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Dove va la pedagogia?
  V EDIZIONE SUMMER
  SCHOOL
  TRENTO 2010


“L’aggressività interpersonale: dalla riflessione teorica alla
progettualità educativa”.

a cura di
Fabiana Quatrano
Che cosa significa,veramente,la parola aggressività?

Molti autori, sulla base delle ipotesi e delle ricerche fino ad ora formulate,rispondono
a questa domanda cercando di cogliere le diverse facce che questo fenomeno può
assumere nella persona umana.

L’etimologia stessa del termine aggressività testimonia, in modo efficace,la
complessità di significati che essa può assumere: dal latino ad = “ verso, contro, allo
scopo di ”, e gradior = “vado, procedo, avanzo”.
Implica ,infatti, l’atto di avvicinarsi verso qualcuno e risulta chiaro che implichi una
relazione tra persone, cioè una relazione tra un soggetto che agisce e che aggredisce
e un soggetto che, invece, costituisce il bersaglio di un tale comportamento,un
soggetto cioè che subisce e che viene aggredito.
L’aggressività può essere definita una “parola valigia”(dalla def. di Storr A. in
Human Aggression,1968),poiché porta con sé significati molto diversi tra loro:
una emozione ingiustificata, ma anche giustificata, un tratto della
personalità, un atteggiamento mentale, un istinto, oppure un comportamento
appreso, un conflitto; è, quindi, un fenomeno che assume funzioni e valenze
diverse,      dalle     più      costruttive      alle      più      distruttive.

Il termine aggressività può essere spiegato come espressione fisica e
comportamentale( agitazione, tachicardia, rossore in volto ecc.) correlata ad
una emozione o ad uno stato psicologico, oppure come un atteggiamento
mentale o una propensione interna che possono anche non manifestarsi a
livello di azione.
È innanzitutto importante evidenziare la sottile differenza di significato tra la
nozione    di   aggressività  e   quella    di    comportamento       aggressivo.

Parlare in maniera specifica di aggressività, distinguendo tale concetto da
quello di comportamento aggressivo, evidenzia infatti la specifica volontà di
analizzare soprattutto la pulsione, l’istinto, la predisposizione o comunque un
particolare stato intra-psichico di un soggetto, il quale perciò dispone della
potenzialità, se le circostanze glielo permettono, di tradurre tali «spinte»
interne in un comportamento oggettivo e visibile. È facile capire, quindi, come
l’aggressività costituisca un concetto né facilmente misurabile, né facilmente
analizzabile          in          maniera          valida         e           chiara.
Sull’aggressività di una certa persona, e sulle eventuali conseguenze di tale
aggressività, si possono perciò solamente fare delle supposizioni molto generali,
mentre sul comportamento aggressivo, cioè su una condotta ben visibile e
osservabile, risulta assai più facile effettuare delle osservazioni e delle ricerche
più precise.
Considerando, quindi, che l’aggressività può avere cause, manifestazioni e
conseguenze molto varie, non sorprende che essa sia stata oggetto di studio nei più
svariati campi di ricerca: biologico, psicologico, psichiatrico, forense, sociale,
etico con attributi e caratteristiche peculiari per ognuno dei vari approcci.
In particolare, sono le spiegazioni psicologiche quelle che attirano maggiore
interesse per tentare di afferrare fenomeni altrimenti di difficile attenzione, ma si
è man mano sviluppata la consapevolezza di non poter più studiare l’ aggressività
come una manifestazione unidimensionale e di dover valutare il ruolo delle
differenze individuali e delle caratteristiche individuali, dei processi cognitivi,
emotivi e relazionali che sottintendono il comportamento aggressivo.
I differenti approcci hanno preso in esame ognuno un particolare aspetto:

gli etologi si sono interessati delle origini filogenetiche;

i comportamentisti degli influssi, più o meno determinanti, degli stimoli
ambientali;

gli psicoanalisti delle dinamiche interne all’individuo e della radice innata
dell’aggressività.

Conoscendo, analizzando ed integrando i contributi di differenti discipline si può
giungere ad un modello ermeneutico amplio e dinamico che consenta di afferrare
la complessità degli aspetti e delle manifestazioni dell’aggressività umana.
Le teorie sviluppate nei vari ambiti possono essere riportate in uno schema, non
esauriente, ma significativo ai fini interpretativi,che comprende quattro filoni
(Rizzardi M.,L’educazione alla prosocialità, 2005):

-le teorie della pulsione o istintiviste, sia nell’interpretazione psicoanalitica,
che in quella etologica e biologica;

-la teoria della frustazione legata al comportamentismo;

-le teorie dell’apprendimento;

-le teorie della psicologia dello sviluppo.
La teoria pulsionale evidenzia la necessità per l’individuo di sfogare la propria
aggressività, con modalità non dannose o in forma ritualizzata, in quanto una
eventuale repressione genererebbe una nuova aggressività, che, introiettata,
verrebbe a costituire una particolare modalità di rapportarsi con l’ambiente.

Anche secondo la teoria della frustazione non bisogna reprimere
l’aggressività, contemporaneamente occorre attuare una riduzione delle
situazioni frustranti;l’aggressività è un mezzo di sfogo che parte da un
disequilibrio interno, matura da un bisogno, un’aspettativa, un desiderio, e si
sviluppa quando queste istanze non sono ancora ben coordinate e soddisfatte.
Le teorie dell’apprendimento sociale (Nanetti F., Rizzardi M.,
Capirsi.Psicopedagogia della comunicazione interpersonale, 2003) rilevano come
l’individuo possa assoggettarsi al contesto e perdere la forza necessaria ad
inibire i propri comportamenti aggressivi.

Nel ramo della psicologia dell’età evolutiva l’aggressività è stata studiata
all’interno del legame bambino-genitore-adulto;allacciato allo sviluppo motorio
e cognitivo e all’ambiente familiare o sociale;ma anche come comportamento
manifesto sia nel rapporto con l’adulto sia nei confronti dei propri coetanei
E’ da evidenziare come ogni singola teoria si rifletta, a livello educativo, nella
elaborazione di possibili azioni e atteggiamenti,tesi a ridurre le espressioni
dirette o indirette dell’aggressività.
Ogni percorso educativo deve tendere all’esigenza di educare al rispetto della
persona umana ed .al senso di responsabilità.

Per questo si richiede il coinvolgimento di tutte le componenti educative
( famiglia, scuola, associazioni, media, extrascuola) per una .crescita della
cultura alla pace e alla legalità , aprendo un confronto critico e consapevole e
sviluppando un senso di indipendenza e autonomia con spirito di collaborazione,
di costruzione e di condivisione.
Creare un clima di condivisione, aiuta ad esercitare le capacità di comunicare e
di ascoltare.
Condividere gli stati d’animo, le esperienze, le informazioni e le idee, ci porta a
spezzare quel forte senso di solitudine e di isolamento, tipico della nostra
cultura senza il quale possiamo collaborare per risolvere i problemi comuni e
per superare i conflitti
Uno dei più potenti inibitori dell’aggressività risulta essere l’identificazione con
l’altro che ci permette di riconoscere nella persona che abbiamo di fronte un
nostro simile, qualcuno che è come noi.
Ma l’identificazione e la conseguente capacità di vivere un rapporto empatico
non ha solo una funzione di inibizione dell’aggressività,essa ha una funzione
attiva e positiva di promozione del comportamento collaborativo e
prosociale.(Caprara G.V., Bonino S.,Il comportamento prosociale.Aspetti
individuali,familiari e sociali,2006)
In ogni percorso di educazione sociale risulta di grande importanza l’approccio
relazionale.
La relazione è più di una modalità operativa; diviene una virtù che ogni
educatore deve mettere in campo nel suo agire quotidiano,“la virtù di chi si
ostina a perseguire l’insano vizio di continuare a lavorare in
educazione(Demetrio D.,La relazione è anche una virtù?,2004)
La relazione educativa è parte fondamentale dell’esistenza di ognuno, in
quanto l’uomo è un essere sociale e l’educazione (o autoeducazione, secondo i
principi umanistici) è strettamente legata ad essa. Se, infatti, possono esserci
tanti punti di vista su come educare, su cosa deve fare un educatore, e sono
diversamente evidenziati bisogni, aspettative e valori, è un fatto incontestabile
che l’educazione sia, per sua natura, connessa alla relazione e alla capacità di
entrare             in          comunicazione              con            l’altro.

 La relazione educativa assume la dimensione di un rapporto tra persone, in
cui uno dei protagonisti cerca di promuovere lo sviluppo dell’altro, attraverso
l’apertura all’altro, l’accoglienza incondizionata e l’ascolto autentico.
Attraverso il confronto, oltre ad aiutare l’altro a uscire da una problematica,
con la relazione ci si propone di aiutare a trovare tutto il positivo che ogni
persona ha in sé, per potersi costruire un’immagine diversa, ponendo
attenzione a quelle sottili forme di violenza, di coercizione e sopraffazione che
s’insinuano nella comunicazione verbale, negli atteggiamenti e nelle modalità di
espressione, come ostacolo alla creazione di un clima di fiducia e rispetto
reciproco.
L’aggressività si pone come una barriera alla comunicazione, per questo è
essenziale che ci sia il controllo delle varie dimensioni della relazione, in modo
particolare quelle relative a sé: la componente verbale, privilegiando parole
che esprimono fiducia in sé e nell’altro; quella cognitiva, in quanto i nostri
pensieri condizionano i nostri comportamenti; quella emotiva, interrogandosi
circa il proprio sentire interiore; quella non verbale, in modo che sia in sintonia
con il contenuto verbale, così da evitare forme di incoerenza tra il proprio fare
e il proprio essere.
Riconoscere il proprio modo di porsi verso gli altri, essere disposto a cambiare o
a perfezionarsi apprendendo in maniera continua dall’incontro con l’altro, ed
assumersi la responsabilità del proprio agire e dei propri sentimenti, con la
consapevolezza dei meccanismi che si innescano nella specificità della
relazione, sono i primi passi verso la costruzione di relazioni più efficaci.
Ogni azione trova il suo fondamento nella relazione che è considerata “l’unico
strumento” attraverso il quale si può davvero conoscere l’altro, incontrandolo,
e comprendere il significato che gli eventi della vita hanno per lui; tali elementi
sono     indispensabili  per     l’efficacia    di   un    intervento   educativo.
Non c’è vita umana che non sia vita relazionale ed è ancora la relazione che, se
pure negata, delusa, ricacciata, continua a definire l’esistenza/essenza anche
del più isolato degli uomini.(Clarizia L., La relazione, 2000).
Educare alla relazione è, dunque, sia riconoscere la complessità psichica e
psico-sociale del sistema uomo,sia promuovere l’integralità della formazione
evolutiva ed etica del soggetto persona.(Clarizia L.)
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

Acone G., Fondamenti di pedagogia generale, Edisud, Salerno,2001

Acone G., L'orizzonte teorico della pedagogia contemporanea, Edisud,
Salerno,2005

Acone G., Esplorazioni teoriche in pedagogia, Edisud, Salerno,2006

Blezza F., Pedagogia della vita quotidiana, Pellegrini Editore,Cosenza, 2001

Caprara G.V., Bonino S., Il comportamento prosociale. Aspetti individuali,
familiari e sociali, Erikson, Gardolo (TN), 2006

Clarizia L., La relazione. Alla radice dell'educativo all'origine dell'educabilità,
Anicia, Roma,2000

Clarizia L., Pedagogia sociale ed intersoggettività educante, Seam, Roma, 2002

Demetrio D., La relazione è anche una virtù?, da “Animazione sociale” Mensile
per operatori Sociali, Gruppo Abele, Torino, Novembre 2004

Nanetti F., Rizzardi M., Capirsi.Psicopedagogia della comunicazione
interpersonale, 2003
Rizzardi M., L’educazione alla prosocialità, Edizioni AIPAC, Psicologia e
Pedagogia, Pesaro, 2005

Storr A., Human Aggression. New York. Scribner ( trad. it. : L’aggressività
nell’uomo, Bari, De Donato 1968)

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Quatrano fabiana template summer 2010 [modalità compatibilità]

  • 1. Dove va la pedagogia? V EDIZIONE SUMMER SCHOOL TRENTO 2010 “L’aggressività interpersonale: dalla riflessione teorica alla progettualità educativa”. a cura di Fabiana Quatrano
  • 2. Che cosa significa,veramente,la parola aggressività? Molti autori, sulla base delle ipotesi e delle ricerche fino ad ora formulate,rispondono a questa domanda cercando di cogliere le diverse facce che questo fenomeno può assumere nella persona umana. L’etimologia stessa del termine aggressività testimonia, in modo efficace,la complessità di significati che essa può assumere: dal latino ad = “ verso, contro, allo scopo di ”, e gradior = “vado, procedo, avanzo”. Implica ,infatti, l’atto di avvicinarsi verso qualcuno e risulta chiaro che implichi una relazione tra persone, cioè una relazione tra un soggetto che agisce e che aggredisce e un soggetto che, invece, costituisce il bersaglio di un tale comportamento,un soggetto cioè che subisce e che viene aggredito.
  • 3. L’aggressività può essere definita una “parola valigia”(dalla def. di Storr A. in Human Aggression,1968),poiché porta con sé significati molto diversi tra loro: una emozione ingiustificata, ma anche giustificata, un tratto della personalità, un atteggiamento mentale, un istinto, oppure un comportamento appreso, un conflitto; è, quindi, un fenomeno che assume funzioni e valenze diverse, dalle più costruttive alle più distruttive. Il termine aggressività può essere spiegato come espressione fisica e comportamentale( agitazione, tachicardia, rossore in volto ecc.) correlata ad una emozione o ad uno stato psicologico, oppure come un atteggiamento mentale o una propensione interna che possono anche non manifestarsi a livello di azione.
  • 4. È innanzitutto importante evidenziare la sottile differenza di significato tra la nozione di aggressività e quella di comportamento aggressivo. Parlare in maniera specifica di aggressività, distinguendo tale concetto da quello di comportamento aggressivo, evidenzia infatti la specifica volontà di analizzare soprattutto la pulsione, l’istinto, la predisposizione o comunque un particolare stato intra-psichico di un soggetto, il quale perciò dispone della potenzialità, se le circostanze glielo permettono, di tradurre tali «spinte» interne in un comportamento oggettivo e visibile. È facile capire, quindi, come l’aggressività costituisca un concetto né facilmente misurabile, né facilmente analizzabile in maniera valida e chiara. Sull’aggressività di una certa persona, e sulle eventuali conseguenze di tale aggressività, si possono perciò solamente fare delle supposizioni molto generali, mentre sul comportamento aggressivo, cioè su una condotta ben visibile e osservabile, risulta assai più facile effettuare delle osservazioni e delle ricerche più precise.
  • 5. Considerando, quindi, che l’aggressività può avere cause, manifestazioni e conseguenze molto varie, non sorprende che essa sia stata oggetto di studio nei più svariati campi di ricerca: biologico, psicologico, psichiatrico, forense, sociale, etico con attributi e caratteristiche peculiari per ognuno dei vari approcci. In particolare, sono le spiegazioni psicologiche quelle che attirano maggiore interesse per tentare di afferrare fenomeni altrimenti di difficile attenzione, ma si è man mano sviluppata la consapevolezza di non poter più studiare l’ aggressività come una manifestazione unidimensionale e di dover valutare il ruolo delle differenze individuali e delle caratteristiche individuali, dei processi cognitivi, emotivi e relazionali che sottintendono il comportamento aggressivo.
  • 6. I differenti approcci hanno preso in esame ognuno un particolare aspetto: gli etologi si sono interessati delle origini filogenetiche; i comportamentisti degli influssi, più o meno determinanti, degli stimoli ambientali; gli psicoanalisti delle dinamiche interne all’individuo e della radice innata dell’aggressività. Conoscendo, analizzando ed integrando i contributi di differenti discipline si può giungere ad un modello ermeneutico amplio e dinamico che consenta di afferrare la complessità degli aspetti e delle manifestazioni dell’aggressività umana.
  • 7. Le teorie sviluppate nei vari ambiti possono essere riportate in uno schema, non esauriente, ma significativo ai fini interpretativi,che comprende quattro filoni (Rizzardi M.,L’educazione alla prosocialità, 2005): -le teorie della pulsione o istintiviste, sia nell’interpretazione psicoanalitica, che in quella etologica e biologica; -la teoria della frustazione legata al comportamentismo; -le teorie dell’apprendimento; -le teorie della psicologia dello sviluppo.
  • 8. La teoria pulsionale evidenzia la necessità per l’individuo di sfogare la propria aggressività, con modalità non dannose o in forma ritualizzata, in quanto una eventuale repressione genererebbe una nuova aggressività, che, introiettata, verrebbe a costituire una particolare modalità di rapportarsi con l’ambiente. Anche secondo la teoria della frustazione non bisogna reprimere l’aggressività, contemporaneamente occorre attuare una riduzione delle situazioni frustranti;l’aggressività è un mezzo di sfogo che parte da un disequilibrio interno, matura da un bisogno, un’aspettativa, un desiderio, e si sviluppa quando queste istanze non sono ancora ben coordinate e soddisfatte.
  • 9. Le teorie dell’apprendimento sociale (Nanetti F., Rizzardi M., Capirsi.Psicopedagogia della comunicazione interpersonale, 2003) rilevano come l’individuo possa assoggettarsi al contesto e perdere la forza necessaria ad inibire i propri comportamenti aggressivi. Nel ramo della psicologia dell’età evolutiva l’aggressività è stata studiata all’interno del legame bambino-genitore-adulto;allacciato allo sviluppo motorio e cognitivo e all’ambiente familiare o sociale;ma anche come comportamento manifesto sia nel rapporto con l’adulto sia nei confronti dei propri coetanei
  • 10. E’ da evidenziare come ogni singola teoria si rifletta, a livello educativo, nella elaborazione di possibili azioni e atteggiamenti,tesi a ridurre le espressioni dirette o indirette dell’aggressività. Ogni percorso educativo deve tendere all’esigenza di educare al rispetto della persona umana ed .al senso di responsabilità. Per questo si richiede il coinvolgimento di tutte le componenti educative ( famiglia, scuola, associazioni, media, extrascuola) per una .crescita della cultura alla pace e alla legalità , aprendo un confronto critico e consapevole e sviluppando un senso di indipendenza e autonomia con spirito di collaborazione, di costruzione e di condivisione.
  • 11. Creare un clima di condivisione, aiuta ad esercitare le capacità di comunicare e di ascoltare. Condividere gli stati d’animo, le esperienze, le informazioni e le idee, ci porta a spezzare quel forte senso di solitudine e di isolamento, tipico della nostra cultura senza il quale possiamo collaborare per risolvere i problemi comuni e per superare i conflitti Uno dei più potenti inibitori dell’aggressività risulta essere l’identificazione con l’altro che ci permette di riconoscere nella persona che abbiamo di fronte un nostro simile, qualcuno che è come noi. Ma l’identificazione e la conseguente capacità di vivere un rapporto empatico non ha solo una funzione di inibizione dell’aggressività,essa ha una funzione attiva e positiva di promozione del comportamento collaborativo e prosociale.(Caprara G.V., Bonino S.,Il comportamento prosociale.Aspetti individuali,familiari e sociali,2006)
  • 12. In ogni percorso di educazione sociale risulta di grande importanza l’approccio relazionale. La relazione è più di una modalità operativa; diviene una virtù che ogni educatore deve mettere in campo nel suo agire quotidiano,“la virtù di chi si ostina a perseguire l’insano vizio di continuare a lavorare in educazione(Demetrio D.,La relazione è anche una virtù?,2004)
  • 13. La relazione educativa è parte fondamentale dell’esistenza di ognuno, in quanto l’uomo è un essere sociale e l’educazione (o autoeducazione, secondo i principi umanistici) è strettamente legata ad essa. Se, infatti, possono esserci tanti punti di vista su come educare, su cosa deve fare un educatore, e sono diversamente evidenziati bisogni, aspettative e valori, è un fatto incontestabile che l’educazione sia, per sua natura, connessa alla relazione e alla capacità di entrare in comunicazione con l’altro. La relazione educativa assume la dimensione di un rapporto tra persone, in cui uno dei protagonisti cerca di promuovere lo sviluppo dell’altro, attraverso l’apertura all’altro, l’accoglienza incondizionata e l’ascolto autentico.
  • 14. Attraverso il confronto, oltre ad aiutare l’altro a uscire da una problematica, con la relazione ci si propone di aiutare a trovare tutto il positivo che ogni persona ha in sé, per potersi costruire un’immagine diversa, ponendo attenzione a quelle sottili forme di violenza, di coercizione e sopraffazione che s’insinuano nella comunicazione verbale, negli atteggiamenti e nelle modalità di espressione, come ostacolo alla creazione di un clima di fiducia e rispetto reciproco.
  • 15. L’aggressività si pone come una barriera alla comunicazione, per questo è essenziale che ci sia il controllo delle varie dimensioni della relazione, in modo particolare quelle relative a sé: la componente verbale, privilegiando parole che esprimono fiducia in sé e nell’altro; quella cognitiva, in quanto i nostri pensieri condizionano i nostri comportamenti; quella emotiva, interrogandosi circa il proprio sentire interiore; quella non verbale, in modo che sia in sintonia con il contenuto verbale, così da evitare forme di incoerenza tra il proprio fare e il proprio essere.
  • 16. Riconoscere il proprio modo di porsi verso gli altri, essere disposto a cambiare o a perfezionarsi apprendendo in maniera continua dall’incontro con l’altro, ed assumersi la responsabilità del proprio agire e dei propri sentimenti, con la consapevolezza dei meccanismi che si innescano nella specificità della relazione, sono i primi passi verso la costruzione di relazioni più efficaci.
  • 17. Ogni azione trova il suo fondamento nella relazione che è considerata “l’unico strumento” attraverso il quale si può davvero conoscere l’altro, incontrandolo, e comprendere il significato che gli eventi della vita hanno per lui; tali elementi sono indispensabili per l’efficacia di un intervento educativo. Non c’è vita umana che non sia vita relazionale ed è ancora la relazione che, se pure negata, delusa, ricacciata, continua a definire l’esistenza/essenza anche del più isolato degli uomini.(Clarizia L., La relazione, 2000).
  • 18. Educare alla relazione è, dunque, sia riconoscere la complessità psichica e psico-sociale del sistema uomo,sia promuovere l’integralità della formazione evolutiva ed etica del soggetto persona.(Clarizia L.)
  • 19. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI Acone G., Fondamenti di pedagogia generale, Edisud, Salerno,2001 Acone G., L'orizzonte teorico della pedagogia contemporanea, Edisud, Salerno,2005 Acone G., Esplorazioni teoriche in pedagogia, Edisud, Salerno,2006 Blezza F., Pedagogia della vita quotidiana, Pellegrini Editore,Cosenza, 2001 Caprara G.V., Bonino S., Il comportamento prosociale. Aspetti individuali, familiari e sociali, Erikson, Gardolo (TN), 2006 Clarizia L., La relazione. Alla radice dell'educativo all'origine dell'educabilità, Anicia, Roma,2000 Clarizia L., Pedagogia sociale ed intersoggettività educante, Seam, Roma, 2002 Demetrio D., La relazione è anche una virtù?, da “Animazione sociale” Mensile per operatori Sociali, Gruppo Abele, Torino, Novembre 2004 Nanetti F., Rizzardi M., Capirsi.Psicopedagogia della comunicazione interpersonale, 2003
  • 20. Rizzardi M., L’educazione alla prosocialità, Edizioni AIPAC, Psicologia e Pedagogia, Pesaro, 2005 Storr A., Human Aggression. New York. Scribner ( trad. it. : L’aggressività nell’uomo, Bari, De Donato 1968)