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Definitivo_TESI TRIENNALE

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  1. 1. UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI TORINO Scuola di Management ed Economia Corso di Laurea in Commercio Internazionale RELAZIONE DI LAUREA QUANDO I BAMBINI MANGIANO QUELLO CHE GUARDANO Impatto delle strategie di marketing sui giovanissimi Relatrice: Casalegno Cecilia Giuliana Candidato: Lo Dolce Andrea N° matricola: 736867 Anno accademico 2013/2014
  2. 2. Ringrazio la mia famiglia che mi ha permesso di raggiungere questo importante traguardo, sostenendomi sia economicamente sia moralmente. Grazie
  3. 3.         INTRODUZIONE     1. Il settore alimentare e i bambini: quando il marketing è rivolto a loro. 2. Promozione delle vendite: persuasione come strumento di marketing. 2.1 Combinazione Psicologia – Marketing. 2.2 Creare un ambiente idealisticamente perfetto per il bambino. 2.3 Studio e stimolo del Subconscio. 3. Strategie di Marketing adottate dalle imprese con target primario i bambini. 4. Conclusione. 5. Bibliografia. 6. Sitografia.   INDICE    
  4. 4. INTRODUZIONE L’aumento della diffusione dell’obesità, in particolare fra i bambini, viene osservato con crescente preoccupazione in tutto il mondo. La Task Force internazionale per l’obesità stima che circa il 25% dei bambini in età scolare, presenti un eccesso di grasso corporeo, con conseguente aumento di rischio malattie croniche. Un quarto di questi bambini è francamente obeso e ha un’alta probabilità di sviluppare precocemente ulteriori patologie. Rischia ad esempio di contrarre malattie vascolari, come il diabete, e di incidere anche sull’aumento dell’indice di massa corporea (BMI, Body Mass Index). Le cause sono facilmente richiamabili alla diffusione di bevande con elevatissimo contenuto di zucchero, le macro porzioni nei ristoranti, i cibi ad eccessivo contenuto di grassi e calorie. Le enormi quantità di denaro investite in ricerche sul marketing e le strategie di brand delle compagnie che commercializzano generi alimentari, hanno innescato l’avvio di indagini su come queste vengono indirizzate ai bambini. Oggi gli annunci di fast food, merendine, bibite zuccherate, sono diffusi tramite televisione, radio, internet e con ogni altro mezzo che permetta visibilità. La Mcdonald’s sponsorizza i Giochi Olimpici mentre la KFC, la Taco Bell e la Pizza Hut sponsorizzano l’NCAA. Gli spot pubblicitari sugli alimenti, esaltano molte categorie di cibi non essenziali per la salute, e utilizzano molti premi, regalini, personaggi promozionali per raggiungere i minori nella maniera più diretta. Un esempio è l’Happy Meal, creato a Kasans City intorno al 1970, che promuove un pasto completo, accompagnato da gadget di eroi cinematografici e personaggi di cartoni animati, che fanno parte della reatà quotidiana del minore. Un’organizzazione no-profit, la BBB (Better Business Bureau), dal 1974 ha dato vita alla CARU (Children’s Advertising Review Unit), iniziativa che opera al fine di mantenere le linee guida focalizzate sulle tattiche di mercato dei beni alimentari. La CARU tra l’altro riferisce: “I pubblicitari dovrebbero riconoscere che l’uso di premi e giochi, ha il potenziale di aumentare la vendita verso i bambini, poichè essi trovano difficoltà nel distinguere il messaggio legato al prodotto da quello legato al premio. Dando ovviamente più rilevanza a quest’ultimo”. La BBB, a partire dal 2006, ha introdotto il CFBAI (Children’s Food Beverage Advertising Initiative) per mezzo del quale le aziende, si impegnano a regolare le campagne pubblicitarie su bevande e cibo, secondo determinati criteri e rapporti nutrizionali. Negli Stati Uniti, ingredienti, etichette e composizione del cibo vengono tenuti sotto controllo dalla FDA (Food and Drug Administration). Dal 1930, le campagne pubblicitarie su minori sono cresciute vertiginosamente, creando industrie da miliardi di dollari. Tale crescita viene associata alla sempre più crescente libertà di scelta e disponibilità monetaria dei minori e alla loro partecipazione diretta alla spesa familiare. Solo negli Stati Uniti D’America, la FTC (Federal Trade Commission), stima che si investa una cifra pari a 1,7 miliardi di dollari, destinati alle campagne pubblicitarie di trash-food rivolte ai bambini, contro i 280 destinati a pubblicizzare alimenti salutari.
  5. 5. Tabella 1 – Spesa totale annua su cibi salutari e non salutari diretti ai bambini1 La FTC ha anche provato, che l’esposizione alle pubblicità sul cibo altera le scelte sugli alimenti e anche che l’associazione del cibo a personaggi animati aumenta la percezione del gusto da parte del bambino. La televisione non è più l’unico media utilizzato allo scopo di convincere al consumo. L’esplosione del mondo digitale, ha drammaticamente cambiato le regole dei giochi. Ormai la relazione dei giovani con i media, non è più limitata ad un rapporto passivo. Le strategie digitali di marketing sfruttano la tecnologia degli smartphone, media player, blog, social networks e videogiochi, tutti strumenti che permettono alle aziende di mantenere uno stretto rapporto coi bambini ed entrare nel loro mondo. Le piattaforme online, permettono ai ragazzi di interagire con marche, prodotti e le compagnie stesse. Queste ultime, infatti, hanno la possibiltà di raccogliere numerosi dati, e adattare i banner e gli annunci promozionali in base alle ricerche passate e ai gusti dei giovani online. Ciò che colpisce maggiormente, è il risultato di alcuni studi effettuati sul cervello. Ricerche neurofisiologiche, dimostrano che la corteccia prefrontale, che controlla le nostre funzioni esecutive, potrebbe non maturare pienamente sino all’età adulta, a causa della continua soggezione agli annunci pubblicitari. I bambini che si approcciano alla pubertà possono dunque vivere un cambiamento ormonale che li rende più esposti agli stimoli esterni. In altre parole, nel periodo della loro vita, in cui i bisogni biologici sono particolarmente intensi, gli adolescenti non hanno ancora acquisito la capacità di controllare questi bisogni. Questi fattori innati, potrebbero rendere gli adolescenti molto più suscettibili alle pubblicità, specialmente in un periodo in cui sono maggiormente distratti, euforici, esposti a stimoli, sottoposti a pressioni. Di seguito, saranno approfondite diverse strategie, tattiche e regolamentazioni presenti in questo settore di mercato.                                                                                                                 1 Fonte: A Review of Marketing Food to Children and Adolescents: Follow-Up Report. Washington, DC: Federal Trade Commission (FTC), 2012
  6. 6. 1. Il settore alimentare e i bambini: quando il marketing è rivolto a loro Il manuale “A History of Marketing Thought” del Dottor Brian Jones, identifica negli anni Cinquanta il decennio in cui i bambini divennero diretti targets delle pubblicità. La televisione ha permesso l’introduzione di nuove metodologie di vendita di prodotti che non erano venduti prima e, con questo, anche un nuovo modo di rivolgersi in maniera più specifica al target bambino. Ad esempio, il successo di vendite di giocattoli e prodotti collegati al Mickey Mouse Club mostrò gli effettivi benefici derivanti dall’unione tra media e giocattoli. Il bambino fu cresciuto dalle imprese come consumatore, un numero sempre maggiore di aziende, infatti, tentò di entrare nella vita del minore non solo nel contesto “gioco-tempo libero”, ma anche in quello alimentare. Studio fondamentale condotto dal CEO di Prism Communications, James McNeal, individua le diverse fasi di evoluzione dei bambini come consumatori studiate dalle aziende: 1) Dall’età di 1 anno: Accompagnare a fare la spesa e osservare. I bambini, vengono portati a fare la spesa coi genitori nei supermercati, dove tutta una serie di prodotti sono esposti e memorizzati dal cervello del bambino. Da quando il bambino si potrà sedere in postura eretta, potrà essere posizionato sul seggiolino del carrello, per spostarsi in maniera sicura assieme ai genitori. In realtà avrà la possibilità di vedere, per la prima volta, le “meraviglie del marketing”. 2) Dall’età di 2 anni: Accompagnare i genitori a fare la spesa e fare richieste. I bambini cominciano a chiedere le cose che vedono e percepiscono le prime connessioni tra la pubblicità televisiva e contenuto dei negozi. Prestano maggior attenzione agli annunci e selezionano le cose che vorrebbero possedere. Allo stesso tempo, i bambini imparano le tecniche più efficaci per convincere i genitori ad esaudire i loro desideri: piangere, fare i capricci, rotolarsi per terra. Solitoamente i genitori accondiscendono alle richieste di acquisto. Il bambino ha dunque acquisito una strategia di convincimento che può indurre i genitori ad accettare ogni richiesta; 3) Dall’età di 3 anni: Accompagnare i genitori e selezionare chiedendo il permesso. I bambini hanno ora le possibilità fisiche di scendere dal carrello e fare le proprie scelte. Hanno la capacità di riconoscere le marche e la posizione degli articoli all’interno dei negozi. A questo punto hanno completato molte connessioni: pubblicità, richieste, negozi, package, che permettono di individuare ciò che può soddisfare i loro bisogni. I genitori percepiscono tale atteggiamento di richiesta come un atteggiamento positivo, un atteggiamento di crescita. 4) Dall’età di 4 anni: Accompagnare i genitori ed effettuare gli acquisti in maniera indipendente. Il passo finale consiste nell’imparare a pagare e concludere l’acquisto alla cassa; 5) Dall’età di 5 anni: Andare al negozio da soli e fare i propri acquisti in maniera indipendente. Secondo la rivista Direct Marketing, dall’età di 8 anni, i ragazzi sono pienamente in grado di prendere delle decisioni di acquisto.
  7. 7. I bambini delle generazioni odierne sono in grado di riconoscere le marche e gli status symbol, dall’età di 3/4 anni. Prima ancora di saper leggere. Mediante uno studio dettagliato, si è scoperto che il 52% dei bambini di 3 anni e il 73% di quelli di 4 anni, spesso o quasi sempre, richiedono ai genitori marche specifiche. Secondo la Commisione Europea, l'entità del marketing sui cibi non salutari rivolto ai bambini varia da Paese a Paese, con una prevalenza variabile dal 49% dell'Italia fino a circa il 100% della Danimarca e del Regno Unito. In Gran Bretagna nel 2003 furono spese 743 milioni di sterline per la pubblicità di cibi e bevande, con una tendenza all'aumento. In Germania la pubblicità di prodotti alimentari, rappresenta l'87% del totale degli investimenti in pubblicità televisiva. In Olanda gli investimenti dell'industria alimentare sono cresciuti del 128% tra il 1994 e il 2003. Per quanto riguarda la Grecia, sono disponibili dati che riguardano in modo specifico la spesa pubblicitaria relativa ai bambini, che dimostrano un incremento del 38% fra il 2002 e il 2003, con un aumento della spesa da 1,3 a 1,8 milioni di Euro. In Svezia, nel 2003, il totale degli investimenti in pubblicità di prodotti energetici quali, cioccolato, dolciumi, fast food, ammontava a 25 milioni di Corone nella fascia oraria fra le 7 e le 8 del mattino, e a 213 milioni di Corone nella fascia fra le 17 e le 20, essendo questi i due momenti della giornata in cui si presume che i bambini guardino di più la TV. Secondo un grafico riportato dal “U.S. Department of Agriculture”, la distribuzione delle pubblicità televisive sui cibi, è disomogenea, se non addirittura squilibrata. Tabella 2 – Percentuali delle pubblicità sui cibi rivolti agli adolescenti e ai bambini2 Sono altissime le percentuali dei prodotti contenenti zuccheri e calorie a discapito dei cibi salutari.                                                                                                                 2 Fonte: Kaiser Family Foundation: Food for Thought: Television Food Advertising to Children in The United States, 2007
  8. 8. Assieme alla nascita nel 1956 della TV, vi fu anche la nascita delle strategie di segmentazione del mercato, che hanno giocato un ruolo chiave nel creare l’indipendenza dei bambini come consumatori. Malgrado l’era digitale e lo sviluppo di altri media, la stragrande maggioranza della pubblicità alimentare avviene ancora tramite la TV. Mentre, appunto, radio, cinema e riviste rivestono un ruolo minore e apparentemente in declino nei paesi sopra citati. Da  ciò  si  evince  che  oggi  i  bambini  sono  veramente  facili  da  raggiungere.  Secondo  Strasburger   e  Wilson  infatti:  “Oggi  i  giovani  spendono  da  un  terzo  fino  a  metà  del  loro  tempo  in  cui  son  svegli   a  contatto  con  i  mass  media”. Molti sono gli studi disponibili sugli effetti del marketing alimentare sulle abitudini dei bambini, il più importante a livello europeo, è il rapporto Hastings, pubblicato nel 2003, che ha impiegato una metodologia scientifica ed è stato commissionato dalla FSA (Food Standards Agency) nel Regno. I suoi risultati confermano che il marketing, incide effettivamente sulle preferenze alimentari del bambino, sulle sue scelte di acquisto e consumo, sia in termini di marca (per esempio una specifica barretta di cioccolato) sia in termini di categoria (per esempio i dolciumi rispetto alla frutta). Una ricerca dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), effettuata nel 2002, ha evidenziato che i bambini, dotati di personalità trainante, hanno una grande influenza sulle scelte di acquisto dei genitori. Si evince quindi che i bambini sono più un mercato d’influenza piuttosto che primario, non avendo un budget proprio sul quale poter fare affidamento. I pubblicitari la vedono come “un’opportunità per puntare direttamente al budget destinato alla spesa familiare” , rivolgendosi a chi influenza gli acquisti familiari, i bambini. La tabella sottostante, fa richiamo proprio a quanto esposto finora. Tabella 3 – Percentuali a confronto: pubblicità rivolte ai bambini e agli adulti3 Si nota chiaramente che le percentuali relative alla pubblicità che ruota attorno a packaging, promozioni, regalini, sono molto alte se destinate alla clientela bambini. È comportato, come già detto, dal fatto che il mercato d’influenza è molto forte, i genitori mediante la spesa, premiano o puniscono un bambino, è quindi più efficace rivolgersi ai bambini piuttosto che ai genitori.                                                                                                                 3 Fonte: Plosone.org
  9. 9. 2. Promozione delle vendite: Persuasione come strumento di Marketing La definizione di promozione è: “insieme delle tecniche diverse comprendenti pubblicità, forza vendita, pubbliche relazioni, miranti a stimolare l’acquisto da parte del compratore finale o da parte degli intermediari di un determinato prodotto o servizio ”.4 La persuasione è una componente integrante di queste tecniche, utilizzata ogni giorno da pubblicitari, venditori e politici per soddisfare i loro interessi. Secondo l’American Psychology Association (APA), c’è una scienza alla base della persuasione. Il nostro cervello prende migliaia di decisioni al minuto, e di molte non siamo neanche consapevoli. La persuasione attraverso il marketing rappresenta un’industria globale da 500 miliardi di dollari l’anno. Scienziati e venditori sanno che raggiungendo l’inconscio hanno migliori possibilità di vendere i loro prodotti. Una delle tecniche di persuasione più semplici ed utilizzate è il fenomeno del Priming, cioè piccoli suggerimenti che influenzano le opinioni e reazioni dei consumatori senza che se ne accorgano. Si arriva ad aggirare il processo decisionale cosciente e si lavora direttamente con il subconscio. Diventa uno strumento potente e persuasivo perché il cervello è sempre alla ricerca di scorciatoie. Decidendo in fretta risparmia energie per cose più importanti. Poco importa se gli stimoli vengono dal suo corpo o da un agente esterno. I venditori sanno che ogni dettaglio colpisce il cervello: il colore rosso può indurre ad avere fame, le parole in rima e i caratteri in grassetto aumentano la credibilità di un’affermazione, e la scarsità (esempio: massimo 8 a cliente), accresce le possibilità d’acquisto. Ogni impulso indirizzerà il consumatore finale verso la decisione che desiderano fargli prendere, anche quando crederà di avere il controllo della situazione e delle decisioni, purtroppo si sbaglierà. Queste decisioni sono cosi rapide che il cervello non si ferma a farsi domande. Nel mondo del marketing si usa dire: “i pubblicitari non fanno affari con il cliente ma con il suo cervello”. Se si pensa alla potenza della persuasione, con la sua capacità di innescare meccanismi di acquisto sugli adulti, ci dovremmo preoccupare ancor di più riguardo a quanto possa influire sulle decisioni dei bambini e sulle loro abitudini. Fino a una certa età, infatti, non sono ancora dotati del cosiddetto “agire razionale”. Secondo alcune ricerche, i bambini non hanno le possibilità cognitive per capire il significato di un messaggio pubblicitario, questo almeno fino agli 8 anni. Dopo possono diventare facile bersaglio di questi messaggi. Dall’altro canto, gli stessi pubblicitari sono coinviti che i bambini, di tutte le età, capiscano gli intenti delle pubblicità e i loro significati. Alcuni studi hanno addirittura dimostrato che non solo i bambini accettano e capiscono le pubblicità, ma provano soddisfazione nel guardarla, anche ripetutamente. Si crea così una cultura di brand e la capacità di scegliere e selezionare gli show e le campagne pubblicitarie che interessano maggiormente ai bambini. Studi opposti, documentano come ai bambini sotto i 7 anni di età, mancano le capacità analitiche, necessarie alla comprensione dei messaggi pubblicitari, mentre prevalgono quelle emotive e visive.                                                                                                                 4 Fonte: “Il Marketing”, quarta edizione (2009), Giorgio Pellicelli.
  10. 10. 2.1 Combinazione Psicologia – Marketing Per avviare una strategia di marketing i pubblicitari devono conoscere cosa solletica e appaga maggiormente il bambino. Con l’aiuto di remuneratissimi ricercatori e psicologi, hanno avuto accesso alle conoscenze sullo sviluppo dei bisogni, esigenze ed emozioni dei bambini in base alle diverse fasce d’età. Utilizzando ricerche che analizzano il comportamento dei bambini, il loro modo di vivere la fantasia, e addirittura i loro sogni, le aziende sono ora in grado di adottare delle strategie di marketing che colpiscono direttamente l’interesse del bambino e li stimolano a fare richieste ai genitori. Le problematiche derivanti dall’utilizzo della psicologia nel marketing per attirare giovani consumatori, ha guadagnato visibilità dopo che, un gruppo di professionisti sulla Salute Mentale scrisse, nel 1999, una lettera rivolta all’APA (American Psychological Association), avvertendo sulle pericolose pratiche anti-etiche. L’APA, nonostante tutto, non ha posto divieti agli psicologi nel dissociarsi da questa pratica, ha raccomandato però, in un suo report del 2004, di far sì che queste tecniche non si diffondessero troppo tra i giovani, soprattutto ai bambini che non hanno le capacità per comprendere gli intenti persuasivi degli spot commerciali. Il ricorso alle emozioni, infatti, è estremamente dannoso per il comportamento del bambino, che tende a diventare emotivamente legato ad oggetti piuttosto che alle persone. Il risultato di quest’attaccamento emotivo agli oggetti, può scatenare un pericoloso atteggiamento propenso al materialismo. 2.2 Creare un ambiente idealisticamente perfetto per il bambino Animazioni, video ad alta definizione, applicazioni multimediali, stanno producendo nuove esperienze tridimensionali. In questi fantastici ambienti virtuali, grazie all’uso di avatar e altri simulatori in prima persona, i ragazzi si trovano interamente immersi in un mondo d’immagini e suoni che li coinvolge al punto da farli sentire al centro dell’azione, protagonisti di un’avventura. Queste tecniche, che fanno leva sull’immaginazione dei ragazzi, permettono alle aziende di utilizzarle inserendovi pubblicità di prodotti e promozioni, la cui conseguenza risulta in una forte relazione tra il consumatore e il brand aziendale. Le esperienze coinvolgenti sono create al fine di eludere il processo conscio dell’utente nella valutazione delle caratteristiche di un prodotto, e suscitare una risposta automatica. L’utente si trova così ad un livello più suscettibile di risposta agli stimoli. La McDonald’s, ad esempio, ha usato una tecnologia di realtà virtuale diretta ai giovani consumatori. Grazie agli accordi con i produttori del film Avatar: i ragazzi potevano accedere al sito di McDonald’s - Avatar e utilizzare la webcam per entrare direttamente nella realtà del gioco disponibile, diventandone così il protagonista. Scopo della campagna pubblicitaria fu quello di diffondere il più possibile il Big Mac destinato agli adulti, e incentivare le vendite dell’Happy Meal ai più giovani. Comperando il Big Mac, si potevano ottenere codici numerici con i quali i consumatori potevano raggiungere livelli sempre più alti nel gioco, stessa cosa per quanto riguarda l’Happy Meal con cui si potevano ottenere equipaggiamenti speciali e sbloccare personaggi nuovi. Secondo la Promotion Marketing Association, la McDonald’s ha ottenuto, nei soli Stati Uniti, un aumento delle vendite del Big Mac corrispondene al 18%.
  11. 11. 2.3 Studio e stimolo del subconscio A partire dal 2005, le aziende di pubblicità, si sono anche interessate alle più recenti teniche sviluppate da neuroscienziati, in seguito a ricerche condotte sul cervello. Il cosiddetto “Neuromarketing” è ora divenuto un componente critico dell’industria digitale. Le grandi compagnie, stanno perfezionando l’uso di biosensori, che svolgono funzioni di FMRI (risonanza magnetica d’immagine), EEG (elettroencefalografie) e tecnologie che studiano il movimento dell’occhio in seguito a determinati stimoli. Con lo sfruttamento di questi strumenti della neuroscienza, i pubblicitari possono creare delle strategie atte a innescare, a livello di subconscio, delle risposte istantanee. Creando così più probabilità all’acquisto da parte di consumatori sia adulti che giovani, e portando ad una maggiore tendenza agli acquisti d’impulso. L’obiettivo primario del Neuromarketing è di eludere i processi di decisione razionale negli acquisti, soprattutto in categorie come i cibi non salutari che creano maggiori attenzioni rispetto alle altre categorie di beni. La PepsiCo, ad esempio, si è servita del Neuromarketing per espandere il mercato e incrementare di miliardi di dollari le vendite totali per il suo marchio Cheetos (nota merenda per bambini). In seguito la PepsiCo, dopo la limitazione nel 2007 del FBAI (Food & Beverage Advertising Initiative) sulla pubblicità per bimbi inferiori a 12 anni, ha deciso di riposizionare lo stesso marchio nella fascia adulti. Sfruttando le ricerche effettuate dal famoso psicologo americano Paul Ekman, le aziende sfruttano una nuova strategia, conosciuta come Processo di Codificazione Facciale (Facial Action Coding System), che permette di codificare i movimenti e le espressioni facciali degli spettatori, come risposta del subconscio sottoposto agli stimoli di un determinato spot, per valutare le loro reazioni. Le preoccupazioni sulla protezione dei ragazzi online son crescenti, la loro privacy è messa ogni giorno a rischio. Il CDD (Centro per la Democrazia Digitale), lavora al fine di informare i consumatori, i politici e la stampa, riguardo ai problemi del digital marketing, incluso l’impatto sulla salute pubblica. I consumatori possono aiutare l’organizzazione identificando e riportando campagne pubblicitarie che violano le leggi contro l’utilizzo di pratiche di marketing illusivo.
  12. 12. 3. Strategie di marketing adottate dalle imprese con target primario i bambini Alcune imprese, come la Mattel, la Hasbro, la Chicco, la Coca Cola, hanno sempre considerato i bambini come il loro target primario, altre non ne consideravano neanche l’esistenza. Questo perché, a partire dagli anni ’80, sono avvenuti alcuni cambiamenti sociologici, economici e tecnologici che hanno mosso i mercati in direzioni sempre diverse. Possiamo citare per esempio: - Famiglie con due redditi; - Genitori in età più avanzata; - Meno figli per famiglia; - Un solo genitore; - Maggiore importanza dei nonni; - Preoccupazioni per il futuro; - Globalizzazione; - Tecnologia. Questo target è raggiunto in moltissimi modi dalle tattiche promozionali delle aziende. Dal momento in cui la maggior parte dei bambini inizierà ad andare a scuola, è stato stimato, che avranno già speso 5.000 ore guardando la televisione e si arriverà a 22.000 ore al momento del diploma. 5 In molti paesi, soprattutto occidentali, la maggior parte dei bambini ha il proprio televisore in cameretta, che li rende ancora più vulnerabili alle campagne pubblicitarie strategiche. La tecnica più utilizzata, è quella degli show televisivi con cartoni animati come personaggi. La pubblicità televisiva, rappresenta circa il 70% dell’ammontare totale delle campagne rivolte ai minori, il 15% è rappresentato invece da coupons, tagliandi, biglietti promozionali, campioni e regalini; altre strategie sono per esempio l’uso di testimonial non solo in televisione, ma anche nei negozi della compagnia, piuttosto che nelle scuole. Imprese come la Mcdonald’s, spendono circa 500 milioni di dollari per una singola campagna promozionale rivolta a un pubblico di bambini con diverse età. Le sue strategie non sono basate solamente su pubblicità ma anche su Happy Meals, spazi di gioco, club per bambini, materiali per l’istruzione. L’immagine che l’industria dei fast food vuole trasmettere con la pubblicità è una situazione di divertimento e felicità. L’obiettivo è che resti viva nell’età adulta (fedeltà del consumatore) e trasmessa alle generazioni successive. Persino la retorica è stata applicata agli aspetti del marketing rivolto ai bambini. Essa coinvolge: parole, colori, suoni, forme, giochi. Il giornale Emerald Insight, ha pubblicato una ricerca, su come i pubblicitari puntano a influenzare e stimolare gli interessi dei minori mediante i media.                                                                                                                 5 Fonte: American Psychology Association (APA)
  13. 13. Questo grafico riassume i risultati ottenuti. Tabella 4 – Livelli di interesse e influenza ottenibili dalle strategie di marketing sui media6 Ciò che è rappresentato graficamente sulle coordinate cartesiane, sono due dimensioni: le ascisse che indicano i valori dell’influenza della pubblicità, e le ordinate che indicano quelli dell’interesse suscitato. Sono individuate quattro zone principali, due sono quelle “fastidiose”, la 2a e la 2b. Sono quelle che superano i limiti, sono gli estremi che portano ad assillare il minore, quelle che cercano di entrare direttamente nella testa del bambino e influenzarlo. Le zone 1 e 3, sono le più comuni, quelle su cui la maggior parte dei pubblicitari basano le loro campagne. Con l’avvento di internet, tutta la concezione di pubblicità è cambiata rispetto a 20 - 30 anni fa, ed è oggi diventato uno dei media più influenti, economici, flessibili, anche se i dati disponibili sulla spesa pubblicitaria in rete sono ancora scarsi. È ormai parte integrante della nostra cultura: i bambini crescono imparando quotidianamente parte delle sue potenzialità. Il fatto che i bambini navighino spesso da soli online, senza la supervisione dei genitori èun vantaggio per le aziende. Secondo ricerche dell’Università di Berkley (California) Il 25% dei bambini di età compresa fra i 2 e i 12 anni navigava su internet nel 2000 e la percentuale è cresciuta a 66% nel 2010. È come se internet fosse divenuto una seconda televisione, a cui fare riferimento per inserire annunci promozionali rivolti ai bambini. A differenza degli altri media, internet non ha regolamentazioni per la pubblicità online. Questo comporta maggior libertà per le compagnie, partendo dalla raccolta dati sui bambini,                                                                                                                 6 Fonte: Marketing to children: a planning framework on media: Ruppal Walia Sharma, Pinaki Dasgupta, Emerald Insight, 2009.  
  14. 14. arrivando alla pubblicità personalizzata nelle pagine più frequentate dei social media. Secondo uno studio condotto dal CME (Centre for Media Education) il 90% delle più importanti aziende del settore giovani presenti sul web raccolgono informazioni sugli utenti. La strategia più comune, è quella dell’individuare la localizzazione geografica dell’utente (selezione del paese di provenienza sulla home page del sito), seguita dall’invito a compilare un form o delle statistiche prima di poter ottenere accesso a contenuti, documenti o un premio: t-shirts, gadget, peluche. Ottenute queste informazioni, i pubblicitari le usano per “personalizzare” il messaggio in base al segmento che si è scelto di servire. Il tutto, viene utilizzato sulle piattaforme internet per poter trattenere il bambino online il più possibile, poiché sul proprio sito l’impresa ha la piena libertà di sponsorizzare e pubblicizzare tutti i suoi prodotti e servizi. Tra i metodi principali che le aziende utilizzano per attirare il target giovani vi sono sicuramente: o Costruzione dell’immagine di brand nella mente del bambino. Nonostante la giovane età, il bambino è in grado di memorizzare, e come l’adulto, tenderà a fare affidamento a marche conosciute che trasmettano sicurezza e garanzia. Naomi Klein, autrice canadese del libro “No Logo”, traccia le linee guida di quella che è stata la nascita del brand marketing. Secondo la Klein, a partire dalla metà degli anni Ottanta, si è verificato lo sviluppo di nuove tipologie di imprese come Nike, Calvin Klein, Tommy Hilfiger e molte altre. Queste compagnie hanno rapidamente cambiato il loro obiettivo primario dalla produzione dei prodotti, alla creazione dell’immagine di uno specifico brand. In quegli anni, col vantaggio di mandare la produzione in outsourcing, le imprese son riuscite a investire la liquidità risparmiata nella creazione di messaggi promozionali efficacemente elaborati. o Rendere virale una pubblicità o un messaggio particolare. Le aziende sanno che la miglior pubblicità è il passaparola, meglio conosciuto nella lingua inglese con il termine “viral”. Come funziona questo tipo di pubblicità? Se il potenziale consumatore è portato a conoscenza di un nuovo prodotto o servizio da una persona fidata (amici, familiari), compie un’ulteriore passo verso l’acquisto o per lo meno ricava una garanzia per i futuri acquisti. In questo campo, internet e i social media, assumono un ruolo fondamentale. Un video su Youtube, ad esempio, può raggiungere in un solo giorno decine di migliaia di visualizzazioni, la maggior parte delle quali, ottenute tramite passaparola o per condivisione sui social networks. Persino le scuole non rappresentano più luoghi sicuri,dove i bambini son protetti dalle pubblicità, sono, purtroppo, sempre più bersagliate dalle aziende. Queste ultime non possono entrare direttamente nelle scuole a promuovere i loro prodotti; è molto più semplice fornire più materiale possibile prodotto dall’impresa, facendo richiamo al brand. La scuola è il luogo dove i bambini spendono la maggior parte della loro giornata, e le aziende che lo sanno benissimo, cercano di applicare le loro tattiche promozionali. Sponsorizzare i materiali per l’istruzione è una di queste. Per esempio, in Canada, la Kraft ha regalato alle scuole elementari una guida al cibo salutare (comprendente esclusivamente prodotti Kraft). Altro esempio sono le aziende tecnologiche HP e Dell, che hanno offerto in omaggio, alle scuole superiori, dei computer fissi, stampanti e scanner. Fornire quindi le scuole con materiali utili all’istruzione (in cambio di visibilità) è diventato uno degli obiettivi primari di molte imprese con target principale bambini e ragazzi.
  15. 15. 4. Conclusione L’obesità riconosce fra le cause non solo l’eccessivo consumo di alcuni alimenti ma anche l’insufficiente attività fisica. Gli sforzi per combatterla, quindi, devono essere mirati contemporaneamente a migliorare l’alimentazione dei bambini e a spingerli ad aumentare l’attività fisica abituale. Chi si occupa della salute dell’infanzia (associazioni di medici, gruppi di consumatori, altre organizzazioni cittadine) invoca, nell’interesse della salute pubblica, che i bambini vengano tutelati dalla pressione del marketing alimentare. Le industrie alimentari e pubblicitarie, dal canto loro, difendono il diritto di promuovere i propri prodotti. Si oppongono a qualsiasi restrizione e fanno leva sulle istituzioni sui possibili danni che tali restrizioni arrecano al libero mercato. Alcuni Governi, in particolare quello Tedesco e quello Britannico, stanno tentando di convincere l’industria alimentare e pubblicitaria a ridurre spontaneamente la loro attività, per esempio attraverso un’autoregolamentazione responsabile o con l’introduzione di tecniche di marketing sociale con cui promuovere i cibi più salutari. I Governi di altri Paesi si stanno invece concentrando sulla restrizione del marketing alimentare all’interno delle scuole. Ad esempio in Finlandia, l’influenza del marketing nelle scuole è percepita come un fenomeno particolarmente preoccupante, in Grecia, dove la mancanza di definizioni nutrizionali condivise sta rallentando le iniziative e gli sforzi per eliminare i prodotti alimentari non salutari dalle scuole. Nei Paesi dove la pubblicità alimentare diretta ai bambini è già stata proibita in TV, si richiede ai Governi di prendere iniziative simili in altre aree. In Norvegia sono state invocate delle limitazioni nei cinema e in Svezia si mira a raggiungere un divieto valido a livello internazionale per le promozioni televisive dirette ai bambini. Le aziende si oppongono con tutte le loro forze all’inasprimento delle restrizioni già in vigore. Le argomentazioni comunemente utilizzate dalle industrie a tal proposito nei diversi Paesi: o Esistono poche evidenze scientifiche delle correlazioni tra il marketing alimentare e l’obesità infantile; o Le cause sociali responsabili dell’obesità sono diverse, motivo per il quale non è sensato porre sotto accusa i media e le industrie alimentari; o L’autoregolamentazione delle aziende esistente è molto più efficace delle restrizioni legislative; o Son poche le evidenze scientifiche sull’efficacia delle proibizioni televisive del marketing alimentare diretto ai bambini; o E’ necessario insegnare ai bambini a interpretare correttamente le promozioni pubblicitarie, piuttosto che proibire del tutto la pubblicità; o Sono già in espansione sul mercato delle varietà di cibi più salutari. Il “Consiglio Danese per l’Alimentazione”, ad esempio, identifica nelle restrizioni della pubblicità di alimenti non salutari diretta ai bambini uno dei vari componenti di una più ampia strategia di prevenzione dell’obesità. Ad ogni modo, sebbene non sia considerato l’unico fattore determinante, il problema del marketing alimentare diretto ai bambini è ritenuto molto importante e le organizzazioni che si occupano di salute insieme alle associazioni di consumatori sono generalmente favorevoli a introdurre maggiori restrizioni o divieti totali sul marketing di cibi ad
  16. 16. alto contenuto di grassi, zuccheri, sodio. Dello stesso parere sono anche i genitori e gli insegnanti, i quali vorrebbero estendere i divieti anche nelle scuole. Nonostante ciò, c’è chi attribuisce al problema non solo una connotazione salutista ma anche etica e morale, come ad esempio nel caso di un Ospedale Universitario belga che definisce moralmente inaccettabili le macchinette che distribuiscono bevande zuccherate nelle scuole. Altre misure suggerite dai medici, consumatori e cittadini includono: o Rafforzamento della regolamentazione del marketing alimentare nelle scuole e della vendita di prodotti non salutari attraverso i distributori automatici; o Fornire un’educazione alimentare più efficace nel corso di tutto il periodo dell’insegnamento scolastico; o Fornire un’adeguata educazione ai mass media insieme all’educazione alimentare o Regole per la promozione dei cibi tramite altri media, ad esempio internet; o Limitazione delle promozioni presso i punti vendita; o Imposizione di forme di tassazione più pesanti nei confronti dei cibi non salutari; o Utilizzo di un’etichettatura chiara sui prodotti alimentari. Pare, tuttavia, che al momento non esista ancora un reale consenso sulle azioni da prendere per contrastare maggiormente il marketing di cibi non salutari diretto in modo specifico ai bambini.
  17. 17. 5. Bibliografia § International Obesity Task Force (2004) Obesity in Children and Young People: A Crisis in Public Health (eds Lobstein T, Baur L, Uauy R). § Consumers International (1996) A spoonful of sugar – Television food advertising aimed at children: An international comparative survey. § Hawkes, C. (2004). Marketing Food to Children: the Global Regulatory Environment. Geneva:World Health Organization. § Brownell, Kelly D. (2005). “The Fast Food Industry Uses Various Tactics to Improve Its Image”. Fast Food. Farmington Hills, MI: Greenhaven Press. § Schlosser Eric (2001). Fast Food Nation: the Dark Side of the all-American Meal. Boston: Houghton Mifflin. § Nestle, Marion (2002). Food Politics. Berkley, CA: University of California Press. § Schor, Juliet (2004). Born to Buy: The Commercialized Child and the New Consumer Culture. New York: Scribner. § Montgomery K.C., and Chester J. (2009). Interactive Food and Beverage Marketing: Targeting Adolescents in the Digital Age. Journal of Adolescent Health. § McAnarney, E.R. (2008). Adolescent Brain Development: Forging New Links? Journal of Adolescent Health. § Roberts M, Pettigrew S, Chapman K, Miller C, Quester P (2012) Compliance with children’s television food advertising regulations in Australia. § Council of Better Business Bureaus (2013) Children’s Food and Beverage Advertising Initiative. Better Business Bureau. § Jones, Brian D. G.; Shaw, Eric H. (2006). "A History of Marketing Thought". Handbook of Marketing. Weitz, B. § Huang, C. (2009, September 8). What Social Media Can Learn from Multicultural Marketing. Advertising Age. § Consumers International (1999) Easy Targets – A survey of food and toy advertising to children in four Central European Countries.
  18. 18. 6. Sitografia § http://www.plosone.org § http://www.bmsg.org § http://www.foodmarketing.org § http://www.publichealthlawcenter.org § http://www.mediasmarts.ca § https://www.apa.org § http://www.changelabsolutions.org § http://www.fda.gov § http://www.ftc.gov

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