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CONVEGNO 18 giugno 2013.
SICUREZZA SUL LAVORO: la situazione delle ATTIVITÀ SPORTIVE a 5
anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 81/08.
La violazione della normativa di sicurezza. Le responsabilità civili e penali del
dirigente sportivo. (avv.	
  Stefano	
  Comellini)
	
  
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Gli enti sportivi.
Le società e le associazioni sportive, sia che svolgano l’attività in ambito professionistico che in quello
dilettantistico, sono soggetti dell’ordinamento sportivo, base della struttura e dell’organizzazione
piramidale che fa capo al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.).
Come tali, essi enti sono tenuti “ad esercitare con lealtà sportiva le loro attività, osservando i principi, le
norme e le consuetudini sportive”, nonché a salvaguardare “la funzione popolare, educativa, sociale e
culturale dello sport”1
. In questi obblighi si ricomprende certamente l’obbligo di prestare attenzione alle
cautele antinfortunistiche per gli atleti, tecnici, dirigenti, nonché per i terzi.
Le attività sportive si distinguono in “professionistiche” e “dilettantistiche”.
Attività sportive professionistiche.
I criteri per qualificare l’attività sportiva in termini di “professionismo” sono rinvenibili nelle
disposizioni contenute nella legge 23 marzo 1981 n. 91 (“Norme in materia di rapporti tra società e
sportivi professionisti”).
In particolare, per l’art. 2 della citata legge, sono da considerarsi “professionistiche” quelle attività
sportive svolte da atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici “a titolo oneroso con
carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la
qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali”.
Nel nostro Ordinamento, l’attività professionistica deve essere esercitata, esclusivamente, nell’ambito di
società per azioni o di società a responsabilità limitata (art.10, comma 1, l. 23 marzo 1981 n. 91).
La disciplina di tali enti è quasi integralmente riconducibile a quella delle società di capitali regolate nel
libro quinto del Codice Civile, salva la necessità di:
- ottenere, nel procedimento di costituzione, l’affiliazione presso la Federazione sportiva nazionale
riconosciuta dal CONI;
- prevedere nell’atto costitutivo che la società svolga solo attività sportiva ed attività connesse e
strumentali;
- stabilire che una quota di utili, non inferiore al 10%, sia destinata a scuole giovanili di
addestramento e formazione tecnico-sportiva.
Inoltre, in deroga all’art. 2477 c.c., è sempre obbligatoria, indipendentemente dallo schema sociale
scelto, la nomina del collegio sindacale per il controllo legale dei conti.
Attività sportive dilettantistiche.
Il Legislatore non ha definito in positivo l’attività dilettantistica (o comunque non professionistica);
deve dunque essere considerata tale quell’attività sportiva che non rientra nell’ambito di applicazione
della legge n. 91/1981.
In ogni caso, in via generale, per attività sportiva dilettantistica si intende quell’attività consistente nello
svolgimento di pratiche sportive animate da finalità non lucrative, ma ideali.
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
1
Art. 29, comma 4, dello Statuto del CONI.
  2	
  
La materia sportiva dilettantistica è stata disciplinata sotto il profilo giuridico per la prima volta dall’art.
90, commi 17 e 18, della legge 27 dicembre 2002 n. 289, così come modificato dall’art. 4, comma 6-bis,
del D.L. 72/2004 (convertito dalla legge 128/2004).
In particolare, l'esercizio, in forma collettiva, di tale tipo di attività, come indicato al comma 17 della
citata disposizione, può essere svolto
- in forma di associazione sportiva non riconosciuta, regolata dagli artt. 36 e seguenti del codice
civile;
- in forma di associazione sportiva riconosciuta ai sensi del regolamento di cui al D.P.R. 10.2.2000, n.
361 e degli artt. 14 e seguenti del codice civile;
- in forma di società sportiva di capitali (società per azioni o a responsabilità limitata) o società
cooperativa senza scopo di lucro (inteso in senso soggettivo).
Associazioni sportive dilettantistiche riconosciute e non riconosciute.
Le associazioni sportive dilettantistiche, così come previsto nel nostro sistema civilistico, possono
essere associazioni “riconosciute” o associazioni “non riconosciute”.
La differenza si basa sul fatto che le prime hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento della personalità
giuridica di diritto privato in base alle regole contenute nel D.P.R. 10.2.2000 n. 361, mentre le seconde
sono quelle che non lo hanno chiesto o che, pur avendolo chiesto, non lo hanno (ancora) ottenuto.
A seguito del riconoscimento, l’associazione consegue un’autonomia patrimoniale perfetta, vale a dire
una netta separazione tra il patrimonio dell’ente e quello degli associati, così che per le obbligazioni
assunte risponde solo l’associazione stessa con il proprio patrimonio.
I creditori di un’associazione non riconosciuta, invece, potranno pretendere il credito agendo nei
confronti del fondo (qualora vi sia) dell’associazione o da chi ha contratto l’obbligazione in nome e per
conto dell’associazione.
In particolare, l'art. 38 del codice civile prevede che “per le obbligazioni assunte dalle persone che
rappresentano l'associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle
obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in
nome e per conto dell'associazione”.
In primis, chi agisce in nome e per conto dell’associazione, è il consiglio direttivo (presidente e
consiglieri) che provvede al funzionamento tecnico, amministrativo ed organizzativo dell’associazione.
Lo statuto attribuisce, di consueto, al consiglio i più ampi poteri di ordinaria e straordinaria
amministrazione con facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per il buon funzionamento
del sodalizio, esclusi quelli che la legge o lo statuto attribuiscono all’assemblea dei soci.
Tuttavia, la responsabilità personale e solidale di chi agisce in nome e per conto dell'associazione non
riconosciuta non é collegata, necessariamente, alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione,
bensì all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti
obbligatori fra questa e i terzi.
Il dare atto del proprio dissenso formale, nel verbale del consiglio direttivo che include la delibera con
la quale la società ha assunto la specifica obbligazione, è sufficiente a esimere il componente dalla
conseguente responsabilità patrimoniale, sempre che non abbia poi egli, in qualche modo, partecipato,
di fatto, all'assunzione dell’obbligazione.
Nel settore dello sport dilettantistico, le associazioni non riconosciute costituiscono, soprattutto per gli
oneri e la complessità dell’iter di riconoscimento e le più semplici procedure di gestione amministrativa,
contabile e patrimoniale, la figura giuridicamente più rilevante.
A differenza delle associazioni riconosciute poi, oltre ad essere garantito l’anonimato per gli iscritti, non
sono richiesti obblighi di pubblicità, né sono previsti controlli da parte dell’autorità amministrativa.
Società sportive dilettantistiche.
Al fine di incentivare lo sviluppo e la promozione dell’attività sportiva dilettantistica, il legislatore ha
ampliato la serie di soggetti destinatari del particolare regime di favore previsto per gli enti sportivi dalla
L. 16 dicembre 1991 n. 398.
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Il comma 17 dell’art. 90 della legge 289/2002 (Finanziaria 2003), dopo le modifiche apportate dalla
Legge n. 128/2004, prevede infatti che le associazioni sportive dilettantistiche possono assumere, oltre
alla forma di associazione sportiva, riconosciuta o meno, anche quella alternativa di società sportiva
dilettantistica di capitali o cooperativa “secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che
prevedono la finalità di lucro”; è, invece, preclusa per gli enti che intendano ottenere la qualifica di
società sportiva dilettantistica la possibilità di adottare la forma della società di persone.
Le società dilettantistiche sportive sono società di diritto speciale; l’art. 90 della l. 289/2002, che le ha
istituite, è infatti una disposizione di carattere eccezionale rispetto alla fattispecie tipica che non
ammette la costituzione di società di capitali dichiaratamente senza scopo di lucro al di fuori di casi
previsti per legge.
La struttura di società di capitali consente l’autonomia patrimoniale perfetta degli amministratori
rispetto alle obbligazioni assunte dall’ente.
Responsabilità degli amministratori verso l’ente.
Ai sensi dell’art. 18 cod. civ., “gli amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le norme
proprie del mandato”. Non si tratta di un rinvio generale all’intera disciplina sul mandato, ma di un
rinvio limitato all’art. 1710 cod. civ., che impone al mandatario di eseguire il mandato con la diligenza
propria del “buon padre di famiglia”.
In merito a tale criterio di responsabilità è opportuno osservare che:
• la diligenza del “buon padre di famiglia” coincide con il grado di diligenza richiesto in linea
generale dall’art. 1176 c.c. a qualsiasi debitore nell’adempimento delle proprie obbligazioni;
• “il buon padre di famiglia” è una nozione di derivazione romanistica, che non ha più nulla a che
vedere con l’attuale nucleo familiare.
Di conseguenza, il concetto del “buon padre di famiglia” riferito agli amministratori significa che per
commisurare la diligenza loro richiesta deve aversi riguardo ad un modello tipico ed astratto di “buon
amministratore”.
Occorre, in altri termini, far riferimento a un soggetto che gestisce l’associazione al fine di realizzare
l’interesse di gruppo e di garantire un reddito soddisfacente all’ente stesso.
In pratica, gli amministratori di associazioni o di società sportive dilettantistiche devono adempiere
l’incarico assegnato secondo la diligenza media richiesta dalla natura dell’attività svolta (art. 1176 co. 2
c.c.) “e quindi anche con l’appropriata perizia”.
La responsabilità degli amministratori verso l’ente configura un’ipotesi di responsabilità di natura:
• contrattuale;
• solidale.
Responsabilità contrattuale.
La responsabilità degli amministratori di associazioni sportive dilettantistiche è riconducibile allo
schema dell’art. 2392 c.c., in base al quale gli stessi sono responsabili dei danni derivanti
dall’inosservanza dolosa o colposa degli obblighi previsti da disposizioni di legge o di statuto.
In base all’art. 1710 co. 1 c.c., la responsabilità per fatto colposo è valutata con minor rigore se l’incarico
ad amministrare è svolto gratuitamente.
Responsabilità solidale.
L’ente può richiedere il risarcimento per l’intero ammontare dei danni subiti ad uno qualsiasi degli
amministratori inadempienti. Quest’ultimo, dopo aver pagato, potrà poi esercitare il diritto di regresso
nei confronti degli altri corresponsabili per ottenere il pagamento delle parti di loro competenza, che si
presumono uguali ex art. 1298 co. 2 c.c..
Esonero da responsabilità.
Nell’ambito di un consiglio direttivo o consiglio di amministrazione, è esente da responsabilità
l’amministratore che, non essendo informato dell’atto che gli altri componenti stavano per adottare,
non ha partecipato all’assunzione del predetto atto dannoso. Se l’amministratore era a conoscenza
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dell’atto che gli altri componenti intendevano porre in essere, la sua mancata partecipazione
all’assunzione dell’atto in esame non è di per sé sufficiente ad esimere l’amministratore da
responsabilità. Costui sarà, infatti, tenuto a far risultare il proprio dissenso (art. 18 c.c.).
Azione di responsabilità.
Ai sensi dell’art. 22 c.c., l’azione di responsabilità contro gli amministratori è deliberata dall’assemblea
ed esercitata dai nuovi amministratori o dai liquidatori.
È stata dichiarata ammissibile anche l’azione individuale di responsabilità promossa dal singolo
associato per fatti commessi dagli amministratori.
Responsabilità degli amministratori verso i creditori.
Parte della dottrina ritiene, inoltre, responsabili gli amministratori dei danni causati ai creditori sociali
per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Si
tratta, dunque, di un’ipotesi di responsabilità analoga a quella prevista dall’art. 2394 c.c. (in tema di
responsabilità verso i creditori sociali di amministratori di spa) che, tuttavia, in difetto di un riferimento
normativo espresso, la dottrina ritiene più corretto fondare sull’art. 2043 c.c..
La responsabilità amministrativa degli enti.
Il D.Lgs. 8.6.2001 n. 231, recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone
giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, ha importanti riflessi
non solo sugli enti commerciali – per i quali ha già avuto molteplici applicazioni pratiche – ma
anche sulla gestione di un’associazione sportiva.
Il provvedimento contempla, sia pure con alcuni limiti di cui si dirà, la responsabilità “amministrativa”
dell’associazione, con o senza personalità giuridica, per il reato commesso dal suo dipendente o da chi
rivesta in essa una posizione di vertice (“apicale”).
La natura della responsabilità.
Il legislatore ha adottato la nozione formale di sanzione amministrativa pur avendo predisposto, in
realtà, strumenti repressivi che, sia per il contenuto, sia per le modalità di applicazione, hanno
caratteristica di vere e proprie sanzioni penali.
Peraltro, una responsabilità di tal fatta in capo alla persona giuridica sarebbe inammissibile, posto che è
tradizionale e fondamentale principio del nostro Ordinamento penale quello secondo il quale societas
delinquere non potest, tradotto in una norma costituzionale, l’art. 27 co. 1, secondo cui “la
responsabilità penale è personale”.
Di qui un tentativo legislativo di compromesso tra manifeste esigenze repressive e il suddetto
inderogabile canone costituzionale.
Rileva, comunque, il novus di una responsabilità dell’ente, sia pure nei limiti indicati, per il reato
commesso da un soggetto ad esso ente variamente legato.
Si è trattato di una scelta legislativa forte che, pur consapevole delle ricadute che tali sanzioni
comportano sul piano economico, privilegia una più accentuata tutela del regolare contesto d’impresa o
più semplicemente associativo.
La ratio giustificativa si ritrova, a tutta evidenza, in una considerazione di giustizia sostanziale: la
commissione dei reati contemplati arricchisce la sfera giuridica degli enti nel cui interesse o nel cui
vantaggio siano stati commessi, sicché risponde ad un’esigenza, proprio di equità, l’operazione di
ripristino realizzabile con l’applicazione di una parallela responsabilità amministrativa.
Nell’ambito dei reati colposi in tema di infortunistica sul lavoro, la giurisprudenza ha individuato
l’interesse e il vantaggio dell’ente nel risparmio patrimoniale che deriva dalla carenza delle necessarie
spese di investimento, adeguamento, mantenimento della sicurezza.
Inoltre, non vi è dubbio che, sotto il profilo procedurale, l’affidamento al giudice penale – che decide
del reato presupposto – anche della competenza in ordine alla responsabilità dell’ente, costituisca
utile semplificazione del giudizio.
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Da ultimo, l’applicazione delle norme del codice di procedura penale, in quanto compatibili, consente
un apparato di garanzie che passano anche dalla necessità di assicurare l’effettiva partecipazione e difesa
degli enti coinvolti, nel rispetto del pieno diritto di difesa.
I reati presupposto.
Con una serie di successive disposizioni, il quadro delle fattispecie di reato dalle quali può conseguire la
responsabilità amministrativa dell’ente è stato ampliato fino a ricomprendere, con l’art. 25-septies, quali
reati presupposto l’omicidio colposo e le lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle
norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro.
Non vi è dubbio che all’interno di una società od associazione sportiva possano integrarsi, ad opera di uno
o più dei suoi rappresentanti, condotte illecite riconducibili ad uno degli illeciti oggi contemplati nella lunga
sequenza dei “reati presupposto”.
In particolare, la violazione delle norme in tema di sicurezza ed igiene sul lavoro possono comportare la
morte o eventi lesivi (artt. 589, 590 c.p.) all’interno del sodalizio sportivo con le ricadute cautelari e
sanzionatorie del DLgs. 231/2001.
Esclusione della responsabilità.
Per escludere la sua specifica responsabilità, l’ente dovrà predisporre regole interne di comportamento,
vale a dire “modelli organizzativi” che, più o meno complessi a seconda delle dimensioni dell’ente,
siano idonei ad evitare la commissione degli illeciti di cui sopra e sulla cui adozione ed efficace
attuazione potrà vigilare lo stesso consiglio direttivo dell’ente.
Si tratta di protocolli interni, che dovranno prescrivere un’adeguata organizzazione interna dotata di
efficacia preventiva rispetto alla commissione di specifici reati.
I modelli organizzativi non sono obbligatori ma già si sono affacciati nel mondo sportivo.
Il Collegio Arbitrale del CONI che ebbe a definire i procedimenti relativi alle principali società di calcio
professionistiche coinvolte nella vicenda cd. “Calciopoli” fece risaltare, nel testo dei “lodi” definitivi,
che la mancanza di un modello organizzativo costituisce terreno fertile per la commissione delle
fattispecie che determinarono i procedimenti sportivi (Milan, Fiorentina, Lazio), mentre l’intervenuta
modifica societaria sul punto doveva comportare una riduzione della sanzione (Juventus).
Pertanto, pur con le debite proporzioni, è consigliabile che anche le associazioni sportive
dilettantistiche adottino specifici modelli organizzativi e di gestione.
Si tratterà di documenti semplici, in nessun modo comparabili con quelli assai articolati predisposti
dalle società commerciali.
Tuttavia essi possono consentire di escludere la responsabilità dell’ente a fronte di quei reati in cui
come si è visto può incorrere anche l’ente sportivo di contenute dimensioni.
Sul punto rilevante è l’art. 30 del D.Lgs. 81/2008 (testo unico della sicurezza) con il quale sono stati
introdotti specifici e complessi modelli, idonei ad evitare i reati di omicidio colposo e lesioni colpose
gravi e gravissime per violazione della normativa in tema di sicurezza e igiene del lavoro.
Le sanzioni pecuniarie ed interdittive
All’ente di cui si accerti la responsabilità deriva:
• una sanzione pecuniaria, compresa tra un minimo di 25.800 euro e un massimo di 1.549.000
euro. Essa viene applicata per quote, il cui importo va da un minimo di euro 258 ad un massimo
di euro 1.549, in un numero non inferiore a cento né superiore a mille.
Sono contemplati (art. 12) casi di riduzione della sanzione pecuniaria in considerazione del
vantaggio nullo o minimo per l’ente, della tenuità del fatto, del risarcimento del danno, della
predisposizione di modelli per reati analoghi a quello intervenuto nel caso di specie;
• sanzioni interdittive, che si aggiungono alla sanzione pecuniaria nei casi più gravi ed in
relazione ai soli reati per le quali sono espressamente previste2
. Hanno durata non inferiore a tre
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
2
Si tratta (art. 9 co. 2 del D.Lgs. 231/2001) dell’interdizione, temporanea o definitiva, dall’esercizio dell’attività; della sospensione o revoca delle
autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; del divieto, anche limitato a determinati tipi di atto, di contrattare
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mesi e non superiore a due anni, si riferiscono alla specifica attività sulla quale si riflette la
violazione dell’ente e conseguono alla percezione di un profitto di rilevante entità, o ad una grave
colpa organizzativa, ovvero ancora ad una sorta di recidiva, vale a dire l’avere l’ente ripetuto nel
tempo l’illecito.
La responsabilità penale.
Dalla violazione della normativa di sicurezza sul lavoro possono derivare eventi lesivi che costituiscono
causa di responsabilità (anche) penale per i reati previsti dagli artt. 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni
colpose) ovvero dal D.Lgs 81/2008.
Per principio costituzionale, di cui già si è fatto cenno, “la responsabilità penale è personale” (art. 27
Cost.).
I reati si classificano in delitti (ad es., omicidio e lesioni colpose) puniti con pene più severe (ergastolo,
reclusione, multa), e in contravvenzioni (ad es., art. 55 D.Lgs. 81/2008) puniti più lievi (arresto e
ammenda).
Si parla di reato doloso o secondo l’intenzione (art. 43, comma 1, c.p.) quando l’evento dannoso o
pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del
delitto, è preveduto dall’agente e da questi consapevolmente voluto come conseguenza della propria
azione od omissione.
Nel caso di specie, rileva il reato colposo o contro l’intenzione (art. 43, comma 3, c.p.) che si ha quando
l’agente non vuole cagionare l’evento lesivo, e tuttavia questo si verifica come risultato della propria
condotta, per negligenza, imprudenza o imperizia (“colpa generica”), o per inosservanza di leggi,
regolamenti, ordini e discipline (“colpa specifica”).
A seconda del comportamento del soggetto agente, si possono distinguere i reati commissivi (l’evento
si verifica per un comportamento attivo e volontario del soggetto agente che provoca una lesione a un
bene tutelato giuridicamente) e i reati omissivi (il danno si concretizza a seguito di una condotta
omissiva del soggetto). Per quest’ultima ipotesi, va detto che l’Ordinamento, tra le sue regole generali,
impone a chi si trova in determinate situazioni, di agire secondo determinate prescrizioni. Ai sensi di
quanto dispone il secondo comma dell’art. 40 c.p. “non impedire un evento, che si aveva l’obbligo
giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”.
Il soggetto attivo del reato, quindi, commette reato per omissione quando si trova in una specifica
situazione (stabilita espressamente dall’Ordinamento) e, con il suo comportamento, contravviene a tali
disposizioni e, dalla sua condotta, deriva la lesione di un bene giuridicamente tutelato. La sua omissione
integra quindi reato e determina l’applicazione di una sanzione penale.
I reati di omissione, a loro volta, si distinguono in propri (o di pura condotta e consistono nel mancato
compimento dell’azione comandata, per la cui sussistenza non occorre il verificarsi di alcun evento
materiale) e impropri (o commissivo mediante omissione e consistono nel mancato impedimento di un
evento materiale che si aveva l’obbligo di impedire.
Non vi è dubbio che in capo ai componenti del consiglio direttivo dell’associazione sportiva e del
consiglio di amministrazione della società di capitali sportiva gravino, ricorrendone le condizioni di
fatto e di diritto, gli obblighi normativi di sicurezza la cui violazione può essere causalmente connessa
all’evento infortunistico.
In particolare, i dirigenti che abbiano posto in essere le condotte illecite commissive e/o omissive da
cui sono derivate le fattispecie di reato saranno penalmente responsabili.
Saranno esentati i componenti del consiglio che abbiano espresso formalmente il proprio dissenso sulle
opzioni causalmente legate all’infortunio.
In primis è utile rammentare che in relazione a quanto previsto ex art. 589 c.p., è richiesta l’osservanza
di tutte le norme dalla cui violazione può derivare un evento lesivo.
Inoltre, in tema di omicidio colposo ricorre l'aggravante della violazione di norme antinfortunistiche
anche quando la vittima è persona estranea all'impresa, in quanto l'imprenditore assume una posizione
	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  	
  
con la pubblica amministrazione, fatta salva la prestazione di un pubblico servizio; dell’esclusione, anche temporanea, da agevolazioni,
finanziamenti, contributi o sussidi, ed eventuale revoca di quelli già concessi; del divieto, anche temporaneo, di pubblicizzare beni o servizi.
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di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti dei lavoratori subordinati o dei
soggetti a questi equiparati, ma altresì nei riguardi di tutti coloro che possono comunque venire a
contatto o trovarsi ad operare nell’aerea di competenza dell’associazione o società sportiva.
E ancora, se più sono i titolari della posizione di garanzia (più componenti del consiglio direttivo
ovvero dell'obbligo di impedire l'evento, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela
imposto dalla legge fino a quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della
suddetta posizione di garanzia.
La delega di funzioni.
La delega di funzioni è una ripartizione organizzativa ampiamente utilizzata all’interno di strutture
complesse e consiste nell’incarico che un soggetto qualificato conferisce ad altri per lo svolgimento di
determinate attività, così integrandosi un trasferimento degli obblighi di garanzia dal precedente titolare
ad un nuovo soggetto a tal fine incaricato.
L’istituto trae origine dalle consuetudini proprie delle strutture imprenditoriali contraddistinte da
spiccata gerarchia, nelle quali il soggetto posto in posizione apicale, destinatario del precetto penale in
virtù della posizione ricoperta, raramente è in grado di provvedere all’eliminazione di tutte le situazioni
pregiudizievoli proprio per il suo distacco dalla fonte di rischio, ovvero perché privo delle competenze
tecniche necessarie alla predisposizione di idonei mezzi di cautela.
La delega, quindi, lungi dal costituire uno strumento di esonero di responsabilità per il delegante,
consente un migliore rispetto del dovere di sicurezza per l’adempimento dell’obbligo di buona
organizzazione che fa capo all’imprenditore.
Il conferimento di poteri e di funzioni di cui qui si tratta non va confuso con la cd. delega “in
esecuzione”, caratterizzata dall’affidamento a terzi di soli compiti esecutivi, tale da non far venir meno
la posizione di garanzia del delegante e non determinare nuovi obblighi giuridici in capo agli incaricati.
Nell’ambito dell’associazione o società sportiva la delega della sicurezza potrà essere conferita, secondo
i requisiti di cui appena oltre si dirà, ad un consigliere o a un dipendente (es. direttore).
I presupposti della delega di funzioni.
La delega presuppone:
- la trasferibilità delle funzioni che, pertanto, non devono avere natura strettamente personale;
- la volontà traslativa del responsabile delegante, il quale deve intervenire direttamente nell’atto di
delega;
- l’accettazione del soggetto scelto quale delegato;
- l’effettivo trasferimento allo stesso dei relativi poteri-doveri di cautela.
Copertura assicurativa.
Il decreto 3 novembre 2010 disciplina l’assicurazione obbligatoria con il tesseramento per gli sportivi
dilettanti.
Per gli sportivi dilettanti tesserati (atleti, tecnici, dirigenti) le Federazioni sportive nazionali, le discipline
sportive associate e gli Enti di promozione sportiva, enti riconosciuti dal CONI, devono stipulare
l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e versare i relativi premi.
L’assicurazione obbligatoria riguarda le conseguenze degli infortuni accaduti ai soggetti assicurati
durante e a causa dello svolgimento delle attività sportive, degli allenamenti e durante le indispensabili
azioni preliminari e finali di ogni gara o allenamento ufficiale, ovvero in occasione dell’espletamento
delle attività proprie della qualifica di tecnico o dirigente rivestita nell’ambito dell’organizzazione
sportiva dei soggetti obbligati.
La normativa statale non ha, dunque, previsto, in capo ai gestori di impianti sportivi o dirigenti sportivi,
un obbligo di copertura per responsabilità civile verso i terzi non tesserati che, peraltro, resta altamente
consigliabile.
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  • 1.   1   CONVEGNO 18 giugno 2013. SICUREZZA SUL LAVORO: la situazione delle ATTIVITÀ SPORTIVE a 5 anni dall’entrata in vigore del D.Lgs. 81/08. La violazione della normativa di sicurezza. Le responsabilità civili e penali del dirigente sportivo. (avv.  Stefano  Comellini)   *******   Gli enti sportivi. Le società e le associazioni sportive, sia che svolgano l’attività in ambito professionistico che in quello dilettantistico, sono soggetti dell’ordinamento sportivo, base della struttura e dell’organizzazione piramidale che fa capo al Comitato Olimpico Nazionale Italiano (C.O.N.I.). Come tali, essi enti sono tenuti “ad esercitare con lealtà sportiva le loro attività, osservando i principi, le norme e le consuetudini sportive”, nonché a salvaguardare “la funzione popolare, educativa, sociale e culturale dello sport”1 . In questi obblighi si ricomprende certamente l’obbligo di prestare attenzione alle cautele antinfortunistiche per gli atleti, tecnici, dirigenti, nonché per i terzi. Le attività sportive si distinguono in “professionistiche” e “dilettantistiche”. Attività sportive professionistiche. I criteri per qualificare l’attività sportiva in termini di “professionismo” sono rinvenibili nelle disposizioni contenute nella legge 23 marzo 1981 n. 91 (“Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti”). In particolare, per l’art. 2 della citata legge, sono da considerarsi “professionistiche” quelle attività sportive svolte da atleti, allenatori, direttori tecnico-sportivi e preparatori atletici “a titolo oneroso con carattere di continuità nell’ambito delle discipline regolamentate dal CONI e che conseguono la qualificazione dalle Federazioni sportive nazionali”. Nel nostro Ordinamento, l’attività professionistica deve essere esercitata, esclusivamente, nell’ambito di società per azioni o di società a responsabilità limitata (art.10, comma 1, l. 23 marzo 1981 n. 91). La disciplina di tali enti è quasi integralmente riconducibile a quella delle società di capitali regolate nel libro quinto del Codice Civile, salva la necessità di: - ottenere, nel procedimento di costituzione, l’affiliazione presso la Federazione sportiva nazionale riconosciuta dal CONI; - prevedere nell’atto costitutivo che la società svolga solo attività sportiva ed attività connesse e strumentali; - stabilire che una quota di utili, non inferiore al 10%, sia destinata a scuole giovanili di addestramento e formazione tecnico-sportiva. Inoltre, in deroga all’art. 2477 c.c., è sempre obbligatoria, indipendentemente dallo schema sociale scelto, la nomina del collegio sindacale per il controllo legale dei conti. Attività sportive dilettantistiche. Il Legislatore non ha definito in positivo l’attività dilettantistica (o comunque non professionistica); deve dunque essere considerata tale quell’attività sportiva che non rientra nell’ambito di applicazione della legge n. 91/1981. In ogni caso, in via generale, per attività sportiva dilettantistica si intende quell’attività consistente nello svolgimento di pratiche sportive animate da finalità non lucrative, ma ideali.                                                                                                                 1 Art. 29, comma 4, dello Statuto del CONI.
  • 2.   2   La materia sportiva dilettantistica è stata disciplinata sotto il profilo giuridico per la prima volta dall’art. 90, commi 17 e 18, della legge 27 dicembre 2002 n. 289, così come modificato dall’art. 4, comma 6-bis, del D.L. 72/2004 (convertito dalla legge 128/2004). In particolare, l'esercizio, in forma collettiva, di tale tipo di attività, come indicato al comma 17 della citata disposizione, può essere svolto - in forma di associazione sportiva non riconosciuta, regolata dagli artt. 36 e seguenti del codice civile; - in forma di associazione sportiva riconosciuta ai sensi del regolamento di cui al D.P.R. 10.2.2000, n. 361 e degli artt. 14 e seguenti del codice civile; - in forma di società sportiva di capitali (società per azioni o a responsabilità limitata) o società cooperativa senza scopo di lucro (inteso in senso soggettivo). Associazioni sportive dilettantistiche riconosciute e non riconosciute. Le associazioni sportive dilettantistiche, così come previsto nel nostro sistema civilistico, possono essere associazioni “riconosciute” o associazioni “non riconosciute”. La differenza si basa sul fatto che le prime hanno chiesto e ottenuto il riconoscimento della personalità giuridica di diritto privato in base alle regole contenute nel D.P.R. 10.2.2000 n. 361, mentre le seconde sono quelle che non lo hanno chiesto o che, pur avendolo chiesto, non lo hanno (ancora) ottenuto. A seguito del riconoscimento, l’associazione consegue un’autonomia patrimoniale perfetta, vale a dire una netta separazione tra il patrimonio dell’ente e quello degli associati, così che per le obbligazioni assunte risponde solo l’associazione stessa con il proprio patrimonio. I creditori di un’associazione non riconosciuta, invece, potranno pretendere il credito agendo nei confronti del fondo (qualora vi sia) dell’associazione o da chi ha contratto l’obbligazione in nome e per conto dell’associazione. In particolare, l'art. 38 del codice civile prevede che “per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione”. In primis, chi agisce in nome e per conto dell’associazione, è il consiglio direttivo (presidente e consiglieri) che provvede al funzionamento tecnico, amministrativo ed organizzativo dell’associazione. Lo statuto attribuisce, di consueto, al consiglio i più ampi poteri di ordinaria e straordinaria amministrazione con facoltà di compiere tutti gli atti che ritenga opportuni per il buon funzionamento del sodalizio, esclusi quelli che la legge o lo statuto attribuiscono all’assemblea dei soci. Tuttavia, la responsabilità personale e solidale di chi agisce in nome e per conto dell'associazione non riconosciuta non é collegata, necessariamente, alla mera titolarità della rappresentanza dell'associazione, bensì all'attività negoziale concretamente svolta per conto di essa e risoltasi nella creazione di rapporti obbligatori fra questa e i terzi. Il dare atto del proprio dissenso formale, nel verbale del consiglio direttivo che include la delibera con la quale la società ha assunto la specifica obbligazione, è sufficiente a esimere il componente dalla conseguente responsabilità patrimoniale, sempre che non abbia poi egli, in qualche modo, partecipato, di fatto, all'assunzione dell’obbligazione. Nel settore dello sport dilettantistico, le associazioni non riconosciute costituiscono, soprattutto per gli oneri e la complessità dell’iter di riconoscimento e le più semplici procedure di gestione amministrativa, contabile e patrimoniale, la figura giuridicamente più rilevante. A differenza delle associazioni riconosciute poi, oltre ad essere garantito l’anonimato per gli iscritti, non sono richiesti obblighi di pubblicità, né sono previsti controlli da parte dell’autorità amministrativa. Società sportive dilettantistiche. Al fine di incentivare lo sviluppo e la promozione dell’attività sportiva dilettantistica, il legislatore ha ampliato la serie di soggetti destinatari del particolare regime di favore previsto per gli enti sportivi dalla L. 16 dicembre 1991 n. 398.
  • 3.   3   Il comma 17 dell’art. 90 della legge 289/2002 (Finanziaria 2003), dopo le modifiche apportate dalla Legge n. 128/2004, prevede infatti che le associazioni sportive dilettantistiche possono assumere, oltre alla forma di associazione sportiva, riconosciuta o meno, anche quella alternativa di società sportiva dilettantistica di capitali o cooperativa “secondo le disposizioni vigenti, ad eccezione di quelle che prevedono la finalità di lucro”; è, invece, preclusa per gli enti che intendano ottenere la qualifica di società sportiva dilettantistica la possibilità di adottare la forma della società di persone. Le società dilettantistiche sportive sono società di diritto speciale; l’art. 90 della l. 289/2002, che le ha istituite, è infatti una disposizione di carattere eccezionale rispetto alla fattispecie tipica che non ammette la costituzione di società di capitali dichiaratamente senza scopo di lucro al di fuori di casi previsti per legge. La struttura di società di capitali consente l’autonomia patrimoniale perfetta degli amministratori rispetto alle obbligazioni assunte dall’ente. Responsabilità degli amministratori verso l’ente. Ai sensi dell’art. 18 cod. civ., “gli amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le norme proprie del mandato”. Non si tratta di un rinvio generale all’intera disciplina sul mandato, ma di un rinvio limitato all’art. 1710 cod. civ., che impone al mandatario di eseguire il mandato con la diligenza propria del “buon padre di famiglia”. In merito a tale criterio di responsabilità è opportuno osservare che: • la diligenza del “buon padre di famiglia” coincide con il grado di diligenza richiesto in linea generale dall’art. 1176 c.c. a qualsiasi debitore nell’adempimento delle proprie obbligazioni; • “il buon padre di famiglia” è una nozione di derivazione romanistica, che non ha più nulla a che vedere con l’attuale nucleo familiare. Di conseguenza, il concetto del “buon padre di famiglia” riferito agli amministratori significa che per commisurare la diligenza loro richiesta deve aversi riguardo ad un modello tipico ed astratto di “buon amministratore”. Occorre, in altri termini, far riferimento a un soggetto che gestisce l’associazione al fine di realizzare l’interesse di gruppo e di garantire un reddito soddisfacente all’ente stesso. In pratica, gli amministratori di associazioni o di società sportive dilettantistiche devono adempiere l’incarico assegnato secondo la diligenza media richiesta dalla natura dell’attività svolta (art. 1176 co. 2 c.c.) “e quindi anche con l’appropriata perizia”. La responsabilità degli amministratori verso l’ente configura un’ipotesi di responsabilità di natura: • contrattuale; • solidale. Responsabilità contrattuale. La responsabilità degli amministratori di associazioni sportive dilettantistiche è riconducibile allo schema dell’art. 2392 c.c., in base al quale gli stessi sono responsabili dei danni derivanti dall’inosservanza dolosa o colposa degli obblighi previsti da disposizioni di legge o di statuto. In base all’art. 1710 co. 1 c.c., la responsabilità per fatto colposo è valutata con minor rigore se l’incarico ad amministrare è svolto gratuitamente. Responsabilità solidale. L’ente può richiedere il risarcimento per l’intero ammontare dei danni subiti ad uno qualsiasi degli amministratori inadempienti. Quest’ultimo, dopo aver pagato, potrà poi esercitare il diritto di regresso nei confronti degli altri corresponsabili per ottenere il pagamento delle parti di loro competenza, che si presumono uguali ex art. 1298 co. 2 c.c.. Esonero da responsabilità. Nell’ambito di un consiglio direttivo o consiglio di amministrazione, è esente da responsabilità l’amministratore che, non essendo informato dell’atto che gli altri componenti stavano per adottare, non ha partecipato all’assunzione del predetto atto dannoso. Se l’amministratore era a conoscenza
  • 4.   4   dell’atto che gli altri componenti intendevano porre in essere, la sua mancata partecipazione all’assunzione dell’atto in esame non è di per sé sufficiente ad esimere l’amministratore da responsabilità. Costui sarà, infatti, tenuto a far risultare il proprio dissenso (art. 18 c.c.). Azione di responsabilità. Ai sensi dell’art. 22 c.c., l’azione di responsabilità contro gli amministratori è deliberata dall’assemblea ed esercitata dai nuovi amministratori o dai liquidatori. È stata dichiarata ammissibile anche l’azione individuale di responsabilità promossa dal singolo associato per fatti commessi dagli amministratori. Responsabilità degli amministratori verso i creditori. Parte della dottrina ritiene, inoltre, responsabili gli amministratori dei danni causati ai creditori sociali per l’inosservanza degli obblighi inerenti alla conservazione dell’integrità del patrimonio sociale. Si tratta, dunque, di un’ipotesi di responsabilità analoga a quella prevista dall’art. 2394 c.c. (in tema di responsabilità verso i creditori sociali di amministratori di spa) che, tuttavia, in difetto di un riferimento normativo espresso, la dottrina ritiene più corretto fondare sull’art. 2043 c.c.. La responsabilità amministrativa degli enti. Il D.Lgs. 8.6.2001 n. 231, recante “Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica”, ha importanti riflessi non solo sugli enti commerciali – per i quali ha già avuto molteplici applicazioni pratiche – ma anche sulla gestione di un’associazione sportiva. Il provvedimento contempla, sia pure con alcuni limiti di cui si dirà, la responsabilità “amministrativa” dell’associazione, con o senza personalità giuridica, per il reato commesso dal suo dipendente o da chi rivesta in essa una posizione di vertice (“apicale”). La natura della responsabilità. Il legislatore ha adottato la nozione formale di sanzione amministrativa pur avendo predisposto, in realtà, strumenti repressivi che, sia per il contenuto, sia per le modalità di applicazione, hanno caratteristica di vere e proprie sanzioni penali. Peraltro, una responsabilità di tal fatta in capo alla persona giuridica sarebbe inammissibile, posto che è tradizionale e fondamentale principio del nostro Ordinamento penale quello secondo il quale societas delinquere non potest, tradotto in una norma costituzionale, l’art. 27 co. 1, secondo cui “la responsabilità penale è personale”. Di qui un tentativo legislativo di compromesso tra manifeste esigenze repressive e il suddetto inderogabile canone costituzionale. Rileva, comunque, il novus di una responsabilità dell’ente, sia pure nei limiti indicati, per il reato commesso da un soggetto ad esso ente variamente legato. Si è trattato di una scelta legislativa forte che, pur consapevole delle ricadute che tali sanzioni comportano sul piano economico, privilegia una più accentuata tutela del regolare contesto d’impresa o più semplicemente associativo. La ratio giustificativa si ritrova, a tutta evidenza, in una considerazione di giustizia sostanziale: la commissione dei reati contemplati arricchisce la sfera giuridica degli enti nel cui interesse o nel cui vantaggio siano stati commessi, sicché risponde ad un’esigenza, proprio di equità, l’operazione di ripristino realizzabile con l’applicazione di una parallela responsabilità amministrativa. Nell’ambito dei reati colposi in tema di infortunistica sul lavoro, la giurisprudenza ha individuato l’interesse e il vantaggio dell’ente nel risparmio patrimoniale che deriva dalla carenza delle necessarie spese di investimento, adeguamento, mantenimento della sicurezza. Inoltre, non vi è dubbio che, sotto il profilo procedurale, l’affidamento al giudice penale – che decide del reato presupposto – anche della competenza in ordine alla responsabilità dell’ente, costituisca utile semplificazione del giudizio.
  • 5.   5   Da ultimo, l’applicazione delle norme del codice di procedura penale, in quanto compatibili, consente un apparato di garanzie che passano anche dalla necessità di assicurare l’effettiva partecipazione e difesa degli enti coinvolti, nel rispetto del pieno diritto di difesa. I reati presupposto. Con una serie di successive disposizioni, il quadro delle fattispecie di reato dalle quali può conseguire la responsabilità amministrativa dell’ente è stato ampliato fino a ricomprendere, con l’art. 25-septies, quali reati presupposto l’omicidio colposo e le lesioni gravi o gravissime commesse con violazione delle norme sulla tutela della salute e sicurezza sul lavoro. Non vi è dubbio che all’interno di una società od associazione sportiva possano integrarsi, ad opera di uno o più dei suoi rappresentanti, condotte illecite riconducibili ad uno degli illeciti oggi contemplati nella lunga sequenza dei “reati presupposto”. In particolare, la violazione delle norme in tema di sicurezza ed igiene sul lavoro possono comportare la morte o eventi lesivi (artt. 589, 590 c.p.) all’interno del sodalizio sportivo con le ricadute cautelari e sanzionatorie del DLgs. 231/2001. Esclusione della responsabilità. Per escludere la sua specifica responsabilità, l’ente dovrà predisporre regole interne di comportamento, vale a dire “modelli organizzativi” che, più o meno complessi a seconda delle dimensioni dell’ente, siano idonei ad evitare la commissione degli illeciti di cui sopra e sulla cui adozione ed efficace attuazione potrà vigilare lo stesso consiglio direttivo dell’ente. Si tratta di protocolli interni, che dovranno prescrivere un’adeguata organizzazione interna dotata di efficacia preventiva rispetto alla commissione di specifici reati. I modelli organizzativi non sono obbligatori ma già si sono affacciati nel mondo sportivo. Il Collegio Arbitrale del CONI che ebbe a definire i procedimenti relativi alle principali società di calcio professionistiche coinvolte nella vicenda cd. “Calciopoli” fece risaltare, nel testo dei “lodi” definitivi, che la mancanza di un modello organizzativo costituisce terreno fertile per la commissione delle fattispecie che determinarono i procedimenti sportivi (Milan, Fiorentina, Lazio), mentre l’intervenuta modifica societaria sul punto doveva comportare una riduzione della sanzione (Juventus). Pertanto, pur con le debite proporzioni, è consigliabile che anche le associazioni sportive dilettantistiche adottino specifici modelli organizzativi e di gestione. Si tratterà di documenti semplici, in nessun modo comparabili con quelli assai articolati predisposti dalle società commerciali. Tuttavia essi possono consentire di escludere la responsabilità dell’ente a fronte di quei reati in cui come si è visto può incorrere anche l’ente sportivo di contenute dimensioni. Sul punto rilevante è l’art. 30 del D.Lgs. 81/2008 (testo unico della sicurezza) con il quale sono stati introdotti specifici e complessi modelli, idonei ad evitare i reati di omicidio colposo e lesioni colpose gravi e gravissime per violazione della normativa in tema di sicurezza e igiene del lavoro. Le sanzioni pecuniarie ed interdittive All’ente di cui si accerti la responsabilità deriva: • una sanzione pecuniaria, compresa tra un minimo di 25.800 euro e un massimo di 1.549.000 euro. Essa viene applicata per quote, il cui importo va da un minimo di euro 258 ad un massimo di euro 1.549, in un numero non inferiore a cento né superiore a mille. Sono contemplati (art. 12) casi di riduzione della sanzione pecuniaria in considerazione del vantaggio nullo o minimo per l’ente, della tenuità del fatto, del risarcimento del danno, della predisposizione di modelli per reati analoghi a quello intervenuto nel caso di specie; • sanzioni interdittive, che si aggiungono alla sanzione pecuniaria nei casi più gravi ed in relazione ai soli reati per le quali sono espressamente previste2 . Hanno durata non inferiore a tre                                                                                                                 2 Si tratta (art. 9 co. 2 del D.Lgs. 231/2001) dell’interdizione, temporanea o definitiva, dall’esercizio dell’attività; della sospensione o revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito; del divieto, anche limitato a determinati tipi di atto, di contrattare
  • 6.   6   mesi e non superiore a due anni, si riferiscono alla specifica attività sulla quale si riflette la violazione dell’ente e conseguono alla percezione di un profitto di rilevante entità, o ad una grave colpa organizzativa, ovvero ancora ad una sorta di recidiva, vale a dire l’avere l’ente ripetuto nel tempo l’illecito. La responsabilità penale. Dalla violazione della normativa di sicurezza sul lavoro possono derivare eventi lesivi che costituiscono causa di responsabilità (anche) penale per i reati previsti dagli artt. 589 (omicidio colposo) e 590 (lesioni colpose) ovvero dal D.Lgs 81/2008. Per principio costituzionale, di cui già si è fatto cenno, “la responsabilità penale è personale” (art. 27 Cost.). I reati si classificano in delitti (ad es., omicidio e lesioni colpose) puniti con pene più severe (ergastolo, reclusione, multa), e in contravvenzioni (ad es., art. 55 D.Lgs. 81/2008) puniti più lievi (arresto e ammenda). Si parla di reato doloso o secondo l’intenzione (art. 43, comma 1, c.p.) quando l’evento dannoso o pericoloso, che è il risultato dell’azione od omissione e da cui la legge fa dipendere l’esistenza del delitto, è preveduto dall’agente e da questi consapevolmente voluto come conseguenza della propria azione od omissione. Nel caso di specie, rileva il reato colposo o contro l’intenzione (art. 43, comma 3, c.p.) che si ha quando l’agente non vuole cagionare l’evento lesivo, e tuttavia questo si verifica come risultato della propria condotta, per negligenza, imprudenza o imperizia (“colpa generica”), o per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini e discipline (“colpa specifica”). A seconda del comportamento del soggetto agente, si possono distinguere i reati commissivi (l’evento si verifica per un comportamento attivo e volontario del soggetto agente che provoca una lesione a un bene tutelato giuridicamente) e i reati omissivi (il danno si concretizza a seguito di una condotta omissiva del soggetto). Per quest’ultima ipotesi, va detto che l’Ordinamento, tra le sue regole generali, impone a chi si trova in determinate situazioni, di agire secondo determinate prescrizioni. Ai sensi di quanto dispone il secondo comma dell’art. 40 c.p. “non impedire un evento, che si aveva l’obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo”. Il soggetto attivo del reato, quindi, commette reato per omissione quando si trova in una specifica situazione (stabilita espressamente dall’Ordinamento) e, con il suo comportamento, contravviene a tali disposizioni e, dalla sua condotta, deriva la lesione di un bene giuridicamente tutelato. La sua omissione integra quindi reato e determina l’applicazione di una sanzione penale. I reati di omissione, a loro volta, si distinguono in propri (o di pura condotta e consistono nel mancato compimento dell’azione comandata, per la cui sussistenza non occorre il verificarsi di alcun evento materiale) e impropri (o commissivo mediante omissione e consistono nel mancato impedimento di un evento materiale che si aveva l’obbligo di impedire. Non vi è dubbio che in capo ai componenti del consiglio direttivo dell’associazione sportiva e del consiglio di amministrazione della società di capitali sportiva gravino, ricorrendone le condizioni di fatto e di diritto, gli obblighi normativi di sicurezza la cui violazione può essere causalmente connessa all’evento infortunistico. In particolare, i dirigenti che abbiano posto in essere le condotte illecite commissive e/o omissive da cui sono derivate le fattispecie di reato saranno penalmente responsabili. Saranno esentati i componenti del consiglio che abbiano espresso formalmente il proprio dissenso sulle opzioni causalmente legate all’infortunio. In primis è utile rammentare che in relazione a quanto previsto ex art. 589 c.p., è richiesta l’osservanza di tutte le norme dalla cui violazione può derivare un evento lesivo. Inoltre, in tema di omicidio colposo ricorre l'aggravante della violazione di norme antinfortunistiche anche quando la vittima è persona estranea all'impresa, in quanto l'imprenditore assume una posizione                                                                                                                 con la pubblica amministrazione, fatta salva la prestazione di un pubblico servizio; dell’esclusione, anche temporanea, da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi, ed eventuale revoca di quelli già concessi; del divieto, anche temporaneo, di pubblicizzare beni o servizi.
  • 7.   7   di garanzia in ordine alla sicurezza degli impianti non solo nei confronti dei lavoratori subordinati o dei soggetti a questi equiparati, ma altresì nei riguardi di tutti coloro che possono comunque venire a contatto o trovarsi ad operare nell’aerea di competenza dell’associazione o società sportiva. E ancora, se più sono i titolari della posizione di garanzia (più componenti del consiglio direttivo ovvero dell'obbligo di impedire l'evento, ciascuno è per intero destinatario dell'obbligo di tutela imposto dalla legge fino a quando si esaurisce il rapporto che ha legittimato la costituzione della suddetta posizione di garanzia. La delega di funzioni. La delega di funzioni è una ripartizione organizzativa ampiamente utilizzata all’interno di strutture complesse e consiste nell’incarico che un soggetto qualificato conferisce ad altri per lo svolgimento di determinate attività, così integrandosi un trasferimento degli obblighi di garanzia dal precedente titolare ad un nuovo soggetto a tal fine incaricato. L’istituto trae origine dalle consuetudini proprie delle strutture imprenditoriali contraddistinte da spiccata gerarchia, nelle quali il soggetto posto in posizione apicale, destinatario del precetto penale in virtù della posizione ricoperta, raramente è in grado di provvedere all’eliminazione di tutte le situazioni pregiudizievoli proprio per il suo distacco dalla fonte di rischio, ovvero perché privo delle competenze tecniche necessarie alla predisposizione di idonei mezzi di cautela. La delega, quindi, lungi dal costituire uno strumento di esonero di responsabilità per il delegante, consente un migliore rispetto del dovere di sicurezza per l’adempimento dell’obbligo di buona organizzazione che fa capo all’imprenditore. Il conferimento di poteri e di funzioni di cui qui si tratta non va confuso con la cd. delega “in esecuzione”, caratterizzata dall’affidamento a terzi di soli compiti esecutivi, tale da non far venir meno la posizione di garanzia del delegante e non determinare nuovi obblighi giuridici in capo agli incaricati. Nell’ambito dell’associazione o società sportiva la delega della sicurezza potrà essere conferita, secondo i requisiti di cui appena oltre si dirà, ad un consigliere o a un dipendente (es. direttore). I presupposti della delega di funzioni. La delega presuppone: - la trasferibilità delle funzioni che, pertanto, non devono avere natura strettamente personale; - la volontà traslativa del responsabile delegante, il quale deve intervenire direttamente nell’atto di delega; - l’accettazione del soggetto scelto quale delegato; - l’effettivo trasferimento allo stesso dei relativi poteri-doveri di cautela. Copertura assicurativa. Il decreto 3 novembre 2010 disciplina l’assicurazione obbligatoria con il tesseramento per gli sportivi dilettanti. Per gli sportivi dilettanti tesserati (atleti, tecnici, dirigenti) le Federazioni sportive nazionali, le discipline sportive associate e gli Enti di promozione sportiva, enti riconosciuti dal CONI, devono stipulare l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e versare i relativi premi. L’assicurazione obbligatoria riguarda le conseguenze degli infortuni accaduti ai soggetti assicurati durante e a causa dello svolgimento delle attività sportive, degli allenamenti e durante le indispensabili azioni preliminari e finali di ogni gara o allenamento ufficiale, ovvero in occasione dell’espletamento delle attività proprie della qualifica di tecnico o dirigente rivestita nell’ambito dell’organizzazione sportiva dei soggetti obbligati. La normativa statale non ha, dunque, previsto, in capo ai gestori di impianti sportivi o dirigenti sportivi, un obbligo di copertura per responsabilità civile verso i terzi non tesserati che, peraltro, resta altamente consigliabile. ****