Tesi finale del corso di laurea specialista in comunicazione politica e sociale. Con questo lavoro ho cercato di individuare quali pratiche, tipiche della comunicazione e della gestione aziendale, fossero applicabili a realtà urbane, commerciali e abitative. Da questo lavoro ho poi tratto innumerevoli lezioni ed interventi di branding territoriale e urbano.
Promuovere il territorio per promuovere l'innovazione
La città come azienda - Tesi di Branding Urbano - di Giovanni Guiotto
1. Università degli Studi di Milano
Facoltà di Scienze Politiche
C.d.L. Comunicazione Politica e Sociale
LA CITTÀ COME AZIENDA
Strumenti e tecniche di comunicazione
d’impresa applicate all’ambiente urbano
Relatore: prof. Franco GUZZI
Correlatore: prof. Giuseppe FACCHETTI
Correlatore esterno: prof. Mario RUOTOLO
Tesi di Laurea Magistrale di
Giovanni GUIOTTO
Matr. N. 704170
A.A 2007-2008
2. Indice
Introduzione
2
Prima parte – Inquadramento teorico
9
1 La città
10
1.1 Società, gruppi sociali, sistemi locali
15
1.1.1 Sistemi Locali del Lavoro
17
1.2 Impresa e azienda
21
1.2.1 Definizione di Impresa
21
1.2.1.1 Caratteri e tipologie
22
1.2.2 Definizione di azienda
24
1.2.3 L’azienda come sistema
25
1.2.4 Differenza fra azienda ed impresa
27
1.3 La comunicazione urbana e aziendale
28
1.3.1 Comunicazione urbana
28
1.3.2 Processi di comunicazione aziendale nella Pubblica
Amministrazione
36
2 Dalla città all’impresa. Il percorso storico sociale che ha determinato
la città impresa
40
2.1 Il processo di globalizzazione economica e sociale
41
2.1.1 Dalla fabbrica alla multinazionale: la terziarizzazione
dei processi produttivi
42
2.1.2 Investimenti Diretti all’Estero
43
2.1.3 La società globalizzata viaggia in rete
47
2.2 La managerializzazione delle amministrazioni pubbliche
50
2.3 La nuova configurazione della competizione aziendale
53
3 La città come azienda
56
3.1 Sistemi di creazione del valore e prodotti di una città – azienda
57
4 Identità competitiva e immagine territoriale
64
4.1 L’identità competitiva
65
4.2 Immagine dei luoghi
72
4.3 Come agire strategicamente per creare un identità competitiva forte 77
4.4 City branding: creazione e comunicazione dell’immagine
79
Seconda parte - Case Studies
84
1 La città azienda “in fare”. Treviso e Timisoara: i due volti della città azienda 85
2 La città azienda “in divenire”. Milano
99
2.1 Milano verso l’Expo. Vendere la candidatura per vendere la città
99
2.2 Analisi della comunicazione corporate dell’azienda Milano
in occasione della progettazione, realizzazione e vendita del prodotto
del prodotto “Expo 2015”
149
2.3 Perché il 2015? No Excuse 2015: the Millennium Campaign
173
Conclusione
176
Bibliografia
179
1
4. Introduzione
Obiettivo di questa tesi è di illustrare l’idea che le città, come le imprese, sono
sistemi sociali aperti e possono pertanto essere gestite in modo similare e in piena
corrispondenza.
Questo lavoro nasce innanzitutto da una valutazione dello stato attuale della
politica, sia a livello nazionale che internazionale. La veloce e inarrestabile
evoluzione degli usi e dei costumi, dei valori, delle necessità ha profondamente e
radicalmente cambiato l’intero sistema di riferimenti e di regole dell’intera società
globale.
Se da un lato la struttura economica e sociale del lavoro sta virando
irrimediabilmente verso una struttura a rete – le stesse mega aziende multinazionali
suddividono geograficamente i diversi stadi di lavorazione dei propri prodotti,
concentrando determinati processi o insieme di processi su nodi specifici della rete,
a loro volta suddivisi in ulteriori sottoreti – l’ambito politico e amministrativo
arranca per mantenersi al passo con questa evoluzione, adattandone i linguaggi e le
pratiche, copiandone le caratteristiche vincenti, in quella che è una vera e propria
corsa al risparmio e all’ottimizzazione.
La struttura aziendale è ormai nel substrato di ogni forma organizzativa, e si tende
facilmente a trasformare ogni utente o destinatario di un servizio al ruolo di cliente,
la distribuzione di beni e servizi diventa comunque un processo di vendita ed enti
come ospedali e altri servizi pubblici devono lottare contro l’avanzare della
privatizzazione dei propri servizi.
Il motivo di fondo è dato dall’immagine. Il ventesimo secolo passerà alla storia
come il secolo dell’immagine, dell’apparenza, della simbolizzazione.
Negli ultimi ottant’anni le varie vicende economiche (esplosioni e crisi) hanno
comportato la fine dell’industria classica e permesso la creazione di un numero
pressoché infinito di aziende. La concorrenza è diventata tale che l’unico modo per
3
5. differenziarsi gli uni dagli altri è quello di individuare, pubblicizzare e vendere quei
caratteri di unicità e particolarità che caratterizzano ogni azienda. Si è quindi creata
la necessità di gestire appieno la propria immagine, il proprio ruolo sociale e ogni
comportamento.
Se a questo aggiungiamo la tendenza alla terziarizzazione del maggior numero
possibile di passaggi di produzione, possiamo intuire il quadro completo. Un tempo
erano le aziende stesse a provvedere alla progettazione, alla gestione delle materie
prime, alla distribuzione e più in generale ai propri bisogni, mentre ora ogni
passaggio è terziarizzato, spezzettato, ogni singolo pezzo del prodotto subisce
differenti stadi di lavorazione in svariate località e, allo stesso modo, ognuna di
queste località nodo della rete globale è suddivisa in ulteriori reti di aziende.
È proprio partendo da queste considerazioni che si arriva all’idea di questa tesi.
Inserita in questo generale processo di trasformazione estrema la città, o in senso
più allargato il territorio urbano, deve adattarsi individuando quelle peculiarità e
caratteristiche che possono rappresentare un valore aggiunto, sviluppandole per
rendere unica l’offerta territoriale e veicolare quindi un’immagine personalizzata.
Così come negli anni 60 sono nati i grandi distretti industriali, zone che
racchiudono e raccolgono diverse aziende e industrie accomunate da un ambito
simile di produzione, ora la struttura industriale ha preso la forma dei Sistemi
Locali di Lavoro, aree ad altissima densità industriale, che sfruttano attivamente le
risorse e le possibilità date dall’appartenenza a un determinato territorio.
Per questo motivo è necessario che a realtà amministrative locali vengano applicate
regole gestionali nuove. Combinando in chiave aziendale una sapiente attività di
brand management con diplomazia pubblica e regolamentazione del commercio,
calcolando e mirando gli investimenti e le esportazioni e supportando i flussi
turistici è possibile creare e gestire la propria identità competitiva. In tal modo il
4
6. territorio urbano rinnova la sua struttura e la sua funzione, individuando
caratteristiche che lo rendano unico e irriproducibile.
La necessità di un’identità ben delineata, di un’immagine urbana forte, è dettata
dallo spostamento dei luoghi di produzione dalla cintura urbana alla città.
Il crollo dell’apparato industriale classico ha comportato un cambiamento radicale,
passando dall’economia dei prodotti a quella dei servizi. Di conseguenza
l’ambiente industriale suburbano, della periferia o della provincia, lascia il posto ai
nuovi centri di produzione, che arrivano a coincidere con i centri urbani e sociali.
Il luogo che viene a crearsi è, di fatto, una città azienda dove ogni elemento del
territorio diventa valore aggiunto, e dove la fornitura di servizi è direttamente
correlata alle necessità di coloro che la abitano e che ci lavorano.
Data l’inevitabilità di questo processo, è necessario che le amministrazioni ne
prendano coscienza e agiscano di conseguenza, trasformandosi in efficaci
comunicatori dell’immagine urbana.
Milano è una città che ha sempre dimostrato un’attitudine aziendale. La
commercializzazione dell’immagine di Milano è stata costante negli anni e
l’economia ne ha giovato, trasformando la capitale economica d’Italia nella città
della moda e del design.
Negli ultimi anni il numero di aziende che ha deciso di spostare i propri uffici
nell’area urbana di Milano è costantemente aumentato, modificando e rafforzando
l’immagine della città, ormai consacrata a capitale italiana dell’economia, della
moda, del lifestyle.
Come ogni azienda che si rispetti, Milano deve costantemente mantenere aggiornati
i propri prodotti territoriali, curare la propria immagine e promuoverla. Per questo
5
7. motivo la città ha deciso di sviluppare un prodotto totalmente nuovo e unico, che ne
rinnoverà e ne arricchirà l’immagine, la struttura, il peso sociale.
Questo prodotto è l’Expo 2015.
Il piano di rinnovamento e di vendita dell’Expo 2015 è lungo e complesso, e
necessita di processi comunicativi dedicati e costanti, ampiamente illustrati in
questa ricerca.
L’attenzione dedicata allo studio del progetto comunicativo dell’Expo è dovuta
all’altissimo valore comunicativo del progetto stesso e del prodotto offerto. Non si
tratta solo di proporre un prodotto e comunicarlo, ma di diffondere un evento
dall’elevatissimo potere comunicativo.
Nella seconda parte di questo lavoro si è effettuata un’analisi in chiave aziendale
dell’audit comunicativo del processo di creazione, realizzazione e vendita
dell’Expo.
Il caso di Milano può essere preso ad esempio per la creazione e la gestione di
nuovi sistemi locali del lavoro, radicati al territorio e altamente specializzati e
competitivi, che possano mantenere il paese a livelli competitivi rispetto agli
standard internazionali.
Se ben strutturata, questa procedura manageriale e comunicativa può rivelarsi una
carta efficace per attirare investimenti e aumentare la visibilità del proprio paese.
Inoltre permette una suddivisione e frammentazione organizzabile del potere
produttivo di una città o di una regione, permette la creazione di cartelli produttivi o
zone
altamente
specializzate,
contribuendo
in
modo
determinante
al
raggiungimento del successo.
Un secondo case study sulla nuova realtà delle città azienda riguarda il rapporto fra
Treviso e Timisoara
6
8. Queste due città rappresentano due casi esemplari di attività di branding territoriale,
con investimenti mirati e agevolazioni. La collaborazione economica tra le due
aree, la creazione di rapporti commerciali e la facilitazione degli investimenti diretti
all’estero hanno comportato un repentino sviluppo della zona romena e un
conseguente rilancio del distretto industriale trevigiano. Ma non ci si può limitare
agli interessi economici. Lo scopo di questo case study è appunto quello di
illustrare la necessità di un approccio completo e individuare quali possono essere i
vantaggi concreti per le città, derivanti dalle attività di investimento sul territorio.
Il caso trattato in appendice va invece a completare il quadro informativo che è
stato tracciato sull’Expo e sui suoi processi comunicativi. All’interno del testo si
sottolinea come uno dei principali mezzi di comunicazione utilizzati durante
l’evento sarà il tema dell’evento stesso.
Scopo di questo secondo studio è di individuare le relazioni tra l’Expo 2015 e la
Campagna del Millennio, un progetto sviluppato dalla Commissione delle Nazioni
Unite con l’obiettivo di ridurre o cancellare gli otto grandi problemi che colpiscono
e affliggono l’umanità.
L’Expo, e Milano sono chiamati in causa. La coincidenza tra le due date non è
casuale, poiché si sposa perfettamente con l’intento degli organizzatori di non
rendere l’Expo una vetrina sull’umanità, sulla scienza e sulla tecnologia, come
nell’accezione classica dell’esposizione internazionale. Al contrario, l’obiettivo
degli organizzatori è di rendere l’incontro un’occasione concreta per prendere
coscienza e agire per cambiare la situazione, assicurando cibo e acqua per tutti. In
questo modo Milano si pone direttamente un passo in avanti rispetto agli altri
partecipanti alla Campagna. Non solo accetta gli obiettivi e si impegna a realizzarli,
ma anche e soprattutto, offre un’opportunità concreta a tutti per fare qualcosa.
Questi esempi indicano come, nelle sue varie accezioni, la città azienda sia ormai
una realtà affermata e che i processi di trasformazione siano ormai inarrestabili. È
quindi necessario che questi vengano attuati in maniera completa e ragionata, e non
7
9. unicamente in base a interessi economici, affinché lo sviluppo delle città azienda
del futuro permetta una reale ottimizzazione delle risorse territoriali. La doppia
dimensione sociale e industriale del territorio urbano è inscindibile, ed è necessario
perciò che la città azienda del futuro associ al lato produttivo un ambito sociale del
quale non può fare a meno.
8
12. 1 La città
Il termine città, nella sua accezione moderna, indica un insediamento urbano
stabile. La città si differenzia dagli altri insediamenti urbani per densità di
popolazione,
presenza
di
un’eventuale
rete
organizzata
di
trasporti
e
approvvigionamenti, accentramento delle funzioni amministrative e particolare stile
di vita.
La storia della città è la storia della civiltà umana, che nasce direttamente nella
polis1 greca, all’interno della quale l’elemento centrale era l’uomo. A differenza
delle altre città-stato, la polis si contraddistingueva perché tutti i cittadini liberi
soggiacevano alle stesse norme di diritto.
Già Aristotele infatti aveva identificato l’ «uomo» nell’abitante della città, nel
cittadino. Questo perché la polis non era semplicemente un assembramento spaziale
e geografico, ma identificava una realtà sociale riconosciuta e condivisa.
Nell’antichità le città controllavano il territorio direttamente, inglobando nei propri
confini le aree destinate alle abitazioni e quelle destinate ai campi, coltivati da
“imprenditori urbani dotati di schiavi e capitale”2. Questo tipo di situazione e di
equilibrio economico sociale della città viene a rovesciarsi con il medioevo. Se
nella civiltà classica i diritti civili erano garantiti solo ai cittadini in cambio del
servizio militare, nella società medievale la città godeva dei suoi diritti di
autonomia e libertà di commercio esattamente in virtù della sua immunità dai
doveri militari. Nel medioevo infatti la sede della proprietà terriera diventa la
campagna, mentre le città diventano veri e propri mercati per lo scambio del surplus
prodotto dai possedimenti nobiliari. Avviene quindi il passaggio fondamentale da
una civiltà politica, poiché fondata sulla polis, ad una civiltà economica, perché
fondata sull’oikos, o famiglia. 3
1
S. Settis (a cura di), I Greci. Storia Cultura Arte Società. Vol. 2 Una storia greca, Einaudi, Torino
1997
2
M. Weber, Economia e società. La città, Donzelli, Roma 2003
3
Ibidem
11
13. La nascita del concetto moderno di città è strettamente collegata al passaggio
storico sociale da cacciatore-raccoglitore a coltivatore. Questo passaggio comporta
due importanti novità: da un lato la necessità di insediamenti stabili, per poter
vivere vicino ai campi e seguirne lo sviluppo e la crescita. Dall’altro viene a crearsi
la suddivisione del mercato lavorativo, che prevede una ripartizione dei compiti tra
i vari abitanti. La stanzialità prevede infatti la coltivazione di campi più o meno
grandi e la produzione di derrate alimentari e prodotti agricoli in quantità
nettamente superiori a quelle che sono le necessità fisiologiche del singolo
contadino e della sua famiglia.
Il surplus così ottenuto permetteva di sfamare e mantenere le minoranze di
artigiani, scribi e sacerdoti, ovvero persone il cui ruolo sociale non era deputato alla
coltivazione o alla lavorazione del cibo.
Vengono quindi a crearsi da un lato il commercio, nato dallo scambio o baratto dei
beni prodotti in eccesso, e dall’altro compiti e ruoli diversificati e innovativi, che
non sono più legati direttamente alla produzione di beni di consumo, ma
indirettamente la permettono.
Dal punto di vista sociale la città nasce attorno alla famiglia, anche molto allargata.
Questa struttura piramidale ha un’organizzazione patriarcale o matriarcale, prevede
quindi una figura superiore alle altre, il cui compito è gestire e organizzare l’intera
struttura, dirimere questioni e litigi, rappresentare la famiglia presso altre realtà
sociali. All’interno di questa società-famiglia i compiti e la disposizione fisica delle
abitazioni nel centro urbano erano definite in base al sesso ed all’età.
Successivamente con l’ingresso nella comunità di figure che non si occupavano
direttamente della produzione e della lavorazione degli alimenti, vennero a crearsi
distinzioni anche in base al ceto.
La stanzialità e l’abbondanza di cibo comportarono un sicuro aumento della
popolazione, un aumento e una differenziazione dei ruoli e dei bisogni. Inoltre
agevolano la convivenza, sullo stesso territorio di diversi gruppi familiari, con la
12
14. conseguente stratificazione orizzontale della forza lavoro, la moltiplicazione delle
attività e la successiva specializzazione dei vari gruppi nei differenti ambiti
lavorativi4.
In periodi più moderni va sottolineato come la prima sostanziale ondata di
urbanizzazione e crescita urbana ebbe luogo nel XIX secolo. Tra l’800 e il ’900 le
rivoluzioni industriali spostarono dalle campagne alle città un gran numero di
persone. Questo processo ha visto la sua evoluzione definitiva nel ’900, quando tre
quarti della popolazione dei paesi industrializzati vivono in città con più di 100.000
persone.
La città nasce quindi attorno ad una rete di bisogni e opportunità, a fronte della
necessità di reinvestire i propri prodotti, di diversificare la forza lavoro, di sfruttare
appieno le caratteristiche e le opportunità del territorio, oltre alle capacità e alle
opportunità date dalla convivenza. La struttura geografica e sociale è solitamente
diversa da città a città. Non esiste una regola che permetta di individuare una città
solo dalla collocazione geografica o dalla sua conformazione fisica.
Esistono principalmente due sistemi di città: quello di tipo equilibrato e quello di
tipo primiziale.5
Una città di tipo “primiziale” accentra quote esorbitanti di popolazione,
occupazione e PIL. È un tipo di struttura urbana tipica dell’America latina, dei
Caraibi, di ampie parti dell’Asia e dell’Africa. Questo non significa che una
megacittà sia automaticamente una città primiziale (New York, anche se è tra le
venti metropoli più grandi al mondo, non presenta queste caratteristiche) né che lo
status di città primiziale sia relegato a metropoli del terzo mondo, dato che città
come Londra o Tokyo presentano proprio queste caratteristiche.
4
5
L. Mumford, La città nella storia, Bompiani, Milano 1981
S. Sassen, Le città nell’economia globale, il Mulino, Bologna, 2004, p. 57
13
15. L’altra tipologia di città è più tipicamente europea e viene indicata con il nome di
“sistema città equilibrato”, ovvero all’interno di una nazione non esiste un solo
sistema urbano centrale, ma la diffusa crescita delle piccole città verificatasi
soprattutto in Europa dopo il crollo di utilità dei centri urbani, a differenza delle
dimensioni storico artistiche, in favore dello sviluppo di realtà urbane adiacenti, in
modo da mantenere inalterati gli equilibri tra i vari sistemi urbani.
Stando a questa breve e semplice ricostruzione, si può vedere quindi la città come
una società, ovvero come realtà sociale, e quindi come l’espressione diretta del
bisogno dell’uomo di condividere necessità e capacità e spazi per un fine comune.
Sul piano legislativo italiano, in base all'art. 32 del R. D. 7 giugno 1943, n. 651, il
titolo di Città può essere concesso ai Comuni che sono insigni per ricordi e
monumenti storici o per l'attuale importanza, purché abbiano provveduto
lodevolmente a tutti i pubblici servizi ed in particolare modo alla pubblica
assistenza.
Questa definizione sottolinea ancora di più il carattere sociale e cooperativo che sta
alla base del concetto di città. Non basta infatti fregiarsi di monumenti illustri, o
aver raggiunto ragguardevoli dimensioni grazie all’espansione industriale.
Lo status di città viene dato solo a quelle realtà sociali che hanno “provveduto
lodevolmente a tutti i pubblici servizi ed in particolare modo alla pubblica
assistenza”.
La città è quindi molto più di un semplice luogo6. Se da un lato abbiamo visto come
la città preveda degli equilibri sociali ed economici per potersi mantenere, dall’altro
vediamo che nella sua definizione è previsto un impegno sociale nel confronti dei
suoi abitanti.
6
Secondo Pierre George il tratto che accomuna tutte le città è l’esistenza di una comunità
culturalmente definita e una città nasce quando una comunità sente di appartenere ad un luogo. P.
George, Geografia e sociologia, il Saggiatore, Milano, 1976
14
16. 1.1 Società, gruppi sociali, sistemi locali
Per società si può intendere un gruppo di esseri viventi che condividono fini e
comportamenti (soprattutto di tipo economico o contrattuale) e si relazionano
congiuntamente per costituire un gruppo funzionale. 7 Vengono quindi individuate
finalità comuni, più o meno condivise da tutti gli appartenenti al gruppo, in modo
tale che lo stesso possa proseguire ed evolversi nel suo cammino. Nel caso
specifico della città, il fine della “società urbana” è quello di cooperare per il suo
sviluppo, contribuire al progresso comune e migliorare le condizioni di vita e di
lavoro al fine di attrarre altri abitanti, che con il loro contributo economico e
lavorativo possano contribuire al progressivo avanzamento della comunità.
Vengono
quindi
a
crearsi
ruoli
sociali
che
trascendono
il
semplice
approvvigionamento, o immagazzinamento delle merci e del cibo. Oltre a mercanti
e a trasportatori, che mettono in comunicazione le varie realtà sociali, nascono
figure nuove, specialmente in ambiti amministrativi. La tendenza alla continua
evoluzione prevede infatti una continua specializzazione dei ruoli.
Si può dire quindi che la città sia un sistema sociale in evoluzione. Questo
cambiamento continuo è dato dalla natura stessa della città.
In senso figurato si può quindi vedere la città come un gruppo di persone che
risiede stabilmente in un territorio ben definito ed in potenziale continua
espansione. Queste persone lavorano per un obiettivo comune, che è quello di
mantenere ed aumentare la ricchezza ed il benessere della città, in modo da
mantenere le condizioni di vita o di migliorarle. Togliendo tutte le caratteristiche e
gli elementi prettamente “urbani”, possiamo vedere come la città altro non sia che
una realtà “sociale”
7
Voce “società”, in P. Jedlowski (a cura di), Dizionario delle scienze sociali, il Saggiatore, Milano
1997 (1993)
15
17. La frammentazione dei processi produttivi e l’abbattimento delle barriere spaziali
ha snaturato la struttura stessa dell’industria. La distanza tra le sfere decisionali e
quelle produttive di un’azienda si è allungata fino a distorcersi irrimediabilmente.
Si tratta ormai di sistemi produttivi che si basano su una struttura a rete che è in
realtà doppia, in quanto prevedono due reti di produzione: quella decisionale e
quella effettivamente produttiva. Di quello che era il processo di produzione
“classico” è rimasto solo il procedimento progettuale. Ogni altro passaggio di
creazione del prodotto finale si muove su una di queste due reti, dell’ambito
progettuale/distributivo o realizzativo.
I nodi di queste reti di progettazione/distribuzione e di realizzazione e assemblaggio
dei prodotti sono rispettivamente i sistemi locali di lavoro e le città-azienda.
16
18. 1.1.1 Sistemi Locali del Lavoro
I Sistemi Locali del Lavoro sono aggregazioni di Comuni che derivano da una
ricerca condotta da Istat in collaborazione con l'Università di Newcastle Upon Tyne
a partire dai dati relativi al pendolarismo dei componenti delle famiglie per motivi
di lavoro ricavati dagli appositi quesiti posti nel Censimento Generale della
Popolazione del 20018.
I Sistemi Locali del Lavoro9 rappresentano i luoghi della vita quotidiana della
popolazione che vi risiede e lavora. Si tratta di unità territoriali costituite da più
comuni contigui fra loro, geograficamente e statisticamente compatibili. I Sistemi
Locali del Lavoro sono uno strumento di analisi appropriato per indagare la
struttura socio-economica dell’Italia secondo una prospettiva territoriale.
Nell’ambito della ricerca sono stati individuati i SLL dei Grandi Comuni (Roma,
Milano, Napoli, Torino, Palermo, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Catania,
Venezia, Verona, Messina).
I sistemi locali, che nella loro stessa definizione sono spesso trans–regionali,
vedono come unità elementare il comune e da esso prendono il nome. Possiamo
quindi determinare che i sistemi locali del lavoro sono direttamente correlati e
direttamente dipendenti dal comune che dà loro il nome e che rappresenta il fulcro
reale dell’attività economica che svolgono.
In questo modo una o più unità amministrative elementari (Comuni) si aggregano,
individuati sul territorio dalle relazioni socio-economiche, dando vita ad
organizzazioni sociali che trascendono i confini politici.
8
Tutti i dati disponibili sui Sistemi Locali del Lavoro derivano da tre censimenti generali sulla
popolazione, sviluppati tra il 1981 e il 2001. I risultati di questo lavoro possono essere trovati nel
documento “I sistemi locali del lavoro” contenuto nei “Dati finali” del censimento del 2001, a cura
di A. Orasi e F. Sforzi pubblicato da ISTAT il 21/7/2005.
Vedi: http://www.istat.it/salastampa/comunicati/non_calendario/20050721_00/
9
Da ora in poi SLL.
17
19. I criteri adottati per la definizione dei Sistemi Locali del Lavoro sono i seguenti:
•
Autocontenimento
•
Contiguità
•
Relazione spazio-tempo
Con il termine autocontenimento si intende un territorio dove si concentrano attività
produttive e di servizi in quantità tali da offrire opportunità di lavoro e residenziali
alla maggior parte della popolazione che vi è insediata; capacità di un territorio di
comprendere al proprio interno la maggior parte delle relazioni umane che
intervengono fra le sedi di attività di produzione (località di lavoro) e attività legate
alla riproduzione sociale (località di residenza).
Un territorio dotato di questa caratteristica si configura come un sistema locale,
cioè come una entità socio-economica (e territoriale) che comprenda occupazione,
acquisti, relazioni e opportunità sociali; attività, comunque, limitate nel tempo e
nello spazio, accessibili sotto il vincolo della loro localizzazione e della loro durata,
oltreché delle tecnologie di trasporto disponibili, data una base residenziale
individuale e la necessità di farvi ritorno alla fine della giornata (relazione spazio tempo).
Il vincolo di contiguità invece significa che i comuni contenuti all'interno di un SLL
devono essere contigui, mentre con la dicitura relazione spazio-tempo si intende la
distanza e il tempo di percorrenza tra la località di residenza e la località di lavoro;
tale concetto è relativo ed è strettamente connesso alla presenza di servizi efficienti.
In base a questi elementi si è giunti a determinare, tramite apposite tecniche
statistiche di clusterizzazione, 686 SLL esaustivi dell'intero territorio nazionale 10. È
bene sottolineare che i sistemi locali del lavoro così come i distretti industriali
determinati dall'Istat (che dai SLL discendono) sono liberi da vincoli
10
I Sistemi Locali del Lavoro nel 2001 sono inferiori per numero a quelli individuati nel 1991 (784)
e nel 1981 (955). La diminuzione non è avvenuta in modo uniforme. Mentre in alcune aree del
Paese essi diminuiscono, in altre aumentano. Quest’ultimo fenomeno va ricondotto alla crescita
economica di alcuni comuni che si distaccano dai Sistemi Locali dei quali facevano parte in
precedenza. Fonte: “I sistemi locali del lavoro” cit.
18
20. amministrativi. Quindi un SLL può essere formato da comuni appartenenti a
province o regioni diverse. Infatti il solo limite amministrativo salvaguardato dalla
procedura di individuazione dei Sistemi Locali è quello del comune, in quanto il
comune rappresenta l’unità elementare per la rilevazione dei dati sugli spostamenti
quotidiani per motivi di lavoro.
È per questo motivo che possiamo facilmente individuare come la maggior parte
dei SLL coincida con un comune. Queste caratteristiche, essenziali per poter
individuare un SLL, lo rendono una realtà produttiva unica e difficilmente
imitabile, rendendo possibili altissimi livelli di specializzazioni, enormi
contenimenti dei costi e conseguente abbattimento dei prezzi finali, oltre che
l’opportunità di una gestione coordinata dell’immagine, che permette ad ogni
soggetto coinvolto di beneficiarne nel bene e nel male.
Questi sistemi locali del lavoro sono una delle migliori rappresentazioni pratiche
delle teorie sulle economie di rete. Se analizziamo la struttura stessa del sistema
lavorativo, possiamo vedere come le caratteristiche di un sistema locale del lavoro
corrispondano a quelle che sono ormai necessità aziendali consolidate e
riconosciute come essenziali per abbattere i costi, migliorare la qualità del lavoro e
del prodotto, aumentare i ricavi con un occhio di riguardo alla corporate social
responsability.
Milano, seconda città d’Italia, è il primo Sistema Locale del Lavoro su scala
nazionale per numero di comuni. I comuni compresi nel SLL di Milano sono
passati dai 99 del 1991 ai 115 del 2001.
La struttura economica e sociale del lavoro sta virando irrimediabilmente verso una
struttura a rete, le stesse mega aziende multinazionali suddividono geograficamente
i diversi stadi di lavorazione dei propri prodotti, concentrando determinati processi
o insieme di processi su nodi specifici della rete, a loro volta suddivisi in ulteriori
sottoreti.
19
21. Esempi di queste sub strutture a rete possono essere i distretti industriali in India,
Cina e medio oriente, zone un tempo poverissime che vengono colonizzate e
industrializzate a forza, per sopperire alle necessità dei paesi più sviluppati.
Se un tempo erano le aziende stesse a provvedere alla progettazione, alla gestione
delle materie prime, alla distribuzione e più in generale ai propri bisogni, ora ogni
passaggio è terziarizzato, spezzettato, ogni singolo pezzo del prodotto subisce
differenti stadi di lavorazione in svariate località e, allo stesso modo, ognuna di
queste località nodo della rete globale è suddivisa, in ulteriori reti di aziende.
È per questo motivo che la creazione e la gestione di nuovi sistemi locali del lavoro,
radicati al territorio e altamente specializzati e competitivi è sempre più necessaria
per poter mantenere un paese a livelli competitivi rispetto agli standard
internazionali.
Se ben strutturata, può rivelarsi una carta efficace per attirare investimenti e
aumentare la visibilità del proprio paese. Inoltre permette una suddivisione e
frammentazione organizzabile del potere produttivo di un paese o di una regione,
permette la creazione di cartelli produttivi o zone altamente specializzate.
20
22. 1.2 Impresa e azienda
L’obiettivo di questa tesi è quello di illustrare le caratteristiche di città e imprese
come sistemi sociali aperti, analizzarne le caratteristiche e dimostrarne la
corrispondenza.
Viste le caratteristiche di queste tre identità distinte è bene innanzitutto illustrare le
due definizioni di azienda e impresa, al fine di individuare le caratteristiche di
queste due realtà produttive, che spesso nel senso comune vengono scambiate e
confuse. Dopo aver elaborato le caratteristiche di città e sistemi sociali e
lavorativi, trovo necessario soffermarmi sulle caratteristiche intrinseche delle
realtà produttive.
1.2.1 Definizione di impresa
La legislazione italiana non prevede una definizione univoca di impresa, ma questa
può essere dedotta da quella di imprenditore:
chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine
della produzione o dello scambio di beni o di servizi.11
L'impresa è perciò caratterizzata dalla produzione di un determinato oggetto
(creazione, distribuzione o scambio di beni o servizi) organizzato con specifiche
modalità e regole di svolgimento (ottimizzazione dei costi, massimizzazione dei
profitti, professionalità).
Impresa (dal latino imprendere, ovvero dare inizio) è un'attività economica
professionalmente organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di
servizi.
11
Art. 2082 Codice civile. Libro V, Titolo II, Capo I, Sezione I.
21
23. Sotto il profilo economico, va sottolineato che deve essere condotta con criteri che
prevedano un’adeguata copertura dei costi con i ricavi e che oltre alla copertura dei
costi venga prevista una fetta di guadagni che, a seconda della tipologia d’impresa,
possono essere accumulati o reinvestiti. In caso contrario si ha consumo e non
produzione di ricchezza.
1.2.1.1 Caratteri e tipologie d’impresa
-
Caratteri
L'impresa può essere definita come un sistema sociale–tecnico aperto: un sistema è
un complesso di interdipendenze di parti rispetto ad un obiettivo comune e quando
si tratta di un sistema socio-tecnico le parti sono costituite da beni e persone
(attrezzature, risorse umane, conoscenze e rapporti sociali).
Un sistema aperto, inoltre, scambia con l'esterno conoscenza e produzione.
Pertanto, l'impresa è un complesso di interdipendenze tra beni e persone che
operano scambiando con l'esterno conoscenza e produzione e perseguendo un
comune obiettivo consistente nella produzione di valore.
-
Tipologie
L'impresa può essere esercitata sia da una persona fisica che da una persona
giuridica.
•
Si parla di impresa individuale quando il soggetto giuridico è una persona
fisica che risponde coi propri beni delle eventuali mancanze dell'impresa: in
tal caso non c'è un'autonomia patrimoniale dell'impresa e se questa viene
dichiarata fallita, anche l'imprenditore fallisce. Sono concettualmente simili
all'impresa individuale quella familiare (formata al 51% dal capofamiglia e
al 49% dai suoi familiari, con una parentela non superiore al 2° grado) e
quella coniugale (formata solo da marito e moglie).
•
Se l'impresa è esercitata da una persona giuridica assume invece una veste
societaria, che può essere di varia natura:
22
24. 1. la società di persone è caratterizzata da un'autonomia patrimoniale
imperfetta, in cui cioè il patrimonio della società non è perfettamente
distinto da quello dei soci, per cui i creditori possono rivalersi (se il
patrimonio societario è insufficiente) anche sui beni del socio. Si
può avere una società semplice nel caso in cui non sia necessario
svolgere una attività commerciale, ma si abbia la necessità di gestire
un'attività (agricola o professionale, come ad esempio uno studio
associato); una società in nome collettivo in cui tutti i soci sono
responsabili (in egual parte e con tutto il loro patrimonio) delle
obbligazioni della società; o una società in accomandita semplice in
cui i soci accomandatari rispondono come nella s.n.c. e i soci
accomandanti rispondono limitatamente al capitale conferito.
2. le società di capitali sono dei soggetti giuridici che godono di
autonomia patrimoniale perfetta (il loro patrimonio è distinto da
quello dei soci). Le forme riconosciute sono:
società a
responsabilità limitata, società per azioni e società in accomandita
per azioni.
3. le società cooperative rappresentano una particolare forma
societaria, le cui peculiarità sono connesse allo scopo mutualistico
che perseguono.12
12
Art. 2082 C.C., cit.
23
25. 1.2.2 Definizione di azienda
L’azienda è un’organizzazione di persone e beni economici che mira al
soddisfacimento dei bisogni umani.
Elementi essenziali dell’azienda:
-
Persone: forniscono le proprie energie lavorative per svolgere l’attività (es.
proprietario, soci, dipendenti);
-
Beni economici: utilizzati nella produzione o nel consumo (es. edificio,
macchinari, prodotti per la vendita);
-
Struttura organizzativa: dura nel tempo; coordina uomini e mezzi (es.
compiti e responsabilità);
-
Operazioni: compiute per il fine aziendale (es. acquisti, trasporti, vendite);
-
Fine: soddisfacimento dei bisogni umani (es. produrre e distribuire per
soddisfare i bisogni).
Scopi dell’azienda: il soddisfacimento dei bisogni umani può essere:
-
Diretto: attività rivolta direttamente a soddisfare i bisogni attraverso il
consumo dei beni;
-
Indiretto: attività rivolta alla produzione e distribuzione di beni e servizi
utilizzati poi dalle unità di consumo
24
26. 1.2.3 L’azienda come sistema.
L’azienda è un sistema perché gli elementi che la costituiscono sono collegati per
raggiungere uno scopo. L’azienda è un sistema:
-
Dinamico: è soggetto a cambiamenti e adattamenti per equilibrarsi;
-
Aperto: ha rapporti di scambio con l’ambiente esterno (clienti, fornitori).
Classificazione delle aziende in base all’attività:
-
Aziende di produzione: sono le imprese; producono beni o servizi. Da
cedere sul mercato con atti di scambio; soddisfano i bisogni in modo
indiretto; hanno scopo di lucro; operano per conseguire un utile (ricavi –
costi);
-
Aziende di erogazione: il cui scopo è il soddisfacimento diretto dei bisogni.
Non producono per lo scambio. Possono essere suddivise in aziende di
erogazione in senso stretto (che producono per soggetti esterni all’azienda) e
aziende di consumo, che producono anche per soggetti interni).
-
Aziende composte: hanno caratteri sia d’aziende di produzione sia
d’erogazione. (Es. Stato; famiglia diretta coltivatrice; settore non profit).
Classificazione delle aziende secondo lo scopo:
-
Aziende profit oriented (o imprese): sono il 1° settore; attuano produzione
da scambiare sul mercato con lo scopo di conseguire un utile.
-
Aziende della P.A.: scopo di soddisfare bisogni pubblici o fornire pubblica
utilità. Sono il 2° settore. Es. Stato; Regioni; Asl; Inail; Inps.
-
Aziende non profit: si propongono di conseguire scopi di interesse sociale;
ne fanno parte sia le famiglie sia il 3° settore ( del privato sociale). Es.
25
27. circoli ricreativi, sportivi o culturali; associazioni di assistenza e
beneficenza; volontariato; fondazioni; cooperative sociali; ONLUS.
Alla luce di quanto espresso possiamo individuare l’ambiente urbano come
un’azienda di pubblica amministrazione che provvede alla produzione e
all’erogazione di servizi che distribuisce sia internamente che esternamente.
26
28. 1.2.4 Differenza fra azienda ed impresa
Azienda:
•
Ha carattere
oggettivo:
in
quanto formata
dai
beni organizzati
dall’imprenditore
•
Ha carattere strumentale: in quanto è il mezzo di cui l’imprenditore si serve
per raggiungere i propri fini
Impresa:
•
Ha carattere soggettivo: è l’attività organizzata dall’imprenditore per fissare
le combinazioni più idonee al raggiungimento dei fini prescelti
•
Ha carattere finalistico: il fine che l’impresa si prefigge ne costituisce il
presupposto e la giustificazione
Elementi costitutivi
•
Gli immobili e gli impianti
•
I beni mobili
•
I beni immateriali
•
I rapporti giuridici con i quali l’imprenditore acquista la disponibilità dei
mezzi produttivi
Il limite tra le due realtà è quindi molto labile. Nel caso specifico è quindi il caso di
uscire dalle definizioni tecniche per individuare, attraverso gli elementi forniti, una
nuova definizione di impresa.
Al giorno d’oggi una sola impresa non può essere competitiva in virtù delle sue sole
risorse interne, ma al contrario dipende da una rete di fattori, attori, conoscenze,
relazioni, asset che si sviluppano in un determinato campo d’azione o nel caso
specifico, su e per un determinato territorio.
27
29. Un’economia di reti si differenzia da un’economia di mercato in quanto non
prevede il mero accumulo di capitale fisico, ma piuttosto l’accumulo di esperienze
e conoscenze, di contatti e di opportunità. Esempi possono essere la ripartizione di
risorse comuni e del lavoro, con l’outsourcing di settori comuni, collaborazioni in
ambito progettuale e d’investimento, fino alla creazione di un vero e proprio
capitale sociale comune.
In generale si sta andando, quindi, verso la formazione di un nuovo complesso di
produzione e servizi. Questa tipologia produttiva, integrata con le città, arriva a
caratterizzare e settorializzare la zona che occupa.
Il processo di retificazione dell’economia globale prevede la creazione di nodi, veri
e propri gangli del sistema, altamente specializzati.
Questo è uno dei motivi per cui una città è paragonabile ad un’azienda, o meglio ad
una rete di aziende che lavorano sinergicamente per un obiettivo comune.
28
30. 1.3 Comunicazione urbana e aziendale
1.3.1 Comunicazione urbana
Lo spazio urbano rappresenta da sempre uno dei palcoscenici più utilizzati dal
mondo della comunicazione promozionale. Possiamo vedere la città stessa più
come un processo comunicativo che come strumento.
Se nell’età antica il fasto e la maestosità della città erano simbolo del potere
economico e militare dei suoi regnanti, dall’affermazione della produzione
industriale di massa in poi la città è stata considerata come il terreno più adatto a
esprimere la valorizzazione di quella cultura del consumo che andava
diffondendosi, offrendo un vero e proprio terreno materiale sul quale si sono
inscritte quelle che sono state definite come le modalità espressive tipiche della
società moderna, fondata sul culto stesso dell’immagine e dei suoi significati. La
città, nella sua accezione più classica, è un processo comunicativo per sua stessa
natura.
Basti pensare come nell’immaginario popolare il solo termine “città” abbia
rappresentato progresso e benessere, futuro, velocità.
La città, in special modo nella sua forma metropolitana, inizia nel corso
dell’Ottocento a dispiegarsi quale meraviglioso labirinto in cui perdersi, alla ricerca
di sempre nuovi elementi attrattivi, di spettacoli inattesi, di effetti estetici
sorprendenti e dal potere magnetico.
La logica dell’intrattenimento viene trasposta dai media all’articolazione urbana e
prende la forma dei passages o gallerie coperte – primi luoghi dello shopping ma
anche della necessità di esibire la propria presenza, il proprio “esserci” – dei grandi
magazzini, delle Esposizioni Universali, dei tavoli dei caffè e dei bistrot.
29
31. La forma dello spettacolo pare quindi caratterizzare l’essenza stessa della merce e
del consumo, andando ad incidere sui modi attraverso i quali si strutturano non solo
i luoghi deputati al consumo stesso, ma la forma urbana e metropolitana più in
generale:
«I processi di spettacolarizzazione hanno dunque investito la pittura e la
città, la messa in scena teatrale e urbana. Infine l’insieme di questi processi
si è spinto a caratterizzare la dimensione complessiva dell’abitare moderno,
trasformando in spettacolo ogni immagine ma anche ogni forma di
percezione, sino a costituire l’essenza stessa dello spirito del capitale. È
nell’ambito delle strategie della comunicazione commerciale che la
spettacolarizzazione, dopo i luoghi originari del mercato urbano, delle feste
e delle fiere ha trovato il suo momento di massima espressione territoriale,
dalle Esposizioni Universali ai manifesti pubblicitari, al cinema e poi alla
televisione e agli spot pubblicitari... Grande spettacolo e grande emporio
dei consumi diffusi appartengono dunque alla medesima esperienza
moderna»13.
In una visione olistica dei processi comunicativi cittadini, non si può non notare
l’incredibile vendibilità dello strumento città. Comunicatore per sua natura, lo
strumento città è estremamente versatile, applicabile a svariati ambiti e permette,
nella migliore delle ipotesi, di sfruttarne direttamente e indirettamente l’immagine,
“monetizzando” pressoché qualunque cosa.
Nell’interpretazione di Guy Debord14, infatti, la società contemporanea si
caratterizzerebbe per la sua devozione all’immagine e alla spettacolarità come
forme più compiute di adesione e riproduzione della sovrastruttura dell’economia
capitalista che diviene una «visione del mondo che si è oggettivata» 15 proprio
attraverso lo spettacolo. Al di là della visione ideologizzata che caratterizzerebbe
tale tipo di interpretazione, non si può comunque non riconoscere che il panorama
13
A. Abruzzese, Lessico della comunicazione, Meltemi, Roma 2003, pp. 574-578
G. Debord, La società dello spettacolo, Baldini & Castoldi, Milano, 1997
15
Ibid, p. 54.
14
30
32. contemporaneo presenta un elevato tasso di spettacolarizzazione e di sensibilità nei
confronti della spettacolarità, la quale prende le forme più disparate e utilizza i
“supporti” più vari per esprimersi negli spazi urbani.
L’esigenza di rendere la città un palcoscenico, attraverso la costruzione di vere e
proprie quinte scenografiche, i caratteri della festività, dell’eccesso, la volontà di
stupire e di affascinare incessantemente, hanno permesso di interpretare tutte queste
manifestazioni come indizi di una rivitalizzazione dell’ideale barocco:
«La città nuova dello spettacolo e della simulazione è la discendente diretta
della città barocca, della città travestita, della città della festa e delle
parate; essa deve attrarre e mimare un mondo che è sostanzialmente
spettacolo. I set della simulazione della città contemporanea, le sue scene
cinematografiche, derivano, anche esplicitamente, dal palcoscenico urbano
barocco che con la sua architettura intendeva dare a ciascuno la sensazione
di vivere subito in un pezzetto di paradiso»16.
L’estetica di massa, in altre parole, conduce a modellare gli spazi urbani come se
fossero degli spettacoli da ammirare e nei quali perdersi, rimanendo “incollati” a
una molteplicità di schermi e palchi, di volta in volta costituiti dalle architetture
postmoderne, dal design urbano, dalle informazioni che scorrono come immagini
sugli edifici, dalle pubblicità su schermi ad alta definizione, dai cartelloni ai video
sui mezzi pubblici.
Per questo la città sarebbe uno dei luoghi deputati a produrre quel “reincantamento
del mondo”17 che caratterizzerebbe l’essenza della postmodernità, ovvero
riconsegnare al mondo l’incertezza, il valore dell’irrazionale, dell’emozionale,
dell’inspiegabilità della seduzione, anche attraverso la diffusione di stimoli estetici.
16
G. Amendola, La città postmoderna. Magie e paure della metropoli contemporanea, Laterza,
Roma-Bari 1997, p. 103.
17
Ibidem
31
33. È quindi la società contemporanea a poter essere identificata con maggiore
chiarezza attraverso lo slittamento progressivo delle logiche e dei linguaggi
tipicamente mediali verso altri territori, uno dei quali è sicuramente rappresentato
dal contesto urbano che li fa propri e li trasforma dando vita a una nuova logica che
possiamo definire dell’intrattenimento infinito.
La creazione di continui spettacoli tende quindi a intrattenere, a cercare di non far
perdere il contatto con i propri “spettatori”, che in questo caso sono i cittadini, i city
users18 e tutti coloro che si trovano a vivere, anche solo temporaneamente, lo spazio
urbano teatralizzato. L’idea che queste figure debbano essere intrattenute, stupite, in
qualche modo blandite attraverso la progettazione di una città che renda sempre più
piacevole trascorrervi il proprio tempo libero, ma anche quello di passaggio e di
lavoro, ha portato all’individuazione di un’altra figura idealtipica, che è
rappresentata dal cittadino-turista, che è forse la categoria che meglio rappresenta la
forma dell’individuo all’interno della dimensione cittadina contemporanea:
«...un numero sempre più elevato di abitanti della città postmoderna guarda
anche al proprio habitat con lo sguardo del turista, è un turista anche nella
vita quotidiana, perché desidera abitare in un luogo unico, o divertirsi in un
luogo
unico,
o possibilmente
passeggiare
in
un
luogo
unico...
Paradossalmente, lo spettacolo effimero della moda e il peso della storia si
possono allineare per negoziare la variegata congerie di richieste che
bombardano la città»19.
Questo, per qualcun altro, implica che il proprio vissuto dello spazio cittadino
quotidiano sia stato radicalmente modificato, intendendolo come l’ambito
privilegiato della realizzazione del loisir.
18
G. Martinotti, Metropoli. La nuova morfologia sociale della città, il Mulino,
Bologna, 1993
19
L. Bovone, Comunicazione. Pratiche, percorsi, soggetti, Franco Angeli, Milano 2000, p. 144
32
34. Infatti, attraverso il concetto di junkspace, Rem Koolhas, una delle più grandi
firme20 dell’architettura contemporanea, intende descrivere l’attuale configurazione
delle realtà metropolitane non solo attraverso l’ibridazione degli stili, la creazione
di uno spazio funzionale, da usare e riusare continuamente, ma anche la peculiarità
del suo utilizzo in termini di vissuto, appunto, arrivando ad affermare che: «Il
Junkspace è lo spazio come vacanza»21.
Da questo punto di vista concetti quali quelli di intrattenimento, esperienzialità,
coltivazione della dimensione fàtica e relazionale, tipicamente caratterizzanti il
rapporto degli spettatori con i media, possono essere oggi applicati all’attuale
orizzonte urbano che cerca di stimolare, in quelli che sono stati definiti da M. Augè
come i propri “passeggeri”22.
In altre parole lo spazio urbano mostra in maniera sempre più evidente una
correlazione diretta in particolare tra la forma televisiva e la sua funzione
eminentemente di intrattenimento e il progetto di intrattenimento con il quale i
luoghi
cittadini
sono
costruiti,
sempre
più
spettacolarizzati
e
volti
all’esperienzialità: «La città si è assunta il compito di rendere il mondo visibile
secondo i canoni della comunicazione mediale contemporanea: tutto deve essere
accessibile, simultaneo, accattivante... Nella città nuova tutto fa spettacolo e tutto fa
arte»23.
Come ci dimostrano variamente l’architettura contemporanea, i luoghi di consumo
come gli shopping e i festival mall, i concept e i flagship store, gli stylist hotel ecc.
Quest’orda di stimoli comunicativi rende la dimensione cittadina, specie nelle sue
dimensioni più estese, una sorta di galleggiamento nell’unicità del suo paesaggio,
20
Il concetto di firma, applicato all’architettura, non è utilizzato a caso. L’architettura
contemporanea crea continuamente delle star, o meglio delle archistar, che costituiscono ormai dei
veri e propri brand da apporre sugli edifici, a loro volta brandizzati dai marchi per i quali sono
stati realizzati.
21
R. Koolhas, Junkspace (2001), Quodlibet, Macerata 2006, p. 90.
22
M. Augé, Nonluoghi. Introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano1993
23
Amendola, La città postmoderna, p. 88 in Stefania Antonioni, “Dall’‘outdoor’all’‘ambient
advertising’: quando lo straordinario invade il quotidiano”, «Comunicazioni Sociali», 2006, n. 3,
276-290, Vita e Pensiero / Pubblicazioni dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.
33
35. nell’offerta di loisir a ogni angolo di strada attraverso i suoi edifici, gli arredi
urbani, la presenza di supporti pubblicitari sempre più diversificati.
Vale la pena inoltre considerare anche un altro aspetto connesso alla organizzazione
degli spazi urbani che, se da un lato si offrono come luoghi che mirano ad
intrattenere, a stupire, a coinvolgere, dall’altro implicano o comunque devono fare i
conti con il fatto che anche il modo di vivere e considerare gli spazi urbani è
improntato a scelte e percorsi sempre più contingenti e perciò dipendenti da scelte
soggettive.
«Forse quella attuale potrebbe invece essere considerata l’epoca dello spazio.
Viviamo nell’epoca del simultaneo, nell’epoca della giustapposizione, nell’epoca
del vicino e del lontano, del fianco a fianco, del disperso. Viviamo in un momento
in cui il mondo si sperimenta, credo, più che come un grande percorso che si
sviluppa nel tempo, come un reticolo che incrocia punti e che intreccia la sua
matassa» 24
All’interno di queste nuove conformazioni urbane, infatti, ciò che diviene
importante è proprio il percorso di senso soggettivo, che pone in relazione contesti
e centri diversi, creando in tal modo delle trame significative, che contribuiscono
alla costruzione e all’autodefinizione della propria identità.
«Proprio per questo suo carattere, di soggettività distribuita, che nomina e incarna
i luoghi attraversati, la città infinita è una trama aperta di relazioni e
comunicazioni. Una trama a rete, fatta di materiali eterogenei che il movimento
soggettivo connette, fisicamente o anche solo nel pensiero del luogo. Una trama
che non ha interno e non ha esterno, ma solo – in ciascun punto – densità, spessore
esistenziale... Il costruttore della trama, che anima questo spazio, non vive
all’interno di un solo luogo, ma nel flusso che connette e differenzia i diversi
luoghi... Quello che conta è il viaggio, non i singoli luoghi che attraversa. Quello
24
E. Rullani, La città infinita: spazio e trama della modernità riflessiva, in Bonomi - Abruzzese (a
cura di), La città infinita, p. 70.
34
36. che conta è il processo creativo dei luoghi, non il prodotto. La vita nella città
infinita scorre nei flussi che producono i luoghi»25.
In altre parole ciò permetterebbe di conferire dignità di “luogo” in maniera
autoriferita, ovvero dipendente dalle selezioni ed attribuzioni di senso conferite
soggettivamente, in assoluta continuità con l’idea di spazio da intendersi come
luogo praticato26.
Se quindi dobbiamo considerare come nella città contemporanea siano sempre più
decisivi i movimenti e le semantizzazioni operati dai viaggiatori dello spazio
urbano, diviene ancor più palese il valore da conferire alle strategie che mirano alla
costruzione non solo di ‘incidenti’ visivi che possano essere colti come spettacolari,
ma anche di un tipo di intrattenimento che possa avere carattere relazionale ed
esperienziale.
La comunicazione urbana non è quindi statica e passiva, ma deve coinvolgere
appieno lo spettatore.
La città è palco, è teatro nel quale perdersi, ma al contempo è anche luogo di
passaggio. Il viaggiatore, che vive la città in maniera casuale deve incappare in
“incidenti visivi” e in “ostacoli comunicativi”, apparentemente disposti in maniera
casuale.
25
26
Ivi.
M. De Certeau, L’invenzione del quotidiano (1980), Edizioni Lavoro, Roma 2005, ibidem
35
37. 1.3.2 Processi di comunicazione aziendale nella Pubblica Amministrazione
Al contrario di come può sembrare ad un primo sguardo, la comunicazione nella
pubblica amministrazione non è solo informare. L’informazione è una parte del
processo comunicativo, ma non viceversa. Se informare equivale a ciò che viene
detto, comunicare equivale a ciò che viene capito rispetto a quanto viene detto. Se
la comunicazione si limitasse all’informazione perderebbe gran parte della sua
natura e questo finirebbe per rendere inutile se non controproducente il processo.
[mettere la fonte]
La comunicazione è un rapporto sociale e un processo socio-tecnico.
L’informazione, per come la conosciamo noi è solo il passaggio finale, che viene
prodotta dal rapporto sociale, trasformata, processata e trasmessa. In realtà, dietro a
questo passaggio finale, i rapporti e i processi possono assumere la natura e i
contenuti più diversi.
Si possono comunque individuare due tipologie di processi comunicativi: intra,
ovvero tra attori della PA; e infra, ovvero tra attori e utenti. Nel primo caso si parla
di comunicazione pubblica interna all’amministrazione, nel secondo caso di
comunicazione pubblica esterna. idem
In realtà la distinzione tra i due ambiti comunicativi non è così netta. Se da un lato
le tipologie, i processi, gli investimenti e gli strumenti sono diversi, se non
addirittura specifici in relazione ad uno dei due ambiti, in realtà le due tipologie
sono strettamente correlate. Questa correlazione si riflette in un sistema
direttamente connesso con l’utenza che non funziona solo per provvedimenti e
decreti.
Questo trend è facilmente dimostrabile mostrando come ”l’efficienza della
comunicazione esterna sia in larga parte funzione della qualità della
comunicazione interfunzionale”27 all’interno dell’amministrazione pubblica.
27
Telecom colloquia, Telecom Italia Future Centre - Convento di S.Salvador, Venezia, 1 Dicembre
2004, pg 73
36
38. Se da un lato quindi la dicotomia viene a cadere, rivelando una stretta correlazione
tra le due attività e una necessaria concordanza vista la stretta interdipendenza, dal
punto di vista prettamente tecnico e analitico, la distinzione è netta e precisa. I due
processi e ambiti comunicativi individuano due momenti ben distinti dell’attività di
gestione e amministrazione pubblica, mettono a fuoco due problematiche ben
precise e permettono di suddividere il lavoro e incanalare gli sforzi.
Questi due momenti sono i processi decisionali e l’erogazione dei servizi. Questi
due momenti mantengono caratteristiche e necessità ben definite, utilizzano canali
differenti e hanno impatti economici ben differenti, ma la loro interdipendenza
richiede “attenzioni ed analisi specifiche, nel senso che è necessario e fruttuoso
indagare su ciascun momento alla luce degli interrogativi generati dalla crescente
interdipendenza.”28
Nel caso specifico di processi comunicativi nell’ambito dell’amministrazione
pubblica, i destinatari dei suddetti processi sono prima di tutto utenti.
Questo implica che la comunicazione deve essere assolutamente funzionale ed
orizzontale. I processi, per sviluppare l’interazione, non devono arrivare in risposta
alle più numerose, varie e mutevoli domande provenienti da quell’utenza che non
solo chiede, ma che fornisce. Un’utenza che collabora direttamente e indirettamente
allo sviluppo. Se paragoniamo direttamente la città ad una grande azienda multi
servizi vediamo come la comunicazione esterna della città, corrisponda alla
comunicazione interna aziendale. Di come quelli che sono gli abitanti-utenti della
città, abbiano le stesse necessità comunicative del pubblico interno ad una grande
azienda. Il cambiamento di prospettiva, dall’informare al comunicare, si muove
lungo direttrici di pensiero che comportano e hanno comportato lo switch dal
sistema funzionante solo per decreti e imposizioni ad un’amministrazione più
comunicativa, i cui comportamenti e decisioni si dimostrano più vicini ai bisogni
dei cittadini utenti.
28
ibid
37
39. Improntata in un’ottica prettamente manageriale, la PA deve abbattere i costi
mantenendo alti i livelli di gradimento, di abitabilità e l’appoggio politico
economico dei livelli amministrativi superiori.
Uno dei punti caldi della pubblica amministrazione è l’efficienza, un problema
molto sentito, specialmente in Italia. Un approccio classico è quello efficientista,
ovvero semplicemente intervenire per diminuire i costi a parità di servizi o
aumentare i servizi a parità di costi. Questo tipo di intervento, che possiamo
definire classico, si è dimostrato sbagliato, o più precisamente non risolve il
problema.
Possiamo individuare come l’approccio aziendale alla gestione pubblica, nel caso
specifico alla gestione della città, abbia un impronta più flessibile rispetto alla
gestione classica.
L’evoluzione industriale ha provato che non basta tagliare i fondi o i costi per
abbattere le spese e che nel lungo periodo una politica come questa non fa che
peggiorare le cose. Così come nel caso di un’automobile, i cui consumi possono
essere abbattuti non solo lavorando sul motore, ma anche e soprattutto
sull’aerodinamicità, così la pubblica amministrazione deve intervenire in altri
ambiti per poter ottimizzare le spese ed evitare gli sprechi.
Questo problema si può risolvere in vari modi.
La prima tipologia di intervento è quella classica e va a toccare la sfera
dell’integrazione, l’insieme dei rapporti di scambi, comunicazione e cooperazione
tra i sottoinsiemi dell’amministrazione di volta in volta diversamente chiamati in
causa dal provvedimento.
Questo tipo di pratica, che permette di ottimizzare la struttura, è fortemente
influenzata dalla gestione della comunicazione interna.
L’amministrazione pubblica, per la sua natura politica e quindi mutevole, pecca di
una mancanza di organizzazione interna che rende pressoché impossibile una
38
40. pianificazione a medio - lungo termine degli interventi. Questo fa sì che tecnologie
comunicative spesso innovative vengano sottoutilizzate e impiegate per campagne
tradizionali, o applicate in maniera casuale se non addirittura contraddittoria.
I progressi negli studi degli ambiti comunicativi, la settorializzazione e la
specializzazione data dal sempre maggiore grado di studio della materia, hanno
portato all’individuazione di pratiche e processi comunicativi specifici per qualsiasi
ambito.
La managerializzazione delle amministrazioni viene applicata in maniera parziale.
Una chiave di analisi prettamente aziendale valuterebbe l’eventuale efficacia del
prodotto, prima di migliorarne l’efficienza. In ambito prettamente aziendale prima
di preoccuparsi di curare l’efficienza e la coerenza interna di un’azienda si progetta
e si vende un prodotto funzionale ed efficace.
39
41. Capitolo 2
DALLA CITTÀ ALL’IMPRESA
Il percorso storico sociale
che ha determinato la città impresa
40
42. 2 Dalla città all’impresa. Il percorso storico sociale che ha determinato la città
impresa
Il percorso che ha portato il territorio, e in questo caso specifico il territorio urbano
e cittadino, a diventare uno dei fattori primari di competitività tra le imprese, ma
anche tra gli stati, le regioni ed i vari enti è riconducibile a tre fenomeni complessi e
strettamente correlati fra di loro:
•
Il processo di globalizzazione economica e sociale: l’abbattimento
di barriere spazio temporali, l’esplosione dei mercati mondiali, la
delocalizzazione e la terziarizzazione di alcuni tratti della filiera produttiva
e la conseguente nascita di network mondiali di produzione.
•
La managerializzazione delle amministrazioni pubbliche: la
necessità da parte di organismi amministrativi e burocratici di doversi
confrontare con pratiche e ruoli prettamente manageriali, in prospettive
che da locali diventano glocal.
•
La nuova configurazione della competizione aziendale: non più
limitata a realtà industriali e aziendali locali o nazionali, ma proiettata da
un lato in ambiti extra nazionali, spesso anche in ambiti che trascendono il
campo d’azione aziendale.
2.1 Il processo di globalizzazione economica e sociale
Il processo di globalizzazione è un processo che ha caratterizzato ed accompagnato
l’intero percorso evolutivo dell’uomo. La tendenza naturale ad esplorare ed
ampliare i confini e la continua ricerca di nuove opportunità economiche e di
sviluppo ha caratterizzato l’uomo in qualsiasi stadio della sua evoluzione. Tuttavia
l’ultimo secolo, e in particolare l’ultimo ventennio, hanno visto l'accelerarsi di
questi processi, fino alla creazione di una nuova realtà globale che trascende confini
e limiti linguistici, distanze e barriere sociali.
41
43. Al giorno d’oggi globalizzazione vuol dire innanzitutto internazionalizzazione
dell’organizzazione produttiva delle imprese29. La ricerca del vantaggio competitivo
spinge molti imprenditori a localizzare alcuni passaggi della propria catena di
produzione in diverse aree geografiche, con l’obiettivo specifico di trovare
determinati vantaggi competitivi.
Questa internazionalizzazione è effettuata attraverso due tipologie di intervento: dal
un lato la delocalizzazione di parte dei processi produttivi all’estero, dall’altro
investimenti diretti verso l’estero.
2.1.1 Dalla fabbrica alla multinazionale: la terziarizzazione dei processi
produttivi
La classica tripartizione dei settori produttivi ormai è caduta. Il settore industriale,
un tempo considerato primario, ora perde terreno in funzione dell’avanzata del
terziario. L’esplosione dei mercati, la concorrenza assoluta e globale, l’ascesa delle
nuove potenze economiche hanno scombussolato il sistema economico. Nei paesi
più sviluppati il costo della vita è troppo alto e questo si traduce nella difficoltà, da
parte dei datori di lavoro, di conciliare la necessità di abbattere le spese, con un
costo del lavoro che aumenta sempre di più. Per questo motivo il settore primario
viene sempre di più esportato all’estero, appaltando interi cicli produttivi e di
assemblaggio a fabbriche dei paesi del c.d. “secondo mondo”, mantenendo nel
paese d’origine solo gli uffici dirigenziali, di comunicazione e di logistica30.
Questa terziarizzazione dei processi lavorativi, esportando alcuni passaggi del
processo produttivo, permette sia di abbattere fortemente i costi di produzione, sia
di sfruttare le diverse risorse e capacità manifatturiere che caratterizzano le varie
regioni geografiche. Questo tipo di comportamento è molto più diffuso di quanto
possa sembrare.
29
30
M Castellet, M. D’Acunto, Marketing per il territorio, Franco Angeli, Milano 2006
Giuseppe Fin (Presidente del Centro Estero delle Camere di Commercio del Veneto), in
Indagine sulla Presenza Imprenditoriale Veneta in Romania, Aggiornamenti, Anno 2005.
42
44. Un esempio possono essere le grandi aziende di moda italiane che, pur appaltando
le operazioni come la stampa dei tessuti ed il taglio degli stessi ad aziende dell’est
Europa o del sud est asiatico, lasciano l’assemblaggio delle parti nel nostro paese,
cosa che permette loro di presentare un prodotto che risponde in tutto e per tutto
agli standard, per altro molto labili, del “made in italy”.
2.1.2 Investimenti Diretti all’Estero
L’altro tipo di intervento internazionalizzante è definito con l’acronimo IDE,
Investimenti Diretti Esteri31.
Secondo la definizione del Congresso delle Nazioni Unite sul Commercio e lo
Sviluppo (UNCTAD) gli investimenti diretti esteri (IDE) sono investimenti da parte
di un soggetto residente in un Paese rivolti a stabilire una relazione di lungo termine
e ad acquisire interessi durevoli e di controllo in un'impresa residente in un altro
Paese32.
Gli investimenti diretti esteri presuppongono l'intenzione dell'investitore diretto di
acquisire un significativo livello di influenza sulla gestione dell'impresa e si
distinguono dagli investimenti di portafoglio perché questi ultimi sono semplici
partecipazioni finanziarie di soggetti non interessati alla gestione aziendale.
Gli IDE si distinguono in 2 categorie33:
- investimenti greenfield: consistono nella creazione ex novo di attività produttive.
Rappresentano ancora una quota marginale della totalità di investimenti all’estero,
mentre se calcolati rispetto al volume di investimenti IDE rappresentano il
10%-15% del flusso mondiale.
31
32
Castellet, D’Acunto, pg 59
United Nations Conference on Trading & Development,
http://www.unctad.org/Templates/StartPage.asp?intItemID=2068
33
ibidem
43
45. - investimenti brownfield: ovvero fusioni aziendali e acquisizioni di strutture già
esistenti. Per la minor richiesta di capitale iniziale e il minor livello di rischio,
rappresentano la parte più consistente degli IDE.
Vi sono molti fattori che possono spingere un’azienda ad effettuare investimenti
diretti all’estero: la possibilità di ridurre i costi di produzione, di individuare nuovi
e più agevoli sbocchi commerciali per i propri prodotti o servizi, di allargare la
propria quota di mercato.
Sebbene i fattori della scelta localizzante siano differenti in base alla tipologia del
business, i criteri più rilevanti che rendono attrattivo un territorio rispetto ad un
altro sono:
- ampiezza del mercato;
- competenze e know how presenti nell'area e risorse umane qualificate;
- costo del lavoro;
- qualità delle infrastrutture di trasporto e adeguatezza delle strutture logistiche;
- disponibilità di aree adeguate all'insediamento;
- costi energetici contenuti;
- quadro normativo e fiscale di riferimento.
Oggi molti Paesi hanno attuato politiche per attrarre e massimizzare i benefici degli
investimenti diretti esteri. È necessario, tuttavia, sottolineare che se da una parte gli
IDE rappresentano una fonte di sviluppo locale, dall'altra ci sono dei rischi che
bisogna tenere in considerazione.
Nel rapporto OCSE del 200234 vengono analizzati gli effetti positivi e gli effetti
negativi che gli IDE possono avere per le economie locali:
34
Foreign Direct Investment for Development: Maximising Benefits, Minimising Costs, United
Nations Conference on Trading and Development, op.cit.
44
46. I principali benefici degli IDE:
- Aumentano il livello di competenza e formazione del capitale umano dell'area;
- Trasferiscono tecnologie innovative sul territorio;
- Contribuiscono ad integrare il territorio nell'economia globale e nel commercio
internazionale;
- Aiutano a creare un ambiente maggiormente competitivo che favorisce lo
sviluppo delle imprese.
Gli effetti negativi
- Influiscono negativamente sulla bilancia dei pagamenti di un Paese se tutti i
profitti rientrano nel Paese d'origine;
- Possono intaccare il tessuto sociale come conseguenza di un'accelerazione del
processo di globalizzazione commerciale, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo;
- Aumentano la dipendenza nei confronti delle imprese multinazionali a discapito
della sovranità politica delle comunità;
Per gestire al meglio questa bilancia tra effetti positivi ed effetti negativi, e
basandosi sull’esperienza diretta dei Paesi membri dell'OCSE e di altri Paesi, sono
state create delle misure cautelari per massimizzare i benefici degli IDE, mirando al
contempo alla riduzione dei costi sociali per i paesi che ricevono l’investimento ed
economici per quelli che lo effettuano.
Queste misure cautelari rientrano in tre categorie:
•
Consolidamento del quadro macroeconomico sia attraverso misure volte a
sostenere la crescita economica generale, l'occupazione e la stabilità dei
prezzi, sia attraverso politiche di contenimento del debito pubblico,
programmazione di una disciplina fiscale efficiente ed equa. Inoltre sono
45
47. previsti interventi di rafforzamento del sostegno finanziario interno alle
imprese;
•
Creazione di un sistema di regolamentazione degli IDE che prevede da un
lato il rafforzamento delle regole sulla concorrenza, delle regole contro la
corruzione e a favore della trasparenza finanziaria delle imprese, tasto
dolente di molti investimenti in paesi in via di sviluppo, e leggi a tutela della
proprietà intellettuale, sempre più necessarie al momento attuale. Inoltre
introduzione del principio di non discriminazione delle imprese straniere nel
sistema normativo e nella pubblica amministrazione, un passo necessario
per favorire e alimentare gli investimenti e combattere i pregiudizi;
•
Miglioramento
delle
infrastrutture,
innovazione
tecnologica
ed
accrescimento del livello delle risorse umane, poiché la presenza e la qualità
delle infrastrutture fisiche e tecnologiche e il livello di competenze della
forza lavoro sono strumentali all'attrazione delle imprese straniere e
favoriscono il trasferimento di innovazione tecnologica e dei processi tra le
imprese nazionali e le multinazionali35
Questo tipo di investimenti, spesso molto produttivi e redditizi, sono sempre più
frequenti e certificano ancora una volta la necessità, per entrambe le parti, di
un’immagine forte e di strumenti e metodi di comunicazione efficaci.
Da un lato un paese investitore può trasferire con l’investimento anche parte della
propria immagine. Chiaramente non potrà importare totalmente stili di vita o interi
sistemi
sociali
caratteristici,
ne
potrà
apporre
l’appeal
della
propria
immagine-marchio a prodotti e servizi realizzati in quel paese.
D’altro canto però, con una campagna coordinata in entrambi i paesi, si possono
ottenere benefici che vanno ben oltre i meri ricavi economici. L’attività di
investimento sul territorio non dovrebbe limitarsi al semplice gettito economico
35
Fonte:
United
http://www.unctad.org
Nations
Conference
on
Trading
and
Development,
UNCTAD,
46
48. diretto o indiretto, ma prevedere un forte investimento sulla popolazione, favorendo
l’interazione culturale e lo scambio, aprendo vie preferenziali per la libera
circolazione delle idee e delle conoscenze, sviluppando progetti di scambio sia dal
punto di vista universitario/accademico che tecnico. Non sono infatti infrequenti
casi di ingegneri e tecnici formati a basso costo all’estero e poi “importati” nel
paese d’origine36.
2.1.3 La società globalizzata viaggia in rete
In questo senso è stato fondamentale l’avvento di internet come nuova frontiera dei
mercati.
Con l’ingresso nel XXI secolo siamo entrati in quella che, nella prospettiva di
lettura del lungo periodo, è stata chiamata la “quinta onda lunga dello sviluppo
tecnologico”37. In questo modo si vuole intendere quella rivoluzione che sta
trasformando la nostra società, imperniandola sempre di più su informazione e
conoscenza.
La rete, nata con finalità militari e di studio, si è rivelata uno strumento essenziale
per intraprendere e gestire, implementare i rapporti di affari, abbattendo barriere di
spazio e di tempo, permettendo di lavorare con qualunque parte del mondo in
qualunque momento. L’innovazione tecnologica che caratterizza questa quinta
ondata non si limita però solo ad internet ed ai suoi usi.
Più in generale possiamo individuare un’intera categoria di nuove tecnologie, che
comprendono un insieme assai ampio e diversificato di innovazioni, che derivano
dal connubio tra telecomunicazioni e computer e prevedono lo scambio, in tempo
pressoché reale, di una gran mole di dati, informazioni, immagini e contenuti
multimediali.
36
37
Cfr. sotto: “Case Study: I due volti della città azienda, Treviso e Timisoara”
Freeman C, Pérez C, Structural crises of adjustment: Business cycles and investment behavior, I.
Dosi et al eds. (1988)
47
49. Questo tipo di tecnologie hanno da tempo superato i confini del PC e del world
wide web, sbarcando su terminali portatili, entrando di prepotenza nella vita di tutti
i giorni. Lo stesso codice IP [Inter-Networking Protocol] è un protocollo di
interconnessione di reti nato per interconnettere reti eterogenee per tecnologia,
prestazioni, gestione, non è più sufficiente a contenere e codificare i vari siti
internet presenti nella rete.
Per questo sono stati creati altri codici “mirror”, utilizzati prevalentemente per i siti
in background, o le pagine di servizio. L’utilizzo effettivo e reale di internet non si
limita a quello che abitualmente vediamo e navighiamo, ormai sempre più
quotidianamente.
Moltissime aziende utilizzano la rete per condividere, tra i vari reparti e uffici,
cataloghi, materiale informativo, dati. In questo modo si ottimizzano i tempi, si
abbattono i costi di logistica ed immagazzinamento, ed è addirittura possibile
migliorare l’efficienza della valutazione in itinere e finale di ogni processo.
La monitorabilità di ogni azione eseguita attraverso le reti aziendali o quelle
internet permette di mantenere sotto controllo ogni passaggio ed elemento del ciclo
produttivo e distributivo, limitando gli errori, le spese e più in generale abbattendo
costi e sprechi.
Oltre alla terziarizzazione e all’espansione degli investimenti in ambiti
extranazionali, questo periodo ha visto la crescita, esponenziale e continua, della
mobilità degli individui.
Non si tratta semplicemente dei flussi migratori da un paese all’altro che hanno
sempre caratterizzato la storia dell’uomo, ma di un nuovo mercato di opportunità,
di veri e propri spostamenti pianificati ed organizzati in modo da poter ricercare “le
aree più attrattive e in grado di valorizzare maggiormente le proprie capacità
lavorative, le proprie risorse individuali e finanziarie” 38. Gran parte dei movimenti
38
Castellet, D’Acunto, 2006.
48
50. migratori odierni, specie all’interno dei paesi più industrializzati vedono i migranti
studiare e preparare il viaggio in funzione delle proprie capacità e delle opportunità
che offrirà il territorio ospitante.
Un terzo fenomeno della globalizzazione è rappresentato dall’entrata in gioco di
nuovi player, grazie a innovative politiche economiche che da un lato frenano le
regole protezionistiche e omogeneizzano il mercato, dall’altro permettono a paesi in
via di sviluppo di mantenere ruoli meno passivi nell’insediamento di stabilimenti
produttivi, imprese turistiche e fornitura di materie prime. Si assiste quindi, se non
ad un vero e proprio ribaltamento della situazione, alla creazione di un tavolo
mondiale al quale tutti hanno forse un po’ più voce.
Questi tre fattori, internazionalizzazione della produzione, mobilità degli individui
e nuovi player nel mercato, permettono di constatare il crearsi innanzitutto di una
sovrabbondanza dell’offerta39 che non allarga i mercati, ma al contrario li restringe,
frammentandoli e azzerando le distanze.
Questa situazione porta ad una “supercompetizione territoriale”, paesi e stati si
contendono investimenti e collaborazioni con stati, enti e industrie, mentre le città
si contendono primati di abitabilità, evoluzione tecnologica e civile, lottano per
accaparrarsi
l’appellativo
di
“capitale
di
qualcosa”,
settorializzando
e
specializzando il proprio orientamento strategico, cercando disperatamente di
attirare cervelli, aziende che possano alimentare e completare un’identità unica,
sempre più necessaria per competere a livello internazionale, specialmente in una
realtà che sta cambiando velocemente.
La “supercompetizione territoriale”, presente sia a livello locale che a livello
sovranazionale si basa principalmente sulla reputazione.
39
E. Valdani, relazione al convegno “Il Marketing Territoriale”, Napoli, 6 maggio 1999, paper
49
51. 2.2 La managerializzazione delle amministrazioni pubbliche
Il processo di frammentazione dei mercati e di ridimensionamento dei poteri e degli
equilibri economici che avviene al macro livello mondiale sta lentamente
attecchendo anche a livello locale e ultralocale. Così come i giochi di potere si
elevano dagli stati verso organismi sovranazionali, assistiamo al processo uguale e
contrario per cui all’interno della sfera locale di ogni paese prende sempre più piede
un processo decentralizzante, federalista e frammentante.
Come espresso da Valdani, si assiste ad un’ipercompetizione tra i mercati e questa
competizione viene giocata tutta sull’identità degli stessi. Ecco che lo spazio locale,
l’identità e l’immagine urbana, diventano temi centrali, elementi discriminanti che
permettono di ribaltare la lotta da globale a locale, o meglio da globale a glocale.
Le due dimensioni di globale e locale sono infatti correlate e complementari. Se da
un lato un’azienda decidesse di limitarsi al territorio locale senza aprirsi verso
l’esterno rinuncerebbe ad “internalizzare nei propri processi produttivi innovazioni
maturate ed elaborate in altre città, regioni o paesi del mondo” 40, con una
conseguente perdita di quote di mercato perché incapaci di mantenersi al passo con
una domanda sempre più evoluta.
D’altro canto un’azienda che decidesse di giocarsi individualmente i propri
vantaggi senza utilizzare le risorse interne al proprio territorio eroderebbe ogni
convenienza per le imprese di successo, avvierebbe un moto di delocalizzazione
irreversibile, disincentivando l’investimento industriale sul territorio e minando la
consistenza di ogni identità territoriale.
Il concetto antropologico e sociologico di glocal è uno degli indici di analisi della
modernità che meglio illustrano la situazione attuale e le tendenze future
dell’economia e della politica:
40
L. Senn in S. Anholt, L’identità competitiva, Egea , Milano 2007
50
52. globale e locale costituiscono non già elementi antitetici, ma le due facce
della stessa medaglia, ossia l’integrazione internazionale e la competizione
tra sistemi e collettività territoriali locali.
41
Il panorama è quindi sempre più complicato e frammentato, con una scena
internazionale che vede e richiede una frammentazione e un’ultracompetizione
territoriale. All’interno di questa scena la città diventa pedina, elemento base della
competizione, in quanto è l’elemento minimo della diversificazione e della
competizione. È l’unità di misura di un’identità competitiva ormai indispensabile.
All’interno di questo scenario le amministrazioni si trovano a dover svolgere ruoli e
compiti nuovi, compiti che rispondono sempre di più a caratteristiche prettamente
aziendali.
Tra le attività minime richiesta dalla situazione attuale vi sono tutta una serie di
comportamenti che derivano direttamente dalla gestione aziendale.
Una città che voglia inserirsi nel grande mercato del branding urbano deve
innanzitutto sviluppare capacità di pianificazione strategica e posizionamento
competitivo, studiando piani di marketing integrato, con analisi dei punti di forza e
debolezza utilizzando l’analisi SWOT.
Queste realtà urbano-aziendali devono dimostrare di saper competere tra di loro per
l’acquisizione di risorse e finanziamenti messi a disposizione da parte di entità
pubbliche e internazionali, devono saper attirare investitori e partner economici.
Devono studiare eventi ed occasioni di incontro che facciano conoscere le proprie
caratteristiche e peculiarità, pubblicizzando e vendendo un prodotto, che risulti
allettante e unico, che si distingua nel mare di offerte già presenti sul mercato.
L’identità di un territorio non esiste in natura e deve perciò essere creata, gestita,
spesso rimaneggiata e continuamente monitorata e valutata, aggiornata e rivista,
41
Castellet, D’acunto, 2006
51
53. dato che la lotta per la predominanza sul mercato dei brand cittadini richiede
sempre più fondi. 42
Questi possono derivare da una gestione intelligente delle tasse locali, cosa che in
Italia non funziona sempre, da partecipazioni private o dall’utilizzo di fondi esterni
istituzionali, che devono però essere motivati da progetti e programmi innovativi.
Per lo stesso motivo è essenziale che vengano evitati sprechi e disservizi, che le
risorse vengano individuate ed ottimizzate - questo per due motivi principali: da un
lato l’evidente convenienza e dall’altro per una questione di immagine.
Dal punto di vista legale stiamo assistendo ad una frammentazione della struttura
statale in funzione di una nuova visione federalista e localizzante per poter:
“fronteggiare adeguatamente l’evoluzione […] degli stati che pone” sia
“nuove responsabilità” che nuove “opportunità per gli enti locali43”
Una volta appurato che la gestione cittadina è quindi prettamente aziendale,
l’amministrazione non può esimersi dal
“soddisfare i bisogni dei cittadini-clienti sempre più esigenti e pronti a
spostarsi e insediarsi presso i territori più ricchi di risorse e convenienze
localizzative44”
Questo tipo di visione della gestione è espresso nel cosiddetto modello New Public
Management45 : al modello tradizionale di tipo burocratico - giuridico subentra una
nuova mentalità economico-aziendale. Il governo e la gestione di beni e servizi
pubblici, di gestione del territorio richiede un crescente orientamento al mercato e
al cittadino cliente.
2.3 La nuova configurazione della competizione aziendale
42
S. Ferrari e G. Emanuele Adamo, a cura di, Eventi, marketing territoriale ed immagine delle città,
Dip.to di Scienze Aziendali, Università della Calabria
43
ibid
44
ibid
45
New Public Management, Ciclo di seminari sulle nuove tendenze della riforma
dell’amministrazione, n. 1 – 2000, ISTAT
52
54. In base a quanto detto finora, è possibile individuare in una città un sistema di
singole aziende che lavorano sinergicamente per l’evoluzione del sistema comune.
La situazione attuale e l’aumento esponenziale della concorrenza, specie con i
nuovi mercati, impediscono a singole aziende di rendersi competitive e di poter
mantenere un ruolo attivo in virtù delle sole risorse interne di cui dispone. Per
potersi mantenere competitivi all’interno del sistema globale non basta proporre un
buon prodotto, servizi di qualità o prezzi concorrenziali, ma è necessario possedere
e gestire un intero sistema di attori, asset, conoscenze e relazioni.
Sulla scia del cambiamento e dell’accelerazione che sta subendo l’umanità, dopo la
crisi del web e la terza rivoluzione industriale, il capitalismo sta subendo una
radicale trasformazione, che vede il passaggio da un’economia di capitali,
un’economia di mercato, ad una vera e propria economia delle reti46.
Se la struttura economica classica era basata sullo scambio di proprietà finalizzato
al guadagno ed all’accumulazione dello stesso, la nuova struttura prevede la
necessità di un accesso a servizi e conoscenze, un ribaltamento dei rapporti in una
luce di mutuo interesse e la costituzione di una rete di conoscenze e rapporti che
vadano a costituire un capitale relazionale.
Chiaramente la nuova tipologia di approccio economico non esclude quella
classica. Se da un lato è certo che un’azienda che presenta solo una struttura
economica tradizionale non può mantenere o aumentare la propria competitività nel
sistema di cose attuale, dall’altro una società che presenti forti legami con le realtà
economiche della sua zona di influenza e sia forte di un capitale sociale, necessiti
comunque di un buon capitale fisico ed economico da investire nel proprio lavoro.
Riassumendo: la situazione attuale prevede uno svecchiamento dei processi
amministrativi e di gestione del capitale, che deve essere suddiviso e reinvestito,
non solo nella produzione o in generale nell’azienda, ma soprattutto nella creazione
46
J.Rifkin, L’era dell’accesso, Mondadori, Milano 2000
53
55. di reti e capitali sociali che permettano alla stessa di mantenersi competitiva e
vincente anche nel sistema economico globale attuale.
Per capitale sociale si intende il patrimonio di conoscenze e competenze collettive,
di linguaggi comuni, di contatti, opportunità ed occasioni che vengono a crearsi, o
che vengono create ad hoc, reti formali ed informali, regole e valori sociali, pratiche
consolidate con la zona e che risultino quindi incorporate nei vari sistemi
territoriali. Il capitale sociale è quindi quel capitale che permette la “ produzione e
condivisione di […] specifiche e non trasferibili forme di conoscenza”47
Molte di queste relazioni si rivelano efficaci se sviluppate all’interno di reti brevi e
sulla prossimità fisica all’interno di un sistema territoriale circoscritto.
È infatti facile pensare alla convenienza di una rete di contatti con aziende locali,
che permette di abbassare i costi di trasporto o di approvvigionamento, o la
collaborazione con poli universitari locali, con centri di ricerca già presenti sul
territorio, o alle opportunità date dal sistema creditizio locale, con investimenti che
rimangono visibili e tangibili sul territorio, che se da una parte sono meglio
controllabili e più facilmente erogabili, dall’altra possono essere prova tangibile e
visibile a tutti, così forte da motivarne altri.
In contesti prettamente locali, grazie alla presenza di reti di comunicazione e
scambio di mezzi e conoscenze tra le realtà produttive, si vengono a creare nuove
forme di conoscenza e, dalla condivisione delle stesse, nuove capacità e realtà
produttive.
Il territorio non è quindi un semplice contenitore di fenomeni produttivi, ma diviene
un vero e proprio accumulatore di conoscenze48, invendibile e irriproducibile,
47
48
Castellet, D’Acunto, 2006
A.Malmberg, O. Solvell, I.Zander, “Accumulazione locale di conoscenza e competitività delle
imprese”, Sviluppo locale, IV, n.4, 1997
54
56. strettamente dipendente dalle caratteristiche del territorio e dalla composizione del
sistema sociale e industriale locale.
È quindi sempre più necessaria, ai fini della competizione internazionale,
l’affermazione di un reale vantaggio competitivo di tipo territoriale.
55
58. 3 - La Città come azienda
3.1 Sistemi di creazione del valore e prodotti di una città – azienda
Una città, o più genericamente un comune come nel caso di molti SLL, può essere
vista come una realtà produttiva, aziendale, paradossalmente industriale. Questo
perché produce prodotti e servizi, utilizzando le risorse a propria disposizione, che
vende ai suoi utenti, ottenendo in cambio un guadagno. È una tipologia di azienda
molto complicata, nella quale i passaggi per la creazione del prodotto finale sono
lunghi e complessi.
Ma qual è il prodotto finale? Quali sono i prodotti di una città – azienda?
Il pubblico interno di un’area urbana è “accomunato dalla ricerca di un incremento
della qualità della risorsa territoriale in grado di produrre soddisfazione” 49.
Questa soddisfazione non è da intendersi in un’accezione meramente economica. È
la summa del soddisfacimento delle tante necessità, bisogni e aspettative dei vari
pubblici coinvolti.
Possiamo quindi individuare, in prima istanza, uno dei prodotti della città azienda:
la soddisfazione.
È un concetto molto vasto e in realtà inquadra solo genericamente il problema. Dal
punto di vista metodologico però, valutare il grado di soddisfazione dei pubblici
coinvolti prevede che questi pubblici vengano individuati e studiati.
Gli utenti del sistema città-impresa sono molteplici, ma si possono suddividere in
due categorie, ovvero gli stakeholder (i pubblici interni) e i clienti/mercati (i
pubblici esterni)50. In realtà la suddivisione è molto più approfondita e le tipologie
49
50
ibid
F. Ancarani, Il marketing territoriale: un nuovo approccio per la valorizzazione del territorio,
working papers SDA Bocconi n.12, Milano, 1996, p.15
57
59. variano a seconda del rapporto che ogni utente intraprende con il sistema di
riferimento.
Si possono così identificare stakepartner, clienti, investitori, forza lavoro. Ma anche
abitanti, studenti, viaggiatori, turisti e studiosi. Ognuno di essi, abitando il territorio
e sviluppando il proprio senso di appartenenza alla città-azienda dà il suo contributo
per lo sviluppo. Ognuna di queste categorie prevede e pretende un rapporto
biunivoco con il sistema nel quale è inserito, ed il loro ruolo non è rigido, ma può
variare a seconda della necessità e delle aspettative.
Nel mercato globale, le città azienda del XXI secolo devono vendere innanzitutto
aspettativa, servizi, immagine, prestigio, accessibilità e opportunità. Solo così
possono arrivare a concorrere globalmente con alti standard di abitabilità e lavoro,
presentando un’immagine fortissima e difficilmente scalfibile.
L’immagine di una città si riversa totalmente su quanti ne fanno parte. E si riflette
direttamente su quanti partecipano a crearla. È per questo che una città
dall’immagine forte può dare riflesso di questa immagine alle realtà, industriali e
non, che ne fanno parte.
Un’azienda che sposta i propri uffici dalla provincia al capoluogo diventa
immediatamente più visibile, si inserisce in un contesto più prestigioso, sia dal
punto di vista industriale (ad esempio la creazione di quartieri della moda, dove le
grandi marche non possono mancare e le piccole marche fanno a gara per avere un
posto “in vetrina”) che dal punto di vista geografico, architettonico e di immagine.
Migliora e aumenta i propri contatti, si rende più raggiungibile. Ha più opportunità
di trovare una sede prestigiosa e che possa comunicare al meglio l’importanza
dell’impresa.
In una grande città ci sono i palazzi antichi del centro e i nuovissimi centri
direzionali della periferia, il cui impatto su un eventuale cliente è molto più forte
rispetto all’anonimo ufficio in fabbrica, magari in provincia.
58
60. È possibile quindi individuare il secondo prodotto della città azienda: l’immagine.
Una città, nella sua accezione più aziendale, lavora per costruire, gestire e
mantenere una immagine forte e competitiva.
Inoltre una grande città offre servizi unici come la comodità ad autostrade ed
aeroporti, oltre a una rete di trasporti interna organizzata e capillare. È quindi
possibile utilizzarli per migliorare e ottimizzare le gestione dei rapporti con i
clienti, inserendo i processi di progettazione e gestione del prodotto dalla creazione
alla vendita nei meccanismi dell’economia a rete.
Riprendendo e applicando il modello del “circolo virtuoso” ad un territorio urbano,
si può vedere come la compresenza sul territorio di varie tipologie aziendali possa
facilitare i contatti tra di esse. La dimensione locale, se usata come arma strategica,
comporta un miglioramento strutturale condiviso, un aumento del benessere
generale e dello sviluppo industriale e aziendale comune.
Infatti il denaro speso per ottenere prodotti e servizi rimane all’interno
dell’economia locale e se reinvestito comporterà un miglioramento della qualità dei
servizi. Questo miglioramento non potrà che comportare nuovi investimenti da
parte delle aziende locali, secondo la regola per cui la soddisfazione per prodotti o
servizi ricevuti comporta una maggiore attrattività e un conseguente aumento di
valore.
Il marketing delle città deve andare oltre all’offerta territoriale, o la ricerca di
investimenti economici, ma deve prevedere la formulazione di un’offerta più
completa e globale, fatta di elementi materiali e immateriali, fisici ed emotivi.
Anche se i comuni non guadagnano direttamente dalle imprese operanti sul loro
territorio, in termini di tasse, possono guadagnare in termini di immagine,
dimostrando attenzione e cura a tutti quei fattori che comportano un miglioramento
della qualità della vita, del gettito economico, un innalzamento del livello di spesa
59
61. da parte degli utenti, con un conseguente rinnovamento e potenziamento
dell’economia globale
La visione globale di vendita della città deve prevedere interventi che trascendono i
campi di applicazione per puntare in maniera armonica ad un obiettivo finale.
Quando infatti si pone l’attenzione ad un obiettivo è più facile agire in maniera
concorde e ottenere risultati tangibili.
Non dovrebbero più esistere piani e politiche di marketing limitate ad ambiti
specifici, ma ogni azione dovrebbe essere sinergica e impostata con finalità comuni
e ben chiare. Il processo di marketing deve essere globale e definito su obiettivi
comuni e prevedere strumenti di verifica in itinere.
Un piano che prevede la creazione di servizi turistici dovrà essere coordinato dal
comune e dovrà progettare interventi anche in campi che trascendono quello
turistico. In altri termini bisognerà prevedere a priori tutti gli ambiti coinvolti e
coinvolgibili in un piano di valutazione e brandizzazione aziendale del territorio, in
modo da poter sviluppare ogni passo del percorso a priori.
Come già espresso, la presenza di un obiettivo finale ben definito rende più
semplice questo passaggio, permettendo all’amministrazione di progettare l’intero
percorso, ottimizzando gli sforzi e massimizzando il risultato.
Uno degli obiettivi della “città-azienda” è sicuramente quello di puntare alla
massimizzazione del profitto.
L’immagine di una città, la sua struttura intrinseca e le sue caratteristiche, non sono
naturalmente compatibili in toto con l’immagine aziendale e la definizione di
profitto in ambito cittadino è difficilmente individuabile.
Si può dire però che se da un lato vi sono delle entrate e alcune di esse sono
modificabili ed aumentabili con politiche dedicate, si pensi ai finanziamenti sia
60
62. interni che esterni, sia da parte di enti come regioni e stati, dall’altro il concetto di
profitto è paradossalmente visibile come un aumento della popolazione e qualità
della vita, aumento del potere d’acquisto del singolo cittadino, miglioramento dei
servizi, inserendosi in un ambiente stimolante e funzionale. Questo tipo di
cambiamenti comportano un aumento dell’appetibilità e dell’attrattività della città.
In altre parole il cambiamento è di tipo competitivo.
Il limite è però molto marcato e prettamente legislativo: la competitività ora è ferma
perché ci sono poche altre realtà similari, o meglio, questo tipo di impostazione
urbana è assolutamente poco riconosciuta. Grandi città italiane stanno solo adesso
sviluppando forme di sviluppo coordinato, promuovendo comportamenti che in
maniera armonica affrontano e risolvono i normali problemi di gestione di una
realtà cittadina, in maniera armonica e concorde. Questo però non basta e,
contemporaneamente, questo sforzo non è all’altezza delle grandi metropoli
europee.
Se la città è un’azienda significa che ha un prodotto da vendere. La difficoltà sta
appunto nel definire quale sia questo prodotto: è la città stessa o i beni e/o i servizi
che offre?
Non è una decisione che può essere presa a priori, definita a tavolino o concordata
sulla base di studi generici. È invece necessario definire bene cosa si intende come
azienda e valutare, caso per caso, quali degli elementi della città può esserne
considerato prodotto.
O meglio ancora valutare quali sono i pubblici e gli stakeholder coinvolti nel
processo e vedere quale dei differenti elementi della città diventa prodotto e come
viene gestito e venduto. Ogni città, nel suo percorso evolutivo, ha l’opportunità di
trasformarsi in un’impresa.
Questa trasformazione è per lo più interna e consta innanzitutto di un diverso
approccio verso l’esterno, con una valorizzazione dei propri punti forti e una
conseguente commercializ-zazione degli stessi. In secondo luogo lo slittamento da
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63. città a città-azienda si ha quando la coscienza delle potenzialità cittadine è molto
radicata e condivisa dalle autorità, che improntano tutta la politica gestionale e di
vendita della città stessa in una ottica di branding, rafforzando i propri punti di
forza.
Uno dei prodotti principali della città come impresa è l’immagine che la città stessa
proietta sulle altre città e sui pubblici esterni. Questa immagine è il punto di
partenza ideale del circolo virtuoso individuato da Ancarani51.
VALORE DEL TERRITORIO
MARKETING
TERRITORIALE
INTERNO
MARKETING
TERRITORIALE
ESTERNO
Fig. 1: Il circolo virtuoso del valore del territorio 52
51
52
ibid
Ancarani F., Il marketing territoriale: un nuovo approccio per la valorizzazione del territorio,
Working paper SDA Bocconi, Milano, n.12, 1996 in M Castellet, M. D’Acunto, Marketing per il
territorio, Franco Angeli, Milano 2006
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64. Si tratta di una sorta di arma a doppio taglio, poiché il raggiungimento della
soddisfazione del pubblico interno si proietta all’esterno, diventando una sorta di
valore aggiunto a quelli già offerti dalla città.
Dall’altro lato il pubblico esterno “si rapporta nel confronti di un territorio in
termini di attrattività che esso è in grado di suscitare”53.
53
ibid
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