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NOTA SULLA RELAZIONE INTERMEDIA DELL’ATTIVITA’ DELLA
COMMISSIONE INFORTUNI SENATO
(A cura del Sen. Barozzino in collaborazione con Sebastiano Calleri, responsabile nazionale Salute
e sicurezza nei luoghi di lavoro della Cgil).
Il documento in esame si occupa di molte criticità tuttora persistenti nel nostro
sistema nazionale di prevenzione e degli accadimenti da queste generate.
Essendo molto chiaro e perfino esaustivo nelle sue analisi, ci rivela qual è il livello
costante e quotidiano di violazione delle regole e della normativa - e in alcuni casi
anche delle norme di semplice buonsenso - che avviene nel nostro paese.
Nelle conclusioni che chiosano i vari paragrafi - a volte anche molto dure nella
sostanza - si indicano inoltre un certo numero di possibili percorsi di miglioramento
di questo o quell’altro aspetto del problema, che però rischiano di essere solo eco di
decisioni altrove intraprese, o di posizioni politiche eccessivamente connotate o
comunque di momentanei flussi di interesse dell’opinione pubblica.
Il tipo di inchieste e sopralluoghi che sono stati effettuati nel corso del 2016 dalla
Commissione, e che possono sembrare a prima vista fra loro eterogenei, descrivono
però bene qual è la situazione: un paese in cui per molti anni si è investito in un
modello di sviluppo che non teneva in nessun conto - se non in spregio - le condizioni
di lavoro e di salute degli addetti e delle addette del settore industriale (e non solo);
un modello che non teneva altresì in nessun conto i diritti all’incolumità delle persone
e i diritti di intere comunità ad un ambiente salubre e sicuro (in occasione di lavoro o
nella vita quotidiana); un modello che nel nome di un malinteso “progresso” ha
determinato effetti nefasti per i singoli ed intere regioni o parti di esse.
Un modello che, inoltre, ha avuto rilevanti effetti sulla sanità pubblica e sulla
assegnazione ed utilizzo delle relative risorse.
Come giudicare altrimenti quello che si è rilevato in relazione alla Isochimica di
Avellino, che porta il report ad affermare nelle conclusioni che “…tutta la gestione
dell’Isochimica è avvenuta in spregio di qualsiasi tutela ambientale dentro e fuori lo
stabilimento…”? E parliamo di avvenimenti che si dipanano in un periodo di
lunghezza incredibile, dal 1982 agli anni 2000, e che nelle loro conseguenze
continuano anche oggi ed ancora continueranno per qualche tempo nel futuro (come
ad esempio le bonifiche).
Ma oltre a questo tema di ordine generale, la vicenda di Isochimica (come altre) ci
descrive condizioni di lavoro davvero insopportabili, e un sostanziale mancato
funzionamento e addirittura istituzione di qualsiasi sistema aziendale di prevenzione.
Si dirà: “…sono cose del passato! All’epoca non c’era il 626, figuriamoci il resto! Era
un paese arretrato, un’altra epoca!”.
Sarebbe fortemente consolatorio credere a queste affermazioni, ma purtroppo il
contenuto delle inchieste sintetizzate nella relazione smentisce categoricamente
queste conclusioni.
Proprio da queste acquisizioni bisognerebbe invece partire, per provare a capire
realmente cosa è cambiato per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nelle
1
nostre aziende; questo soprattutto a valle dell’emanazione dei molti provvedimenti
legislativi che hanno provato a migliorare la situazione.
E’ interessante e al contempo preoccupante osservare, inoltre, come nei luoghi di
lavoro dove si rileva la sostanziale inapplicazione di ogni norma antinfortunistica, sia
sempre compresente una inapplicazione della normativa sui rapporti di lavoro (anche
di rilievo penale) e/o una presenza a vari livelli di illegalità e di criminalità
(organizzata o meno).
E’ ciò che si riscontra dalla disamina del caso dei braccianti indiani del sud pontino, e
nel caso dell’incidente occorso nei locali della Fireworks.
In questi due settori (agricoltura e fuochi d’artificio) in particolare, da anni le azioni
di denuncia esplicita e di protesta dei sindacati e di molti movimenti sociali si sono
susseguite con determinazione e continuità, portando alla ribalta e sotto gli occhi
dell’opinione pubblica verità che molti fingevano di non vedere.
E’ noto che le dinamiche alle quali abbiamo appena accennato, e che sono
ampiamente sviluppate nella relazione, hanno una diretta correlazione con il tema dei
controlli di rilievo generale e specifico (relativamente alla legislazione
antinfortunistica).
E veniamo qui ad uno dei punti che accennavo all’inizio: nelle conclusioni relative
all’inchiesta in provincia di Latina, il documento afferma che il tema dei controlli è
centrale, ed in particolare: “i controlli previsti dall’ordinamento risultano poco
efficaci in quanto necessitano di articolati interventi sul territorio con una
visione complessiva di vari fattori: immigrazione, sicurezza sul lavoro, ordine
pubblico, territorio, crimine organizzato, status previdenziale, etc. I soggetti incaricati
dell’attività di vigilanza sono diversi, (Ministero del lavoro, Guardia di Finanza,
Carabinieri, Polizia di Stato) cui ora si aggiunge l’Ispettorato Nazionale del Lavoro
(…), e risulta pertanto necessaria una attività di coordinamento con le ASL”.
Questa parte si conclude poi con l’auspicio di estensione delle competenze
dell’Ispettorato stesso e con la proposizione di meccanismi di salvaguardia e di aiuto
delle persone denuncianti fatti di rilevanza penale.
E’ necessario a questo proposito però effettuare una riflessione, e provare ad
abbozzare qualche proposta, soprattutto in relazione ai compiti ed alle attribuzioni
che sono propri della Commissione.
Nei decreti attuativi del Jobs Act, come sappiamo, si è istituito il nuovo Ispettorato
che accorpa la vigilanza di Inps, Inail e Ministero del lavoro, ma lasciandone a
tutt’oggi incerta la relazione con il coesistente sistema regionale delle Asl.
Questo oltretutto in presenza di una riforma costituzionale, in particolare dell’art.
117, che sottrae ruolo alle Regioni e che toglie loro la potestà concorrente su alcune
materie, fra cui la salute e sicurezza sul lavoro.
Come si può pensare da parte del decisore pubblico che si possa aumentare l’efficacia
dei controlli senza una strategia complessiva che affronti i problemi di cui sopra?
Si sarebbe potuto fare altro, si sarebbe potuto non dare ascolto alla campagna
mediatica e culturale, portata avanti soprattutto dalle imprese, sulla eccessiva
meticolosità dei controlli e sul loro eccessivo numero e sulla eccessiva ricorrenza
delle ispezioni nei confronti degli stessi soggetti, messi così non in grado di
competere efficacemente nel mercato globale odierno.
2
Si sarebbe potuto pensare da subito, anche in occasione dell’istituzione del nuovo
organismo, a creare un coordinamento stabile o una forma di efficace
programmazione anche con le funzioni degli Organismi di Vigilanza e Controllo delle
Asl.
E’ un errore un po' troppo evidente per non pensare che invece, dietro, vi sia la
volontà di non far funzionare mai veramente fino in fondo il sistema dei controlli,
accettando l’idea che sia possibile considerare come effetti collaterali della
produzione delle imprese gli infortuni e le malattie professionali, i lutti e le spese a
carico di singoli e collettività.
Sarebbe davvero opportuno, una volta assestatasi la situazione dal punto di vista
istituzionale e legislativo, riuscire ad effettuare un approfondimento in materia da
parte della Commissione, che provi anche ad evidenziare quello che non funziona nel
sistema vigente delle sanzioni oltre che nel tema dei controlli, provando a delineare
delle efficaci e semplici linee guida di sviluppo.
In conclusione, si possono fare le seguenti ultime osservazioni sul documento:
- nel corso delle inchieste viene rilevato come, nella gran parte dei casi, la
valutazione dei rischi e i procedimenti ad essa connessi sia stata un adempimento
meramente formale e burocratico, senza una effettiva capacità di limitazione dei
pericoli e delle criticità; questo dovrebbe essere un altro argomento al centro di una
riflessione franca e non rituale della Commissione,
- nel caso della Fireworks, la produzione avveniva costantemente violando i precetti
più semplici di cautela, e oltretutto in un contesto conosciuto di rischiosità estrema
vista la presenza di sostanze incendiabili ed esplosive.
Le evidenze ed i risultati delle inchieste rappresentano, per chi voglia prenderle in
considerazione, un ampio catalogo di situazioni che reclamano un intervento del
decisore pubblico: intervento che non può limitarsi ad azioni repressive e/o ai meri
controlli da ampliare e rendere più efficaci, ma che dovrebbe essere di più ampia
portata.
Uscendo anche qui dalla ritualità, l’abusato e non neutro termine “cultura della
sicurezza” non basta a descrivere il lavoro anche “culturale” che sarebbe necessario.
Non basta il pianto rituale ad ogni accadimento che abbia una qualche rilevanza
pubblica (e molti silenzi, di converso, per gli accadimenti che riguardano i singoli):
occorrerebbe assumere l’inaccettabilità di più di mille morti l’anno, di oltre un
milione di malattie professionali denunciate, di più di seicentomila infortuni.
Andrebbe compreso che bisogna elaborare politiche per rendere sì più semplici ed
effettivi i sistemi di prevenzione, ma senza dimenticare che di lavorare non in
sicurezza si sceglie in primis da parte degli imprenditori (piccoli o grandi non
importa) per comprimere i costi, e in seconda battuta dei lavoratori e lavoratrici che,
sotto ricatto occupazionale e con la paura dell’abbassamento del proprio già magro
reddito, accettano di mettere a rischio se stessi e la propria incolumità.
Andrebbe ricordato che in un paese dove la maggioranza delle imprese ha fra i 3 e i
dieci addetti (e che sono le imprese che secondo le statistiche Inail hanno il più alto
indice infortunistico), i sistemi di prevenzione vanno costruiti in maniera flessibile e
duttile, ed adattati il più possibile a questi contesti.
3
E bisognerebbe infine, se ciò non andasse in direzione contraria ad una vulgata anche
troppo diffusa, rafforzare l’unico sistema che funziona: il dialogo e la fattiva
collaborazione fra la direzione aziendale (RSPP, MC, DL), e le rappresentanze
sindacali (RSU,RSA,RLS), nel rispetto dei reciproci ruoli e con un rafforzamento dei
RLS che sono le rappresentanze che scontano di più il gap di poteri, informazione e
ruolo.
Una partita in cui una delle squadre gioca con le mani legate dietro la schiena è una
partita truccata: andrebbero elaborate scelte e conseguenti azioni per far sì che la
scommessa del D.Lgs. 626/94 e poi del D.Lgs. 81/08 (e della direttiva quadro
europea) possa essere finalmente vinta; nessun preteso profitto, punto di PIL,
avanzamento del sistema industriale del paese vale le vite e le sofferenze di un così
grande numero di uomini e donne.
VALUTAZIONI DELLE POLITICHE PUBBLICHE
La nota in questione è assolutamente apprezzabile, sia per il contenuto che per il
metodo utilizzato nell’elaborazione; di più, essa arriva a conclusioni importanti e
anche condivisibili, che vanno assolutamente assunte e sviluppate.
In particolare, sembra subito molto interessante la scelta operata dagli estensori di
rivolgere il lavoro della Commissione verso una valutazione ex post degli interventi
derivanti dall’art. 11 dell’ 81, cioè di quei processi “promozionali” di finanziamento
di progetti da parte dell’Inail o delle Regioni (nei confronti delle imprese, in
particolare delle PMI, delle scuole come delle università).
Molto dettagliate e argomentate sono infatti le ragioni di questa possibile scelta, e
pertinenti dal punto di vista scientifico ed operativo.
Da un punto di vista più generale, si possono inoltre rafforzare le argomentazioni e
l’opportunità della scelta osservando qualche dato.
Ad esempio, l’Inail ha destinato in poco più di quattro anni circa un miliardo e
seicentomila euro al finanziamento di progetti aziendali volti al miglioramento delle
condizioni di salute e sicurezza nelle imprese italiane.
A ciò si aggiungano gli sconti dei premi effettuati alle Piccole Medie Imprese
attraverso il cosiddetto modulo OT24, o iniziative particolari come gli incentivi alle
ditte che presentano piani per le bonifiche dei propri impianti dall’amianto (circa 80
min di euro solo quest’anno).
Da più parti si è evidenziato come, oltre alle verifiche a campione dello stesso istituto
sui progetti e sulla effettiva regolarità amministrativa e contabile, non ci sia stato
alcun monitoraggio delle politiche stesse di finanziamento in materia di efficacia ed
effettività e nessuna conseguente valutazione della scelta politica effettuata dal
legislatore del 2008 è stata finora attuata, se non in forma di report statistici dell’Inail.
Azioni che comportano così elevati volumi economici andrebbero indagate a fondo,
soprattutto perché le stesse quantità finanziarie potrebbero essere impiegate altrimenti
in azioni eventualmente più efficaci e più positive per il sistema paese.
E non sembra convincente neanche l’argomento che viene talvolta sollevato, che
questi investimenti pubblici rappresenterebbero comunque una azione di politica
4
economica anticiclica: esso ricadrebbe nell’ambito di una visione strettamente
economicista e miope della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.
Quasi che investire in salute e sicurezza sia una possibilità esistente solo in cicli
economici favorevoli, e non un fattore di competitività delle imprese e di risparmio
per le stesse aziende (che eviterebbero malattie professionali ed infortuni che sono
comunque un costo per l’impresa stessa), oltreché per le finanze pubbliche.
In conclusione, la scelta della Commissione di dare inizio a questa procedura
valutativa sarebbe opportuna e utile; inoltre si può affermare che, in seguito a questo
percorso e ad un eventuale esito positivo, si potrebbe usare lo stesso metodo per
proporre di effettuare una valutazione (ormai a otto anni dalla sua prima
approvazione) degli effetti del TU 81 sulla situazione di salute e sicurezza nel nostro
paese.
E’ stato fatto per il 626, si può fare anche per ciò che è venuto dopo.
Oltre a quanto esposto, l’indagine qui abbozzata avrebbe il merito di riportare il
dibattito sui dati di fatto, trascurando finalmente campagne di opinione o prese di
posizione basate su opzioni ideologiche o sul sentito dire, se non vere e proprie
mistificazioni da parte di rappresentanti di pur legittimi interessi.
Osservazioni sull'AS 2489 (Disposizioni per il miglioramento sostanziale della
salute e sicurezza dei lavoratori) presentato in Senato dai sen. Sacconi e Fuksia
A seguito di quanto esposto precedentemente, sembra proprio andare in direzione
opposta il disegno di legge presentato al Senato su iniziativa del senatore Sacconi e
della senatrice Fuksia nello scorso mese di agosto.
Non sembri un atto di eccessiva contrapposizione, ed in nessun modo di livello
personale, quanto qui si intende dire qui al riguardo.
Il contenuto di questo progetto di iniziativa legislativa è, a nostro parere, l’ennesimo
atto di una campagna ideologica e non basata sui dati di fatto ma elaborata sulla base
di precisi interessi di settori dell’imprenditoria e di settori dell’associazionismo
professionale del nostro paese.
Il senatore Sacconi, del resto, all’indomani della caduta del governo Prodi fu il primo
(in qualità di ministro) a presentare una modifica peggiorativa (a nostro punto di
vista) dell’appena emanato testo unico sulla sicurezza: egli rese infatti più difficile,
attraverso le limitazioni all’accesso al DVR da parte del RLS, il ruolo del RLS stesso
e ancor più preponderante nel sistema di protezione quello della direzione aziendale.
Ma il senatore Sacconi in questi anni trascorsi non è rimasto solo: ricordiamo le
modifiche effettuate dai vari decreti “semplificazioni”, dal cosiddetto “decreto del
fare”, dai vari commi, emendamenti e codicilli presenti in leggi di stabilità, decreti
omnibus, milleproroghe etc; si può quasi dire, senza tema di smentita, che nel
panorama delle legislazioni degli ultimi anni quella del D.Lgs. 81/08 è stata una delle
più osteggiate e rimaneggiate.
Questo è comprensibile, le acquisizioni dovute alla nuova normativa prevenzionale
cozzano con le esigenze di un sistema produttivo alle prese con una competizione
internazionale nel mercato globale, che ha scelto una via bassa allo sviluppo, che non
5
investe né in produzioni, né in innovazione né in benessere organizzativo delle
imprese.
Ma queste azioni di deregulation e di smantellamento delle tutele in campo
lavoristico e di salute e sicurezza vengono da lontano.
Negli anni le idee liberiste hanno fatto arretrare in tutto il continente le tutele e i
diritti dei lavoratori, tralasciando qui molte questioni, si pensi ad esempio per quanto
riguarda le materie di competenza della Commissione all’indebolimento delle
direttive europee in materia elaborate dalla “commissione Stoiber” e dal progetto
REFIT.
Nel contesto italiano, anche la salute e sicurezza dei lavoratori è stata individuata
come un fattore di costo ridondante, per arrivare al concetto sacconiano (ripreso
anche in questo progetto di legge fin nel titolo) di “sostanzialità” dell’azione
prevenzionale, che ovviamente significa meno diritti per i lavoratori e meno vincoli
allo strapotere delle imprese.
Il citato DDL, inoltre, propone l’abolizione del D.Lgs. 81/08 tout court, per sostituirlo
con un testo più leggero; ma la tecnica legislativa e la stessa scrittura sono a nostro
avviso assai carenti; molte delle leggi italiane ormai sono elaborate con bassa qualità
e senza tener conto degli effetti delle norme sul corpus normativo più generale.
Il DdL consta di 22 articoli e 5 allegati, il cui scopo (a nostro avviso) è proprio quello
di depotenziare o rendere inefficaci quelle parti più innovative o particolarmente
efficaci del D.Lgs 81/08 .
Vogliamo esaminare qualche esempio?
La definizione di lavoratore che identifica come tale qualsiasi persona che presti la
propria opera in un contesto produttivo (senza considerazione per la durata) viene
modificata per ridurre ancora di più le tutele dei lavoratori con contratti non standard,
i cosiddetti “flessibili” o “atipici” . La tutela viene considerata solo per la “persona
impiegata in modo non episodico per attività di lavoro”.
Si deciderebbe così, quindi, di escludere da qualsiasi tipo di tutela la vasta area dei
lavoratori che prestano la propria opera in regime di voucher, che non a caso
registrano oggi dopo il Jobs Act un aumento esponenziale.
Il DDL intenderebbe poi attenuare le responsabilità del datore di lavoro (fino ad
annullarle) rispetto alla qualità della valutazione e gestione dei rischi, demandando a
medici del lavoro e altri professionisti (dallo stesso retribuiti) di riferimento il
compito e l’onere di certificare la regolarità delle condizioni di salute e sicurezza sul
lavoro.
Il datore di lavoro verrebbe così “sollevato” dalla responsabilità anche penale. Il
ruolo di questi professionisti andrebbe addirittura a “supporto” della vigilanza
pubblica, che verrebbe interessata solamente in caso di certificazioni fraudolente,
false o rese con colpa grave professionale.
Di più: gli Organismi di Vigilanza e la magistratura interverrebbero con semplici
“disposizioni” prescrittive nei confronti dei datori di lavoro, che sarebbero altresì
impugnabili, e solamente in caso di mancato rispetto del provvedimento sarebbe
prevista la sanzione penale (arresto e ammenda).
Ma non finisce qui.
6
Nel campo della responsabilità del datore di lavoro, si va ben oltre l'esimente prevista
all'art. 30 del D.Lgs. 81/08 in combinato disposto con il D.Lgs 231/01.
La stessa responsabilità del datore di lavoro verrebbe configurata come “colpa di
organizzazione” che non sussiste se sia DL stesso dimostra di “aver posto in essere
tutte le misure organizzative idonee rispetto alle esigenze di tutela”.
E infine, vera causa e scopo del provvedimento a nostro avviso, la responsabilità
penale del datore di lavoro verrebbe meno in caso di infortunio che sia derivato da
grave negligenza del dirigente, del preposto o perfino del lavoratore!
La filiera della responsabilità viene ricondotta così verso il basso, verso quadri e
preposti e infine verso i lavoratori per i quali vengono incrementate le sanzioni
penali; un tema molto caro da molti anni a settori di rappresentanza delle imprese in
Italia.
Ma veniamo ora ad un punto, l’ultimo che vogliamo richiamare ed uno dei più
controversi e, a nostro parere, dannosi.
Il DdL prevede infatti anche che il recepimento delle Direttive europee in materia di
salute e sicurezza sul lavoro sia limitato esclusivamente al rispetto dei livelli
inderogabili di tutela indicati nelle direttive stesse, eliminando così tutti le eventuali
successive regolazioni che sono ritenute superflue o sovrabbondanti.
In pratica, migliorare una direttiva europea (che di per sé è una norma leggera che
deve tenere uniti ormai 27 paesi con norme e sistemi prevenzionistici molto diversi
fra loro) non sarebbe più possibile, rendendo per questa via non più attuabile una
pratica virtuosa, che ad esempio in Italia ha portato nel tempo ad importanti
acquisizioni e a conquiste ulteriori per lavoratori e lavoratrici.
Ci fermiamo qui nell’esame, ma vorremmo affermare che questo disegno di legge
sarà da noi avversato nelle sedi competenti, e anzi riteniamo che a nostro avviso, per
la qualità ed il livello delle modificazioni negative che comporta per il nostro sistema
di tutela, esso non dovrebbe neanche essere posto in discussione.
Questo non perché frutto di ubbie personali, ma perché ad esempio tutte le rilevanze e
le emergenze che sono frutto delle inchieste di cui si è trattato prima non
troverebbero risposta e/o soluzione alcuna.
Insomma, in sintesi, una toppa peggiore del buco.
“Smart working” o lavoro agile e salute e sicurezza
Come è certamente noto, prima della pausa estiva la Commissione lavoro del Senato
ha varato delle modifiche alla recente norma sul lavoro agile.
Anche a questo proposito vorremmo esprimere qualche elemento di preoccupazione
in relazione a quanto detto finora.
La sfida della tutela dei lavoratori che scelgono questa modalità di prestazione
lavorativa è importante, poiché si tratta di rispondere a qualcosa che emerge
direttamente dal cambiamento dei tempi e delle modalità produttive.
Senza entrare in analisi che sappiamo essere patrimonio di tutti gli esperti, proviamo
però a dire alcune cose:
- è sicuramente positivo il recupero della tutela Inail per gli infortuni e le MP anche
per questi lavoratori, anche se bisognerà stare molto attenti a come essa si
concretizzerà;
7
- il ruolo del DL non può limitarsi, come è scritto nelle proposte di modifica della
norma, alla consegna annuale al lavoratore di una informativa generica sui rischi e
non propiziare in nessun modo una sua necessaria interazione con le figure della
prevenzione aziendale;
- è molto negativo inoltre, e per ovvi motivi, che si sia cassata la previsione che
all’art. 20 rendeva possibile il miglioramento della norma attraverso la
contrattazione collettiva di livello nazionale con le organizzazioni sindacali.
Anche su queste forme di lavoro e sui conseguenti nuovi rischi che emergono sarebbe
fruttuoso e utile immaginare approfondimenti e inchieste che sono il compito
principale di questa Commissione.
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197 2016 nota barozzino-calleri_relazione commissione

  • 1. NOTA SULLA RELAZIONE INTERMEDIA DELL’ATTIVITA’ DELLA COMMISSIONE INFORTUNI SENATO (A cura del Sen. Barozzino in collaborazione con Sebastiano Calleri, responsabile nazionale Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro della Cgil). Il documento in esame si occupa di molte criticità tuttora persistenti nel nostro sistema nazionale di prevenzione e degli accadimenti da queste generate. Essendo molto chiaro e perfino esaustivo nelle sue analisi, ci rivela qual è il livello costante e quotidiano di violazione delle regole e della normativa - e in alcuni casi anche delle norme di semplice buonsenso - che avviene nel nostro paese. Nelle conclusioni che chiosano i vari paragrafi - a volte anche molto dure nella sostanza - si indicano inoltre un certo numero di possibili percorsi di miglioramento di questo o quell’altro aspetto del problema, che però rischiano di essere solo eco di decisioni altrove intraprese, o di posizioni politiche eccessivamente connotate o comunque di momentanei flussi di interesse dell’opinione pubblica. Il tipo di inchieste e sopralluoghi che sono stati effettuati nel corso del 2016 dalla Commissione, e che possono sembrare a prima vista fra loro eterogenei, descrivono però bene qual è la situazione: un paese in cui per molti anni si è investito in un modello di sviluppo che non teneva in nessun conto - se non in spregio - le condizioni di lavoro e di salute degli addetti e delle addette del settore industriale (e non solo); un modello che non teneva altresì in nessun conto i diritti all’incolumità delle persone e i diritti di intere comunità ad un ambiente salubre e sicuro (in occasione di lavoro o nella vita quotidiana); un modello che nel nome di un malinteso “progresso” ha determinato effetti nefasti per i singoli ed intere regioni o parti di esse. Un modello che, inoltre, ha avuto rilevanti effetti sulla sanità pubblica e sulla assegnazione ed utilizzo delle relative risorse. Come giudicare altrimenti quello che si è rilevato in relazione alla Isochimica di Avellino, che porta il report ad affermare nelle conclusioni che “…tutta la gestione dell’Isochimica è avvenuta in spregio di qualsiasi tutela ambientale dentro e fuori lo stabilimento…”? E parliamo di avvenimenti che si dipanano in un periodo di lunghezza incredibile, dal 1982 agli anni 2000, e che nelle loro conseguenze continuano anche oggi ed ancora continueranno per qualche tempo nel futuro (come ad esempio le bonifiche). Ma oltre a questo tema di ordine generale, la vicenda di Isochimica (come altre) ci descrive condizioni di lavoro davvero insopportabili, e un sostanziale mancato funzionamento e addirittura istituzione di qualsiasi sistema aziendale di prevenzione. Si dirà: “…sono cose del passato! All’epoca non c’era il 626, figuriamoci il resto! Era un paese arretrato, un’altra epoca!”. Sarebbe fortemente consolatorio credere a queste affermazioni, ma purtroppo il contenuto delle inchieste sintetizzate nella relazione smentisce categoricamente queste conclusioni. Proprio da queste acquisizioni bisognerebbe invece partire, per provare a capire realmente cosa è cambiato per la tutela della salute e sicurezza dei lavoratori nelle 1
  • 2. nostre aziende; questo soprattutto a valle dell’emanazione dei molti provvedimenti legislativi che hanno provato a migliorare la situazione. E’ interessante e al contempo preoccupante osservare, inoltre, come nei luoghi di lavoro dove si rileva la sostanziale inapplicazione di ogni norma antinfortunistica, sia sempre compresente una inapplicazione della normativa sui rapporti di lavoro (anche di rilievo penale) e/o una presenza a vari livelli di illegalità e di criminalità (organizzata o meno). E’ ciò che si riscontra dalla disamina del caso dei braccianti indiani del sud pontino, e nel caso dell’incidente occorso nei locali della Fireworks. In questi due settori (agricoltura e fuochi d’artificio) in particolare, da anni le azioni di denuncia esplicita e di protesta dei sindacati e di molti movimenti sociali si sono susseguite con determinazione e continuità, portando alla ribalta e sotto gli occhi dell’opinione pubblica verità che molti fingevano di non vedere. E’ noto che le dinamiche alle quali abbiamo appena accennato, e che sono ampiamente sviluppate nella relazione, hanno una diretta correlazione con il tema dei controlli di rilievo generale e specifico (relativamente alla legislazione antinfortunistica). E veniamo qui ad uno dei punti che accennavo all’inizio: nelle conclusioni relative all’inchiesta in provincia di Latina, il documento afferma che il tema dei controlli è centrale, ed in particolare: “i controlli previsti dall’ordinamento risultano poco efficaci in quanto necessitano di articolati interventi sul territorio con una visione complessiva di vari fattori: immigrazione, sicurezza sul lavoro, ordine pubblico, territorio, crimine organizzato, status previdenziale, etc. I soggetti incaricati dell’attività di vigilanza sono diversi, (Ministero del lavoro, Guardia di Finanza, Carabinieri, Polizia di Stato) cui ora si aggiunge l’Ispettorato Nazionale del Lavoro (…), e risulta pertanto necessaria una attività di coordinamento con le ASL”. Questa parte si conclude poi con l’auspicio di estensione delle competenze dell’Ispettorato stesso e con la proposizione di meccanismi di salvaguardia e di aiuto delle persone denuncianti fatti di rilevanza penale. E’ necessario a questo proposito però effettuare una riflessione, e provare ad abbozzare qualche proposta, soprattutto in relazione ai compiti ed alle attribuzioni che sono propri della Commissione. Nei decreti attuativi del Jobs Act, come sappiamo, si è istituito il nuovo Ispettorato che accorpa la vigilanza di Inps, Inail e Ministero del lavoro, ma lasciandone a tutt’oggi incerta la relazione con il coesistente sistema regionale delle Asl. Questo oltretutto in presenza di una riforma costituzionale, in particolare dell’art. 117, che sottrae ruolo alle Regioni e che toglie loro la potestà concorrente su alcune materie, fra cui la salute e sicurezza sul lavoro. Come si può pensare da parte del decisore pubblico che si possa aumentare l’efficacia dei controlli senza una strategia complessiva che affronti i problemi di cui sopra? Si sarebbe potuto fare altro, si sarebbe potuto non dare ascolto alla campagna mediatica e culturale, portata avanti soprattutto dalle imprese, sulla eccessiva meticolosità dei controlli e sul loro eccessivo numero e sulla eccessiva ricorrenza delle ispezioni nei confronti degli stessi soggetti, messi così non in grado di competere efficacemente nel mercato globale odierno. 2
  • 3. Si sarebbe potuto pensare da subito, anche in occasione dell’istituzione del nuovo organismo, a creare un coordinamento stabile o una forma di efficace programmazione anche con le funzioni degli Organismi di Vigilanza e Controllo delle Asl. E’ un errore un po' troppo evidente per non pensare che invece, dietro, vi sia la volontà di non far funzionare mai veramente fino in fondo il sistema dei controlli, accettando l’idea che sia possibile considerare come effetti collaterali della produzione delle imprese gli infortuni e le malattie professionali, i lutti e le spese a carico di singoli e collettività. Sarebbe davvero opportuno, una volta assestatasi la situazione dal punto di vista istituzionale e legislativo, riuscire ad effettuare un approfondimento in materia da parte della Commissione, che provi anche ad evidenziare quello che non funziona nel sistema vigente delle sanzioni oltre che nel tema dei controlli, provando a delineare delle efficaci e semplici linee guida di sviluppo. In conclusione, si possono fare le seguenti ultime osservazioni sul documento: - nel corso delle inchieste viene rilevato come, nella gran parte dei casi, la valutazione dei rischi e i procedimenti ad essa connessi sia stata un adempimento meramente formale e burocratico, senza una effettiva capacità di limitazione dei pericoli e delle criticità; questo dovrebbe essere un altro argomento al centro di una riflessione franca e non rituale della Commissione, - nel caso della Fireworks, la produzione avveniva costantemente violando i precetti più semplici di cautela, e oltretutto in un contesto conosciuto di rischiosità estrema vista la presenza di sostanze incendiabili ed esplosive. Le evidenze ed i risultati delle inchieste rappresentano, per chi voglia prenderle in considerazione, un ampio catalogo di situazioni che reclamano un intervento del decisore pubblico: intervento che non può limitarsi ad azioni repressive e/o ai meri controlli da ampliare e rendere più efficaci, ma che dovrebbe essere di più ampia portata. Uscendo anche qui dalla ritualità, l’abusato e non neutro termine “cultura della sicurezza” non basta a descrivere il lavoro anche “culturale” che sarebbe necessario. Non basta il pianto rituale ad ogni accadimento che abbia una qualche rilevanza pubblica (e molti silenzi, di converso, per gli accadimenti che riguardano i singoli): occorrerebbe assumere l’inaccettabilità di più di mille morti l’anno, di oltre un milione di malattie professionali denunciate, di più di seicentomila infortuni. Andrebbe compreso che bisogna elaborare politiche per rendere sì più semplici ed effettivi i sistemi di prevenzione, ma senza dimenticare che di lavorare non in sicurezza si sceglie in primis da parte degli imprenditori (piccoli o grandi non importa) per comprimere i costi, e in seconda battuta dei lavoratori e lavoratrici che, sotto ricatto occupazionale e con la paura dell’abbassamento del proprio già magro reddito, accettano di mettere a rischio se stessi e la propria incolumità. Andrebbe ricordato che in un paese dove la maggioranza delle imprese ha fra i 3 e i dieci addetti (e che sono le imprese che secondo le statistiche Inail hanno il più alto indice infortunistico), i sistemi di prevenzione vanno costruiti in maniera flessibile e duttile, ed adattati il più possibile a questi contesti. 3
  • 4. E bisognerebbe infine, se ciò non andasse in direzione contraria ad una vulgata anche troppo diffusa, rafforzare l’unico sistema che funziona: il dialogo e la fattiva collaborazione fra la direzione aziendale (RSPP, MC, DL), e le rappresentanze sindacali (RSU,RSA,RLS), nel rispetto dei reciproci ruoli e con un rafforzamento dei RLS che sono le rappresentanze che scontano di più il gap di poteri, informazione e ruolo. Una partita in cui una delle squadre gioca con le mani legate dietro la schiena è una partita truccata: andrebbero elaborate scelte e conseguenti azioni per far sì che la scommessa del D.Lgs. 626/94 e poi del D.Lgs. 81/08 (e della direttiva quadro europea) possa essere finalmente vinta; nessun preteso profitto, punto di PIL, avanzamento del sistema industriale del paese vale le vite e le sofferenze di un così grande numero di uomini e donne. VALUTAZIONI DELLE POLITICHE PUBBLICHE La nota in questione è assolutamente apprezzabile, sia per il contenuto che per il metodo utilizzato nell’elaborazione; di più, essa arriva a conclusioni importanti e anche condivisibili, che vanno assolutamente assunte e sviluppate. In particolare, sembra subito molto interessante la scelta operata dagli estensori di rivolgere il lavoro della Commissione verso una valutazione ex post degli interventi derivanti dall’art. 11 dell’ 81, cioè di quei processi “promozionali” di finanziamento di progetti da parte dell’Inail o delle Regioni (nei confronti delle imprese, in particolare delle PMI, delle scuole come delle università). Molto dettagliate e argomentate sono infatti le ragioni di questa possibile scelta, e pertinenti dal punto di vista scientifico ed operativo. Da un punto di vista più generale, si possono inoltre rafforzare le argomentazioni e l’opportunità della scelta osservando qualche dato. Ad esempio, l’Inail ha destinato in poco più di quattro anni circa un miliardo e seicentomila euro al finanziamento di progetti aziendali volti al miglioramento delle condizioni di salute e sicurezza nelle imprese italiane. A ciò si aggiungano gli sconti dei premi effettuati alle Piccole Medie Imprese attraverso il cosiddetto modulo OT24, o iniziative particolari come gli incentivi alle ditte che presentano piani per le bonifiche dei propri impianti dall’amianto (circa 80 min di euro solo quest’anno). Da più parti si è evidenziato come, oltre alle verifiche a campione dello stesso istituto sui progetti e sulla effettiva regolarità amministrativa e contabile, non ci sia stato alcun monitoraggio delle politiche stesse di finanziamento in materia di efficacia ed effettività e nessuna conseguente valutazione della scelta politica effettuata dal legislatore del 2008 è stata finora attuata, se non in forma di report statistici dell’Inail. Azioni che comportano così elevati volumi economici andrebbero indagate a fondo, soprattutto perché le stesse quantità finanziarie potrebbero essere impiegate altrimenti in azioni eventualmente più efficaci e più positive per il sistema paese. E non sembra convincente neanche l’argomento che viene talvolta sollevato, che questi investimenti pubblici rappresenterebbero comunque una azione di politica 4
  • 5. economica anticiclica: esso ricadrebbe nell’ambito di una visione strettamente economicista e miope della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Quasi che investire in salute e sicurezza sia una possibilità esistente solo in cicli economici favorevoli, e non un fattore di competitività delle imprese e di risparmio per le stesse aziende (che eviterebbero malattie professionali ed infortuni che sono comunque un costo per l’impresa stessa), oltreché per le finanze pubbliche. In conclusione, la scelta della Commissione di dare inizio a questa procedura valutativa sarebbe opportuna e utile; inoltre si può affermare che, in seguito a questo percorso e ad un eventuale esito positivo, si potrebbe usare lo stesso metodo per proporre di effettuare una valutazione (ormai a otto anni dalla sua prima approvazione) degli effetti del TU 81 sulla situazione di salute e sicurezza nel nostro paese. E’ stato fatto per il 626, si può fare anche per ciò che è venuto dopo. Oltre a quanto esposto, l’indagine qui abbozzata avrebbe il merito di riportare il dibattito sui dati di fatto, trascurando finalmente campagne di opinione o prese di posizione basate su opzioni ideologiche o sul sentito dire, se non vere e proprie mistificazioni da parte di rappresentanti di pur legittimi interessi. Osservazioni sull'AS 2489 (Disposizioni per il miglioramento sostanziale della salute e sicurezza dei lavoratori) presentato in Senato dai sen. Sacconi e Fuksia A seguito di quanto esposto precedentemente, sembra proprio andare in direzione opposta il disegno di legge presentato al Senato su iniziativa del senatore Sacconi e della senatrice Fuksia nello scorso mese di agosto. Non sembri un atto di eccessiva contrapposizione, ed in nessun modo di livello personale, quanto qui si intende dire qui al riguardo. Il contenuto di questo progetto di iniziativa legislativa è, a nostro parere, l’ennesimo atto di una campagna ideologica e non basata sui dati di fatto ma elaborata sulla base di precisi interessi di settori dell’imprenditoria e di settori dell’associazionismo professionale del nostro paese. Il senatore Sacconi, del resto, all’indomani della caduta del governo Prodi fu il primo (in qualità di ministro) a presentare una modifica peggiorativa (a nostro punto di vista) dell’appena emanato testo unico sulla sicurezza: egli rese infatti più difficile, attraverso le limitazioni all’accesso al DVR da parte del RLS, il ruolo del RLS stesso e ancor più preponderante nel sistema di protezione quello della direzione aziendale. Ma il senatore Sacconi in questi anni trascorsi non è rimasto solo: ricordiamo le modifiche effettuate dai vari decreti “semplificazioni”, dal cosiddetto “decreto del fare”, dai vari commi, emendamenti e codicilli presenti in leggi di stabilità, decreti omnibus, milleproroghe etc; si può quasi dire, senza tema di smentita, che nel panorama delle legislazioni degli ultimi anni quella del D.Lgs. 81/08 è stata una delle più osteggiate e rimaneggiate. Questo è comprensibile, le acquisizioni dovute alla nuova normativa prevenzionale cozzano con le esigenze di un sistema produttivo alle prese con una competizione internazionale nel mercato globale, che ha scelto una via bassa allo sviluppo, che non 5
  • 6. investe né in produzioni, né in innovazione né in benessere organizzativo delle imprese. Ma queste azioni di deregulation e di smantellamento delle tutele in campo lavoristico e di salute e sicurezza vengono da lontano. Negli anni le idee liberiste hanno fatto arretrare in tutto il continente le tutele e i diritti dei lavoratori, tralasciando qui molte questioni, si pensi ad esempio per quanto riguarda le materie di competenza della Commissione all’indebolimento delle direttive europee in materia elaborate dalla “commissione Stoiber” e dal progetto REFIT. Nel contesto italiano, anche la salute e sicurezza dei lavoratori è stata individuata come un fattore di costo ridondante, per arrivare al concetto sacconiano (ripreso anche in questo progetto di legge fin nel titolo) di “sostanzialità” dell’azione prevenzionale, che ovviamente significa meno diritti per i lavoratori e meno vincoli allo strapotere delle imprese. Il citato DDL, inoltre, propone l’abolizione del D.Lgs. 81/08 tout court, per sostituirlo con un testo più leggero; ma la tecnica legislativa e la stessa scrittura sono a nostro avviso assai carenti; molte delle leggi italiane ormai sono elaborate con bassa qualità e senza tener conto degli effetti delle norme sul corpus normativo più generale. Il DdL consta di 22 articoli e 5 allegati, il cui scopo (a nostro avviso) è proprio quello di depotenziare o rendere inefficaci quelle parti più innovative o particolarmente efficaci del D.Lgs 81/08 . Vogliamo esaminare qualche esempio? La definizione di lavoratore che identifica come tale qualsiasi persona che presti la propria opera in un contesto produttivo (senza considerazione per la durata) viene modificata per ridurre ancora di più le tutele dei lavoratori con contratti non standard, i cosiddetti “flessibili” o “atipici” . La tutela viene considerata solo per la “persona impiegata in modo non episodico per attività di lavoro”. Si deciderebbe così, quindi, di escludere da qualsiasi tipo di tutela la vasta area dei lavoratori che prestano la propria opera in regime di voucher, che non a caso registrano oggi dopo il Jobs Act un aumento esponenziale. Il DDL intenderebbe poi attenuare le responsabilità del datore di lavoro (fino ad annullarle) rispetto alla qualità della valutazione e gestione dei rischi, demandando a medici del lavoro e altri professionisti (dallo stesso retribuiti) di riferimento il compito e l’onere di certificare la regolarità delle condizioni di salute e sicurezza sul lavoro. Il datore di lavoro verrebbe così “sollevato” dalla responsabilità anche penale. Il ruolo di questi professionisti andrebbe addirittura a “supporto” della vigilanza pubblica, che verrebbe interessata solamente in caso di certificazioni fraudolente, false o rese con colpa grave professionale. Di più: gli Organismi di Vigilanza e la magistratura interverrebbero con semplici “disposizioni” prescrittive nei confronti dei datori di lavoro, che sarebbero altresì impugnabili, e solamente in caso di mancato rispetto del provvedimento sarebbe prevista la sanzione penale (arresto e ammenda). Ma non finisce qui. 6
  • 7. Nel campo della responsabilità del datore di lavoro, si va ben oltre l'esimente prevista all'art. 30 del D.Lgs. 81/08 in combinato disposto con il D.Lgs 231/01. La stessa responsabilità del datore di lavoro verrebbe configurata come “colpa di organizzazione” che non sussiste se sia DL stesso dimostra di “aver posto in essere tutte le misure organizzative idonee rispetto alle esigenze di tutela”. E infine, vera causa e scopo del provvedimento a nostro avviso, la responsabilità penale del datore di lavoro verrebbe meno in caso di infortunio che sia derivato da grave negligenza del dirigente, del preposto o perfino del lavoratore! La filiera della responsabilità viene ricondotta così verso il basso, verso quadri e preposti e infine verso i lavoratori per i quali vengono incrementate le sanzioni penali; un tema molto caro da molti anni a settori di rappresentanza delle imprese in Italia. Ma veniamo ora ad un punto, l’ultimo che vogliamo richiamare ed uno dei più controversi e, a nostro parere, dannosi. Il DdL prevede infatti anche che il recepimento delle Direttive europee in materia di salute e sicurezza sul lavoro sia limitato esclusivamente al rispetto dei livelli inderogabili di tutela indicati nelle direttive stesse, eliminando così tutti le eventuali successive regolazioni che sono ritenute superflue o sovrabbondanti. In pratica, migliorare una direttiva europea (che di per sé è una norma leggera che deve tenere uniti ormai 27 paesi con norme e sistemi prevenzionistici molto diversi fra loro) non sarebbe più possibile, rendendo per questa via non più attuabile una pratica virtuosa, che ad esempio in Italia ha portato nel tempo ad importanti acquisizioni e a conquiste ulteriori per lavoratori e lavoratrici. Ci fermiamo qui nell’esame, ma vorremmo affermare che questo disegno di legge sarà da noi avversato nelle sedi competenti, e anzi riteniamo che a nostro avviso, per la qualità ed il livello delle modificazioni negative che comporta per il nostro sistema di tutela, esso non dovrebbe neanche essere posto in discussione. Questo non perché frutto di ubbie personali, ma perché ad esempio tutte le rilevanze e le emergenze che sono frutto delle inchieste di cui si è trattato prima non troverebbero risposta e/o soluzione alcuna. Insomma, in sintesi, una toppa peggiore del buco. “Smart working” o lavoro agile e salute e sicurezza Come è certamente noto, prima della pausa estiva la Commissione lavoro del Senato ha varato delle modifiche alla recente norma sul lavoro agile. Anche a questo proposito vorremmo esprimere qualche elemento di preoccupazione in relazione a quanto detto finora. La sfida della tutela dei lavoratori che scelgono questa modalità di prestazione lavorativa è importante, poiché si tratta di rispondere a qualcosa che emerge direttamente dal cambiamento dei tempi e delle modalità produttive. Senza entrare in analisi che sappiamo essere patrimonio di tutti gli esperti, proviamo però a dire alcune cose: - è sicuramente positivo il recupero della tutela Inail per gli infortuni e le MP anche per questi lavoratori, anche se bisognerà stare molto attenti a come essa si concretizzerà; 7
  • 8. - il ruolo del DL non può limitarsi, come è scritto nelle proposte di modifica della norma, alla consegna annuale al lavoratore di una informativa generica sui rischi e non propiziare in nessun modo una sua necessaria interazione con le figure della prevenzione aziendale; - è molto negativo inoltre, e per ovvi motivi, che si sia cassata la previsione che all’art. 20 rendeva possibile il miglioramento della norma attraverso la contrattazione collettiva di livello nazionale con le organizzazioni sindacali. Anche su queste forme di lavoro e sui conseguenti nuovi rischi che emergono sarebbe fruttuoso e utile immaginare approfondimenti e inchieste che sono il compito principale di questa Commissione. 8