https://www.lamemoriadellavoro.it/it/
Nel periodo tra l’ultimo decennio del XIX secolo e il primo del XX, molti degli orfani che frequentavano le botteghe artigiane cittadine per imparare un lavoro, vennero in contatto con le idee socialiste e anarchiche che circolavano tra gli operai. Alcuni ragazzi ne furono affascinati e si procurarono scritti e opuscoli che inneggiavano soprattutto a figure di anarchici, in ragione forse di constatazioni più immediate, secondo le quali “l'anarchismo non deriva da riflessioni astratte di qualche intellettuale o filosofo, ma dalla lotta diretta dei lavoratori contro il capitalismo, dalla ribellione degli oppressi contro i loro oppressori, dai bisogni e dalle necessità di questi uomini e dalle loro aspirazioni di libertà ed eguaglianza” come ebbe a dire l’anarchico e pedagogista francese Sébastien Faure. E il Partito Operaio Italiano, di impronta socialista, d’altronde, era stato fondato a Milano una decina di anni prima, nel 1882.
Purtroppo per i ragazzi affascinati da idee socialiste e anarchiche, queste rappresentavano per l’istituto un insormontabile motivo di espulsione a causa della pericolosità sociale che vi si intravvedeva. Molti orfani vennero allontanati dal collegio e le loro azioni controllate anche dopo l’espulsione.
2. Progetto i documenti raccontano
Progetto della Regione Lombardia
Direttore progetto: Roberto Grassi
U. O. Portale del patrimonio culturale
e valorizzazione degli archivi storici
Soggetto partner
Azienda di servizi alla persona
Istituti milanesi Martinitt e Stelline
e Pio Albergo Trivulzio
Archivio Storico e Iniziative Culturali
Con il finanziamento di
Soggetto realizzatore
Cooperativa CAeB, Milano
Ricerca e redazione di: Gabriele Locatelli
3. L'orfano Enrico Vaghi - anarchico, espulso, eroe
Cronologia
1885 - 1955
Luoghi
Milano, Broni, Adua
Vicenda
Enrico Vaghi nasce a Milano l’11 febbraio 1877; orfano di entrambi i
genitori entrò in Orfanotrofio il 30 ottobre 1885.
Fin dai primi anni della sua permanenza presso l'Orfanotrofio si distinse
per essere fra gli elementi più turbolenti e politicamente pericolosi.
Dal 1887 al 1892 lo stato disciplinare dell’orfano è ricco di notizie
sulle numerose mancanze di rispetto, le appropriazioni indebite e il
possesso di libri/opuscoli sovversivi sequetratigli dalla Direzione che,
come anche altri orfani, Vaghi riusciva a detenere illegalmente e a
trafugare all'interno della struttura (dalla “Marsigliese” a “Ravachoil –
storia di un dinamitardo”, da “Giorgio e Silvio (dialogo fra due
militari)” a “La vipera nera”).
Vaghi fu sicuramente uno degli elementi più carismatici di quel gruppo di
orfani che, intepreti di una certa atmosfera di ribellismo confusamente
miscelata con elementi anarchici e socialisti, portò alla rivolta del
1892.
Proprio in sequito a quei fatti e alla natura molto "pericolosa" del
Vaghi il 18 giugno 1892 il consiglio ritenette di procedere alla sua
espulsione; il rettore Melzi ne propose l'espulsione offrendo una vera e
propria schedatura dell'orfano "valigiaio applicato ad un'officina
esterna, già detentori di stampati e manoscritti anarchici, intimo amico
dell'espulso Gerli Giovanni, anarchico, è uno dei pochi che continuano a
tenere viva l'agitazione nella comunità. I suoi precedenti disciplinari
lo dipingevano come dedito ad appropriazioni indebite, bestemmiatore,
immorale, egligente alle scuole, indisciplinato nell'officina e dovunque,
sovversivo. La sua permanenza nell'Istituo è di grave ostacolo al
ristabilimento dell'ordine e della tranquillità [...]".
Differentemente dalla quasi totalità degli orfani espulsi per ragioni
politiche la vicenda di Enrico Vaghi assume continua in modo ancor più
significativo dopo l'espulsione.
Il 16 luglio 1892 scrive una lettera al Consiglio, su carta intestata del
valigiaio Carlo Artalli (dove si presume che il Vaghi avesse trovato
impiego durante la permanenza in orfanotrofio o dopo la sua espulsione);
si tratta dell'ennesima rivendicazione in cui, con toni molto formali e
un buon italiano, richiede di ottenere dall'orfanotrofio i denari
guadagnati durante il lavoro esterno e i vestiti che solitamente vengono
dati agli orfani dopo la loro dimissione ma che, dato il suo status, gli
vennero negati ("quando sono andato mi hanno dato solo che: un paio
calzoni e gilet fustagno, 1 camicia, 1 fazzoletto, 1 paia mutande, 1 paia
calze, 1 paia scarpe e una giubba").
4. La sua richiesta fu ovviamente respinta dalla Direzione.
Dopo l'espulsione l'Istituto inserì il Vaghi in un elenco di orfani nei
cui confronti vene attivata la "sorveglianza esterna" allo scopo di
seguirne le mosse e impedire che gli orfani maggiormente carismatici
esercitassero la propria nefasta influenza nei confronti dei martinitt
rimasti all’interno dell’Istituto; tutte le mosse dei più carismatici
esponenti che diedero il via alla rivolta del 1892 venivano seguite e
annotate dalla Direzione in un diario riservato “della propaganda
anarchica”.
Nei mesi successivi fino al giugno 1893 (data dell'ultima informativa
presente in archivio) l'ex martinitt Enrico Vaghi fu quasi pedinato dalla
vigilanza occhiuta della Direzione, visto il timore con cui era vista la
sua presenza presso i laboratori esterni dove erano impiegati altri
orfani; le puntuali relazioni dell'informatore che ne seguiva i passi da
ex martinitt, il censore Pietro Rozza, parlano dell'orfano "intinto di
pece anarchica" con toni allarmistici.
Leggendo tra le righe delle segnalazioni, nella costante opera di ricerca
di tracce, nei toni preoccupati e quasi parossistici si evince che per un
certo periodo probabilmente per Rozza il Vaghi rappresentò un incubo, un
pericolo incombente sulle certezze di una vita e su un’istituzione ormai
in rapida normalizzazione dopo i fati del 1892.
Nel mese di novembre era segnalato in una casa in via Larga, che fu
costretto a lasciare ("abbandonò senza avviso e senza spiegazione il suo
principale presso il quale aveva vitto e alloggio") in seguito a un
intervento di un delegato di Pubblica sicurezza (ma prima di questa
informazione Rozza si era spinto a immaginare che il Vaghi avesse scritto
una lettera di fuoco alla Direzione dell’Orfanotrofio e per questa avesse
passato dei guai); a gennaio si sa che "dopo la chiamata in Questura il
Vaghi lacerò e bruciò gli scritti anarchici che teneva in un cassetto e
spaventato si allontanò da Milano. Attualmente si trova a Broni".
L'ultimo rapporto conservato è del 4 giugno 1893, a quasi un anno
dall'espulsione del Vaghi ("In questi giorni è riapparso a Milano il
Vaghi Enrico [...] Ultimamente trovavasi a Broni dove lavorava nella sua
arte del valigiaio [...]. Con oggi, se male non sono informato, deve
essere ammesso nel laboratrio Franzi dove già trovasi l'orfano Sioli II
Giuseppe. La cosa mette un po' in pensiero perché lo Sioli ebbe già a
lasciarsi montare la testa, in modo molto pericoloso, durante i disordini
dell'aprile 1892").
Nel citato registro della Direzione è presente il rimando alla
segnalazione del censore e la sintetica aggiunta “Il pericolo viene
opportunamente scongiurato”, lasciando presumere un intervento
dell’Istituto per precludere al Vaghi qualsiasi possibilità di influenza
e forse anche la possibilità di un lavoro da valigiaio nella città di
Milano.
Non è difficile immaginare quali potessero essere le condizioni di vita e
le difficoltà di un orfano completamente solo e privo di appoggi (l’unica
parente che si interessò di lui durante la permanenza in Orfanotrofio
risiedeva in un’altra regione), anzi osteggiato pervicacemente dalla
5. Direzione dell’Orfanotrofio; non ci risulta così complicato, allora,
comprendere e immaginare il suo vagabondare tra città e officine.
Che cosa accade ad Enrico Vaghi dal 1893 al 1896 non è noto e le fonti
conservate in archivio non ci vengono in aiuto: da quel momento la storia
personale di Enrico Vaghi si inserisce nella Storia con la maiuscola e
troviamo sue notizie sulla copertina del fascicolo personale, dove si
legge il seguente appunto (ormai decisamente benevolo) scritto in data 9
novembre 1935 (poco più di un mese dopo l’inizio della Guerra d’Etiopia!)
di pugno di Vanzelli “Caduto ad Adua. Espulso! Ma aveva 15 anni e 4 mesi!
L’ambiente della strada e dell’officina lo aveva trascinato al male. Si è
poi riabilitato cadendo eroicamente ad Adua nel 1896 a 22 anni”.
Nel fascicolo è presente un ritaglio de “L’Orfano”, a firma P. Bennato,
che ne riabilita la memoria, parlandone come di “un giovane di 22 anni
pieno di giovinezza temprata in quella ben preparata fucina dei
martinitt”.
L’ultimo, quasi irriverente, omaggio postumo a Enrico Vaghi fu il suo
insermento nella lapide marmorea a ricordo di tutti i martinitt caduti
eroicamente nella Prima guerra mondiale; anche in molte commemorazioni il
suo nome veniva assimilato ai caduti nella Grande guerra.
6. Elenco dei documenti:
1 – Copertina del fascicolo personale di Enrico Vaghi con annotazioni di
pugno del direttore Vanzelli
2 – Elenco degli opuscoli e degli stampati sovversivi sequestrati dalla
Direzione dell’orfanotrofio all’orfano Enrico Vaghi
3 - Elenco degli opuscoli e degli stampati sovversivi sequestrati dalla
Direzione dell’orfanotrofio all’orfano Enrico Vaghi
4 - Elenco degli opuscoli e degli stampati sovversivi sequestrati dalla
Direzione dell’orfanotrofio all’orfano Enrico Vaghi
5 – Proposta d’espulsione dell’orfano Vaghi Enrico (17 giugno 1892)
6 – Richiesta di denaro e di abiti presentata dal Vaghi al Consiglio
dell’orfanotrofio in data 16 luglio 1892
7 – Informativa del 17 dicembre 1892 e del 7 gennaio 1893 del censore
Rozza (2 fogli)
8 - Informativa del 4 giugno 1893 del censore Rozza
9 – Pagina del “Diario della propaganda anarchica” in cui si legge
l’ultima notiza su Enrico Vaghi e, in data 4 giugno 1893, si segnala che
“Il pericolo viene opportunamente scongiurato”
10 - Articolo di P. Bennato tratto da “L’orfano” dell’ottobre 1935 in
cui Enrico Vaghi viene riabilitato
11 – La lapide dei martinitt caduti posti nella sede di via Pitteri in
cui figura anche il nome di Enrico Vaghi
12 – Commemorazione della lapide ai caduti
13 – Articolo di P. Bennato tratto da “L’orfano” dell’ottobre 1935 in
cui si fa riferimento al discorso del presidente Chiesa che rese
omaggio ai caduti, dal più noto Cozzi al “modesto Enrico Vaghi caduto
da eroe nell’infausta giornata del 1° marzo 1896 ad Adua, sopraffatto
dalle orde nere di Menelik”
19. Contesto archivistico
La ricerca è stata effettuata negli archivi della Direzione e
dell’Amministrazione dell’Orfanotrofio maschile conservati presso la sede
dell’Azienda di servizi alla persona degli Istituti milanesi Martinitt e
Stelline e Pio albergo Trivulzio.
Dell’archivio di Amministrazione dell’Orfanotrofio è dotata di inventario
la serie del Patrimonio attivo (2001), dell’archivio della Direzione è
inventariata la serie dei fascicoli personali (2004), entrambi realizzati
da CAeB – Cooperativa archivistica e bibliotecaria.
Per il presente dossier sono state consultate le seguenti serie
archivistiche:
- Archivio della direzione, Orfani, Disordini 1892, Propaganda anarchica
- Archivio della direzione, Orfani, Disordini 1892, Stampati sovversivi
e immorali
- Archivio della direzione, Orfani, In genere, Punizioni, “Lettera V”
- Archivio della direzione, Orfani, Società e lavoro
- Archivio della direzione, Orfani, Lapidi e monumenti
- Archivio della direzione, Orfani, Fascicolo personale di Enrico
Vaghi, b. 120, fasc. 3
Sono state utilizzate anche le seguenti pubblicazioni a stampa:
- “L’Orfano”, ottobre 1935
- “L’orfano”, marzo – aprile 1955
Il quadro storico generale
Vicino alla città santa di Axum, si scontrarono nel 1896 un corpo di
spedizione italiano (comandato da Oreste Barattieri) e il grosso
dell'esercito etiopico di Menelik II. La battaglia di Adua pose termine
alle operazioni militari della campagna d'Africa Orientale ed ebbe luogo
il 1° marzo 1896; l'ultima delle grandi potenze europee vedeva frustrati
i propri piani di espansione dinanzi alla resistenza dell'ultimo e più
forte dei regni africani (unica in Africa, l'Etiopia avrebbe mantenuto la
propria indipendenza sino al 1935). Per questo e per le dimensioni della
sconfitta, Adua rimase un simbolo della resistenza africana al
colonialismo bianco. Gli italiani subirono una pesante sconfitta, che
arrestò per molti anni le loro ambizioni coloniali sul corno d'Africa.
Nel 1935, con la guerra d’Etiopia, il fascismo porrà tra i propri scopi
principale la cancellazione dell’onta della sconfitta.
20. Nella battaglia morirono 7000 tra soldati italiani e ascari e circa 5000
soldati etiopi.
Sui fatti di Adua si vedano anche, tra gli altri:
Angelo Del Boca, Gli italiani in Africa Orientale, vol. 1, Roma-Bari 1976
Giovanni Raimondi, Diari di soldati cremaschi alla battaglia di Adua :
nella campagna d'Africa, 1895-1896 / Giovanni Raimondi, Celeste Pagliari,
Francesco Pariscenti, a cura di Simone Bandirali ; prefazione di Manlio
Cancogni, Crema, Arti grafiche 2000, 1996
Il contesto specifico
L’orfanotrofio maschile
Al crepuscolo del ducato sforzesco, tra il 1532 e il 1533, risale la
fondazione dell’orfanotrofio maschile dei Martinitt. Le occupazioni, le
invasioni e le guerre succedutesi sotto l’ultimo duca milanese, avevano
creato povertà e miseria nelle classi subalterne, facendo lievitare la
piaga endemica della mendicità.
In questo contesto sociale la creazione di un nuovo ricovero intese
provvedere alle elementari necessità dei tanti fanciulli in stato di
abbandono. L’iniziativa fu di un nobile veneziano, Gerolamo Emiliani, che
nelle città della terraferma veneta aveva già fondato diversi luoghi di
ricovero: a Brescia, a Bergamo, a Somasca.
Nella città ambrosiana il primo ricovero sorse rapidamente, nei pressi
dell’odierna via Morone, dove, per la vicinanza con la chiesa di San
Martino, i ragazzi ebbero da allora il nome di Martinitt.
Il luogo pio era amministrato da 18 deputati, esponenti della nobiltà
cittadina, mentre la direzione interna era affidata ai padri della
Congregazione Somasca.
Gli istitutori posero sempre grande attenzione all’educazione: fin dal
Cinquecento si impartiva un’istruzione, sia pur elementare, e si
insegnavano quei fondamenti di arti manuali che avrebbero permesso ai
fanciulli di entrare attivamente nel mondo del lavoro.
Nel 1772 Maria Teresa d’Austria, nell’ambito della politica di riforme
assistenziali condotta dai sovrani nella seconda metà del secolo, destinò
ai Martinitt una sede più ampia: i locali del soppresso monastero di San
Pietro in Gessate, di fronte all’odierno tribunale, dopo averne
trasferito i monaci.
Nel 1778 il capitolo dei deputati approvò un nuovo regolamento organico,
in applicazione dei decreti teresiani e giuseppini in materia
assistenziale, in cui ogni aspetto della gestione amministrativa sembrava
sottoposto all’immediato controllo del governo, attraverso procuratori,
mentre l’insegnamento e la direzione spirituale erano sempre affidate ai
padri somaschi.
Vennero in questo periodo aboliti una serie di doveri tradizionali, quali
l’accompagnamento ai funerali e la questua, la tonaca, sostituita da una
21. divisa laica; venne dato forte impulso all’istruzione tecnica e pratica,
caratteristica che rimase per tutto il secolo successivo, qualificando
l’orfanotrofio per le molte “officine interne”.
Nell’orfanotrofio venivano accolti ragazzi di almeno 7 anni, tramite
segnalazioni al Capitolo dei Deputati, orfani di uno solo o di entrambi i
genitori, dimessi al compimento dei 18 anni.
In questo periodo il luogo pio venne dotato di cospicue donazioni, per
garantirne i redditi necessari alla sua amministrazione: nel 1772 vennero
destinati i beni della soppressa Inquisizione di Milano e di Como, nel
1776 quelli dell’ospedale di San Giacomo dei Pellegrini e quelli dei
santi Pietro e Paolo dei Pellegrini, e infine quelli dell’orfanotrofio di
Santa Caterina e San Martino.
Grande eco ha sempre suscitato il ricordo dei Martinitt durante le
insurrezioni del 1848, quando i ragazzi vennero utilizzati dagli insorti
come staffette portaordini tra le barricate.
Lo stato italiano, all’indomani dell’Unità, intervenne con apposite
legislazioni per disciplinare il complesso mondo dei luoghi pii e degli
istituti di assistenza. Dal 1863 l’orfanotrofio dei Martinitt ricevette
un unico consiglio di amministrazione, unitamente all’orfanotrofio delle
Stelline e al Pio Albergo Trivulzio. Vennero rivisti statuti e
regolamenti del luogo pio: l’educazione degli orfani diventò il punto
centrale “affinché fatti saggi, intelligenti e laboriosi riescano utili a
sé e alla società, alla quale vanno restituiti”.
Per il ricovero nell’orfanotrofio, oltre alla dichiarazione di povertà,
occorreva essere orfani dei genitori (o almeno del padre), essere
cittadini italiani e residenti nel comune di Milano. L’età per
l’ammissione doveva essere tra i 7 e i 10 anni, occorreva superare la
visita medica e un semestre di prova, al termine del quale il ricovero in
istituto diventava definitivo.
L’istituto ebbe allora due sezioni: in una gli alunni della scuola
elementare, nell’altra gli apprendisti operai e gli alunni delle scuole
professionali (attivate dapprima con laboratori interni e in un secondo
momento esterni).
Con il processo di industrializzazione, che andava trasformando l’aspetto
urbanistico e le strutture della società, che vedeva impegnati entrambi i
genitori con lunghissimi orari di lavoro nelle fabbriche a condizioni
precarie e di scarsa sicurezza, cresceva il numero di richieste di
accoglienza per ragazzi rimasti orfani; in taluni momenti l’istituto
ospitò oltre 400 Martinitt.
Con il nuovo secolo l’orfanotrofio passò tra due guerre e il fascismo.
Durante la Grande Guerra i Martinitt, in seguito alla trasformazione del
Trivulzio in ospedale militare e al trasferimento dei suoi ospiti nello
stabile di S. Pietro in Gessate, vennero alloggiati a Canzo e a Maresso,
dove possedevano due ville per le vacanze estive.
Il regime fascista fece della preparazione tecnica dei ragazzi una delle
sue bandiere per la “rinnovazione del popolo”; l’istituto venne dotato di
mezzi cospicui e perfino di una nuova enorme e attrezzata sede
(inaugurata nel 1932), nella periferia Est di Milano, nel quartiere
dell’Ortica, dove tuttora si trova.
22. La posizione dell’orfanotrofio durante la guerra del ’40-’45 fu
pericolosissima: vicina allo smistamento merci ferroviarie di Lambrate,
accanto a ditte di produzione bellica, poteva essere facilmente colpito
durante i bombardamenti. I Martinitt con le Stelline venero sfollati in
parte a Canzo e in parte a Fano.
A questo oscuro periodo seguirono gli anni della ricostruzione, il boom
dell’immigrazione e quello economico, che videro, all’interno delle mura
dell’istituto, non solo l’avvicendamento di numerosissimi ragazzini, ma
anche il dibattito sulle nuove forme pedagogiche da attuare.
Nacquero così, negli anni Settanta, le “comunità alloggio”, tuttora
funzionanti, nelle quali ristretti gruppi di ragazzi, seguiti da vicino
da più istitutori, vivevano e vivono una sorta di “vita familiare
allargata.”
(nota storica a cura di Cristina Cenedella e tratta dall’inventario
Archivio della direzione dell’Orfanotrofio maschile – Fascicoli
personali)
Sull’Orfanotrofio maschile si può consultare la seguente bibliografia:
- Le varie sedi dell´Orfanotrofio maschile di Milano dalla sua
fondazione (1532) al tempo presente (1933), a cura di Aurelio Angeleri,
Milano, Vallardi, s.d.
- Monografia dell´Orfanotrofio maschile di Milano. Omaggio di
onoranza di benefattori defunti e viventi, Milano, stab. tip. Enrico
Reggiani, 1910.
Enzo Catania, I Martinitt. Milano tra cuore e storia, Milano 1988.
Maria Angela Previtera, Martinitt e Stelline, istruzione e lavoro
attraverso le esposizioni tra ‘800 e ‘900 in 200 anni di solidarietà
milanese nei 100 quadri restaurati da Trivulzio, Martinitt e Stelline, a
cura di Paolo Biscottini, Milano, Motta, 1990.
Luisa Dodi, L’Orfanotrofio dei Martinitt nell’età delle riforme, in Dalla
carità all’assistenza. Orfani, vecchi e poveri a Milano tra Settecento e
Ottocento, a cura di Cristina Cenedella, atti del convegno, Milano,
Electa, 1992.
Antonio Barbato, Vincenzo Guastafierro, Martinitt. Trovarsi – ritrovarsi,
Milano, Greco & Greco editori, 1993.
Associazione “ex Martinitt” Ordine e Lavoro, 120 anniversario, 1884-2004
Milano, Milano, Associazione “ex Martinitt”, s.d.
23. Trivulzio, Martinitt e Stelline. Due secoli dedicati ai poveri, Catalogo
della mostra, Milano, 2004.
La vita fragile. Dipinti, ambienti, immagini dei Martinitt, Stelline e
Pio Albergo Trivulzio nella Milano del lungo Ottocento 1815-1915, a cura
di Maria Canella e Cristina Cenedella, Milano, 2007.