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Lo sbarco
Leuca, 865
Comparvero all’alba, notati da alcuni
 dei nostri servitori che lavoravano nei
   campi: si stagliavano sull’orizzonte
   chiaro del sole nascente con le loro
  barche di legno dondolanti con fare
pigro sulle acque chiare e appena mosse
                  del mare.
Avevano urlato “Barche! Barche
    all’orizzonte!” ed io e mio marito,
         incuriositi dalle voci che si
      sovrapponevano in un misto di
   eccitazione e paura, decidemmo di
     andare a vedere che cosa stesse
                 accadendo.
Quando le barche si avvicinarono
     ulteriormente, un uomo si pose a
prua, avvolto nel suo imponente mantello
                   nero.
Guardava la terra a cui si avvicinava
    con occhi duri e malinconici, che
sembravano portare con loro il dolore di
    un qualcosa di amato e perduto.
  Dietro di lui, altre figure avvolte in
    abiti neri erano sedute a coppie, e
 volgevano gli occhi speranzosi verso la
 riva. Gli uomini con più decisione, le
        donne quasi con tenerezza.
Li vedemmo sbarcare sulla nostra terra,
 aiutati dai servitori a tirare la barca a riva.
Appena sceso dall’imbarcazione sulla soffice
 sabbia bianca, l’uomo che era a prua parlò,
    alzando le mani al cielo, scoprendo un
  crocifisso sul suo petto: “Abitanti di questa
     meravigliosa terra, veniamo in pace.
Siamo monaci fuggiti dalla nostra amata
 terra, la Cappadocia. In nome di Dio,
di suo figlio Gesù Cristo e della Vergine,
vi preghiamo di lasciarci accampare per una
   notte, una sola, poi riprenderemo il nostro
                 cammino altrove.”
Guardai mio marito, rivolgendogli uno
  sguardo supplicante e preoccupato per
quegli uomini e quelle donne che avevano
 attraversato il mare per salvarsi. Dissi,
 guardando la servitù: “Sono cristiani
    come noi. Accogliamoli, dopotutto
  abbiamo molte stanze, aiutiamo questi
              poveri uomini.”.
 Con un cenno d’assenso egli mi diede il
 permesso, e subito lo abbracciai, per poi
dirigermi da quello che sembrava l’abate.
      Qui abbozzai un inchino, e
 guardandolo negli occhi addolorati, gli
assicurai la nostra completa disponibilità.
Vidi la speranza nascere nei suoi occhi
come il sole stava nascendo alle sue spalle,
       pieno di tenere sfumature che
     macchiavano allegramente il cielo:
   sembrava una splendida giornata per
pensare al futuro, un nuovo futuro radioso.
 L’alba di un nuovo giorno si leggerva
    negli occhi dell’abate, “Oh grazie,
 grazie, gentile signora! Che Dio possa
  benedirvi!” mi rispose con entusiasmo.
Gli sorrisi, e lo condussi nella nostra
     masseria, grande edificio che, dalla
collina, dominava tutti i possedimenti verdi
 e lussureggianti di quella parte di mondo
 così generosa che abitavamo. Lì, dove il
sole era sempre caldo e materno ed il mare
     un ponte per il meraviglioso oriente.
Sistemai i monaci e le loro mogli in
diverse stanze. Ci informarono sul motivo
  della loro fuga, poi m’intrattenni con le
 donne, fui confidente delle loro paure, dei
        loro racconti pieni di terrore.
     Mi parlarono delle persecuzioni
 iconoclaste che l’imperatore ora seduto in
    trono, Leone III Isaurico, stava
     mettendo in atto in tutto l’impero
                 bizantino.
   Mi descrissero con orrore le terribili
   torture che i monaci erano costretti a
subire. Venivano imprigionati e bruciati,
     tutte le immagini sacre distrutte a
                 martellate.
Le loro voci tremavano al solo pensiero,
 mentre parlando tenevano lo sguardo
basso. Inoltre, mi parlarono dell’ordine
dei seguaci di San Basilio: uomini
   di cultura, studiavano i testi sacri,
    convivevano pacificamente nelle
    “Cittadelle” fondate da San
Basilio da Cesarea, anch’esso dottore
               della chiesa.
Il giorno dopo, come d’accordo, partirono.
L’abate mi prese da parte, mi ringraziò di
  cuore, in nome del fondatore dell’ordine,
                San Basilio.
  Benedicendoci e sperando per la nostra
 felicità, s’incamminarono per un polveroso
 sentiero tra le colline, e, quando divennero
piccole figure nere all’orizzonte, come erano
      al loro arrivo, mi trovai a pensare:
Ce la faranno questi uomini e queste donne
   di fede a salvare la propria identità?
 Lasceranno ai posteri il loro sapere, la
       cultura, la fede che li anima?




 Solo Dio può saperlo …
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  • 2. Leuca, 865 Comparvero all’alba, notati da alcuni dei nostri servitori che lavoravano nei campi: si stagliavano sull’orizzonte chiaro del sole nascente con le loro barche di legno dondolanti con fare pigro sulle acque chiare e appena mosse del mare. Avevano urlato “Barche! Barche all’orizzonte!” ed io e mio marito, incuriositi dalle voci che si sovrapponevano in un misto di eccitazione e paura, decidemmo di andare a vedere che cosa stesse accadendo.
  • 3. Quando le barche si avvicinarono ulteriormente, un uomo si pose a prua, avvolto nel suo imponente mantello nero. Guardava la terra a cui si avvicinava con occhi duri e malinconici, che sembravano portare con loro il dolore di un qualcosa di amato e perduto. Dietro di lui, altre figure avvolte in abiti neri erano sedute a coppie, e volgevano gli occhi speranzosi verso la riva. Gli uomini con più decisione, le donne quasi con tenerezza.
  • 4. Li vedemmo sbarcare sulla nostra terra, aiutati dai servitori a tirare la barca a riva. Appena sceso dall’imbarcazione sulla soffice sabbia bianca, l’uomo che era a prua parlò, alzando le mani al cielo, scoprendo un crocifisso sul suo petto: “Abitanti di questa meravigliosa terra, veniamo in pace. Siamo monaci fuggiti dalla nostra amata terra, la Cappadocia. In nome di Dio, di suo figlio Gesù Cristo e della Vergine, vi preghiamo di lasciarci accampare per una notte, una sola, poi riprenderemo il nostro cammino altrove.”
  • 5. Guardai mio marito, rivolgendogli uno sguardo supplicante e preoccupato per quegli uomini e quelle donne che avevano attraversato il mare per salvarsi. Dissi, guardando la servitù: “Sono cristiani come noi. Accogliamoli, dopotutto abbiamo molte stanze, aiutiamo questi poveri uomini.”. Con un cenno d’assenso egli mi diede il permesso, e subito lo abbracciai, per poi dirigermi da quello che sembrava l’abate. Qui abbozzai un inchino, e guardandolo negli occhi addolorati, gli assicurai la nostra completa disponibilità.
  • 6. Vidi la speranza nascere nei suoi occhi come il sole stava nascendo alle sue spalle, pieno di tenere sfumature che macchiavano allegramente il cielo: sembrava una splendida giornata per pensare al futuro, un nuovo futuro radioso. L’alba di un nuovo giorno si leggerva negli occhi dell’abate, “Oh grazie, grazie, gentile signora! Che Dio possa benedirvi!” mi rispose con entusiasmo.
  • 7. Gli sorrisi, e lo condussi nella nostra masseria, grande edificio che, dalla collina, dominava tutti i possedimenti verdi e lussureggianti di quella parte di mondo così generosa che abitavamo. Lì, dove il sole era sempre caldo e materno ed il mare un ponte per il meraviglioso oriente.
  • 8. Sistemai i monaci e le loro mogli in diverse stanze. Ci informarono sul motivo della loro fuga, poi m’intrattenni con le donne, fui confidente delle loro paure, dei loro racconti pieni di terrore. Mi parlarono delle persecuzioni iconoclaste che l’imperatore ora seduto in trono, Leone III Isaurico, stava mettendo in atto in tutto l’impero bizantino. Mi descrissero con orrore le terribili torture che i monaci erano costretti a subire. Venivano imprigionati e bruciati, tutte le immagini sacre distrutte a martellate.
  • 9. Le loro voci tremavano al solo pensiero, mentre parlando tenevano lo sguardo basso. Inoltre, mi parlarono dell’ordine dei seguaci di San Basilio: uomini di cultura, studiavano i testi sacri, convivevano pacificamente nelle “Cittadelle” fondate da San Basilio da Cesarea, anch’esso dottore della chiesa.
  • 10. Il giorno dopo, come d’accordo, partirono. L’abate mi prese da parte, mi ringraziò di cuore, in nome del fondatore dell’ordine, San Basilio. Benedicendoci e sperando per la nostra felicità, s’incamminarono per un polveroso sentiero tra le colline, e, quando divennero piccole figure nere all’orizzonte, come erano al loro arrivo, mi trovai a pensare:
  • 11. Ce la faranno questi uomini e queste donne di fede a salvare la propria identità? Lasceranno ai posteri il loro sapere, la cultura, la fede che li anima? Solo Dio può saperlo …