L'articolo di Maurizio Assalto, penna di punta del settore culturale de La Stampa nazionale, sulla spedizione e la Mostra fotografica "La Flotta Perduta di Kubilai Khan" ospitata al Museo di Arte Orientale di Torino dal 21 Ottobre al 20 Novembre 2016
Program of Conference "Exploring China's Ancient Links to Africa"
M. Assalto - Così abbiamo ritrovato la flotta perduta di Kubilai Khan - La Stampa - 26.10.16
1. 24 .LA STAMPA
MERCOLEDÌ 26 OTTOBRE 2016
MAURIZIO ASSALTO
TORINO
A
gli scolari di Takashi-
ma, una minuscola iso-
la all’estremità meri-
dionale del Giappone, nella
prefettura di Nagasaki, veniva
raccontata come una favola: la
storiadiun’immensaflottane-
mica, arrivata in tempi remoti
dalla Cina, distrutta e conse-
gnata alle profondità del mare
dai kamikaze, i «venti divini»
mandati in soccorso della pa-
tria - quelli stessi che hanno
dato il nome ai piloti nipponici
suicidi della seconda guerra
mondiale. E qui ogni anno, il 15
agosto, anniversario del prodi-
gio,sicelebraunagrandefesta
e nel tempio zen si onorano i
morti di entrambe le parti.
Alla base della leggenda c’è
però la realtà storica, docu-
mentata in un testo cinese del
XIV secolo, lo Yuan shi (Crona-
che degli Yuan), che riportan-
do fatti avvenuti mezzo secolo
prima parla di una spedizione
di 4400 imbarcazioni, con 150
milauomini(unapaleseesage-
razione: qualche cosa di para-
gonabile solo allo sbarco in
Normandia), allestita nel 1281
dal Gran Khan mongolo Kubi-
lai, nipote di Gengis Khan, no-
to in Occidente per avere ospi-
Così abbiamo ritrovato
la flotta perduta di Kubilai Khan
Partita nel 1281 dalla Cina alla conquista del Giappone, distrutta e affondata dal tifone,
è stata recuperata da una missione italonipponica. Una mostra racconta l’impresa
La mostra
fotografica
«La flotta
perduta.
Archeologi
italiani
e giapponesi
sulle tracce
dell’armata di
Kubilai Khan»,
curata da Jada
Mucerino,
è aperta al Museo
di Arte Orientale
di Torino fino
al 20 novembre
Al Mao
di Torino
Un seminario sui «Populismi»
Si terrà domani e venerdì al Campus Einaudi
di Torino (in entrambi i giorni alle ore 15)
un seminario di Teoria politica e Filosofia
politica sul tema «Populismi». Con la
partecipazione di Yves Mény, Loris Zanatta,
Ida Dominijanni, Salvatore Lupo, Roberto
Escobar e Valentina Pazé, presiede
e introduce Michelangelo Bovero.
MARCO MEROLA
mare aperto. Un rischio.
La navigazione proseguì be-
ne fino in vista della città di
Hakata (oggi Fukuoka), quar-
tier generale del governo nel
Sud del Giappone. Qui si sareb-
bero dovuti ricongiungere i due
tronconi della flotta, partiti
l’uno da Quanzhou, nella Cina
meridionale, e l’altro da Happo,
in Corea. Ma l’incontro non av-
venne mai. Il primo gruppo di
navi subì un rallentamento in
seguito alla morte di un ammi-
raglio, e mentre il secondo tron-
cone veniva affrontato e respin-
to dai samurai continuò a veleg-
giare ignaro verso il buco nero
che l’avrebbe inghiottito. A
Takashima.
«Come un autoscontro»
Dopo il ritrovamento del sigillo,
le ricerche di Mozai Torao pro-
seguironoconscarsifondiesen-
za successo fino all’86, quando il
testimone passò al giovane ar-
cheologo Hayashida Kenzo, fon-
datore in seguito dell’Asian Re-
search Institute for Underwa-
ter Archaelogy (Ariua). Ma no-
nostante il maggiore budget a
disposizione, le ricerche resta-
vano infruttuose. Finché nel
2006 entra in scena Petrella, al-
l’epoca ventottenne dottorato
dell’Orientale di Napoli, presi-
dente dell’International Rese-
arch Institute for Archaelogy
and Ethnology (Iriae) con sede
all’ombra del Vesuvio ma con
120 soci, oggi, in tutto il mondo.
«Ai giapponesi mancava
SOCIETA’
&&CULTURA
SPETTACOLI
La flotta di
Kubilai Khan
affondata dai
kamikaze
(«venti
divini») nella
baia di Imari,
in Giappone,
davanti
all’isola di
Takashima.
L’immagine
è tratta da un
emakimono
giapponese
del XIV
secolo (rotolo
disegnato su
carta di riso
lungo
37 metri)
Finché un pescatore gli mo-
strò qualche cosa di diverso: un
sigillobronzeochesuunafaccia
recava iscrizioni in lingua pa-
gh’sha, l’idioma artificiale, una
specie di esperanto, creato a ta-
volino da Kubilai Khan nel 1276
(edestinatoadurareappenasei
anni) nel tentativo di unificare
linguisticamente il suo sconfi-
nato impero multietnico; sul re-
tro la data di fabbricazione,
1279. «Avevamo quello che in
archeologia si definisce il termi-
nus ante quem, il limite cronolo-
gico prima del quale un fatto
non può essere accaduto», in-
terviene Marco Merola. «Poi-
ché noi sappiamo che i Mongoli
hanno tentato di invadere il
Giappone due volte, nel 1274,
quando vennero respinti, e nel
1281, non restava che quest’ulti-
ma data, quella della seconda
spedizione di Kubilai».
Condottiero colto e tolleran-
te (in segno distensivo verso i
popoli assoggettati aveva muta-
to il nome dinastico Menku, da
cui il termine «Mongoli», nel si-
nizzante Yuan), a capo di un im-
pero che si estendeva dalla Per-
siaallacostesettentrionalidella
Cina, a Kubilai Khan restava so-
lo da conquistare il Giappone -
una mossa che gli serviva anche
per ricompattare il regno in un
periodo di crisi interna. Poiché
il suo era un popolo di cavalieri
delle steppe, dovette fare ricor-
so alle barche dei sudditi cinesi,
giunchefluvialipocoadatteaun
tragitto di 1400 chilometri in
tato alla sua corte Marco Polo.
Mancava tuttavia il riscontro
oggettivo. Come e dove erano
finite le navi?
Uno dei maggiori misteri
con cui si è confrontata l’ar-
cheologia è ora risolto, grazie
al lavoro di una missione con-
giunta italo-giapponese, di cui
dà conto una mostra fotografi-
ca al Mao di Torino («La flotta
perduta di Kubilai Khan», fino
al 20 novembre, a cura di Jada
Mucerino, con gli scatti di
Marco Merola e David Ho-
gsholt). Tutto è cominciato al-
l’inizio degli Anni 70.
La «Corrente nera»
«Mozai Torao, un ingegnere,
pioniere dell’archeologia di ri-
cerca, basandosi su antiche
fonti scritte aveva identificato
l’area del naufragio nella baia
di Imari, dove si trova
Takashima. Qui ogni estate si
abbatte il tifone, la “Corrente
nera” come la chiamano i loca-
li, che viaggia a 250 chilometri
l’ora seminando distruzione».
Chi parla è Daniele Petrella, lo
studioso italiano, specializza-
to in archeologia dell’Estremo
Oriente e in ricerche subac-
quee, che da una decina d’anni
collabora con i giapponesi.
«Mozai parlava con la gente
del posto, con i pescatori che
gli mostravano quello che ogni
tanto tiravano su con le reti:
vasellame soprattutto, anche
del XIII secolo, che però non
era ricollegabile alla flotta».
Armatura
mongola
di cuoio,
con le giunture
di rame,
ritrovata in
fondo al mare
all’interno
di uno scrigno
sigillato
Una delle bombe
da lancio (teppo),
ricoperta dalle
incrostazioni marine,
di cui erano dotati i
soldati mongoli.
Finora si riteneva che
quest’arma fosse stata
creata in Occidente
due secoli dopo
2. LA STAMPA
MERCOLEDÌ 26 OTTOBRE 2016 .25
sulla denazificazione della
Germania (The American De-
nazification of Germany). Nel
1963, Wolff ottenne una bor-
sa Fulbright in Italia, e Levi
entrò in contatto con lui pro-
prio in quei mesi, probabil-
mente tramite la sorella An-
na Maria e il sociologo Fran-
co Ferrarotti. Sono queste le
premesse in base alle quali
gli affidò le lettere del «pro-
getto tedesco».
Che cosa compor-
tò, in termini di au-
to-percezione, di ri-
flessione su Au-
schwitz, di progres-
sione creativa di Le-
vi, il fallimento di
quel progetto, cioè
di un libro fatto di
dialoghi epistolari
con tedeschi? Così
come la pubblicazio-
ne di un libro, anche
la sua mancata pub-
blicazione può cam-
biare la vita, l’opera
e l’autocoscienza di
uno scrittore. In
molte interviste dei
suoi ultimi anni Levi
ha parlato di Se que-
sto è un uomo come
una memoria-prote-
si: i ricordi che ave-
va messi per iscritto
tendevano a sovrap-
porsi ai ricordi ri-
cordati: «una me-
moria esterna che si
interpone tra il mio
vivere di oggi e quel-
lo di allora».
La mancata pub-
blicazione delle let-
tere di tedeschi negli
Anni 60 ebbe l’effet-
to opposto: quelle
corrispondenze, ri-
maste chiuse nella loro cartel-
lina, continuarono nel corso
degli anni a esercitare la loro
carica interrogativa dall’in-
terno, in maniera regolare e
persistente, senza che Levi
avesse avuto la possibilità di
oggettivarne i significati at-
traverso la scrittura. Sareb-
bero così diventate l’ultimo
capitolo del suo ultimo libro, I
sommersi e i salvati: dove eb-
bero il titolo Lettere di tede-
schi, inevitabile quanto il dia-
logo che le aveva propiziate.
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
l’esperienza metodologica svi-
luppata nel Mediterraneo» rac-
conta l’archeologo. «Così nel
2006 chiesi a Hayashida di ospi-
tarmi a mie spese. Proposi una
metodologia nuova, studiando
lecorrentieifondali,equindiun
diverso posizionamento delle
griglie d’indagine». I risultati
non tardarono e oggi la missio-
ne dell’Iriae, sostenuta dal no-
stro ministero degli Esteri, rap-
presenta l’unica collaborazione
archeologica di un istituto occi-
dentale con il Giappone.
«La flotta di Kubilai fu inve-
stita dal tifone alle spalle, quan-
do era vicina alla baia di Imari»,
ricostruisce Merola. «Una baia
piccola, con molti scogli affio-
ranti, e troppe navi: almeno un
migliaio, presumiamo, per un
totale di 40 mila uomini. Cerca-
re riparo qui fu una scelta infeli-
ce. Le imbarcazioni si urtavano,
come in un gigantesco auto-
scontro. Il resto lo fecero i fon-
dali vulcanici, bassi e conforma-
ti a lame». Non tutte le navi, pe-
rò, colarono a picco. Quelle che
si salvarono furono attaccate
dai veloci barchini degli incur-
sori samurai che salivano a bor-
do e decapitavano i nemici pro-
vati dal tifone, per poi portare i
macabri trofei allo shogun che
aveva promesso tanta terra per
quante teste mozzate.
Le bombe da lancio
Di questi vascelli non si è più
trovata traccia. La fortuna po-
stuma di quelli affondati sta in-
vece in quegli stessi fondali che
avevano contribuito a farli a
pezzi. «Le sabbie fangose, conti-
nuamente rimestate dalle cor-
renti, hanno agito come una co-
perta, salvando il fasciame dalla
corrosione. Un miracolo», dice
Petrella. Uno dopo l’altro sono
così usciti dal mare migliaia di
reperti lignei, trasportati nel
Museo Storico ed Etnografico
di Takashima, dove sono con-
servati in grandi vasche di ac-
qua di mare e settimanalmente
trattati, con dedizione tutta
orientale, con un polimero che li
preserva dai parassiti.
Dal numero delle ancore ri-
trovate, le navi finora identifi-
cate sono 260. Tra gli altri re-
perti recuperati, mortai, forni,
vasellame, elmi, specchi, perfi-
no un’armatura di cuoio con le
giunture di rame, perfetta-
mente conservata in uno scri-
gno sigillato con il mastice. Ma
il ritrovamento più inatteso è
quello dei teppo, bombe da lan-
cio di terracotta riempite con
polvere da sparo e schegge di
ferro. «Un’arma micidiale», os-
serva Petrella, «che credeva-
mo fosse stata creata due seco-
li dopo in Occidente. Del resto
era già raffigurata su un emaki-
mono giapponese, un disegno
su carta di riso arrotolata lun-
go 37 metri, che racconta il
tentativo di invasione mongo-
la: ma fino a quando non abbia-
mo trovato i teppo non riusci-
vamo a interpretarlo».
Da quelle prime bombe rudi-
mentali che dovevano colpire il
Giappone nell’agosto del 1281,
all’atomica che esplose nello
stesso mese del 1945 nella me-
desima prefettura di Nagasaki;
dai kamikaze che una volta sal-
varono, a quelli che nulla pote-
rono alla fine della seconda
guerra mondiale. A distanza di
sette secoli, da queste parti, la
storia ha fatto cortocircuito.
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
«Segni» a Mantova, arte e teatro per i giovani
Si apre oggi a Mantova l’XI edizione di «Segni - New Generations
Festival», la rassegna internazionale d’arte e teatro dedicata alle
nuove generazioni. In programma, fino al 2 novembre, 34 spettacoli e
oltre 300 eventi fra workshop, progetti di ricerca, laboratori e
incontri. Mantova, capitale italiana della Cultura 2016, ospiterà artisti
e intellettuali da tutto il mondo, da Stefano Benni al collettivo di
scrittori Wu Ming. Un lupo a metà fra il fiabesco e l’umano, disegnato
da Dario Fo, sarà l’immagine simbolo del festival.
Primo Levi e i tedeschi
Fino all’ultimo cercò di capire
MARTINA MENGONI
S
opravvissuto ad Au-
schwitz, Primo Levi
non tronca i suoi rap-
porti con i tedeschi. Nell’ul-
timo dopoguerra, il confron-
to con quel popolo sarà una
storia di incontri, letture,
scambi epistolari, tentativi
editoriali, elaborazioni lette-
rarie e, soprattutto, di do-
mande che attendono una ri-
sposta. Che i tedeschi abbia-
no rappresentato un rovello
per Primo Levi (uomo, scrit-
tore, testimone, perfino chi-
mico) è un dato di fatto. Co-
me questa relazione difficile,
ondivaga, a tratti entusiasta,
a tratti frustrante, si sia mo-
dificata nel tempo, dentro e
fuori la sua scrittura, è
quanto occorre ricostruire.
Oggi lo si può fare contando
su una mole di documenti
poco noti o inediti, prove-
nienti da archivi di tutta Eu-
ropa.
Fin dal 1962 Levi si era
creato una rete di corrispon-
denti dalla Germania Ovest:
i primi lettori della traduzio-
ne tedesca di Se questo è un
uomo, apparsa nel novembre
del 1961. [...]
Sempre in quegli anni, Le-
vi avviò uno scambio episto-
lare con Hermann Langbein,
storico austriaco, ex trian-
golo rosso (comunista) in
Lager, segretario generale
del Comitato Internazionale
di Auschwitz; Langbein lo
coinvolse nel progetto di una
grande antologia di testimo-
nianze di vittime e carnefici
di Auschwitz. Doveva uscire
in contemporanea con la pri-
ma istruttoria del processo
di Francoforte contro i re-
sponsabili del campo; ma il
libro fu pubblicato già nel
1962 e vi furono inclusi due
Primo Levi
(Torino
1919-1987)
in un disegno
di David
Levine
THE N. Y. REVIEW OF
BOOKS / DISTR. ILPA
Conoscere sé stessi attraverso gli altri:
le Lezioni di Storia tornano a Torino
Q
uando si leggono i te-
sti antichi, in cui la
morale e la concezio-
ne dell’uomo è diversa dalla
nostra, ci si trova di fronte
all’altro. E - come sempre
succede - questo altro ci dice
qualcosa su noi stessi, ci co-
struisce proprio perché è di-
verso. Con la sua differenza ci
mette in questione».
Così scriveva Jean-Pierre
Vernant, uno dei più grandi
storici della Grecia antica, nel
suo libro-dialogo con Jacques
Le Goff. Può essere questo
desiderio di conoscere sé
stessi attraverso l’altro ciò
che ha spinto negli ultimi die-
ci anni centinaia di migliaia di
persone in tutta Italia a met-
tersi in fila per ascoltare le
Lezioni di Storia?
All’Auditorium di Roma
prima, alla Basilica di Santa
Maria delle Grazie a Milano
GIUSEPPE LATERZA
rivolta dei Tuchini: era dicem-
bre e la piazza era coperta di
neve!
Proprio Alessandro Barbe-
ro domenica aprirà il nuovo
ciclo delle lezioni di storia che
abbiamo promosso insieme
alla Stampa, al Circolo dei let-
tori e al Teatro Carignano.
Seguiranno le lezioni di
Emilio Gentile e Franco Car-
dini, tutte introdotte da Cesa-
re Martinetti e infine un dialo-
go inusuale tra un grande an-
tichista come Andrea Giardi-
na - che aveva aperto il ciclo
sulla storia di Torino con una
lezione sulla fondazione della
città - e il direttore della Stam-
pa, Maurizio Molinari. Il tema
sarà Augusto e il Califfo...un
modo per fare storia alla ma-
niera di Vernant: guardare a
un passato lontano per rimet-
tere in questione noi stessi...
c BY NC ND ALCUNI DIRITTI RISERVATI
Il via domenica
al Carignano
con Alessandro
Barbero
Le lettere che gli arrivavano dalla Germania nel Dopoguerra
dovevano far parte di un libro che non vide mai la pubblicazione
dopo e poi a Firenze, Trieste,
Genova, Bari, il rito laico del-
la domenica mattina si è ri-
petuto, ogni volta con la me-
raviglia degli storici stessi
per la quantità di gente che
veniva ad ascoltarli. Non una
«nicchia», come qualcuno di-
ce, ma una comunità diversi-
ficata per professione ed età,
che legge i giornali e i libri,
che va al cinema e visita i mu-
sei, che usa la rete in modo
consapevole.
Ricordo come fosse ieri la
lunghissima fila di fronte al
Carignano una domenica
mattina del 2009 per ascolta-
re Barbero che parlava della
capitoli di Se questo è un uomo.
Nel 1964 un ulteriore capitolo
di Se questo è un uomo uscì in
un volume-strenna che le ac-
ciaierie Hoesch di Dortmund
distribuirono ai loro dirigenti
e dipendenti. Nella Germania
di Hitler le grandi industrie
avevano dato un sostegno de-
cisivo al regime. Ora una di
quelle industrie pubblicava
un volume sulla fratellanza, di
ispirazione cattolico-liberale,
curato dallo stesso Albrecht
Goes. In un contesto di invito
all’accoglienza e all’ecumeni-
smo cristiano, Levi aveva scel-
to il capitolo Ottobre 1944 che
si concludeva con la ben nota
sentenza «Se io fossi Dio, spu-
terei a terra la preghiera di
Kuhn».
Per sua stessa ammissione,
Levi riceve in quegli anni «una
quarantina di lettere» di tede-
schi. Nel 1963 annuncia in due
interviste che Einaudi inten-
de pubblicarle. È una non-no-
tizia, perché il libro non si fa-
rà, ma è anche una notizia: ap-
Oggi alle 17,30
alla Cavallerizza
Si terrà oggi alle 17,30, Aula
magna dell’Università di
Torino alla Cavallerizza
Reale, l’8a Lezione Primo
Levi, l’annuale appuntamento
organizzato dal Centro Levi
per approfondire l’opera
dello scrittore in rapporto
alla contemporaneità.
Quest’anno sarà Martina
Mengoni (della Normale di
Pisa) a parlare di Primo Levi
e i tedeschi. La lezione (di cui
anticipiamo uno stralcio) sarà
replicata in altre città, fra cui
Roma, Milano e Bolzano.
Quattro appuntamenti
Le «Lezioni di storia speciale»
si aprono domenica
con Alessandro Barbero («Il
linguaggio dei Papi», Teatro
Carignano, ore 11, introduce
Cesare Martinetti). Nelle
domeniche successive lezioni
di Franco Cardini, Emilio
Gentile e Andrea Giardina con
Maurizio Molinari. Biglietti:
€ 7 (€ 5 per abbonati Tst,
La Stampa, Carta Plus
Circolo dei Lettori).
Info e biglietteria: Circolo
dei lettori, 011-4326827
prendiamo che per Levi, fin
da allora, le lettere dei lettori
tedeschi possedevano una di-
gnità editoriale e di contenuto
autonoma rispetto al libro che
le aveva originate.
Più tardi, Levi avrebbe af-
fidato quelle corrispondenze
(denominandole «progetto
tedesco») a Kurt Heinrich
Wolff, un sociologo tedesco
naturalizzato statunitense.
Wolff era un «tedesco ano-
malo». Fuggito dalla Germa-
nia perché ebreo, rifugiatosi
in Italia negli Anni Trenta,
emigrò infine negli Stati Uni-
ti diventando professore alla
Brandeis University. Nei pri-
mi Anni Cinquanta, invitato
da Max Horkheimer, parteci-
pò ai Gruppen-Experimen-
ten dell’Istituto di Sociologia
di Francoforte, che aveva ap-
pena riaperto dopo la guerra,
redigendo due studi: uno sul-
l’autorappresentazione della
popolazione tedesca dopo la
guerra (German attempts at
picturing Germany), l’altro
Inaugurato a Roma il Museo della Zecca
Ha aperto ieri al pubblico il Museo della Zecca di Roma, che espone
oltre 20 mila opere tra monete, medaglie, punzoni, modelli di cera
e macchine industriali d’epoca, come il bilanciere pontificio di
Clemente XII. «Torna visibile al pubblico un patrimonio numismatico
di grande valore che testimonia la storia della Zecca e del Poligrafico,
nonché un pezzo significativo della storia d’Italia», ha dichiarato il
ministro Franceschini, presente all’inaugurazione assieme al
ministro Padoan e al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella.