investire, da una parte, nelle infrastrutture e, dall’altra, nelle persone e nella loro cura. Il tema delle badanti – la cui stima in Italia è pari a 700 mila
unità – è un esempio eclatante in tal senso.
In conclusione, quella di oggi è una crisi di valore, sia economico che relativo alla democrazia. Certamente una delle grandi sfide che si pongono oggi di fronte a noi è quella della produzione di valore. Negli ultimi vent’anni si è
costruito il grande “mare tecnico” della globalizzazione,
ovvero è come se si fosse circondato il mondo di un’intelaiatura tecnica. In questa rappresentazione, qual è il ruolo della Terra, ovvero il luogo dell’umano? A proposito di
co-operare, sopravviveranno quelle comunità e quei sistemi politici che sapranno fare alleanze e che, così facendo,
faranno emergere la Terra umana dentro il mare della tecnica. Si esisterà, nel “grande mare della tecnica”, solo attraverso l’alleanza e l’intelligenza di persone in grado di
capire che la libertà di ciascuno ha a che fare con la libertà dell’altro, che non ci sono risorse da sprecare – in senso
ecologico e non economicistico – per arrivare a mettere in
campo una forma di sviluppo davvero nuova.

39
INTERVENTO
di Gianni Pittella
Vice Presidente Vicario del Parlamento Europeo

Il tema di uno sviluppo fondato sulla cooperazione e sulla
democrazia economica è molto attuale. La crisi economica ha evidenziato, infatti, il fallimento dei modelli tradizionali, sia del liberismo spinto dall’ambizione capitalistica, sia dello statalismo basato, nel secolo scorso, sulla
limitazione delle libertà personali e, più recentemente, sugli sprechi della finanza pubblica.
È evidentemente necessario introdurre una terza via, che
in Italia ha dato dimostrazione della sua grande validità e può già vantare esperienze significative di successo.
Il modello cooperativo ha una lunga tradizione e la legge sulla cooperazione sociale rappresenta uno dei risultati più straordinari, fungendo da esempio per diversi paesi europei.
In senso più ampio, anche il Terzo settore italiano, dall’associazionismo al volontariato e all’impresa sociale, ha dimostrato grande vitalità ed è riuscito molto spesso a realizzare tanto e meglio del settore pubblico e del settore
privato for profit pur avendo a disposizione risorse di frequente scarse.
Nonostante le solide basi che ha dimostrato di avere in
Italia, la terza via, quella della cooperazione, deve essere
rafforzata lavorando da più angolazioni. Innanzitutto, devono essere realizzate da parte del legislatore alcune condizioni di contesto che ne favoriscano l’affermazione: ad
esempio, alcuni strumenti già esistenti (come il 5x1000)
vanno evidentemente stabilizzati e resi definitivi affinché
possano garantire una capacità di programmazione delle
risorse al Terzo settore. Inoltre, la semplificazione amministrativa e burocratica per imprese che perseguono finalità sociali deve essere molto più spinta: ad esempio, la re40
cente introduzione della S.r.l. semplificata a costi ridotti
potrebbe essere estesa a tutte le imprese sociali ex lege n.
118/2005, indipendentemente dalla loro natura giuridica,
in virtù del riconoscimento del loro ruolo sociale.
Altro esempio di intervento improcrastinabile è l’accorciamento dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese sociali italiane, che
oggi in alcuni contesti arrivano anche a tre anni di attesa.
Inoltre, non si può non sottolineare che oggi al Terzo settore viene attribuito dalla Banca d’Italia lo stesso merito creditizio dei prestiti personali, più rischioso di quello
delle PMI, sebbene l’evidenza statistica da tempo dimostri che questo settore abbia un tasso di sofferenze enormemente minore rispetto agli altri. Riconoscere tale merito, da un lato, consentirebbe alle banche di ridurre le
quote di accantonamento a garanzia dei prestiti erogati al
Terzo settore e, dall’altro, incrementerebbe significativamente le risorse a disposizione delle imprese sociali.
Questa è solo una delle rigidità che questi soggetti si trovano a dover affrontare rispetto al settore bancario. L’allentamento di una serie di vincoli della Banca d’Italia
rispetto all’erogazione di credito, ma anche alla partecipazione in capitale, potrebbe dare un’enorme spinta allo
sviluppo dell’impresa sociale e cooperativa, forse anche
maggiore di politiche fiscali agevolate. I mancati interventi in questo senso sono privi di significato, dato che sono
le stesse banche a chiederlo.
Interventi legislativi nel settore del credito possono essere
di grande aiuto, tuttavia la svolta deve arrivare anche dalla capacità stessa dell’economia sociale e cooperativa di
non sentirsi subalterna agli altri settori economici. I risultati degli ultimi anni, infatti, dimostrano come questo non
sia affatto vero e i dati dell’occupazione e della sostanziale tenuta, pur in un momento di crisi, lo sottolineano. Circa 14 mila sono le cooperative sociali in Italia con quasi
320 mila dipendenti: il mondo cooperativo ha dimostrato
di saper rispondere meglio in anni difficili rispetto al settore for profit, ad esempio incrementando di oltre il 5%
gli occupati tra il 2008 e il 2010.
41
Ciò dimostra come anche l’approccio con il settore pubblico debba essere fondato su basi non di dipendenza
economica, bensì di collaborazione innovativa. Anche il
rapporto con il settore for profit deve essere paritario, basato sulla cooperazione e non solo sulla richiesta unilaterale di finanziamenti e di donazioni.
Attraverso il contatto diretto con le persone e con i loro bisogni, il Terzo settore dispone di una serie di fattori
molti interessanti per il settore for profit, rispetto al quale
è necessario essere in grado di comunicare ed offrire nuove modalità di collaborazione e nuove forme giuridiche
da attivare per sviluppare opportunità comuni.
Il Terzo settore e l’impresa sociale italiana non devono
dunque temere di confrontarsi con le novità ed in questo potranno trovare supporto a livello europeo, dove si
stanno sviluppando strumenti di grande interesse attorno alla Social Business Initiative. L’Europa sta mettendo
in campo risorse significative con il programma “Horizon
2020” per l’innovazione sociale, il programma Innovation
and Social Change, gli strumenti di microcredito e anche il
supporto attraverso fondi di investimento sociale.
Esistono tre grandi sfide di carattere generale, europee
ma non solo, cui il Terzo settore deve far fronte. La prima riguarda il nuovo bilancio dell’Unione Europea, in negoziazione tra i 27 paesi EU, la Commissione Europea e
il Parlamento Europeo, che determinerà la distribuzione
delle risorse per la nuova programmazione 2014-2020. È
una sfida difficile, perché il confronto è con una tendenza
a restringere ulteriormente le possibilità offerte dall’Unione Europea. Il bilancio europeo annuale è di appena 130
miliardi di euro, minore di quello di grandi città europee,
e rispetto al quale c’è una richiesta di ulteriore riduzione.
Affinché l’Europa dia risposte ad una necessità fortissima
di superare la crisi, c’è bisogno di una forte spinta anche
da parte del Terzo settore in termini di mezzi finanziari.
Legato a questo primo tema, ve n’è un altro: sono, infatti, ancora in campo le risorse della programmazione
2007-2013. Purtroppo il sistema-Italia non si è dimostrato all’altezza, poiché la percentuale di spesa non supera in
42
media il 25 percento delle risorse e si è ormai giunti all’ultimo anno della programmazione. Da una parte, si chiedono maggiori risorse sulla politica di coesione e, dall’altra parte, si dimostra di non avere piena capacità di spesa.
Anche su questo il Terzo settore deve far sentire la sua voce, in particolar modo agli interlocutori principali, ovvero
le regioni. Ovviamente ci sono regioni virtuose, come l’Emilia-Romagna o la Basilicata e la Puglia, che si contrappongono a regioni che hanno primati negativi in tal senso:
la Calabria, ad esempio, spende meno del 17-18 percento. Avere le risorse e non spenderle, senza quindi sostenere gli sforzi di un mondo come il Terzo settore, è un’azione delittuosa.
La seconda grande sfida che abbiamo di fronte a livello
europeo è uscire dalla crisi attraverso un paradigma e una
risposta diversa da quella che è stata propinata in quest’ultimo anno e mezzo. La linea e il dogma che è passato a livello europeo è stato quello di evidenziare il problema del
debito pubblico e il dovere della sua riduzione. Il problema principale dell’Europa non è il debito pubblico, perché se si guarda il dato aggregato è inferiore a quello di
molti altri paesi nel mondo. Non si può perciò solamente
agire per apportare tagli alla spesa sociale, perché le risultanti di questa politica, finora imposta dai governi europei, sono state non la soluzione del debito, bensì l’aggravamento della disoccupazione, il taglio dei livelli di qualità
sociale della vita, nonché un generale impoverimento delle condizioni sociali di tutto il territorio europeo.
È pertanto necessario abbandonare la linea dell’austerità.
Sia pure progressivamente, senza trascurare necessità di
finanze più sane, bisogna imboccare la strada del finanziamento di un grande piano di investimento pubblico europeo per la formazione, la ricerca, l’educazione, le grandi
reti fisiche e immateriali. Un piano finanziato attraverso
le emissioni di Eurobond, garantiti dalle riserve aurifere e
dal patrimonio pubblico dei paesi membri, potrebbe assicurare una provvista finanziaria di 3 mila miliardi di euro,
dei quali 2 mila e 300 per mutualizzare il debito a livello
europeo e altri 700 per finanziare un grande piano euro43
peo di investimenti per la crescita, la coesione sociale, lo
sviluppo sostenibile.
L’ultima sfida, che è la prima in ordine temporale da dover affrontare, è quella di un riequilibrio tra democrazia,
economia e finanza. Nel mondo, non c’è chi non veda come negli ultimi anni questo equilibrio è saltato e come il
primato sia stato lentamente ma inesorabilmente conferito alla finanza, a scapito della democrazia e dell’economia. Tutto ciò è la madre della crisi, degli stenti, dei problemi non soltanto sociali ed economici ma democratici
attualmente presenti nella nostra società. Il PIL mondiale
è racchiuso nel sistema banco-centrico della finanza, senza controllo. Su questo tema l’Europa sta lavorando, attraverso la supervisione bancaria, una maggiore vigilanza,
un riscatto dell’economia partecipata e cooperativa, nonché attraverso un rilancio della democrazia, della politica
e della partecipazione.

44
IMPRENDITORIALITÀ SOCIALE:
POTENZIALITÀ E PROMOZIONE IN RETE
di Alberto Valentini
Unioncamere e Università La Sapienza, Roma

1. Quadro
Le Camere di Commercio – in sintonia con importanti
correnti di pensiero – sono convinte che nelle società sviluppate ed anche in quelle in via di sviluppo, lo Stato ed
il mercato sempre meno riescano a dare risposte adeguate alla complessità dei nuovi bisogni emergenti, primo di
ogni altro a quello occupazionale (in special modo di donne e giovani).
Si può considerare, a tal riguardo, ciò che Rifkin da tempo sostiene, così come le recenti posizioni espresse da Yunus (solo per citare due noti autori provenienti da emisferi diversi).
In questo quadro l’Economia Civile/Sociale trova uno
spazio nel quale inserire la propria iniziativa che si colloca tra l’impresa di stato e l’impresa commerciale, per dare
risposte ai bisogni espressi dalle comunità di cittadini, secondo il principio di sussidiarietà, e per favorire uno sviluppo umano integrale e pluralistico.
Tale sviluppo diviene quindi sempre più la risultante della combinazione delle tre dimensioni evocate (impresa di
Stato, commerciale e sociale), in un contesto di cooperazione fattiva e relazionale.
In questo contesto il Sistema Camerale si propone di far
interagire i soggetti dello sviluppo locale collocandoli in
rete per accelerare e orientare la promozione.
Quattro sono i soggetti considerati:
–– 	 l primo è costituito dagli esponenti degli organi cai
merali, che sono espressione delle rappresentanze
delle imprese;
45
–– 	l secondo è la rappresentanza della società civile
i
organizzata, articolata in volontariato, associazionismo e impresa sociale (Terzo settore);
–– 	l terzo si riferisce alle rappresentanze delle autonoi
mie locali;
–– 	l quarto chiama in causa le comunità della ricerca
i
universitaria e non, nonché i cultori della materia.
Per quanto riguarda i soggetti considerati, il primo (gli organi camerali) è profondamente connesso con le associazioni delle imprese che designano i loro rappresentanti.
Il Forum del Terzo settore (secondo soggetto) ha condiviso con il Sistema Camerale un percorso che ha portato
alla definizione processuale della partecipazione a vari livelli: rappresentanti del volontariato sociale, dell’associazionismo sociale e dell’imprenditorialità sociale.
Gli enti locali (terzo soggetto) sono generalmente disponibili alla cooperazione pro-sviluppo locale e possono
esprimere le loro designazioni attraverso le rispettive rappresentanze.
La comunità della ricerca universitaria e non (quarto soggetto) non ha ancora generato una propria rappresentanza
territoriale, quindi il Comitato, non appena insediato, potrà provvedere ad un opportuno processo di cooptazione.
Unioncamere, tenuto conto delle tematiche richiamate,
ha proposto di dar vita a dei Comitati (da istituire presso le Camere e le Unioni regionali) composti dalle rappresentanze dei quattro soggetti evocati. Questi Comitati hanno il compito di promuovere lo sviluppo locale
dell’imprenditorialità sociale e l’accesso al credito (anche
microcredito) attraverso la nascita di circoli virtuosi tra
sviluppo economico e benessere sociale atti a favorire la
nascita di nuove imprese e di buona occupazione.
2. Situazione
Il Sistema Camerale dalla fine degli anni ’90 ha realizzato
due progetti pro-Economia Sociale: Quasar, qualità delle imprese sociali e, Creso, credito per le imprese sociali.
46
In entrambi i progetti la cooperazione col Forum del Terzo settore e con alcune università, nonché con i centri di
ricerca fondazionali quali CENSIS e Tagliacarne, fu il
punto di forza. Per il credito la collaborazione fu utilmente arricchita dal contributo di Federcasse.
Si crearono iniziative congiunte in oltre 20 Camere di
Commercio che dimostrarono che era possibile collaborare tra personale camerale (già dedito a far nascere e crescere le imprese) e operatori del Terzo settore (portatori della
motivazione all’auto-imprenditorialità), puntando sull’impegno volto a promuovere l’imprenditorialità sociale.
Successivamente si arrivò a suggerire la nascita di Comitati camerali locali e regionali per creare una rete nazionale a sostegno dell’Economia Civile/Sociale (lettera alle
Camere e alle Unioni regionali di Unioncamere del 10 novembre 2011).
Attualmente si è pervenuti alla costituzione di oltre 30
“Comitati camerali per l’imprenditorialità sociale ed il
microcredito” (CISeM).
Alcune realizzazioni possono illustrare la varietà di iniziative che si stanno sviluppando.
Se ne propongono alcune, ben sapendo che molte altre,
pur interessanti, non possono per sintesi essere evidenziate:
–– L’Osservatorio dell’Economia Civile della Camera
di Commercio di Torino ha dato vita al “Polo d’innovazione sociale e dell’Economia Civile”, in collaborazione con la Regione, il Comune, la Provincia e
quattro atenei piemontesi, insieme ad enti della cooperazione e del volontariato, per perseguire prioritariamente il trasferimento e la diffusione dell’innovazione presso le piccole e medie imprese sociali;
–– la Camera di Commercio di Milano ha promosso
una ricerca sul “Valore dell’impresa sociale nella
provincia di Milano” realizzata in cooperazione con
OSIS e l’Università Bocconi. La ricerca – che è propedeutica alla costituzione del CISeM – può essere
visionata sul sito della Camera. Va anche ricordato
che già nel 1991 la Camera di Commercio di Milano
47
––

––

––

––

––

48

aveva affidato all’IREF di Roma una ricerca su “Associazionismo e cultura d’impresa: i servizi di emanazione associativa” da cui nacque il primo sportello camerale per l’Economia Civile/Sociale;
la Camera di Commercio di Mantova ha da tempo
dato vita al “Tavolo della cooperazione” particolarmente attivo nei percorsi formativi e di animazione
del territorio anche attraverso la realizzazione del
“Festival della Cooperazione”;
l’Osservatorio del Terzo settore della Camera di
Commercio di Padova ha da diversi anni promosso
il “Premio per la collaborazione tra impresa e non
profit” articolato in tre sezioni: la prima incentrata su “esperienze di collaborazione tra impresa for
profit e soggetti del Terzo settore”; la seconda per
le “esperienze di mantenimento dell’inserimento lavorativo con particolare attenzione per le categorie
di lavoratori appartenenti alla fasce più deboli”; la
terza per “le esperienze aziendali di buone pratiche
di responsabilità sociale d’impresa”;
l’Unioncamere Emilia-Romagna, sulla base dell’intesa col Forum Regionale del Terzo settore, ha avviato a Reggio Emilia una sperimentazione volta a
mettere “in rete l’offerta” di quanto realizzato dalle
varie organizzazioni non profit al fine di predisporre un sistema informativo per l’intera regione;
la Camera di Commercio di Roma ha lanciato l’iniziativa “Idee e progetti d’impresa sociale” insieme
al Comune e alla Banca di Credito Cooperativo di
Roma, per favorire l’accesso al credito assicurando
la dotazione di un fondo di 100 mila euro per l’erogazione di garanzie fideiussorie;
la Camera di Commercio di Chieti ha promosso
(stanziando 100 mila euro) un bando per progetti di “Incentivazione delle iniziative di agricoltura
sociale per il miglioramento dei servizi alla popolazione”;
–– la Camera di Commercio di Taranto ha sviluppato una collaborazione con l’Università Cattolica e
con l’Istituto Lazzati per la “Preparazione di giovani imprenditori sociali” anche attraverso la partecipazione alla realizzazione di una Summer School;
–– l’Unioncamere della Calabria, sulla base di un protocollo d’intesa con il locale Forum del Terzo settore, ha intrapreso un percorso di supporto delle
iniziative d’imprenditorialità sociale con particolare riferimento alla valorizzazione dei beni confiscati
alla criminalità organizzata (si è poi dato vita al Comitato camerale regionale).
3. Prospettive
L’impegno del Sistema Camerale di dar vita ad una rete
funzionante d’accompagnamento e sostegno all’imprenditorialità sociale è dimostrato dai fatti richiamati.
Occorre, però, una disponibilità volta a co-operare da
parte di tutti e quattro i soggetti di cui si è detta l’importanza. La cooperazione si coniuga alla loro capacità di fare rappresentanza.
Si consideri che le Camere di Commercio sono esponenziali dell’associazionismo delle imprese, di tutte le imprese for profit e non profit, di Stato, commerciali e sociali.
Esse sono organismi pubblici che chiamano a co-operare
le varie rappresentanze: dell’associazionismo imprenditoriale, del Terzo settore, degli enti locali e della ricerca universitaria e non.
Si tocca a questo punto, un tema complesso che qui non
può essere affrontato, ma che ci deve interrogare sul fatto
se il principio di sussidiarietà orizzontale sia o meno realizzato nei vari territori.
E non c’è dubbio che lo sviluppo duraturo e incentrato
sulla qualità prenda le mosse dai valori identitari, storicoproduttivi e di vision incarnati dalle persone che operano
nei differenti territori distrettuali.
Per il momento ci si può accontentare di fissare proces49
sualmente i seguenti quattro punti:
1.	 gli obiettivi;
2.	 il valore aggiunto della rete;
3.	 l’apertura pluralistica;
4.	 l’importanza della rappresentanza.
1. Gli obiettivi sono collegati al passaggio che stiamo
vivendo in Europa dallo stato del benessere alla comunità
del benessere. In questo cambiamento l’Economia Civile
e Sociale, i corpi intermedi organizzati, possono giocare
un ruolo fondamentale. Un ruolo capace di dare risposte
appropriate ai nuovi bisogni, tutto ciò richiede allo Stato
di migliorare la sua azione programmatrice e di riequilibrio sociale. Senza un supporto dello Stato alle fasce più
povere o più socialmente esposte, non si può pensare di
realizzare un nuovo welfare comunitario. E se si vuole che
l’economia riparta occorre assicurare a chi lavora la soluzione ai problemi di assistenza, sanità, cultura, ecc.;
2. la rete rappresenta un valore aggiunto perché permette di trasferire buone realizzazioni da una realtà ad
un’altra. Ma consente anche un reciproco stimolo ed arricchimento a coloro che la animano e la rendono fruttifera. Una rete deve avere un obiettivo condiviso a cui ognuno contribuisce con il suo piccolo o grande apporto. Una
rete senza anima non è una rete: occorre lavorare assiduamente per alimentare questo processo ricercando continuamente le ragioni dello “stare insieme”;
3. il pluralismo è una ricchezza fondamentale della rete. Il volontariato ha sue specificità collegate al dono del
proprio tempo e sensibilità, l’associazionismo sociale si
caratterizza per essere capace di organizzare risposte ai
bisogni in forma partecipata. Da entrambe queste realtà
provengono gli imprenditori sociali che donano alla collettività i propri talenti.
Imprenditori sociali che sono ancora troppo pochi e verso i quali sarebbe necessaria una intensa azione d’implementazione;
4. la rappresentanza. Per realizzare i Comitati è necessaria la rappresentanza, per esempio, del Terzo settore.
50
Questa non è sempre presente in ciascuna realtà territoriale nella quale la Camera decide di fare un CISeM; tuttavia
essa stimola il Terzo settore ad organizzarsi. Ma la rappresentanza nasce e si rinnova attraverso l’adozione del metodo democratico. Metodo che la Costituzione ancora inattuata riporta all’articolo 49 per i partiti (“Tutti i cittadini
hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica
nazionale”) e all’articolo 39 per i sindacati (che dovrebbero avere “un ordinamento interno a base democratica”).
Tutto ciò per ricordare, da un lato, problemi aperti e,
dall’altro, l’importante influenza che questi esercitano
sulla realizzazione della rete dei CISeM.
Obiettivi, rete, pluralismo e rappresentanza sono pertanto temi che si intrecciano con la realizzazione dell’impegno del Sistema Camerale per l’imprenditorialità sociale.
In conclusione, due citazioni. La prima è un passaggio
del Presidente di Unioncamere italiana, Ferruccio Dardanello, alla recente (29 ottobre 2012) assemblea dei Presidenti delle Camere di Commercio d’Italia: “Dalla grande crisi usciremo sicuramente più forti se lavoreremo per
essere sempre più coesi. Solo se sapremo ricreare concordia nei territori e ristabilire un’alleanza fra impresa, lavoro, famiglia, politica e ambiente, anche l’economia potrà
ripartire”.
La seconda è del Presidente della Commissione europea,
José Manuel Barroso: “Le imprese sociali possono rappresentare un fattore di cambiamento molto forte. Per
produrre risultati migliori per il bene comune. Per dimostrare che è possibile fare le cose in modo più responsabile e più equo, pur continuando ad avere successo nel
mercato. E per diventare un vero motore della crescita
nell’UE. L’Europa non deve semplicemente partecipare
a questi cambiamenti. L’Europa deve avervi un ruolo di
primo piano”.

51
SESSIONE PARALLELA 1

MARKET - NON MARKET:
L’ECONOMIA SOCIALE AL BIVIO
QUALE MERCATO PER QUALE ECONOMIA?
di Leonardo Becchetti
Università di Roma Tor Vergata

Il dibattito sul tema della crisi porta nella maggior parte dei casi a concentrarsi sull’analisi delle sue cause, togliendo spazio invece all’analisi delle possibili soluzioni
per uscirne. Il problema originario della crisi non è di natura finanziaria, bensì è reale, ovvero è legato ai divari nei
tenori di vita e nei costi del lavoro a livello globale. La
globalizzazione, infatti, trasforma i mercati del lavoro locali in globali, aumentando la dispersione salariale. Questa tendenza durerà per molto tempo, poiché i processi di convergenza in media sono lenti (60 anni la Cina, ad
esempio se giochiamo ad estrapolare e a proiettare gli attuali tassi di crescita nel futuro); nel frattempo la diseguaglianza intra-paese e mondiale è in crescita, proprio perché la globalizzazione e la rete aumentano di larga misura
il rendimento dei talenti (ovvero i rendimenti della scolarizzazione).
La conseguenza è che il vecchio modello di funzionamento dell’economia, basato sulla rigida divisione dei ruoli,
non può più funzionare, a causa di un difetto “etico” del
sistema a due tempi: oggi, infatti, non è più possibile fare
affidamento sull’erogazione di risorse da parte dello Stato.
Il sistema, quindi, deve ibridarsi:
1.	 il Terzo settore deve sapersi trasformare e rinascere
come Economia Civile;
2.	 i singoli attori devono avere la forza di alzare lo
sguardo dall’urgenza delle loro incombenze quotidiane per coordinarsi in alcune azioni sistemiche (ad esempio, campagna 005, riforma indicatori
e “voto col portafoglio”) se non vogliono rischiare
di dover affrontare sempre più problematiche con
sempre meno risorse a disposizione.
55
A livello micro, queste organizzazioni devono pertanto imparare a mettere assieme attività sociali (fondate
sul fund raising pubblico o privato) e attività che generano ricavi e utili compatibili con la loro missione sociale il
cui valore sul mercato potrà aumentare proprio grazie alla sensibilità di consumatori e risparmiatori responsabili
che votano con il portafoglio. Se il “voto col portafoglio”
funzionerà, ciò produrrà contagio. Se il Terzo settore riuscirà ad ibridarsi questo genererà contagio nello stesso
settore delle imprese massimizzatrici di profitto che coglieranno le nuove opportunità e si ibrideranno attraverso la responsabilità sociale d’impresa, riducendo così le
conseguenze socio-ambientali negative del loro operato.
Gli ingredienti di questo mondo nuovo – che già oggi intravediamo – diventano, accanto al tradizionale auto-interesse e motivazioni estrinseche: le motivazioni intrinseche, la gratuità, la fraternità e il dono. Gli attori chiave
sono le banche e finanze etiche e cooperative, le imprese
socialmente responsabili, gli imprenditori dell’economia
di comunione, le botteghe solidali, la piccola distribuzione organizzata dei gruppi di acquisto solidale.
Tutto ciò sta a significare che è necessario superare il concetto di “Terzo settore”, poiché non può essere considerato un settore residuale che vive di dipendenza dal settore pubblico. Invece, questo è un mondo “ibridato” che
non ha solo l’ambizione di trovare soluzioni a problemi
generati dall’economia tradizionale, ma ha l’aspirazione
di cambiare il sistema economico.
Esiste una vera e propria superiorità del “civile”. Come
può un’impresa che massimizza il benessere degli azionisti – una sola categoria di stakeholder – tutelare meglio di
un soggetto multistakeholder il benessere degli altri portatori d’interesse? La visione dell’economia tradizionale
sostiene che attraverso i meccanismi di concorrenza e reputazione si riconcilia l’interesse degli azionisti con quelli
degli altri stakeholder. Tuttavia, esistono diversi problemi,
tra cui: le opacità informative, le esternalità, i beni pubblici. La reputazione, inoltre, non funziona se le relazioni non sono ripetute e ci sono settori in cui gli stakeholder
56
fanno comunque difficoltà a valutare la qualità dei prodotti (ad esempio, settore finanziario e alimentare).
L’impresa civile, invece, può produrre capitale sociale.
In linea di principio teorica, la razionalità cooperativa è
una forma superiore di razionalità rispetto a quella individualistica.
È stato recentemente osservato come l’homo oeconomicus costituisca una minoranza. Engel (2010) ha analizzato i risultati di 328 diversi esperimenti fatti con denaro,
per un totale di 20 mila e 813 osservazioni da diversi paesi del mondo. È stato rilevato che in media le persone che
si comportano come nel modello dell’economia tradizionale è pari al 20 percento. La quota degli homines oeconomici corrisponde al 28 percento se i “diritti di proprietà” sono del ricevente e bisogna prendere i soldi da lui; 25
percento se si usano soldi veri nel gioco; 19 percento se il
ricevente è identificato come bisognoso.
Gli studenti sono i più vicini all’homo oeconomicus (40%),
mentre i bambini lo sono solo al 20 percento, così come
il 10 percento dei giocatori di mezza età e nessuno tra chi
ha più di 50 anni.
La superiorità della razionalità del “noi” viene evidenziata
dal famoso apologo di Hume (Trattato sulla natura umana, 1740, libro III): “Il tuo grano è maturo oggi, il mio lo
sarà domani. Sarebbe utile per entrambi se oggi io [...] lavorassi per te e tu domani dessi una mano a me. Ma io non
provo nessun particolare sentimento di benevolenza nei
tuoi confronti e so che neppure tu lo provi per me. Perciò
io oggi non lavorerò per te perché non ho alcuna garanzia
che domani tu mostrerai gratitudine nei miei confronti.
Così ti lascio lavorare da solo oggi e tu ti comporterai allo stesso modo domani. Ma il maltempo sopravviene e così entrambi finiamo per perdere i nostri raccolti per mancanza di fiducia reciproca e di una garanzia.”
È necessario, dunque, coniugare la superiorità del civile
nei diversi settori in cui questa si può esplicare, ad esempio quello finanziario e bancario. Il dato medio del tasso
di sofferenza delle cooperative sociali è pari all’1 percento
contro l’8 percento delle PMI. Forse l’imprenditore tradi57
zionale (senza volerlo per questo demonizzare o colpevolizzare) in un contesto di opacità informativa tende molto
di più all’opportunismo manageriale, cioè a privatizzare i
profitti e a socializzare le perdite e, soprattutto, ad una governance molto più gerarchica.
In questo scenario, Banca Etica ha 1,1% di sofferenze, in
un momento in cui il sistema è 6,5%. Anche le altre banche riconoscono che la loro attività nei confronti del Terzo settore è meno rischiosa rispetto a quella nei confronti delle PMI.
È necessario chiedersi quindi perché le banche cooperative ed etiche sono maggiormente anticicliche, cioè hanno
una variazione di credito relativamente positiva nei periodi di crisi, e perché queste banche hanno contribuito meno al rischio sistemico. Minori sono state le spinte ad aumentare a tutti i costi i rendimenti assumendosi dei rischi
molto gravi.
Infine, bisogna comprendere perché Basilea III costituisce un pregiudizio per il sociale: la ponderazione del rischio, infatti, dovrebbe essere l’opposto rispetto a quanto invece accade, ovvero Basilea III considera massimo il
rischio associato al finanziamento di una cooperativa sociale (100 percento di accantonamento, contro il 75 percento per le PMI), quando dovrebbe essere esattamente
il contrario.
In altri settori accade lo stesso: questa superiorità potenziale del civile deve essere evidenziata ad esempio nella
gestione dei beni comuni da parte delle cooperative di
utenti rispetto alle imprese for profit oppure alla sanità,
cioè a settori dove esiste uno spazio per il Terzo settore
(es. “Welfare Italia”) tra le file del pubblico e i costi del
privato. Si pensi anche alle mutue sanitarie integrative e al
loro confronto con le assicurazioni for profit.
All’atto pratico, però, questi soggetti vengono necessariamente a confrontarsi con dei problemi e delle sfide. È
chiaro che assumendo una logica multistakeholder, diversamente dall’azienda for profit, la governance può diventare molto caotica; quindi, il rapporto e il coordinamento degli interessi dei diversi stakeholder (clienti,
58
soci, lavoratori, comunità locali) è complesso.
Inoltre, è necessario affrontare il problema di come attirare capitale di rischio “paziente” e potenzialmente meno
remunerato e quello famoso dell’attrarre i talenti professionali a fronte di un salario medio inferiore – ricordiamo
che tuttavia non è solo il salario più alto la ragione per cui
si lavora: le persone cercano sempre più risposte lavorative a loro motivazioni intrinseche.
Un ulteriore problema riguarda il modo con cui evitare il
burnout delle aspettative: nelle organizzazioni a movente
ideale le persone si applicano per delle buone cause che
ritengono di estrema rilevanza, quindi aumentano le proprie aspettative a livello esponenziale e ciò, se non soddisfatto, produce infelicità.
Le azioni sistemiche più urgenti da intraprendere oggi
per potenziare l’Economia Sociale sono le seguenti:
1.	 trovare soluzioni ai problemi di governance;
2.	 stimolare il “voto col portafoglio”;
3.	 lavorare per policy che favoriscano l’impresa sociale, non perché debba essere favorita in principio ma
deve essere riconosciuto il suo ruolo di creazione di
valore sociale che serve per far andare avanti l’economia;
4.	 realizzare campagne per la riforma delle regole, soprattutto nel settore finanziario;
5.	 analizzare delle best practice13 per capire come que	 Ad esempio, la convenienza economica dei Gas; l’ibridazione della Fondazione di Comunità di Messina; il Consorzio Tassano; la Comunità Emmanuel; CGM; Banche etiche, cooperative e
popolari; Botteghe solidali e CTM; Libera (Il valore etico ed economico della legalità); alleanze tra non profit e for profit soprattutto se esternalità positive dall’accordo (convenienze per il for profit
che entra in nuovi mercati o migliora sua reputazione) (AMREF);
il modello di reciprocità indiretta di Banca Etica (il vantaggio etico competitivo); meccanismi che mescolano prestiti tradizionali
ad elementi di dono e reciprocità indiretta (es. Terzo Valore); sistemi di microfinanza (Italia tre pilastri, Estero mobilizzazione ri13

59
ste possono essere estese ad altri contesti e soggetti;
6.	 utilizzare gli indicatori di benessere equo e sostenibile di Istat e Cnel come fonte di ispirazione per la
creazione di valore sociale (come “mappa dei desideri” degli italiani ispiratrice per la creazione di beni e servizi socialmente utili sul territorio).
Sul tema della riforma della finanza è necessario procedere rispetto alla tassa sulle transazioni e soprattutto portare avanti l’azione incentivante che permetta di spingere il
capitale finanziario a diventare “paziente”.
La questione fondamentale è “il voto col portafoglio”,
perché i cittadini subiscono la minore qualità sociale
dell’impresa massimizzatrice del profitto se sono pigri nel
“votare col portafoglio”: si tratta certamente di un problema di elasticità della domanda.
Gli ultimi dati globali Nielsen (emersi da 28 mila interviste effettuate in 56 paesi) evidenziano come ben il 46%
dei consumatori globali è disposto a pagare di più per
prodotti e servizi di aziende che hanno sviluppato programmi di responsabilità sociale. Tuttavia, si tratta di un
dato sovrastimato, poiché nelle risposte degli intervistati sono previste delle condizioni ideali che in realtà non si
verificano. Secondariamente, non ci sono costi differenziali nel raggiungimento del prodotto.
Oggi è necessario organizzare l’offerta, cioè lavorare per
avvicinare i cittadini a questa situazione ideale in cui l’incertezza informativa sulla qualità etica ed ambientale del
prodotto viene eliminata e non ci sono costi differenziali di accesso.
Il “voto col portafoglio” alla fine risulterà vincente perché
sostenuto dall’auto-interesse delle persone di acquistare
prodotti più “verdi” o “socialmente responsabili”, premiando così le imprese che producono beni più sostenibili e trattano meglio il lavoro. Premio che in ultima analisi farebbe il loro stesso interesse di cittadini-lavoratori.
sparmio e Molto efficaci); le cooperative di utenti nel settore elettrico in Alto Adige.

60
Il problema del coordinamento si può risolvere anche attraverso una migliore organizzazione dell’offerta. In tal
senso, è stata costituita un’iniziativa intitolata “Next”14,
cui aderiscono sindacati, associazioni industriali, società civile, coltivatori diretti, associazioni di consumatori e
l’accademia. L’idea è che ci sia bisogno di un luogo virtuale della Corporate Social Responsibility, in cui i cittadini si
incontrano e possono dialogare su questi temi. Sul portale vi è un doppio accesso, uno per i cittadini e uno per
le imprese. Queste ultime inseriscono le loro iniziative di
CSR; vi sono, inoltre, dei meccanismi di valutazione e di
auto-valutazione.
I sindacati dovrebbero comprendere che, oggi, devono
difendere il lavoro organizzando il consumo e non più solo manifestando come una volta.
Per ciò che riguarda la questione delle politiche, è fondamentale ribadire come non sia necessario attuare forme di
protezionismo e bloccare alla frontiera prodotti di paesi
che hanno costi del lavoro più bassi. La WTO non consente divieti, ma accetta forme premiali per responsabilità sociale ed ambientale – soprattutto delle filiere (come
quelle italiane). Per fare questo bisogna avviare contemporaneamente più iniziative (Tabella 1): gli appalti delle
scuole, l’Irap regionale, le agevolazioni alle cooperative
(Iva al 4%), l’offerta di servizi da parte delle cooperative
sociali di “tipo A”. È necessario inoltre misurare i benefici per giustificare le agevolazioni (ad esempio, per l’equosolidale realizzare studi d’impatto e visione strategica su
differenziali salariali).
In conclusione, bisogna imparare a guadare alle cose con
un’ottica di lungo periodo. Keynes (1931) già risentiva della terribile tradizione di pensiero economico per la
quale l’economia va avanti grazie ai vizi più che per le virtù. Oggi la situazione è totalmente capovolta: la crisi finanziaria ci ha insegnato che senza capitale sociale, senza norme morali e sociali l’economia rischia di collassare.
Oggi non si fa altro che parlare di lotta alla corruzione
	 http://www.nexteconomia.org/index.php

14

61
e all’evasione, nonché di costruzione di capitale sociale.
Prima della crisi, ci si rifugiava dietro all’eleganza delle
formule e l’etica era neutrale. Oggi, invece, l’etica è centrale, anche se la tecnica rimane importante ma al servizio
della costruzione di valori e norme.

Tab. 1 – Incentivi diretti e indiretti
A. INCENTIVI DIRETTI

B. INCENTIVI INDIRETTI

Incentivi fiscali e crediti d’imposta

Stanziamento di fondi di bilancio

Attribuzione di riduzioni nelle aliquote di imposta applicate alle imprese responsabili, nei limiti della
regolamentazione europea sugli aiuti “de minimis”.
Cfr. ad es. R. Toscana, R. Marche, ecc.
- Sgravio IRAP (riduzione 0,5 %,
cfr. Toscana, ecc.)
- Sgravio su aliquota addizionale regionale IRPEF

Destinazione di risorse per la costituzione di organi con lo scopo
di finanziare azioni di promozione dei temi legati alla RSI

62
Contributi in conto capitale
Incrementi di mezzi patrimoniali
dell’impresa per favorire la realizzazione di progetti con percorsi di RSI.
Cfr., ad es., i bandi regionali, FILSE
a. specifici su azioni RSI, da finanziarie regionali;
b. relativi a vari settori e attività economiche (quali l’edilizia e la sicurezza SSL), ma comprensivi di sottomisure per azioni di RSI.
Cfr. anche il bando INAIL, sia sulla
SSL sia sulla RSI, sui Mod.231/01,
ISO 26000, ecc., operativo a partire
dal 14 marzo 2012.
Altri incentivi derivano da iniziative del CNEL (Consiglio Nazionale
del Lavoro) e altri da iniziative delle
confederazioni dei lavoratori.
Contributi in conto interesse
Finanziamenti a medio e lungo termine con tassi agevolati, finalizzati a
progetti legati alla RSI.

Costituzione di registri per imprese certificate
Nel rispetto del Trattato UE e leggi sugli appalti possono esser costituiti elenchi e registri per le imprese dotate di certificazioni sulla
qualità e sicurezza sul lavoro che
prevedono incentivi finanziari e fiscali agli iscritti.
Costituzione di Commissioni o
Comitati
Creazione di soggetti incaricati di
coordinare e gestire le iniziative
concernenti la RSI

Punteggi aggiuntivi nei bandi
POR. (Cfr. DAR Toscana con
premialità per:
imprese che prevedono il conseguimento o hanno adottato sistemi di certificazione/gestione ambientale

Altri finanziamenti e interventi

e/o certificazione/gestione di prodotto o sono finalizzati

Accordi con istituti bancari, Finanziamenti agevolati
Iniziative “mutuo CSR” a interessi
zero (a carico P.A.)

all’adozione di strumenti di responsabilità sociale delle imprese, riconducibili a standard internazionali

63
-	 DOCUP 2000-2006 e PRSE
2007-2010: contributi in conto capitale per l’acquisizione della certificazione SA8000;
-	 POR CReO 2007-2013: contributi per l’acquisizione di servizi qualificati (certificazioni e bilanci di
sostenibilità);
-	 POR CReO 2007-2013 – misura
1.3.b. Acquisizione di servizi qualificati
Voucher da spendere nell’ambito di
un servizio pubblico regionale scelto dall’imprenditore in un elenco di
possibili ambiti (sanità / asili / formazione / servizi CCIAA / finanziamenti /… - in base alle convenzioni
in atto o attuabili dalla Regione con
le sue società partecipate e altri Enti Locali).
Voucher per ottenere consulenza
sulla “contrattazione di II livello”.
Voucher per ottenere consulenza su
una programmazione coi propri dipendenti di piani di “welfare secondario” (più sicurezza sul lavoro, migliore gestione degli straordinari,
maggiori benefit per sé e per i familiari, ecc.).
Collegamento tra scuole professionali e le aziende.

64

-	 progetti di imprese che abbiano introdotto forme di flessibilità del lavoro, legate alla conciliazione dei tempi di vita e di
lavoro o azioni positive ai sensi
del D.Lgs. 198/06.
-	 presenza o partecipazione a
progetti territoriali con finalità
di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, oggetto dei contributi di cui alla L. 53/2000.
-	 progetti di imprese che aderiscono a disciplinari aventi ad
oggetto la responsabilità sociale
d’impresa, redatti da organismi
terzi all’impresa stessa, d’intesa con la commissione etica regionale, ex L.R. toscana 17/06,
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-	 progetti di imprese che redigono un bilancio sociale, asseverato alle linee guida nazionali ed
internazionali (GBS, GRI)
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  • 1. Co-operare. Proposte per uno sviluppo umano integrale a cura di Paolo Venturi e Sara Rago FONDO PROMOZIONE COOPERATIVE
  • 2. È vietata la riproduzione degli scritti apparsi sulla Rivista salvo espressa autorizzazione della Direzione di AICCON. AICCON Piazzale della Vittoria, 15 47121 Forlì Tel. 0543.62327 - Fax 0543.374676 www.aiccon.it
  • 3. INDICE introduzione 7 di Paolo Venturi e Sara Rago sessione di apertura – nuove strade per lo sviluppo: quando co-operare conviene intervento 15 Quando co-operare conviene di Enrico Giovannini 23 intervento 35 intervento 40 imprenditorialità sociale: potenzialità e promozione in rete 45 di Stefano Zamagni di Mauro Magatti di Gianni Pittella di Alberto Valentini sessione parallela 1 – market l’economia sociale al bivio - non market: quale mercato per quale economia? 55 la finanza per l’impresa sociale 65 costruire un ecosistema per la promozione delle imprese sociali 72 di Leonardo Becchetti di Sergio Gatti di Giuseppe Guerini il posizionamento strategico della cooperazione sociale per lo sviluppo locale 89 di Eleonora Vanni 3
  • 4. sessione parallela 2 – prove di nuovo welfare: società civile, filantropia e volontariato il ruolo della filantropia nella costruzione del welfare di comunità di Bernardino Casadei 97 governance delle politiche sociali e terzo settore in italia 103 ri-generare il welfare 126 le associazioni e il convenzionamento con gli enti locali: il caso dell’auser 131 di Luca Fazzi di Cristiano Gori di Francesco Montemurro sessione di chiusura – liberare il lavoro. l’occupazione di giovani e donne nell’economia sociale il contributo della cooperazione al mercato del lavoro di Carlo Borzaga occupazione: fabbisogni formativi e prospettive dell’economia sociale di Claudio Gagliardi lavoro e mutualità di Giuliano Poletti giovani e donne: prospettive occupazionali e loro ruolo nel volontariato di Linda Laura Sabbadini 159 170 184 188 la cura degli altri tra lavoro pagato e non pagato: tensioni e potenzialità 195 conclusioni 202 di Chiara Saraceno di Stefano Zamagni 4
  • 5. APPENDICE presentazione – evoluzione della domanda di credito per il terzo settore 209 indagine conoscitiva 224 di Roberto Felici, Giorgio Gobbi, Raffaella Pico a cura di AICCON Ricerca 5
  • 6.
  • 7. INTRODUZIONE a cura di Paolo Venturi1 e Sara Rago2 Il tema della XII edizione La crisi degli ultimi anni ha inasprito la situazione socioeconomica italiana mettendo in lu­ e, da un lato, l’insostec nibilità del tradizionale modello di welfare e, dall’altro, l’inappropria­ezza del paradigma economico tradizionat le nel far fronte a nuove sfide sociali ed econo­ iche, tra le m quali, ad esempio, il problema occupazionale. In Italia, il welfare state, così come delineato e conosciuto dal secondo dopoguerra ad og­ i, ha incominciato già g da diversi anni a dimostrare le proprie debolezze, poiché nato come corollario ad un sistema economico, orientato dapprima alla produzione di ricchezza e, so­o secondarial mente, alla sua ridistribuzione. In questo contesto caratterizzato da una crisi “entropica”, ossia di senso, occorre riflettere sui paradigmi all’origine del nostro modello di sviluppo economico e sociale. I soggetti dell’Economia Civile si sono progressivamente caratterizzati, anche dal punto di vista di scelte organizzative e vincoli formali, come organizzazioni impegnate prevalente­ ente nella produzione di beni e servizi in gram do di stabilire particolari relazioni di fiducia con i propri consumatori e lavoratori dando “mercato”, insieme al valore d’uso e al valore di scambio, anche al valore di legame. La forma di impresa cooperativa ne è esempio, avendo al suo interno, da un lato, la dimen­ ione economica, che s impone che il suo agire si collochi all’interno del mercato e delle sue logiche, e, dall’altro, quella sociale, in quanto ente che persegue fini meta-economici ed è in grado di generare esternalità positive a vantaggio di altri Direttore AICCON. AICCON Ricerca. 1 2 7
  • 8. soggetti e potenzialmente dell’in­ era collettività. t Ma la cooperazione non è soltanto una forma imprenditoriale. È anche un modello or­ anizzativo e di governang ce adottato da persone e istituzioni che insieme decidono di operare per il raggiungimento di un determinato fine (co-operare, concetto differente da quello di collaborare, che implica, invece, una condivisione dei mezzi, ma non dei fini). La transizione in atto verso un modello di welfare cd. civile presuppone necessariamente che questi soggetti assumano ruoli da protagonisti per la costruzione di iniziative condivi­ e che abbiano ricadute sull’intera collettività. s All’interno della riflessione sul ruolo dell’Economia Civile in tempo di crisi globale e alla luce dei processi di riforma a cui stiamo assistendo, forte è il dibattito sul tema dell’occupazio­ne. Fondamentale risulta la funzione e il ruolo specifico di modelli ispirati alla mutualità e alla democrazia come quello cooperativo, con particolare attenzione all’occupazione di giovani e donne. Le sessioni della XII edizione All’interno della sessione di apertura de “Le Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile 2012”, intitolata “Nuove strade per lo sviluppo: quando co-operare conviene”, si è sviluppato un dibattito basato sulla premessa che nella società e nell’economia post-moderna, uno dei principali fattori di sviluppo è la cooperazione, sia quella che si realizza all’interno della singola impresa, sia quella che configura l’intero sistema economico. Ad esempio, le persone desiderano entrare in cooperativa non solamente per perseguire il proprio interesse, ma anche perché sono genuinamente interessate a vivere valori come democrazia, giustizia sociale, libertà. L’impresa di successo, oggi, è un’organizzazione che fa della creazione e condivisione di conoscenza il proprio fattore di vantaggio comparato, facendo leva sulle motivazioni, estrinseche e intrinseche, di tutti i suoi collaboratori (cd. learning organization). È la compresenza armoniosa 8
  • 9. di relazioni cooperative e competitive tra gli stessi lavoratori, oltre che tra lavoratori e impresa, a rendere praticabile tale modello, alternativo a quello basato sul mero calcolo dei tempi di lavoro e sull’esecuzione di mansioni codificate in protocolli (modello cd. fordista). Anche a livello di sistema economico è oggi acquisito che l’obiettivo da perseguire è quello di giungere ad un modello di “competizione co-operativa” che valga a sostituire l’ormai obsoleto modello di “competizione posizionale”, in cui occorre sconfiggere l’altro per dare risalto a se stessi. La sfida odierna deriva, dunque, dall’esigenza di rendere pluralistico l’assetto istituzionale dell’economia di mercato, avente quale obiettivo lo sviluppo economico ed umano della comunità. Durante le sessioni parallele pomeridiane sono stati sviluppati due focus tematici legati al tema principale della XII Edizione de “Le Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile”. La sessione parallela “Market-Non Market: l’Economia Sociale al bivio”, ha preso le mosse dal fatto che è opinione largamente diffusa che i soggetti dell’Economia Sociale siano caratterizzati da una capacità di resistenza e di adattamento alla crisi (cd. resilienza) maggiore rispetto ad altri soggetti economici. Infatti, lo sviluppo delle cooperative sociali in particolare, ovvero soggetti in grado di far fronte alla dimensione economica e, al contempo, di rispondere ad esigenze di tipo sociale, ha portato alla nascita di nuove imprese e alla “riconversione” in tale forma giuridica di altre cooperative già esistenti e operanti da tempo sul mercato del welfare. In occasione della crisi economica, la cooperazione sociale ha inoltre dato prova di vivacità imprenditoriale, attraverso il tentativo di sviluppare un maggiore orientamento al mercato per sopperire alla necessità di finanziamenti. Tali dinamiche imprenditoriali sono sempre più incentivate anche dalle diverse azioni proposte a livello europeo3 Cfr. a titolo esemplificativo la Social Business Initiative (ottobre 2011). 3 9
  • 10. volte a promuovere la generazione di innovazione sociale da parte degli imprenditori sociali. Con la seconda sessione parallela, dal titolo “Prove di Nuovo Welfare: Società Civile, Filantropia e Volontariato”, si è voluto invece sviluppare un ragionamento in merito allo stato attuale dei servizi di welfare, nonché del ruolo dell’Economia Sociale nella costruzione di un nuovo welfare. Infatti, l’incapacità del tradizionale sistema di welfare nel dare risposta alla quota crescente di bisogni (vecchi e nuovi) generati dalla congiuntura negativa ha ampliato il potenziale di azione dei soggetti dell’Economia Civile, che in molti casi si sono fatti carico di responsabilità, rendendosi protagonisti. Nell’affrontare le tematiche connesse al welfare, in una logica di avanzamento del ruolo dei soggetti dell’Economia Civile, la priorità si configura come la ricombinazione delle risorse messe a disposizione da una pluralità di figure, ovvero organizzazioni della società civile, volontariato, fondazioni ed enti locali, al fine di creare nuove politiche sociali attraverso la creazione di nuove reti e di un nuovo rapporto pubblico-privato sociale il cui fine è produrre un impatto sull’intera collettività (cd. collective impact). “Le Giornate di Bertinoro per l’Economia Civile 2012” si sono concluse con la sessione “Liberare il lavoro. L’occupazione di giovani e donne nell’Economia Sociale”. La cooperazione offre occupazione a oltre 1.200.000 persone, delle quali il 52% sono donne: la forte componente di occupazione femminile è connaturata, da un lato, alla tradizione dei servizi di cura su cui la cooperazione organizza il proprio sistema di offerta; dall’altro, si lega alla particolare attenzione ai temi della conciliazione. Relativamente a quest’ultima, diverse sono le realtà aziendali che attualmente adottano buone prassi (seppure non ancora in ottica sistemica) volte a produrre una cultura sul tema che permetta alle famiglie di compiere realmente in libertà le proprie scelte lavorative e procreative. Altrettanta importanza è rivestita dai soggetti dell’Economia Sociale in termini di opportunità lavorative offerte ai giovani. Si tratta, infatti, di un problema sociale crescen10
  • 11. te, sotto diversi aspetti: la mancanza di autonomia, la rarefazione delle speranze e delle aspettative per il futuro, la tensione nei nuclei familiari, carriere lavorative che iniziano troppo tardi per assicurare domani un’adeguata rendita pensionistica. La sessione ha approfondito i temi dell’evoluzione del mercato del lavoro, in particolar modo rappresentando le specificità e le potenzialità del modello cooperativo nel perseguire percorsi di crescita capaci di mettere al centro il capitale umano presente nei territori. 11
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  • 13. SESSIONE DI APERTURA NUOVE STRADE PER LO SVILUPPO: QUANDO CO-OPERARE CONVIENE
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  • 15. INTERVENTO di Stefano Zamagni Università di Bologna Da quando è nata l’economia di mercato, ovvero dal 1400 in avanti, i due termini cooperazione e competizione si sono alternati, come due facce della stessa medaglia, a seconda delle fasi storiche. Da qualche tempo a questa parte e nel prossimo futuro, il termine cooperazione tornerà a dominare la scena intellettuale, politica e dell’azione pratica. Siamo oggi entrati in una nuova fase di trasformazione profonda dove la parola d’ordine, ma soprattutto le pratiche dell’agire economico e sociale, tenderanno a privilegiare la dimensione cooperativa. Questo è il motivo per cui oggi si parla di competizione cooperativa, in alternativa alla competizione posizionale (positional competition) che è prevalsa fino a poco tempo fa. In questo senso, la globalizzazione ha generato un effetto perverso, cioè una conseguenza non attesa, derivante dal fatto che nessuno avrebbe immaginato che la Terza rivoluzione industriale, quella delle tecnologie infotelematiche, avrebbe avuto l’effetto di spingere verso l’adozione di nuovi modelli di competizione. La globalizzazione, cioè, sta partorendo un’esigenza che negli ultimi duecento anni non si era verificata, cioè la necessità di co-operare. La spiegazione di quanto appena asserito risiede nel fatto che è necessario prendere atto di quanto ormai acquisito a livello internazionale, ovvero la nozione per cui il fattore decisivo di sviluppo è il cd. capitale istituzionale, inteso come insieme di istituzioni, in questo caso specifico di natura economica. Se si assume un approccio diacronico, diverse sono state le spiegazioni del processo di sviluppo. La prima era quella che faceva dipendere lo sviluppo dalla localizzazione geografica. Successivamente si è passati prima al cd. capitale naturale, cioè le risorse, e poi al ca15
  • 16. pitale umano, ovvero al riconoscimento dell’importanza degli investimenti specifici per l’istruzione delle persone. Oggi, il fattore chiave – che tuttavia non esclude gli altri – è il capitale istituzionale. Le istituzioni sono le regole del gioco: se queste sono applicate all’arena politica si parlerà di istituzioni politiche, se sono invece applicate al gioco economico si tratterà di istituzioni economiche. Esempi di queste ultime sono le regole del mercato del lavoro, il codice commerciale, il sistema bancario, il sistema fiscale. In un recente libro, gli studiosi americani Acemoglu e Robinson (2012)4 introducono un’efficace distinzione a livello terminologico. Essi sostengono che vi sono due categorie di istituzioni economiche: quelle estrattive e quelle inclusive. Le istituzioni economiche estrattive sono quelle che estraggono il valore aggiunto creato nel sistema e lo trasformano in rendita, la quale affluisce quasi sempre nelle mani di una élite. Queste istituzioni, pertanto, non garantiscono lo sviluppo duraturo; al massimo, possono garantire la crescita. Le istituzioni economiche inclusive sono quelle che, invece, tendono ad includere nel processo produttivo, e in generale nell’attività economica, tutti, indipendentemente dalle loro connotazioni e specificità. Oggi si è in grado di dimostrare che i problemi legati alla crisi – soprattutto in Italia – sono dovuti al fatto che, per una serie di ragioni, ci troviamo in presenza di un’abbondanza di istituzioni economiche estrattive e troppo poche inclusive. Un esempio in tal senso è la finanza, che è la forma più vistosa e preoccupante di istituzione economica estrattiva. La rendita finanziaria è oggi il vero problema, perché trasforma il valore aggiunto che deriva dal sistema in rendita, che è sempre parassitaria, come sosteneva già all’inizio dell’Ottocento David Ricardo. La necessità, dunque, è quella di bilanciare nuovamente l’assetto istituzionale. La quota di rendita nel reddito nazionale non deve superare il 15-16 percento – sosteneva Ricardo – se si vuole che un paese sia capace di futu Acemoglu, D., Robinson, J. (2012), Why Nations Fail: The Origins of Power, Prosperity, and Poverty, Crown Business, New York. 4 16
  • 17. ro. La burocrazia è un altro esempio di istituzione estrattiva, perché per definizione non crea valore aggiunto. In Italia, la rendita è circa il 33% sul Pil nazionale e, quindi, è comprensibile perché non vi sia sviluppo e la ripresa tardi ad arrivare. L’austerità peggiora la situazione: è necessario, dunque, ridurre l’area della rendita attraverso provvedimenti legislativi e amministrativi, poiché se quel 33% scendesse al 15% verrebbero liberate risorse che si trasformerebbero in profitto – e quindi investimento – e in salari – e quindi in aumento dei livelli di consumo e in miglioramenti degli standard di vita. Ebbene, per accrescere la quota delle istituzioni economiche inclusive, bisogna comprendere perché c’è bisogno della cooperazione. In generale, la teoria economica e quella sociologica hanno ormai compreso che il ruolo del Terzo settore non può più essere quello di rimedio ai fallimenti dello Stato e del mercato. Oggi, si è in grado di poter dimostrare che la grande novità di questa epoca è che il Terzo settore diventa necessario – ovvero indispensabile – se si vuole transitare da un assetto istituzionale di tipo estrattivo, nemico di uno sviluppo umano integrale, ad un assetto istituzionale di tipo inclusivo. In Italia – ma non solo – questo messaggio non è ancora chiaro alla totalità del Terzo settore. Sono ancora troppe le cooperative sociali, le associazioni di promozione sociale, le fondazioni che si concepiscono come “rimedio”. Come la teoria psicologica dell’attribuzione insegna, quando un soggetto ripete a se stesso di essere in un determinato modo, esso si convince di esserlo veramente. Tre sono le principali novità che connotano la nostra epoca. La prima è quella dell’aumento endemico e sistemico delle diseguaglianze. In un recente saggio Branko Milanovic´ (2012)5, grande esperto di statistiche sulle diseguaglianze, mostra l’andamento delle diseguaglianze nei diversi paesi e all’interno di uno stesso paese dal 1800 ad oggi. Negli ultimi quarant’anni il tasso di crescita delle di Milanovic B. (2012), Chi ha e chi non ha, Collana “Saggi”, ´, Il Mulino, Bologna. 5 17
  • 18. seguaglianze è aumentato molto di più rispetto al tasso di aumento della ricchezza. Ciò è un paradosso, perché anche in passato esistevano le diseguaglianze, ma esse – come mostrato dalla curva di Kuznets – tendevano a diminuire con l’aumento del reddito pro-capite. Oggi è vero il contrario. È noto che ciò è avvenuto perché si è affermata la tesi dell’elitarismo, tesi che sostiene la necessità di far convergere le risorse – di vario tipo – ai più dotati perché, in tal modo, essi produrranno di più e tutti successivamente potranno spartirne i frutti. Ma un processo di questa natura non fa altro che aumentare ancora di più le diseguaglianze. L’altra causa della crescita delle diseguaglianze è da ricercare nella nota tesi secondo cui agendo in modo auto-interessato si beneficiano gli altri. Adam Smith ha specificato le condizioni di questo agire e cioè che la Mano Invisibile funziona solamente in un mercato civile, dove “civile” denota che devono darsi determinate condizioni, ad esempio, assenza di oligopoli cioè i gruppi di potere ed informazione simmetrica. Parlare di Mano Invisibile sapendo che si è in presenza di un mercato “incivile”, che non consente l’accesso a tutti né garantisce parità di condizioni, vuol dire assecondare e avvalorare l’aumento delle diseguaglianze. La seconda ragione è la transizione da welfare state a welfare society. Il primo luogo in cui si è cominciato a parlare di welfare sono stati gli Stati Uniti e non l’Inghilterra. Il 1919 è l’anno in cui Rockefeller, Ford e Carnegie, insieme ad altri grandi imprenditori americani, firmarono il famoso patto che ha dato vita al welfare capitalism, cioè il capitalismo del benessere, che si basa sull’idea che sono le imprese che devono farsi carico del benessere dei propri dipendenti e delle loro famiglie, in nome del “principio di restituzione”. Il problema risiede nel fatto che il welfare capitalism non può essere di tipo universalistico. Questo è il motivo per cui vent’anni dopo Keynes darà vita al welfare state, affidando allo Stato il compito di garantire il benessere dei cittadini. Oggi il welfare state non è più proponibile: pur rimanendo valida l’idea dell’universalismo, infatti, oggi si parla di welfare society, alla cui im18
  • 19. plementazione i soggetti di Terzo settore diventano fondamentali. Condizione per l’efficacia del welfare state è avere una buona burocrazia, politici non corrotti, risorse pubbliche sufficienti; per costruire la welfare society, invece, non è possibile non includere le organizzazioni della società civile. C’è infine una terza novità che ci aiuta a comprendere la transizione in atto ed è quella che oggi va sotto il nome di corporate social entrepreneurship, cioè l’imprenditorialità sociale delle imprese capitalistiche. Questo è l’ultimo anello di una catena originata negli anni Cinquanta in America con l’idea della corporate social responsibility e che oggi è diventata obsoleta. La nuova frontiera è quella della corporate social entrepreneurship: l’idea di base è che le imprese stesse di tipo capitalistico stiano cercando di internalizzare ciò che prima avevano esternalizzato. Fino a tempi recenti, infatti, l’impresa capitalistica che voleva “fare del bene” si limitava a dare del lavoro alla cooperazione sociale; adesso, invece, l’impresa capitalistica fa da sola quello che prima esternalizzava. Si sta dunque verificando un fenomeno di crowding out, cioè un effetto di spiazzamento: l’impresa capitalistica, che ha compreso la lezione della responsabilità sociale dell’impresa, torna sui suoi passi e decide di fare da sola quello che prima faceva fare al mondo del volontariato e della cooperazione sociale, anche se in maniera meno efficiente. Questo significa che ormai è stata superata la fase del primo capitalismo e si va verso quello che oggi è noto come shared capitalism, ovvero il capitalismo condiviso, termine introdotto da un gruppo di studiosi americani (tra cui Freeman e Kruse); in realtà, si tratta di un ritorno del concetto per la prima volta dopo secoli. L’aggettivo “condiviso” rinvia a diverse categorie di soggetti, tra cui i dipendenti, i fornitori, i clienti e il territorio. Oggi si vanno diffondendo sempre più queste pratiche e si capisce, di conseguenza, perché il termine co-operazione sia tornato alla ribalta: se si vuole interrompere il processo di aumento delle diseguaglianze, se si vuole realizzare la welfare society e se si vuole comprendere la linea di tendenza dello shared capitalism, è ne19
  • 20. cessario affermare il significato profondo della nozione di cooperazione. Al contempo, è però necessario fare attenzione a non confondere il concetto di cooperazione con quello di collaborazione, dove con quest’ultimo si intende “lavorare insieme”, mentre co-operare significa “operare insieme”. La differenza tra opera e lavoro è stata introdotta da Aristotele: collaborare vuol dire mettere insieme i mezzi ma non condividere i fini. In questo caso ognuno dei collaboratori mantiene il proprio fine, pur condividendo i mezzi. Nella cooperazione, invece, si mettono insieme i mezzi e si condividono i fini. Ecco perché la cooperazione è un concetto molto più ampio rispetto alla collaborazione. Anche le imprese capitalistiche collaborano, fra di loro e al proprio interno; tuttavia ognuna mantiene un fine che è diverso da quello degli altri, anche se non necessariamente conflittuale. Nella cooperazione, invece, i cooperatori devono poter condividere il fine del loro operare insieme. Tutto questo significa che si sta aprendo una nuova stagione per il Terzo settore, stagione di cui già si vedono i primi segni. Il decreto legislativo n. 141/2010 aveva affidato al Ministro dell’Economia il compito di emanare un decreto attuativo che è in corso di realizzazione. Quest’ultimo consentirà ai soggetti del mondo non profit l’erogazione del credito, ovvero del microcredito. L’art. 111 del Testo Unico Bancario sostiene che affinché un soggetto possa essere autorizzato a realizzare il microcredito è necessaria la presenza di una funzione di tutoraggio di prenditori di fondi e, in secondo luogo, che ci sia una pluralizzazione dei soggetti capaci di erogare. Ciò implica che il microcredito non è una mera attività bancaria solo più piccola di quella commerciale, bensì che nel microcredito occorre prevedere una forma di assistenza e di monitoraggio continuo. Queste forme di tutoraggio spetteranno ai soggetti del Terzo settore; inoltre, tale decreto attuativo consentirà alle cooperative sociali, alle fondazioni e alle associazioni di promozione sociale di erogare credito. In questa modalità alle microimprese fino a 25 mila euro e ai soggetti individuali e alle famiglie fino a 10 mila euro. 20
  • 21. Ciò significa che si potrà avviare la creazione di un mercato finanziario sociale, rispetto al quale soggetti come Banca Popolare Etica e, per certi aspetti, Banca Prossima potranno giocare un ruolo di rilievo. Un altro esempio che va in questa direzione è quello dell’Inghilterra, dove esistono da tempo le Community Interest Company (CIC), mentre negli Stati Uniti d’America sono state istituite le Low Profit Limited Liability Company (L3C). Sta dunque emergendo sempre più la figura della low profit firm, cioè un’impresa che ha come suo obiettivo quello di porre un tetto alla produzione e all’erogazione di profitto e che vincola il capitale sottoscritto alla realizzazione di obiettivi di natura sociale. Se dovesse accadere che il mondo capitalistico andasse avanti nella direzione del modello dello shared capitalism, rendendo vano il compito del non profit, sarebbe qualcosa di molto grave. Sappiamo che un piccolo numero di imprese capitalistiche si stanno già muovendo su questa strada, creando un effetto di spiazzamento nei confronti del mondo del Terzo settore. È necessario pertanto riaprire il dibattito su questi temi, perché la nuova stagione che si è aperta va nella direzione di esaltare la cooperazione. Questo è il motivo per cui in una parte del mondo accademico si sta pensando di dare vita ad una scuola di economia civile (SEC) ovvero ad un luogo di livello nazionale dove si possa produrre “pensiero pensante”, quello che è capace di indicare la direzione dell’incedere. L’intento principale che la SEC vuole perseguire è quello di ripensare in chiave generativa il ruolo dell’imprenditore nel nuovo contesto economico che si è venuto a configurare al seguito dei fenomeni della globalizzazione e della Terza rivoluzione industriale. È ormai acquisito che l’azione economica, oggi, non può essere riduttivamente concepita nei termini di tutto ciò che vale ad aumentare il prodotto sperando che ciò possa bastare ad assicurare la convenienza sociale; piuttosto, essa deve mirare alla vita in comune. Come Aristotele aveva ben compreso, la vita in comune è cosa ben diversa dalla mera comunanza, la quale ri21
  • 22. guarda anche gli animali al pascolo. In questo, infatti, ciascun animale mangia per proprio conto e cerca, se gli riesce, di sottrarre cibo gli altri. Nella società degli umani, invece, il bene di ciascuno può essere raggiunto solo con l’opera di tutti. E soprattutto, il bene di ciascuno non può essere fruito se non lo è anche dagli altri. Oggi sappiamo che per assicurare la sostenibilità di una vitale economia di mercato c’è bisogno di una continua immissione di valori dall’esterno del mercato stesso, proprio come suggerisce – su un altro fronte – il paradosso di Bockenforde secondo cui lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che esso medesimo non può garantire. Il cuore del paradosso sta nel fatto che lo Stato liberale può esistere solo se la libertà che esso promette ai suoi cittadini viene regolata dalla costituzione morale dei singoli e da strutture sociali ispirate al bene comune. Se, invece, lo Stato liberale tenta di imporre quella regolazione, esso rinuncia al proprio essere liberale, finendo con ricadere in quella stessa istanza di totalismo da cui afferma di emanciparsi. Mutatis mutandis, lo stesso discorso vale per il mercato. L’economia di mercato postula bensì l’eguaglianza tra coloro che vi prendono parte, ma genera ex-post diseguaglianza di risultati. E quando l’eguaglianza nell’essere diverge troppo e troppo a lungo dall’eguaglianza nell’avere, è la ragion stessa del mercato ad essere messa in dubbio. Ebbene, operare affinché l’economia di mercato torni ad essere civile – come lo fu, ma per troppo breve tempo, ai suoi albori – è la grande sfida di civiltà che l’impresa di oggi deve saper accogliere dotandosi di una dose massiccia di coraggio e di intelligenza. Soleva dire Sant’Ambrogio ai suoi diocesani che si lamentavano delle conseguenze della caduta dell’impero romano: “Felice il crollo se la ricostruzione farà più bello l’edificio”. Felice allora questa crisi, pesante e pericolosa come poche, se al termine il “nostro edificio” – cioè la nostra civitas – diventerà oltre che più grande anche più bello. Allora si potrà dire che la crisi non è passata invano. 22
  • 23. quando co-operare conviene di Enrico Giovannini Presidente Istat Recentemente è stato costituito, su volontà del Primo Ministro del Bhutan, un gruppo internazionale (composto da circa 40 persone tra economisti, ecologisti, psicologi) per il ridisegno del modello di sviluppo economico. Da una prima tornata di discussioni è emersa una grande preoccupazione complessiva sul fronte ecologico, a causa dei cambiamenti climatici. Nel Forum mondiale dell’Ocse, tenutosi ad ottobre 2012, sulla misurazione del benessere, Geoffrey Sachs ha svolto una relazione su questo tema con una slide veramente impressionante sugli eventi climatici eccezionali che stanno avvenendo già adesso in tutto il mondo. Inoltre, è emerso come la necessità di cambiare il modello di funzionamento dell’economia e della società richieda uno sforzo molto ampio e complesso che si viene oggi a scontrare con un problema fondamentale, ovvero il ruolo del cosiddetto “Stato etico”. Lo Stato del Bhutan ha posizionato il tema della felicità al centro della propria funzione-obiettivo, proprio in una fase in cui la maggior parte dei giovani bhutanesi che vivono nei villaggi si stanno spostando nella capitale, con conseguenti problemi di sovraffollamento, e mentre la televisione sta iniziando a cambiare i modelli di consumo e le preferenze degli individui che vivono in quel paese. Infine, è importante ricordare come tra le motivazioni della crisi attuale vi sia il desiderio smodato di consumi a valere sul debito: negli Stati Uniti, ad esempio nel corso degli anni Novanta e Duemila, si è verificata una straordinaria redistribuzione del reddito a favore dei ricchi, accompagnata da una politica di credito a buon mercato per la classe media, i cui modelli di consumo sono alimentati da un marketing ossessivo che tende a rendere endogene le preferenze (con23
  • 24. trariamente a quanto ipotizza la teoria economica). Alla luce di questa premessa, la prima battaglia da condurre per portare le società occidentali (e non solo) su un percorso di sviluppo diverso è di tipo culturale. Bill Clinton ha recentemente raccontato come la Fondazione da lui presieduta sia riuscita a convincere tutti i produttori di bevande gassate a togliere tali prodotti dai distributori automatici delle scuole. La Fondazione Clinton è riuscita in questa operazione attraverso la costruzione di un business case che ha dimostrato come un ragazzo che inizia a bere a 6 anni la bevanda gassata, a 20 molto probabilmente avrà sviluppato il diabete o sarà obeso: di conseguenza, sarà costretto ad interromperne il consumo per il resto della vita. Per le aziende produttrici, quindi, è molto più conveniente aspettare che la persona abbia compiuto 15 anni per promuoverne il consumo, perché così gli individui consumeranno il prodotto da quel momento fino alla fine della loro vita. Questo esempio dimostra come, allungando l’orizzonte temporale, le politiche delle imprese diventano più coerenti con l’obiettivo di un benessere di lungo termine. Comprendere le modalità attraverso cui sia possibile allungare l’orizzonte temporale appare, quindi, necessario per prendere in modo migliore le nostre decisioni, come individui e come collettività. Questa sfida, naturalmente, si confronta con la tendenza a massimizzare i profitti di brevissimo periodo, alimentata da un sistema finanziario che consente, attraverso il trading, di ottenere in pochi attimi profitti immensi. Il paradigma della massimizzazione dei profitti nel breve termine è molto distante dall’idea di una cooperazione, anche intergenerazionale, poiché si rifà piuttosto all’idea di “competizione” nel senso peggiore del termine, ovvero quella in cui il riferimento è soltanto l’individuo. Per questo il capovolgimento culturale necessario cui ci si trova di fronte oggi richiede una rifondazione di teorie in grado di rimettere al centro i beni relazionali, e all’interno delle quali il tema della politica per sviluppare il benessere degli individui e delle società diventa altissimo, anche se assai complicato. 24
  • 25. Purtroppo, questa tendenza a concentrarsi sul breve termine ha effetti anche sulle statistiche che produciamo e, quindi, sull’immagine che diamo della nostra società. Ad esempio, l’Europa chiede dati economici sempre più tempestivi ed in grado di evidenziare i cambiamenti di breve periodo. Ma poiché politiche volte a cambiare gli attuali modelli di comportamento (si pensi alle cosiddette “riforme strutturali”) tendono a produrre un “effetto j” – ovvero inizialmente producono effetti negativi e solo successivamente, nel lungo termine, positivi – le statistiche disponibili contribuiscono a rendere immediatamente evidente l’effetto negativo, concorrendo a rendere estremamente costose in termini sociali ed elettorali tali scelte. La domanda “Quando co-operare conviene” si rivolge, quindi, anche agli statistici e agli analisti, perché sviluppino indicatori attraverso cui rendere visibile il vantaggio di un modello cooperativo. In un recente libro6, Richard Sennet fa presente ciò che la teoria dei giochi ha da tempo dimostrato, ovvero che la scelta cooperativa sia, per il valore dei risultati che comporta, una strategia maggiormente vincente rispetto a quella che opta per comportamenti competitivi. In particolare, Sennet osserva come in alcune grandi imprese della New Economy, dove il prodotto e i processi devono essere costantemente innovati, l’organizzazione del lavoro basata sulla competizione tra diversi team di lavoro – che vengono composti e ricomposti periodicamente – produca effetti positivi di breve termine sulla creatività, ma effetti negativi di lungo periodo: i partecipanti ad un team, infatti, sanno che i propri “compagni” un giorno diventeranno “avversari” e, quindi, tendono a tenere per sé le migliori idee, al fine di non avvantaggiare i colleghi. Le relazioni sociali, intese come rapporti affettivi duraturi, sono estremamente importanti anche per il benessere delle persone. Infatti, Sennet nota come il lavoro a breve termine determini «relazioni sociali superficiali; e quando Sennett, R. (2012), Insieme. Rituali, piaceri, politiche della collaborazione, Feltrinelli, Milano. 6 25
  • 26. le persone non rimangono a lungo in una organizzazione, la loro conoscenza di questa, così come la stessa identificazione con essa si indeboliscono. Messe insieme, le relazioni superficiali e i deboli legami istituzionali rinforzano l’effetto “silos”: la gente si fa gli affari propri, non si lascia coinvolgere in problemi che non la riguardano direttamente, in particolare non entra in relazione con quanti, nell’istituzione, svolgono compiti di altro genere». Questo fenomeno è alla base anche del concetto di capitale sociale. Il capitale sociale, inteso come relazioni interpersonali, norme sociali e fiducia, conta per l’attività economica sia come fattore di produzione (input produttivo e/o produttività totale dei fattori) sia come determinante dei costi di transazione (Baker, 1990). Le relazioni sociali, attraverso la condivisione di informazioni e il coordinamento, risolvono i problemi dovuti all’asimmetria informativa e ai comportamenti opportunistici e contribuiscono ad attenuare i fallimenti del mercato dovuti alla mancanza o inaccuratezza delle informazioni. Tuttavia, come alcuni autori hanno sottolineato, il modo con cui funzionano l’economia e le città in cui viviamo (più del 50% della popolazione mondiale vive in siti urbani) tende a distruggere le relazioni sociali, perché il tempo dedicato al commuting è tempo il più delle volte giudicato come “perso”. La fiducia e la collaborazione tra le persone può essere eventualmente misurata da due punti di vista: –– le reti sociali; –– il capitale sociale. Nell’iniziativa Istat-Cnel sulla misurazione del “Benessere equo e sostenibile – BES”, sono state ascoltate le opinioni dei cittadini in merito all’associazionismo, alla politica e, in generale, a ciò che conta per il benessere delle persone. Il progetto – che mira a valutare il progresso della società italiana – ha individuato 12 dimensioni del benessere, declinate in 134 indicatori, illustrandole in un rapporto in corso di pubblicazione: 1) ambiente; 2) salute; 3) benessere economico; 4) istruzione e formazione; 5) lavoro e con26
  • 27. ciliazione tempi di vita; 6) relazioni sociali; 7) sicurezza; 8) benessere soggettivo; 9) paesaggio e patrimonio culturale; 10) ricerca e innovazione; 11) qualità dei servizi; 12) politica e istituzioni. Questi ultimi quattro elementi rappresentano le precondizioni per riuscire a realizzare le precedenti otto dimensioni. Per ciò che riguarda le “relazioni sociali” si è scelto di procedere con la misurazione dei seguenti ambiti: a) società civile7; b) economia sociale8; c) famiglia e relazioni sociali9. Vediamo allora l’evoluzione di alcuni degli indicatori selezionati. In poco più di venticinque anni, le persone coinvolte nelle reti di solidarietà sono aumentate in misura significativa: la quota di individui che forniscono almeno un aiuto (caregiver) passa, infatti, dal 20,8% del 1983 al 26,8% del 2009. Nello stesso periodo, nonostante il considerevole incremento di popolazione anziana e molto anziana, si riducono di molto (dal 23,3% del 1983 al 16,9% del 2009) le famiglie che beneficiano del supporto delle reti di aiuto informale (Figura 1). Più caregiver, dunque, raggiungono meno famiglie. I cui indicatori sono “indice sintetico di partecipazione sociale” e “fiducia generalizzata nella gran parte delle persone”. 8 Che contiene i seguenti indicatori: “organizzazioni non profit ogni 10.000 abitanti”; “cooperative sociali ogni 10.000 abitanti”; “attività di volontariato”; “aiuti gratuiti dati”; “finanziamento delle associazioni”. 9 Declinato in 4 indicatori, ovvero “soddisfazione per le relazioni familiari”, “soddisfazione per le relazioni amicali”, “persone su cui contare”, “attività ludiche dei bambini da tre a dieci anni svolte con i genitori”. 7 27
  • 28. Fig. 1 – Famiglie che ricevono aiuti informali per tipologia (valori percentuali per 100 famiglie con le stesse caratteristiche) Cambiano anche le direttrici dei flussi di aiuto: nel 1983 ai primi posti della graduatoria delle famiglie più aiutate dalla rete informale si collocavano le famiglie con individui ultraottantenni (35,5%), mentre le famiglie con un bambino con meno di 14 anni e madre occupata si trovavano solamente al quinto posto. Nel 2009, al contrario, è proprio quest’ultimo tipo di famiglia a guadagnare la prima posizione (37,5%), mentre le famiglie con almeno un anziano di 80 anni e più scendono al terzo posto della graduatoria (26,3%). Le donne, sempre più sovraccariche per il numero di ore di lavoro familiare all’interno del proprio nucleo, condividono di più l’aiuto con altre persone e diminuiscono il tempo mediamente dedicato agli aiuti (da 37,3 nel 1998 a 31,1 ore al mese nel 2009). Diminuisce anche il tempo che gli uomini dedicano agli aiuti (da 26,4 a 21,5 ore al mese). Infine, la costruzione di capitale sociale dipende fortemente dai livelli di istruzione e dal reddito e non dalle differenze di genere (Figura 2). I giovani, i meno istruiti e i più poveri hanno meno fiducia negli altri (Figura 3). Il problema è di grande portata, poiché i giovani sono il futuro, ma i meno istruiti in Italia sono numerosi (il tasso di abbandono scolastico dei giovani stranieri che vivono in Italia è pari a quasi il 45%) e i poveri sono in crescita. 28
  • 29. 95 90 85 80 75 70 65 Uomini Donne 15-24 25-34 35-54 55-64 Genere 65+ Età Media Dipl. Laurea 1 2 Istruzione 3 4 5 Reddito Fig. 2 – Percentuale di persone che hanno qualcuno su cui contare in caso di necessità (2008) 40 35 30 25 20 15 10 Uomini Donne 15-24 25-34 35-54 55-64 Genere Età 65+ Media Dipl. Laurea Istruzione 1 2 3 4 5 Reddito Fig. 3 – Percentuale di persone che sostengono che ci si possa fidare della maggior parte delle persone (2008) Tra il 2007 e il 2010 (Figura 4) è cresciuta la quota di persone che hanno svolto attività di volontariato o che hanno partecipato ad attività di associazionismo culturale e ricreativo (+8,7% e +5,5%). Si è ridotta la partecipazione attiva alle altre associazioni (-5,3%), ma più persone hanno donato soldi (+5,4%). Già a partire dal 2004, è andata riducendosi la quota di persone che frequentano amici almeno una volta a settimana (Figura 5). 29
  • 30. riunioni in associazioni ecologiche, per i diritti civili, per la pace riunioni in associazioni culturali, ricreative o di altro tipo attività gratuita per associazioni di volontariato attività gratuita per associazioni non di volontariato attività gratuita per un sindacato soldi versati ad una associazione 20 18 16 14 12 10 8 6 4 2 0 2000 2001 2002 2003 2005 2006 2007 2008 2009 2010 Fig. 4 – Percentuale di persone di 14 anni e più che ha svolto alcune attività sociali nei 12 mesi precedenti l’intervista 30
  • 31. Fig. 5 – Persone di 6 anni e più che incontrano amici almeno 1 volta la settimana (%) In effetti, misurare la fiducia e la collaborazione richiede indicatori più dettagliati di quelli fin qui illustrati. Per questo l’Istat ha avviato anche un’iniziativa sulla Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) che coinvolge tutte le imprese italiane quotate, in partnership con il network italiano dei manager che si occupano di questo tema (CSR Manager Network Italia), che promuove l’introduzione di figure professionali dedicate alla RSI nelle imprese e nelle istituzioni. La RSI rappresenta un’opportunità per rafforzare le relazioni tra le aziende, gli stakeholder e la comunità, generando benefici che ricadono su tutta l’attività delle aziende: permettendo di massimizzare gli utili di lungo periodo, essa rappresenta anche un vantaggio per le aziende in termini di competitività, crescita e stabilità. Le relazioni sociali sono, infatti, necessarie per generare crescita economica e fiducia e affidabilità nei comportamenti economici e sono insite nel concetto di capitale sociale. L’affidabilità reciproca fa sì che si realizzino quei processi 31
  • 32. cooperativi capaci di favorire la crescita economica e l’assenza di opportunismo facilita la realizzazione di processi cooperativi che possono produrre risultati vantaggiosi per tutti (Degli Antoni, 2006)10. La RSI può favorire lo sviluppo socio-economico di un territorio, aumentandone il livello di fiducia e l’ampiezza delle reti sociali: le imprese si servono dei beni pubblici (come i capitali immateriali) che avvantaggiano l’impresa, i suoi stakeholder e, indirettamente, gli stessi concorrenti dell’impresa (Aoki, 2001)11. Nello specifico, la collaborazione tra Istat e CSR si propone di confrontare i concetti utilizzati per il calcolo degli indicatori di RSI e quelli posti alla base degli indicatori statistici normalmente elaborati in questo campo. Oggi sempre più imprese redigono il bilancio sociale, ma non ci sono ancora indicatori che possano mettere a confronto tali dati. Il lavoro che Istat sta portando avanti con CSR Manager Network Italia si propone anche di standardizzare le definizioni/classificazioni sviluppate dalla Global Reporting Initiative (GRI) con quelle della statistica ufficiale, in modo da potere fornire alle imprese indicatori di benchmark. Questa collaborazione consentirà al CSR Manager Network di attivare un sistema di raccolta delle informazioni su base regolare e di ripetere le elaborazioni negli anni, permettendo di identificare i trend più significativi. Attualmente è in corso il nuovo Censimento dell’Industria e dei Servizi, che è particolarmente rilevante in quanto punta a rilevare anche alcuni elementi relazionali presenti sia nelle imprese che nelle istituzioni non profit. In particolare, per ciò che riguarda le imprese, si andranno a rilevare: a. le relazioni, cioè quanto le imprese lavorino su commessa, subfornitura, in consorzio, contratto di rete, 10 Degli Antoni, G. (2006), “Capitale sociale e crescita economica: una verifica empirica a livello regionale e provinciale”, Rivista Italiana degli Economisti, 3, pp.363-393. 11 Aoki, M. (2001), Toward a Comparative Institutional Analysis, Cambridge, Mass. MIT Press. 32
  • 33. attraverso altri accordi formali (joint venture, ATI, ecc.), franchising, accordo informale; b. i soggetti con cui esse intrattengono i rapporti e il loro numero; c. le funzioni per le quali l’impresa intrattiene rapporti con altri soggetti; d. la localizzazione dei soggetti con cui collabora; e. il grado di potere decisionale dell’impresa nella gestione strategica degli accordi di collaborazione; f. l’impatto sulla competitività dell’impresa. Per ciò che concerne le motivazioni e gli ostacoli, interessante è il tentativo di misurare anche i timori e le aspettative a fronte della quali le persone decidono di co-operare o meno. Si va, dunque, al di là dei fenomeni classici e si cerca, attraverso i quesiti posti nell’indagine censuaria, di catturare le motivazioni che spingono le imprese a co-operare. Analogamente, per il non profit il Censimento è estremamente importante per misurare la consistenza del settore, anche in confronto con i dati del 1999-2001, e per rispondere ad esigenze informative nazionali e internazionali, attraverso la creazione di un conto satellite del settore non profit, nonché con la messa a regime di un registro statistico. Il Censimento andrà dunque a rilevare l’assetto istituzionale, la struttura organizzativa, le caratteristiche e la localizzazione delle unità istituzionali non profit e delle loro unità locali. Sul tema della reti, il Censimento contiene alcune domande che riguardano l’adesione ad associazioni nazionali ed internazionali di secondo livello, patti o intese con istituzioni, con imprese pubbliche e altri soggetti. Grazie ai dati raccolti sarà possibile capire meglio le relazioni tra imprese e istituzioni, all’interno del non profit e non solo. Infine, si sta cercando di esplorare nuove opportunità sul tema del Collaborative Working Environment (CWE), cioè forme di collaborazione tra imprese molto meno strutturate rispetto al passato, soprattutto grazie alla tecnologia. Il CWE fornisce le competenze per condividere le infor33
  • 34. mazioni, scambiarsi le idee e per realizzare un’effettiva ed efficiente collaborazione tra diversi tipi di expertise in un’organizzazione: web-based conferencing and collaboration, desktop videoconferencing, instant messaging. Si ritiene che il CWE sia in grado di accrescere la produttività e la creatività attraverso la nuove forme di lavoro nella produzione e in knowledge intensive businesses (Commissione europea, New Collaborative Working Environments 2020). L’Istat con il progetto europeo “Blue-Ets” si pone l’obiettivo di affrontare il problema dello sviluppo di migliori indicatori statistici sulla «Business collaboration and Collaborative Working Environments (CWE)», per migliorare la disponibilità di dati sull’impegno delle imprese e dei lavoratori nella collaborazione e sulle competenze necessarie per questo processo. Per questo all’interno del Censimento sulle imprese ci sono delle domande sulle trasversalità e sulla condivisione, sull’informazione, sullo scambio di esperienze. Tutto ciò fornirà molte informazioni per capire meglio se l’Italia abbia sufficienti strumenti a disposizione per affrontare le sfide economiche e imprenditoriali che l’attendono. Le informazioni rilevate saranno ancora più utili nel momento in cui l’utenza – in senso lato – si sarà appropriata di questa conoscenza e l’abbia fatta diventare intelligenza collettiva. Per questo la speranza è che vi sia una collaborazione tra l’Istat e il mondo del Terzo settore, affinché, anche dopo la rilevazione, l’informazione diventi conoscenza condivisa utile per cambiare la cultura nella direzione voluta. 34
  • 35. INTERVENTO*12 di Mauro Magatti Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano La crisi attuale, che ha avuto inizio cinque anni fa, è una crisi di tipo strutturale. Naturalmente, come in tutte le crisi, c’è una componente che si distrugge, che richiede la gestione di una serie di problemi che si vengono a generare, ma c’è anche un’altra componente che si viene a creare. La questione da affrontare non risiede nel dare nuovamente vita al sistema come conosciuto ex ante la crisi, perché non può oramai più funzionare, dato che sono venute meno le condizioni storiche che ne stavano alla base. Dall’evento storico che ha dato inizio alla stagione che si è conclusa con il 2008, ovvero la caduta del muro di Berlino (1989), sono passati vent’anni. Un periodo di tempo storicamente ben determinato, a conclusione del quale c’è stato un avanzamento che ha visto protagonista un unico soggetto politico-istituzionale a livello internazionale ed una fase di espansione, che ha generato l’idea che potesse essere senza limiti. Il tema culturale di fondo ricomprende l’espansione della finanza, quella della geografia, quella della mobilità, nonché quella della soggettività. In quei vent’anni, per delle ragioni storiche precise, l’idea di espansione illimitata ha trovato terreno fertile. La crisi attuale, invece, evidenzia come sostanzialmente non potrà essere applicato d’ora in avanti lo stesso modello di crescita illimitata di tipo individualistico, poiché oggi diverse sono le realtà con cui è necessario confrontarsi: la questione climatica, quella sociale e della disuguaglianza, quella della demografia e dell’invecchiamento, nonché quella di un’insostenibilità di una finanza la cui espansione non ha più un fondamento. Testo non rivisto dall’Autore. 12 * 35
  • 36. Finora si è vissuta una stagione in cui le democrazie avanzate, l’Occidente – l’Europa e gli Stati Uniti –, hanno conosciuto una crescita ed un benessere diffuso, una democrazia relativamente forte, il pluralismo culturale. Anche sul piano dei comportamenti si è giunti ad una condizione di libertà. In passato, immaginando l’idea di libertà, questa veniva associata alla presenza concomitante di un ragionevole benessere, una ragionevole democrazia ed un ragionevole pluralismo culturale. Una volta raggiunta tale condizione, a partire dagli anni ’70 e ’80, le democrazie avanzate hanno vissuto una stagione “adolescenziale”, poiché è tipico dell’adolescente pensare in maniera individualista, considerando gli altri un limite alla propria libertà. Non si può incolpare solo la finanza per ciò che è successo; la finanza è stata l’archetipo, il luogo in cui un processo culturale si è incarnato in maniera idealtipica. L’egemonia di questa matrice culturale è arrivata addirittura a santificare la flessibilità lavorativa come luogo della libertà. Tale contesto culturale, che ha portato alla crisi attuale, è oggi terminato ed ha lasciato posto ad un contesto multipolare. Le democrazie avanzate sono entrate ora in una stagione molto ardua, difficile, problematica e tesa, ma la cui via di uscita può essere solamente e ragionevolmente un mondo migliore. Non è possibile, infatti, pensare di risanare il modello del passato, con tutti gli esiti negativi che questo ha prodotto. Certamente è necessario un cambiamento di tipo culturale non approssimativo, alla base del quale si trova la presa di consapevolezza di ciò che la crisi ci insegna, ovvero che la libertà individualistica puramente basata sulla tecnica è parziale, non regge e produce una serie di conseguenze negative. Guardando al mondo della cooperazione, del Terzo settore e dell’Economia Civile, la stagione in corso è una fase di straordinaria opportunità, se si sarà in grado di cogliere fino in fondo la natura di questa crisi. Mentre nel ventennio precedente, infatti, questi soggetti sembravano andare controcorrente, volgendo lo sguardo al futuro tutto il patrimonio economico ed imprenditoriale – laddove 36
  • 37. sarà capace di uscire dalla “riserva” e di diventare invece pensiero diffuso – potrà avere un ruolo economicamente più rilevante, quindi anche su un piano non solo culturale ed istituzionale, nonché a livello macro. L’obiettivo da perseguire è quello di tradurre in maniera nuova una serie di elementi che la nostra tradizione ci lascia relativamente all’aspetto relazionale, cooperativo, istituzionale, ovvero relativo allo stare insieme, affinché possa essere definitivamente superata l’idea del puro individualismo e del totale “senza limiti”. Piuttosto che di “decrescita”, bisogna parlare di un nuovo modello di sviluppo, perché il tema della crescita e dello sviluppo è connaturato alla capacità umana di andare oltre la situazione in cui ci si trova in un determinato momento. La capacità dell’uomo di auto-trascendenza è l’origine della crescita e dello sviluppo. Il problema non risiede tanto nel desiderio dell’uomo, bensì nel modo in cui il sistema capitalistico soddisfa quel desiderio attraverso un sistema di preferenze endogene: è il sistema culturale che genera il meccanismo delle preferenze dell’uomo. È necessario, dunque, riuscire ad orientare il sistema di preferenze affinché l’uomo possa perseguire nella propria vita obiettivi di senso di tipo relazionale intesi come principale dimensione della sua condizione di libertà. Pertanto, è necessario creare le condizioni affinché vi sia più capacità di ospitare nella società obiettivi di senso e di significato che le persone, in una pluralità culturale come quella in cui viviamo, possono esprimere e che incidono sull’idea di libertà. L’esistenza degli altri e di vincoli non sono un limite alla libertà dell’uomo: bisogna dare un senso al nostro agire, capire che il valore non è retorica ma è una scelta di vita. Il tema della crisi evidenzia la necessità di non regredire sulla strada della libertà – anche rispetto alle istituzioni, all’economico, al vivere sociale – bensì di progredire in maniera più consapevole del nostro essere liberi. È necessario costruire un progetto civile e democratico “di senso”, un progetto che stia dentro ad una storia ed accolga una pluralità, senza riconcentrare verticisticamente la direzione di marcia. 37
  • 38. In tutto questo, il tema della cooperazione porta con sé diversi elementi di interesse. Primo, la capacità di co-operare è un’arte di cui si ha un enorme bisogno. È necessario dar vita a forme di libertà in cui si mantiene e si valorizza lo stare insieme all’altro. Si tratta in tal senso di un problema evolutivo: avere luoghi in cui si esercita concretamente il co-operare è assolutamente importante e strategico. Quelli degli ultimi vent’anni sono modelli in cui la cooperazione non veniva contemplata, lasciando posto ad altri sistemi di organizzazione. Per non diventare masse di individui, invece, bisogna costruire contesti in cui le persone imparino a co-operare e capiscano che la democrazia ha un passo: non quello del proprio delirio di onnipotenza, bensì il passo “dell’altro”. Secondo, sul piano istituzionale è necessario pluralizzare le forme organizzative e societarie, perché vi è la necessità di una democrazia economica più ricca rispetto a quella del passato. Avendo fatto passi in avanti dal punto di vista della libertà – le persone hanno raggiunto livelli di istruzione più elevati e sono più consapevoli – è necessario articolare le forme della vita sociale ed economica. Avere diverse tipologie di imprese ed organizzazioni è una ricchezza oggettiva: pluralizzare le forme con cui le persone realizzano anche valore economico è un prezioso aspetto di qualità del vivere. Terzo tema è quello del welfare, partito nel secolo scorso semplicemente come un sistema di protezione delle persone. Oggi, nelle società evolute, è chiaro che il sistema di welfare deve cambiare, a fronte del cambiamento delle società stesse. Il tema dell’educazione rientra nel concetto di welfare: laddove ci sono percorsi formativi di qualità nonché la conseguente capacità di garantire l’accesso a tutti i cittadini, le società raggiungono maggiori risultati anche dal punto di vista economico. Per tale ragione, l’approccio all’educazione deve essere concepito come investimento e non come mero costo o voce di spesa. L’area di azione del welfare è sempre più ampia: oramai intere parti della vita economica riguardano la cura della persona, poiché le società avanzate si trovano a dover af38
  • 39. frontare il problema di investire, da una parte, nelle infrastrutture e, dall’altra, nelle persone e nella loro cura. Il tema delle badanti – la cui stima in Italia è pari a 700 mila unità – è un esempio eclatante in tal senso. In conclusione, quella di oggi è una crisi di valore, sia economico che relativo alla democrazia. Certamente una delle grandi sfide che si pongono oggi di fronte a noi è quella della produzione di valore. Negli ultimi vent’anni si è costruito il grande “mare tecnico” della globalizzazione, ovvero è come se si fosse circondato il mondo di un’intelaiatura tecnica. In questa rappresentazione, qual è il ruolo della Terra, ovvero il luogo dell’umano? A proposito di co-operare, sopravviveranno quelle comunità e quei sistemi politici che sapranno fare alleanze e che, così facendo, faranno emergere la Terra umana dentro il mare della tecnica. Si esisterà, nel “grande mare della tecnica”, solo attraverso l’alleanza e l’intelligenza di persone in grado di capire che la libertà di ciascuno ha a che fare con la libertà dell’altro, che non ci sono risorse da sprecare – in senso ecologico e non economicistico – per arrivare a mettere in campo una forma di sviluppo davvero nuova. 39
  • 40. INTERVENTO di Gianni Pittella Vice Presidente Vicario del Parlamento Europeo Il tema di uno sviluppo fondato sulla cooperazione e sulla democrazia economica è molto attuale. La crisi economica ha evidenziato, infatti, il fallimento dei modelli tradizionali, sia del liberismo spinto dall’ambizione capitalistica, sia dello statalismo basato, nel secolo scorso, sulla limitazione delle libertà personali e, più recentemente, sugli sprechi della finanza pubblica. È evidentemente necessario introdurre una terza via, che in Italia ha dato dimostrazione della sua grande validità e può già vantare esperienze significative di successo. Il modello cooperativo ha una lunga tradizione e la legge sulla cooperazione sociale rappresenta uno dei risultati più straordinari, fungendo da esempio per diversi paesi europei. In senso più ampio, anche il Terzo settore italiano, dall’associazionismo al volontariato e all’impresa sociale, ha dimostrato grande vitalità ed è riuscito molto spesso a realizzare tanto e meglio del settore pubblico e del settore privato for profit pur avendo a disposizione risorse di frequente scarse. Nonostante le solide basi che ha dimostrato di avere in Italia, la terza via, quella della cooperazione, deve essere rafforzata lavorando da più angolazioni. Innanzitutto, devono essere realizzate da parte del legislatore alcune condizioni di contesto che ne favoriscano l’affermazione: ad esempio, alcuni strumenti già esistenti (come il 5x1000) vanno evidentemente stabilizzati e resi definitivi affinché possano garantire una capacità di programmazione delle risorse al Terzo settore. Inoltre, la semplificazione amministrativa e burocratica per imprese che perseguono finalità sociali deve essere molto più spinta: ad esempio, la re40
  • 41. cente introduzione della S.r.l. semplificata a costi ridotti potrebbe essere estesa a tutte le imprese sociali ex lege n. 118/2005, indipendentemente dalla loro natura giuridica, in virtù del riconoscimento del loro ruolo sociale. Altro esempio di intervento improcrastinabile è l’accorciamento dei tempi di pagamento della pubblica amministrazione nei confronti delle imprese sociali italiane, che oggi in alcuni contesti arrivano anche a tre anni di attesa. Inoltre, non si può non sottolineare che oggi al Terzo settore viene attribuito dalla Banca d’Italia lo stesso merito creditizio dei prestiti personali, più rischioso di quello delle PMI, sebbene l’evidenza statistica da tempo dimostri che questo settore abbia un tasso di sofferenze enormemente minore rispetto agli altri. Riconoscere tale merito, da un lato, consentirebbe alle banche di ridurre le quote di accantonamento a garanzia dei prestiti erogati al Terzo settore e, dall’altro, incrementerebbe significativamente le risorse a disposizione delle imprese sociali. Questa è solo una delle rigidità che questi soggetti si trovano a dover affrontare rispetto al settore bancario. L’allentamento di una serie di vincoli della Banca d’Italia rispetto all’erogazione di credito, ma anche alla partecipazione in capitale, potrebbe dare un’enorme spinta allo sviluppo dell’impresa sociale e cooperativa, forse anche maggiore di politiche fiscali agevolate. I mancati interventi in questo senso sono privi di significato, dato che sono le stesse banche a chiederlo. Interventi legislativi nel settore del credito possono essere di grande aiuto, tuttavia la svolta deve arrivare anche dalla capacità stessa dell’economia sociale e cooperativa di non sentirsi subalterna agli altri settori economici. I risultati degli ultimi anni, infatti, dimostrano come questo non sia affatto vero e i dati dell’occupazione e della sostanziale tenuta, pur in un momento di crisi, lo sottolineano. Circa 14 mila sono le cooperative sociali in Italia con quasi 320 mila dipendenti: il mondo cooperativo ha dimostrato di saper rispondere meglio in anni difficili rispetto al settore for profit, ad esempio incrementando di oltre il 5% gli occupati tra il 2008 e il 2010. 41
  • 42. Ciò dimostra come anche l’approccio con il settore pubblico debba essere fondato su basi non di dipendenza economica, bensì di collaborazione innovativa. Anche il rapporto con il settore for profit deve essere paritario, basato sulla cooperazione e non solo sulla richiesta unilaterale di finanziamenti e di donazioni. Attraverso il contatto diretto con le persone e con i loro bisogni, il Terzo settore dispone di una serie di fattori molti interessanti per il settore for profit, rispetto al quale è necessario essere in grado di comunicare ed offrire nuove modalità di collaborazione e nuove forme giuridiche da attivare per sviluppare opportunità comuni. Il Terzo settore e l’impresa sociale italiana non devono dunque temere di confrontarsi con le novità ed in questo potranno trovare supporto a livello europeo, dove si stanno sviluppando strumenti di grande interesse attorno alla Social Business Initiative. L’Europa sta mettendo in campo risorse significative con il programma “Horizon 2020” per l’innovazione sociale, il programma Innovation and Social Change, gli strumenti di microcredito e anche il supporto attraverso fondi di investimento sociale. Esistono tre grandi sfide di carattere generale, europee ma non solo, cui il Terzo settore deve far fronte. La prima riguarda il nuovo bilancio dell’Unione Europea, in negoziazione tra i 27 paesi EU, la Commissione Europea e il Parlamento Europeo, che determinerà la distribuzione delle risorse per la nuova programmazione 2014-2020. È una sfida difficile, perché il confronto è con una tendenza a restringere ulteriormente le possibilità offerte dall’Unione Europea. Il bilancio europeo annuale è di appena 130 miliardi di euro, minore di quello di grandi città europee, e rispetto al quale c’è una richiesta di ulteriore riduzione. Affinché l’Europa dia risposte ad una necessità fortissima di superare la crisi, c’è bisogno di una forte spinta anche da parte del Terzo settore in termini di mezzi finanziari. Legato a questo primo tema, ve n’è un altro: sono, infatti, ancora in campo le risorse della programmazione 2007-2013. Purtroppo il sistema-Italia non si è dimostrato all’altezza, poiché la percentuale di spesa non supera in 42
  • 43. media il 25 percento delle risorse e si è ormai giunti all’ultimo anno della programmazione. Da una parte, si chiedono maggiori risorse sulla politica di coesione e, dall’altra parte, si dimostra di non avere piena capacità di spesa. Anche su questo il Terzo settore deve far sentire la sua voce, in particolar modo agli interlocutori principali, ovvero le regioni. Ovviamente ci sono regioni virtuose, come l’Emilia-Romagna o la Basilicata e la Puglia, che si contrappongono a regioni che hanno primati negativi in tal senso: la Calabria, ad esempio, spende meno del 17-18 percento. Avere le risorse e non spenderle, senza quindi sostenere gli sforzi di un mondo come il Terzo settore, è un’azione delittuosa. La seconda grande sfida che abbiamo di fronte a livello europeo è uscire dalla crisi attraverso un paradigma e una risposta diversa da quella che è stata propinata in quest’ultimo anno e mezzo. La linea e il dogma che è passato a livello europeo è stato quello di evidenziare il problema del debito pubblico e il dovere della sua riduzione. Il problema principale dell’Europa non è il debito pubblico, perché se si guarda il dato aggregato è inferiore a quello di molti altri paesi nel mondo. Non si può perciò solamente agire per apportare tagli alla spesa sociale, perché le risultanti di questa politica, finora imposta dai governi europei, sono state non la soluzione del debito, bensì l’aggravamento della disoccupazione, il taglio dei livelli di qualità sociale della vita, nonché un generale impoverimento delle condizioni sociali di tutto il territorio europeo. È pertanto necessario abbandonare la linea dell’austerità. Sia pure progressivamente, senza trascurare necessità di finanze più sane, bisogna imboccare la strada del finanziamento di un grande piano di investimento pubblico europeo per la formazione, la ricerca, l’educazione, le grandi reti fisiche e immateriali. Un piano finanziato attraverso le emissioni di Eurobond, garantiti dalle riserve aurifere e dal patrimonio pubblico dei paesi membri, potrebbe assicurare una provvista finanziaria di 3 mila miliardi di euro, dei quali 2 mila e 300 per mutualizzare il debito a livello europeo e altri 700 per finanziare un grande piano euro43
  • 44. peo di investimenti per la crescita, la coesione sociale, lo sviluppo sostenibile. L’ultima sfida, che è la prima in ordine temporale da dover affrontare, è quella di un riequilibrio tra democrazia, economia e finanza. Nel mondo, non c’è chi non veda come negli ultimi anni questo equilibrio è saltato e come il primato sia stato lentamente ma inesorabilmente conferito alla finanza, a scapito della democrazia e dell’economia. Tutto ciò è la madre della crisi, degli stenti, dei problemi non soltanto sociali ed economici ma democratici attualmente presenti nella nostra società. Il PIL mondiale è racchiuso nel sistema banco-centrico della finanza, senza controllo. Su questo tema l’Europa sta lavorando, attraverso la supervisione bancaria, una maggiore vigilanza, un riscatto dell’economia partecipata e cooperativa, nonché attraverso un rilancio della democrazia, della politica e della partecipazione. 44
  • 45. IMPRENDITORIALITÀ SOCIALE: POTENZIALITÀ E PROMOZIONE IN RETE di Alberto Valentini Unioncamere e Università La Sapienza, Roma 1. Quadro Le Camere di Commercio – in sintonia con importanti correnti di pensiero – sono convinte che nelle società sviluppate ed anche in quelle in via di sviluppo, lo Stato ed il mercato sempre meno riescano a dare risposte adeguate alla complessità dei nuovi bisogni emergenti, primo di ogni altro a quello occupazionale (in special modo di donne e giovani). Si può considerare, a tal riguardo, ciò che Rifkin da tempo sostiene, così come le recenti posizioni espresse da Yunus (solo per citare due noti autori provenienti da emisferi diversi). In questo quadro l’Economia Civile/Sociale trova uno spazio nel quale inserire la propria iniziativa che si colloca tra l’impresa di stato e l’impresa commerciale, per dare risposte ai bisogni espressi dalle comunità di cittadini, secondo il principio di sussidiarietà, e per favorire uno sviluppo umano integrale e pluralistico. Tale sviluppo diviene quindi sempre più la risultante della combinazione delle tre dimensioni evocate (impresa di Stato, commerciale e sociale), in un contesto di cooperazione fattiva e relazionale. In questo contesto il Sistema Camerale si propone di far interagire i soggetti dello sviluppo locale collocandoli in rete per accelerare e orientare la promozione. Quattro sono i soggetti considerati: –– l primo è costituito dagli esponenti degli organi cai merali, che sono espressione delle rappresentanze delle imprese; 45
  • 46. –– l secondo è la rappresentanza della società civile i organizzata, articolata in volontariato, associazionismo e impresa sociale (Terzo settore); –– l terzo si riferisce alle rappresentanze delle autonoi mie locali; –– l quarto chiama in causa le comunità della ricerca i universitaria e non, nonché i cultori della materia. Per quanto riguarda i soggetti considerati, il primo (gli organi camerali) è profondamente connesso con le associazioni delle imprese che designano i loro rappresentanti. Il Forum del Terzo settore (secondo soggetto) ha condiviso con il Sistema Camerale un percorso che ha portato alla definizione processuale della partecipazione a vari livelli: rappresentanti del volontariato sociale, dell’associazionismo sociale e dell’imprenditorialità sociale. Gli enti locali (terzo soggetto) sono generalmente disponibili alla cooperazione pro-sviluppo locale e possono esprimere le loro designazioni attraverso le rispettive rappresentanze. La comunità della ricerca universitaria e non (quarto soggetto) non ha ancora generato una propria rappresentanza territoriale, quindi il Comitato, non appena insediato, potrà provvedere ad un opportuno processo di cooptazione. Unioncamere, tenuto conto delle tematiche richiamate, ha proposto di dar vita a dei Comitati (da istituire presso le Camere e le Unioni regionali) composti dalle rappresentanze dei quattro soggetti evocati. Questi Comitati hanno il compito di promuovere lo sviluppo locale dell’imprenditorialità sociale e l’accesso al credito (anche microcredito) attraverso la nascita di circoli virtuosi tra sviluppo economico e benessere sociale atti a favorire la nascita di nuove imprese e di buona occupazione. 2. Situazione Il Sistema Camerale dalla fine degli anni ’90 ha realizzato due progetti pro-Economia Sociale: Quasar, qualità delle imprese sociali e, Creso, credito per le imprese sociali. 46
  • 47. In entrambi i progetti la cooperazione col Forum del Terzo settore e con alcune università, nonché con i centri di ricerca fondazionali quali CENSIS e Tagliacarne, fu il punto di forza. Per il credito la collaborazione fu utilmente arricchita dal contributo di Federcasse. Si crearono iniziative congiunte in oltre 20 Camere di Commercio che dimostrarono che era possibile collaborare tra personale camerale (già dedito a far nascere e crescere le imprese) e operatori del Terzo settore (portatori della motivazione all’auto-imprenditorialità), puntando sull’impegno volto a promuovere l’imprenditorialità sociale. Successivamente si arrivò a suggerire la nascita di Comitati camerali locali e regionali per creare una rete nazionale a sostegno dell’Economia Civile/Sociale (lettera alle Camere e alle Unioni regionali di Unioncamere del 10 novembre 2011). Attualmente si è pervenuti alla costituzione di oltre 30 “Comitati camerali per l’imprenditorialità sociale ed il microcredito” (CISeM). Alcune realizzazioni possono illustrare la varietà di iniziative che si stanno sviluppando. Se ne propongono alcune, ben sapendo che molte altre, pur interessanti, non possono per sintesi essere evidenziate: –– L’Osservatorio dell’Economia Civile della Camera di Commercio di Torino ha dato vita al “Polo d’innovazione sociale e dell’Economia Civile”, in collaborazione con la Regione, il Comune, la Provincia e quattro atenei piemontesi, insieme ad enti della cooperazione e del volontariato, per perseguire prioritariamente il trasferimento e la diffusione dell’innovazione presso le piccole e medie imprese sociali; –– la Camera di Commercio di Milano ha promosso una ricerca sul “Valore dell’impresa sociale nella provincia di Milano” realizzata in cooperazione con OSIS e l’Università Bocconi. La ricerca – che è propedeutica alla costituzione del CISeM – può essere visionata sul sito della Camera. Va anche ricordato che già nel 1991 la Camera di Commercio di Milano 47
  • 48. –– –– –– –– –– 48 aveva affidato all’IREF di Roma una ricerca su “Associazionismo e cultura d’impresa: i servizi di emanazione associativa” da cui nacque il primo sportello camerale per l’Economia Civile/Sociale; la Camera di Commercio di Mantova ha da tempo dato vita al “Tavolo della cooperazione” particolarmente attivo nei percorsi formativi e di animazione del territorio anche attraverso la realizzazione del “Festival della Cooperazione”; l’Osservatorio del Terzo settore della Camera di Commercio di Padova ha da diversi anni promosso il “Premio per la collaborazione tra impresa e non profit” articolato in tre sezioni: la prima incentrata su “esperienze di collaborazione tra impresa for profit e soggetti del Terzo settore”; la seconda per le “esperienze di mantenimento dell’inserimento lavorativo con particolare attenzione per le categorie di lavoratori appartenenti alla fasce più deboli”; la terza per “le esperienze aziendali di buone pratiche di responsabilità sociale d’impresa”; l’Unioncamere Emilia-Romagna, sulla base dell’intesa col Forum Regionale del Terzo settore, ha avviato a Reggio Emilia una sperimentazione volta a mettere “in rete l’offerta” di quanto realizzato dalle varie organizzazioni non profit al fine di predisporre un sistema informativo per l’intera regione; la Camera di Commercio di Roma ha lanciato l’iniziativa “Idee e progetti d’impresa sociale” insieme al Comune e alla Banca di Credito Cooperativo di Roma, per favorire l’accesso al credito assicurando la dotazione di un fondo di 100 mila euro per l’erogazione di garanzie fideiussorie; la Camera di Commercio di Chieti ha promosso (stanziando 100 mila euro) un bando per progetti di “Incentivazione delle iniziative di agricoltura sociale per il miglioramento dei servizi alla popolazione”;
  • 49. –– la Camera di Commercio di Taranto ha sviluppato una collaborazione con l’Università Cattolica e con l’Istituto Lazzati per la “Preparazione di giovani imprenditori sociali” anche attraverso la partecipazione alla realizzazione di una Summer School; –– l’Unioncamere della Calabria, sulla base di un protocollo d’intesa con il locale Forum del Terzo settore, ha intrapreso un percorso di supporto delle iniziative d’imprenditorialità sociale con particolare riferimento alla valorizzazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata (si è poi dato vita al Comitato camerale regionale). 3. Prospettive L’impegno del Sistema Camerale di dar vita ad una rete funzionante d’accompagnamento e sostegno all’imprenditorialità sociale è dimostrato dai fatti richiamati. Occorre, però, una disponibilità volta a co-operare da parte di tutti e quattro i soggetti di cui si è detta l’importanza. La cooperazione si coniuga alla loro capacità di fare rappresentanza. Si consideri che le Camere di Commercio sono esponenziali dell’associazionismo delle imprese, di tutte le imprese for profit e non profit, di Stato, commerciali e sociali. Esse sono organismi pubblici che chiamano a co-operare le varie rappresentanze: dell’associazionismo imprenditoriale, del Terzo settore, degli enti locali e della ricerca universitaria e non. Si tocca a questo punto, un tema complesso che qui non può essere affrontato, ma che ci deve interrogare sul fatto se il principio di sussidiarietà orizzontale sia o meno realizzato nei vari territori. E non c’è dubbio che lo sviluppo duraturo e incentrato sulla qualità prenda le mosse dai valori identitari, storicoproduttivi e di vision incarnati dalle persone che operano nei differenti territori distrettuali. Per il momento ci si può accontentare di fissare proces49
  • 50. sualmente i seguenti quattro punti: 1. gli obiettivi; 2. il valore aggiunto della rete; 3. l’apertura pluralistica; 4. l’importanza della rappresentanza. 1. Gli obiettivi sono collegati al passaggio che stiamo vivendo in Europa dallo stato del benessere alla comunità del benessere. In questo cambiamento l’Economia Civile e Sociale, i corpi intermedi organizzati, possono giocare un ruolo fondamentale. Un ruolo capace di dare risposte appropriate ai nuovi bisogni, tutto ciò richiede allo Stato di migliorare la sua azione programmatrice e di riequilibrio sociale. Senza un supporto dello Stato alle fasce più povere o più socialmente esposte, non si può pensare di realizzare un nuovo welfare comunitario. E se si vuole che l’economia riparta occorre assicurare a chi lavora la soluzione ai problemi di assistenza, sanità, cultura, ecc.; 2. la rete rappresenta un valore aggiunto perché permette di trasferire buone realizzazioni da una realtà ad un’altra. Ma consente anche un reciproco stimolo ed arricchimento a coloro che la animano e la rendono fruttifera. Una rete deve avere un obiettivo condiviso a cui ognuno contribuisce con il suo piccolo o grande apporto. Una rete senza anima non è una rete: occorre lavorare assiduamente per alimentare questo processo ricercando continuamente le ragioni dello “stare insieme”; 3. il pluralismo è una ricchezza fondamentale della rete. Il volontariato ha sue specificità collegate al dono del proprio tempo e sensibilità, l’associazionismo sociale si caratterizza per essere capace di organizzare risposte ai bisogni in forma partecipata. Da entrambe queste realtà provengono gli imprenditori sociali che donano alla collettività i propri talenti. Imprenditori sociali che sono ancora troppo pochi e verso i quali sarebbe necessaria una intensa azione d’implementazione; 4. la rappresentanza. Per realizzare i Comitati è necessaria la rappresentanza, per esempio, del Terzo settore. 50
  • 51. Questa non è sempre presente in ciascuna realtà territoriale nella quale la Camera decide di fare un CISeM; tuttavia essa stimola il Terzo settore ad organizzarsi. Ma la rappresentanza nasce e si rinnova attraverso l’adozione del metodo democratico. Metodo che la Costituzione ancora inattuata riporta all’articolo 49 per i partiti (“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”) e all’articolo 39 per i sindacati (che dovrebbero avere “un ordinamento interno a base democratica”). Tutto ciò per ricordare, da un lato, problemi aperti e, dall’altro, l’importante influenza che questi esercitano sulla realizzazione della rete dei CISeM. Obiettivi, rete, pluralismo e rappresentanza sono pertanto temi che si intrecciano con la realizzazione dell’impegno del Sistema Camerale per l’imprenditorialità sociale. In conclusione, due citazioni. La prima è un passaggio del Presidente di Unioncamere italiana, Ferruccio Dardanello, alla recente (29 ottobre 2012) assemblea dei Presidenti delle Camere di Commercio d’Italia: “Dalla grande crisi usciremo sicuramente più forti se lavoreremo per essere sempre più coesi. Solo se sapremo ricreare concordia nei territori e ristabilire un’alleanza fra impresa, lavoro, famiglia, politica e ambiente, anche l’economia potrà ripartire”. La seconda è del Presidente della Commissione europea, José Manuel Barroso: “Le imprese sociali possono rappresentare un fattore di cambiamento molto forte. Per produrre risultati migliori per il bene comune. Per dimostrare che è possibile fare le cose in modo più responsabile e più equo, pur continuando ad avere successo nel mercato. E per diventare un vero motore della crescita nell’UE. L’Europa non deve semplicemente partecipare a questi cambiamenti. L’Europa deve avervi un ruolo di primo piano”. 51
  • 52.
  • 53. SESSIONE PARALLELA 1 MARKET - NON MARKET: L’ECONOMIA SOCIALE AL BIVIO
  • 54.
  • 55. QUALE MERCATO PER QUALE ECONOMIA? di Leonardo Becchetti Università di Roma Tor Vergata Il dibattito sul tema della crisi porta nella maggior parte dei casi a concentrarsi sull’analisi delle sue cause, togliendo spazio invece all’analisi delle possibili soluzioni per uscirne. Il problema originario della crisi non è di natura finanziaria, bensì è reale, ovvero è legato ai divari nei tenori di vita e nei costi del lavoro a livello globale. La globalizzazione, infatti, trasforma i mercati del lavoro locali in globali, aumentando la dispersione salariale. Questa tendenza durerà per molto tempo, poiché i processi di convergenza in media sono lenti (60 anni la Cina, ad esempio se giochiamo ad estrapolare e a proiettare gli attuali tassi di crescita nel futuro); nel frattempo la diseguaglianza intra-paese e mondiale è in crescita, proprio perché la globalizzazione e la rete aumentano di larga misura il rendimento dei talenti (ovvero i rendimenti della scolarizzazione). La conseguenza è che il vecchio modello di funzionamento dell’economia, basato sulla rigida divisione dei ruoli, non può più funzionare, a causa di un difetto “etico” del sistema a due tempi: oggi, infatti, non è più possibile fare affidamento sull’erogazione di risorse da parte dello Stato. Il sistema, quindi, deve ibridarsi: 1. il Terzo settore deve sapersi trasformare e rinascere come Economia Civile; 2. i singoli attori devono avere la forza di alzare lo sguardo dall’urgenza delle loro incombenze quotidiane per coordinarsi in alcune azioni sistemiche (ad esempio, campagna 005, riforma indicatori e “voto col portafoglio”) se non vogliono rischiare di dover affrontare sempre più problematiche con sempre meno risorse a disposizione. 55
  • 56. A livello micro, queste organizzazioni devono pertanto imparare a mettere assieme attività sociali (fondate sul fund raising pubblico o privato) e attività che generano ricavi e utili compatibili con la loro missione sociale il cui valore sul mercato potrà aumentare proprio grazie alla sensibilità di consumatori e risparmiatori responsabili che votano con il portafoglio. Se il “voto col portafoglio” funzionerà, ciò produrrà contagio. Se il Terzo settore riuscirà ad ibridarsi questo genererà contagio nello stesso settore delle imprese massimizzatrici di profitto che coglieranno le nuove opportunità e si ibrideranno attraverso la responsabilità sociale d’impresa, riducendo così le conseguenze socio-ambientali negative del loro operato. Gli ingredienti di questo mondo nuovo – che già oggi intravediamo – diventano, accanto al tradizionale auto-interesse e motivazioni estrinseche: le motivazioni intrinseche, la gratuità, la fraternità e il dono. Gli attori chiave sono le banche e finanze etiche e cooperative, le imprese socialmente responsabili, gli imprenditori dell’economia di comunione, le botteghe solidali, la piccola distribuzione organizzata dei gruppi di acquisto solidale. Tutto ciò sta a significare che è necessario superare il concetto di “Terzo settore”, poiché non può essere considerato un settore residuale che vive di dipendenza dal settore pubblico. Invece, questo è un mondo “ibridato” che non ha solo l’ambizione di trovare soluzioni a problemi generati dall’economia tradizionale, ma ha l’aspirazione di cambiare il sistema economico. Esiste una vera e propria superiorità del “civile”. Come può un’impresa che massimizza il benessere degli azionisti – una sola categoria di stakeholder – tutelare meglio di un soggetto multistakeholder il benessere degli altri portatori d’interesse? La visione dell’economia tradizionale sostiene che attraverso i meccanismi di concorrenza e reputazione si riconcilia l’interesse degli azionisti con quelli degli altri stakeholder. Tuttavia, esistono diversi problemi, tra cui: le opacità informative, le esternalità, i beni pubblici. La reputazione, inoltre, non funziona se le relazioni non sono ripetute e ci sono settori in cui gli stakeholder 56
  • 57. fanno comunque difficoltà a valutare la qualità dei prodotti (ad esempio, settore finanziario e alimentare). L’impresa civile, invece, può produrre capitale sociale. In linea di principio teorica, la razionalità cooperativa è una forma superiore di razionalità rispetto a quella individualistica. È stato recentemente osservato come l’homo oeconomicus costituisca una minoranza. Engel (2010) ha analizzato i risultati di 328 diversi esperimenti fatti con denaro, per un totale di 20 mila e 813 osservazioni da diversi paesi del mondo. È stato rilevato che in media le persone che si comportano come nel modello dell’economia tradizionale è pari al 20 percento. La quota degli homines oeconomici corrisponde al 28 percento se i “diritti di proprietà” sono del ricevente e bisogna prendere i soldi da lui; 25 percento se si usano soldi veri nel gioco; 19 percento se il ricevente è identificato come bisognoso. Gli studenti sono i più vicini all’homo oeconomicus (40%), mentre i bambini lo sono solo al 20 percento, così come il 10 percento dei giocatori di mezza età e nessuno tra chi ha più di 50 anni. La superiorità della razionalità del “noi” viene evidenziata dal famoso apologo di Hume (Trattato sulla natura umana, 1740, libro III): “Il tuo grano è maturo oggi, il mio lo sarà domani. Sarebbe utile per entrambi se oggi io [...] lavorassi per te e tu domani dessi una mano a me. Ma io non provo nessun particolare sentimento di benevolenza nei tuoi confronti e so che neppure tu lo provi per me. Perciò io oggi non lavorerò per te perché non ho alcuna garanzia che domani tu mostrerai gratitudine nei miei confronti. Così ti lascio lavorare da solo oggi e tu ti comporterai allo stesso modo domani. Ma il maltempo sopravviene e così entrambi finiamo per perdere i nostri raccolti per mancanza di fiducia reciproca e di una garanzia.” È necessario, dunque, coniugare la superiorità del civile nei diversi settori in cui questa si può esplicare, ad esempio quello finanziario e bancario. Il dato medio del tasso di sofferenza delle cooperative sociali è pari all’1 percento contro l’8 percento delle PMI. Forse l’imprenditore tradi57
  • 58. zionale (senza volerlo per questo demonizzare o colpevolizzare) in un contesto di opacità informativa tende molto di più all’opportunismo manageriale, cioè a privatizzare i profitti e a socializzare le perdite e, soprattutto, ad una governance molto più gerarchica. In questo scenario, Banca Etica ha 1,1% di sofferenze, in un momento in cui il sistema è 6,5%. Anche le altre banche riconoscono che la loro attività nei confronti del Terzo settore è meno rischiosa rispetto a quella nei confronti delle PMI. È necessario chiedersi quindi perché le banche cooperative ed etiche sono maggiormente anticicliche, cioè hanno una variazione di credito relativamente positiva nei periodi di crisi, e perché queste banche hanno contribuito meno al rischio sistemico. Minori sono state le spinte ad aumentare a tutti i costi i rendimenti assumendosi dei rischi molto gravi. Infine, bisogna comprendere perché Basilea III costituisce un pregiudizio per il sociale: la ponderazione del rischio, infatti, dovrebbe essere l’opposto rispetto a quanto invece accade, ovvero Basilea III considera massimo il rischio associato al finanziamento di una cooperativa sociale (100 percento di accantonamento, contro il 75 percento per le PMI), quando dovrebbe essere esattamente il contrario. In altri settori accade lo stesso: questa superiorità potenziale del civile deve essere evidenziata ad esempio nella gestione dei beni comuni da parte delle cooperative di utenti rispetto alle imprese for profit oppure alla sanità, cioè a settori dove esiste uno spazio per il Terzo settore (es. “Welfare Italia”) tra le file del pubblico e i costi del privato. Si pensi anche alle mutue sanitarie integrative e al loro confronto con le assicurazioni for profit. All’atto pratico, però, questi soggetti vengono necessariamente a confrontarsi con dei problemi e delle sfide. È chiaro che assumendo una logica multistakeholder, diversamente dall’azienda for profit, la governance può diventare molto caotica; quindi, il rapporto e il coordinamento degli interessi dei diversi stakeholder (clienti, 58
  • 59. soci, lavoratori, comunità locali) è complesso. Inoltre, è necessario affrontare il problema di come attirare capitale di rischio “paziente” e potenzialmente meno remunerato e quello famoso dell’attrarre i talenti professionali a fronte di un salario medio inferiore – ricordiamo che tuttavia non è solo il salario più alto la ragione per cui si lavora: le persone cercano sempre più risposte lavorative a loro motivazioni intrinseche. Un ulteriore problema riguarda il modo con cui evitare il burnout delle aspettative: nelle organizzazioni a movente ideale le persone si applicano per delle buone cause che ritengono di estrema rilevanza, quindi aumentano le proprie aspettative a livello esponenziale e ciò, se non soddisfatto, produce infelicità. Le azioni sistemiche più urgenti da intraprendere oggi per potenziare l’Economia Sociale sono le seguenti: 1. trovare soluzioni ai problemi di governance; 2. stimolare il “voto col portafoglio”; 3. lavorare per policy che favoriscano l’impresa sociale, non perché debba essere favorita in principio ma deve essere riconosciuto il suo ruolo di creazione di valore sociale che serve per far andare avanti l’economia; 4. realizzare campagne per la riforma delle regole, soprattutto nel settore finanziario; 5. analizzare delle best practice13 per capire come que Ad esempio, la convenienza economica dei Gas; l’ibridazione della Fondazione di Comunità di Messina; il Consorzio Tassano; la Comunità Emmanuel; CGM; Banche etiche, cooperative e popolari; Botteghe solidali e CTM; Libera (Il valore etico ed economico della legalità); alleanze tra non profit e for profit soprattutto se esternalità positive dall’accordo (convenienze per il for profit che entra in nuovi mercati o migliora sua reputazione) (AMREF); il modello di reciprocità indiretta di Banca Etica (il vantaggio etico competitivo); meccanismi che mescolano prestiti tradizionali ad elementi di dono e reciprocità indiretta (es. Terzo Valore); sistemi di microfinanza (Italia tre pilastri, Estero mobilizzazione ri13 59
  • 60. ste possono essere estese ad altri contesti e soggetti; 6. utilizzare gli indicatori di benessere equo e sostenibile di Istat e Cnel come fonte di ispirazione per la creazione di valore sociale (come “mappa dei desideri” degli italiani ispiratrice per la creazione di beni e servizi socialmente utili sul territorio). Sul tema della riforma della finanza è necessario procedere rispetto alla tassa sulle transazioni e soprattutto portare avanti l’azione incentivante che permetta di spingere il capitale finanziario a diventare “paziente”. La questione fondamentale è “il voto col portafoglio”, perché i cittadini subiscono la minore qualità sociale dell’impresa massimizzatrice del profitto se sono pigri nel “votare col portafoglio”: si tratta certamente di un problema di elasticità della domanda. Gli ultimi dati globali Nielsen (emersi da 28 mila interviste effettuate in 56 paesi) evidenziano come ben il 46% dei consumatori globali è disposto a pagare di più per prodotti e servizi di aziende che hanno sviluppato programmi di responsabilità sociale. Tuttavia, si tratta di un dato sovrastimato, poiché nelle risposte degli intervistati sono previste delle condizioni ideali che in realtà non si verificano. Secondariamente, non ci sono costi differenziali nel raggiungimento del prodotto. Oggi è necessario organizzare l’offerta, cioè lavorare per avvicinare i cittadini a questa situazione ideale in cui l’incertezza informativa sulla qualità etica ed ambientale del prodotto viene eliminata e non ci sono costi differenziali di accesso. Il “voto col portafoglio” alla fine risulterà vincente perché sostenuto dall’auto-interesse delle persone di acquistare prodotti più “verdi” o “socialmente responsabili”, premiando così le imprese che producono beni più sostenibili e trattano meglio il lavoro. Premio che in ultima analisi farebbe il loro stesso interesse di cittadini-lavoratori. sparmio e Molto efficaci); le cooperative di utenti nel settore elettrico in Alto Adige. 60
  • 61. Il problema del coordinamento si può risolvere anche attraverso una migliore organizzazione dell’offerta. In tal senso, è stata costituita un’iniziativa intitolata “Next”14, cui aderiscono sindacati, associazioni industriali, società civile, coltivatori diretti, associazioni di consumatori e l’accademia. L’idea è che ci sia bisogno di un luogo virtuale della Corporate Social Responsibility, in cui i cittadini si incontrano e possono dialogare su questi temi. Sul portale vi è un doppio accesso, uno per i cittadini e uno per le imprese. Queste ultime inseriscono le loro iniziative di CSR; vi sono, inoltre, dei meccanismi di valutazione e di auto-valutazione. I sindacati dovrebbero comprendere che, oggi, devono difendere il lavoro organizzando il consumo e non più solo manifestando come una volta. Per ciò che riguarda la questione delle politiche, è fondamentale ribadire come non sia necessario attuare forme di protezionismo e bloccare alla frontiera prodotti di paesi che hanno costi del lavoro più bassi. La WTO non consente divieti, ma accetta forme premiali per responsabilità sociale ed ambientale – soprattutto delle filiere (come quelle italiane). Per fare questo bisogna avviare contemporaneamente più iniziative (Tabella 1): gli appalti delle scuole, l’Irap regionale, le agevolazioni alle cooperative (Iva al 4%), l’offerta di servizi da parte delle cooperative sociali di “tipo A”. È necessario inoltre misurare i benefici per giustificare le agevolazioni (ad esempio, per l’equosolidale realizzare studi d’impatto e visione strategica su differenziali salariali). In conclusione, bisogna imparare a guadare alle cose con un’ottica di lungo periodo. Keynes (1931) già risentiva della terribile tradizione di pensiero economico per la quale l’economia va avanti grazie ai vizi più che per le virtù. Oggi la situazione è totalmente capovolta: la crisi finanziaria ci ha insegnato che senza capitale sociale, senza norme morali e sociali l’economia rischia di collassare. Oggi non si fa altro che parlare di lotta alla corruzione http://www.nexteconomia.org/index.php 14 61
  • 62. e all’evasione, nonché di costruzione di capitale sociale. Prima della crisi, ci si rifugiava dietro all’eleganza delle formule e l’etica era neutrale. Oggi, invece, l’etica è centrale, anche se la tecnica rimane importante ma al servizio della costruzione di valori e norme. Tab. 1 – Incentivi diretti e indiretti A. INCENTIVI DIRETTI B. INCENTIVI INDIRETTI Incentivi fiscali e crediti d’imposta Stanziamento di fondi di bilancio Attribuzione di riduzioni nelle aliquote di imposta applicate alle imprese responsabili, nei limiti della regolamentazione europea sugli aiuti “de minimis”. Cfr. ad es. R. Toscana, R. Marche, ecc. - Sgravio IRAP (riduzione 0,5 %, cfr. Toscana, ecc.) - Sgravio su aliquota addizionale regionale IRPEF Destinazione di risorse per la costituzione di organi con lo scopo di finanziare azioni di promozione dei temi legati alla RSI 62
  • 63. Contributi in conto capitale Incrementi di mezzi patrimoniali dell’impresa per favorire la realizzazione di progetti con percorsi di RSI. Cfr., ad es., i bandi regionali, FILSE a. specifici su azioni RSI, da finanziarie regionali; b. relativi a vari settori e attività economiche (quali l’edilizia e la sicurezza SSL), ma comprensivi di sottomisure per azioni di RSI. Cfr. anche il bando INAIL, sia sulla SSL sia sulla RSI, sui Mod.231/01, ISO 26000, ecc., operativo a partire dal 14 marzo 2012. Altri incentivi derivano da iniziative del CNEL (Consiglio Nazionale del Lavoro) e altri da iniziative delle confederazioni dei lavoratori. Contributi in conto interesse Finanziamenti a medio e lungo termine con tassi agevolati, finalizzati a progetti legati alla RSI. Costituzione di registri per imprese certificate Nel rispetto del Trattato UE e leggi sugli appalti possono esser costituiti elenchi e registri per le imprese dotate di certificazioni sulla qualità e sicurezza sul lavoro che prevedono incentivi finanziari e fiscali agli iscritti. Costituzione di Commissioni o Comitati Creazione di soggetti incaricati di coordinare e gestire le iniziative concernenti la RSI Punteggi aggiuntivi nei bandi POR. (Cfr. DAR Toscana con premialità per: imprese che prevedono il conseguimento o hanno adottato sistemi di certificazione/gestione ambientale Altri finanziamenti e interventi e/o certificazione/gestione di prodotto o sono finalizzati Accordi con istituti bancari, Finanziamenti agevolati Iniziative “mutuo CSR” a interessi zero (a carico P.A.) all’adozione di strumenti di responsabilità sociale delle imprese, riconducibili a standard internazionali 63
  • 64. - DOCUP 2000-2006 e PRSE 2007-2010: contributi in conto capitale per l’acquisizione della certificazione SA8000; - POR CReO 2007-2013: contributi per l’acquisizione di servizi qualificati (certificazioni e bilanci di sostenibilità); - POR CReO 2007-2013 – misura 1.3.b. Acquisizione di servizi qualificati Voucher da spendere nell’ambito di un servizio pubblico regionale scelto dall’imprenditore in un elenco di possibili ambiti (sanità / asili / formazione / servizi CCIAA / finanziamenti /… - in base alle convenzioni in atto o attuabili dalla Regione con le sue società partecipate e altri Enti Locali). Voucher per ottenere consulenza sulla “contrattazione di II livello”. Voucher per ottenere consulenza su una programmazione coi propri dipendenti di piani di “welfare secondario” (più sicurezza sul lavoro, migliore gestione degli straordinari, maggiori benefit per sé e per i familiari, ecc.). Collegamento tra scuole professionali e le aziende. 64 - progetti di imprese che abbiano introdotto forme di flessibilità del lavoro, legate alla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro o azioni positive ai sensi del D.Lgs. 198/06. - presenza o partecipazione a progetti territoriali con finalità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, oggetto dei contributi di cui alla L. 53/2000. - progetti di imprese che aderiscono a disciplinari aventi ad oggetto la responsabilità sociale d’impresa, redatti da organismi terzi all’impresa stessa, d’intesa con la commissione etica regionale, ex L.R. toscana 17/06, art. 6. - progetti di imprese che redigono un bilancio sociale, asseverato alle linee guida nazionali ed internazionali (GBS, GRI)