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Appunti di
STORIA ECONOMICA
   DEL MONDO




 Autori: Profman – Aissela – Gilipa -
               Patata
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Storia Economica                                                                           Visto su: Profland




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CAPITOLO I
INTRODUZIONE: STORIA ECONOMICA E SVILUPPO

Lo sviluppo economico ineguale ha provocato rivoluzioni e colpi di stato; governi
totalitari e dittature militari hanno spogliato intere nazioni della libertà politica e
molti individui della libertà individuale e persino della vita. Gli Stati Uniti ed altre
nazioni ricche hanno speso miliardi di dollari in tentativi intenzionati a soccorrere i
vicini meno fortunati. Non c'è un consenso generale sugli specifici metodi
responsabili dei redditi più elevati delle nazioni ricche. Gli studiosi e gli scienziati non
hanno ancora prodotto una teoria dello sviluppo economico che sia utile sul piano
operativo e generalmente applicabile. Le statistiche del reddito pro-capite sono una
rozza misurazione del livello di sviluppo economico.
I termini crescita, sviluppo e progresso sono spesso usati come sinonimi ma questo
non è corretto. La crescita economica è definita come un aumento sostenuto del
volume totale di beni e servizi prodotti da una società. La crescita del prodotto totale
può verificarsi sia in conseguenza dell’impiego di maggiori quantità dei fattori della
produzione, sia perché quantità equivalenti dei fattori di produzione sono impiegate
con maggiore efficienza. Lo sviluppo economico significa crescita economica
accompagnata da un sostanziale cambiamento strutturale e organizzativo
dell’economia. La regressione economica avviene durante o in seguito ad un
prolungato periodo di declino economico.
L’economia classica ha sviluppato la classificazione tripartita dei “fattori di
produzione": terra, lavoro e capitale. I mutamenti tecnologici e delle istituzioni sociali
costituiscono i fattori più dinamici del cambiamento dell’intera economia. Negli
ultimi secoli l’innovazione tecnologica è stata il fattore più dinamico di mutamento
economico e di sviluppo. Il mutamento tecnologico non è però sempre stato così
rapido. La tecnologia dell’età della pietra durò per centinaia di migliaia d’anni senza
grossi cambiamenti. Una delle funzioni sociali svolte dalle istituzioni è di
rappresentare un elemento di continuità e di stabilità, senza il quale la società si
disintegrerebbe; ma nello svolgimento di questa funzione esse possono anche
rappresentare una barriera allo sviluppo economico ostacolando il lavoro umano,
impedendo lo sfruttamento razionale delle risorse o contrastando l’innovazione e la
diffusione della tecnologia. Esempi storici d'innovazioni istituzionali sono i mercati
organizzati,. la moneta battuta, i brevetti, le assicurazioni e le varie forme d'impresa.
Gli intellettuali marxisti ritengono di aver trovato la chiave non solo del processo di
sviluppo economico ma anche dell’evoluzione dell’umanità. Secondo loro il “modo
di produzione” è l’elemento cardine; tutto il resto non è che sovrastruttura.
L’elemento dinamico è fornito dalla lotta tra le classi sociali per il controllo dei mezzi
di produzione.
La produzione è il processo mediante il quale i fattori di produzione sono messi in
relazione per produrre i beni e i servizi desiderati dalle popolazioni umane. La
produzione può essere misurata in unità fisiche, o in termini di valore, ossia
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monetari. La produttività è il rapporto tra il risultato utile di un processo di
produzione e i fattori di produzione in esso impiegati. Per misurare la produttività
totale dei fattori di produzione è necessario ricorrere a misure di valore. Inoltre,
determinate combinazioni di fattori di produzione sono in grado di accrescere la
produttività. Importante è il concetto di capitale umano. Il capitale umano deriva
dall’investimento in conoscenze e abilità o capacità. L’investimento può assumere la
forma di un’educazione o di un addestramento formale. Un aumento dei fattori
tradizionali di produzione spiega solo in parte l’aumento della produzione nelle
economie avanzate. Gli aumenti della produttività sono stati particolarmente
considerevoli nell’ultimo secolo. E’ opportuno considerare la cosiddetta legge dei
rendimenti decrescenti, che dovrebbe essere definita come la legge dell’utilità
marginale decrescente. Un singolo lavoratore, con l’impiego di una data tecnologia,
semplice o complessa, è in grado di ottenere un certo raccolto. L’aggiunta di un
secondo lavoratore permette una semplice divisione del lavoro, che fa più che
raddoppiare la produzione. Un terzo lavoratore può accrescere ancora di più la
produzione. In altre parole, più lavoratori sono aggiunti e più cresce, fino ad un certo
punto, il prodotto marginale. Alla fine però, l’aggiunta di nuovi lavoratori fa si che
essi si ostacolino a vicenda, che calpestino il raccolto, e così via, e il prodotto
marginale decresce. Nel 1798 Thomas Malthus pubblicò il famoso Saggio sul principio
della popolazione. In esso partiva dal presupposto che “la passione tra i sessi” avrebbe
portato ad una crescita demografica in “progressione geometrica”, ma che le
disponibilità di cibo sarebbero cresciute in “progressione aritmetica”. Malthus non
previde la serie d’innovazioni tecnologiche e istituzionali che hanno accresciuto la
produttività e che hanno ripetutamente ritardato il funzionamento della legge dei
rendimenti decrescenti.
La struttura economica è implicita nelle relazioni tra i vari settori dell’economia, in
particolare i tre settori principali noti col nome di primario, secondario e terziario. Il
settore primario comprende quelle attività i cui prodotti sono ottenuti direttamente
dalla natura: agricoltura, pesca. Il settore secondario comprende le attività che
trasformano o lavorano i prodotti naturali. Il terziario comprende un ampio spettro
di servizi, che vanno da quelli domestici e personali a quelli commerciali e finanziari,
professionali e pubblici. L’agricoltura è stata la principale occupazione della grande
maggioranza della razza umana ma ciò è tuttora valido per i paesi a basso reddito. La
ragione di questo fenomeno è che la produttività era così bassa che per sopravvivere
era necessario dedicarsi alla produzione di generi alimentari. Alcune centinaia di anni
fa la produttività agricola cominciò a crescere, cominciò così il processo di
industrializzazione, che si protrasse dalla fine del Medioevo fino alla metà del XX
secolo. Nel frattempo man mano che la forza lavoro impiegata in agricoltura
diminuiva, aumentava, anche se non proporzionalmente, quella nel settore
secondario. La crescita della forza lavoro impiegata nel settore secondario è stata
accompagnata dalla crescita del reddito prodotto da quel settore. Dal 1950 in poi le
economie più avanzate hanno conosciuto un ulteriore cambiamento strutturale, il
passaggio da settore secondario a quello terziario. Sul versante dell’offerta,
l’accresciuta produttività rese possibile produrre le stesse quantità di prodotti con
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meno lavoro. Sul versante della domanda entrò in gioco un aspetto peculiare del
comportamento umano, definito dalla legge di Engel. La legge di Engel afferma che
man mano che cresce il reddito di un consumatore, diminuisce la percentuale di
reddito destinata all’acquisto di cibo. Man mano che cresce il reddito, cresce la
domanda per ogni genere di merce, ma ad un ritmo inferiore a quello del reddito,
mentre la domanda di servizi e di tempo libero si sostituisce in parte a quella dei beni
concreti. I prezzi dei beni e dei servizi sono determinati dall’interazione tra domanda
e offerta.
Il termine logistica indica l’organizzazione dei rifornimenti per un grosso gruppo di
persone. Ma la logistica è anche una formula matematica, la curva logistica che ne
deriva ha la forma di una S allungata ed è talvolta chiamata curva a S. La curva ha
due fasi: una prima fase di crescita accelerata seguita da una seconda di decelerazione.
E’ stato anche osservato che le curve logistiche possono anche descrivere molti
fenomeni sociali come la crescita delle popolazioni umane. Ciascuna fase
d’accelerazione della crescita demografica in Europa è stata accompagnata dalla
crescita economica. Nel XI, XII e XIII secolo la civiltà europea si espanse tra la
Loira e il Reno nelle isole britanniche, nella penisola iberica, in Sicilia e nell’Italia
meridionale, nell’Europa centrale e orientale. Alla fine del XV secolo e nel XVI
l’esplorazione marittima, le scoperte e le conquiste portarono gli Europei in Africa e
nell’Oceano indiano. Nel XIX secolo, attraverso l’emigrazione, la conquista e
l’annessione, gli Europei instaurarono la loro egemonia politica ed economica sul
mondo intero. Un certo numero di paesi dovette affrontare locali crisi di sussistenza,
la più drammatica delle quali fu la carestia irlandese degli anni quaranta del XIX
secolo. Secondo Adam Smith la condizione del lavoratore era migliore in una società
“progressista”, cupa in una società stagnante e miserabile in una in decadenza. Le fasi
finali di tutte le logistiche, e gli intervalli di stagnazione o depressione che seguirono,
testimoniarono la propagazione di tensioni sociali, inquietudini e disordini, e lo
scoppio di guerre eccezionalmente feroci e distruttive. Forse le guerre non furono
che avvenimenti fortuiti che posero termine a periodi di crescita già avviati al
tramonto.




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CAPITOLO V
LA SECONDA LOGISTICA EUROPEA

Verso la metà del Quattrocento, la popolazione europea ricominciò ad aumentare.
All'inizio del Seicento, però, questa rigorosa crescita incontrò i soliti ostacoli delle
carestie, delle epidemie e delle guerre. Questi estremi temporali delimitano la seconda
logistica europea. Il periodo di crescita demografica corrispose quasi esattamente
all’epoca delle grandi esplorazioni e delle scoperte marittime che portarono
all'individuazione di rotte interamente marittime tra l’Europa e l’Asia, alla conquista e
alla colonizzazione dell’emisfero occidentale da parte degli europei. Nel XV secolo le
città dell’Italia settentrionale godevano ancora di quella leadership negli affari
economici che avevano esercitato per tutto il Medioevo. Una serie di guerre che
videro l’invasione e l’occupazione dell’Italia da parte di eserciti stranieri portò ad un
ulteriore sconvolgimento del commercio. Il declino dell’Italia non fu però immediato
né drastico, giacché gli italiani avevano riserve di capitale, di talento imprenditoriale e
d’istituzioni economiche sofisticate tali da bastare per diverse generazioni. Verso la
metà del Seicento, l’Italia si trovava ormai alla retroguardia dell’economia europea,
condizione dalla quale non doveva risollevarsi pienamente fino al XX secolo. La
Spagna e il Portogallo godettero di una gloria effimera come principali potenze
economiche europee. Lisbona si sostituì a Venezia nel ruolo di grande emporio del
commercio delle spezie, e gli Asburgo spagnoli, finanziati in parte dall’oro e
dall’argento del loro impero americano, divennero i sovrani più potenti d’Europa. La
ricchezza delle Indie e delle Americhe non fu però adeguatamente distribuita
all'interno dei due paesi. Pur conservando i rispettivi sterminati imperi marittimi fino
al XIX e al XX secolo, entrambi i paesi erano in piena decadenza, economicamente,
politicamente e militarmente, già alla metà del XVII secolo. L’Europa centrale,
orientale e settentrionale non partecipò alla prosperità commerciale del XVI secolo.
La Germania meridionale e la Svizzera, che avevano raggiunto una certa preminenza
commerciale nel XV secolo, conservarono per un certo periodo la loro prosperità.
Tutta l’Europa centrale cadde preda ben presto di guerre religiose e dinastiche che
sottrassero energie all’attività economica. La regione che realizzò i maggiori guadagni
dai mutamenti economici associati alle grandi scoperte fu quella attorno al Mare del
Nord e alla Manica: i Paesi Bassi, l’Inghilterra e la Francia settentrionale. Per tutto il
XVI secolo, la Francia fu coinvolta in guerre dinastiche e religiose, civili e
internazionali, e per la maggior parte di esso il suo Governo seguì politiche avverse al
commercio e all’agricoltura. La Francia perciò ebbe meno a guadagnare rispetto
all’Olanda e all’Inghilterra. L’Inghilterra stava appena emergendo dalla condizione di
area arretrata e produttrice di materie prime a quella di paese più o meno
manifatturiero. La guerra delle Due Rose decimò le schiere della grande nobiltà ma
lasciò indenni le classi medie urbane e quella contadina. Il declino della grande
nobiltà accrebbe l’importanza della piccola nobiltà, la gentry. La nuova dinastia Tudor,
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che salì al trono nel 1485, dipendeva fortemente dal sostegno della piccola nobiltà e
ad essa concedeva in cambio i propri lavori. Le Fiandre, la regione più
economicamente avanzata dell’Europa settentrionale, si riprese lentamente dalla
grande depressione del tardo Medioevo. Anversa si affermò fino a divenire nella
prima metà del XVI secolo il porto e il mercato più importante d'Europa. In seguito
ad alleanze dinastiche tutte le diciassette province de Paesi Bassi caddero nelle mani
della corona spagnola all’inizio del XVI secolo. Nel 1568 i Paesi Bassi si ribellarono al
dominio spagnolo. La Spagna sedò la ribellione nelle province meridionali, ma le
sette province settentrionali conquistarono l’indipendenza col nome di Province
Unite, o Repubblica olandese. Amsterdam divenne la grande metropoli commerciale
e finanziaria del XVII secolo. Le innovazioni tecnologiche nelle arti della navigazione
e delle costruzioni furono un elemento fondamentale del successo delle esplorazioni
e delle scoperte. L'introduzione della polvere da sparo e la sua applicazione da parte
degli europei delle armi da fuoco, fu importante per le conquiste europee oltremare.
Alla metà del Quattrocento la popolazione europea ammontava complessivamente a
circa 45-50 milioni d’individui. A metà del XVII secolo la popolazione era vicina ai
100 milioni. Cosa determinò questa crescita, la susseguente stagnazione e
diminuzione? Possibile che si sia verificato un leggero miglioramento climatico. Salari
reali più elevati, conseguenza di un rapporto più favorevole tra terra e popolazione
risultante dal precedente declino demografico, possono aver incoraggiato matrimoni
più precoci e conseguentemente un tasso di natalità più elevato. La crescita
demografica del XVI secolo non fu per niente uniforme. In alcune regioni i poderi
furono frammentati man mano che aumentava il numero degli individui che cercava
di guadagnarsi da vivere con la terra. In altre la popolazione in eccesso lasciò la
campagna, volontariamente. In alcuni casi un aumento della popolazione urbana può
essere considerato un segno favorevole di sviluppo economico; ciò non era però il
caso del XVI secolo. A quell’epoca le città fungevano principalmente da centri
commerciali e amministrativi piuttosto che industriali. Molte attività manifatturiere,
come quelle tessili e metallurgiche, accadevano nelle campagne. I mestieri praticati
nelle città erano di solito organizzati in corporazioni, con clausole di lunghi periodi
d’apprendistato ed altre restrizioni all’eccesso. Gli immigrati provenienti dalle
campagne possedevano raramente le abilità o le attitudini necessarie per le
occupazioni urbane. Nelle città essi formavano un Lumpenproletariat, un gruppo di
lavoratori occasionali e non qualificati, spesso privi d’occupazione, che
arrotondavano i loro magri guadagni con elemosine o piccoli furti. Le loro
condizioni di vita in ambienti affollati, sporchi e poveri mettevano in pericolo l’intera
comunità rendendola più esposta alle epidemie. La situazione dei poveri delle città e
delle campagne fu aggravata da una prolungata diminuzione dei salari reali. Poiché la
popolazione cresceva più rapidamente della produzione agricola, il prezzo dei
prodotti alimentari crebbe più velocemente dei salari monetari. Alla fine del XVI
secolo e nella prima metà del XVII una serie di cattivi raccolti, nuovi focolai di peste
bubbonica e altre epidemie, e un’aumentata incidenza e ferocia della guerra (la
Guerra dei Trent’anni) arrestarono l’espansione della popolazione.
Alla fine del Medioevo notevoli progressi tecnologici furono realizzati nella
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progettazione delle navi, nella loro costruzione e negli strumenti di navigazione. Navi
a tre, quattro o cinque alberi, capaci di navigare di traverso al vento. Nel governo
della nave al remo si sostituì il timone. Gli sviluppi della cartografia misero a
disposizione carte geografiche e marine molto perfezionate. Gli Italiani erano però
tradizionalisti in quanto a progettazione delle navi, e il ruolo guida fu ben presto
assunto da coloro che navigavano in mare aperto, vale a dire dai fiamminghi, dagli
olandesi e dai portoghesi. Enrico, figlio minore del re del Portogallo, si dedicò
all'incoraggiamento delle esplorazioni della costa africana con l’obiettivo finale di
raggiungere l’Oceano Indiano. Fondò nel suo castello una sorta d’istituto di studi
avanzati nel quale fece venire astronomi, geografi, cartografi e navigatori d’ogni
nazionalità. Dopo la morte di Enrico, l’attività d’esplorazione rallentò per mancanza
del sostegno regio ma il re Giovanni II riprese le esplorazioni ad un ritmo accelerato.
I suoi navigatori si spinsero quasi fino all’estrema punta meridionale dell’Africa.
Bartholomeu Dias avanzò lungo la costa, doppiando il Capo di Buona Speranza,
Pedro de Covilhao, invece, attraversato il Mediterraneo e giunto via terra nel Mar
Rosso, esplorò la parte occidentale dell’Oceano Indiano. La strada era tracciata per il
successivo e più grande viaggio d’esplorazione, quello che consenti a Vasco da Gama
di raggiungere Calcutta circumnavigando l’Africa. Malattie, ammutinamenti, tempeste
incontrati nella spedizione portarono alla perdita di due delle quattro navi di da
Gama e di quasi due terzi del suo equipaggio. Il carico di spezie col quale egli fece
ritorno compensò però di gran lunga tutti i costi del viaggio. Vedendo l’entità dei
profitti, i portoghesi non persero tempo a mettere a frutto il vantaggio di cui
godevano. Nel 1513 una delle loro navi attraccò a Canton nella Cina meridionale, e a
metà del secolo avevano intrecciato relazioni commerciali e diplomatiche col
Giappone. Nel 1483 un genovese chiese al re di finanziare una spedizione attraverso
l’Atlantico per raggiungere l’Oriente viaggiando verso ovest. Il genovese era
Cristoforo Colombo e dopo la bocciatura della sua proposta non si diede per vinto e
si rivolse ai sovrani spagnoli, i quali erano impegnati in una guerra e non avevano
soldi da investire in un progetto cosi poco realizzabile. Colombo cercò invano di
interessare il re di Francia e d’Inghilterra. Solo nel 1492 i sovrani acconsentirono di
patrocinare la spedizione. Colombo salpò il 3 agosto 1492 e il 12 ottobre avvistò le
isole note in seguito come Indie occidentali. Egli credette davvero di aver raggiunto
le Indie, infatti Colombo chiamò indiani i suoi abitanti. Dopo alcune settimane di
esplorazioni tra le isole fece ritorno in Spagna per comunicare la lieta novella.
Colombo effettuò quattro viaggi nei mari occidentali, e credette di avere scoperto
una via diretta per l’Asia. Subito dopo il ritorno della prima spedizione Ferdinando e
Isabella, sovrani spagnoli, si rivolsero al Papa perché stabilisse una “linea di
demarcazione” che confermasse i diritti spagnoli sulle terre appena scoperte.
Giovanni Caboto, un marinaio italiano che viveva in Inghilterra andò alla scoperta di
Terranova e della Nuova Scozia. L'anno dopo con il fratello Sebastiano esplorò la
costa settentrionale del Nord America; poiché essi non portarono spezie o metalli
preziosi i loro finanziatori persero ogni interesse. Mercanti francesi mandarono negli
anni venti un altro italiano, Verrazzano, alla scoperta di un passaggio ad occidente
per le Indie. Dieci anni dopo il francese Jacques Cartier effettuò il primo di tre viaggi
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che lo portarono alla scoperta e all’esplorazione del fiume San Lorenzo. Cartier
rivendicò alla Francia la regione nota in seguito come Canada. All’inizio degli anni
venti, navigatori spagnoli e d’altre nazionalità avevano esplorato l’intera costa
orientale delle due Americhe. Divenne sempre più evidente non solo che Colombo
non aveva scoperto le Indie, ma anche che non esisteva un passaggio agevole
attraverso la parte centrale del nuovo continente. Ferdinando Magellano convinse il
re di Spagna a lasciargli guidare una spedizione di cinque navi alle Isole delle Spezie
passando per il Mare del Sud oltre l’istmo di Panama. Magellano non intendeva
circumnavigare il globo: credeva di trovare l'Asia a pochi giorni di navigazione al di là
di Panama. Il suo problema maggiore era di trovare un passaggio attraverso o attorno
al Sud America. Ci riuscì, e il tempestoso e infido stretto da lui scoperto porta ancora
oggi il suo nome. Alla fine uno dei luogotenenti di Magellano guidò l’unica nave
rimasta con il suo equipaggio attraverso l’Oceano Indiano fino in Spagna, dopo tre
anni di viaggio; questi uomini divennero i primi ad aver portato a termine un’intera
circumnavigazione del globo.
Prima del XVI secolo, Spagna e Portogallo erano rimaste ai margini della civiltà
europea; in seguito la loro potenza e il loro prestigio declinò rapidamente fino a farle
piombare all'inizio del XIX secolo, in uno stato di sonnolenza. Nel XVI secolo,
invece, i loro domini erano sterminati e la loro ricchezza e la loro potenza non
avevano eguali al mondo. I portoghesi erano oramai i padroni dell’Oceano indiano,
Vasco da Gama tornò in India con il compito di interrompere il commercio arabo
con il Mar Rosso e l’Egitto, dal quale i veneziani ricavavano le spezie che
distribuivano in Europa. I portoghesi non riuscirono a mantenere a lungo un
monopolio effettivo nel commercio delle spezie. Alla fine l’impero spagnolo si rivelò
anche più redditizio di quello portoghese. Nel XVI secolo gli spagnoli avevano il
controllo effettivo dell’emisfero. Gli spagnoli, a differenza dei portoghesi,
intrapresero fin dall’inizio un’opera di colonizzazione e di insediamento nelle regioni
da loro conquistate. Gli spagnoli introdussero prodotti naturali precedentemente
sconosciuti nell’emisfero occidentale, quali il grano ed altri cereali, zucchero di canna,
caffè, molti tipi comuni di verdura e frutta, animali tra i quali cavalli, bovini, pecore,
asini. Dal punto di vista economico l’espansione determinò un grande aumento delle
merci scambiate. Nel XVI secolo le spezie orientali e i metalli preziosi occidentali
rappresentavano una percentuale schiacciante delle importazioni dal mondo
coloniale. Altre merci fecero la loro apparizione nei flussi commerciali: queste
aumentarono gradualmente di volume e finirono per mettere in ombra le originali
esportazioni coloniali in Europa. Il caffè e il cacao americano, il tè asiatico divennero
le più comuni bevande europee, il cotone e lo zucchero non erano mai stati prodotti
su larga scala.
L’afflusso di oro e soprattutto argento dalle colonie spagnole accrebbe
considerevolmente le scorte europee di metalli adatti alla monetizzazione. Il Governo
spagnolo cercò di vietare l’esportazione di metalli preziosi in lingotti, ma ciò si rivelò
impossibile. Lo stesso si rivelò comunque il principale trasgressore, con le grandi
quantità di metalli preziosi inviate in Italia, in Germania e nei Paesi Bassi a
pagamento dei debiti e per finanziare le sue interminabili guerre. I metalli preziosi si
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distribuirono per tutta l’Europa, il risultato più ovvio e immediato fu uno
spettacolare e prolungato aumento dei prezzi. Alla fine del XVI secolo i prezzi erano,
in generale, circa tre o quattro volte più elevati che al suo inizio. Il prezzo dei generi
alimentari crebbe più di quello di gran parte degli altri prodotti. L’incremento
demografico fu un fattore forse anche più importante per la lievitazione dei prezzi.
Le conseguenze attribuite alla rivoluzione dei prezzi variano dall’impoverimento della
classe contadina e della nobiltà alla “nascita del capitalismo”. La crescita demografica,
pur non provocando l’aumento assoluto dei prezzi, svolse probabilmente un ruolo
determinante nel ritardo dei salari, in quanto l’agricoltura e l’industria si rivelarono
incapaci di assorbire la forza lavoro eccedente.
Per l’Europa l’agricoltura continuava ad essere di gran lunga la principale attività
economica. Il lavoro manuale era il fattore più importante di produzione. Il terreno,
le sementa e l’umidità erano naturalmente essenziali ma il lavoro umano era però
l’ingrediente più importante di tutti. Nella periferia settentrionale e occidentale
d’Europa predominava un’agricoltura di sussistenza. Le campagne erano scarsamente
popolate, soprattutto quelle più a nord. Erano ancora applicate tecniche primitive di
taglio e incendio della vegetazione spontanea.                 Nelle aree montuose era
particolarmente importante l’allevamento del bestiame. Le colture principali erano
segale, orzo e avena; lino e canapa erano coltivati per la fibra. L’abbondanza relativa
di terra faceva sì che i poderi fossero fluidi, e che la maggior parte della terra
appartenesse a clan di capi tribali o lords. L’organizzazione sociale era gerarchica ma
senza schiavitù o legami servili. Nell’Europa di oltre l’Elba e a nord del Danubio,
invece, la schiavitù o servitù personale era l’aspetto distintivo delle relazioni sociali.
La condizione dei contadini fu gradualmente ridotta ad una situazione non molto
lontana dalla schiavitù. La tecnologia agricola era relativamente primitiva. Nei
territori adiacenti al Mar Baltico la produzione finalizzata all’esportazione verso i
mercati dell’Europa occidentale fu uno stimolo potente alla specializzazione in
coltivazioni cerealicole ed altre colture commerciali. L’Italia possedeva l’agricoltura
più diversificata d’Europa. La produzione agricola italiana non riuscì a mantenere il
passo della crescita demografica; i terreni erano esauriti dalle coltivazioni e dai
pascoli. La Spagna offriva quasi la stessa varietà dell’Italia, l’agricoltura spagnola
ricevette una cospicua eredità dai predecessori musulmani. Una delle maggiori
difficoltà dell’agricoltura spagnola derivava dalla rivalità tra contadini e proprietari di
greggi. La lana merino spagnola era molto richiesta nei Paesi Bassi, i pastori
seguivano la pratica della transumanza, vale a dire il movimento delle greggi tra i
pascoli estivi in montagna e quelli invernali in pianura. Il sistema spagnolo era
tuttavia insolito sia per la lunghezza dei tragitti che per la sua organizzazione. Il
termine tedesco di Grundherrschaft è talvolta usato per descrivere il sistema di possesso
fondiario, motivo per cui l’aristocrazia terriera si era trasformata in una classe di meri
proprietari terrieri. Le piccole tenute e i fittavoli indipendenti erano più numerosi nei
pressi delle città. dove il loro prodotto era vitale per il rifornimento della popolazione
urbana. L’altro grande tipo di possesso fondiario era quello mezzadrile, in questo
sistema il proprietario della terra provvedeva totalmente o in parte al bestiame e alle
attrezzature, partecipava al rischio e alle scelte e si appropriava di una parte del
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raccolto, di solito la metà. L’area agricola più progredita d’Europa erano i Paesi Bassi,
e soprattutto la parte più settentrionale concentrata attorno alla provincia d’Olanda.
Nel corso del XVI e XVII secolo l’agricoltura olandese subì una straordinaria
trasformazione che le fa meritare il titolo di prima economia agricola “moderna”. La
modernizzazione dell’agricoltura fu strettamente legata all’affermazione ugualmente
straordinaria della superiorità commerciale olandese. La chiave del successo della
trasformazione dell’agricoltura olandese fu la specializzazione, resa possibile dalla
domanda sostenuta delle prospere città olandesi in rapida espansione. Invece di
cercare di produrre il maggior numero possibile di merci necessarie al proprio
consumo, come faceva la maggior parte dei contadini europei, gli agricoltori olandesi
cercarono di produrre quanto più possibile per il mercato, acquistando ugualmente
sul mercato molti beni di consumo nonché beni capitale e beni intermedi. Gli
agricoltori olandesi non si specializzarono esclusivamente nella produzione casearia e
nell'allevamento del bestiame. Molti si dedicarono all’orticoltura, alcuni coltivavano
orzo, lino, canapa; persino i fiori divennero oggetto di sfruttamento commerciale
specializzato. La redditività dell’agricoltura olandese e attestata dagli sforzi continui e
ininterrotti di creare nuova terra strappandola al mare, prosciugando laghi e
acquitrini e mettendo a coltivazione le torbiere una volta estratta e utilizzata la torba.
Quest’attività, iniziata nel Medioevo, conobbe un enorme sviluppo nel XVI e XVII
secolo, ed ebbe carattere particolarmente febbrile nei periodi di prezzi agricoli in
rialzo. L’opera di arginamento e di prosciugamento richiedeva un grosso consumo di
capitale. I mercanti urbani ed altri investitori si organizzarono in società di bonifica
con l’obiettivo di vendere o affittare la terra agli agricoltori attivi. La maggior parte
delle innovazioni introdotte nel ‘500 e nel ‘600 implicò dei miglioramenti
relativamente minori di tecniche già esistenti. Nel 1589 William Lee inventò una
semplice macchina per maglieria: mentre un abile magliaio a mano poteva arrivare ad
intrecciare fino a cento maglie al minuto, la macchina era in grado di ottenerne una
media di mille. Altre innovazioni dell’epoca, negli strumenti di navigazione, nelle
armi da fuoco, nell’artiglieria, nell’orologeria ebbero un’importanza economica
secondaria pur essendo enormemente importanti dal punto di vista politico e sociale.
L’orientamento verso il mercato dell’economia europea, più spiccato nell’industria
che non nell’agricoltura, incoraggiava gli imprenditori che erano così in grado di
ridurre i costi di produzione e di reagire prontamente alle variazioni della domanda.
Esistevano però anche formidabili ostacoli all’innovazione. Uno dei più diffusi era
l’opposizione delle autorità che temevano la disoccupazione, derivante dalle
innovazioni che riducevano la quantità di lavoro necessario. A Lee fu rifiutato il
brevetto per la sua macchina e fu costretto a rifugiarsi in Francia dove fondò una
fabbrica sotto la protezione di Enrico V; la fabbrica fallì dopo la morte del suo
benefattore, ma la macchina per maglieria continuò a diffondersi. L’insufficienza
delle fonti energetiche e dei materiali da costruzione erano gli ostacoli naturali che si
frapponevano ad una maggiore produttività industriale. Le attività tessili, prese nel
loro complesso rimasero quelle con il maggior numero di addetti nel settore
industriale, seguite da vicino dalle attività di costruzione. L’organizzazione delle
industrie tessili non mutò apprezzabilmente rispetto al tardo Medioevo. La figura
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caratteristica dell’industriale era quella del mercante-manifatturiere che acquistava la
materia prima, la distribuiva a filatori, tessitori ed altri artigiani che lavoravano a
domicilio e metteva sul mercato il prodotto finale. Sebbene l’industria delle
costruzioni nel suo complesso non facesse registrare innovazioni tecniche
significative, un singolo settore specializzato di questa industria subì una profonda
trasformazione in un paese: fu questo il caso delle costruzioni navali nei Paesi Bassi
olandesi. L’innovazione più significativa fu il flauto, un tipo di nave mercantile
introdotta alla fine del XVI secolo equivalente sotto certi aspetti alle moderne navi
cisterna, era progettato espressamente per carichi voluminosi e di scarso valore come
legname e cereali. Le industrie metallurgiche stavano acquistando un’importanza
strategica primaria a causa del peso crescente delle armi da fuoco e dell’artiglieria
nelle azioni belliche. Le industrie metallurgiche acquistavano rilevanza alla luce della
successiva età industriale. Tra esse quella del ferro era la più importante. L’evoluzione
dell’alto forno fu accompagnata da una serie di innovazioni. La Svezia, favorita da un
minerale ferroso di alta qualità e dall’abbondanza di legname ed acqua, possedeva
una modesta industria del ferro già nel Medioevo. Nelle industrie metallurgiche i
progressi, consistenti soprattutto in un incremento della produzione conseguito
attraverso l’utilizzazione di tecniche tradizionali e l’applicazione di tali tecniche a
nuove fonti di approvvigionamento, furono meno cospicui. La natura non aveva
particolarmente dotato l’Europa di metalli preziosi; relativamente abbondanti erano
invece i metalli più utili. Il legname era molto richiesto per le costruzioni comprese
quelle navali, per la metallurgia e soprattutto per il riscaldamento domestico. La
scarsità di legname nelle aree più sviluppate d’Europa fu una delle maggiori cause
dell’integrazione della Norvegia e della Svezia nell’economia dell’Europa occidentale.
Anche il ferro e altri metalli furono usati al posto del legno, ma l’aumento della
domanda di questi ultimi non fece che accentuare la penuria di legname. Oltre che in
Germania e nei Paesi Bassi il carbone era stato estratto anche in Inghilterra durante il
Medioevo. La domanda di carbone era però continuamente alimentata da altre
industrie. Le scoperte oltre mare, introducendo nuove materie prime, stimolarono
direttamente la nascita di nuove industrie; le più importanti furono la raffinazione
dello zucchero e la lavorazione del tabacco, ma molte altre manifatture sorsero per
soddisfare nuovi gusti. Nel Medioevo l’Italia era stata il principale produttore se non
l’unico, di manufatti di lusso. La crescita di industrie simili in altri paesi, i cui prodotti
spesso erano di qualità inferiore ma costavano meno, spiega in parte il declino
relativo dell’Italia. Molti lavoratori dell’industria soprattutto di quella tessile, si
dedicavano part-time all’agricoltura.
Di tutti i settori dell'economia europea, il commercio fu senza dubbio il più dinamico
nel periodo compreso tra il XV e il XVII secolo. Il XVI secolo era descritto come
l’età della “rivoluzione commerciale”. I mutamenti più interessanti e più significativi
per la storia dello sviluppo economico furono quelli che si verificarono nel
commercio di lunga distanza. Nel commercio coloniale gli Olandesi mostrarono
aggressività. La guerra d’indipendenza interruppe i traffici con la Spagna, ma essi
non cessarono di commerciare con l’Impero portoghese attraverso Lisbona. Gli
olandesi cominciarono immediatamente a costruire navi capaci di affrontare il
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viaggio verso l’Oceano Indiano con circumnavigazione dell’Africa. Gli Olandesi, che
non furono i soli a trarre vantaggio dalla debolezza del Portogallo, concentrarono la
loro attenzione sulle favolose Isole delle Spezie dell’Indonesia, e verso la metà del
XVII secolo avevano affermato la loro autorità. Gli Inglesi, dopo infruttuosi tentativi
di mettere piede in Indonesia, fondarono delle basi commerciali fortificate nel
continente indiano. Le altre potenze marittime approfittarono della debolezza del
Portogallo e della rigidità della Spagna anche per invadere e creare mercati
nell’emisfero occidentale. Gli Olandesi tentarono di conquistare le colonie
portoghesi in Brasile, ma dopo due decenni di combattimenti intermittenti furono
definitivamente respinti dagli stessi coloni portoghesi. Il commercio marittimo era di
gran lunga la componente più importante per gli scambi internazionali; non era però
trascurabile il commercio interno. Gli scambi di merci voluminose furono resi
possibili in primo luogo dai miglioramenti nella progettazione e nella costruzione
delle navi. Una branca molto particolare del commercio era quella che trattava gli
esseri umani: il traffico degli schiavi. Questo traffico fu dapprima dominato dai
Portoghesi, poi di volta in volta dagli Olandesi, dai Francesi e dagli Inglesi. Una volta
caricati tanti africani incatenati e ammanettati quanti la nave ne poteva portare, il
capitano cedeva il suo carico umano in cambio di zucchero o tabacco. I governi
europei non presero alcuna misura concreta per proibirlo fino al XIX secolo. La
maggiore dinastia commerciale del ‘500 fu la famiglia Fugger: il primo di cui si abbia
notizia fu un tessitore. Alla fine del XV secolo erano attivi come finanziatori degli
imperatori del Sacro Romano Impero. I Fugger dominarono la scena nel XVI secolo,
la forma di organizzazione prediletta era la società di persone, solitamente
formalizzata con contratti scritti che specificavano i diritti e gli obblighi di ciascun
socio. Non esisteva un capitale societario; ciascun mercante commerciava per conto
proprio ma esisteva un quartier generale ed un magazzino comuni e si osservavano le
stesse regole, il commercio della lana mantenne la sua importanza. Nella seconda
metà del XVI secolo nacquero in Inghilterra diverse altre compagnie detentrici di
privilegi commerciali monopolistici: la Compagnia della Moscovia, Orientale, delle
Indie orientali. Alcune di queste compagnie adottarono la forma di società
regolamentate, altre divennero società per azioni; mettevano in un fondo comune i
contributi dei membri sottoponendoli ad un’amministrazione comune. Il regime dei
traffici coloniali differiva sensibilmente da quello del commercio interno europeo. Il
commercio delle spezie dell’Impero portoghese era monopolio della Corona. I
mercanti portoghesi erano parte attiva del “commercio regionale”. Il Portogallo
produceva poche merci appetite dai mercati orientali, i carichi diretti verso oriente
consistevano soprattutto di oro e argento accompagnati da armi da fuoco e
munizioni. Il commercio tra la Spagna e le sue colonie non era diverso. Come nel
caso del Portogallo, il favoloso Impero spagnolo fu di ben poca utilità per lo sviluppo
dell’economia spagnola, ebbe anzi su di essa un effetto ritardante.

CAPITOLO VI
NAZIONALISMO ECONOMICO E IMPERIALISMO

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Le politiche economiche degli stati-nazione nel periodo della seconda logistica
europea avevano un duplice obiettivo: costruire la potenza economica per rafforzare
lo Stato ed avvalersi della potenza dello stesso per favorire la crescita economica ed
arricchire la nazione: profitto e potere dovrebbero andare di pari passo. Prima di
tutto gli Stati miravano ad assicurarsi delle entrate, e questa necessità li spingeva
frequentemente a porre in atto politiche dannose alle attività produttive. In epoca
medievale le municipalità avevano goduto di estesi poteri di controllo e
regolamentazione dell’economia. Esse riscuotevano dazi e tariffe sulle merci. Le
corporazioni locali di mercanti e artigiani fissavano i salari e i prezzi e disciplinavano
le condizioni di lavoro. Le politiche di nazionalismo economico rappresentarono il
trasferimento di queste funzioni da un livello locale ad uno nazionale, in cui il
governo centrale tentava di unificare lo Stato sia dal punto di vista economico che
politico. I governanti europei si facevano concorrenza con lo scopo di rendere i loro
Stati autosufficienti in caso di guerra. Il nazionalismo economico aggravò le
divergenze religiose e le rivalità dinastiche che occupavano i governanti europei.

Mercantilismo: un termine equivoco
Adam Smith classificò le politiche economiche della sua epoca sotto un’unica
rubrica, il sistema mercantile. Pur condannando queste politiche tentò di offrirne un
quadro sistemico con l’obiettivo di evidenziarne l’assurdità. Dichiarò che tali
politiche erano invenzioni di mercanti. Proprio come i mercanti si arricchiscono nella
misura in cui le loro entrate sono superiori alle spese, così anche le nazioni si
sarebbero arricchite a seconda di quanto le vendite a paesi esteri avessero superato gli
acquisti all’estero, incassando la differenza, o “bilancia commerciale”. Per questo
motivo incoraggiavano politiche che stimolavano le esportazioni e penalizzavano le
importazioni per ottenere una “bilancia commerciale favorevole” per la nazione nel
suo complesso. Per oltre un secolo il termine sistema mercantile mantenne una
connotazione negativa. Nell’ultima parte del XIX secolo alcuni storici fra cui
Schmoller ne rovesciarono la concezione. Per loro, nazionalisti e patrioti, il
Merkantilismus era una politica di costruzione dello Stato portata avanti da saggi e
benevoli. Nelle parole dello Schmoller il mercantilismo è una “costruzione dello
Stato che si accompagna all’edificazione dell’economia nazionale”. Nei manuali si
trovano definizioni del mercantilismo come “teoria” o “sistema” di politica
economica caratteristico dell’Europa occidentale e delle loro dipendenze d’oltremare
dal ‘500 circa fino a forse il 1800. Comunque non ci fu un consenso generale né in
campo teorico né in quello politico. Nonostante le somiglianze, ogni paese ebbe una
propria politica economica. I propugnatori del nazionalismo in economia
sostenevano invariabilmente che le loro politiche avevano l’obiettivo di rafforzare lo
Stato. La natura dello stato variava dalla monarchia assoluta di Luigi XIV alla
repubblica borghese. In nessun stato tutti gli abitanti partecipavano al processo di
governo. Poiché il nazionalismo dei primi stati-nazione aveva un fondamento di
classe, e non popolare, la chiave delle differenze nazionali nel campo della politica
economica dovrebbe essere ricercata nella differente composizione e negli interessi
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divergenti delle classi dominanti. In Francia e nelle altre monarchie assolute niente si
situava al di sopra dei desideri del sovrano. Pochi monarchi mostravano interesse per
le questioni economiche. L’amministrazione era affidata a ministri e funzionari
minori che spesso non conoscevano bene i problemi della tecnologia industriale e
dell’iniziativa commerciale, e rispecchiavano i valori dei loro padroni. In questioni
importanti i sovrani spesso sacrificavano per ignoranza o indifferenza sia il benessere
economico dei loro sudditi che le fondamenta economiche del proprio potere. Il
Governo spagnolo spese più di quanto gli consentissero le entrate. Persino la Francia
di Luigi XIV non fu in grado di sopportare la continua emorragia di ricchezza
sacrificata al perseguimento delle ambizioni territoriali del re e al mantenimento della
sua corte. Alla sua morte il paese si trovava sull’orlo della bancarotta. Le Province
Unite governate da e a beneficio dei ricchi mercanti che controllavano le città
principali, seguirono una politica economica più accorta: stabilendo il libero scambio
all’interno del paese.

Gli elementi comuni
Nel Medioevo gran parte dei signori feudali e soprattutto i monarchi possedevano
dei “forzieri di guerra”: enormi scrigni corazzati in cui venivano accumulate monete
e verghe di metalli preziosi per finanziare guerre previste o inattese. Ciò determinò
una forma di politica economica nota come “bullionismo”, vale a dire il tentativo di
accumulare all’interno del paese tutto l’oro e l’argento possibile, proibendone
l’esportazione mediante decreti che comminavano la pena di morte ai trasgressori. I
tentativi della Spagna di amministrare con parsimonia il tesoro del Nuovo Mondo
furono l’esempio più cospicuo di questa politica. Poiché erano pochi i paesi europei
che possedevano miniere d’oro e d’argento, l’acquisizione di colonie in cui esistessero
miniere di metalli preziosi fu uno degli obiettivi principali dell’esplorazione e della
colonizzazione. Il modello da imitare fu il caso fortunato della Spagna. Fu in questo
quadro che i mercanti riuscirono ad influenzare i Consigli di Stato ed ad escogitare le
argomentazioni a sostegno di una bilancia commerciale favorevole. Secondo la teoria
un paese doveva solo vendere, senza acquistare nulla dall’estero. In pratica ciò era
impossibile e si pose la questione: cosa si doveva esportare e cosa importare? A causa
dell’alta incidenza di raccolti insufficienti e di carestie periodiche, i Governi
cercarono di garantirsi abbondanti riserve interne di grano. Allo stesso tempo
incoraggiarono le manifatture. Per incoraggiare la produzione nazionale, le
manifatture estere furono tagliate fuori o obbligate a pagare alte tariffe
protezionistiche. Le manifatture nazionali furono altresì incoraggiate attraverso la
concessione di monopoli. Se le materie prime non erano disponibili sul mercato
interno, potevano essere importate senza il pagamento di tasse sull’importazione. Le
leggi suntuarie (relative ai consumi) tentarono di limitare il consumo di merci estere e
di favorire quello di prodotti nazionali. Le grandi flotte mercantili consentivano di
ottenere denaro dagli stranieri attraverso la fornitura di servizi di trasporto e
incoraggiavano le esportazioni nazionali assicurando un mezzo di trasporto
conveniente. Quasi tutti i paesi avevano delle “leggi sulla navigazione” che avevano
l’obiettivo di riservare a navi nazionali le importazioni e le esportazioni, e di favorire
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la marina mercantile. I teorici sottolineavano l’importanza dei possedimenti coloniali
come fattori della ricchezza e della potenza nazionale. Anche se le colonie non
possedevano miniere d’oro e d’argento, esse potevano produrre beni non disponibili
nella madrepatria.

La Spagna e l’America spagnola
Nel XVI secolo la Spagna era l’invidia e il flagello delle teste coronate d’Europa. Il
suo re Carlo I ereditò non solo il regno di Spagna (in realtà i regni distinti di Aragona
e di Castiglia) ma anche i domini asburgici in Europa centrale, i Paesi Bassi e la
Franca Contea. Il regno di Aragona gli porto la Sardegna, la Sicilia e tutta l’Italia a
sud di Roma. Nel 1519 Carlo divenne imperatore del Sacro Romano Impero col
nome di Carlo V. Sebbene le risorse agricole spagnole non fossero le migliori, la
Spagna aveva ereditato l’elaborato sistema moresco di orticoltura della Valencia e
dell’Andalusia, mentre la lana delle pecore merino era molto apprezzata in tutta
l’Europa. Essa possedeva inoltre alcune fiorenti industrie (in particolare quella del
panno e del ferro). I possedimenti di Carlo nei Paesi Bassi vantavano l’agricoltura più
avanzata d’Europa. I domini asburgici nell’Europa centrale assicuravano importanti
giacimenti di minerale, l’oro e l’argento dell’Impero nel Nuovo Mondo cominciarono
ad affluire in Spagna in quantità enormi a partire dagli anni trenta. Ma l’economia
spagnola non riuscì a progredire, gran parte della responsabilità deve essere attribuita
alle esorbitanti ambizioni dei suoi sovrani e alla miopia e alla perversità delle loro
politiche economiche. Carlo V riteneva sua missione riunificare l’Europa cristiana. A
questo scopo combatté i turchi nel Mediterraneo e in Ungheria, lottò contro i
principi protestanti ribelli in Germania e fece guerra ai Valois di Francia. Incapace di
ottenere un successo duraturo su ciascuno di questi fronti abdicò nel 1556 al trono di
Spagna. Aveva sperato di trasmettere i suoi possedimenti intatti al figlio Filippo, ma il
fratello Ferdinando riuscì ad ottenere i territori asburgici in Europa centrale e il titolo
d’Imperatore del Sacro Romano Impero dopo la morte di Carlo nel 1558, Filippo II
continuò gran parte delle crociate paterne, aggiungendo anche l’Inghilterra. Nel 1588
ci fu la sconfitta definitiva. Per finanziare le guerre e i notevoli consumi Carlo e
Filippo si affidarono alle tasse. Il popolo spagnolo era nel XVI secolo quello
soggetto alla tassazione più pesante. I grandi proprietari terrieri, quasi tutti di sangue
nobile erano esentati dalle imposte dirette, il carico tributario ricadeva su artigiani,
commercianti e contadini. La corona trovò un’inaspettata fonte di entrate con la
scoperta dell’oro e dell'argento nell'impero americano. Le entrate raramente
pareggiavano le enormi spese del governo. Ciò costringeva i sovrani a ricorrere ad
una terza fonte di finanziamento, il prestito. Il prestito non era una novità per la
Spagna. Ma sotto Carlo e Filippo il ricorso al prestito pubblico divenne una pratica
regolare. Carlo già nei primi anni del suo regno aveva preso a prestito somme enormi
dai Fugger e da altri banchieri tedeschi e italiani per comprare i voti degli elettori che
lo avevano proclamato Sacro Romano Imperatore. Gli interessi su questi debiti
crebbero progressivamente. I prestatori, banchieri fiamminghi e spagnoli oltre che
tedeschi e italiani, si assicurarono contratti in cui venivano offerti a garanzia dei
prestiti, taluni specifici introiti tributari o quote di future spedizioni di argento
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americano. Nel 1557 l'onere era divenuto cosi pesante e il governo rifiutò di
riconoscere una parte sostanziale dei propri debiti, avvenimento definito “bancarotta
nazionale”. I governi, a differenza delle imprese commerciali, non vengono posti in
liquidazione in caso di bancarotta. I debiti a breve termine vennero invece tramutati
in obbligazioni a lungo termine, furono ridotti il capitale e il tasso d'interesse, e il
ciclo ricominciò. In otto occasioni gli Asburgo spagnoli dichiararono bancarotta.
L'assenza di una sistematica politica economica è illustrata dalla storia di due delle
maggiori attività economiche spagnole, la produzione cerealicola e la manifattura del
panno. La produzione dei cereali prosperò nella prima metà del XVI secolo sia per
l'incremento demografico che per il moderato aumento dei prezzi. Con
l’accelerazione dell’aumento dei prezzi, il Governo rispose alle lamentele dei
consumatori imponendo nel 1539 dei prezzi massimi sui cereali. Il risultato fu che,
con l'aumentare dei costi, la terra arabile fu impiegata a fini diversi dalla coltivazione
dei cereali, e la penuria di questi ultimi si aggravò. Per porvi rimedio il Governo
consentì l'importazione esente da dazi di cereali esteri, ciò però scoraggiò
ulteriormente i produttori cerealicoli. Molte terre smisero del tutto di essere coltivate.
La situazione era più o meno identica nell'industria del panno. L’espansione della
domanda fece aumentare i costi e i prezzi. L'offerta non era in grado di reggere il
ritmo di crescita della domanda. Nel 1548 furono aboliti i dazi sul panno estero e fu
proibita l'esportazione del prodotto nazionale. Ci fu una grave crisi. Con una politica
economica illuminata Carlo V avrebbe potuto assicurare una durevole prosperità al
suo vasto impero. Ogni regione, consapevole delle proprie tradizioni e dei propri
privilegi, avrebbe opposto resistenza ad una iniziativa in tal senso. Il monarca era
troppo dipendente dalle entrate doganali per abolire le tariffe e i dazi interni sul
commercio tra le varie regioni dell'impero. Anche dopo l'unione delle corone di
Castiglia e di Aragona ciascuna manteneva le proprie barriere tariffarie contro l’altra
e persino un diverso sistema monetario. I mercanti e gli industriali dei Paesi Bassi
dovettero la loro capillare penetrazione nei mercati spagnoli alla loro superiore
capacità concorrenziale piuttosto che a qualche speciale privilegio. I sovrani spagnoli
riuscirono a danneggiare il benessere dei loro sudditi e ad indebolire le fondamenta
economiche del loro stesso potere. Nei primissimi anni del loro regno Ferdinando e
Isabella ottennero dal Papa l'autorizzare a fondare l’Inquisizione. Le conseguenze
iniziali dell’Inquisizione furono i casi di apostasia tra i conversos - gli ebrei convertitisi
al cristianesimo di fatto o solo nominalmente - sebbene gli ebrei praticanti fossero
ancora ufficialmente tolleranti. Molti ebrei e conversos figuravano tra i più ricchi e
colti cittadini spagnoli. Il clima di terrore determinato dall’Inquisizione spinse molti
conversos ed ebrei ad emigrare, portando via con se le proprie ricchezze. I monarchi
seguirono una politica analoga nei confronti dei mori musulmani. Nel 1502
decretarono la conversione o l’espulsione di tutti i mori; poiché questi ultimi erano in
maggioranza umili lavoratori agricoli furono costretti a diventare nominalmente
cristiani: i moriscos. Nel 1609 un altro Governo spagnolo ordinò l’espulsione dei
moriscos. Le politiche della Spagna nei confronti del suo impero americano furono
altrettanto autodistruttive. Non appena cominciò a diffondersi una certa
consapevolezza della portata delle scoperte nel Nuovo Mondo il Governo impose

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una politica di monopolio. Nel 1501 fu proibito agli stranieri di stabilirsi nelle nuove
colonie o di commerciare con esse. Nel 1503 fu creata a Siviglia la Casa de Contrataciòn
con un monopolio commerciale. Tutte le navi mercantili erano tenute a viaggiare con
i convogli armati riuscendo, così, a proteggere le spedizioni di metalli preziosi. Le
politiche monopolistiche si rilevarono talmente ingestibili che il Governo fu costretto
a fare marcia indietro. Nel 1524 si permise ai mercanti stranieri di commerciare con
l’America senza però stabilirvisi. Ciò risultò una tale manna per i mercanti italiani e
tedeschi tanto che nel 1538 il Governo abrogò questa politica restaurando il
monopolio dei castigliani. Tra il 1529 e il 1573 fu permesso alle navi di altri dieci
porti oltre Siviglia di commerciare con l’America, ma con l'obbligo di registrare i loro
carichi a Siviglia e di scaricare in questa città le merci trasportate al ritorno. A causa
della lievitazioni dei costi questa autorizzazione ebbe scarsi risultati, la politica del
monopolio e delle limitazioni incoraggiava invece l’evasione e il contrabbando. La
politica generale era di riservare il mercato dei prodotti di manifattura delle colonie ai
produttori della metropoli. L’intrinseca assurdità di questa politica coloniale è nel
trattamento riservato all’unico possedimento spagnolo nel Pacifico, l’arcipelago delle
Filippine. Sebbene ricadessero nell'orbita portoghese le Filippine divennero
possedimento spagnolo in virtù della scoperta di Magellano. I Filippini ed altri asiatici
commerciavano tra loro e con le vicine regioni asiatiche, Cina compresa. Il solo tipo
di commercio con l’Europa permesso era indiretto, attraverso il Messico e la stessa
Spagna. Ogni anno un’unica nave, il galeone di Manila, partiva da Acapulco. L'intero
viaggio richiedeva due anni. La nave caricava spezie, sete cinesi porcellane ed altri
prodotti di lusso orientali. Ovviamente poche potevano essere le merci che
riuscivano a sopportare un tale costo.

Il Portogallo
Una delle imprese più notevoli dell’età dell’espansione europea fu quella del
Portogallo, stato piccolo che riuscì ad assicurarsi il dominio su un vasto impero
marittimo in Asia, Africa e America. All’inizio del XVI secolo l’economia era
prevalentemente di sussistenza, le esportazioni erano di prodotti primari e le
importazioni comprendevano il grano e prodotti industriali quali il panno e gli
articoli di ferramenta. I fattori che condussero il Portogallo ad ottenere una
posizione di predominio furono:
• la fortuna, all’epoca in cui il Portogallo si affacciò nell’Oceano Indiano le realtà
    politiche in quell’area erano eccezionalmente deboli e divise;
• le conoscenze accumulate nella progettazione delle navi, nelle tecniche di
    navigazione e in tutte le arti relative;
• lo zelo, il coraggio e la capacità degli uomini che si avventurarono nei mari.
Nell’ebbrezza delle scoperte e dei successi asiatici i Portoghesi prestarono scarsa
attenzione ai loro possedimenti africani e americani. Il commercio delle spezie
prometteva rapidi profitti. Dopo il 1530 però la Corona portoghese fu allarmata dalla
presenza di predoni francesi sulle coste del Brasile e decise di favorire l’insediamento
di coloni portoghesi nell’entroterra. Le prime colonie non prosperarono, la
popolazione indigena non rappresentava un mercato per la produzione portoghese
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né un’affidabile forza lavoro. Il Brasile non divenne parte integrante dell’economia
imperiale fino agli anni settanta, con l’introduzione della canna da zucchero e di
tecniche di coltivazione che prevedevano l’impiego di schiavi africani. Subito dopo il
Portogallo passò alla Corona spagnola. Il monopolio legale della Corona portoghese
nel commercio delle spezie attirò a questa ultima gli appellativi derisori di “re
droghieri” ma la realtà celata era abbastanza differente da quella che si potrebbe
sospettare. Il Portogallo non si assicurò mai un controllo effettivo delle fonti di
approvvigionamento delle spezie. Alla fine del XVI secolo esse sostenevano un
volume di scambi mai visto. Due erano le ragioni principali :
• i Portoghesi erano semplicemente troppo sparpagliati;
• la Corona era costretta ad affidarsi, per amministrare il proprio monopolio, a
     ufficiali regi o ad imprenditori che ne “appaltavano” una parte; gli ufficiali regi
     non erano ben pagati e spesso arrotondavano i loro stipendi accettando doni da
     contrabbandieri o commettendo in prima persona commerci illeciti.
Il commercio delle spezie fu la più famosa ma solo una delle molte branche del
commercio che i monarchi portoghesi cercarono di monopolizzare per ragioni fiscali.
La Corona portoghese monopolizzava quello con l’Africa le cui esportazioni più
preziose erano l’oro, gli schiavi e l’avorio. Con la scoperta dell’America la domanda di
schiavi crebbe enormemente. Nel XVIII secolo ci fu la scoperta di oro e diamanti in
Brasile. La Corona cercò di monopolizzarne il commercio, ma le navi da guerra
inglesi erano veicoli frequenti di questo commercio di contrabbando. Le tentazioni
monopolistiche della Corona non si limitarono ai prodotti esotici dell’India e
dell’Africa, ma si estesero a prodotti nazionali di prima necessità e quello che la
Corona non riusciva a monopolizzare veniva tassato. All’inizio del XVIII secolo
quasi il 40% del valore delle merci spedite legalmente da Lisbona al Brasile era
rappresentato da dazi doganali e altre tasse. La ragione prima di monopolio e tasse
era quella di assicurare nuove entrate alla Corona; ma l’evasione era agevole e diffusa.
Quanto più era forte l’imposizione fiscale tanto maggiore era l’incentivo ad evaderla.
Anche i Portoghesi cominciarono a chiedere prestiti ad alti tassi di interesse ad
italiani e fiamminghi, oppure ai sudditi del re, i “nuovi cristiani” (questo termine era
eufemisticamente applicato ai cittadini portoghesi di origine ebraica). Alcuni di essi si
erano realmente convertiti al cristianesimo, ma molti avevano segretamente
conservato la loro fede. Re Emanuele aveva nel 1497 obbligato alla conversione gli
ebrei a imitazione e su istanza dei monarchi spagnoli, ma per vari decenni non fu
preso alcun provvedimento repressivo. In realtà cristiani vecchi e nuovi continuavano
a vivere insieme in armonia e ad unirsi in matrimonio. Ma alla fine anche il
Portogallo ottenne la sua Inquisizione: i cittadini erano addirittura istigati a
denunciarsi a vicenda.

L’Europa centrale, orientale e settentrionale
Tutta l’Europa centrale, dall’Italia settentrionale al Baltico, era nominalmente unita
sotto il Sacro Romano Impero. Il territorio era organizzato in centinaia di principati
indipendenti o quasi, da possedimento laici ed ecclesiastici di dimensioni variabili, a
quello del singolo cavaliere imperiale, alle terre asburgiche dell’Austria, della Boemia
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e dell’Ungheria. Con la riforma protestante l’autorità dell’Imperatore ebbe subito una
drastica limitazione. La lotta tra il particolarismo locale e le tendenze centralizzatrici
dei più potenti monarchi e principi costituisce gran parte della storia europea della
prima età moderna.
In Germania i propugnatori del nazionalismo economico sostenevano una serie di
principi. Gli scrittori che appartengono a questa scuola sono di solito chiamati
cameralisti dalla parola latina “camera” che nell’uso tedesco dell’epoca indicava le casse
o il tesoro dello stato territoriale. Questi scrittori erano funzionari statali, cioè
funzionari dei principi territoriali che lottavano per conseguire un’autonomia sia
politica che economica. Nella loro preoccupazione per il rafforzamento dello stato
territoriale, essi invocavano misure che, oltre a riempire le casse dello Stato,
avrebbero ridotto la sua dipendenza da altri Stati e lo avrebbero reso più
autosufficiente in caso di guerra: limitazioni al commercio con l’estero,
incentivazione delle manifatture nazionali, bonifica dei terreni paludosi, offerta di
lavoro per i “poveri oziosi”. Nel XVIII secolo in diverse università tedesche furono
fondate cattedre speciali destinate a preparare i futuri funzionari statali.
Il caso più spettacolare di successo di una politica di centralizzazione è senza dubbio
quello dell’ascesa della Prussia degli Hohenzollern. E’ stato questo successo a
spingere alcuni storici a ribaltare la condanna prevalente delle politiche del
nazionalismo economico. Questa dinastia arrivò al potere nell’elettorato del
Brandeburgo, nel XV secolo. Gli Hohenzollern estesero i propri domini per via
ereditaria. Notevole fu l’acquisizione della Prussia orientale nel 1618. La guerra dei
Trent’anni causò grandi devastazioni ma a partire da Federico Guglielmo (il “Grande
Elettore”) una serie di abili regnanti trasformò il Brandeburgo-Prussia in una delle
più grandi nazioni europee. Tra i mezzi impiegati figurano gli strumenti consueti
della cosiddetta politica mercantilistica, quali dazi protettivi, concessioni di monopoli
e sussidi all’industria, incentivi a imprenditori stranieri e lavoratori specializzati a
stabilirsi nei territori meno popolati. Fattore importante fu la gestione delle risorse
dello Stato: attraverso la centralizzazione dell’amministrazione, il requisito della
responsabilità personale imposto al corpo di funzionari statali professionisti da loro
creato, l’attenta riscossione delle imposte e la parsimonia sul lato della spesa, essi
crearono una macchina statale efficientissima. La loro unica stravaganza fu l’esercito
che arrivò ad assorbire più della meta del bilancio statale. I Re prussiani sfruttarono il
loro esercito non solo da un punto di vista militare e politico ma anche economico.
Essi erano in grado di ottenere sussidi dagli alleati ed evitavano di prendere denaro in
prestito. Nonostante lo Stato fosse efficiente l’economia del paese era solo
moderatamente prospera secondo il metro dell’epoca.
All’ascesa della Prussia si contrappose la scomparsa del regno di Polonia. La caduta
della Polonia ebbe cause militari e politiche, quali la debolezza dell’autorità regia
elettiva ed il liberum veto, in virtù del quale ogni singolo membro del sejm, parlamento,
poteva annullare gli atti dell’intera sessione. Ma la povertà e l’arretratezza
dell’economia furono fattori determinanti. Giuridicamente la popolazione era
composta per circa tre quarti da servi, legati alla terra e con nessun diritto. La nobiltà
polacca era abbastanza numerosa, ma nella grande maggioranza era anch’essa povera

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e virtualmente senza terra. La maggior parte della terra era controllata da non più di
una ventina di famiglie. Nel XVI e XVII secolo la Polonia esportò in Occidente
grandi quantità di cereali, ma con l’aumento della produzione agricola in Occidente la
domanda di grano si contrasse e il paese ritornò ad una agricoltura di sussistenza.
Sebbene l’assenza di un’effettiva autorità centrale rendesse impossibile per la Polonia
una coerente politica economica, alcune regioni che ne facevano parte l’avevano:
esempio è lo stato di Curlandia ma non ebbe lunga vita e scomparve insieme alla
Polonia.
Nel XVI e XVII secolo la Russia si sviluppò sia dal punto di vista economico che
politico. Priva di sbocchi sul mare, intratteneva pochissimi scambi commerciali di
lunga distanza. La grande maggioranza della popolazione si dedicava ad una
agricoltura di sussistenza, condizionata dalle istituzioni servili. Nel frattempo
nonostante le numerose rivolte l’autorità dello Zar si andava rafforzando. Nel 1696
quando Pietro I (“il Grande”) divenne unico sovrano, il suo potere all’interno dello
Stato era senza rivali. Pietro intraprese un politica di “occidentalizzazione”: concesse
sussidi e privilegi ad artigiani e imprenditori occidentali disposti a stabilirsi in Russia
per esercitarvi una professione o un commercio; costruì la città di San Pietroburgo, la
sua “finestra sull’occidente”; si assicurò così un porto e cominciò a costruire una
flotta per estendere i propri domini; costituì un più efficiente sistema tributario per
raccogliere più denaro possibile. Quando le industrie del paese si dimostrarono
incapaci di soddisfare le sue richieste di articoli militari, Pietro fondò arsenali, cantieri
navali e fonderie che disponevano di tecnici occidentali il cui compito era di
addestrare una forza lavoro indigena, ma il tentativo ebbe scarso successo. Dopo la
morte di Pietro la maggior parte delle industrie da lui fondate scomparvero, la flotta
cadde in rovina e persino il suo sistema tributario assicurò rendite inadeguate a
mantenere l’esercito e la burocrazia. Tra i suoi successori Caterina (anch’essa detta “la
Grande”) fu responsabile di due innovazioni nella finanza statale: l’accensione di
prestiti all’estero e l’eccessiva emissione di moneta cartacea a corso fiduciario.
Nel XVI e XVII secolo la Svezia svolse un ruolo di grande potenza politica. Il suo
successo dipese dall’abbondanza di risorse naturali (rame e ferro) e dall’efficienza
amministrativa del suo governo. I Sovrani svedesi abolirono i dazi doganali e le
tariffe interne che ostacolavano il commercio negli altri paesi, standardizzarono pesi
e misure, istituirono un sistema di tassazione uniforme e presero dei provvedimenti
che favorirono la crescita del commercio e dell’industria. Nel XVIII secolo la Svezia
divenne il principale fornitore di ferro sul mercato europeo.
L’Italia è stata esclusa da questa rassegna delle politiche nel periodo del nazionalismo
economico perché subì le rivalità delle grandi potenze. Ripetutamente invase le sue
città-stato e i suoi piccoli principati ebbero scarse opportunità di intraprendere o
porre in atto politiche indipendenti. Fece eccezione la repubblica di Venezia che
riuscì a conservare sia l’indipendenza politica che una certa prosperità economica
fino alla conquista francese del 1797. Venezia sviluppò un’importante industria della
lana, della vetreria, della carta e della stampa. Il Governo (oligarchia) tentò di
scongiurare la decadenza commerciale ma con scarso successo.


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Il colbertismo in Francia
L’esempio archetipo del nazionalismo economico fu la Francia di Luigi XIV. Luigi ne
costituì il simbolo e il potere, ma la responsabilità del disegno politico fu del suo
primo ministro Jean-Baptiste Colbert. La sua influenza fu tale che è stato coniato il
termine colbertisme (sinonimo di mercantilismo). Colbert cercò di sistematizzare e
razionalizzare l’apparato dei controlli statali sull’economia, ereditato dai suoi
predecessori, ma non riuscì mai ad ottenere un vero successo. La ragione del suo
fallimento fu l’incapacità di attingere dall’economia denaro sufficiente a finanziare le
guerre e il lusso smodato della corte di Luigi. All’epoca della guerra dei Cent’anni le
“imposte straordinarie” (imposte in caso di emergenza) erano divenute voci
permanenti delle entrate reali. Alla fine del XVI secolo il Re si era accaparrato il
potere di elevare i tassi d’imposta e di istituire nuove tasse per decreto, senza il
consenso di alcuna assemblea rappresentativa. Alla fine del XVI secolo le entrate
tributarie erano aumentate di sette volte rispetto all’inizio del secolo. Ma neanche
questa manna fiscale riuscì a coprire le spese delle campagne italiane. Per raccogliere
denaro i Re furono costretti a ricorrere ad altri espedienti come l’accensione di
prestiti e la vendita degli uffici. I Re francesi avevano preso denaro a prestito nel
Medioevo ma fu solo a partire dal regno di Francesco I che i debiti della corona
entrarono a far parte del sistema fiscale. Il debito crebbe progressivamente. La
Corona si procurava nuove entrate anche attraverso la vendita degli uffici (giudiziari,
fiscali e amministrativi). La vendita degli uffici divenne una pratica normale. Questa
politica raggiunse il suo obiettivo immediato ma a lungo andare il suo effetto fu
deleterio: infatti creò una moltitudine di nuovi uffici privi di funzioni o le cui
funzioni erano dannose per le masse. La Corona, per la riscossione delle imposte
istituì la figura degli esattori che si impegnavano a pagare allo Stato una somma
forfetaria in cambio del privilegio di riscuotere certe specifiche tasse, quali le aides
(imposte sul consumo che colpivano diverse merci) e la gabelle (originariamente
imposta sul consumo del sale che divenne un tributo fisso) e soprattutto molti dazi e
pedaggi. Fu il fallimento del sistema fiscale come produttore di entrate a portare
all’assemblea degli Stati Generali del 1789, l’inizio della fine dell’antico regime. Oltre
che a riformare il sistema tributario Colbert cercò di migliorare l’efficienza e la
produttività dell’economia francese. Furono emanati numerosi decreti e ingiunzioni
che avevano per oggetto le caratteristiche tecniche dei manufatti e la condotta dei
mercanti. Incoraggiarono la proliferazione delle corporazioni e concessero sussidi
alle manifactures royales. Per conseguire una bilancia commerciale favorevole crearono
un sistema di proibizioni e di alti dazi protettivi. I Re francesi inaugurarono i loro
tentativi di centralizzazione del potere sulla nazione e del controllo dell’economia nel
periodo successivo alla guerra dei Cent’anni. Uno dei risultati delle guerre italiane fu
di stimolare tra gli aristocratici la domanda di beni di consumo di lusso che Re ed
ufficiali avevano conosciuto in quel paese. L’uomo che dovrebbe essere considerato il
fondatore della tradizione francese dell’étatisme (statalismo) negli affari economici fu il
duca di Sully, primo ministro di Enrico IV. Sully è considerato un energico
amministratore tuttavia il suo ambiguo legato è simboleggiato dai due provvedimenti
(solitamente attribuiti ad Enrico) presi nel 1598. Da un lato con l’editto di Nantes
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Enrico concedeva ai protestanti una tolleranza limitata, dall’altro ridusse d’autorità sia
il capitale che il tasso d’interesse su tutti i maggiori debiti della Corona (regia
dichiarazione di bancarotta parziale). Sully accrebbe le entrate derivanti dai monopoli
reali sulla produzione di salnitro, polvere da sparo, munizioni e sale. Richelieu e
Mazzarino (successori di Sully) non avevano interesse per gli affari finanziari, ma
avevano come obiettivo principale l’affermazione della Francia nell’arena
internazionale, essi lasciarono che le finanze statali scivolassero nelle deplorevoli
condizioni risalenti a prima di Sully. Uno dei principali obiettivi di Sully era di rendere
la Francia autosufficiente dal punto di vista economico e di creare un impero sui
mari. Per disciplinare l’industria emanò istruzioni dettagliate che abbracciavano ogni
fase della manifattura di centinaia di prodotti. Colbert, di salda fede cattolica,
appoggiava la limitata tolleranza agli Ugonotti dall’editto di Nantes. Dopo la sua
morte il suo debole successore si sottopose alla determinazione di Luigi di sradicare
l’eresia protestante che culminò nella revoca dell’editto nel 1685. Ciò gettò la Francia
in una grave crisi economica dalla quale non doveva emergere fino alla fine della
Guerra di Secessione spagnola.

La prodigiosa ascesa dei Paesi Bassi
La struttura del Governo della Repubblica Olandese era del tutto diversa da quella
delle monarchie assolute dell’Europa continentale ed inoltre l’economia olandese
dipendeva dal commercio internazionale molto più di quelle dei più grandi vicini.
L’Unione di Ultrecht del 1579, il patto tra le sette province settentrionali che
divennero poi i Paesi Bassi Uniti o Repubblica olandese, fu più una sorta di alleanza
difensiva contro la Spagna che l’istituzione di uno stato-nazione. Tutte le decisioni
dovevano essere raggiunte per accordo unanime, e ciascuna provincia disponeva di
un voto; in mancanza di accordo i delegati facevano ritorno nei rispettivi stati
provinciali per consultazioni e istruzioni. Gli Stati provinciali erano dominati dalle
maggiori città. Queste erano governate da Consigli cittadini autorinnovanti composti
da un numero di membri che erano i veri signori della Repubblica olandese.
Originariamente i membri di questa oligarchia venivano selezionati tra le più
facoltose famiglie cittadine. I membri di questo gruppo di Governo, noti come i
“reggenti” cominciarono a provenire da una classe di rentiers composta da proprietari
terrieri e possessori di titoli di stato; i reggenti discendevano solitamente da famiglie
mercantili o si legavano ad esse per via di matrimonio. Alla base della superiorità
commerciale olandese erano i cosiddetti “commerci madre”, i traffici che collegavano
i porti olandesi con quelli del mare del Nord, del Baltico, del Golfo di Biscaglia e del
Mediterraneo. La pesca delle aringhe occupava un posto eccezionale nell’economia
olandese. L’agricoltura olandese era la più produttiva d’Europa e si concentrava sulle
produzioni di maggior valore, come burro, formaggio, e colture industriali. I Paesi
Bassi mancavano di risorse naturali come carbone e minerali, ma importavano
materie prime e prodotti semilavorati, come i tessuti grezzi di lana inglesi, per
riesportarli in forma finita, importante era anche l’industria delle costruzioni navali. I
Paesi Bassi settentrionali, in special modo l’Olanda e la Zelanda, beneficiarono in alto
grado della libera immigrazione delle altre regioni europee. La facilità con cui
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Amsterdam raggiunse la sua posizione di principale centro commerciale europeo fu
in parte una conseguenza dell’afflusso di mercanti e finanzieri dalla decaduta Anversa
che portarono con sé il know-how capitalistico e i capitali liquidi. Queste migrazioni
furono nello stesso tempo un simbolo e un contributo alla politica di tolleranza
religiosa dei Paesi Bassi. L’oligarchia mercantile riuscì a conservare sia la libertà
religiosa che economica per i cattolici, gli ebrei e i protestanti. L’interesse olandese
per la libertà era effettivo, in particolare per quanto riguardava la libertà dei mari. La
lotta olandese per la libertà era un po’ più equivoca nelle questioni di politica
commerciale e industriale: le città seguivano politiche di libero scambio, non vi erano
dazi che ostacolassero le esportazioni e le importazioni di materie prime e prodotti.
Tariffe e tasse sui generi di prima necessità erano finalizzate all’ottenimento di
entrate, non alla protezione delle industrie nazionali. Il commercio dei metalli
preziosi era del tutto libero. Amsterdam, con la sua banca, la borsa e la favorevole
bilancia dei pagamenti divenne in breve tempo l’emporio mondiale dell’oro e
dell’argento. La libertà era la norma anche nell’industria. Pur non del tutto assenti, le
corporazioni non erano né diffuse né potenti come negli altri paesi. La più notevole
eccezione all’assenza di regole nel commercio e nell’industria olandesi era il “Collegio
della pesca” sanzionato dal Governo che disciplinava la pesca delle aringhe. Il
Collegio licenziava vascelli per il controllo della quantità ed imponeva inoltre rigidi
controlli di qualità. Questa politica restrittiva diede generosi risultati finché gli
Olandesi riuscirono a conservare il quasi monopolio sul mercato europeo. Là dove
gli olandesi prendevano più nettamente le distanze dalla loro regola generale di
libertà era nei confronti dell’impero coloniale. Gli Stati generali olandesi delegarono
il controllo del commercio ma anche i poteri del governo a società per azioni di
proprietà privata, la Compagnia delle Indie orientali per l’Oceano Indiano e
l’Indonesia e la Compagnia delle Indie occidentali per la costa occidentale dell’Africa
e dell’America settentrionale e meridionale. Le compagnie scoprirono ben presto che
per avere successo dovevano stabilire un controllo territoriale. Nella misura in cui
l’ottennero si trasformarono in “stati nello stato”, conseguenza inevitabile fu il
monopolio commerciale sia nei confronti dei connazionali che della concorrenza
straniera.

Il “colbertismo parlamentare” in Gran Bretagna
Le strategie economiche dell’Inghilterra e, dopo l’unione tra il Parlamento scozzese e
quello inglese nel 1707, della Gran Bretagna erano diverse sia da quelle Olandesi che
delle monarchie assolute del continente. Mentre le caratteristiche generali delle
politiche economiche delle altre nazioni europee rimasero più o meno le stesse
dall’inizio del XVI secolo alla fine del XVIII secolo, quelle inglesi e britanniche
attraversarono una graduale evoluzione corrispondente all’evoluzione del governo
costituzionale. Enrico VIII fu per l’Inghilterra un monarca assoluto. Ma mentre nella
maggior parte dei paesi del continente l’assolutismo monarchico crebbe nel corso del
XVI e XVII secolo, in Inghilterra nel 1688 si ebbe una monarchia costituzionale
sotto controllo parlamentare. Un’altra differenza tra l’Inghilterra e il continente getta
luce sulla natura della politica economica. In Spagna e in Francia le necessità fiscali
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della Corona resero impossibile al Governo di perseguire una politica razionale di
sviluppo economico. In Inghilterra le richieste della Corona la posero ripetutamente
in conflitto con il Parlamento, fino alla vittoria finale di quest’ultimo. Il Parlamento
inglese non aveva mai rinunciato alla sua prerogativa di approvare nuove tasse. Il
tentativo di Carlo V dopo il 1630 di governare senza il Parlamento e di riscuotere le
tasse senza autorizzazione parlamentare fu uno dei fattori scatenanti dell’insurrezione
armata. Dopo l’insediamento di Guglielmo e Maria nel 1689 come monarchi
costituzionali il Parlamento assunse il controllo diretto delle finanze del Governo e
istituì formalmente un debito “nazionale” distinto da quelle personali del Governo.
La cosiddetta gloriosa rivoluzione del 1688-89 rappresenta una svolta importante
non solo nella storia politica e costituzionale ma anche in quella economica. Nel
campo della sola finanza pubblica, l’ultimo decennio del ‘600 vide l’istituzione di un
debito consolidato, la creazione della Banca d’Inghilterra, la sostituzione della
moneta nazionale con moneta di nuovo conio e l’affermazione di un mercato
organizzato per i titoli pubblici e privati. Il successo del nuovo sistema finanziario
non fu immediato, nei primi anni fu sconvolto dalla “bolla del Mare del Sud”. Uno
storico definì “colbertismo parlamentare” la politica economica inglese del periodo
compreso tra la grossa rivoluzione e la rivoluzione americana. Come il termine
“mercantilismo” anche questa definizione è imprecisa perché ignora il ruolo notevole
avuto dal Parlamento prima del 1688 nelle scelte di politica economica, fuorviante in
quanto fa supporre che il Parlamento aspirasse a conseguire un grado di intervento
nell’economia analogo a quello di Colbert. Essa ha comunque il merito di indicare
che, in Inghilterra, le scelte di politica economica non erano prerogativa di un
monarca assoluto ma rispondevano agli interessi eterogenei di quei gruppi che erano
effettivamente rappresentati in Parlamento. E’ impossibile illustrare dettagliatamente
tutti i modi in cui il parlamento influenzò l’economia. Esamineremo alcuni tipici e
importanti atti legislativi. Lo statuto dei mestieri del 1563 è stato spesso additato come
esempio archetipo di legge mercantilista, attentamente soppesata ed espressione di
un piano di ampio respiro per l’intera economia. In realtà esso non fu niente del
genere, fu una reazione ad una situazione temporanea. La sua maggiore
preoccupazione era la stabilità sociale. Le clausole più importanti imponevano a tutte
le persone abili di dedicarsi ad un lavoro produttivo. Stabiliva la norma dei sette anni
di apprendistato per tutte le arti e mestieri compresa l’agricoltura e specificava gli
strati sociali da cui gli apprendisti dovevano essere scelti. Essa avrebbe impedito lo
sviluppo economico. Ma l’applicazione domandata ai giudici di pace (funzionari regi
non pagati) era approssimativa e di regola inesistente. Altro progetto importante è
quello di Cokayne. Nel Medioevo la merce più esportata dall’Inghilterra era stata la
lana grezza e il mercato principale per questi tessuti erano i Paesi Bassi. Nel 1614 sir
William Cokayne, mercante, assessore della City di Londra e confidente del re
Giacomo I, persuase quest’ultimo a revocare il monopolio dei Merchant Adventures,
proibì l’esportazione di tessuti finiti ad una nuova società di cui Cokayne era
l’esponente di maggiore spicco. Il motivo era che i processi di rifinitura erano la fase
più redditizia della manifattura del panno; riservandoli all’Inghilterra il progetto
avrebbe accresciuto il reddito nazionale e colpito gli Olandesi. Questi ultimi

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risposero proibendo l’importazione di lane colorate dall’Inghilterra. Nel 1617 il
Governo ripristinò il monopolio dei Merchant Adventures ma la crisi commerciale
non si arrestò. Nel 1624 su pressione della Camera dei Comuni, il Governo
liberalizzò il commercio del panno. Altro atto importante furono i Navigation Acts.
Le leggi sulla navigazione, il cui scopo generale era di riservare il commercio
internazionale di un paese alla marina mercantile di quest’ultimo, non furono
un’esclusiva dell’Inghilterra o del XVII secolo. Quasi tutti i paesi avevano proprie
leggi in questo campo. La prima era stata promulgata in Inghilterra nel 1381, tali leggi
erano inefficaci per due ragioni, mancavano di adeguati meccanismi di applicazione e
le marine mercantili non erano all’altezza della concorrenza. Gli Olandesi si
sentirono sufficientemente colpiti da dichiarare guerra. Sebbene la legge sulla
navigazione non fosse l’unica causa di questa dichiarazione di guerra, la sua
abrogazione fu uno degli obiettivi perseguiti dagli Olandesi senza successo, nelle
trattative che posero termine ad una guerra ormai in una situazione di stallo. Nel
1660 il Parlamento rinnovò e diede maggior forza alla legge e divenne una pietra
angolare del sistema coloniale inglese. La legge cercava anche di proteggere
l’industria delle costruzioni navali imponendo che le navi fossero costruite in
Inghilterra, ma in questa clausola si rivelò di difficile applicazione. Persino alle navi
britanniche era richiesto di importare le merci direttamente dal paese d’origine, in
questo modo la legge mirava a indebolire la posizione commerciale di Amsterdam e a
colpire il trasporto merci olandese. Il commercio costiero era riservato
esclusivamente a navi inglesi. Il commercio con le colonie britanniche doveva inoltre
avvenire su naviglio britannico. In pratica questa clausola riservava il mercato
coloniale ai mercanti e agli industriali inglesi. Le leggi sulla navigazione non furono di
facile applicazione soprattutto nelle colonie ma favorirono la crescita della marina
mercantile inglese e del commercio marittimo. Ebbero anche un effetto: la perdita di
una larga parte del vecchio Impero britannico. Superate le difficoltà iniziali dei primi
decenni del Seicento, le colonie inglesi del Nord America erano cresciute
prodigiosamente. La crescita del reddito e della ricchezza fu ancora più
impressionante della crescita demografica, man mano che le colonie si
specializzarono secondo criteri di vantaggio relativo e cominciarono a commerciare
intensamente tra di loro, con la madrepatria e illegalmente con l’Impero spagnolo.
Sebbene le leggi sulla navigazione disciplinassero il commercio coloniale la loro
applicazione non fu particolarmente rigorosa fino a dopo la guerra dei Sette Anni.
Nella seconda metà del XVII secolo la Compagnia delle Indie orientali cominciò ad
importare dall’India un tessuto poco costoso, leggero e dai vivaci colori detto calicò
che divenne ben presto popolare. Nel 1701 gli industriali lanieri persuasero il
Parlamento ad approvare il primo Calico Act, che proibiva l’importazione dei tessuti
di cotone stampato: nacque una nuova industria. Quella della lana si sentì minacciata,
e nel 1721 il Parlamento approvò una seconda legge sul calicò che proibiva
l’ostentazione e l’uso dei tessuti di cotone stampato. Ciò a sua volta stimolò
un’industria cotoniera nazionale basata sull’importazione di cotone grezzo. Alla fine
del secolo la manifattura del cotone aveva preso il posto della lana come prima
industria britannica. In gran Bretagna la crescita del potere parlamentare a spese della

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monarchia portò con sè maggior ordine nelle finanze pubbliche, un sistema
impositivo più razionale ed una più snella burocrazia statale. L’ideale era ancora
quello di un’economia “regolata” e il Parlamento seguì una rigorosa politica di
nazionalismo economico. Internamente pur desiderando controllare l’economia il
Parlamento mancava in generale della possibilità di farlo. Gli imprenditori inglesi
godevano di una misura di libertà e di opportunità virtualmente unica al mondo.



CAPITOLO VII
L’ALBA DELL’INDUSTRIA MODERNA

All’inizio del ‘700 diverse regioni europee avevano sviluppato discrete concentrazioni
di industria rurale. Per descrivere tale processo di espansione e di trasformazione
occasionale di queste industrie è stato inventato il termine di
protoindustrializzazione. Le caratteristiche essenziali di un’economia protoindustriale
sono una forza lavoro dispersa, rurale, organizzata da imprenditori urbani che la
riforniscono di materia prima e smerciano il prodotto in mercati lontani. La
protoindustrializzazione fa riferimento in primo luogo alle industrie dei beni di prima
necessità, in particolare tessili. Nel cap. VI si è parlato di “manifactures royales”
francesi (situate in grandi strutture simili a fabbriche dove maestri artigiani
lavoravano sotto la supervisione di un sovrintendente o di un imprenditore).
Analoghe protofabbriche furono organizzate da nobili proprietari terrieri (industria
del carbone, ferriere, fabbriche di piombo, rame e vetro) ma, sebbene imponenti
furono eclissate nel XVIII secolo dalla nascita di nuove forme di attività industriale.

Caratteristiche dell’industria moderna




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Una delle differenze più ovvie tra la società preindustriale e la moderna società
industriale è il forte ridimensionamento in quest’ultima del ruolo relativo
dell’agricoltura. Alla diminuzione della sua importanza corrisponde una crescita
enorme della produttività dell’agricoltura moderna. Una differenza è l’elevata
percentuale di forza lavoro impiegata nel settore terziario, o dei servizi in epoche
recenti. Nel periodo della vera e propria industrializzazione la caratteristica saliente
della trasformazione strutturale dell’economia fu l’ascesa del settore secondario
(industria estrattive, manifatturiera e delle costruzioni) riscontrabile sia sulla base
della forza lavoro impiegata che dei livelli di produzione. La Gran Bretagna è definita
la “prima nazione industriale”. Il termine “rivoluzione industriale” è stato usato per
indicare gli ultimi decenni del Settecento e i primi dell’Ottocento: tale espressione è
imprecisa, il suo uso distoglie l’attenzione dalle evoluzioni contemporanee ma
differenti dei paesi dell’Europa continentale. La nostra attenzione è rivolta all’inizio
del processo di industrializzazione nella Gran Bretagna del XVIII secolo. Nel corso
di questa trasformazione emersero alcune caratteristiche che distinguono in modo
netto l’industria moderna da quella “premoderna”. Esse sono:
• l’uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica;
• l’introduzione di nuove fonti di energia inanimata (combustibili fossili);
• impiego diffuso di materiali che normalmente non si trovano in natura.
I miglioramenti più significativi dal punto di vista tecnologico furono quelli che
videro l’utilizzazione di macchine e di energia meccanica. Ma gli sviluppi più
importanti furono la sostituzione della legna e del carbone di legna col carbon fossile
come combustibile e l’introduzione della macchina a vapore nell’industria mineraria,
manifatturiera e dei trasporti.
Rivoluzione industriale: un termine equivovo
Questo termine è stato usato per oltre un secolo per indicare quel periodo della
storia britannica che vide l’introduzione delle macchine e del sistema di fabbrica nel
processo di produzione. Le prime descrizioni del fenomeno misero in evidenza le
“grandi invenzioni” e la natura drammatica dei mutamenti. Il cambiamento fu quasi
violento, in pochi anni furono perfezionate le invenzioni di Watt, Arkwright e
Boulton. Per la maggior parte della sua storia l’espressione “rivoluzione industriale”
ha posseduto una connotazione negativa. Alcuni studiosi, consapevoli che nelle
descrizioni tradizionali la rapidità dei mutamenti era stata esagerata, proposero un
periodo più lungo per la rivoluzione, come ad esempio quello compreso tra il 1750 e
il 1850. Ma la datazione tradizionale ricevette l’imprimatur di Thomas Ashton, il più
famoso storico dell’economia britannica del XVIII secolo. Lo storico considerava i
risultati di questo periodo un “traguardo” piuttosto che una catastrofe, e sottolineava
il fatto che i cambiamenti di questo periodo non furono solo industriali, ma anche
sociali e intellettuali.

Requisiti e fattori concomitanti dell’industrializzazione
Già nel Medioevo singoli individui avevano cominciato a considerare la possibilità
pratica di imbrigliare le forze della natura. Le scoperte scientifiche realizzate in
seguito da Copernico, Galileo e Newton rafforzarono queste idee. Alcuni studiosi
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considerarono l’applicazione della scienza all’industria il carattere distintivo
dell’industria moderna. Per quanto affascinante, questa idea ha il suo punto debole
nella fragilità del “corpus” della conoscenza scientifica. L’espressione metodo
sperimentale può risultare troppo formale e specifica per definire tale processo, una più
appropriata è per tentativi. Tuttavia una propensione a sperimentare e innovare si
diffuse in tutti gli strati della società. L’Inghilterra fu una delle prime nazioni ad
accrescere la propria produttività agricola, grazie alla sperimentazione per tentativi di
nuove colture e nuove rotazioni. La più importante innovazione agricola fu lo
sviluppo della cosiddetta agricoltura convertibile, che prevedeva l’alternanza di campi
coltivati e pascoli temporanei in luogo di arativi e pascoli permanenti. Essa aveva il
duplice vantaggio di ripristinare la fertilità del suolo con rotazioni più efficaci e di
permettere l’allevamento di una quantità ingente di bestiame. Una condizione per il
miglioramento delle rotazioni e l’allevamento selettivo fu la recinzione e il
consolidamento dei campi. Il nuovo paesaggio agricolo consisteva in fattorie
compatte, consolidate e recintate. La crescente produttività agricola inglese
permetteva a quest’ultima di sostentare una popolazione sempre maggiore secondo
standard nutritivi via via più elevati. Per circa un secolo essa produsse un surplus per
l’esportazione, prima che il tasso di crescita demografica superasse quello di crescita
della produttività. L’orientamento dell’agricoltura verso il mercato fu un aspetto di un
processo generale di commercializzazione dell’intera nazione. Già nel XVI secolo
Londra aveva cominciato a svolgere la funzione di “polo di crescita” dell’economia
inglese. I suoi vantaggi erano sia geografici che politici. La commercializzazione
interagì con la nascente organizzazione finanziaria della nazione. Le origini del
sistema bancario britannico sono oscure, ma sappiamo che negli anni successivi alla
Restaurazione del 1660 diversi grandi orefici londinesi cominciarono a svolgere le
funzioni di banchieri. Rilasciavano ricevute di deposito che circolavano come
banconote, e concedevano prestiti a imprenditori degni di credito. La fondazione
della Banca d’Inghilterra nel 1694 costrinse i banchieri privati a rinunciare
all’emissione di banconote, ma essi continuarono accettando ordini di pagamento e
scontando cambiali. La Banca d’Inghilterra non istituì filiali, e le sue banconote non
circolavano fuori Londra. Il valore delle monete d’oro era troppo elevato perché
queste potessero essere utilizzate, mentre le monete d’argento o di rame erano
insufficienti. Questa situazione di penuria di moneta spicciola incoraggiò l’iniziativa
privata con l’istituzione di “banche di provincia”. L’euforia della gloriosa rivoluzione
portò alla creazione di numerose società per azioni e culminò con il boom finanziario
speculativo noto come “bolla del Mare del Sud”. L’episodio prese il nome dalla
Compagnia del Mare del Sud, istituita per decreto nel 1711 con il monopolio ufficiale
dei traffici con l’impero spagnolo. Ma la vera ragione della sua creazione era quella di
raccogliere denaro per conto del Governo per finanziare la prosecuzione del
conflitto. La bolla scoppiò nel 1720 quando il Parlamento approvò il Bubble Act. La
legge proibiva la costituzione di società per azioni senza l’espressa autorizzazione del
Parlamento. L’Inghilterra fece il suo ingresso nella “sua” rivoluzione industriale con
uno sbarramento legale contro la forma azionaria dell’organizzazione capitalistica,
condannando gran parte delle sue imprese alla proprietà individuale o alla condizione

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Appunti di Storia economica: economia mondiale

  • 1. Appunti di STORIA ECONOMICA DEL MONDO Autori: Profman – Aissela – Gilipa - Patata
  • 2. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland Si ricorda che: • l'uso degli appunti qui presenti è consentito per solo uso personale e di studio; • la consultazione è gratuita ed ogni forma atta a ricavarne lucro è vietata! • gli appunti sono fatti da studenti che non possono assumersi nessuna responsabilità in merito; • il materiale qui presente non è sostitutivo ma complementare ai libri di testo: - devi (e ti consiglio) di consultare e comprare i libri di testo; • il materiale qui presente è distribuito con licenza Creative Commons Ti ricordo che se vuoi contribuire mandando degli appunti o quant'altro possa essere utile ad altri puoi farlo inviando il materiale tramite: http://profland.altervista.org/mail.htm Profman Il file è stato scaricato/visualizzato in forma gratuita da Profland: http://profland.altervista.org sezione Profstudio http://profland.altervista.org/profstudio/profstudio.htm oppure da qualche mirror, come: www.profland.cjb.net www.profland.135.it o dalla pagina dedicata su slideshare.net: www.slideshare.net/profman pag. 2/103
  • 3. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland CAPITOLO I INTRODUZIONE: STORIA ECONOMICA E SVILUPPO Lo sviluppo economico ineguale ha provocato rivoluzioni e colpi di stato; governi totalitari e dittature militari hanno spogliato intere nazioni della libertà politica e molti individui della libertà individuale e persino della vita. Gli Stati Uniti ed altre nazioni ricche hanno speso miliardi di dollari in tentativi intenzionati a soccorrere i vicini meno fortunati. Non c'è un consenso generale sugli specifici metodi responsabili dei redditi più elevati delle nazioni ricche. Gli studiosi e gli scienziati non hanno ancora prodotto una teoria dello sviluppo economico che sia utile sul piano operativo e generalmente applicabile. Le statistiche del reddito pro-capite sono una rozza misurazione del livello di sviluppo economico. I termini crescita, sviluppo e progresso sono spesso usati come sinonimi ma questo non è corretto. La crescita economica è definita come un aumento sostenuto del volume totale di beni e servizi prodotti da una società. La crescita del prodotto totale può verificarsi sia in conseguenza dell’impiego di maggiori quantità dei fattori della produzione, sia perché quantità equivalenti dei fattori di produzione sono impiegate con maggiore efficienza. Lo sviluppo economico significa crescita economica accompagnata da un sostanziale cambiamento strutturale e organizzativo dell’economia. La regressione economica avviene durante o in seguito ad un prolungato periodo di declino economico. L’economia classica ha sviluppato la classificazione tripartita dei “fattori di produzione": terra, lavoro e capitale. I mutamenti tecnologici e delle istituzioni sociali costituiscono i fattori più dinamici del cambiamento dell’intera economia. Negli ultimi secoli l’innovazione tecnologica è stata il fattore più dinamico di mutamento economico e di sviluppo. Il mutamento tecnologico non è però sempre stato così rapido. La tecnologia dell’età della pietra durò per centinaia di migliaia d’anni senza grossi cambiamenti. Una delle funzioni sociali svolte dalle istituzioni è di rappresentare un elemento di continuità e di stabilità, senza il quale la società si disintegrerebbe; ma nello svolgimento di questa funzione esse possono anche rappresentare una barriera allo sviluppo economico ostacolando il lavoro umano, impedendo lo sfruttamento razionale delle risorse o contrastando l’innovazione e la diffusione della tecnologia. Esempi storici d'innovazioni istituzionali sono i mercati organizzati,. la moneta battuta, i brevetti, le assicurazioni e le varie forme d'impresa. Gli intellettuali marxisti ritengono di aver trovato la chiave non solo del processo di sviluppo economico ma anche dell’evoluzione dell’umanità. Secondo loro il “modo di produzione” è l’elemento cardine; tutto il resto non è che sovrastruttura. L’elemento dinamico è fornito dalla lotta tra le classi sociali per il controllo dei mezzi di produzione. La produzione è il processo mediante il quale i fattori di produzione sono messi in relazione per produrre i beni e i servizi desiderati dalle popolazioni umane. La produzione può essere misurata in unità fisiche, o in termini di valore, ossia pag. 3/103
  • 4. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland monetari. La produttività è il rapporto tra il risultato utile di un processo di produzione e i fattori di produzione in esso impiegati. Per misurare la produttività totale dei fattori di produzione è necessario ricorrere a misure di valore. Inoltre, determinate combinazioni di fattori di produzione sono in grado di accrescere la produttività. Importante è il concetto di capitale umano. Il capitale umano deriva dall’investimento in conoscenze e abilità o capacità. L’investimento può assumere la forma di un’educazione o di un addestramento formale. Un aumento dei fattori tradizionali di produzione spiega solo in parte l’aumento della produzione nelle economie avanzate. Gli aumenti della produttività sono stati particolarmente considerevoli nell’ultimo secolo. E’ opportuno considerare la cosiddetta legge dei rendimenti decrescenti, che dovrebbe essere definita come la legge dell’utilità marginale decrescente. Un singolo lavoratore, con l’impiego di una data tecnologia, semplice o complessa, è in grado di ottenere un certo raccolto. L’aggiunta di un secondo lavoratore permette una semplice divisione del lavoro, che fa più che raddoppiare la produzione. Un terzo lavoratore può accrescere ancora di più la produzione. In altre parole, più lavoratori sono aggiunti e più cresce, fino ad un certo punto, il prodotto marginale. Alla fine però, l’aggiunta di nuovi lavoratori fa si che essi si ostacolino a vicenda, che calpestino il raccolto, e così via, e il prodotto marginale decresce. Nel 1798 Thomas Malthus pubblicò il famoso Saggio sul principio della popolazione. In esso partiva dal presupposto che “la passione tra i sessi” avrebbe portato ad una crescita demografica in “progressione geometrica”, ma che le disponibilità di cibo sarebbero cresciute in “progressione aritmetica”. Malthus non previde la serie d’innovazioni tecnologiche e istituzionali che hanno accresciuto la produttività e che hanno ripetutamente ritardato il funzionamento della legge dei rendimenti decrescenti. La struttura economica è implicita nelle relazioni tra i vari settori dell’economia, in particolare i tre settori principali noti col nome di primario, secondario e terziario. Il settore primario comprende quelle attività i cui prodotti sono ottenuti direttamente dalla natura: agricoltura, pesca. Il settore secondario comprende le attività che trasformano o lavorano i prodotti naturali. Il terziario comprende un ampio spettro di servizi, che vanno da quelli domestici e personali a quelli commerciali e finanziari, professionali e pubblici. L’agricoltura è stata la principale occupazione della grande maggioranza della razza umana ma ciò è tuttora valido per i paesi a basso reddito. La ragione di questo fenomeno è che la produttività era così bassa che per sopravvivere era necessario dedicarsi alla produzione di generi alimentari. Alcune centinaia di anni fa la produttività agricola cominciò a crescere, cominciò così il processo di industrializzazione, che si protrasse dalla fine del Medioevo fino alla metà del XX secolo. Nel frattempo man mano che la forza lavoro impiegata in agricoltura diminuiva, aumentava, anche se non proporzionalmente, quella nel settore secondario. La crescita della forza lavoro impiegata nel settore secondario è stata accompagnata dalla crescita del reddito prodotto da quel settore. Dal 1950 in poi le economie più avanzate hanno conosciuto un ulteriore cambiamento strutturale, il passaggio da settore secondario a quello terziario. Sul versante dell’offerta, l’accresciuta produttività rese possibile produrre le stesse quantità di prodotti con pag. 4/103
  • 5. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland meno lavoro. Sul versante della domanda entrò in gioco un aspetto peculiare del comportamento umano, definito dalla legge di Engel. La legge di Engel afferma che man mano che cresce il reddito di un consumatore, diminuisce la percentuale di reddito destinata all’acquisto di cibo. Man mano che cresce il reddito, cresce la domanda per ogni genere di merce, ma ad un ritmo inferiore a quello del reddito, mentre la domanda di servizi e di tempo libero si sostituisce in parte a quella dei beni concreti. I prezzi dei beni e dei servizi sono determinati dall’interazione tra domanda e offerta. Il termine logistica indica l’organizzazione dei rifornimenti per un grosso gruppo di persone. Ma la logistica è anche una formula matematica, la curva logistica che ne deriva ha la forma di una S allungata ed è talvolta chiamata curva a S. La curva ha due fasi: una prima fase di crescita accelerata seguita da una seconda di decelerazione. E’ stato anche osservato che le curve logistiche possono anche descrivere molti fenomeni sociali come la crescita delle popolazioni umane. Ciascuna fase d’accelerazione della crescita demografica in Europa è stata accompagnata dalla crescita economica. Nel XI, XII e XIII secolo la civiltà europea si espanse tra la Loira e il Reno nelle isole britanniche, nella penisola iberica, in Sicilia e nell’Italia meridionale, nell’Europa centrale e orientale. Alla fine del XV secolo e nel XVI l’esplorazione marittima, le scoperte e le conquiste portarono gli Europei in Africa e nell’Oceano indiano. Nel XIX secolo, attraverso l’emigrazione, la conquista e l’annessione, gli Europei instaurarono la loro egemonia politica ed economica sul mondo intero. Un certo numero di paesi dovette affrontare locali crisi di sussistenza, la più drammatica delle quali fu la carestia irlandese degli anni quaranta del XIX secolo. Secondo Adam Smith la condizione del lavoratore era migliore in una società “progressista”, cupa in una società stagnante e miserabile in una in decadenza. Le fasi finali di tutte le logistiche, e gli intervalli di stagnazione o depressione che seguirono, testimoniarono la propagazione di tensioni sociali, inquietudini e disordini, e lo scoppio di guerre eccezionalmente feroci e distruttive. Forse le guerre non furono che avvenimenti fortuiti che posero termine a periodi di crescita già avviati al tramonto. pag. 5/103
  • 6. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland CAPITOLO V LA SECONDA LOGISTICA EUROPEA Verso la metà del Quattrocento, la popolazione europea ricominciò ad aumentare. All'inizio del Seicento, però, questa rigorosa crescita incontrò i soliti ostacoli delle carestie, delle epidemie e delle guerre. Questi estremi temporali delimitano la seconda logistica europea. Il periodo di crescita demografica corrispose quasi esattamente all’epoca delle grandi esplorazioni e delle scoperte marittime che portarono all'individuazione di rotte interamente marittime tra l’Europa e l’Asia, alla conquista e alla colonizzazione dell’emisfero occidentale da parte degli europei. Nel XV secolo le città dell’Italia settentrionale godevano ancora di quella leadership negli affari economici che avevano esercitato per tutto il Medioevo. Una serie di guerre che videro l’invasione e l’occupazione dell’Italia da parte di eserciti stranieri portò ad un ulteriore sconvolgimento del commercio. Il declino dell’Italia non fu però immediato né drastico, giacché gli italiani avevano riserve di capitale, di talento imprenditoriale e d’istituzioni economiche sofisticate tali da bastare per diverse generazioni. Verso la metà del Seicento, l’Italia si trovava ormai alla retroguardia dell’economia europea, condizione dalla quale non doveva risollevarsi pienamente fino al XX secolo. La Spagna e il Portogallo godettero di una gloria effimera come principali potenze economiche europee. Lisbona si sostituì a Venezia nel ruolo di grande emporio del commercio delle spezie, e gli Asburgo spagnoli, finanziati in parte dall’oro e dall’argento del loro impero americano, divennero i sovrani più potenti d’Europa. La ricchezza delle Indie e delle Americhe non fu però adeguatamente distribuita all'interno dei due paesi. Pur conservando i rispettivi sterminati imperi marittimi fino al XIX e al XX secolo, entrambi i paesi erano in piena decadenza, economicamente, politicamente e militarmente, già alla metà del XVII secolo. L’Europa centrale, orientale e settentrionale non partecipò alla prosperità commerciale del XVI secolo. La Germania meridionale e la Svizzera, che avevano raggiunto una certa preminenza commerciale nel XV secolo, conservarono per un certo periodo la loro prosperità. Tutta l’Europa centrale cadde preda ben presto di guerre religiose e dinastiche che sottrassero energie all’attività economica. La regione che realizzò i maggiori guadagni dai mutamenti economici associati alle grandi scoperte fu quella attorno al Mare del Nord e alla Manica: i Paesi Bassi, l’Inghilterra e la Francia settentrionale. Per tutto il XVI secolo, la Francia fu coinvolta in guerre dinastiche e religiose, civili e internazionali, e per la maggior parte di esso il suo Governo seguì politiche avverse al commercio e all’agricoltura. La Francia perciò ebbe meno a guadagnare rispetto all’Olanda e all’Inghilterra. L’Inghilterra stava appena emergendo dalla condizione di area arretrata e produttrice di materie prime a quella di paese più o meno manifatturiero. La guerra delle Due Rose decimò le schiere della grande nobiltà ma lasciò indenni le classi medie urbane e quella contadina. Il declino della grande nobiltà accrebbe l’importanza della piccola nobiltà, la gentry. La nuova dinastia Tudor, pag. 6/103
  • 7. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland che salì al trono nel 1485, dipendeva fortemente dal sostegno della piccola nobiltà e ad essa concedeva in cambio i propri lavori. Le Fiandre, la regione più economicamente avanzata dell’Europa settentrionale, si riprese lentamente dalla grande depressione del tardo Medioevo. Anversa si affermò fino a divenire nella prima metà del XVI secolo il porto e il mercato più importante d'Europa. In seguito ad alleanze dinastiche tutte le diciassette province de Paesi Bassi caddero nelle mani della corona spagnola all’inizio del XVI secolo. Nel 1568 i Paesi Bassi si ribellarono al dominio spagnolo. La Spagna sedò la ribellione nelle province meridionali, ma le sette province settentrionali conquistarono l’indipendenza col nome di Province Unite, o Repubblica olandese. Amsterdam divenne la grande metropoli commerciale e finanziaria del XVII secolo. Le innovazioni tecnologiche nelle arti della navigazione e delle costruzioni furono un elemento fondamentale del successo delle esplorazioni e delle scoperte. L'introduzione della polvere da sparo e la sua applicazione da parte degli europei delle armi da fuoco, fu importante per le conquiste europee oltremare. Alla metà del Quattrocento la popolazione europea ammontava complessivamente a circa 45-50 milioni d’individui. A metà del XVII secolo la popolazione era vicina ai 100 milioni. Cosa determinò questa crescita, la susseguente stagnazione e diminuzione? Possibile che si sia verificato un leggero miglioramento climatico. Salari reali più elevati, conseguenza di un rapporto più favorevole tra terra e popolazione risultante dal precedente declino demografico, possono aver incoraggiato matrimoni più precoci e conseguentemente un tasso di natalità più elevato. La crescita demografica del XVI secolo non fu per niente uniforme. In alcune regioni i poderi furono frammentati man mano che aumentava il numero degli individui che cercava di guadagnarsi da vivere con la terra. In altre la popolazione in eccesso lasciò la campagna, volontariamente. In alcuni casi un aumento della popolazione urbana può essere considerato un segno favorevole di sviluppo economico; ciò non era però il caso del XVI secolo. A quell’epoca le città fungevano principalmente da centri commerciali e amministrativi piuttosto che industriali. Molte attività manifatturiere, come quelle tessili e metallurgiche, accadevano nelle campagne. I mestieri praticati nelle città erano di solito organizzati in corporazioni, con clausole di lunghi periodi d’apprendistato ed altre restrizioni all’eccesso. Gli immigrati provenienti dalle campagne possedevano raramente le abilità o le attitudini necessarie per le occupazioni urbane. Nelle città essi formavano un Lumpenproletariat, un gruppo di lavoratori occasionali e non qualificati, spesso privi d’occupazione, che arrotondavano i loro magri guadagni con elemosine o piccoli furti. Le loro condizioni di vita in ambienti affollati, sporchi e poveri mettevano in pericolo l’intera comunità rendendola più esposta alle epidemie. La situazione dei poveri delle città e delle campagne fu aggravata da una prolungata diminuzione dei salari reali. Poiché la popolazione cresceva più rapidamente della produzione agricola, il prezzo dei prodotti alimentari crebbe più velocemente dei salari monetari. Alla fine del XVI secolo e nella prima metà del XVII una serie di cattivi raccolti, nuovi focolai di peste bubbonica e altre epidemie, e un’aumentata incidenza e ferocia della guerra (la Guerra dei Trent’anni) arrestarono l’espansione della popolazione. Alla fine del Medioevo notevoli progressi tecnologici furono realizzati nella pag. 7/103
  • 8. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland progettazione delle navi, nella loro costruzione e negli strumenti di navigazione. Navi a tre, quattro o cinque alberi, capaci di navigare di traverso al vento. Nel governo della nave al remo si sostituì il timone. Gli sviluppi della cartografia misero a disposizione carte geografiche e marine molto perfezionate. Gli Italiani erano però tradizionalisti in quanto a progettazione delle navi, e il ruolo guida fu ben presto assunto da coloro che navigavano in mare aperto, vale a dire dai fiamminghi, dagli olandesi e dai portoghesi. Enrico, figlio minore del re del Portogallo, si dedicò all'incoraggiamento delle esplorazioni della costa africana con l’obiettivo finale di raggiungere l’Oceano Indiano. Fondò nel suo castello una sorta d’istituto di studi avanzati nel quale fece venire astronomi, geografi, cartografi e navigatori d’ogni nazionalità. Dopo la morte di Enrico, l’attività d’esplorazione rallentò per mancanza del sostegno regio ma il re Giovanni II riprese le esplorazioni ad un ritmo accelerato. I suoi navigatori si spinsero quasi fino all’estrema punta meridionale dell’Africa. Bartholomeu Dias avanzò lungo la costa, doppiando il Capo di Buona Speranza, Pedro de Covilhao, invece, attraversato il Mediterraneo e giunto via terra nel Mar Rosso, esplorò la parte occidentale dell’Oceano Indiano. La strada era tracciata per il successivo e più grande viaggio d’esplorazione, quello che consenti a Vasco da Gama di raggiungere Calcutta circumnavigando l’Africa. Malattie, ammutinamenti, tempeste incontrati nella spedizione portarono alla perdita di due delle quattro navi di da Gama e di quasi due terzi del suo equipaggio. Il carico di spezie col quale egli fece ritorno compensò però di gran lunga tutti i costi del viaggio. Vedendo l’entità dei profitti, i portoghesi non persero tempo a mettere a frutto il vantaggio di cui godevano. Nel 1513 una delle loro navi attraccò a Canton nella Cina meridionale, e a metà del secolo avevano intrecciato relazioni commerciali e diplomatiche col Giappone. Nel 1483 un genovese chiese al re di finanziare una spedizione attraverso l’Atlantico per raggiungere l’Oriente viaggiando verso ovest. Il genovese era Cristoforo Colombo e dopo la bocciatura della sua proposta non si diede per vinto e si rivolse ai sovrani spagnoli, i quali erano impegnati in una guerra e non avevano soldi da investire in un progetto cosi poco realizzabile. Colombo cercò invano di interessare il re di Francia e d’Inghilterra. Solo nel 1492 i sovrani acconsentirono di patrocinare la spedizione. Colombo salpò il 3 agosto 1492 e il 12 ottobre avvistò le isole note in seguito come Indie occidentali. Egli credette davvero di aver raggiunto le Indie, infatti Colombo chiamò indiani i suoi abitanti. Dopo alcune settimane di esplorazioni tra le isole fece ritorno in Spagna per comunicare la lieta novella. Colombo effettuò quattro viaggi nei mari occidentali, e credette di avere scoperto una via diretta per l’Asia. Subito dopo il ritorno della prima spedizione Ferdinando e Isabella, sovrani spagnoli, si rivolsero al Papa perché stabilisse una “linea di demarcazione” che confermasse i diritti spagnoli sulle terre appena scoperte. Giovanni Caboto, un marinaio italiano che viveva in Inghilterra andò alla scoperta di Terranova e della Nuova Scozia. L'anno dopo con il fratello Sebastiano esplorò la costa settentrionale del Nord America; poiché essi non portarono spezie o metalli preziosi i loro finanziatori persero ogni interesse. Mercanti francesi mandarono negli anni venti un altro italiano, Verrazzano, alla scoperta di un passaggio ad occidente per le Indie. Dieci anni dopo il francese Jacques Cartier effettuò il primo di tre viaggi pag. 8/103
  • 9. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland che lo portarono alla scoperta e all’esplorazione del fiume San Lorenzo. Cartier rivendicò alla Francia la regione nota in seguito come Canada. All’inizio degli anni venti, navigatori spagnoli e d’altre nazionalità avevano esplorato l’intera costa orientale delle due Americhe. Divenne sempre più evidente non solo che Colombo non aveva scoperto le Indie, ma anche che non esisteva un passaggio agevole attraverso la parte centrale del nuovo continente. Ferdinando Magellano convinse il re di Spagna a lasciargli guidare una spedizione di cinque navi alle Isole delle Spezie passando per il Mare del Sud oltre l’istmo di Panama. Magellano non intendeva circumnavigare il globo: credeva di trovare l'Asia a pochi giorni di navigazione al di là di Panama. Il suo problema maggiore era di trovare un passaggio attraverso o attorno al Sud America. Ci riuscì, e il tempestoso e infido stretto da lui scoperto porta ancora oggi il suo nome. Alla fine uno dei luogotenenti di Magellano guidò l’unica nave rimasta con il suo equipaggio attraverso l’Oceano Indiano fino in Spagna, dopo tre anni di viaggio; questi uomini divennero i primi ad aver portato a termine un’intera circumnavigazione del globo. Prima del XVI secolo, Spagna e Portogallo erano rimaste ai margini della civiltà europea; in seguito la loro potenza e il loro prestigio declinò rapidamente fino a farle piombare all'inizio del XIX secolo, in uno stato di sonnolenza. Nel XVI secolo, invece, i loro domini erano sterminati e la loro ricchezza e la loro potenza non avevano eguali al mondo. I portoghesi erano oramai i padroni dell’Oceano indiano, Vasco da Gama tornò in India con il compito di interrompere il commercio arabo con il Mar Rosso e l’Egitto, dal quale i veneziani ricavavano le spezie che distribuivano in Europa. I portoghesi non riuscirono a mantenere a lungo un monopolio effettivo nel commercio delle spezie. Alla fine l’impero spagnolo si rivelò anche più redditizio di quello portoghese. Nel XVI secolo gli spagnoli avevano il controllo effettivo dell’emisfero. Gli spagnoli, a differenza dei portoghesi, intrapresero fin dall’inizio un’opera di colonizzazione e di insediamento nelle regioni da loro conquistate. Gli spagnoli introdussero prodotti naturali precedentemente sconosciuti nell’emisfero occidentale, quali il grano ed altri cereali, zucchero di canna, caffè, molti tipi comuni di verdura e frutta, animali tra i quali cavalli, bovini, pecore, asini. Dal punto di vista economico l’espansione determinò un grande aumento delle merci scambiate. Nel XVI secolo le spezie orientali e i metalli preziosi occidentali rappresentavano una percentuale schiacciante delle importazioni dal mondo coloniale. Altre merci fecero la loro apparizione nei flussi commerciali: queste aumentarono gradualmente di volume e finirono per mettere in ombra le originali esportazioni coloniali in Europa. Il caffè e il cacao americano, il tè asiatico divennero le più comuni bevande europee, il cotone e lo zucchero non erano mai stati prodotti su larga scala. L’afflusso di oro e soprattutto argento dalle colonie spagnole accrebbe considerevolmente le scorte europee di metalli adatti alla monetizzazione. Il Governo spagnolo cercò di vietare l’esportazione di metalli preziosi in lingotti, ma ciò si rivelò impossibile. Lo stesso si rivelò comunque il principale trasgressore, con le grandi quantità di metalli preziosi inviate in Italia, in Germania e nei Paesi Bassi a pagamento dei debiti e per finanziare le sue interminabili guerre. I metalli preziosi si pag. 9/103
  • 10. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland distribuirono per tutta l’Europa, il risultato più ovvio e immediato fu uno spettacolare e prolungato aumento dei prezzi. Alla fine del XVI secolo i prezzi erano, in generale, circa tre o quattro volte più elevati che al suo inizio. Il prezzo dei generi alimentari crebbe più di quello di gran parte degli altri prodotti. L’incremento demografico fu un fattore forse anche più importante per la lievitazione dei prezzi. Le conseguenze attribuite alla rivoluzione dei prezzi variano dall’impoverimento della classe contadina e della nobiltà alla “nascita del capitalismo”. La crescita demografica, pur non provocando l’aumento assoluto dei prezzi, svolse probabilmente un ruolo determinante nel ritardo dei salari, in quanto l’agricoltura e l’industria si rivelarono incapaci di assorbire la forza lavoro eccedente. Per l’Europa l’agricoltura continuava ad essere di gran lunga la principale attività economica. Il lavoro manuale era il fattore più importante di produzione. Il terreno, le sementa e l’umidità erano naturalmente essenziali ma il lavoro umano era però l’ingrediente più importante di tutti. Nella periferia settentrionale e occidentale d’Europa predominava un’agricoltura di sussistenza. Le campagne erano scarsamente popolate, soprattutto quelle più a nord. Erano ancora applicate tecniche primitive di taglio e incendio della vegetazione spontanea. Nelle aree montuose era particolarmente importante l’allevamento del bestiame. Le colture principali erano segale, orzo e avena; lino e canapa erano coltivati per la fibra. L’abbondanza relativa di terra faceva sì che i poderi fossero fluidi, e che la maggior parte della terra appartenesse a clan di capi tribali o lords. L’organizzazione sociale era gerarchica ma senza schiavitù o legami servili. Nell’Europa di oltre l’Elba e a nord del Danubio, invece, la schiavitù o servitù personale era l’aspetto distintivo delle relazioni sociali. La condizione dei contadini fu gradualmente ridotta ad una situazione non molto lontana dalla schiavitù. La tecnologia agricola era relativamente primitiva. Nei territori adiacenti al Mar Baltico la produzione finalizzata all’esportazione verso i mercati dell’Europa occidentale fu uno stimolo potente alla specializzazione in coltivazioni cerealicole ed altre colture commerciali. L’Italia possedeva l’agricoltura più diversificata d’Europa. La produzione agricola italiana non riuscì a mantenere il passo della crescita demografica; i terreni erano esauriti dalle coltivazioni e dai pascoli. La Spagna offriva quasi la stessa varietà dell’Italia, l’agricoltura spagnola ricevette una cospicua eredità dai predecessori musulmani. Una delle maggiori difficoltà dell’agricoltura spagnola derivava dalla rivalità tra contadini e proprietari di greggi. La lana merino spagnola era molto richiesta nei Paesi Bassi, i pastori seguivano la pratica della transumanza, vale a dire il movimento delle greggi tra i pascoli estivi in montagna e quelli invernali in pianura. Il sistema spagnolo era tuttavia insolito sia per la lunghezza dei tragitti che per la sua organizzazione. Il termine tedesco di Grundherrschaft è talvolta usato per descrivere il sistema di possesso fondiario, motivo per cui l’aristocrazia terriera si era trasformata in una classe di meri proprietari terrieri. Le piccole tenute e i fittavoli indipendenti erano più numerosi nei pressi delle città. dove il loro prodotto era vitale per il rifornimento della popolazione urbana. L’altro grande tipo di possesso fondiario era quello mezzadrile, in questo sistema il proprietario della terra provvedeva totalmente o in parte al bestiame e alle attrezzature, partecipava al rischio e alle scelte e si appropriava di una parte del pag. 10/103
  • 11. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland raccolto, di solito la metà. L’area agricola più progredita d’Europa erano i Paesi Bassi, e soprattutto la parte più settentrionale concentrata attorno alla provincia d’Olanda. Nel corso del XVI e XVII secolo l’agricoltura olandese subì una straordinaria trasformazione che le fa meritare il titolo di prima economia agricola “moderna”. La modernizzazione dell’agricoltura fu strettamente legata all’affermazione ugualmente straordinaria della superiorità commerciale olandese. La chiave del successo della trasformazione dell’agricoltura olandese fu la specializzazione, resa possibile dalla domanda sostenuta delle prospere città olandesi in rapida espansione. Invece di cercare di produrre il maggior numero possibile di merci necessarie al proprio consumo, come faceva la maggior parte dei contadini europei, gli agricoltori olandesi cercarono di produrre quanto più possibile per il mercato, acquistando ugualmente sul mercato molti beni di consumo nonché beni capitale e beni intermedi. Gli agricoltori olandesi non si specializzarono esclusivamente nella produzione casearia e nell'allevamento del bestiame. Molti si dedicarono all’orticoltura, alcuni coltivavano orzo, lino, canapa; persino i fiori divennero oggetto di sfruttamento commerciale specializzato. La redditività dell’agricoltura olandese e attestata dagli sforzi continui e ininterrotti di creare nuova terra strappandola al mare, prosciugando laghi e acquitrini e mettendo a coltivazione le torbiere una volta estratta e utilizzata la torba. Quest’attività, iniziata nel Medioevo, conobbe un enorme sviluppo nel XVI e XVII secolo, ed ebbe carattere particolarmente febbrile nei periodi di prezzi agricoli in rialzo. L’opera di arginamento e di prosciugamento richiedeva un grosso consumo di capitale. I mercanti urbani ed altri investitori si organizzarono in società di bonifica con l’obiettivo di vendere o affittare la terra agli agricoltori attivi. La maggior parte delle innovazioni introdotte nel ‘500 e nel ‘600 implicò dei miglioramenti relativamente minori di tecniche già esistenti. Nel 1589 William Lee inventò una semplice macchina per maglieria: mentre un abile magliaio a mano poteva arrivare ad intrecciare fino a cento maglie al minuto, la macchina era in grado di ottenerne una media di mille. Altre innovazioni dell’epoca, negli strumenti di navigazione, nelle armi da fuoco, nell’artiglieria, nell’orologeria ebbero un’importanza economica secondaria pur essendo enormemente importanti dal punto di vista politico e sociale. L’orientamento verso il mercato dell’economia europea, più spiccato nell’industria che non nell’agricoltura, incoraggiava gli imprenditori che erano così in grado di ridurre i costi di produzione e di reagire prontamente alle variazioni della domanda. Esistevano però anche formidabili ostacoli all’innovazione. Uno dei più diffusi era l’opposizione delle autorità che temevano la disoccupazione, derivante dalle innovazioni che riducevano la quantità di lavoro necessario. A Lee fu rifiutato il brevetto per la sua macchina e fu costretto a rifugiarsi in Francia dove fondò una fabbrica sotto la protezione di Enrico V; la fabbrica fallì dopo la morte del suo benefattore, ma la macchina per maglieria continuò a diffondersi. L’insufficienza delle fonti energetiche e dei materiali da costruzione erano gli ostacoli naturali che si frapponevano ad una maggiore produttività industriale. Le attività tessili, prese nel loro complesso rimasero quelle con il maggior numero di addetti nel settore industriale, seguite da vicino dalle attività di costruzione. L’organizzazione delle industrie tessili non mutò apprezzabilmente rispetto al tardo Medioevo. La figura pag. 11/103
  • 12. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland caratteristica dell’industriale era quella del mercante-manifatturiere che acquistava la materia prima, la distribuiva a filatori, tessitori ed altri artigiani che lavoravano a domicilio e metteva sul mercato il prodotto finale. Sebbene l’industria delle costruzioni nel suo complesso non facesse registrare innovazioni tecniche significative, un singolo settore specializzato di questa industria subì una profonda trasformazione in un paese: fu questo il caso delle costruzioni navali nei Paesi Bassi olandesi. L’innovazione più significativa fu il flauto, un tipo di nave mercantile introdotta alla fine del XVI secolo equivalente sotto certi aspetti alle moderne navi cisterna, era progettato espressamente per carichi voluminosi e di scarso valore come legname e cereali. Le industrie metallurgiche stavano acquistando un’importanza strategica primaria a causa del peso crescente delle armi da fuoco e dell’artiglieria nelle azioni belliche. Le industrie metallurgiche acquistavano rilevanza alla luce della successiva età industriale. Tra esse quella del ferro era la più importante. L’evoluzione dell’alto forno fu accompagnata da una serie di innovazioni. La Svezia, favorita da un minerale ferroso di alta qualità e dall’abbondanza di legname ed acqua, possedeva una modesta industria del ferro già nel Medioevo. Nelle industrie metallurgiche i progressi, consistenti soprattutto in un incremento della produzione conseguito attraverso l’utilizzazione di tecniche tradizionali e l’applicazione di tali tecniche a nuove fonti di approvvigionamento, furono meno cospicui. La natura non aveva particolarmente dotato l’Europa di metalli preziosi; relativamente abbondanti erano invece i metalli più utili. Il legname era molto richiesto per le costruzioni comprese quelle navali, per la metallurgia e soprattutto per il riscaldamento domestico. La scarsità di legname nelle aree più sviluppate d’Europa fu una delle maggiori cause dell’integrazione della Norvegia e della Svezia nell’economia dell’Europa occidentale. Anche il ferro e altri metalli furono usati al posto del legno, ma l’aumento della domanda di questi ultimi non fece che accentuare la penuria di legname. Oltre che in Germania e nei Paesi Bassi il carbone era stato estratto anche in Inghilterra durante il Medioevo. La domanda di carbone era però continuamente alimentata da altre industrie. Le scoperte oltre mare, introducendo nuove materie prime, stimolarono direttamente la nascita di nuove industrie; le più importanti furono la raffinazione dello zucchero e la lavorazione del tabacco, ma molte altre manifatture sorsero per soddisfare nuovi gusti. Nel Medioevo l’Italia era stata il principale produttore se non l’unico, di manufatti di lusso. La crescita di industrie simili in altri paesi, i cui prodotti spesso erano di qualità inferiore ma costavano meno, spiega in parte il declino relativo dell’Italia. Molti lavoratori dell’industria soprattutto di quella tessile, si dedicavano part-time all’agricoltura. Di tutti i settori dell'economia europea, il commercio fu senza dubbio il più dinamico nel periodo compreso tra il XV e il XVII secolo. Il XVI secolo era descritto come l’età della “rivoluzione commerciale”. I mutamenti più interessanti e più significativi per la storia dello sviluppo economico furono quelli che si verificarono nel commercio di lunga distanza. Nel commercio coloniale gli Olandesi mostrarono aggressività. La guerra d’indipendenza interruppe i traffici con la Spagna, ma essi non cessarono di commerciare con l’Impero portoghese attraverso Lisbona. Gli olandesi cominciarono immediatamente a costruire navi capaci di affrontare il pag. 12/103
  • 13. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland viaggio verso l’Oceano Indiano con circumnavigazione dell’Africa. Gli Olandesi, che non furono i soli a trarre vantaggio dalla debolezza del Portogallo, concentrarono la loro attenzione sulle favolose Isole delle Spezie dell’Indonesia, e verso la metà del XVII secolo avevano affermato la loro autorità. Gli Inglesi, dopo infruttuosi tentativi di mettere piede in Indonesia, fondarono delle basi commerciali fortificate nel continente indiano. Le altre potenze marittime approfittarono della debolezza del Portogallo e della rigidità della Spagna anche per invadere e creare mercati nell’emisfero occidentale. Gli Olandesi tentarono di conquistare le colonie portoghesi in Brasile, ma dopo due decenni di combattimenti intermittenti furono definitivamente respinti dagli stessi coloni portoghesi. Il commercio marittimo era di gran lunga la componente più importante per gli scambi internazionali; non era però trascurabile il commercio interno. Gli scambi di merci voluminose furono resi possibili in primo luogo dai miglioramenti nella progettazione e nella costruzione delle navi. Una branca molto particolare del commercio era quella che trattava gli esseri umani: il traffico degli schiavi. Questo traffico fu dapprima dominato dai Portoghesi, poi di volta in volta dagli Olandesi, dai Francesi e dagli Inglesi. Una volta caricati tanti africani incatenati e ammanettati quanti la nave ne poteva portare, il capitano cedeva il suo carico umano in cambio di zucchero o tabacco. I governi europei non presero alcuna misura concreta per proibirlo fino al XIX secolo. La maggiore dinastia commerciale del ‘500 fu la famiglia Fugger: il primo di cui si abbia notizia fu un tessitore. Alla fine del XV secolo erano attivi come finanziatori degli imperatori del Sacro Romano Impero. I Fugger dominarono la scena nel XVI secolo, la forma di organizzazione prediletta era la società di persone, solitamente formalizzata con contratti scritti che specificavano i diritti e gli obblighi di ciascun socio. Non esisteva un capitale societario; ciascun mercante commerciava per conto proprio ma esisteva un quartier generale ed un magazzino comuni e si osservavano le stesse regole, il commercio della lana mantenne la sua importanza. Nella seconda metà del XVI secolo nacquero in Inghilterra diverse altre compagnie detentrici di privilegi commerciali monopolistici: la Compagnia della Moscovia, Orientale, delle Indie orientali. Alcune di queste compagnie adottarono la forma di società regolamentate, altre divennero società per azioni; mettevano in un fondo comune i contributi dei membri sottoponendoli ad un’amministrazione comune. Il regime dei traffici coloniali differiva sensibilmente da quello del commercio interno europeo. Il commercio delle spezie dell’Impero portoghese era monopolio della Corona. I mercanti portoghesi erano parte attiva del “commercio regionale”. Il Portogallo produceva poche merci appetite dai mercati orientali, i carichi diretti verso oriente consistevano soprattutto di oro e argento accompagnati da armi da fuoco e munizioni. Il commercio tra la Spagna e le sue colonie non era diverso. Come nel caso del Portogallo, il favoloso Impero spagnolo fu di ben poca utilità per lo sviluppo dell’economia spagnola, ebbe anzi su di essa un effetto ritardante. CAPITOLO VI NAZIONALISMO ECONOMICO E IMPERIALISMO pag. 13/103
  • 14. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland Le politiche economiche degli stati-nazione nel periodo della seconda logistica europea avevano un duplice obiettivo: costruire la potenza economica per rafforzare lo Stato ed avvalersi della potenza dello stesso per favorire la crescita economica ed arricchire la nazione: profitto e potere dovrebbero andare di pari passo. Prima di tutto gli Stati miravano ad assicurarsi delle entrate, e questa necessità li spingeva frequentemente a porre in atto politiche dannose alle attività produttive. In epoca medievale le municipalità avevano goduto di estesi poteri di controllo e regolamentazione dell’economia. Esse riscuotevano dazi e tariffe sulle merci. Le corporazioni locali di mercanti e artigiani fissavano i salari e i prezzi e disciplinavano le condizioni di lavoro. Le politiche di nazionalismo economico rappresentarono il trasferimento di queste funzioni da un livello locale ad uno nazionale, in cui il governo centrale tentava di unificare lo Stato sia dal punto di vista economico che politico. I governanti europei si facevano concorrenza con lo scopo di rendere i loro Stati autosufficienti in caso di guerra. Il nazionalismo economico aggravò le divergenze religiose e le rivalità dinastiche che occupavano i governanti europei. Mercantilismo: un termine equivoco Adam Smith classificò le politiche economiche della sua epoca sotto un’unica rubrica, il sistema mercantile. Pur condannando queste politiche tentò di offrirne un quadro sistemico con l’obiettivo di evidenziarne l’assurdità. Dichiarò che tali politiche erano invenzioni di mercanti. Proprio come i mercanti si arricchiscono nella misura in cui le loro entrate sono superiori alle spese, così anche le nazioni si sarebbero arricchite a seconda di quanto le vendite a paesi esteri avessero superato gli acquisti all’estero, incassando la differenza, o “bilancia commerciale”. Per questo motivo incoraggiavano politiche che stimolavano le esportazioni e penalizzavano le importazioni per ottenere una “bilancia commerciale favorevole” per la nazione nel suo complesso. Per oltre un secolo il termine sistema mercantile mantenne una connotazione negativa. Nell’ultima parte del XIX secolo alcuni storici fra cui Schmoller ne rovesciarono la concezione. Per loro, nazionalisti e patrioti, il Merkantilismus era una politica di costruzione dello Stato portata avanti da saggi e benevoli. Nelle parole dello Schmoller il mercantilismo è una “costruzione dello Stato che si accompagna all’edificazione dell’economia nazionale”. Nei manuali si trovano definizioni del mercantilismo come “teoria” o “sistema” di politica economica caratteristico dell’Europa occidentale e delle loro dipendenze d’oltremare dal ‘500 circa fino a forse il 1800. Comunque non ci fu un consenso generale né in campo teorico né in quello politico. Nonostante le somiglianze, ogni paese ebbe una propria politica economica. I propugnatori del nazionalismo in economia sostenevano invariabilmente che le loro politiche avevano l’obiettivo di rafforzare lo Stato. La natura dello stato variava dalla monarchia assoluta di Luigi XIV alla repubblica borghese. In nessun stato tutti gli abitanti partecipavano al processo di governo. Poiché il nazionalismo dei primi stati-nazione aveva un fondamento di classe, e non popolare, la chiave delle differenze nazionali nel campo della politica economica dovrebbe essere ricercata nella differente composizione e negli interessi pag. 14/103
  • 15. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland divergenti delle classi dominanti. In Francia e nelle altre monarchie assolute niente si situava al di sopra dei desideri del sovrano. Pochi monarchi mostravano interesse per le questioni economiche. L’amministrazione era affidata a ministri e funzionari minori che spesso non conoscevano bene i problemi della tecnologia industriale e dell’iniziativa commerciale, e rispecchiavano i valori dei loro padroni. In questioni importanti i sovrani spesso sacrificavano per ignoranza o indifferenza sia il benessere economico dei loro sudditi che le fondamenta economiche del proprio potere. Il Governo spagnolo spese più di quanto gli consentissero le entrate. Persino la Francia di Luigi XIV non fu in grado di sopportare la continua emorragia di ricchezza sacrificata al perseguimento delle ambizioni territoriali del re e al mantenimento della sua corte. Alla sua morte il paese si trovava sull’orlo della bancarotta. Le Province Unite governate da e a beneficio dei ricchi mercanti che controllavano le città principali, seguirono una politica economica più accorta: stabilendo il libero scambio all’interno del paese. Gli elementi comuni Nel Medioevo gran parte dei signori feudali e soprattutto i monarchi possedevano dei “forzieri di guerra”: enormi scrigni corazzati in cui venivano accumulate monete e verghe di metalli preziosi per finanziare guerre previste o inattese. Ciò determinò una forma di politica economica nota come “bullionismo”, vale a dire il tentativo di accumulare all’interno del paese tutto l’oro e l’argento possibile, proibendone l’esportazione mediante decreti che comminavano la pena di morte ai trasgressori. I tentativi della Spagna di amministrare con parsimonia il tesoro del Nuovo Mondo furono l’esempio più cospicuo di questa politica. Poiché erano pochi i paesi europei che possedevano miniere d’oro e d’argento, l’acquisizione di colonie in cui esistessero miniere di metalli preziosi fu uno degli obiettivi principali dell’esplorazione e della colonizzazione. Il modello da imitare fu il caso fortunato della Spagna. Fu in questo quadro che i mercanti riuscirono ad influenzare i Consigli di Stato ed ad escogitare le argomentazioni a sostegno di una bilancia commerciale favorevole. Secondo la teoria un paese doveva solo vendere, senza acquistare nulla dall’estero. In pratica ciò era impossibile e si pose la questione: cosa si doveva esportare e cosa importare? A causa dell’alta incidenza di raccolti insufficienti e di carestie periodiche, i Governi cercarono di garantirsi abbondanti riserve interne di grano. Allo stesso tempo incoraggiarono le manifatture. Per incoraggiare la produzione nazionale, le manifatture estere furono tagliate fuori o obbligate a pagare alte tariffe protezionistiche. Le manifatture nazionali furono altresì incoraggiate attraverso la concessione di monopoli. Se le materie prime non erano disponibili sul mercato interno, potevano essere importate senza il pagamento di tasse sull’importazione. Le leggi suntuarie (relative ai consumi) tentarono di limitare il consumo di merci estere e di favorire quello di prodotti nazionali. Le grandi flotte mercantili consentivano di ottenere denaro dagli stranieri attraverso la fornitura di servizi di trasporto e incoraggiavano le esportazioni nazionali assicurando un mezzo di trasporto conveniente. Quasi tutti i paesi avevano delle “leggi sulla navigazione” che avevano l’obiettivo di riservare a navi nazionali le importazioni e le esportazioni, e di favorire pag. 15/103
  • 16. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland la marina mercantile. I teorici sottolineavano l’importanza dei possedimenti coloniali come fattori della ricchezza e della potenza nazionale. Anche se le colonie non possedevano miniere d’oro e d’argento, esse potevano produrre beni non disponibili nella madrepatria. La Spagna e l’America spagnola Nel XVI secolo la Spagna era l’invidia e il flagello delle teste coronate d’Europa. Il suo re Carlo I ereditò non solo il regno di Spagna (in realtà i regni distinti di Aragona e di Castiglia) ma anche i domini asburgici in Europa centrale, i Paesi Bassi e la Franca Contea. Il regno di Aragona gli porto la Sardegna, la Sicilia e tutta l’Italia a sud di Roma. Nel 1519 Carlo divenne imperatore del Sacro Romano Impero col nome di Carlo V. Sebbene le risorse agricole spagnole non fossero le migliori, la Spagna aveva ereditato l’elaborato sistema moresco di orticoltura della Valencia e dell’Andalusia, mentre la lana delle pecore merino era molto apprezzata in tutta l’Europa. Essa possedeva inoltre alcune fiorenti industrie (in particolare quella del panno e del ferro). I possedimenti di Carlo nei Paesi Bassi vantavano l’agricoltura più avanzata d’Europa. I domini asburgici nell’Europa centrale assicuravano importanti giacimenti di minerale, l’oro e l’argento dell’Impero nel Nuovo Mondo cominciarono ad affluire in Spagna in quantità enormi a partire dagli anni trenta. Ma l’economia spagnola non riuscì a progredire, gran parte della responsabilità deve essere attribuita alle esorbitanti ambizioni dei suoi sovrani e alla miopia e alla perversità delle loro politiche economiche. Carlo V riteneva sua missione riunificare l’Europa cristiana. A questo scopo combatté i turchi nel Mediterraneo e in Ungheria, lottò contro i principi protestanti ribelli in Germania e fece guerra ai Valois di Francia. Incapace di ottenere un successo duraturo su ciascuno di questi fronti abdicò nel 1556 al trono di Spagna. Aveva sperato di trasmettere i suoi possedimenti intatti al figlio Filippo, ma il fratello Ferdinando riuscì ad ottenere i territori asburgici in Europa centrale e il titolo d’Imperatore del Sacro Romano Impero dopo la morte di Carlo nel 1558, Filippo II continuò gran parte delle crociate paterne, aggiungendo anche l’Inghilterra. Nel 1588 ci fu la sconfitta definitiva. Per finanziare le guerre e i notevoli consumi Carlo e Filippo si affidarono alle tasse. Il popolo spagnolo era nel XVI secolo quello soggetto alla tassazione più pesante. I grandi proprietari terrieri, quasi tutti di sangue nobile erano esentati dalle imposte dirette, il carico tributario ricadeva su artigiani, commercianti e contadini. La corona trovò un’inaspettata fonte di entrate con la scoperta dell’oro e dell'argento nell'impero americano. Le entrate raramente pareggiavano le enormi spese del governo. Ciò costringeva i sovrani a ricorrere ad una terza fonte di finanziamento, il prestito. Il prestito non era una novità per la Spagna. Ma sotto Carlo e Filippo il ricorso al prestito pubblico divenne una pratica regolare. Carlo già nei primi anni del suo regno aveva preso a prestito somme enormi dai Fugger e da altri banchieri tedeschi e italiani per comprare i voti degli elettori che lo avevano proclamato Sacro Romano Imperatore. Gli interessi su questi debiti crebbero progressivamente. I prestatori, banchieri fiamminghi e spagnoli oltre che tedeschi e italiani, si assicurarono contratti in cui venivano offerti a garanzia dei prestiti, taluni specifici introiti tributari o quote di future spedizioni di argento pag. 16/103
  • 17. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland americano. Nel 1557 l'onere era divenuto cosi pesante e il governo rifiutò di riconoscere una parte sostanziale dei propri debiti, avvenimento definito “bancarotta nazionale”. I governi, a differenza delle imprese commerciali, non vengono posti in liquidazione in caso di bancarotta. I debiti a breve termine vennero invece tramutati in obbligazioni a lungo termine, furono ridotti il capitale e il tasso d'interesse, e il ciclo ricominciò. In otto occasioni gli Asburgo spagnoli dichiararono bancarotta. L'assenza di una sistematica politica economica è illustrata dalla storia di due delle maggiori attività economiche spagnole, la produzione cerealicola e la manifattura del panno. La produzione dei cereali prosperò nella prima metà del XVI secolo sia per l'incremento demografico che per il moderato aumento dei prezzi. Con l’accelerazione dell’aumento dei prezzi, il Governo rispose alle lamentele dei consumatori imponendo nel 1539 dei prezzi massimi sui cereali. Il risultato fu che, con l'aumentare dei costi, la terra arabile fu impiegata a fini diversi dalla coltivazione dei cereali, e la penuria di questi ultimi si aggravò. Per porvi rimedio il Governo consentì l'importazione esente da dazi di cereali esteri, ciò però scoraggiò ulteriormente i produttori cerealicoli. Molte terre smisero del tutto di essere coltivate. La situazione era più o meno identica nell'industria del panno. L’espansione della domanda fece aumentare i costi e i prezzi. L'offerta non era in grado di reggere il ritmo di crescita della domanda. Nel 1548 furono aboliti i dazi sul panno estero e fu proibita l'esportazione del prodotto nazionale. Ci fu una grave crisi. Con una politica economica illuminata Carlo V avrebbe potuto assicurare una durevole prosperità al suo vasto impero. Ogni regione, consapevole delle proprie tradizioni e dei propri privilegi, avrebbe opposto resistenza ad una iniziativa in tal senso. Il monarca era troppo dipendente dalle entrate doganali per abolire le tariffe e i dazi interni sul commercio tra le varie regioni dell'impero. Anche dopo l'unione delle corone di Castiglia e di Aragona ciascuna manteneva le proprie barriere tariffarie contro l’altra e persino un diverso sistema monetario. I mercanti e gli industriali dei Paesi Bassi dovettero la loro capillare penetrazione nei mercati spagnoli alla loro superiore capacità concorrenziale piuttosto che a qualche speciale privilegio. I sovrani spagnoli riuscirono a danneggiare il benessere dei loro sudditi e ad indebolire le fondamenta economiche del loro stesso potere. Nei primissimi anni del loro regno Ferdinando e Isabella ottennero dal Papa l'autorizzare a fondare l’Inquisizione. Le conseguenze iniziali dell’Inquisizione furono i casi di apostasia tra i conversos - gli ebrei convertitisi al cristianesimo di fatto o solo nominalmente - sebbene gli ebrei praticanti fossero ancora ufficialmente tolleranti. Molti ebrei e conversos figuravano tra i più ricchi e colti cittadini spagnoli. Il clima di terrore determinato dall’Inquisizione spinse molti conversos ed ebrei ad emigrare, portando via con se le proprie ricchezze. I monarchi seguirono una politica analoga nei confronti dei mori musulmani. Nel 1502 decretarono la conversione o l’espulsione di tutti i mori; poiché questi ultimi erano in maggioranza umili lavoratori agricoli furono costretti a diventare nominalmente cristiani: i moriscos. Nel 1609 un altro Governo spagnolo ordinò l’espulsione dei moriscos. Le politiche della Spagna nei confronti del suo impero americano furono altrettanto autodistruttive. Non appena cominciò a diffondersi una certa consapevolezza della portata delle scoperte nel Nuovo Mondo il Governo impose pag. 17/103
  • 18. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland una politica di monopolio. Nel 1501 fu proibito agli stranieri di stabilirsi nelle nuove colonie o di commerciare con esse. Nel 1503 fu creata a Siviglia la Casa de Contrataciòn con un monopolio commerciale. Tutte le navi mercantili erano tenute a viaggiare con i convogli armati riuscendo, così, a proteggere le spedizioni di metalli preziosi. Le politiche monopolistiche si rilevarono talmente ingestibili che il Governo fu costretto a fare marcia indietro. Nel 1524 si permise ai mercanti stranieri di commerciare con l’America senza però stabilirvisi. Ciò risultò una tale manna per i mercanti italiani e tedeschi tanto che nel 1538 il Governo abrogò questa politica restaurando il monopolio dei castigliani. Tra il 1529 e il 1573 fu permesso alle navi di altri dieci porti oltre Siviglia di commerciare con l’America, ma con l'obbligo di registrare i loro carichi a Siviglia e di scaricare in questa città le merci trasportate al ritorno. A causa della lievitazioni dei costi questa autorizzazione ebbe scarsi risultati, la politica del monopolio e delle limitazioni incoraggiava invece l’evasione e il contrabbando. La politica generale era di riservare il mercato dei prodotti di manifattura delle colonie ai produttori della metropoli. L’intrinseca assurdità di questa politica coloniale è nel trattamento riservato all’unico possedimento spagnolo nel Pacifico, l’arcipelago delle Filippine. Sebbene ricadessero nell'orbita portoghese le Filippine divennero possedimento spagnolo in virtù della scoperta di Magellano. I Filippini ed altri asiatici commerciavano tra loro e con le vicine regioni asiatiche, Cina compresa. Il solo tipo di commercio con l’Europa permesso era indiretto, attraverso il Messico e la stessa Spagna. Ogni anno un’unica nave, il galeone di Manila, partiva da Acapulco. L'intero viaggio richiedeva due anni. La nave caricava spezie, sete cinesi porcellane ed altri prodotti di lusso orientali. Ovviamente poche potevano essere le merci che riuscivano a sopportare un tale costo. Il Portogallo Una delle imprese più notevoli dell’età dell’espansione europea fu quella del Portogallo, stato piccolo che riuscì ad assicurarsi il dominio su un vasto impero marittimo in Asia, Africa e America. All’inizio del XVI secolo l’economia era prevalentemente di sussistenza, le esportazioni erano di prodotti primari e le importazioni comprendevano il grano e prodotti industriali quali il panno e gli articoli di ferramenta. I fattori che condussero il Portogallo ad ottenere una posizione di predominio furono: • la fortuna, all’epoca in cui il Portogallo si affacciò nell’Oceano Indiano le realtà politiche in quell’area erano eccezionalmente deboli e divise; • le conoscenze accumulate nella progettazione delle navi, nelle tecniche di navigazione e in tutte le arti relative; • lo zelo, il coraggio e la capacità degli uomini che si avventurarono nei mari. Nell’ebbrezza delle scoperte e dei successi asiatici i Portoghesi prestarono scarsa attenzione ai loro possedimenti africani e americani. Il commercio delle spezie prometteva rapidi profitti. Dopo il 1530 però la Corona portoghese fu allarmata dalla presenza di predoni francesi sulle coste del Brasile e decise di favorire l’insediamento di coloni portoghesi nell’entroterra. Le prime colonie non prosperarono, la popolazione indigena non rappresentava un mercato per la produzione portoghese pag. 18/103
  • 19. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland né un’affidabile forza lavoro. Il Brasile non divenne parte integrante dell’economia imperiale fino agli anni settanta, con l’introduzione della canna da zucchero e di tecniche di coltivazione che prevedevano l’impiego di schiavi africani. Subito dopo il Portogallo passò alla Corona spagnola. Il monopolio legale della Corona portoghese nel commercio delle spezie attirò a questa ultima gli appellativi derisori di “re droghieri” ma la realtà celata era abbastanza differente da quella che si potrebbe sospettare. Il Portogallo non si assicurò mai un controllo effettivo delle fonti di approvvigionamento delle spezie. Alla fine del XVI secolo esse sostenevano un volume di scambi mai visto. Due erano le ragioni principali : • i Portoghesi erano semplicemente troppo sparpagliati; • la Corona era costretta ad affidarsi, per amministrare il proprio monopolio, a ufficiali regi o ad imprenditori che ne “appaltavano” una parte; gli ufficiali regi non erano ben pagati e spesso arrotondavano i loro stipendi accettando doni da contrabbandieri o commettendo in prima persona commerci illeciti. Il commercio delle spezie fu la più famosa ma solo una delle molte branche del commercio che i monarchi portoghesi cercarono di monopolizzare per ragioni fiscali. La Corona portoghese monopolizzava quello con l’Africa le cui esportazioni più preziose erano l’oro, gli schiavi e l’avorio. Con la scoperta dell’America la domanda di schiavi crebbe enormemente. Nel XVIII secolo ci fu la scoperta di oro e diamanti in Brasile. La Corona cercò di monopolizzarne il commercio, ma le navi da guerra inglesi erano veicoli frequenti di questo commercio di contrabbando. Le tentazioni monopolistiche della Corona non si limitarono ai prodotti esotici dell’India e dell’Africa, ma si estesero a prodotti nazionali di prima necessità e quello che la Corona non riusciva a monopolizzare veniva tassato. All’inizio del XVIII secolo quasi il 40% del valore delle merci spedite legalmente da Lisbona al Brasile era rappresentato da dazi doganali e altre tasse. La ragione prima di monopolio e tasse era quella di assicurare nuove entrate alla Corona; ma l’evasione era agevole e diffusa. Quanto più era forte l’imposizione fiscale tanto maggiore era l’incentivo ad evaderla. Anche i Portoghesi cominciarono a chiedere prestiti ad alti tassi di interesse ad italiani e fiamminghi, oppure ai sudditi del re, i “nuovi cristiani” (questo termine era eufemisticamente applicato ai cittadini portoghesi di origine ebraica). Alcuni di essi si erano realmente convertiti al cristianesimo, ma molti avevano segretamente conservato la loro fede. Re Emanuele aveva nel 1497 obbligato alla conversione gli ebrei a imitazione e su istanza dei monarchi spagnoli, ma per vari decenni non fu preso alcun provvedimento repressivo. In realtà cristiani vecchi e nuovi continuavano a vivere insieme in armonia e ad unirsi in matrimonio. Ma alla fine anche il Portogallo ottenne la sua Inquisizione: i cittadini erano addirittura istigati a denunciarsi a vicenda. L’Europa centrale, orientale e settentrionale Tutta l’Europa centrale, dall’Italia settentrionale al Baltico, era nominalmente unita sotto il Sacro Romano Impero. Il territorio era organizzato in centinaia di principati indipendenti o quasi, da possedimento laici ed ecclesiastici di dimensioni variabili, a quello del singolo cavaliere imperiale, alle terre asburgiche dell’Austria, della Boemia pag. 19/103
  • 20. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland e dell’Ungheria. Con la riforma protestante l’autorità dell’Imperatore ebbe subito una drastica limitazione. La lotta tra il particolarismo locale e le tendenze centralizzatrici dei più potenti monarchi e principi costituisce gran parte della storia europea della prima età moderna. In Germania i propugnatori del nazionalismo economico sostenevano una serie di principi. Gli scrittori che appartengono a questa scuola sono di solito chiamati cameralisti dalla parola latina “camera” che nell’uso tedesco dell’epoca indicava le casse o il tesoro dello stato territoriale. Questi scrittori erano funzionari statali, cioè funzionari dei principi territoriali che lottavano per conseguire un’autonomia sia politica che economica. Nella loro preoccupazione per il rafforzamento dello stato territoriale, essi invocavano misure che, oltre a riempire le casse dello Stato, avrebbero ridotto la sua dipendenza da altri Stati e lo avrebbero reso più autosufficiente in caso di guerra: limitazioni al commercio con l’estero, incentivazione delle manifatture nazionali, bonifica dei terreni paludosi, offerta di lavoro per i “poveri oziosi”. Nel XVIII secolo in diverse università tedesche furono fondate cattedre speciali destinate a preparare i futuri funzionari statali. Il caso più spettacolare di successo di una politica di centralizzazione è senza dubbio quello dell’ascesa della Prussia degli Hohenzollern. E’ stato questo successo a spingere alcuni storici a ribaltare la condanna prevalente delle politiche del nazionalismo economico. Questa dinastia arrivò al potere nell’elettorato del Brandeburgo, nel XV secolo. Gli Hohenzollern estesero i propri domini per via ereditaria. Notevole fu l’acquisizione della Prussia orientale nel 1618. La guerra dei Trent’anni causò grandi devastazioni ma a partire da Federico Guglielmo (il “Grande Elettore”) una serie di abili regnanti trasformò il Brandeburgo-Prussia in una delle più grandi nazioni europee. Tra i mezzi impiegati figurano gli strumenti consueti della cosiddetta politica mercantilistica, quali dazi protettivi, concessioni di monopoli e sussidi all’industria, incentivi a imprenditori stranieri e lavoratori specializzati a stabilirsi nei territori meno popolati. Fattore importante fu la gestione delle risorse dello Stato: attraverso la centralizzazione dell’amministrazione, il requisito della responsabilità personale imposto al corpo di funzionari statali professionisti da loro creato, l’attenta riscossione delle imposte e la parsimonia sul lato della spesa, essi crearono una macchina statale efficientissima. La loro unica stravaganza fu l’esercito che arrivò ad assorbire più della meta del bilancio statale. I Re prussiani sfruttarono il loro esercito non solo da un punto di vista militare e politico ma anche economico. Essi erano in grado di ottenere sussidi dagli alleati ed evitavano di prendere denaro in prestito. Nonostante lo Stato fosse efficiente l’economia del paese era solo moderatamente prospera secondo il metro dell’epoca. All’ascesa della Prussia si contrappose la scomparsa del regno di Polonia. La caduta della Polonia ebbe cause militari e politiche, quali la debolezza dell’autorità regia elettiva ed il liberum veto, in virtù del quale ogni singolo membro del sejm, parlamento, poteva annullare gli atti dell’intera sessione. Ma la povertà e l’arretratezza dell’economia furono fattori determinanti. Giuridicamente la popolazione era composta per circa tre quarti da servi, legati alla terra e con nessun diritto. La nobiltà polacca era abbastanza numerosa, ma nella grande maggioranza era anch’essa povera pag. 20/103
  • 21. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland e virtualmente senza terra. La maggior parte della terra era controllata da non più di una ventina di famiglie. Nel XVI e XVII secolo la Polonia esportò in Occidente grandi quantità di cereali, ma con l’aumento della produzione agricola in Occidente la domanda di grano si contrasse e il paese ritornò ad una agricoltura di sussistenza. Sebbene l’assenza di un’effettiva autorità centrale rendesse impossibile per la Polonia una coerente politica economica, alcune regioni che ne facevano parte l’avevano: esempio è lo stato di Curlandia ma non ebbe lunga vita e scomparve insieme alla Polonia. Nel XVI e XVII secolo la Russia si sviluppò sia dal punto di vista economico che politico. Priva di sbocchi sul mare, intratteneva pochissimi scambi commerciali di lunga distanza. La grande maggioranza della popolazione si dedicava ad una agricoltura di sussistenza, condizionata dalle istituzioni servili. Nel frattempo nonostante le numerose rivolte l’autorità dello Zar si andava rafforzando. Nel 1696 quando Pietro I (“il Grande”) divenne unico sovrano, il suo potere all’interno dello Stato era senza rivali. Pietro intraprese un politica di “occidentalizzazione”: concesse sussidi e privilegi ad artigiani e imprenditori occidentali disposti a stabilirsi in Russia per esercitarvi una professione o un commercio; costruì la città di San Pietroburgo, la sua “finestra sull’occidente”; si assicurò così un porto e cominciò a costruire una flotta per estendere i propri domini; costituì un più efficiente sistema tributario per raccogliere più denaro possibile. Quando le industrie del paese si dimostrarono incapaci di soddisfare le sue richieste di articoli militari, Pietro fondò arsenali, cantieri navali e fonderie che disponevano di tecnici occidentali il cui compito era di addestrare una forza lavoro indigena, ma il tentativo ebbe scarso successo. Dopo la morte di Pietro la maggior parte delle industrie da lui fondate scomparvero, la flotta cadde in rovina e persino il suo sistema tributario assicurò rendite inadeguate a mantenere l’esercito e la burocrazia. Tra i suoi successori Caterina (anch’essa detta “la Grande”) fu responsabile di due innovazioni nella finanza statale: l’accensione di prestiti all’estero e l’eccessiva emissione di moneta cartacea a corso fiduciario. Nel XVI e XVII secolo la Svezia svolse un ruolo di grande potenza politica. Il suo successo dipese dall’abbondanza di risorse naturali (rame e ferro) e dall’efficienza amministrativa del suo governo. I Sovrani svedesi abolirono i dazi doganali e le tariffe interne che ostacolavano il commercio negli altri paesi, standardizzarono pesi e misure, istituirono un sistema di tassazione uniforme e presero dei provvedimenti che favorirono la crescita del commercio e dell’industria. Nel XVIII secolo la Svezia divenne il principale fornitore di ferro sul mercato europeo. L’Italia è stata esclusa da questa rassegna delle politiche nel periodo del nazionalismo economico perché subì le rivalità delle grandi potenze. Ripetutamente invase le sue città-stato e i suoi piccoli principati ebbero scarse opportunità di intraprendere o porre in atto politiche indipendenti. Fece eccezione la repubblica di Venezia che riuscì a conservare sia l’indipendenza politica che una certa prosperità economica fino alla conquista francese del 1797. Venezia sviluppò un’importante industria della lana, della vetreria, della carta e della stampa. Il Governo (oligarchia) tentò di scongiurare la decadenza commerciale ma con scarso successo. pag. 21/103
  • 22. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland Il colbertismo in Francia L’esempio archetipo del nazionalismo economico fu la Francia di Luigi XIV. Luigi ne costituì il simbolo e il potere, ma la responsabilità del disegno politico fu del suo primo ministro Jean-Baptiste Colbert. La sua influenza fu tale che è stato coniato il termine colbertisme (sinonimo di mercantilismo). Colbert cercò di sistematizzare e razionalizzare l’apparato dei controlli statali sull’economia, ereditato dai suoi predecessori, ma non riuscì mai ad ottenere un vero successo. La ragione del suo fallimento fu l’incapacità di attingere dall’economia denaro sufficiente a finanziare le guerre e il lusso smodato della corte di Luigi. All’epoca della guerra dei Cent’anni le “imposte straordinarie” (imposte in caso di emergenza) erano divenute voci permanenti delle entrate reali. Alla fine del XVI secolo il Re si era accaparrato il potere di elevare i tassi d’imposta e di istituire nuove tasse per decreto, senza il consenso di alcuna assemblea rappresentativa. Alla fine del XVI secolo le entrate tributarie erano aumentate di sette volte rispetto all’inizio del secolo. Ma neanche questa manna fiscale riuscì a coprire le spese delle campagne italiane. Per raccogliere denaro i Re furono costretti a ricorrere ad altri espedienti come l’accensione di prestiti e la vendita degli uffici. I Re francesi avevano preso denaro a prestito nel Medioevo ma fu solo a partire dal regno di Francesco I che i debiti della corona entrarono a far parte del sistema fiscale. Il debito crebbe progressivamente. La Corona si procurava nuove entrate anche attraverso la vendita degli uffici (giudiziari, fiscali e amministrativi). La vendita degli uffici divenne una pratica normale. Questa politica raggiunse il suo obiettivo immediato ma a lungo andare il suo effetto fu deleterio: infatti creò una moltitudine di nuovi uffici privi di funzioni o le cui funzioni erano dannose per le masse. La Corona, per la riscossione delle imposte istituì la figura degli esattori che si impegnavano a pagare allo Stato una somma forfetaria in cambio del privilegio di riscuotere certe specifiche tasse, quali le aides (imposte sul consumo che colpivano diverse merci) e la gabelle (originariamente imposta sul consumo del sale che divenne un tributo fisso) e soprattutto molti dazi e pedaggi. Fu il fallimento del sistema fiscale come produttore di entrate a portare all’assemblea degli Stati Generali del 1789, l’inizio della fine dell’antico regime. Oltre che a riformare il sistema tributario Colbert cercò di migliorare l’efficienza e la produttività dell’economia francese. Furono emanati numerosi decreti e ingiunzioni che avevano per oggetto le caratteristiche tecniche dei manufatti e la condotta dei mercanti. Incoraggiarono la proliferazione delle corporazioni e concessero sussidi alle manifactures royales. Per conseguire una bilancia commerciale favorevole crearono un sistema di proibizioni e di alti dazi protettivi. I Re francesi inaugurarono i loro tentativi di centralizzazione del potere sulla nazione e del controllo dell’economia nel periodo successivo alla guerra dei Cent’anni. Uno dei risultati delle guerre italiane fu di stimolare tra gli aristocratici la domanda di beni di consumo di lusso che Re ed ufficiali avevano conosciuto in quel paese. L’uomo che dovrebbe essere considerato il fondatore della tradizione francese dell’étatisme (statalismo) negli affari economici fu il duca di Sully, primo ministro di Enrico IV. Sully è considerato un energico amministratore tuttavia il suo ambiguo legato è simboleggiato dai due provvedimenti (solitamente attribuiti ad Enrico) presi nel 1598. Da un lato con l’editto di Nantes pag. 22/103
  • 23. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland Enrico concedeva ai protestanti una tolleranza limitata, dall’altro ridusse d’autorità sia il capitale che il tasso d’interesse su tutti i maggiori debiti della Corona (regia dichiarazione di bancarotta parziale). Sully accrebbe le entrate derivanti dai monopoli reali sulla produzione di salnitro, polvere da sparo, munizioni e sale. Richelieu e Mazzarino (successori di Sully) non avevano interesse per gli affari finanziari, ma avevano come obiettivo principale l’affermazione della Francia nell’arena internazionale, essi lasciarono che le finanze statali scivolassero nelle deplorevoli condizioni risalenti a prima di Sully. Uno dei principali obiettivi di Sully era di rendere la Francia autosufficiente dal punto di vista economico e di creare un impero sui mari. Per disciplinare l’industria emanò istruzioni dettagliate che abbracciavano ogni fase della manifattura di centinaia di prodotti. Colbert, di salda fede cattolica, appoggiava la limitata tolleranza agli Ugonotti dall’editto di Nantes. Dopo la sua morte il suo debole successore si sottopose alla determinazione di Luigi di sradicare l’eresia protestante che culminò nella revoca dell’editto nel 1685. Ciò gettò la Francia in una grave crisi economica dalla quale non doveva emergere fino alla fine della Guerra di Secessione spagnola. La prodigiosa ascesa dei Paesi Bassi La struttura del Governo della Repubblica Olandese era del tutto diversa da quella delle monarchie assolute dell’Europa continentale ed inoltre l’economia olandese dipendeva dal commercio internazionale molto più di quelle dei più grandi vicini. L’Unione di Ultrecht del 1579, il patto tra le sette province settentrionali che divennero poi i Paesi Bassi Uniti o Repubblica olandese, fu più una sorta di alleanza difensiva contro la Spagna che l’istituzione di uno stato-nazione. Tutte le decisioni dovevano essere raggiunte per accordo unanime, e ciascuna provincia disponeva di un voto; in mancanza di accordo i delegati facevano ritorno nei rispettivi stati provinciali per consultazioni e istruzioni. Gli Stati provinciali erano dominati dalle maggiori città. Queste erano governate da Consigli cittadini autorinnovanti composti da un numero di membri che erano i veri signori della Repubblica olandese. Originariamente i membri di questa oligarchia venivano selezionati tra le più facoltose famiglie cittadine. I membri di questo gruppo di Governo, noti come i “reggenti” cominciarono a provenire da una classe di rentiers composta da proprietari terrieri e possessori di titoli di stato; i reggenti discendevano solitamente da famiglie mercantili o si legavano ad esse per via di matrimonio. Alla base della superiorità commerciale olandese erano i cosiddetti “commerci madre”, i traffici che collegavano i porti olandesi con quelli del mare del Nord, del Baltico, del Golfo di Biscaglia e del Mediterraneo. La pesca delle aringhe occupava un posto eccezionale nell’economia olandese. L’agricoltura olandese era la più produttiva d’Europa e si concentrava sulle produzioni di maggior valore, come burro, formaggio, e colture industriali. I Paesi Bassi mancavano di risorse naturali come carbone e minerali, ma importavano materie prime e prodotti semilavorati, come i tessuti grezzi di lana inglesi, per riesportarli in forma finita, importante era anche l’industria delle costruzioni navali. I Paesi Bassi settentrionali, in special modo l’Olanda e la Zelanda, beneficiarono in alto grado della libera immigrazione delle altre regioni europee. La facilità con cui pag. 23/103
  • 24. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland Amsterdam raggiunse la sua posizione di principale centro commerciale europeo fu in parte una conseguenza dell’afflusso di mercanti e finanzieri dalla decaduta Anversa che portarono con sé il know-how capitalistico e i capitali liquidi. Queste migrazioni furono nello stesso tempo un simbolo e un contributo alla politica di tolleranza religiosa dei Paesi Bassi. L’oligarchia mercantile riuscì a conservare sia la libertà religiosa che economica per i cattolici, gli ebrei e i protestanti. L’interesse olandese per la libertà era effettivo, in particolare per quanto riguardava la libertà dei mari. La lotta olandese per la libertà era un po’ più equivoca nelle questioni di politica commerciale e industriale: le città seguivano politiche di libero scambio, non vi erano dazi che ostacolassero le esportazioni e le importazioni di materie prime e prodotti. Tariffe e tasse sui generi di prima necessità erano finalizzate all’ottenimento di entrate, non alla protezione delle industrie nazionali. Il commercio dei metalli preziosi era del tutto libero. Amsterdam, con la sua banca, la borsa e la favorevole bilancia dei pagamenti divenne in breve tempo l’emporio mondiale dell’oro e dell’argento. La libertà era la norma anche nell’industria. Pur non del tutto assenti, le corporazioni non erano né diffuse né potenti come negli altri paesi. La più notevole eccezione all’assenza di regole nel commercio e nell’industria olandesi era il “Collegio della pesca” sanzionato dal Governo che disciplinava la pesca delle aringhe. Il Collegio licenziava vascelli per il controllo della quantità ed imponeva inoltre rigidi controlli di qualità. Questa politica restrittiva diede generosi risultati finché gli Olandesi riuscirono a conservare il quasi monopolio sul mercato europeo. Là dove gli olandesi prendevano più nettamente le distanze dalla loro regola generale di libertà era nei confronti dell’impero coloniale. Gli Stati generali olandesi delegarono il controllo del commercio ma anche i poteri del governo a società per azioni di proprietà privata, la Compagnia delle Indie orientali per l’Oceano Indiano e l’Indonesia e la Compagnia delle Indie occidentali per la costa occidentale dell’Africa e dell’America settentrionale e meridionale. Le compagnie scoprirono ben presto che per avere successo dovevano stabilire un controllo territoriale. Nella misura in cui l’ottennero si trasformarono in “stati nello stato”, conseguenza inevitabile fu il monopolio commerciale sia nei confronti dei connazionali che della concorrenza straniera. Il “colbertismo parlamentare” in Gran Bretagna Le strategie economiche dell’Inghilterra e, dopo l’unione tra il Parlamento scozzese e quello inglese nel 1707, della Gran Bretagna erano diverse sia da quelle Olandesi che delle monarchie assolute del continente. Mentre le caratteristiche generali delle politiche economiche delle altre nazioni europee rimasero più o meno le stesse dall’inizio del XVI secolo alla fine del XVIII secolo, quelle inglesi e britanniche attraversarono una graduale evoluzione corrispondente all’evoluzione del governo costituzionale. Enrico VIII fu per l’Inghilterra un monarca assoluto. Ma mentre nella maggior parte dei paesi del continente l’assolutismo monarchico crebbe nel corso del XVI e XVII secolo, in Inghilterra nel 1688 si ebbe una monarchia costituzionale sotto controllo parlamentare. Un’altra differenza tra l’Inghilterra e il continente getta luce sulla natura della politica economica. In Spagna e in Francia le necessità fiscali pag. 24/103
  • 25. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland della Corona resero impossibile al Governo di perseguire una politica razionale di sviluppo economico. In Inghilterra le richieste della Corona la posero ripetutamente in conflitto con il Parlamento, fino alla vittoria finale di quest’ultimo. Il Parlamento inglese non aveva mai rinunciato alla sua prerogativa di approvare nuove tasse. Il tentativo di Carlo V dopo il 1630 di governare senza il Parlamento e di riscuotere le tasse senza autorizzazione parlamentare fu uno dei fattori scatenanti dell’insurrezione armata. Dopo l’insediamento di Guglielmo e Maria nel 1689 come monarchi costituzionali il Parlamento assunse il controllo diretto delle finanze del Governo e istituì formalmente un debito “nazionale” distinto da quelle personali del Governo. La cosiddetta gloriosa rivoluzione del 1688-89 rappresenta una svolta importante non solo nella storia politica e costituzionale ma anche in quella economica. Nel campo della sola finanza pubblica, l’ultimo decennio del ‘600 vide l’istituzione di un debito consolidato, la creazione della Banca d’Inghilterra, la sostituzione della moneta nazionale con moneta di nuovo conio e l’affermazione di un mercato organizzato per i titoli pubblici e privati. Il successo del nuovo sistema finanziario non fu immediato, nei primi anni fu sconvolto dalla “bolla del Mare del Sud”. Uno storico definì “colbertismo parlamentare” la politica economica inglese del periodo compreso tra la grossa rivoluzione e la rivoluzione americana. Come il termine “mercantilismo” anche questa definizione è imprecisa perché ignora il ruolo notevole avuto dal Parlamento prima del 1688 nelle scelte di politica economica, fuorviante in quanto fa supporre che il Parlamento aspirasse a conseguire un grado di intervento nell’economia analogo a quello di Colbert. Essa ha comunque il merito di indicare che, in Inghilterra, le scelte di politica economica non erano prerogativa di un monarca assoluto ma rispondevano agli interessi eterogenei di quei gruppi che erano effettivamente rappresentati in Parlamento. E’ impossibile illustrare dettagliatamente tutti i modi in cui il parlamento influenzò l’economia. Esamineremo alcuni tipici e importanti atti legislativi. Lo statuto dei mestieri del 1563 è stato spesso additato come esempio archetipo di legge mercantilista, attentamente soppesata ed espressione di un piano di ampio respiro per l’intera economia. In realtà esso non fu niente del genere, fu una reazione ad una situazione temporanea. La sua maggiore preoccupazione era la stabilità sociale. Le clausole più importanti imponevano a tutte le persone abili di dedicarsi ad un lavoro produttivo. Stabiliva la norma dei sette anni di apprendistato per tutte le arti e mestieri compresa l’agricoltura e specificava gli strati sociali da cui gli apprendisti dovevano essere scelti. Essa avrebbe impedito lo sviluppo economico. Ma l’applicazione domandata ai giudici di pace (funzionari regi non pagati) era approssimativa e di regola inesistente. Altro progetto importante è quello di Cokayne. Nel Medioevo la merce più esportata dall’Inghilterra era stata la lana grezza e il mercato principale per questi tessuti erano i Paesi Bassi. Nel 1614 sir William Cokayne, mercante, assessore della City di Londra e confidente del re Giacomo I, persuase quest’ultimo a revocare il monopolio dei Merchant Adventures, proibì l’esportazione di tessuti finiti ad una nuova società di cui Cokayne era l’esponente di maggiore spicco. Il motivo era che i processi di rifinitura erano la fase più redditizia della manifattura del panno; riservandoli all’Inghilterra il progetto avrebbe accresciuto il reddito nazionale e colpito gli Olandesi. Questi ultimi pag. 25/103
  • 26. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland risposero proibendo l’importazione di lane colorate dall’Inghilterra. Nel 1617 il Governo ripristinò il monopolio dei Merchant Adventures ma la crisi commerciale non si arrestò. Nel 1624 su pressione della Camera dei Comuni, il Governo liberalizzò il commercio del panno. Altro atto importante furono i Navigation Acts. Le leggi sulla navigazione, il cui scopo generale era di riservare il commercio internazionale di un paese alla marina mercantile di quest’ultimo, non furono un’esclusiva dell’Inghilterra o del XVII secolo. Quasi tutti i paesi avevano proprie leggi in questo campo. La prima era stata promulgata in Inghilterra nel 1381, tali leggi erano inefficaci per due ragioni, mancavano di adeguati meccanismi di applicazione e le marine mercantili non erano all’altezza della concorrenza. Gli Olandesi si sentirono sufficientemente colpiti da dichiarare guerra. Sebbene la legge sulla navigazione non fosse l’unica causa di questa dichiarazione di guerra, la sua abrogazione fu uno degli obiettivi perseguiti dagli Olandesi senza successo, nelle trattative che posero termine ad una guerra ormai in una situazione di stallo. Nel 1660 il Parlamento rinnovò e diede maggior forza alla legge e divenne una pietra angolare del sistema coloniale inglese. La legge cercava anche di proteggere l’industria delle costruzioni navali imponendo che le navi fossero costruite in Inghilterra, ma in questa clausola si rivelò di difficile applicazione. Persino alle navi britanniche era richiesto di importare le merci direttamente dal paese d’origine, in questo modo la legge mirava a indebolire la posizione commerciale di Amsterdam e a colpire il trasporto merci olandese. Il commercio costiero era riservato esclusivamente a navi inglesi. Il commercio con le colonie britanniche doveva inoltre avvenire su naviglio britannico. In pratica questa clausola riservava il mercato coloniale ai mercanti e agli industriali inglesi. Le leggi sulla navigazione non furono di facile applicazione soprattutto nelle colonie ma favorirono la crescita della marina mercantile inglese e del commercio marittimo. Ebbero anche un effetto: la perdita di una larga parte del vecchio Impero britannico. Superate le difficoltà iniziali dei primi decenni del Seicento, le colonie inglesi del Nord America erano cresciute prodigiosamente. La crescita del reddito e della ricchezza fu ancora più impressionante della crescita demografica, man mano che le colonie si specializzarono secondo criteri di vantaggio relativo e cominciarono a commerciare intensamente tra di loro, con la madrepatria e illegalmente con l’Impero spagnolo. Sebbene le leggi sulla navigazione disciplinassero il commercio coloniale la loro applicazione non fu particolarmente rigorosa fino a dopo la guerra dei Sette Anni. Nella seconda metà del XVII secolo la Compagnia delle Indie orientali cominciò ad importare dall’India un tessuto poco costoso, leggero e dai vivaci colori detto calicò che divenne ben presto popolare. Nel 1701 gli industriali lanieri persuasero il Parlamento ad approvare il primo Calico Act, che proibiva l’importazione dei tessuti di cotone stampato: nacque una nuova industria. Quella della lana si sentì minacciata, e nel 1721 il Parlamento approvò una seconda legge sul calicò che proibiva l’ostentazione e l’uso dei tessuti di cotone stampato. Ciò a sua volta stimolò un’industria cotoniera nazionale basata sull’importazione di cotone grezzo. Alla fine del secolo la manifattura del cotone aveva preso il posto della lana come prima industria britannica. In gran Bretagna la crescita del potere parlamentare a spese della pag. 26/103
  • 27. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland monarchia portò con sè maggior ordine nelle finanze pubbliche, un sistema impositivo più razionale ed una più snella burocrazia statale. L’ideale era ancora quello di un’economia “regolata” e il Parlamento seguì una rigorosa politica di nazionalismo economico. Internamente pur desiderando controllare l’economia il Parlamento mancava in generale della possibilità di farlo. Gli imprenditori inglesi godevano di una misura di libertà e di opportunità virtualmente unica al mondo. CAPITOLO VII L’ALBA DELL’INDUSTRIA MODERNA All’inizio del ‘700 diverse regioni europee avevano sviluppato discrete concentrazioni di industria rurale. Per descrivere tale processo di espansione e di trasformazione occasionale di queste industrie è stato inventato il termine di protoindustrializzazione. Le caratteristiche essenziali di un’economia protoindustriale sono una forza lavoro dispersa, rurale, organizzata da imprenditori urbani che la riforniscono di materia prima e smerciano il prodotto in mercati lontani. La protoindustrializzazione fa riferimento in primo luogo alle industrie dei beni di prima necessità, in particolare tessili. Nel cap. VI si è parlato di “manifactures royales” francesi (situate in grandi strutture simili a fabbriche dove maestri artigiani lavoravano sotto la supervisione di un sovrintendente o di un imprenditore). Analoghe protofabbriche furono organizzate da nobili proprietari terrieri (industria del carbone, ferriere, fabbriche di piombo, rame e vetro) ma, sebbene imponenti furono eclissate nel XVIII secolo dalla nascita di nuove forme di attività industriale. Caratteristiche dell’industria moderna pag. 27/103
  • 28. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland Una delle differenze più ovvie tra la società preindustriale e la moderna società industriale è il forte ridimensionamento in quest’ultima del ruolo relativo dell’agricoltura. Alla diminuzione della sua importanza corrisponde una crescita enorme della produttività dell’agricoltura moderna. Una differenza è l’elevata percentuale di forza lavoro impiegata nel settore terziario, o dei servizi in epoche recenti. Nel periodo della vera e propria industrializzazione la caratteristica saliente della trasformazione strutturale dell’economia fu l’ascesa del settore secondario (industria estrattive, manifatturiera e delle costruzioni) riscontrabile sia sulla base della forza lavoro impiegata che dei livelli di produzione. La Gran Bretagna è definita la “prima nazione industriale”. Il termine “rivoluzione industriale” è stato usato per indicare gli ultimi decenni del Settecento e i primi dell’Ottocento: tale espressione è imprecisa, il suo uso distoglie l’attenzione dalle evoluzioni contemporanee ma differenti dei paesi dell’Europa continentale. La nostra attenzione è rivolta all’inizio del processo di industrializzazione nella Gran Bretagna del XVIII secolo. Nel corso di questa trasformazione emersero alcune caratteristiche che distinguono in modo netto l’industria moderna da quella “premoderna”. Esse sono: • l’uso generalizzato di macchine azionate da energia meccanica; • l’introduzione di nuove fonti di energia inanimata (combustibili fossili); • impiego diffuso di materiali che normalmente non si trovano in natura. I miglioramenti più significativi dal punto di vista tecnologico furono quelli che videro l’utilizzazione di macchine e di energia meccanica. Ma gli sviluppi più importanti furono la sostituzione della legna e del carbone di legna col carbon fossile come combustibile e l’introduzione della macchina a vapore nell’industria mineraria, manifatturiera e dei trasporti. Rivoluzione industriale: un termine equivovo Questo termine è stato usato per oltre un secolo per indicare quel periodo della storia britannica che vide l’introduzione delle macchine e del sistema di fabbrica nel processo di produzione. Le prime descrizioni del fenomeno misero in evidenza le “grandi invenzioni” e la natura drammatica dei mutamenti. Il cambiamento fu quasi violento, in pochi anni furono perfezionate le invenzioni di Watt, Arkwright e Boulton. Per la maggior parte della sua storia l’espressione “rivoluzione industriale” ha posseduto una connotazione negativa. Alcuni studiosi, consapevoli che nelle descrizioni tradizionali la rapidità dei mutamenti era stata esagerata, proposero un periodo più lungo per la rivoluzione, come ad esempio quello compreso tra il 1750 e il 1850. Ma la datazione tradizionale ricevette l’imprimatur di Thomas Ashton, il più famoso storico dell’economia britannica del XVIII secolo. Lo storico considerava i risultati di questo periodo un “traguardo” piuttosto che una catastrofe, e sottolineava il fatto che i cambiamenti di questo periodo non furono solo industriali, ma anche sociali e intellettuali. Requisiti e fattori concomitanti dell’industrializzazione Già nel Medioevo singoli individui avevano cominciato a considerare la possibilità pratica di imbrigliare le forze della natura. Le scoperte scientifiche realizzate in seguito da Copernico, Galileo e Newton rafforzarono queste idee. Alcuni studiosi pag. 28/103
  • 29. Appunti di Storia Economica Visto su: Profland considerarono l’applicazione della scienza all’industria il carattere distintivo dell’industria moderna. Per quanto affascinante, questa idea ha il suo punto debole nella fragilità del “corpus” della conoscenza scientifica. L’espressione metodo sperimentale può risultare troppo formale e specifica per definire tale processo, una più appropriata è per tentativi. Tuttavia una propensione a sperimentare e innovare si diffuse in tutti gli strati della società. L’Inghilterra fu una delle prime nazioni ad accrescere la propria produttività agricola, grazie alla sperimentazione per tentativi di nuove colture e nuove rotazioni. La più importante innovazione agricola fu lo sviluppo della cosiddetta agricoltura convertibile, che prevedeva l’alternanza di campi coltivati e pascoli temporanei in luogo di arativi e pascoli permanenti. Essa aveva il duplice vantaggio di ripristinare la fertilità del suolo con rotazioni più efficaci e di permettere l’allevamento di una quantità ingente di bestiame. Una condizione per il miglioramento delle rotazioni e l’allevamento selettivo fu la recinzione e il consolidamento dei campi. Il nuovo paesaggio agricolo consisteva in fattorie compatte, consolidate e recintate. La crescente produttività agricola inglese permetteva a quest’ultima di sostentare una popolazione sempre maggiore secondo standard nutritivi via via più elevati. Per circa un secolo essa produsse un surplus per l’esportazione, prima che il tasso di crescita demografica superasse quello di crescita della produttività. L’orientamento dell’agricoltura verso il mercato fu un aspetto di un processo generale di commercializzazione dell’intera nazione. Già nel XVI secolo Londra aveva cominciato a svolgere la funzione di “polo di crescita” dell’economia inglese. I suoi vantaggi erano sia geografici che politici. La commercializzazione interagì con la nascente organizzazione finanziaria della nazione. Le origini del sistema bancario britannico sono oscure, ma sappiamo che negli anni successivi alla Restaurazione del 1660 diversi grandi orefici londinesi cominciarono a svolgere le funzioni di banchieri. Rilasciavano ricevute di deposito che circolavano come banconote, e concedevano prestiti a imprenditori degni di credito. La fondazione della Banca d’Inghilterra nel 1694 costrinse i banchieri privati a rinunciare all’emissione di banconote, ma essi continuarono accettando ordini di pagamento e scontando cambiali. La Banca d’Inghilterra non istituì filiali, e le sue banconote non circolavano fuori Londra. Il valore delle monete d’oro era troppo elevato perché queste potessero essere utilizzate, mentre le monete d’argento o di rame erano insufficienti. Questa situazione di penuria di moneta spicciola incoraggiò l’iniziativa privata con l’istituzione di “banche di provincia”. L’euforia della gloriosa rivoluzione portò alla creazione di numerose società per azioni e culminò con il boom finanziario speculativo noto come “bolla del Mare del Sud”. L’episodio prese il nome dalla Compagnia del Mare del Sud, istituita per decreto nel 1711 con il monopolio ufficiale dei traffici con l’impero spagnolo. Ma la vera ragione della sua creazione era quella di raccogliere denaro per conto del Governo per finanziare la prosecuzione del conflitto. La bolla scoppiò nel 1720 quando il Parlamento approvò il Bubble Act. La legge proibiva la costituzione di società per azioni senza l’espressa autorizzazione del Parlamento. L’Inghilterra fece il suo ingresso nella “sua” rivoluzione industriale con uno sbarramento legale contro la forma azionaria dell’organizzazione capitalistica, condannando gran parte delle sue imprese alla proprietà individuale o alla condizione pag. 29/103