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Comportamento	del	gregge
Un percorso concettuale tra coscienza
individuale e coscienza collettiva
“Conosci te stesso”, questo l’imperativo socratico che faceva della coscienza individuale un
presupposto fondamentale per ciò che voglia definirsi “etica”. Nel momento in cui una collettività
si aggrega e pone in atto comportamenti, emblematicamente denotati con l’espressione
“comportamento del gregge”, la coscienza individuale sembra venire meno e così la possibilità
stessa di parlare di etica a livello sociale.
Anno accademico 2012-2013
Tesina di Etica sociale
Docente: J-F. Malherbe
Studente: M. Aluigi
Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza,
noi stessi a noi stessi: è questo un fatto che ha le sue buone ragioni.
Non abbiamo mai cercato noi stessi – come potrebbe mai accadere
che ci si possa, un bel giorno, trovare? Non a torto è stato detto:
«Dove è il vostro tesoro, là è anche il vostro cuore»; il nostro tesoro è là
dove sono gli alveari della nostra conoscenza»
(F. Nietzsche, Genealogia della morale, Prefazione, I)
(1)	Precisazione	iniziale	del	tema
Il tema inizialmente concordato con il professore – “incontro (e scontro) tra coscienza
individuale e coscienza collettiva” – è un tema piuttosto vago. Per evitare questa vaghezza, in un primo
momento avevo maturato l’intenzione di circoscrivere il tema, riducendolo ad alcune considerazioni di
carattere teoretico e psicologico (quindi un lavoro concettuale piuttosto che storico) circa le analogie e
le differenze che sussistono tra il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è portato a
seguire in quanto singolo ed il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è portato a
seguire in quanto parte di una collettività (di una moltitudine, di una folla, di una massa). Questo
quanto ero intenzionato ad approfondire in un primo momento. Eppure, a partire da tale terreno, due
letture hanno determinato un cambiamento di programma.
Nel capitolo introduttivo di Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), Freud stesso
sottolinea che «la contrapposizione tra psicologia individuale e psicologia sociale o delle masse,
contrapposizione che a prima vista può sembrarci molto importante, perde, a una considerazione più
attenta, gran parte della sua nettezza. [Infatti] nella vita […] del singolo l’altro è regolarmente presente
come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico, e pertanto, in quest’accezione più
ampia ma indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è anche, fin dall’inizio, psicologia
sociale».1
Relativamente al mio tema, ciò si traduce nella constatazione dell’inutilità di procedere ad
un’analisi di analogie e differenze tra il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è
portato a seguire in quanto singolo ed il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è
portato a seguire in quanto parte di una collettività. Questo perché la dicotomia singolo-collettività non
è tanto netta da consentirci di parlare di psicologie, modi di comportamento e principi etici individuali
da un canto e di massa dall’altro.
La seconda lettura che ha determinato un cambiamento di programma per quanto riguarda la
scelta del mio tema è stato un insieme di testi e di articoli relativi allo studio della folla e della massa –
qui ricordo solo le opere che più hanno segnato la storia di questo indirizzo di studi: Psicologia delle
folle (1895) di Gustave Le Bon e Massa e potere di Elias Canetti (1960). Questi testi e articoli, pur non
1
S. FREUD, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Bollati-Boringhieri, Torino 2012, p. 11.
scadendo nell’errore della contrapposizione dicotomica singolo-collettività, finiscono nella maggior
parte dei casi per evidenziare che in una massa – citando più o meno fedelmente Le Bon – «gli individui
che la compongono – indipendentemente dal tipo di vita, dalle occupazioni, dal temperamento o
dall’intelligenza – acquistano una sorta di anima collettiva per il solo fatto di trasformarsi in massa. Tale
anima li fa sentire, pensare e agire in un modo del tutto diverso da come ciascuno di loro –
isolatamente – sentirebbe, penserebbe e agirebbe».2
E una volta teorizzata l’esistenza di quest’anima
collettiva, in questi testi ed articoli si fa spesso un passo ulteriore, ritenendo che tale anima collettiva
sia «da una parte infinitamente più elementare e passionale, e dall’altra considerevolmente più stupida
e incline alle illusioni di quella dei singoli individui che la compongono; che questi ultimi – per effetto
della “suggestione” e del “contagio” esercitato dalla massa – tanto perdono in autonomia e iniziativa
intellettuale quanto in equilibrio e libero discernimento morale, acquistando in cambio un sentimento
di forza che deriva loro dall’essere parte di un tutto rassicurante e coerente».3
Quindi, dicevo, la lettura di Freud da un canto e di alcuni testi ed articoli relativi allo studio delle
masse, hanno determinato questo piccolo cambio di programma nella scelta del tema da trattare: non
più un’analisi delle analogie e differenze tra il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli
è portato a seguire in quanto singolo ed il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è
portato a seguire in quanto parte di una collettività (perché sarebbe un’analisi che si regge su una
dicotomia che non regge) ma piuttosto l’approfondimento di quella che Le Bon ha chiamato “anima
collettiva” e del suo influsso nel comportamento del singolo che ne è parte. Tuttavia, essendo ancora
estremamente vago come tema, nella fattispecie si tratterà di vedere più da vicino non tutti i tipi di
comportamento che sembrano essere frutto dell’essere parte, da parte del singolo, di un’“anima
collettiva” condivisa da una massa, ma solo un particolare tipo di comportamento – quello che è stato
definito il “comportamento del gregge” (cfr. l’ “herd mentality” (mentalità del gregge) teorizzata da
Wilfred Trotter), che in soldoni consiste in quanto poco prima accennato (ossia nel fatto che i singoli
individui in massa tendono ad essere parte di un’anima collettiva passionale, poco autonoma e con
debole iniziativa intellettuale per quanto riguarda ad esempio il discernimento morale…)… Ma, anziché
fornire subito una definizione rigorosa per quest’espressione, preferirei che c’arrivassimo passo a passo
insieme, seguendo un percorso, un percorso che vorrei far partire da lontano nel tempo… da Socrate.
(2)	Comportamento	del	singolo	
-	vs	-	
comportamento	del	gregge
2
G. LE BON, Psicologia delle folle, [http://www.scribd.com/doc/46551397/Psicologia-Delle-Folle-Gustave-Le-Bon-
democrazia-dittatura-liberta-ebook], p. 4, corsivo nostro.
3
S. FREUD, Psicologia delle masse cit., p. 8.
(2.1) Coscienza individuale in Socrate - Γνῶθι σεαυτόν (“conosci te stesso”).
Socrate non ci parla di “anima collettiva” o di “comportamento del gregge”; ma di anima umana
(psyché) sì. Tradizionalmente Socrate viene dipinto come colui che porta a compimento una grande
opera già iniziata dai sofisti – quella d’avviare una filosofia morale (non più solo naturale), quella di
rendere oggetto della riflessione filosofica l’uomo e la sua natura (non più la sola physis). E’
interrogandosi sull’uomo, dunque, che Socrate avanza le sue idee fondamentali (o, meglio, quelle che
crediamo siano le sue idee fondamentali, per tramite di Platone e dei dialoghi quali l’Apologia,
l’Alcibiade maggiore e il Protagora):
 «l’uomo è la sua anima (psyché)»;
 la psyché «coincide con la nostra coscienza pensante e operante, con la nostra ragione
e con la sede della nostra attività razionale e morale»;
 di conseguenza la virtù dell’uomo (di questa psyché che è “coscienza pensante e
operante”) «è scienza o conoscenza, mentre il contrario della virtù, il vizio […], è
privazione di scienza e di conoscenza, vale a dire ignoranza».4
Da quest’ultima idea socratica deriva direttamente quella concezione che poi prenderà il nome
d’intellettualismo etico, per il quale «chi conosce il bene lo fa, e chi non lo fa agisce in tal modo non per
libera scelta ma per ignoranza del vero bene».5
Nella prospettiva socratica, dunque, la dimensione
intellettuale, razionale o, in altri termini, la dimensione del conoscere se stessi (per poter conoscere il
mondo) è determinante per quanto riguarda il compimento di un’azione eticamente corretta o, più
precisamente, per quanto riguarda il compimento di un’azione virtuosa. In breve, la coscienza
individuale è fondamentale per orientarsi al bene.
Ho deciso d’iniziare il nostro percorso a partire da Socrate perché mi sembra un’operazione
molto produttiva (produttiva a livello di spunti di riflessione) quella di addentrarci in un’analisi della
coscienza collettiva tenendo ben ferme considerazioni etiche quali quelle socratiche appena riportate
alla memoria. A questo punto, con un’operazione al limite della legittimità, facciamo un salto di
parecchi secoli e, accantonando per un attimo quanto Socrate ci diceva nel V sec. a.C. sulla coscienza
individuale, cerchiamo di vedere in maniera più estesa le idee che avanzano in maniera emblematica a
partire dal XIX e XX sec. alcuni autori (due filosofi e due psicologi) sulla coscienza collettiva, intendendo
con questo termine niente più che i modi in cui tendenzialmente il singolo sente, pensa e agisce
all’interno di una folla o di una massa. Una riflessione sulla folla o sulla massa infatti diventa
pienamente significativa e necessaria tra l’Ottocento ed il Novecento, quando ormai la rivoluzione
4
G. REALE, Storia della filosofia, Bompiani, Milano 2008, vol. I (dai presocratici ad Aristotele), pp. 192-7.
5
Definizione di “etica” in dizionario Treccani [http://www.treccani.it/enciclopedia/etica_(Dizionario-di-filosofia)/].
industriale matura pienamente i suoi frutti – tra i quali una massiccia urbanizzazione – e la società inizia
sempre più a massificarsi. Procediamo in maniera cronologica…
(2.2) Coscienza collettiva in Kierkegaard - la folla.
«Kierkegaard costruisce tutto il suo pensiero sulla categoria del singolo. [Al contrario di Hegel
che] prendeva in considerazione solo l’idea di umanità […], sostiene Kierkegaard, quello che conta è la
persona nella sua singolarità, unicità e irripetibilità […]. Nel suo Diario (1847), [egli] annota il seguente
pensiero: “la categoria del singolo è così legata al mio nome, che io vorrei che sulla mia tomba si
scrivesse: Quel singolo”».6
Oppure ancora «tutti i Discorsi [edificanti] (del 1843 fino agli ultimi del 1855)
si aprono con l’appello stereotipo (e polemico nei confronti di pubblico, folla, ecc…) a “quel singolo”».7
Questa enfasi sulla singolarità ha dei risvolti significativi, soprattutto a livello etico. Citando dal saggio di
Shelley O’Hara, «il pensatore attento all’esistenza […] sa bene che l’etica ha a che fare con esseri umani
particolari, con “ogni uomo inteso come questo uomo singolo”, ed è consapevole dell’incompletezza
dell’esistenza. La coscienza di essere un individuo esistente si manifesta sul piano etico nell’impegno
costante, nella realizzazione incessante, che non può essere mai completa fintantoché il soggetto è
nell’esistenza. Chi vive e pensa in questo modo non può mai essere vittima di illusioni [mentre vittima
di illusioni rimarrebbe la filosofia hegeliana che], “evitando di determinare il suo rapporto con
l’esistente, ignora […] l’etica: in quanto pensiero astratto, essa:
 pretende di innalzare l’individuo al di sopra delle sue condizioni temporali e contingenti
nel “puro essere” dell’astrazione ovvero nell’Idea e
 [si fa propugnatrice di un] pensiero oggettivo fondato sull’astrazione [che] rende
l’individuo irresponsabile».8
Infatti «aderire formalmente a determinate idee non costa nulla, il difficile è viverle
autenticamente e qui essenziale è l’individuo singolo, l’“io” [responsabile] con la sua capacità di scelta,
e non il “noi” indeterminato, la massa o la folla. La polemica contro la folla [diventa allora] un altro
tipico tema esistenziale kierkegaardiano».9
La sua eco, ad esempio, la si può percepire lungo tutto il
Diario: cito, «in ogni campo, per ogni oggetto […] sono sempre le minoranze, i pochi, i rarissimi, i Singoli
quelli che sanno: la Folla è ignorante». Oppure ancora: «[i] più non riescono a pensare: per ritenere
un’idea devono riunirsi in cricche dove si confermano a vicenda e asseriscono che quel che pensano è
giusto, altrimenti non oserebbero pensarlo. Stando così le cose è impossibile concepire il Singolo:
perché il Singolo è impossibile pensarlo “en masse”, per la ragione che lo si pensa appunto per
6
D. MASSARO, La comunicazione filosofica, Paravia, Milano-Torino 2002, vol. III (Il pensiero contemporaneo), p. 20.
7
D. BORSO, Introduzione in S. KIERKEGAARD, Discorsi edificanti (1843), Piemme, Casale Monferrato 1998, p. 10.
8
S. O’HARA, Kierkegaard alla portata di tutti. Un primo passo per comprendere Kierkegaard, Armando, Roma 2007, pp.
91-2.
9
Ibidem.
disperdere la massa».10
Di qui il filosofo danese svilupperà ulteriormente la polemica contro la folla sino
ad avanzare l’idea «che davanti a Dio non c’è l’“umanità”, ma un uomo individuale, un singolo».11
Così come per Socrate era necessaria la coscienza individuale per mettere in atto un
comportamento che possa definirsi etico, allo stesso modo anche per Kierkegaard è necessario “quel
singolo”, è necessaria una scelta autenticamente sentita da “quel singolo” per attuare un
comportamento che possa definirsi etico.
(2.3) Coscienza collettiva in Nietzsche – la morale del gregge.
Arrivando a Nietzsche, è risaputo che egli, secondo un’espressione fortunata di Ricouer, è
considerato assieme a Marx e a Freud un “maestro del sospetto”, un sospetto circa il fatto che
l’esperienza morale non sia libera ma che piuttosto in essa agiscano meccanismi automatici che il
soggetto subisce non esercitando la sua libertà. Già negli scritti del secondo periodo, Nietzsche avanza
la tesi che «la morale è […] l’espressione dei bisogni di una determinata comunità, a cui il singolo viene
soggiogato. Con la morale il singolo [perderebbe] ogni valore, dal momento che viene educato a
concepirsi in funzione del gregge, vale a dire ad attribuirsi valore soltanto in funzione degli altri».12
A
titolo emblematico, possiamo leggere ne La gaia scienza (1882): «l’Europeo si traveste con la morale,
giacché è divenuto una bestia malata, cagionevole, storpia, che ha buone ragioni per essere
“addomesticata”, essendo quasi un aborto di natura, qualcosa di dimezzato, di debole disgraziato […].
Non è la terribilità della bestia da preda a trovar necessario un travestimento morale, ma è l’animale
del gregge con la sua profonda mediocrità, paura e noia di se stesso. La morale agghinda l’Europeo –
confessiamolo! – facendo di lui una cosa più nobile, più importante, più rispettabile, “divina”».13
In
questo passo, prestando particolare attenzione, il disprezzo nietzscheano non ha per oggetto l’etica in
sé e per sé quanto la morale come “travestimento morale” che è necessario per l’animale del gregge. In
linea teorica, Nietzsche non si sta contrapponendo alla “coscienza individuale” di Socrate o a “quel
singolo” di Kierkegaard che sono alla base dell’etica; sta invece denunciando a gran voce l’uomo (nella
fattispecie l’Europeo) che, allorché si presenta a sé stesso nella sua nuda singolarità (fatta anche
d’istinti, di pulsioni, d’irrazionalità – ed ecco la “terribilità della bestia”), terrorizzato ne rifugge
accettando il travestimento morale che gli offre la comunità. Che Nietzsche non condanni l’etica in sé e
per sé ma piuttosto la morale in quanto generalmente intesa (la morale degli schiavi o del gregge di
contro alla morale dei signori), d’altronde lo si evince anche spostando l’attenzione su un’opera
fondamentale per il nostro tema – Genealogia della morale (1887). Pertanto soffermiamoci
brevemente su quest’opera.
10
Ibid., p. 93.
11
Ibidem.
12
D. MASSARO, La comunicazione filosofica cit., p. 228.
13
Ibidem.
Nella Prefazione Nietzsche sostiene di voler risalire all’origine dei comportamenti etici e dei
valori morali, «per cominciare a porre una buona volta in questione il valore stesso di questi valori».14
Di fatto, poi, con questo metodo genealogico, l’idea fondamentale che otterrà Nietzsche sarà «che i
valori morali sono nati da una particolare condizione [psicologica] definita ressentiment» e che «i tre
fenomeni centrali che costituiscono, nella sua prospettiva, la morale moderna – la distinzione tra bene
e male, il sentimento della colpa morale e l’ideale ascetico – si originano tutti dal ressentiment».15
Eppure, com’è stato sottolineato dalla critica, «l’origine psicologica di un giudizio non legittima alcuna
inferenza circa la verità del suo contenuto o la portata della sua validità. Anche se un’analisi psicologica
potesse stabilire che il credere nel valore della pietà abbia le proprie origini nel ressentiment, [per
esempio], questo non ci direbbe nulla relativamente al fatto che la pietà sia o non sia un valore, o
relativamente al fatto che la pietà sia o non sia un valore per tutti al di là dei casi particolari. Quindi la
critica psicologica nietzscheana è fallace se riferita ai giudizi di valore in sé, [all’etica in sé e per sé].
[Eppure in ultima istanza non lo è; e non lo è proprio] in quanto non ha a che fare con i giudizi di valore
in sé ma con lo stato psichico dell’agente [morale] i cui giudizi di valore sono nati dal ressentiment. Nello
specifico, questo agente [morale] – che Nietzsche chiama “l’uomo del ressentiment” – è “corrotto”:
manca dell’integrità di sé, un tratto che Nietzsche considera essenziale per la “nobiltà” di carattere».16
In breve, dunque, sotto accusa non è l’etica in sé e per sé, una morale forte (come quella dei signori
dove l’aristocratico non manca di sé) ma un particolare stato psichico (il ressentiment) che porta l’uomo
a creare in massa (in una condizione in cui l’uomo manca di sé) una morale “corrotta”. La morale
“corrotta”, la morale degli schiavi o del gregge, è tale perché mossa dal ressentiment che implica
“falsificazione”, “menzogna” (“falsificazione” e “menzogna” in primo luogo verso sé stessi!) – citando,
«mentre ogni morale aristocratica germoglia da un trionfante sì pronunciato a se stessi, la morale degli
schiavi dice fin dal principio no a un “di fuori”, a un “altro”, a un “non io” […]. Questo rovesciamento del
giudizio che stabilisce valori – questo necessario dirigersi all’esterno, anziché a ritroso verso se stessi –
si conviene appunto al ressentiment: la morale degli schiavi ha bisogno, per la sua nascita, sempre e in
primo luogo di un mondo opposto ed esteriore, ha bisogno, per esprimerci in termini psicologici, di
stimoli esterni per potere in generale agire – la sua azione è fondamentalmente una reazione [non
qualcosa che consiste in sé, ma qualcosa che manca di sé ed ha bisogno d’altro per divenire sé]. I
“bennati” si sentivano appunto come i “felici”; non avevano bisogno di costruire artificialmente la loro
felicità unicamente rivolgendo lo sguardo ai loro nemici, né di imporsela talora per forza di persuasione,
di menzogna (come sono soliti fare tutti gli uomini del ressentiment); e così pure, in quanto uomini
completi, sovraccarichi di forza, e perciò necessariamente attivi, non sapevano separare dalla felicità
14
F. NIETZSCHE, Genealogia della morale. Uno scritto polemico, Adelphi, Milano 2011, p. 8.
15
B. REGINSTER, Nietzsche on Ressentiment and valuation in «Philosophy and Phenomenological Research», Vol. 57, No.
2 (Jun., 1997), p. 282.
16
Ibid., p. 283.
l’agire […]. Mentre l’uomo nobile vive con fiducia e schiettezza davanti a se stesso […], l’uomo del
ressentiment non è né schietto né ingenuo né onesto e franco con se stesso».17
Il ressentiment è
dunque condannato da Nietzsche in quanto “menzogna” (reazione e non azione, risentimento e non
felicità); e a tale condanna segue quella che ricade sull’“uomo del ressentiment”, il soggetto della
morale del gregge, in quanto è colui che cede all’auto-inganno, è colui che si auto-inganna circa i valori
morali che egli abbraccia. E si badi bene che «va precisato che l’auto-inganno non è un semplice caso
d’illusione […]. L’illusione è una mancanza di conoscenza (“knowledge”), mentre l’auto-inganno è una
mancanza di riconoscimento (“acknowledgment”) di quanto un uomo sa o crede essere vero nel
profondo di sé».18
Misconoscere sé stessi, cedere alla “menzogna disonesta”,19
ossia all’auto-inganno
nel quale cade il gregge che non ha occhi da poter aprire per vedere sé stesso: questa è la denuncia
nietzscheana sottesa nell’intera Genealogia della morale.
Ancora una volta, dunque, magari un po’ forzatamente ma neanche tanto eccessivamente, il
“conosci te stesso” socratico sembra porsi come fondamento di un comportamento etico perlomeno non
deprecabile (come quello di una morale dei signori) mentre il suo misconoscimento sembra implicare lo
scadere in una morale “corrotta” da parte della collettività (la morale degli schiavi o del gregge).
(2.4) Coscienza collettiva in Le Bon e Freud – la psicologia delle folle e delle masse.
Nel 1895 l’etnologo e psicologo francese Gustave Le Bon pubblica Psicologia delle folle, che
costituì una vera e propria miniera d’oro per chi voleva comprendere il comportamento della massa, il
nuovo soggetto che si affacciava sulla scena politica negli ultimi decenni dell’Ottocento e che avrebbe
dominato tale scena nel Novecento. In quest’opera, principe nel suo ambito di studi, per sommi capi si
sostiene che «il comportamento della folla si basa sull’irrazionalità e sul riemergere dell’atavismo, cioè
di fasi evolutive superate dalla specie».20
Questo testo, peraltro accusato dai più di plagio, compendiava
in sé buona parte delle analisi dei maggiori studiosi in materia dell’epoca (quali Scipio Sighele, Cesare
Lombroso e Gabriel Tarde); e vieppiù, «in virtù dell’importanza attribuita alla vita psichica inconscia
[dell’individuo, che sembrerebbe riemergere nelle masse]»,21
fu ampiamente apprezzato anche da
Freud, che la considerò – nel secondo e terzo capitolo di Psicologia delle masse e analisi dell’io (1921) –
quale punto di partenza per le sue indagini di psicologia sociale. Di conseguenza non possiamo esimerci
dal riportare per inciso le tesi principali che Le Bon sostiene e, se rimane del tempo, lanciare uno
sguardo sommario alle intuizioni che su questa base Freud matura. Procediamo…
Per Le Bon la folla è «un agglomerato di uomini [che] possiede caratteri nuovi, molto diversi da
quelli degli individui di cui esso si compone. La personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee di
17
F. NIETZSCHE, Genealogia della morale cit., pp. 26-7.
18
B. REGINSTER, Nietzsche on Ressentiment and valuation cit., p. 298.
19
F. NIETZSCHE, Genealogia della morale cit., p. 133.
20
Definizione di “folla” in Dizionario di filosofia, a cura di Paolo Rossi, La Nuova Italia, Città di Castello, 2011.
21
S. FREUD, Psicologia delle masse cit., p. 25.
tutte le unità sono orientate in una stessa direzione. Si forma [così] un’anima collettiva [e la folla] forma
un solo essere e si trova sottomessa alla legge dell’unità mentale delle folle».22
Interrompendo
momentaneamente la descrizione di Le Bon, due sono le caratteristiche che emergono fin da subito
gettando un occhio sulla folla: l’individuo immerso in una folla differisce dall’individuo isolato e, come
conseguenza del tramonto del singolo, si ha l’alba di una nuova entità – non per forza di cose
ipostatizzabile –, un’“anima collettiva” quale risultante dell’orientamento di tutti i singoli verso una
medesima direzione. A partire da queste due caratteristiche, riprendiamo Le Bon e vediamo più da
vicino in che modo la coscienza individuale del singolo s’incontra e si scontra con la coscienza collettiva,
con l’“anima collettiva”. In primo luogo, «nell’anima collettiva, le attitudini intellettuali degli uomini […]
si cancellano […]. L’eterogeneo si sommerge nell’omogeneo, e le qualità incoscienti dominano».23
In
secondo luogo, «l’individuo in massa acquista, per il solo fatto del numero, un sentimento di potenza
invincibile. Ciò gli permette di cedere a istinti che, se fosse rimasto solo, avrebbe necessariamente
tenuto a freno. [Ed invece] vi cederà tanto più volentieri in quanto – la massa essendo anonima e
dunque irresponsabile – il senso di responsabilità, che raffrena sempre gli individui, scompare del
tutto».24
In terzo luogo, Le Bon menziona «il contagio mentale […], un fenomeno […] che bisogna
ricollegare ai fenomeni di ordine ipnotico […]. In una folla, ogni sentimento, ogni atto è contagioso, e
contagioso a tal punto che l’individuo sacrifica il suo interesse personale all’interesse collettivo».25
In
quarto luogo, approfondendo il parallelo tra i “fenomeni di ordine ipnotico” e il comportamento della
folla, Le Bon sottolinea come ulteriore caratteristica fondante di una massa la “suggestionabilità” e la
descrive con riferimento alle “scoperte recenti della fisiologia”: «noi oggi sappiamo che un individuo
può essere posto in uno stato tale che, avendo perduto la sua personalità cosciente, obbedisce a tutte
le suggestioni dell’operatore che gliel’ha fatta perdere, e commette gli atti più contrari al suo carattere
e alle sue abitudini. Orbene, osservazioni attente sembrano provare che l’individuo immerso da qualche
tempo nel mezzo di una massa attiva cada […] in uno stato particolare, assai simile alla fascinazione
dell’ipnotizzato nelle mani dell’ipnotizzatore […]. La personalità cosciente è svanita, la volontà e il
discernimento aboliti. Sentimenti e pensieri vengono orientati nella direzione voluta
dall’ipnotizzatore».26
A questo punto Le Bon conclude questa prima disamina (alla quale noi in questa
sede ci arrestiamo), questa prima disamina dei caratteri della folla osservando che, «per il solo fatto di
far parte di una folla, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un
individuo colto; nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro».27
22
G. LE BON, Psicologia delle folle cit., p. 2.
23
Ibid., p. 5.
24
Ibidem.
25
Ibidem.
26
Ibid., pp. 5-6.
27
Ibidem.
Questo spiraglio che si apre verso uno stadio arcaico della vita umana, e quindi verso una sorta
di animalità, costituisce il luogo ideale per introdurre (finalmente!) il concetto di “comportamento del
gregge”: il “comportamento del gregge” banalmente altro non è che un’espressione con la quale
s’indica il comportamento descritto fin qui da Le Bon (ma in precedenza da Kierkegaard quando parla
della “folla” e da Nietzsche quando parla del “gregge”) – ovverosia “il comportamento di un gruppo di
individui che reagisce coerentemente, senza che ci sia alcun coordinamento tra i singoli individui”.
Questo gruppo di individui è denotato con il nome di “gregge”, il quale, piuttosto che muoversi in una
direzione con cognizione di causa, sfruttando le coscienze individuali dei singoli che la compongono, si
muove appunto “senza che ci sia alcun coordinamento”, alcuna reale volontà ed alcuna reale coscienza
verso una qualche direzione. Non a caso, a riprova di queste affermazioni e sorvolando di nuovo sulle
indagini di Le Bon, è evidente che gli atti di una folla «subiscono molto più l’influenza del midollo
spinale che quella del cervello» perché «la massa è impulsiva, mutevole e irritabile […], governata quasi
per intero dall’inconscio [e di conseguenza] straordinariamente influenzabile e credula; è acritica, per
essa non esiste l’inverosimile. Pensa per immagini [e] queste immagini non vengono valutate da alcuna
istanza ragionevole circa il loro accordo con la realtà […]. La massa non conosce quindi né dubbi né
incertezze»28
o meglio, fuori di citazione, la massa non conosce affatto.
Se giunti a questo punto ci è possibile riportare alla memoria l’intellettualismo etico socratico
(per cui la conoscenza di sé stessi e del bene, e quindi la coscienza individuale, sta alla base non solo di
un’azione buona o virtuosa ma di un’azione che voglia dirsi etica); ecco, se giunti a questo punto ci è
possibile riportare alla memoria Socrate ma anche l’accesa polemica sulla “folla” di Kierkegaard (una
folla nella quale viene a mancare “quel singolo” e quindi l’etica stessa) e la critica caustica alla “morale
del gregge” di Nietzsche (una morale dove non è l’uomo che riconosce sé stesso quale creatore di valori
ma dove piuttosto l’uomo misconosce sé stesso accettando dis-valori frutto del ressentiment); se giunti
a questo punto ci è possibile ricordare che il “conosci te stesso” è alla base dell’etica, una massa o una
folla che non conoscono affatto difficilmente possono farsi carico di azioni che, nella prospettiva
delineata, possano definirsi etiche. Non sono la conoscenza, la responsabilità, la volontà a muovere le
folle, bensì sono l’istinto, l’inconscio, la passività – e, in un contesto simile, facciamo difficoltà persino a
parlare di etica, se seguiamo le orme tracciate fin qui dai filosofi presi in considerazione, ma anche solo
se seguiamo il buon senso (per cui le azioni umane acquistano i caratteri della moralità in quanto
espressamente voluti, desiderati e perseguiti dalla libera volontà umana – tutto il contrario delle
caratteristiche che presentano le azioni di massa… Se mi è concesso divagare, lo stesso Nietzsche, il
Nietzsche più irrazionalista, per quanto riconosca essere l’istinto e l’inconscio alla base della vita umana,
c’invita con la sua filosofia a non agire in balia di esso ma a prenderne pienamente coscienza, a farci
carico noi di questo istinto e a non lasciare che sia l’istinto a farsi beffe di noi. A tal proposito, piuttosto
28
Cfr. ibid., pp. 7-19.
che chiudere questa divagazione e riprendere il Freud di Psicologia delle masse e analisi dell’Io – dove,
almeno per quanto riguarda il tema che interessa a noi, si compie una trasposizione in chiave
psicoanalitica delle analisi di Le Bon –, riprenderei il Freud dell’Introduzione alla psicoanalisi del 1932, là
dove afferma “wo Es war soll Ich werden” (“L’Io dev’essere là dove era l’Es”). Là dove c’è irrazionalità,
passività, inconscio (l’Es), là con la psicoanalisi dovrebbero cercare d’insediarsi la razionalità, l’attività,
la coscienza (l’Io). Anche questa operazione infatti risponde all’imperativo dell’Oracolo di Delfi –
“conosci te stesso” –, l’imperativo che seguendo poi le orme di Socrate – ma anche di Kierkegaard e di
Nietzsche – diventa la base sulla quale deve necessariamente appoggiarsi un’azione che voglia definirsi
etica).
(3)	Comportamento	del	gregge:	ricerche	attuali
In anni recenti, all’interno dell’economia sperimentale, stanno nascendo nuovi ambiti di ricerca,
quali la “finanza comportamentale” (che applica la psicologia cognitiva alla comprensione delle
decisioni economiche e come queste si riflettano nei prezzi di mercato e nell’allocazione delle risorse) e
la “socionomics” (che studia le relazioni che sussistono tra gli “stati d’animo sociali” (social moods) e il
“comportamento sociale” (social behaviour), per analizzare la loro influenza nell’economia, nei mercati
finanziari e nella politica). Queste discipline neonate hanno già partorito ricerche piuttosto interessanti;
in particolare, al centro di molti studi, è stato messo in rilievo il fatto che l’human herding behaviour (il
“comportamento umano del gregge”), che «è il risultato di un’attività mentale impulsiva nell’individuo
in risposta a segnali del comportamento degli altri, […] è inappropriato e controproducente per quanto
concerne il successo in [diverse] situazioni finanziarie».29
(per inciso, in taluni casi sarebbe tanto
inappropriato e controproducente al punto da instaurare un sommovimento tale per cui si vengono a
creare nel mercato finanziario le cosiddette bolle speculative, come quella che a partire dal 2006
avrebbe interessato il mercato immobiliare statunitense, poi caduto in crisi al momento dello scoppio
della bolla nel 2008) Tornando a noi, la teoria “socionomica” descrive il “comportamento del gregge”
come «un modello di comportamento inconscio e prerazionale che pone in essere dinamiche endogene
evolutesi in gruppi omogenei di esseri umani in contesti di incertezza».30
Un volta definito il
“comportamento del gregge”, secondo questa teoria gli impulsi inconsci condivisi dal “gregge” in
contesti di incertezza portano all’emergenza di dinamiche psicologiche di massa che si manifestano
come tendenze a propendere per certi stati d’animo sociali, i quali sono poi la causa delle azioni sociali
29
R. R. PRECHTER, Unconscious herding behavior as the psychological basis of financial market trends and patterns in
«The journal of psychology and financial markets», Vol. 2 (No.3), 2001, p. 120.
30
W.D. PARKER, Herding: an interdisciplinary integrative review from a socioeconomic perspective, presented at the
International Conference on Cognitive Economics (Sofia, Bulgaria, August, 5/8 – 2005),
[http://www.socionomics.org/pdf/herding_integrativereview.pdf], p. 4.
– ed economiche – e che sono modellabili e probabilisticamente prevedibili, in quanto rispondono ai
principi della geometria frattale e alla matematica di Fibonacci».31
Ciò che interessa estrapolare da
questo contesto a noi è la conferma che anche gli studi più moderni e le ricerche più attuali, tendono a
sottolineare il carattere del “comportamento del gregge” classificandolo come “inconscio”,
“prerazionale”, particolarmente rassicurante (perché illusorio) in “contesti d’incertezza” (perché
banalmente, “quando gli esseri umani non sanno, sono portati ad agire come fanno gli altri”) e quindi,
in ultima istanza, mosso da “stati d’animo sociali” piuttosto che dalla razionalità, da una reale
conoscenza da parte dell’individuo.
D’altronde si tratta di risultati che hanno un loro fondamento anche a livello neuroscientifico.
Rifacendoci alla tripartizione del cervello in termini di funzione avanzata dal ricercatore canadese Paul
MacLean, abbiamo la corteccia cerebrale (che regola i processi intellettivi superiori), il sistema limbico
(che controlla le nostre emozioni) ed il nucleo centrale o tronco encefalico (che regola i nostri
comportamenti più primitivi). La “socionomics” ritiene che (1) proprio quest’ultimo, proprio il tronco
encefalico, assieme ad operazioni quali lottare, fuggire, ecc… , sia responsabile anche dei
comportamenti imitativi (quali il nostro “comportamento del gregge”); ritiene che (2) la corteccia, la
parte razionale del cervello, non possa influire su queste porzioni cerebrali e, in più, ritiene che (3) le
risposte agli impulsi neuronali del sistema limbico siano più veloci di circa 40 millisecondi rispetto alle
risposte della corteccia cerebrale e che pertanto le emozioni e ciò che è legato ad esse (quali il
“comportamento del gregge”) «spesso non sono reazioni ad idee ben soppesate ma reazioni immediate
a percezioni rilasciate dai sensi».32
Pertanto è ormai evidente che, quando ci troviamo di fronte ad una
coscienza collettiva, spesso non siamo nel terreno delle «decisioni razionali delle menti individuali [che,
seguendo le orme di Socrate, Kierkegaard e Nietzsche potrebbero essere definite etiche in un senso
pieno] ma piuttosto [siamo nel terreno] delle peculiari sensibilità collettive del “gregge”».33
Queste constatazioni hanno sicuramente un grande rilievo a livello economico. Già a partire
dagli anni ’20 del XX secolo si avanzava l’idea che «gli individui correggono periodicamente i propri
errori di pensiero quando agiscono da soli ma abbandonano la loro responsabilità nel fare questo nel
momento in cui si ritrovano [entro un contesto] di grande approvazione sociale»; ancora oggi Wall
Street condivide molti aspetti che caratterizzano una folla ed è sotto gli occhi di tutti che l’ottimismo o il
pessimismo di certi operatori di mercato, con questi loro sentimenti (e non tanto con delle provate
ragioni!), riescono a muovere le tendenze e i valori del mercato finanziario ed economico in generale.34
Ma, gli studi sul “comportamento del gregge” dal campo economico, possono tornare di nuovo
nell’ambito delle riflessioni etiche. La lezione che ne possiamo trarre allora potrebbe essere che,
31
Ibidem.
32
R. R. PRECHTER, Unconscious herding behavior cit., p. 120.
33
Ibid., p. 121.
34
Ibidem.
seppure il comportamento del “gregge” (a proposito del quale si è nutrito lungo tutto il corso di
quest’esposizione un forte dubbio se poterlo considerare etico o meno); dunque, seppure un tale
comportamento si è rilevato profondamente connaturato nella natura umana al punto da avere delle
basi biologiche nell’uomo e una rilevanza economica non indifferente, ciò non c’impedisce di scrutarlo
nella sua genesi e nelle sue forme, di riconoscere questo misconoscere l’uomo da parte dell’uomo,
questa perdita di coscienza individuale che rischia di allontanarci dal campo propriamente etico
dell’agire umano e di rimetterci così, con uno sguardo fisso su di esso, lungo quel cammino
antropologico ed etico che c’indicava l’oracolo di Delfi e che neppure Nietzsche, per quanto potesse
aborrire Socrate, si sentiva di abbandonare:
Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza,
noi stessi a noi stessi: è questo un fatto che ha le sue buone ragioni.
Non abbiamo mai cercato noi stessi – come potrebbe mai accadere
che ci si possa, un bel giorno, trovare? Non a torto è stato detto:
«Dove è il vostro tesoro, là è anche il vostro cuore»; il nostro tesoro è là
dove sono gli alveari della nostra conoscenza»
(F. Nietzsche, Genealogia della morale, Prefazione, I)
Bibliografia
 FREUD, S., Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Bollati-Boringhieri, Torino 2012.
 KIERKEGAARD, S., Discorsi edificanti (1843), Piemme, Casale Monferrato 1998.
 LE BON, G., Psicologia delle folle, Milano, Longanesi 1970.
 MASSARO, D., La comunicazione filosofica, Paravia, Milano-Torino 2002, vol. III (Il pensiero
contemporaneo).
 NIETZSCHE, F., Genealogia della morale. Uno scritto polemico, Adelphi, Milano 2011.
 O’HARA, S., Kierkegaard alla portata di tutti. Un primo passo per comprendere Kierkegaard,
Armando, Roma 2007.
 PARKER, W. D., Herding: an interdisciplinary integrative review from a socioeconomic perspective,
presented at the International Conference on Cognitive Economics (Sofia, Bulgaria, August, 5/8 –
2005), pp. 1-11.
 PRECHTER, R. R., Unconscious herding behavior as the psychological basis of financial market trends
and patterns in «The journal of psychology and financial markets», Vol. 2 (No.3), 2001, pp. 120-5.
 REALE, G., Storia della filosofia, Bompiani, Milano 2008, vol. I (dai presocratici ad Aristotele).
 REGINSTER, B., Nietzsche on ressentiment and valuation in «Philosophy and Phenomenological
Research», Vol. 57, No. 2 (Jun., 1997), pp. 281-305.
 ROSSI, P., Dizionario di filosofia, La Nuova Italia, Città di Castello, 2011.

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Comportamento del gregge

  • 1. Comportamento del gregge Un percorso concettuale tra coscienza individuale e coscienza collettiva “Conosci te stesso”, questo l’imperativo socratico che faceva della coscienza individuale un presupposto fondamentale per ciò che voglia definirsi “etica”. Nel momento in cui una collettività si aggrega e pone in atto comportamenti, emblematicamente denotati con l’espressione “comportamento del gregge”, la coscienza individuale sembra venire meno e così la possibilità stessa di parlare di etica a livello sociale. Anno accademico 2012-2013 Tesina di Etica sociale Docente: J-F. Malherbe Studente: M. Aluigi
  • 2. Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi a noi stessi: è questo un fatto che ha le sue buone ragioni. Non abbiamo mai cercato noi stessi – come potrebbe mai accadere che ci si possa, un bel giorno, trovare? Non a torto è stato detto: «Dove è il vostro tesoro, là è anche il vostro cuore»; il nostro tesoro è là dove sono gli alveari della nostra conoscenza» (F. Nietzsche, Genealogia della morale, Prefazione, I) (1) Precisazione iniziale del tema Il tema inizialmente concordato con il professore – “incontro (e scontro) tra coscienza individuale e coscienza collettiva” – è un tema piuttosto vago. Per evitare questa vaghezza, in un primo momento avevo maturato l’intenzione di circoscrivere il tema, riducendolo ad alcune considerazioni di carattere teoretico e psicologico (quindi un lavoro concettuale piuttosto che storico) circa le analogie e le differenze che sussistono tra il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è portato a seguire in quanto singolo ed il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è portato a seguire in quanto parte di una collettività (di una moltitudine, di una folla, di una massa). Questo quanto ero intenzionato ad approfondire in un primo momento. Eppure, a partire da tale terreno, due letture hanno determinato un cambiamento di programma. Nel capitolo introduttivo di Psicologia delle masse e analisi dell’Io (1921), Freud stesso sottolinea che «la contrapposizione tra psicologia individuale e psicologia sociale o delle masse, contrapposizione che a prima vista può sembrarci molto importante, perde, a una considerazione più attenta, gran parte della sua nettezza. [Infatti] nella vita […] del singolo l’altro è regolarmente presente come modello, come oggetto, come soccorritore, come nemico, e pertanto, in quest’accezione più ampia ma indiscutibilmente legittima, la psicologia individuale è anche, fin dall’inizio, psicologia sociale».1 Relativamente al mio tema, ciò si traduce nella constatazione dell’inutilità di procedere ad un’analisi di analogie e differenze tra il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è portato a seguire in quanto singolo ed il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è portato a seguire in quanto parte di una collettività. Questo perché la dicotomia singolo-collettività non è tanto netta da consentirci di parlare di psicologie, modi di comportamento e principi etici individuali da un canto e di massa dall’altro. La seconda lettura che ha determinato un cambiamento di programma per quanto riguarda la scelta del mio tema è stato un insieme di testi e di articoli relativi allo studio della folla e della massa – qui ricordo solo le opere che più hanno segnato la storia di questo indirizzo di studi: Psicologia delle folle (1895) di Gustave Le Bon e Massa e potere di Elias Canetti (1960). Questi testi e articoli, pur non 1 S. FREUD, Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Bollati-Boringhieri, Torino 2012, p. 11.
  • 3. scadendo nell’errore della contrapposizione dicotomica singolo-collettività, finiscono nella maggior parte dei casi per evidenziare che in una massa – citando più o meno fedelmente Le Bon – «gli individui che la compongono – indipendentemente dal tipo di vita, dalle occupazioni, dal temperamento o dall’intelligenza – acquistano una sorta di anima collettiva per il solo fatto di trasformarsi in massa. Tale anima li fa sentire, pensare e agire in un modo del tutto diverso da come ciascuno di loro – isolatamente – sentirebbe, penserebbe e agirebbe».2 E una volta teorizzata l’esistenza di quest’anima collettiva, in questi testi ed articoli si fa spesso un passo ulteriore, ritenendo che tale anima collettiva sia «da una parte infinitamente più elementare e passionale, e dall’altra considerevolmente più stupida e incline alle illusioni di quella dei singoli individui che la compongono; che questi ultimi – per effetto della “suggestione” e del “contagio” esercitato dalla massa – tanto perdono in autonomia e iniziativa intellettuale quanto in equilibrio e libero discernimento morale, acquistando in cambio un sentimento di forza che deriva loro dall’essere parte di un tutto rassicurante e coerente».3 Quindi, dicevo, la lettura di Freud da un canto e di alcuni testi ed articoli relativi allo studio delle masse, hanno determinato questo piccolo cambio di programma nella scelta del tema da trattare: non più un’analisi delle analogie e differenze tra il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è portato a seguire in quanto singolo ed il modo di comportarsi del singolo ed i principi etici che egli è portato a seguire in quanto parte di una collettività (perché sarebbe un’analisi che si regge su una dicotomia che non regge) ma piuttosto l’approfondimento di quella che Le Bon ha chiamato “anima collettiva” e del suo influsso nel comportamento del singolo che ne è parte. Tuttavia, essendo ancora estremamente vago come tema, nella fattispecie si tratterà di vedere più da vicino non tutti i tipi di comportamento che sembrano essere frutto dell’essere parte, da parte del singolo, di un’“anima collettiva” condivisa da una massa, ma solo un particolare tipo di comportamento – quello che è stato definito il “comportamento del gregge” (cfr. l’ “herd mentality” (mentalità del gregge) teorizzata da Wilfred Trotter), che in soldoni consiste in quanto poco prima accennato (ossia nel fatto che i singoli individui in massa tendono ad essere parte di un’anima collettiva passionale, poco autonoma e con debole iniziativa intellettuale per quanto riguarda ad esempio il discernimento morale…)… Ma, anziché fornire subito una definizione rigorosa per quest’espressione, preferirei che c’arrivassimo passo a passo insieme, seguendo un percorso, un percorso che vorrei far partire da lontano nel tempo… da Socrate. (2) Comportamento del singolo - vs - comportamento del gregge 2 G. LE BON, Psicologia delle folle, [http://www.scribd.com/doc/46551397/Psicologia-Delle-Folle-Gustave-Le-Bon- democrazia-dittatura-liberta-ebook], p. 4, corsivo nostro. 3 S. FREUD, Psicologia delle masse cit., p. 8.
  • 4. (2.1) Coscienza individuale in Socrate - Γνῶθι σεαυτόν (“conosci te stesso”). Socrate non ci parla di “anima collettiva” o di “comportamento del gregge”; ma di anima umana (psyché) sì. Tradizionalmente Socrate viene dipinto come colui che porta a compimento una grande opera già iniziata dai sofisti – quella d’avviare una filosofia morale (non più solo naturale), quella di rendere oggetto della riflessione filosofica l’uomo e la sua natura (non più la sola physis). E’ interrogandosi sull’uomo, dunque, che Socrate avanza le sue idee fondamentali (o, meglio, quelle che crediamo siano le sue idee fondamentali, per tramite di Platone e dei dialoghi quali l’Apologia, l’Alcibiade maggiore e il Protagora):  «l’uomo è la sua anima (psyché)»;  la psyché «coincide con la nostra coscienza pensante e operante, con la nostra ragione e con la sede della nostra attività razionale e morale»;  di conseguenza la virtù dell’uomo (di questa psyché che è “coscienza pensante e operante”) «è scienza o conoscenza, mentre il contrario della virtù, il vizio […], è privazione di scienza e di conoscenza, vale a dire ignoranza».4 Da quest’ultima idea socratica deriva direttamente quella concezione che poi prenderà il nome d’intellettualismo etico, per il quale «chi conosce il bene lo fa, e chi non lo fa agisce in tal modo non per libera scelta ma per ignoranza del vero bene».5 Nella prospettiva socratica, dunque, la dimensione intellettuale, razionale o, in altri termini, la dimensione del conoscere se stessi (per poter conoscere il mondo) è determinante per quanto riguarda il compimento di un’azione eticamente corretta o, più precisamente, per quanto riguarda il compimento di un’azione virtuosa. In breve, la coscienza individuale è fondamentale per orientarsi al bene. Ho deciso d’iniziare il nostro percorso a partire da Socrate perché mi sembra un’operazione molto produttiva (produttiva a livello di spunti di riflessione) quella di addentrarci in un’analisi della coscienza collettiva tenendo ben ferme considerazioni etiche quali quelle socratiche appena riportate alla memoria. A questo punto, con un’operazione al limite della legittimità, facciamo un salto di parecchi secoli e, accantonando per un attimo quanto Socrate ci diceva nel V sec. a.C. sulla coscienza individuale, cerchiamo di vedere in maniera più estesa le idee che avanzano in maniera emblematica a partire dal XIX e XX sec. alcuni autori (due filosofi e due psicologi) sulla coscienza collettiva, intendendo con questo termine niente più che i modi in cui tendenzialmente il singolo sente, pensa e agisce all’interno di una folla o di una massa. Una riflessione sulla folla o sulla massa infatti diventa pienamente significativa e necessaria tra l’Ottocento ed il Novecento, quando ormai la rivoluzione 4 G. REALE, Storia della filosofia, Bompiani, Milano 2008, vol. I (dai presocratici ad Aristotele), pp. 192-7. 5 Definizione di “etica” in dizionario Treccani [http://www.treccani.it/enciclopedia/etica_(Dizionario-di-filosofia)/].
  • 5. industriale matura pienamente i suoi frutti – tra i quali una massiccia urbanizzazione – e la società inizia sempre più a massificarsi. Procediamo in maniera cronologica… (2.2) Coscienza collettiva in Kierkegaard - la folla. «Kierkegaard costruisce tutto il suo pensiero sulla categoria del singolo. [Al contrario di Hegel che] prendeva in considerazione solo l’idea di umanità […], sostiene Kierkegaard, quello che conta è la persona nella sua singolarità, unicità e irripetibilità […]. Nel suo Diario (1847), [egli] annota il seguente pensiero: “la categoria del singolo è così legata al mio nome, che io vorrei che sulla mia tomba si scrivesse: Quel singolo”».6 Oppure ancora «tutti i Discorsi [edificanti] (del 1843 fino agli ultimi del 1855) si aprono con l’appello stereotipo (e polemico nei confronti di pubblico, folla, ecc…) a “quel singolo”».7 Questa enfasi sulla singolarità ha dei risvolti significativi, soprattutto a livello etico. Citando dal saggio di Shelley O’Hara, «il pensatore attento all’esistenza […] sa bene che l’etica ha a che fare con esseri umani particolari, con “ogni uomo inteso come questo uomo singolo”, ed è consapevole dell’incompletezza dell’esistenza. La coscienza di essere un individuo esistente si manifesta sul piano etico nell’impegno costante, nella realizzazione incessante, che non può essere mai completa fintantoché il soggetto è nell’esistenza. Chi vive e pensa in questo modo non può mai essere vittima di illusioni [mentre vittima di illusioni rimarrebbe la filosofia hegeliana che], “evitando di determinare il suo rapporto con l’esistente, ignora […] l’etica: in quanto pensiero astratto, essa:  pretende di innalzare l’individuo al di sopra delle sue condizioni temporali e contingenti nel “puro essere” dell’astrazione ovvero nell’Idea e  [si fa propugnatrice di un] pensiero oggettivo fondato sull’astrazione [che] rende l’individuo irresponsabile».8 Infatti «aderire formalmente a determinate idee non costa nulla, il difficile è viverle autenticamente e qui essenziale è l’individuo singolo, l’“io” [responsabile] con la sua capacità di scelta, e non il “noi” indeterminato, la massa o la folla. La polemica contro la folla [diventa allora] un altro tipico tema esistenziale kierkegaardiano».9 La sua eco, ad esempio, la si può percepire lungo tutto il Diario: cito, «in ogni campo, per ogni oggetto […] sono sempre le minoranze, i pochi, i rarissimi, i Singoli quelli che sanno: la Folla è ignorante». Oppure ancora: «[i] più non riescono a pensare: per ritenere un’idea devono riunirsi in cricche dove si confermano a vicenda e asseriscono che quel che pensano è giusto, altrimenti non oserebbero pensarlo. Stando così le cose è impossibile concepire il Singolo: perché il Singolo è impossibile pensarlo “en masse”, per la ragione che lo si pensa appunto per 6 D. MASSARO, La comunicazione filosofica, Paravia, Milano-Torino 2002, vol. III (Il pensiero contemporaneo), p. 20. 7 D. BORSO, Introduzione in S. KIERKEGAARD, Discorsi edificanti (1843), Piemme, Casale Monferrato 1998, p. 10. 8 S. O’HARA, Kierkegaard alla portata di tutti. Un primo passo per comprendere Kierkegaard, Armando, Roma 2007, pp. 91-2. 9 Ibidem.
  • 6. disperdere la massa».10 Di qui il filosofo danese svilupperà ulteriormente la polemica contro la folla sino ad avanzare l’idea «che davanti a Dio non c’è l’“umanità”, ma un uomo individuale, un singolo».11 Così come per Socrate era necessaria la coscienza individuale per mettere in atto un comportamento che possa definirsi etico, allo stesso modo anche per Kierkegaard è necessario “quel singolo”, è necessaria una scelta autenticamente sentita da “quel singolo” per attuare un comportamento che possa definirsi etico. (2.3) Coscienza collettiva in Nietzsche – la morale del gregge. Arrivando a Nietzsche, è risaputo che egli, secondo un’espressione fortunata di Ricouer, è considerato assieme a Marx e a Freud un “maestro del sospetto”, un sospetto circa il fatto che l’esperienza morale non sia libera ma che piuttosto in essa agiscano meccanismi automatici che il soggetto subisce non esercitando la sua libertà. Già negli scritti del secondo periodo, Nietzsche avanza la tesi che «la morale è […] l’espressione dei bisogni di una determinata comunità, a cui il singolo viene soggiogato. Con la morale il singolo [perderebbe] ogni valore, dal momento che viene educato a concepirsi in funzione del gregge, vale a dire ad attribuirsi valore soltanto in funzione degli altri».12 A titolo emblematico, possiamo leggere ne La gaia scienza (1882): «l’Europeo si traveste con la morale, giacché è divenuto una bestia malata, cagionevole, storpia, che ha buone ragioni per essere “addomesticata”, essendo quasi un aborto di natura, qualcosa di dimezzato, di debole disgraziato […]. Non è la terribilità della bestia da preda a trovar necessario un travestimento morale, ma è l’animale del gregge con la sua profonda mediocrità, paura e noia di se stesso. La morale agghinda l’Europeo – confessiamolo! – facendo di lui una cosa più nobile, più importante, più rispettabile, “divina”».13 In questo passo, prestando particolare attenzione, il disprezzo nietzscheano non ha per oggetto l’etica in sé e per sé quanto la morale come “travestimento morale” che è necessario per l’animale del gregge. In linea teorica, Nietzsche non si sta contrapponendo alla “coscienza individuale” di Socrate o a “quel singolo” di Kierkegaard che sono alla base dell’etica; sta invece denunciando a gran voce l’uomo (nella fattispecie l’Europeo) che, allorché si presenta a sé stesso nella sua nuda singolarità (fatta anche d’istinti, di pulsioni, d’irrazionalità – ed ecco la “terribilità della bestia”), terrorizzato ne rifugge accettando il travestimento morale che gli offre la comunità. Che Nietzsche non condanni l’etica in sé e per sé ma piuttosto la morale in quanto generalmente intesa (la morale degli schiavi o del gregge di contro alla morale dei signori), d’altronde lo si evince anche spostando l’attenzione su un’opera fondamentale per il nostro tema – Genealogia della morale (1887). Pertanto soffermiamoci brevemente su quest’opera. 10 Ibid., p. 93. 11 Ibidem. 12 D. MASSARO, La comunicazione filosofica cit., p. 228. 13 Ibidem.
  • 7. Nella Prefazione Nietzsche sostiene di voler risalire all’origine dei comportamenti etici e dei valori morali, «per cominciare a porre una buona volta in questione il valore stesso di questi valori».14 Di fatto, poi, con questo metodo genealogico, l’idea fondamentale che otterrà Nietzsche sarà «che i valori morali sono nati da una particolare condizione [psicologica] definita ressentiment» e che «i tre fenomeni centrali che costituiscono, nella sua prospettiva, la morale moderna – la distinzione tra bene e male, il sentimento della colpa morale e l’ideale ascetico – si originano tutti dal ressentiment».15 Eppure, com’è stato sottolineato dalla critica, «l’origine psicologica di un giudizio non legittima alcuna inferenza circa la verità del suo contenuto o la portata della sua validità. Anche se un’analisi psicologica potesse stabilire che il credere nel valore della pietà abbia le proprie origini nel ressentiment, [per esempio], questo non ci direbbe nulla relativamente al fatto che la pietà sia o non sia un valore, o relativamente al fatto che la pietà sia o non sia un valore per tutti al di là dei casi particolari. Quindi la critica psicologica nietzscheana è fallace se riferita ai giudizi di valore in sé, [all’etica in sé e per sé]. [Eppure in ultima istanza non lo è; e non lo è proprio] in quanto non ha a che fare con i giudizi di valore in sé ma con lo stato psichico dell’agente [morale] i cui giudizi di valore sono nati dal ressentiment. Nello specifico, questo agente [morale] – che Nietzsche chiama “l’uomo del ressentiment” – è “corrotto”: manca dell’integrità di sé, un tratto che Nietzsche considera essenziale per la “nobiltà” di carattere».16 In breve, dunque, sotto accusa non è l’etica in sé e per sé, una morale forte (come quella dei signori dove l’aristocratico non manca di sé) ma un particolare stato psichico (il ressentiment) che porta l’uomo a creare in massa (in una condizione in cui l’uomo manca di sé) una morale “corrotta”. La morale “corrotta”, la morale degli schiavi o del gregge, è tale perché mossa dal ressentiment che implica “falsificazione”, “menzogna” (“falsificazione” e “menzogna” in primo luogo verso sé stessi!) – citando, «mentre ogni morale aristocratica germoglia da un trionfante sì pronunciato a se stessi, la morale degli schiavi dice fin dal principio no a un “di fuori”, a un “altro”, a un “non io” […]. Questo rovesciamento del giudizio che stabilisce valori – questo necessario dirigersi all’esterno, anziché a ritroso verso se stessi – si conviene appunto al ressentiment: la morale degli schiavi ha bisogno, per la sua nascita, sempre e in primo luogo di un mondo opposto ed esteriore, ha bisogno, per esprimerci in termini psicologici, di stimoli esterni per potere in generale agire – la sua azione è fondamentalmente una reazione [non qualcosa che consiste in sé, ma qualcosa che manca di sé ed ha bisogno d’altro per divenire sé]. I “bennati” si sentivano appunto come i “felici”; non avevano bisogno di costruire artificialmente la loro felicità unicamente rivolgendo lo sguardo ai loro nemici, né di imporsela talora per forza di persuasione, di menzogna (come sono soliti fare tutti gli uomini del ressentiment); e così pure, in quanto uomini completi, sovraccarichi di forza, e perciò necessariamente attivi, non sapevano separare dalla felicità 14 F. NIETZSCHE, Genealogia della morale. Uno scritto polemico, Adelphi, Milano 2011, p. 8. 15 B. REGINSTER, Nietzsche on Ressentiment and valuation in «Philosophy and Phenomenological Research», Vol. 57, No. 2 (Jun., 1997), p. 282. 16 Ibid., p. 283.
  • 8. l’agire […]. Mentre l’uomo nobile vive con fiducia e schiettezza davanti a se stesso […], l’uomo del ressentiment non è né schietto né ingenuo né onesto e franco con se stesso».17 Il ressentiment è dunque condannato da Nietzsche in quanto “menzogna” (reazione e non azione, risentimento e non felicità); e a tale condanna segue quella che ricade sull’“uomo del ressentiment”, il soggetto della morale del gregge, in quanto è colui che cede all’auto-inganno, è colui che si auto-inganna circa i valori morali che egli abbraccia. E si badi bene che «va precisato che l’auto-inganno non è un semplice caso d’illusione […]. L’illusione è una mancanza di conoscenza (“knowledge”), mentre l’auto-inganno è una mancanza di riconoscimento (“acknowledgment”) di quanto un uomo sa o crede essere vero nel profondo di sé».18 Misconoscere sé stessi, cedere alla “menzogna disonesta”,19 ossia all’auto-inganno nel quale cade il gregge che non ha occhi da poter aprire per vedere sé stesso: questa è la denuncia nietzscheana sottesa nell’intera Genealogia della morale. Ancora una volta, dunque, magari un po’ forzatamente ma neanche tanto eccessivamente, il “conosci te stesso” socratico sembra porsi come fondamento di un comportamento etico perlomeno non deprecabile (come quello di una morale dei signori) mentre il suo misconoscimento sembra implicare lo scadere in una morale “corrotta” da parte della collettività (la morale degli schiavi o del gregge). (2.4) Coscienza collettiva in Le Bon e Freud – la psicologia delle folle e delle masse. Nel 1895 l’etnologo e psicologo francese Gustave Le Bon pubblica Psicologia delle folle, che costituì una vera e propria miniera d’oro per chi voleva comprendere il comportamento della massa, il nuovo soggetto che si affacciava sulla scena politica negli ultimi decenni dell’Ottocento e che avrebbe dominato tale scena nel Novecento. In quest’opera, principe nel suo ambito di studi, per sommi capi si sostiene che «il comportamento della folla si basa sull’irrazionalità e sul riemergere dell’atavismo, cioè di fasi evolutive superate dalla specie».20 Questo testo, peraltro accusato dai più di plagio, compendiava in sé buona parte delle analisi dei maggiori studiosi in materia dell’epoca (quali Scipio Sighele, Cesare Lombroso e Gabriel Tarde); e vieppiù, «in virtù dell’importanza attribuita alla vita psichica inconscia [dell’individuo, che sembrerebbe riemergere nelle masse]»,21 fu ampiamente apprezzato anche da Freud, che la considerò – nel secondo e terzo capitolo di Psicologia delle masse e analisi dell’io (1921) – quale punto di partenza per le sue indagini di psicologia sociale. Di conseguenza non possiamo esimerci dal riportare per inciso le tesi principali che Le Bon sostiene e, se rimane del tempo, lanciare uno sguardo sommario alle intuizioni che su questa base Freud matura. Procediamo… Per Le Bon la folla è «un agglomerato di uomini [che] possiede caratteri nuovi, molto diversi da quelli degli individui di cui esso si compone. La personalità cosciente svanisce, i sentimenti e le idee di 17 F. NIETZSCHE, Genealogia della morale cit., pp. 26-7. 18 B. REGINSTER, Nietzsche on Ressentiment and valuation cit., p. 298. 19 F. NIETZSCHE, Genealogia della morale cit., p. 133. 20 Definizione di “folla” in Dizionario di filosofia, a cura di Paolo Rossi, La Nuova Italia, Città di Castello, 2011. 21 S. FREUD, Psicologia delle masse cit., p. 25.
  • 9. tutte le unità sono orientate in una stessa direzione. Si forma [così] un’anima collettiva [e la folla] forma un solo essere e si trova sottomessa alla legge dell’unità mentale delle folle».22 Interrompendo momentaneamente la descrizione di Le Bon, due sono le caratteristiche che emergono fin da subito gettando un occhio sulla folla: l’individuo immerso in una folla differisce dall’individuo isolato e, come conseguenza del tramonto del singolo, si ha l’alba di una nuova entità – non per forza di cose ipostatizzabile –, un’“anima collettiva” quale risultante dell’orientamento di tutti i singoli verso una medesima direzione. A partire da queste due caratteristiche, riprendiamo Le Bon e vediamo più da vicino in che modo la coscienza individuale del singolo s’incontra e si scontra con la coscienza collettiva, con l’“anima collettiva”. In primo luogo, «nell’anima collettiva, le attitudini intellettuali degli uomini […] si cancellano […]. L’eterogeneo si sommerge nell’omogeneo, e le qualità incoscienti dominano».23 In secondo luogo, «l’individuo in massa acquista, per il solo fatto del numero, un sentimento di potenza invincibile. Ciò gli permette di cedere a istinti che, se fosse rimasto solo, avrebbe necessariamente tenuto a freno. [Ed invece] vi cederà tanto più volentieri in quanto – la massa essendo anonima e dunque irresponsabile – il senso di responsabilità, che raffrena sempre gli individui, scompare del tutto».24 In terzo luogo, Le Bon menziona «il contagio mentale […], un fenomeno […] che bisogna ricollegare ai fenomeni di ordine ipnotico […]. In una folla, ogni sentimento, ogni atto è contagioso, e contagioso a tal punto che l’individuo sacrifica il suo interesse personale all’interesse collettivo».25 In quarto luogo, approfondendo il parallelo tra i “fenomeni di ordine ipnotico” e il comportamento della folla, Le Bon sottolinea come ulteriore caratteristica fondante di una massa la “suggestionabilità” e la descrive con riferimento alle “scoperte recenti della fisiologia”: «noi oggi sappiamo che un individuo può essere posto in uno stato tale che, avendo perduto la sua personalità cosciente, obbedisce a tutte le suggestioni dell’operatore che gliel’ha fatta perdere, e commette gli atti più contrari al suo carattere e alle sue abitudini. Orbene, osservazioni attente sembrano provare che l’individuo immerso da qualche tempo nel mezzo di una massa attiva cada […] in uno stato particolare, assai simile alla fascinazione dell’ipnotizzato nelle mani dell’ipnotizzatore […]. La personalità cosciente è svanita, la volontà e il discernimento aboliti. Sentimenti e pensieri vengono orientati nella direzione voluta dall’ipnotizzatore».26 A questo punto Le Bon conclude questa prima disamina (alla quale noi in questa sede ci arrestiamo), questa prima disamina dei caratteri della folla osservando che, «per il solo fatto di far parte di una folla, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto; nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro».27 22 G. LE BON, Psicologia delle folle cit., p. 2. 23 Ibid., p. 5. 24 Ibidem. 25 Ibidem. 26 Ibid., pp. 5-6. 27 Ibidem.
  • 10. Questo spiraglio che si apre verso uno stadio arcaico della vita umana, e quindi verso una sorta di animalità, costituisce il luogo ideale per introdurre (finalmente!) il concetto di “comportamento del gregge”: il “comportamento del gregge” banalmente altro non è che un’espressione con la quale s’indica il comportamento descritto fin qui da Le Bon (ma in precedenza da Kierkegaard quando parla della “folla” e da Nietzsche quando parla del “gregge”) – ovverosia “il comportamento di un gruppo di individui che reagisce coerentemente, senza che ci sia alcun coordinamento tra i singoli individui”. Questo gruppo di individui è denotato con il nome di “gregge”, il quale, piuttosto che muoversi in una direzione con cognizione di causa, sfruttando le coscienze individuali dei singoli che la compongono, si muove appunto “senza che ci sia alcun coordinamento”, alcuna reale volontà ed alcuna reale coscienza verso una qualche direzione. Non a caso, a riprova di queste affermazioni e sorvolando di nuovo sulle indagini di Le Bon, è evidente che gli atti di una folla «subiscono molto più l’influenza del midollo spinale che quella del cervello» perché «la massa è impulsiva, mutevole e irritabile […], governata quasi per intero dall’inconscio [e di conseguenza] straordinariamente influenzabile e credula; è acritica, per essa non esiste l’inverosimile. Pensa per immagini [e] queste immagini non vengono valutate da alcuna istanza ragionevole circa il loro accordo con la realtà […]. La massa non conosce quindi né dubbi né incertezze»28 o meglio, fuori di citazione, la massa non conosce affatto. Se giunti a questo punto ci è possibile riportare alla memoria l’intellettualismo etico socratico (per cui la conoscenza di sé stessi e del bene, e quindi la coscienza individuale, sta alla base non solo di un’azione buona o virtuosa ma di un’azione che voglia dirsi etica); ecco, se giunti a questo punto ci è possibile riportare alla memoria Socrate ma anche l’accesa polemica sulla “folla” di Kierkegaard (una folla nella quale viene a mancare “quel singolo” e quindi l’etica stessa) e la critica caustica alla “morale del gregge” di Nietzsche (una morale dove non è l’uomo che riconosce sé stesso quale creatore di valori ma dove piuttosto l’uomo misconosce sé stesso accettando dis-valori frutto del ressentiment); se giunti a questo punto ci è possibile ricordare che il “conosci te stesso” è alla base dell’etica, una massa o una folla che non conoscono affatto difficilmente possono farsi carico di azioni che, nella prospettiva delineata, possano definirsi etiche. Non sono la conoscenza, la responsabilità, la volontà a muovere le folle, bensì sono l’istinto, l’inconscio, la passività – e, in un contesto simile, facciamo difficoltà persino a parlare di etica, se seguiamo le orme tracciate fin qui dai filosofi presi in considerazione, ma anche solo se seguiamo il buon senso (per cui le azioni umane acquistano i caratteri della moralità in quanto espressamente voluti, desiderati e perseguiti dalla libera volontà umana – tutto il contrario delle caratteristiche che presentano le azioni di massa… Se mi è concesso divagare, lo stesso Nietzsche, il Nietzsche più irrazionalista, per quanto riconosca essere l’istinto e l’inconscio alla base della vita umana, c’invita con la sua filosofia a non agire in balia di esso ma a prenderne pienamente coscienza, a farci carico noi di questo istinto e a non lasciare che sia l’istinto a farsi beffe di noi. A tal proposito, piuttosto 28 Cfr. ibid., pp. 7-19.
  • 11. che chiudere questa divagazione e riprendere il Freud di Psicologia delle masse e analisi dell’Io – dove, almeno per quanto riguarda il tema che interessa a noi, si compie una trasposizione in chiave psicoanalitica delle analisi di Le Bon –, riprenderei il Freud dell’Introduzione alla psicoanalisi del 1932, là dove afferma “wo Es war soll Ich werden” (“L’Io dev’essere là dove era l’Es”). Là dove c’è irrazionalità, passività, inconscio (l’Es), là con la psicoanalisi dovrebbero cercare d’insediarsi la razionalità, l’attività, la coscienza (l’Io). Anche questa operazione infatti risponde all’imperativo dell’Oracolo di Delfi – “conosci te stesso” –, l’imperativo che seguendo poi le orme di Socrate – ma anche di Kierkegaard e di Nietzsche – diventa la base sulla quale deve necessariamente appoggiarsi un’azione che voglia definirsi etica). (3) Comportamento del gregge: ricerche attuali In anni recenti, all’interno dell’economia sperimentale, stanno nascendo nuovi ambiti di ricerca, quali la “finanza comportamentale” (che applica la psicologia cognitiva alla comprensione delle decisioni economiche e come queste si riflettano nei prezzi di mercato e nell’allocazione delle risorse) e la “socionomics” (che studia le relazioni che sussistono tra gli “stati d’animo sociali” (social moods) e il “comportamento sociale” (social behaviour), per analizzare la loro influenza nell’economia, nei mercati finanziari e nella politica). Queste discipline neonate hanno già partorito ricerche piuttosto interessanti; in particolare, al centro di molti studi, è stato messo in rilievo il fatto che l’human herding behaviour (il “comportamento umano del gregge”), che «è il risultato di un’attività mentale impulsiva nell’individuo in risposta a segnali del comportamento degli altri, […] è inappropriato e controproducente per quanto concerne il successo in [diverse] situazioni finanziarie».29 (per inciso, in taluni casi sarebbe tanto inappropriato e controproducente al punto da instaurare un sommovimento tale per cui si vengono a creare nel mercato finanziario le cosiddette bolle speculative, come quella che a partire dal 2006 avrebbe interessato il mercato immobiliare statunitense, poi caduto in crisi al momento dello scoppio della bolla nel 2008) Tornando a noi, la teoria “socionomica” descrive il “comportamento del gregge” come «un modello di comportamento inconscio e prerazionale che pone in essere dinamiche endogene evolutesi in gruppi omogenei di esseri umani in contesti di incertezza».30 Un volta definito il “comportamento del gregge”, secondo questa teoria gli impulsi inconsci condivisi dal “gregge” in contesti di incertezza portano all’emergenza di dinamiche psicologiche di massa che si manifestano come tendenze a propendere per certi stati d’animo sociali, i quali sono poi la causa delle azioni sociali 29 R. R. PRECHTER, Unconscious herding behavior as the psychological basis of financial market trends and patterns in «The journal of psychology and financial markets», Vol. 2 (No.3), 2001, p. 120. 30 W.D. PARKER, Herding: an interdisciplinary integrative review from a socioeconomic perspective, presented at the International Conference on Cognitive Economics (Sofia, Bulgaria, August, 5/8 – 2005), [http://www.socionomics.org/pdf/herding_integrativereview.pdf], p. 4.
  • 12. – ed economiche – e che sono modellabili e probabilisticamente prevedibili, in quanto rispondono ai principi della geometria frattale e alla matematica di Fibonacci».31 Ciò che interessa estrapolare da questo contesto a noi è la conferma che anche gli studi più moderni e le ricerche più attuali, tendono a sottolineare il carattere del “comportamento del gregge” classificandolo come “inconscio”, “prerazionale”, particolarmente rassicurante (perché illusorio) in “contesti d’incertezza” (perché banalmente, “quando gli esseri umani non sanno, sono portati ad agire come fanno gli altri”) e quindi, in ultima istanza, mosso da “stati d’animo sociali” piuttosto che dalla razionalità, da una reale conoscenza da parte dell’individuo. D’altronde si tratta di risultati che hanno un loro fondamento anche a livello neuroscientifico. Rifacendoci alla tripartizione del cervello in termini di funzione avanzata dal ricercatore canadese Paul MacLean, abbiamo la corteccia cerebrale (che regola i processi intellettivi superiori), il sistema limbico (che controlla le nostre emozioni) ed il nucleo centrale o tronco encefalico (che regola i nostri comportamenti più primitivi). La “socionomics” ritiene che (1) proprio quest’ultimo, proprio il tronco encefalico, assieme ad operazioni quali lottare, fuggire, ecc… , sia responsabile anche dei comportamenti imitativi (quali il nostro “comportamento del gregge”); ritiene che (2) la corteccia, la parte razionale del cervello, non possa influire su queste porzioni cerebrali e, in più, ritiene che (3) le risposte agli impulsi neuronali del sistema limbico siano più veloci di circa 40 millisecondi rispetto alle risposte della corteccia cerebrale e che pertanto le emozioni e ciò che è legato ad esse (quali il “comportamento del gregge”) «spesso non sono reazioni ad idee ben soppesate ma reazioni immediate a percezioni rilasciate dai sensi».32 Pertanto è ormai evidente che, quando ci troviamo di fronte ad una coscienza collettiva, spesso non siamo nel terreno delle «decisioni razionali delle menti individuali [che, seguendo le orme di Socrate, Kierkegaard e Nietzsche potrebbero essere definite etiche in un senso pieno] ma piuttosto [siamo nel terreno] delle peculiari sensibilità collettive del “gregge”».33 Queste constatazioni hanno sicuramente un grande rilievo a livello economico. Già a partire dagli anni ’20 del XX secolo si avanzava l’idea che «gli individui correggono periodicamente i propri errori di pensiero quando agiscono da soli ma abbandonano la loro responsabilità nel fare questo nel momento in cui si ritrovano [entro un contesto] di grande approvazione sociale»; ancora oggi Wall Street condivide molti aspetti che caratterizzano una folla ed è sotto gli occhi di tutti che l’ottimismo o il pessimismo di certi operatori di mercato, con questi loro sentimenti (e non tanto con delle provate ragioni!), riescono a muovere le tendenze e i valori del mercato finanziario ed economico in generale.34 Ma, gli studi sul “comportamento del gregge” dal campo economico, possono tornare di nuovo nell’ambito delle riflessioni etiche. La lezione che ne possiamo trarre allora potrebbe essere che, 31 Ibidem. 32 R. R. PRECHTER, Unconscious herding behavior cit., p. 120. 33 Ibid., p. 121. 34 Ibidem.
  • 13. seppure il comportamento del “gregge” (a proposito del quale si è nutrito lungo tutto il corso di quest’esposizione un forte dubbio se poterlo considerare etico o meno); dunque, seppure un tale comportamento si è rilevato profondamente connaturato nella natura umana al punto da avere delle basi biologiche nell’uomo e una rilevanza economica non indifferente, ciò non c’impedisce di scrutarlo nella sua genesi e nelle sue forme, di riconoscere questo misconoscere l’uomo da parte dell’uomo, questa perdita di coscienza individuale che rischia di allontanarci dal campo propriamente etico dell’agire umano e di rimetterci così, con uno sguardo fisso su di esso, lungo quel cammino antropologico ed etico che c’indicava l’oracolo di Delfi e che neppure Nietzsche, per quanto potesse aborrire Socrate, si sentiva di abbandonare: Siamo ignoti a noi medesimi, noi uomini della conoscenza, noi stessi a noi stessi: è questo un fatto che ha le sue buone ragioni. Non abbiamo mai cercato noi stessi – come potrebbe mai accadere che ci si possa, un bel giorno, trovare? Non a torto è stato detto: «Dove è il vostro tesoro, là è anche il vostro cuore»; il nostro tesoro è là dove sono gli alveari della nostra conoscenza» (F. Nietzsche, Genealogia della morale, Prefazione, I) Bibliografia  FREUD, S., Psicologia delle masse e analisi dell’Io, Bollati-Boringhieri, Torino 2012.  KIERKEGAARD, S., Discorsi edificanti (1843), Piemme, Casale Monferrato 1998.  LE BON, G., Psicologia delle folle, Milano, Longanesi 1970.  MASSARO, D., La comunicazione filosofica, Paravia, Milano-Torino 2002, vol. III (Il pensiero contemporaneo).  NIETZSCHE, F., Genealogia della morale. Uno scritto polemico, Adelphi, Milano 2011.  O’HARA, S., Kierkegaard alla portata di tutti. Un primo passo per comprendere Kierkegaard, Armando, Roma 2007.  PARKER, W. D., Herding: an interdisciplinary integrative review from a socioeconomic perspective, presented at the International Conference on Cognitive Economics (Sofia, Bulgaria, August, 5/8 – 2005), pp. 1-11.  PRECHTER, R. R., Unconscious herding behavior as the psychological basis of financial market trends and patterns in «The journal of psychology and financial markets», Vol. 2 (No.3), 2001, pp. 120-5.  REALE, G., Storia della filosofia, Bompiani, Milano 2008, vol. I (dai presocratici ad Aristotele).  REGINSTER, B., Nietzsche on ressentiment and valuation in «Philosophy and Phenomenological Research», Vol. 57, No. 2 (Jun., 1997), pp. 281-305.  ROSSI, P., Dizionario di filosofia, La Nuova Italia, Città di Castello, 2011.