3. La vita
Vissuto tra il 1284 e 1344, Simone
Martini è il pittore che più incarna lo
spirito gotico nella prima metà del
Trecento. Conosciuto talvolta anche
come Simone Sanese è stato
considerato sicuramente come uno dei
maggiori e più influenti artisti della
scuola pittorica senese.
Il distacco dalla maniera bizantina, nei
pittori di stile gotico, si basa su alcune
caratteristiche costanti: l’uso
fondamentale della linea, soprattutto
curva e sinuosa, per costruire
l’immagine e l’apparato decorativo, l’uso
di una grande vivacità cromatica,
l’umanizzazione dei personaggi sacri a
modo di uomini o dame di corte. Questi
stessi parametri li ritroviamo tutti nella
pittura di Simone Martini, pur se il suo
linguaggio pittorico risente spesso
dell’influenza giottesca.
4. La sua prima opera
datata è la Maestà ,
dipinta nel 1313-1315
nella sala del Consiglio
del Palazzo Pubblico di
Siena, dove è ancora
visibile. Fin da
quest'opera Simone
mostra di differenziarsi
dalla pittura a lui
precedente per la
squisita commistione di
delicatezze e raffinatezze
gotiche
Nel 1314 iniziò il
ciclo di affreschi con
le Storie di San
Martino
nell'omonima
cappella della
basilica inferiore di
San Francesco ad
Assisi.
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7. Nel 1317 venne chiamato a
Napoli da Roberto d'Angiò, che lo
nominò cavaliere (assegnandogli
una pensione annua) e gli
commissionò una tavola
celebrativa, San Ludovico di
Tolosa che incorona il fratello
Roberto d'Angiò, oggi conservato
a Capodimonte, Napoli.
Fra il 1320 e il 1326 dipinse diverse opere tra cui due polittici
8. Lo straordinario affresco raffigurante Guidoriccio da Fogliano
all'assedio di Montemassi , è da datarsi dopo il 1328 e si trova
ancora oggi nella stupenda Sala del Consiglio (detta Sala del
Mappamondo) del Palazzo Pubblico di Siena, proprio di fronte alla
sopracitata Maestà. È certo una delle opere più grandi della pittura
italiana del '300, in cui si mescolano un ambientazione fiabesca con
un ambientazione fiabesca con un acuto senso della realtà.
9. Probabilmente coeve sono le molto interessanti, per il trattamento dello
spazio, Storie del Beato Agostino Novello nella chiesa di Sant'Agostino, a
Siena mentre un po' più tardo è il capolavoro di Simone, la raffinatissima
ed enigmatica Annunciazione , eseguita per la chiesa di Sant'Ansano,
sempre a Siena, e oggi visibile agli Uffizi di Firenze. È questa una delle
opere più vicine al gotico internazionale e alle sue raffinatezze che l'Italia
abbia conosciuto.
10. Poco dopo aver eseguito quest'opera (forse 1336) Simone
partirà per Avignone, alla corte di Benedetto XII, dove eseguirà
degli affreschi per la chiesa di Notre Dame de Doms, tra i quali
ricordiamo quello di San Giorgio e il Drago , oggi perduto, ma
che viene descritto splendido dalle fonti.
Ad Avignone Simone conosce il poeta Francesco Petrarca.
Leggenda vuole che proprio il Martini abbia ritratto Laura , e i
versi del sonetto LVII del Petrarca stesso celebrano l'opera, oggi
perduta (per amore della completezza: alcuni pensano che essi si
riferiscano invece a Simone da Cremona, miniatore attivo a Napoli
dal 1335 circa, ma è più probabile l'ipotesi del nostro Simone da
Siena):
" Ma certo il mio
Simon fu in
paradiso,
Onde questa gentil
donna si parte;
Ivi la vide e la
ritrasse in carte,
Per far fede
11. Oltre a ciò Simone minierà per l'amico letterato anche il
frontespizio di un codice con le opere di Virgilio commentate da
Servio (Biblioteca Ambrosiana, Milano).
L'ultima opera datata di Simone (e oggi conservata a Liverpool) è
il Ritorno di Gesù fanciullo dalla disputa nel tempio
(1342), dove compare un tema curioso e inedito: San Giuseppe
che rimprovera il divino fanciullo, dopo la disputa.
Nel 1340, su invito di papa Benedetto XII, si trasferisce presso la
corte papale di Avignone, dove vi rimase fino alla morte,
avvenuta qualche anno dopo.
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16. Si tratta di una pittura che concede ampio spazio all'ornamento, al
dettaglio prezioso ed alla rappresentazione di oggetti di lusso; in
breve tempo si diffonderà in tutta Europa, nelle corti perlopiù, lo
stile di quest'artista e contribuirà in maniera determinante alla
nascita del Gotico internazionale; infatti se Giotto diede il più
grande contributo ad un radicale cambiamento nella pittura, Simone
elaborò una versione senese delle novità portate da quest'ultimo
che ebbe grande seguito.
20. L'opera venne dipinta nella sala del Mappamondo, in quello che
al tempo era il palazzo del potere (Siena era uno dei comuni
toscani, retti in pratica da un'oligarchia, come Firenze): di
conseguenza era destinata ad esser vista da molte persone e
veicolava un chiaro messaggio politico,mentre l'aspetto religioso
era relegato in secondo piano.
21. Nell'affresco è raffigurata la Madonna in
trono col Bambino, circondata da uno
stuolo di angeli e santi che sorreggono
un fastoso baldacchino, più che una
scena sacra, come nella Maestà di
Ognissanti di Giotto, sembra l'immagine
di una regina con la sua corte, con i
santi al posto delle dame e dei paggi.
22. angeli
Sant‘Ansano Arcangelo Michele
San Vittore
San Crescenzio
Se guardiamo più nel dettaglio vediamo che ai piedi del trono stanno
inginocchiati i quattro protettori di Siena: Sant'Ansano, Arcangelo Michele,
San Crescenzio e San Vittore.
23. Infine completano il quadro i tondi nella cornice, che alternano agli
evangelisti e ai dottori della chiesa, lo stemma della città; mentre al centro
spicca un tondo col Cristo benedicente
Isacco Giacobbe
Mosè David
San Matteo San Marco
Evangelista Evangelist
a
Daniele Isaia
profeta
profeta
Geremia
San Matteo San Luca
Evangelist Evangelist
a a
San Lex Vestus e Lex Sant’Agostin
Girolamo San Gregorio Nova Sant’Ambrogi o
25. Accanto alla Madonna con il
bambino troviamo San Giovanni
Battista e San Giovanni
Evangelista.
26. Da un punto di vista stilistico il dipinto è eccellente, le figure
hanno il loro volume, sono realistiche, come quelle di Giotto,
ma nello stesso tempo sono più esili, delicate, hanno pose
leggiadre e indossano vesti raffinate, le stesse che
probabilmente l'artista vedeva indosso ai nobili o ai ricchi del
tempo. E' impressionante la cura di certi dettagli decorativi,
che ricordano i virtuosismi di un orefice; certamente Simone
non risparmiò sull'oro che venne distribuito a piene mani in
tutte le figure, particolarmente nei vestiti. In molte
acconciature e in altre parti l'artista aveva poi incastonato
delle gemme, che purtroppo sono in gran parte cadute, mentre
le aureole, dorate anch'esse, sono finemente lavorate, per non
parlare del trono della Vergine che ricorda un'architettura
gotica.
29. L’Annunciazione che Simone Martini realizzò nel 1333 è
sicuramente una delle più belle opere pittoriche di tutto il Trecento
europeo. In essa si concentra tutta l’eleganza un po’ astratta
dell’arte di Simone Martini. L’Annunciazione è uno dei soggetti più
diffusi in assoluto di tutta l’arte di soggetto cristiano. La
rappresentazione si basa essenzialmente sul racconto tratto dal
vangelo di san Luca. L’arcangelo Gabriele si presenta alla Madonna
per annunciarle la futura maternità. La Madonna, che in quel
momento stava leggendo, accolse con stupore e un po’ di diffidenza
l’annuncio dell’arcangelo, ma, dopo un istante di esitazione, accetta
l’imminente nascita di Gesù
30. Il soggetto presenta alcuni elementi
iconografici costanti: la presenza dei gigli,
simbolo della verginità della Madonna, la
colomba che simboleggia lo Spirito Santo, e il
libro che, per tradizione, rivela la dimensione
spirituale della Madonna. Questi elementi sono
tutti presenti nella tavola di Simone Martini, ma
qui l’artista inserisce qualcosa di più e di
diverso rispetto ai canoni del tempo.
31. Le ali dell’angelo sono estremamente
allungate; la genialità dell’artista
risiede proprio nell’aver reso queste
ali in un realismo inedito per l’epoca
in cui furono dipinte, raffigurate
nell’attimo precedente al loro
ripiegarsi su se stesse (essendosi
l’arcangelo appena posato sul suolo).
Oltretutto, non se ne vedono le
estremità: (soprattutto dell’ala
“principale”) questo sembra produrre
l’effetto di una lunghezza estrema
senza, però, renderle deformi ai
nostri occhi.
Il mantello dell’angelo segue il
dispiegarsi delle ali, essendo stato
reso, a sua volta, mentre fa i conti
con l’ultimo guizzo d’aria dopo il volo
di Gabriele , ed è come se si servisse
delle ali per cercare l’equilibrio
definitivo.
32. Oltre agli splendidi brani di natura
morta vale la pena di concentrarsi
sui gesti dell’arcangelo. Il ramo
che tiene in mano è trattenuto con
la stessa eleganza con cui si
terrebbe un calice, le dita si
piegano in maniera quasi
sensuale. La mano destra, al cui
polso si noti il fuoriuscire sottile
della sottoveste, si contrappone
alla sinistra ed assieme formano
un’apertura magnifica, una
gestualità dall’eleganza assoluta.
33. Per apprezzare e sentire la
potenza di quella splendida
dama in veste di Maria il
nostro occhio deve iniziare a
posarsi sul panneggio
lanceolato in basso, che è una
sorta di primo gradino del
gesto di pudicizia che
progressivamente si amplifica
nella parte centrale: il corpo
della Vergine sembra infatti
quasi spezzarsi fra il bacino e
le gambe, il che enfatizza la
sua sorpresa e il sottile
timore. La spalla e il volto
inarcato sono l’ultimo
“gradino” di questa figura che
gradualmente si ritrae tutta in
un insenatura di pudicizia che
allo stesso tempo sembra
quella di una dama corteggiata
34. Inutile insistere su altri particolari, tra
cui le mani dellaVergine che non fanno
altro che contribuire al crescendo
musicale partito dalle mani
dell’annunciante; infatti, anch’esse si
contrappongono, ma in maniera
decisamente più ansiogena e non
meno elegante. Il gesto dell’angelo è
posato e calcolato, quello di Maria è
frutto d’istinto, ma forse è proprio
questo a renderlo unico. La parte più
commovente delle mani credo siano i
due pollici, che affondano l’uno nel
ventre profondo del libro di preghiere
(come se la pressione esercitata fosse
il segno di una repentina chiusura),
mentre l’altro afferra e tira un lembo
di veste con cui Maria ansiosamente si
copre, chiudendosi in un guscio di
prezioso ed antico candore.
35. Il contatto tra i due è inciso a mò di vignetta sul legno e sale dal
basso verso l’alto suggerendoci un’intensità crescente. Il
pavimento sembra fatto del più prezioso dei marmi; il vaso-
fonte che si gonfia è la parte centrale di una bilancia e i tre
archi acuti in alto non riescono più ad inquadrare i personaggi
in modo preciso.
36. L’intento è evidente: l’angelo non riesce, ma soprattutto non
vuole stare chiuso nell’arco che lo sovrasta, protende verso
Maria, sconfina nella parte centrale, si intromette in un momento
di vita quotidiana della donna. L’arco centrale è una fase di
passaggio: inquadra tutti i personaggi e terrebbe sotto di sé
anche il volto di Maria se non si fosse ritratta per il sottile
spavento. Lo stesso trono decorato da quei preziosi motivi
miniatori sconfina nella parte centrale: oramai non è più tempo di
tenere i personaggi imbrigliati in rigidi schematismi arcaici ed il
genio di Simone lo sa.
39. La grande tavola fu realizzata da Simone Martini nel 1317, durante il
suo soggiorno a Napoli alla corte di Roberto d’Angiò. Il re angioino
aveva ereditato la corona del regno di Napoli grazie alla rinuncia del
fratello maggiore, Ludovico, che scelse la carriera ecclesiastica.
40. In questa grande raffigurazione il programma iconografico appare
evidente: mentre san Ludovico viene incoronato da due angeli, egli,
a sua volta, incorona il fratello re di Napoli. In tal modo Roberto
d’Angiò affermava la legittimità della sua investitura reale.
41. La tavola ha un evidente gusto gotico, frutto sia della formazione stilistica
di Simone Martini, sia delle preferenze della corte angioina che,
ricordiamo, era di provenienza francese.
La costruzione è impostata su una
evidente "prospettiva gerarchica": il
santo, pur collocato in secondo piano
nello spazio dell’immagine, appare di
molto più grande rispetto a fratello
Roberto collocato in primo piano.
42. L’incongruenza formale è accentuato dal carattere decisamente
frontale della figura del santo: se si guarda con attenzione si nota
che il braccio sinistro che fuoriesce dal mantello, e che regge la
corona, ha il gomito dietro il fianco: ciò è assolutamente
impossibile nella realtà, e quindi la costruzione dell’immagine non
tiene affatto conto della reale tridimensionalità delle figure.
43. In pratica l’immagine ha un valore simbolico che trascende
qualsiasi preoccupazione di verità mimetica di quanto
rappresentato.
Ciò ci dà il senso più preciso di come Simone Martini si muove in
una concezione stilistica di matrice decisamente medievale,
ignorando tutti quei problemi di naturalismo che invece stavano
affrontando Giotto e gli altri pittori fiorentini alla ricerca di un
maggiore verismo.
44. Il carattere gotico di questa immagine viene ulteriormente integrato da
altre precise scelte stilistiche: la linea sinuosa e di puro valore decorativo
dei bordi delle vesti e del mantello del santo; la grande decorazione
arabescata delle vesti; la preferenza per i colori intensi e squillanti.
45. Ma il carattere gotico dell’immagine principale si perde completamente
nella predella inferiore. Qui, Simone Martini dimostra di saper controllare
la rappresentazione spaziale in maniera non inferiore allo stesso Giotto.
46. La predella è suddivisa in cinque scomparti, contornati ognuno da
un arco. Ma questi archi sono quasi come un portico oltre il quale
si vede una sola scena.
Infatti le cinque diverse scene sono unificate da un unico punto di fuga.
Questo crea una sensazione spaziale di grande effetto, facendo sì, che
l’occhio percepisca questa predella inferiore come il piano trasparente
oltre il quale si sviluppano le scene.
47. Simone Martini è un pittore gotico sicuramente per scelta,
non per limiti stilistici. Egli, infatti, nelle sue opere
dimostra spesso di aver compreso appieno la ricerca
naturalistica di Giotto e dei suoi seguaci, ma la sua arte si
allinea al gusto gotico forse anche per adeguarsi al gusto
dei suoi committenti, che probabilmente preferivano la
ricchezza decorativa del gotico alla razionale, ma spesso
spartana, immagine dell’arte giottesca
50. Dal greco polyptychos (con molte piegature), è un dipinto (ma anche
un rilievo in avorio o terracotta o simili) suddiviso
architettonicamente in più pannelli, destinato in genere all'altare di
una chiesa. Questa tavola di piccole dimensioni costituiva forse la
parte alta di un polittico perduto.
51. Al centro sta una tavola principale,
spesso più grande di quelle laterali
che, in numero uguale a destra e
sinistra, rappresentano per lo più
figure di santi. Ogni tavola può
essere sormontata da cuspidi (con
angeli, profeti o santi, per esempio).
52.
53. Nella parte inferiore, una tavola lunga e sottile, chiamata
predella, raffigura spesso episodi della vita di un santo o alcuni
misteri della vita di Cristo.
54. Il Cristo è raffigurato a mezzo busto, frontale, con la mano destra levata
nel gesto della benedizione e la sinistra poggiante su un libro, secondo un
modello ancora bizantino, ma reso con un linguaggio pienamente senese,
sia nell'eleganza del disegno che nella raffinatezza del colore
Sono rari i polittici giunti integri fino a noi; motivi svariati (non ultimo lo
smembramento per ottenere "più quadri") li hanno nel tempo disgregati.
57. L'affresco Guidoriccio da Fogliano all'assedio di
Montemassi (detto anche Guidoriccio da Fogliano
semplicemente) fu realizzato nel 1328dal pittore senese Simone
Martini nella Sala del Mappamondo, all'interno del Palazzo
Pubblico di Siena, proprio di fronte alla Maestà dello stesso
autore. È alto cm 340 per cm 968 di larghezza.
58. L'affresco superiore con cornice (dove si può leggere la data del 1328) è
l'affresco tradizionalmente attribuito a Simone Martini, rappresenta
Guidoriccio alla conquista dei castelli di Montemassi e Sassoforte.
59. Il castello intermedio è stato individuato come un "battifolle", ma più
probabilmente è il maniero di Roccatederighi.
60. Nella parte centrale è l'affresco scoperto nel 1980, oggetto della disputa.
Da notare che le cerchiature dell''intonaco sono da addebitare alla
presenza di una tavola, oggi rimossa, raffigurante una carta geografica (un
mappamondo), che girando su un perno graffiava l'intonaco.
61. I due ritratti di santi posti lateralmente sono il S.Ansano e il
S.Vittore, realizzati dal Sodoma, nel 1529 circa.
62. Alcune parti dell'affresco, tra cui quella del castello e il cielo,
furono ridipinte alla fine del XV secolo
63. L'opera mostra il comandante delle truppe senesi durante
l'assalto alla rocca di Montemassi nella Maremma,
avvenuta nel1328.
64. Nel 1980, a seguito di restauri eseguiti nell'area in cui era dislocato il
famoso mappamondo che dette il nome alla sala, è venuto alla luce un
dipinto che è in parte sottostante al ritratto del Guidoriccio a cavallo. Tale
scoperta, per le implicazioni che essa ha avuto ed ha tuttora, ha messo in
dubbio l'autenticità e la paternità del dipinto tradizionale.
65. Costituiscono motivo di polemica artistica, non la prima e neppure l'ultima
in un mondo artistico sempre più frenetico e globalizzato, l'autenticità e la
paternità del "Guidoriccio da Fogliano" rappresentato nel Palazzo Pubblico
di Siena, attribuito tradizionalmente al grande Simone Martini, maestro del
Trecento senese, ma oggi messo in discussione da una serie di tesi
alternative, sostenute da vari critici e storici d'arte che hanno provato a
ridiscutere alcune conclusioni artistiche, prescindendo da valutazioni
preesistenti, in qualche caso anche consolidate, nella massima libertà di
ricerca e di pensiero; non si sa quanto questo abbia avuto successo e se
mai lo avrà.
66. Nel 1980, nel corso di un
restauro, venne scoperto un
dipinto di eccelsa qualità, la
cui fascia superiore è
sottostante al notissimo
"Guidoriccio da Fogliano alla
conquista di Montemassi" e la
cui parte sinistra risulta
tuttora coperta dal ritratto di
un santo patrono di Siena,
risalente al 1530 circa dipinto
dal Sodoma. La scoperta ebbe
un grande clamore nel mondo
dell'arte.
67. Tale scoperta fu l'occasione per l'apertura di una controversia, già latente
nel passato e mai sopita, circa la paternità, o meglio l'autenticità, del noto
cavaliere creduto fino ad oggi il Guidoriccio da Fogliano immortalato da
Simone Martini.
Le perplessità trovavano origine soprattutto dal fatto singolare che Giorgio
Vasari, mentre si era soffermato sulla "Maestà" di Simone Memmi (corretto
successivamente in Martini), che occupa un'intera parete del Palazzo
Pubblico di Siena, che definiva "di tutta perfezzione, con molta sua lode et
utilità", nulla accennava al cavaliere con paesaggio, che per dimensioni
gareggia con la Maestà, posto nella parete di fronte, come se questo non
fosse esistito o non fosse appartenuto all'eccellente "dipintore sanese".
68. A distanza di 25 anni dalla data della scoperta dell'affresco sottostante,
evento fortuito quanto rimarchevole per gli studi sui primi secoli della
grande pittura italiana, si sono fatte sempre più credibili le voci, anche
autorevoli, che nel mondo artistico diffidano in modo crescente
dell'attribuzione del Guidoriccio da Fogliano a Simone Martini, cui viene
invece assegnata la paternità dell'affresco scoperto nel 1980, in cui
comparirebbe la vera raffigurazione del condottiero Guidoriccio, seguendo
un percorso logico e assai lineare che utilizza elementi di conoscenza
storici, cronachistici, iconografici e stilistici.