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29 Giugno 2011 – Palmanova (Ud)



La Fondazione di
partecipazione
Note sul regime tributario delle Fondazioni di Partecipazione




Avv. Laura Bellicini
La disamina delle peculiari caratteristiche delle Fondazioni di Partecipazione sotto il profilo
civilistico risulta essenziale al fine di procedere al corretto inquadramento tributario di tale
istituto. Occorre infatti evidenziare da subito come l’introduzione di questo nuovo strumento
nell’operatività quotidiana sia di fatto recente, e come il legislatore non abbia emanato
disposizioni specifiche con riguardo al trattamento tributario previsto per tale particolare
istituzione. E’ necessario quindi verificare se e come risultino applicabili i regimi specificatamente
previsti per gli enti non lucrativi codificati.


       1. La Fondazione di Partecipazione come ente non commerciale


Le Fondazioni di Partecipazione rientrano, quanto meno nella fase inziale e salvo quanto diremo
ne capitolo successivo, tra i soggetti passivi di imposta di cui alla lett. c) dell’art. 73 del DPR n.
917/1986 (il c.d. TUIR) vale a dire: gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust,
residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di
attività commerciali. Ai fini della determinazione del reddito pertanto si applicano le disposizioni
previste dagli artt. 143 a 147 del TUIR per gli enti non commerciali in generale.
Come noto, il regime previsto per gli enti non commerciali, non attribuisce rilevanza fiscale ai
proventi afferenti l’attività istituzionale (quote associative, contributi e liberalità) e considera
imponibili soltanto i redditi fondiari, di capitale, d’impresa (se non prevalenti, vedi infra) e diversi,
ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione. Si noti come il legislatore fiscale riconosca la
natura non commerciale agli enti privati il cui statuto o atto costitutivo non prevede l’esercizio di
attività commerciali quale oggetto esclusivo o principale dell’ente medesimo. La stessa
disposizione chiarisce che per oggetto esclusivo o principale deve intendersi l’attività essenziale
per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dall’atto costitutivo o dallo statuto; pertanto
anche qualora l’ente dichiari finalità non lucrative, lo stesso sarà comunque considerato
commerciale se l'attività essenziale per la realizzazione delle finalità per le quali è stato costituito è
di natura commerciale1.


       2. La Fondazione di Partecipazione come ente commerciale



1
    A supporto della definizione legislativa, la C.M. n. 124/E del 12 maggio 1998 ha specificato che per attività commerciali devono
intendersi quelle che determinano reddito d'impresa in base all’art. 55 del TUIR.
Come evidenziato nel precedente paragrafo, la distinzione tra enti non commerciali e quelli
commerciali è fondata in via preliminare sulle previsioni statutarie inerenti l’oggetto dell’attività;
indipendentemente da tali previsioni, comunque, l’ente perde la sua qualifica di non commerciale
(assumendo contestualmente quella di ente commerciale) se nel corso di un intero periodo
d’imposta esercita prevalentemente attività commerciali superando determinati indici economici
e patrimoniali (art. 149 TUIR). Nel dubbio se un’attività concretamente esercitata abbia natura
commerciale, diviene necessario verificare se sussistono altri elementi distintivi dell’attività
d’impresa come ad esempio la specifica organizzazione dei fattori produttivi funzionalmente
predisposti per la produzione di beni o servizi.
Ulteriore elemento di valutazione della commercialità dell’ente, mutuato dall’art. 85 del TUIR che
delinea per società ed enti commerciali la nozione di ricavo, è il riconoscimento di un corrispettivo
da parte del soggetto che riceve il servizio reso dall’ente non commerciale.
Un corrispettivo presuppone infatti l’esistenza, tra l’ente e il soggetto, di un rapporto
sinallagmatico per effetto del quale il servizio reso è collegato da un nesso di reciprocità con il
corrispettivo. Tale nesso genera una sorte comune dei due adempimenti (pagamento del
corrispettivo ed esecuzione dei servizi) nel senso che se uno dei due è invalido, impossibile o,
comunque non viene posto in essere (ad esempio il servizio non è reso), anche l’altro non dovrà
essere effettuato (e dunque non dovrà essere pagato il prezzo). Il sinallagma presuppone altresì
una sorta di equilibrio economico/patrimoniale tra le due prestazioni e pertanto, in linea generale
e salvo particolari condizioni, lo stesso non può considerarsi sussistente qualora il valore di una
delle due sia significativamente diverso dall’altro.


    3. Conseguenze relative al diverso inquadramento (commerciale o non commerciale)


L’indagine in merito alla commercialità delle attività della Fondazione di Partecipazione, può
portare a due distinti risultati:
    1. La Fondazione ha natura commerciale e pertanto risulterà soggetta alle norme fiscali in
        materia di IRES ed IRAP alla stregua di una qualsiasi società di capitali: il primo tributo sarà
        calcolato su una base imponibile costituita dal solo reddito d’impresa in virtù della nota
        forza di attrazione di tale tipologia di reddito, il secondo verrà determinato sulla base del
        valore della produzione;
    2. La Fondazione rientra tra gli enti non commerciali (non essendo commerciale l’oggetto
        esclusivo o principale della sua attività) e dovrà applicare la normativa appositamente
prevista per tali enti; la base imponibile IRES sarà pertanto costituita, come detto, dalla
       somma delle quattro categorie reddituali indicate nel primo paragrafo mentre l’IRAP sarà
       calcolata in base al cd. metodo retributivo.


   4. Le Fondazioni di Partecipazione e la qualifica di ONLUS


Le Fondazioni di Partecipazione, pur essendo una figura atipica, in virtù di quanto previsto
dall’articolo 10, comma 10, del D. Lgs. 4 dicembre 1997, n.460 che fa riferimento agli “altri enti di
carattere privato”, possono aspirare, qualora recepiscano le clausole statutarie richieste dalla
specifica normativa, ad acquisire la qualifica di Onlus.


Al riguardo, va però tenuto in debito conto la posizione da tempo assunta dall’Amministrazione
Finanziaria, avallata peraltro da parte della giurisprudenza, la quale, con Ris. n. 164/E del
28.12.2004, ha asserito che “affinché non sia preclusa (…) la possibilità di acquisire e mantenere la
qualifica di Onlus, occorrerà verificare che la presenza tra i soci fondatori o sostenitori della
fondazione di enti pubblici e di società commerciali (nonché di altri soggetti espressamente esclusi
dalla normativa Onlus ai sensi dell’art. 10,comma 10,del D. Lgs. 4 dicembre 1997, n.460) non sia
prevalente e comunque tale da esercitare un’influenza dominante nelle determinazioni
dell’organizzazione”. Tale posizione ad oggi rende quindi difficile il conseguimento della qualifica
di Onlus per le Fondazioni di Partecipazione finalizzate a coniugare gli sforzi comuni di enti pubblici
e società private per scopi di pubblica utilità, dovendo necessariamente verificare che tra i soci
fondatori non vi sia la prevalenza (numerica) di società di capitali o enti pubblici e che ai soci
sostenitori, laddove tra essi vi fossero tali soggetti (società di capitali ed enti pubblici), non siano
attribuiti poteri tali da considerare che la Fondazione subisca una loro influenza dominante. La
rigida e in parte illogica interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria è stata fortemente
criticata dall’Agenzia delle Onlus sia con la delibera n. 516 del 23 novembre 2004, sia con il recente
Atto di Indirizzo del 4 ottobre 2010.


Come noto, inoltre, per acquisire la qualifica di Onlus è necessario perseguire uno o più scopi di
pubblica utilità tra quelli espressamente indicati dal legislatore come riportati dalla lettera a)
dell’art. 10 del D. Lgs. 460/1997, vale a dire:
1) assistenza sociale e socio-sanitaria;
2) assistenza sanitaria;
3) beneficenza;
4) istruzione;
5) formazione;
6) sport dilettantistico;
7) tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico di cui alla legge 1°
giugno 1939, n. 1089, ivi comprese le biblioteche e i beni di cui al decreto del Presidente della
Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409;
8) tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente, con esclusione dell'attività, esercitata
abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi di cui all'articolo 7 del
decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22;
9) promozione della cultura e dell'arte;
10) tutela dei diritti civili;
11) ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni ovvero da
esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni che la svolgono direttamente, in
ambiti e secondo modalità da definire con apposito regolamento governativo emanato ai sensi
dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400.
Ad eccezione delle attività indicate ai numeri 1), 3), 7), 8) e 11) tali attività devono essere dirette
ad arrecare benefici direttamente a soggetti svantaggiati.


La possibilità di acquisire la qualifica di Onlus, benché imponga il rispetto delle stringenti
condizioni fissate dal D. Lgs. 460/1997, permette anche alle Fondazioni di Partecipazione di
usufruire di un trattamento fiscale privilegiato. In particolare, ai fini delle imposte sui redditi, per
le Onlus non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali
nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale. È, dunque, prevista la completa
“decommercializzazione” delle attività istituzionali svolte dalle Onlus, con la conseguenza che tali
attività, ai fini delle imposte dirette, non assumono alcuna rilevanza. Inoltre per le attività
connesse (definite accessorie e integrative a quelle istituzionali), è stabilito che i relativi proventi
non concorrono alla formazione del reddito imponibile, con la conseguenza che anche nello
svolgimento di tali attività non si verificherà l'insorgere di debito di imposta IRES.


Poiché le attività commerciali delle Onlus sono improduttive di reddito d'impresa, al fine di evitare
l'insorgere sistematico di crediti di imposta, è stato opportunamente previsto che nel caso di
contributi erogati alle stesse non si applichi la ritenuta d'acconto del 4 per cento di cui all’art. 28
del DPR 600/1973.


Una precisazione va fatta con riferimento all'IVA, in quanto la decommercializzazione prevista per
le attività istituzionali e la esclusione dalla formazione del reddito imponibile prevista per le
attività connesse non ha alcuna rilevanza ai fini di quest'ultima imposta. Pertanto, anche qualora
l’attività posta in essere rientri tra quelle istituzionali, dovrà essere assoggettata ad IVA qualora ne
sussistano le condizioni.


   5. Indagine sulla applicabilità delle disposizioni previste per gli enti associativi


La discussione riguardante l’inquadramento giuridico della Fondazione di partecipazione ha
portato alcuni operatori a considerarla quasi un tertium genus rispetto alla fondazione e alla
associazione, o addirittura ad evidenziare la rilevanza delle peculiarità che snaturano la sua
essenza di fondazione avvicinandola agli enti associativi. Sotto il profilo fiscale ciò potrebbe avere,
per ipotesi, la conseguenza di poter considerare applicabili anche a tale istituto le disposizioni
specifiche per gli enti associativi contenute nell’art. 148 TUIR in forza del quale “Non è considerata
commerciale l'attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità
istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le
somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non
concorrono a formare il reddito complessivo.”
La stessa Amministrazione Finanziaria, nella già citata Risoluzione n. 164/E del 28.12.2004, ha
definito “Le c.d. fondazioni di partecipazione - venutesi a creare nell’ambito di un graduale
processo evolutivo in forza del quale le fondazioni si connotano sempre più in termini partecipativi
- si configurano come soggetti caratterizzati, a fianco della struttura essenziale (patrimonio, enti
fondatori, consiglio di amministrazione) prevista dal codice civile, dalla partecipazione di altri
soggetti (sostenitori o partecipanti o simili) i quali condividono gli scopi originari dell’ente e
intendono contribuire alla loro realizzazione mediante l’apporto di operatività e di capitali. Nelle
fondazioni di partecipazione si attenua, pertanto, una delle caratteristiche tradizionali dell’ente
fondazione, e cioè il distacco dell’ente nei confronti dei soci fondatori e sostenitori.” La stessa tesi
dell’Amministrazione Finanziaria che evidenzia la possibile “influenza dominante” dei Fondatori o
Partecipanti, potrebbe essere usata a sostegno dell’avvicinamento ad un ente di tipo associativo.
Tuttavia allo stato attuale la Fondazione di partecipazione appare comunque più assimilabile ad
una Fondazione e quindi risulta difficile, quanto meno sotto il profilo fiscale, considerare
applicabili le disposizioni previste per enti di tipo associativo. Si tenga peraltro conto che
l’applicazione delle ulteriori agevolazioni previste dal comma 3 del predetto art. 148 del TUIR
(decommercializzazione di attività svolte a fronte di corrispettivi specifici) non sarebbe comunque
attuabile, data l’impossibilità di inserire nello statuto di una Fondazione le disposizioni di cui al
successivo comma 8 tipiche di una associazione.

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Note sul regime_tributario_delle_fondazioni_di_partecipazione

  • 1. 29 Giugno 2011 – Palmanova (Ud) La Fondazione di partecipazione Note sul regime tributario delle Fondazioni di Partecipazione Avv. Laura Bellicini
  • 2. La disamina delle peculiari caratteristiche delle Fondazioni di Partecipazione sotto il profilo civilistico risulta essenziale al fine di procedere al corretto inquadramento tributario di tale istituto. Occorre infatti evidenziare da subito come l’introduzione di questo nuovo strumento nell’operatività quotidiana sia di fatto recente, e come il legislatore non abbia emanato disposizioni specifiche con riguardo al trattamento tributario previsto per tale particolare istituzione. E’ necessario quindi verificare se e come risultino applicabili i regimi specificatamente previsti per gli enti non lucrativi codificati. 1. La Fondazione di Partecipazione come ente non commerciale Le Fondazioni di Partecipazione rientrano, quanto meno nella fase inziale e salvo quanto diremo ne capitolo successivo, tra i soggetti passivi di imposta di cui alla lett. c) dell’art. 73 del DPR n. 917/1986 (il c.d. TUIR) vale a dire: gli enti pubblici e privati diversi dalle società, nonché i trust, residenti nel territorio dello Stato, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali. Ai fini della determinazione del reddito pertanto si applicano le disposizioni previste dagli artt. 143 a 147 del TUIR per gli enti non commerciali in generale. Come noto, il regime previsto per gli enti non commerciali, non attribuisce rilevanza fiscale ai proventi afferenti l’attività istituzionale (quote associative, contributi e liberalità) e considera imponibili soltanto i redditi fondiari, di capitale, d’impresa (se non prevalenti, vedi infra) e diversi, ovunque prodotti e quale ne sia la destinazione. Si noti come il legislatore fiscale riconosca la natura non commerciale agli enti privati il cui statuto o atto costitutivo non prevede l’esercizio di attività commerciali quale oggetto esclusivo o principale dell’ente medesimo. La stessa disposizione chiarisce che per oggetto esclusivo o principale deve intendersi l’attività essenziale per realizzare direttamente gli scopi primari indicati dall’atto costitutivo o dallo statuto; pertanto anche qualora l’ente dichiari finalità non lucrative, lo stesso sarà comunque considerato commerciale se l'attività essenziale per la realizzazione delle finalità per le quali è stato costituito è di natura commerciale1. 2. La Fondazione di Partecipazione come ente commerciale 1 A supporto della definizione legislativa, la C.M. n. 124/E del 12 maggio 1998 ha specificato che per attività commerciali devono intendersi quelle che determinano reddito d'impresa in base all’art. 55 del TUIR.
  • 3. Come evidenziato nel precedente paragrafo, la distinzione tra enti non commerciali e quelli commerciali è fondata in via preliminare sulle previsioni statutarie inerenti l’oggetto dell’attività; indipendentemente da tali previsioni, comunque, l’ente perde la sua qualifica di non commerciale (assumendo contestualmente quella di ente commerciale) se nel corso di un intero periodo d’imposta esercita prevalentemente attività commerciali superando determinati indici economici e patrimoniali (art. 149 TUIR). Nel dubbio se un’attività concretamente esercitata abbia natura commerciale, diviene necessario verificare se sussistono altri elementi distintivi dell’attività d’impresa come ad esempio la specifica organizzazione dei fattori produttivi funzionalmente predisposti per la produzione di beni o servizi. Ulteriore elemento di valutazione della commercialità dell’ente, mutuato dall’art. 85 del TUIR che delinea per società ed enti commerciali la nozione di ricavo, è il riconoscimento di un corrispettivo da parte del soggetto che riceve il servizio reso dall’ente non commerciale. Un corrispettivo presuppone infatti l’esistenza, tra l’ente e il soggetto, di un rapporto sinallagmatico per effetto del quale il servizio reso è collegato da un nesso di reciprocità con il corrispettivo. Tale nesso genera una sorte comune dei due adempimenti (pagamento del corrispettivo ed esecuzione dei servizi) nel senso che se uno dei due è invalido, impossibile o, comunque non viene posto in essere (ad esempio il servizio non è reso), anche l’altro non dovrà essere effettuato (e dunque non dovrà essere pagato il prezzo). Il sinallagma presuppone altresì una sorta di equilibrio economico/patrimoniale tra le due prestazioni e pertanto, in linea generale e salvo particolari condizioni, lo stesso non può considerarsi sussistente qualora il valore di una delle due sia significativamente diverso dall’altro. 3. Conseguenze relative al diverso inquadramento (commerciale o non commerciale) L’indagine in merito alla commercialità delle attività della Fondazione di Partecipazione, può portare a due distinti risultati: 1. La Fondazione ha natura commerciale e pertanto risulterà soggetta alle norme fiscali in materia di IRES ed IRAP alla stregua di una qualsiasi società di capitali: il primo tributo sarà calcolato su una base imponibile costituita dal solo reddito d’impresa in virtù della nota forza di attrazione di tale tipologia di reddito, il secondo verrà determinato sulla base del valore della produzione; 2. La Fondazione rientra tra gli enti non commerciali (non essendo commerciale l’oggetto esclusivo o principale della sua attività) e dovrà applicare la normativa appositamente
  • 4. prevista per tali enti; la base imponibile IRES sarà pertanto costituita, come detto, dalla somma delle quattro categorie reddituali indicate nel primo paragrafo mentre l’IRAP sarà calcolata in base al cd. metodo retributivo. 4. Le Fondazioni di Partecipazione e la qualifica di ONLUS Le Fondazioni di Partecipazione, pur essendo una figura atipica, in virtù di quanto previsto dall’articolo 10, comma 10, del D. Lgs. 4 dicembre 1997, n.460 che fa riferimento agli “altri enti di carattere privato”, possono aspirare, qualora recepiscano le clausole statutarie richieste dalla specifica normativa, ad acquisire la qualifica di Onlus. Al riguardo, va però tenuto in debito conto la posizione da tempo assunta dall’Amministrazione Finanziaria, avallata peraltro da parte della giurisprudenza, la quale, con Ris. n. 164/E del 28.12.2004, ha asserito che “affinché non sia preclusa (…) la possibilità di acquisire e mantenere la qualifica di Onlus, occorrerà verificare che la presenza tra i soci fondatori o sostenitori della fondazione di enti pubblici e di società commerciali (nonché di altri soggetti espressamente esclusi dalla normativa Onlus ai sensi dell’art. 10,comma 10,del D. Lgs. 4 dicembre 1997, n.460) non sia prevalente e comunque tale da esercitare un’influenza dominante nelle determinazioni dell’organizzazione”. Tale posizione ad oggi rende quindi difficile il conseguimento della qualifica di Onlus per le Fondazioni di Partecipazione finalizzate a coniugare gli sforzi comuni di enti pubblici e società private per scopi di pubblica utilità, dovendo necessariamente verificare che tra i soci fondatori non vi sia la prevalenza (numerica) di società di capitali o enti pubblici e che ai soci sostenitori, laddove tra essi vi fossero tali soggetti (società di capitali ed enti pubblici), non siano attribuiti poteri tali da considerare che la Fondazione subisca una loro influenza dominante. La rigida e in parte illogica interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria è stata fortemente criticata dall’Agenzia delle Onlus sia con la delibera n. 516 del 23 novembre 2004, sia con il recente Atto di Indirizzo del 4 ottobre 2010. Come noto, inoltre, per acquisire la qualifica di Onlus è necessario perseguire uno o più scopi di pubblica utilità tra quelli espressamente indicati dal legislatore come riportati dalla lettera a) dell’art. 10 del D. Lgs. 460/1997, vale a dire: 1) assistenza sociale e socio-sanitaria; 2) assistenza sanitaria;
  • 5. 3) beneficenza; 4) istruzione; 5) formazione; 6) sport dilettantistico; 7) tutela, promozione e valorizzazione delle cose d'interesse artistico e storico di cui alla legge 1° giugno 1939, n. 1089, ivi comprese le biblioteche e i beni di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 settembre 1963, n. 1409; 8) tutela e valorizzazione della natura e dell'ambiente, con esclusione dell'attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e pericolosi di cui all'articolo 7 del decreto legislativo 5 febbraio 1997, n. 22; 9) promozione della cultura e dell'arte; 10) tutela dei diritti civili; 11) ricerca scientifica di particolare interesse sociale svolta direttamente da fondazioni ovvero da esse affidata ad università, enti di ricerca ed altre fondazioni che la svolgono direttamente, in ambiti e secondo modalità da definire con apposito regolamento governativo emanato ai sensi dell'articolo 17 della legge 23 agosto 1988, n. 400. Ad eccezione delle attività indicate ai numeri 1), 3), 7), 8) e 11) tali attività devono essere dirette ad arrecare benefici direttamente a soggetti svantaggiati. La possibilità di acquisire la qualifica di Onlus, benché imponga il rispetto delle stringenti condizioni fissate dal D. Lgs. 460/1997, permette anche alle Fondazioni di Partecipazione di usufruire di un trattamento fiscale privilegiato. In particolare, ai fini delle imposte sui redditi, per le Onlus non costituisce esercizio di attività commerciale lo svolgimento delle attività istituzionali nel perseguimento di esclusive finalità di solidarietà sociale. È, dunque, prevista la completa “decommercializzazione” delle attività istituzionali svolte dalle Onlus, con la conseguenza che tali attività, ai fini delle imposte dirette, non assumono alcuna rilevanza. Inoltre per le attività connesse (definite accessorie e integrative a quelle istituzionali), è stabilito che i relativi proventi non concorrono alla formazione del reddito imponibile, con la conseguenza che anche nello svolgimento di tali attività non si verificherà l'insorgere di debito di imposta IRES. Poiché le attività commerciali delle Onlus sono improduttive di reddito d'impresa, al fine di evitare l'insorgere sistematico di crediti di imposta, è stato opportunamente previsto che nel caso di
  • 6. contributi erogati alle stesse non si applichi la ritenuta d'acconto del 4 per cento di cui all’art. 28 del DPR 600/1973. Una precisazione va fatta con riferimento all'IVA, in quanto la decommercializzazione prevista per le attività istituzionali e la esclusione dalla formazione del reddito imponibile prevista per le attività connesse non ha alcuna rilevanza ai fini di quest'ultima imposta. Pertanto, anche qualora l’attività posta in essere rientri tra quelle istituzionali, dovrà essere assoggettata ad IVA qualora ne sussistano le condizioni. 5. Indagine sulla applicabilità delle disposizioni previste per gli enti associativi La discussione riguardante l’inquadramento giuridico della Fondazione di partecipazione ha portato alcuni operatori a considerarla quasi un tertium genus rispetto alla fondazione e alla associazione, o addirittura ad evidenziare la rilevanza delle peculiarità che snaturano la sua essenza di fondazione avvicinandola agli enti associativi. Sotto il profilo fiscale ciò potrebbe avere, per ipotesi, la conseguenza di poter considerare applicabili anche a tale istituto le disposizioni specifiche per gli enti associativi contenute nell’art. 148 TUIR in forza del quale “Non è considerata commerciale l'attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo. Le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo.” La stessa Amministrazione Finanziaria, nella già citata Risoluzione n. 164/E del 28.12.2004, ha definito “Le c.d. fondazioni di partecipazione - venutesi a creare nell’ambito di un graduale processo evolutivo in forza del quale le fondazioni si connotano sempre più in termini partecipativi - si configurano come soggetti caratterizzati, a fianco della struttura essenziale (patrimonio, enti fondatori, consiglio di amministrazione) prevista dal codice civile, dalla partecipazione di altri soggetti (sostenitori o partecipanti o simili) i quali condividono gli scopi originari dell’ente e intendono contribuire alla loro realizzazione mediante l’apporto di operatività e di capitali. Nelle fondazioni di partecipazione si attenua, pertanto, una delle caratteristiche tradizionali dell’ente fondazione, e cioè il distacco dell’ente nei confronti dei soci fondatori e sostenitori.” La stessa tesi dell’Amministrazione Finanziaria che evidenzia la possibile “influenza dominante” dei Fondatori o Partecipanti, potrebbe essere usata a sostegno dell’avvicinamento ad un ente di tipo associativo.
  • 7. Tuttavia allo stato attuale la Fondazione di partecipazione appare comunque più assimilabile ad una Fondazione e quindi risulta difficile, quanto meno sotto il profilo fiscale, considerare applicabili le disposizioni previste per enti di tipo associativo. Si tenga peraltro conto che l’applicazione delle ulteriori agevolazioni previste dal comma 3 del predetto art. 148 del TUIR (decommercializzazione di attività svolte a fronte di corrispettivi specifici) non sarebbe comunque attuabile, data l’impossibilità di inserire nello statuto di una Fondazione le disposizioni di cui al successivo comma 8 tipiche di una associazione.