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il rispetto della vita dall'inizio... I dati della scienza non permettono, da soli, di attribuire all’embrione umano lo statuto ontologico di persona, o di essere umano di pieno diritto, perché il concetto di  persona  non è di natura empirica, ma filosofica. Però la biologia e la genetica affermano che l’embrione umano è individuo della specie umana  fin dal momento iniziale del suo sviluppo vitale , che lo condurrà, per mezzo di un processo coordinato continuo e graduale a diventare adulto.  Separare individuo umano e persona non è che un gioco sterile. CCC 2258 “La vita umana è  sacra  perché,  fin dal suo inizio , comporta l'azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine.  Solo Dio  è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine:  nessuno, in nessuna circostanza , può rivendicare a sé  il diritto  di distruggere direttamente un essere umano innocente”
Non spetta  al magistero ecclesiale ed alla teologia  stabilire o constatare quando un individuo inizi la sua esistenza e quando la termini ; loro compete l’affermazione che  la “vita animata” si snoda fra l’inizio e la fine della vitalità biologica  individualizzata,  e che va difesa sempre come vita umana. Nel passato filosofi e teologi preferivano paralare di animazione, cioè di infusione dell’anima spirituale nel corpo, per indicare la specificità della vita umana. Si distingueva tra  anima vegetativa, sensitiva e razionale , e si riteneva che fosse solo quest’ultima a caratterizzare la vita umana, mentre la vegetatività e la sensitività precedono la razionalità.  Ma anche quei moralisti del passato che distinguevano tra  “feto inanimato”  e  “feto animato”  (dal 40° giorno per i maschi, più tardi per le femmine), pur attribuendo un grado minore di malizia all’espulsione dell’embrione nelle prime settimane rispetto alla soppressione del feto già animato (= omicidio) condannavano sempre l’aborto in quanto  interruzione di un processo di formazione di una persona umana.
Se oggi qualcuno volesse supporre una  animazione tardiva  rispetto al concepimento (ad esempio nell’annidamento dell’embrione nell’utero materno, o con la formazione del cervello), bisogna affermare che esiste già una vita umana che “prepara e richiede un’anima”, nella quale si completa la natura ricevuta dai genitori. D’altronde basta che la presenza dell’anima sia probabile (e non si proverà mai il contrario!) perché togliere la vita significhi il rischio di uccidere un uomo, non soltanto in attesa, ma già provvisto della sua anima.  Nel dubbio che sia già presente la vita di una persona, va rispettata come tale.
«Il frutto della generazione umana dal primo momento della sua esistenza, e cioè a partire dal costituirsi dello zigote, esige il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all’essere umano nella sua totalità corporale e spirituale.  L’essere umano va rispettato e trattato COME UNA PERSONA fin dal suo concepimento , e pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita». (Donum Vitæ I,1)
il termine della vita umana Nel corso dei secoli vi è stata una continua evoluzione del  concetto di morte , della sua  definizione scientifica  e delle  metodiche di accertamento . Stabilire una definizione medica per la morte è complicato perché la morte non consiste in un arresto istantaneo di tutte le funzioni dell’organismo.  Più corretto è parlare di un “processo evolutivo” che colpisce gradualmente le cellule dei diversi tessuti.  Nel passato il momento della morte veniva identificato con la  cessazione del respiro . Con l’assistenza meccanica del respiro, attraverso la quale la funzione respiratoria poteva essere “vicariata” anche per anni, il momento della morte venne riferito alla  cessazione cardiaca  ma anche qui le strumentazioni intervennero e oggi vi è il consenso nel considerare morto l’essere umana in cui sia stata constatata una  mancanza totale  ed  irreversibile   di attività del cervello:  è la MORTE CELEBRALE.
La  “morte celebrale”   è la distruzione completa ed irreversibile di tutto il contenuto della cavità cranica. L’assenza di attività elettrica celebrale, accertata  almeno due volte a distanza di sei ore , è condizione per dichiarare la morte celebrale. La possibilità di mantenere le funzioni vitali (cuore, respiro) con mezzi strumentali permette però di “prolungare artificialmente la sopravvivenza” degli organi di persone con lesioni neurologiche globali ed irreversibili.  Un cervello morto, in un copro con cuore ancora battente, è uno dei più raccapriccianti prodotti della moderna tecnologia, ma permette anche di salvare, attraverso l’espianto e la donazione di organi, altre persone.  La  “ morte clinica ”  è quella che definisce la sospensione completa dell’attività cardiaca, respiratoria e cerebrale.  Per effettuare la sepoltura bisogna attendere almeno 24 ore dal momento della diagnosi e cioè al verificarsi della  “ morte biologica ”. l'accertazione della morte
L’uomo è presente  fin dal primo momento del suo concepimento . Da allora va  rispettato come tale, fino alla MORTE NATURALE. La vita dell’uomo,  di ogni uomo , è  inviolabile per il rapporto singolare con Dio inscritto nell’uomo dallo stesso creatore.  Colpire l’uomo equivale a colpire Dio. L’omicidio è gesto di empietà e di  profanazione . il rispetto  dal concepimento alla morte naturale
«Il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?» Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Il Signore disse: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra. Ora tu sarai maledetto, scacciato lontano dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra». Caino disse al Signore: «Il mio castigo è troppo grande perché io possa sopportarlo. Tu oggi mi scacci da questo suolo e io sarò nascosto lontano dalla tua presenza, sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, così chiunque mi troverà, mi ucciderà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte più di lui». Il Signore mise un segno su Caino, perché nessuno, trovandolo, lo uccidesse». (Gn 4,9-15)
La vita umana è una vita psico-fisica. L’uomo è “ spirito incarnato ”. Tra corpo e spirito vi sono forti e strette influenze reciproche. Il corpo concorre a costituire la vita umana in modo determinante ed essenziale. Nella sua conformazione e dinamica biologica, è fondamento e fonte di “esigibilità morale”, nel senso che ciò che è ed avviene biologicamente non è indifferente, ma ha rilevanza etica.  Per il fatto che il corpo partecipa della dignità dello spirito, ogni intervento sul copro non raggiunge solo i tessuti e gli organi, ma  coinvolge  anche a livelli diversi la stessa persona.  Ogni violazione del corpo è violazione della persona umana. L’inviolabilità  è espressione suprema dell’ indisponibilità , che sottrae la vita umana ad ogni violenza. Ma  l’integrità fisica non è assoluta.
La tutela della sussistenza biologica è moralmente doverosa. Ne è fondamento il fatto che la vita è dono di Dio, e la salute, costituisce anche un compito dell’uomo, come qualità della vita. Perciò vita e salute vanno apprezzate, difese, valorizzate.  L’integrità fisica  può essere menomata  in vari modi e con diverse conseguenze. Ogni  attentato  all’integrità fisica è attentato all’uomo stesso a meno che non sia richiesto dal bene dell’uomo (come l’amputazione di un arto).  Ogni manipolazione è permessa e dovuta se compiuta con l’intenzione di salvaguardare la vita e la salute.  La manipolazione è  vocazione dell’uomo , ma l’uomo deve essere e rimanere la misura suprema di ogni manipolazione; perciò non può ridurre se stesso e gli altri ad oggetto. Resta il limite dell’indisponibilità sostanziale di ogni vita umana e quindi è illecito ciò che provoca menomazioni profonde e definitive delle funzioni umane fondamentali, non ultima la clonazione.  Legittime possono essere le manipolazioni correttive ma non quelle alterative.
La salute è uno dei nodi cruciali della cultura contemporanea. Mai ci si dovrà far guidare, in questo campo, da considerazioni di tipo: costi/benefici. Il malato non può essere considerato solo come  “uno che riceve” . È vero che la dipendenza da chi gli presta le cure lo espone a molti arbitri però la salute non è solo un  diritto  da rivendicare alla società: è anche un  dovere  che domanda un impegno positivo. Oggi troppe persone si aspettano la salute dall’assistenza sanitaria e dalle conquiste della scienza dimenticandosi delle proprie responsabilità. La salute è dimensione decisiva della nostra esistenza. Essa richiede un certo stile di vita che la favorisca, ed eviti tutto ciò che la può danneggiare. L’impegno per mantenere la salute è un dato presente in tutte le culture, essendo un aspetto dell’istinto di conservazione. Nel passato più che cura della salute si pensava alla cura della malattia. La salute era vista, infatti, come dono di Dio e la malattia come suo castigo perciò la lotta contro la malattia sembrava disperata e solo apparente e impensabile era una difesa preventiva.
Sano o Malato? Un sano è un malato che non sa di esserlo (Jules Romains, Knock o Il trionfo della medicina, 1923) Il mio sogno è fare farmaci per le persone sane (Henry Gadsden, Merck, 1976) Una persona  è in salute  (o meglio è sana) quando è abitualmente capace di vivere utilizzando le facoltà ed energie  in suo possesso , e  realmente disponibili , per il  compimento della sua missione, in ogni situazione che incontra, anche difficile e dolorosa .  Tale capacità è  conquista  e  dono . Essa, normalmente, si abbina nella persona ad una condizione di efficienza fisico-psichica. Ma può realizzarsi anche in condizioni di compromissione. Insomma: si può avere una “persona sana” anche in presenza di serie compromissioni fisiche, e si può avere una “persona malata” in piena efficienza fisica. È inevitabile che ogni grave compromissione nell’efficienza fisico-psichica (cioè ogni malattia nel senso comune del termine) costituisca anche una difficoltà alla salute della persona. La malattia può portare facilmente ad una debilitazione globale della personalità, con tendenze egocentriche.  La malattia è più di un fatto clinico, è sempre la condizione di un uomo.  Questo modo di concepire la salute e la malattia  fonda l’esigenza  di eliminare la discriminazione tra i cosiddetti “sani” e i cosiddetti “malati” o “handicappati”. Sottolinea anche l’importanza del momento preventivo, che include l’impegno per formare personalità realmente adulte, capaci di scelte libere e responsabili consapevoli della necessità di un valido progetto di vita da realizzare. La  malattia in senso clinico ed usuale  è ogni compromissione, di una certa entità, dell’integrità o efficienza fisico-psichica; ma  malattia della persona  è l’incapacità (o l’insufficiente capacità) di utilizzare le facoltà ed energie che si possiedono.  La malattia clinica c’è senza alcune responsabilità personali, non è voluta. La malattia della persona è un  male morale , frutto di insufficiente maturità, di cui il soggetto è  responsabile.
La salute è condizione indispensabile per far fronte a compiti e responsabilità personali e sociali. Più che un bene da conservare intatto la salute è  un bene da investire.  Ogni logoramento della salute, legato all’adempimento di precisi doveri, è una vera valorizzazione della salute stessa, mentre va moralmente riprovato ogni danno che non consegua all’adempimento di doveri (alcool, droga…). L’ obbligo di prevenzione  di danni alla salute propria ed altrui, impone di evitare quanto è potenzialmente dannoso alla salute.  Si esige:   1.   alimentazione sana e sufficiente.  2. riposo e uno svago adeguati. 3. evitare abitudini dannose alla salute. 4. rispettare e mantenere le condizioni ambientali sa ne  per tutti. Poiché la malattia fa parte della vita, costituisce una  doverosa prevenzione morale anche la  preparazione ad affrontare positivamente la malattia .  Contro di essa  bisogna lottare  e  sono Moralmente obbligatorie tutte le cure concretamente possibili. Poiché l’uomo è persona in  relazione ha anche il  compito  e la vocazione di curare la  salute degli altri .
Ogni attività umana comporta sempre un rischio. Vi è un  rischio “statistico”  che si deve affrontare per rispondere alla propria vocazione di persone. Ma vi è anche un  rischio “specifico”  che è una possibile conseguenza di una determinata causa in atto, e sono rischi da evitare (per es. a lavoro, quando conduci …). Buona parte degli incidenti sono causati dall’inosservanza delle norme prudenziali (questo costituisce anche peccato). Esporre a rischio la propria vita  è lecito , e a volte anche  doveroso ,  per una ragione proporzionalmente grave . Quanto più grave è il pericolo, tanto più grandi devono essere i valori per i quali sia lecito, o anche doveroso, rischiare la vita. È lecito quando  questa  è l’unica via per tentare di sottrarre ad un altro pericolo certo la vita stessa, sia propria che altrui, o per salvare valori fondamentali .  È doveroso quando   ciò sia richiesto dall’adempimento di compiti connessi con la professione .  Se non si verificano queste due cause, esporre la vita è  sempre  un  disordine morale. Rischio  Fisico
In linea di principio  non sussistono limiti etici  alla  conoscenza della verità . Non vi è alcuna “barriera” oltre la quale l’uomo non dovrebbe mai spingersi nel suo sforzo conoscitivo. Esistono, invece,  precisi limiti al modo di agire  dell’uomo che ricerca tale verità, poiché  «ciò che è tecnicamente possibile non è per ciò stesso moralmente ammissibile».   (Donum Vitæ 4)   Ogni nuova scoperta nel campo bio-medico è destinata a produrre “effetti a cascata”. L’acquisizione di una crescente possibilità tecnica d’intervento sull’uomo, sugli altri esseri viventi e sull’ambiente, ottenendo sempre di più effetti incisivi e duraturi,  esige  l’assunzione di una responsabilità tanto maggiore quanto più grande si prevede o si dimostra la potenza dell’intervento stesso. Vi sono aree dove la ricerca medica pone quesiti bioetici per i quali è difficile trovare pieno accordo tra tutte le componenti sociali ma anche in queste aree deve esserci l’impegno ad una regolamentazione. Il compito della legge civile resta diverso e più limitato rispetto alla legge morale. Una legge determinata dalla maggioranza parlamentare o sociale non ha automaticamente carattere morale.  la  sperimentazione
Il trapianto è il prelievo di una parte di tessuto o di un organo da un organismo (donatore) e l’impianto su di un altro organismo (ricevente). Il donatore può essere vivente o cadavere. Autotrapianto  è il trasferimento di tessuto vivente da una parte ad un’altra dello stesso organismo Omotrapianto  è il trasferimento di organi o tessuti da un individuo ad un altro della stessa specie. Eterotrapianto  è il trasferimento da un individuo di  una specie a quello di una specie diversa. I trapianti eterologhi sono generalmente leciti (per il diritto che l’uomo ha di servirsi dei viventi a suo vantaggio) ma “l’innesto di  ghiandole sessuali  animali è immorale”. I trapianti omologhi sono leciti se il  prelievo è libero ed è un gesto di carità; non porta alla morte o ad una grave debilitazione fisica o alla perdita dell’integrità psichica del donatore. trapianti
Se il donatore è un cadavere, accertata la morte clinica, non si compie alcuna violazione contro l’integrità della persona. Ci sono, però obblighi di pietà e di rispetto.  Il trapianto di gonadi crea il problema che, qualsiasi figlio generato dalla persona che ha ricevuto il trapianto, sarebbe, geneticamente, figlio del donatore. Il trapianto del cervello è controverso. Vi sono problemi di ordine biologico, filosofico, psicologico, antropologico. Sono troppo scarse le conoscenze sul cervello e sul suo funzionamento.
L'Omicidio Il tabù dell’omicidio, l’orrore per il sangue sono tratti che è possibile riscontrare in tutte le culture. Non si può immaginare un sistema culturale che non ritenga colpa gravissima l’omicidio poiché, in caso contrario, non sarebbero possibili forme di coesistenza sociale.  L’omicidio è  l’uccisione arbitraria di un altro uomo .  Bisogna distinguere tra  omicidio diretto  (azione od omissione posta deliberatamente, allo scopo di causare la morte di un altro essere umano) e  omicidio indiretto  (quando l’uccisione non è per nulla voluta dall’agente, che ha invece un altro scopo).  Nella terminologia giuridica si parla di  omicidio doloso, omicidio preterintenzionale e omicidio colposo. L’omicidio, per la morale, è quello di: vendetta; di rabbia esplosa violentemente; di cupidigia; terroristico; cinico; …  All’omicidio si può aggiungere il carattere di empietà se questo è compiuto contro un familiare e di sacrilegio se è compiuto contro una persona sacra.
il Suicidio Il suicido è  l’atto con cui  la persona  si dà  direttamente  la morte con  libertà  e  cognizione di causa . Cristianamente è moralmente inammissibile il suicidio che fino al XIX sec. era condannato anche dal pensiero filosofico.  Per alcuni sociologi il suicidio è la risultante di una dinamica di spinte e di situazioni sociali, di cui il suicida finisce per restare vittima. Durkheim  distingue fra suicidio:  “egoistico”  (la persona non riesce a trovare e a dare un senso alla sua vita);  “altruistico”  (le regole della società mi obbligano a compiere il suicidio: per es. se muore il marito la moglie si deve togliere la vita. La vita del singolo è irrilevante rispetto alla società);  “anomico”  (quando non ci sono più regole, la società non è capace di assolvere la sua funzione regolatrice e l’individuo non riesce più a capire i limiti delle proprie aspirazioni).  Per i sostenitori della tesi  psicologico-psichiatrica  i  fattori  determinanti  sono rintracciabili  più  all’interno del soggetto  che nell’ambiente sociale. Sono  dinamismi e situazioni incontrollabili : pazzia, nevrosi depressive, esplosioni di autoaggressività.  Ringel  sostiene la tesi psichiatrica della  sindrome presuicida  e vede un ruoto determinante nei traumi subiti nella prima infanzia. Le due tesi rischiano di sfociare nell’esclusione di ogni responsabilità personale!
accanimento terapeutico L’accanimento cosiddetto  terapeutico  è la “insistenza nel ricorso a presidi medico-chirurgici atti a mantenere un individuo in stato di vita vegetativa al di là di ogni ragionevole aspettativa di recupero funzionale o, in ogni caso, non incidenti di misura significativa sul naturale irreversibile decorso della malattia. Si provoca, quindi, una  distansia , cioè il prolungamento del processo del morire per mezzo di trattamenti che possono  solo prolungare la vita biologica. Ogni insistenza terapeutica costituisce un inutile accanimento. La persona non può essere violentata oltre i suoi limiti esistenziali. V a fatto tutto il possibile, ma è inutile ostinarsi nell’impossibile.
Omissione ed Astensione Ci sono situazione in cui  non è possibile instaurare un’efficace e valida “terapia” . A decidere sull’effettiva inutilità deve essere il medico,  “secondo scienza e coscienza”.  La scelta dell’astensione terapeutica va ben distinta dall’omissione. L’ omissione terapeutica  provoca per sua natura la morte, e una diversa condotta terapeutica avrebbe modificato la naturale evoluzione della malattia.  L’ astensione terapeutica  non incide in modo significativo sul naturale decorso della malattia.  Perciò nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati,  è lecito in coscienza prendere la decisione di  rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso  della vita , senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato. Si tratta di rinunciare a  mezzi sproporzionati .
“ Eutanasia”  significa  “buona morte”  (concetto cristiano per indicare una buona fine e un giungere a Dio, poi trasformato nel concetto di “provocare” una buona morte) senza atroci sofferenze.  Oggi il riferimento è all’intervento della medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e dell’agonia, talvolta anche con il rischio di sopprimere prematuramente la vita, e ancor di più il significato è quello di:  procurare la morte per pietà , allo scopo di eliminare radicalmente le ultime sofferenze o evitare a bambini anormali, ai malati mentali o agli incurabili, il prolungarsi di una vita infelice, forse per molti anni, che potrebbe imporre degli oneri troppo pesanti alle famiglie o alla società. Per la Chiesa  eutanasia è ogni azione od omissione volta a  sopprimere la vita di una persona malata inguaribile o di una persona anziana o handicappata , al  fine  di  evitarle gravi sofferenze fisiche  e/o morali. L’eutanasia non è solo  un’azione deliberatamente soppressiva  di una vita umana, ma può anche essere  un’omissione : è eutanasia sia il somministrare un farmaco mortale sia il non somministrare un farmaco necessario a tenere in vita la persona. Distinguere tra  eutanasia “attiva”  (deliberata omissione)  e “passiva”  (astensione terapeutica) è ambiguo. Dal punto di vista  oggettivo   l’eutanasia è  sempre  un  male  poiché racchiude la malizia di un omicidio, omicidio di un innocente. Non sono eutanasia le cure mediche terminali, gli interventi destinati a dare sollievo al malato né la rinuncia a certi interventi medici che non sembrano adeguati.  In questi casi c’è il senso della misura, il non agire irragionevolmente e non la scelta di procurare la morte . Eutanasia
La  legittima difesa  è sempre stata ammessa dalla dottrina cattolica, basandosi sul fatto che l’amore verso se stessi è principio fondamentale della moralità, ed è quindi legittimo  far rispettare il proprio  diritto alla vita .  Colui che per difendere la propria vita è  costretto   ad infliggere al suo aggressore un colpo mortale,  non  si rende colpevole di  omicidio . “ La legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un  grave dovere  per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile”. Il principio dell’” inviolabilità della vita umana ” resta valido anche nel caso della legittima difesa, in cui  non si verifica  nessuna volontà ed azione direttamente soppressiva di una vita umana. Questa è conseguenza  non  voluta di una efficace difesa della propria vita. la leggittima difesa
L'eccesso di difesa ,[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object],[object Object]
CCC 2267 L'insegnamento tradizionale della Chiesa  non esclude , supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole,  il ricorso alla pena di morte,  quando questa fosse  l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani . Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poichè essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi , infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi,  i casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti”  [Evangelium vitae, n. 56]. La Pena di Morte
Nella Summa contra Gentiles 3,146, Tommaso d’Aquino parte dall’affermazione che  il bene  comune è superiore al bene particolare  di un individuo, per cui  è giusto eliminare un bene particolare, per conservare il bene comune.   Se la vita di certi “uomini pestiferi” impedisce il bene comune, questi sono da eliminare dalla società umana con la morte, come succede nel corpo, quando si amputa una parte che è andata in cancrena per salvare il resto. Due posizioni contrastanti Oggi, più che in passato, c’è chi nega che lo Stato abbia il diritto a far ricorso alla pena di morte. Se il  diritto alla vita  è  primario, fondamentale, irrinunciabile ed assoluto , cioè indipendente da qualsiasi comportamento,  non può essere violato da nessuno . Solo Dio è padrone della vita e questo principio non ammette deroghe.  Ammettere che si possa privare della vita colui che si è spogliato di tale diritto commettendo un crimine, significa ritenere non assoluta l’inviolabilità della vita umana. E che la Chiesa dichiari solennemente anche oggi che “l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale” non significa affermare che sia morale l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano nocente. L’inviolabilità della vita umana è ASSOLUTA. Nessuna autorità umana, né religiosa, né statale, può arrogarsi la pretesa di decidere sulla vita di una persona, togliendogliela.
Tortura La tortura  demolisce   l’uomo  ( vittime e carnefici ), e mina e distrugge elementi basilari della società. I medici non devono in alcun modo o caso collaborare, partecipare, presenziare ad atti di tortura o a trattamenti crudeli e degradanti.  Anche la  narcoanalisi  è un comportamento contro la libertà personale e un pericolo per la vita e l’integrità del soggetto. Il procedimento consiste nel somministrare sostanze capaci di porre il soggetto in seminarcosi allo scopo di ottenere delle informazioni.
mutilazione e sterilizzazione La mutilazione è la privazione di una funzione esercitata da un organo. Può avvenire attraverso l’esportazione o tramite un intervento che renda impossibile, all’organo, esercitare la sua funzione. La mutilazione è lecita se l’organo costituisce pericolo per l’organismo (non se è malato) e nel caso di dono perché vige il principio di carità. La sterilizzazione è una particolare mutilazione ed è l’atto con cui viene provocata la sterilità in una persona sessualmente feconda. La finalità può essere: contraccettiva; punitiva; eugenica. La sterilizzazione maschile può essere provocata con la vasotomia (recezione dei dotti deferenti) o con la vasectomia (asportazione di un tratto dei deferenti).  La sterilizzazione femminile (la principale è la salpingectomia) prevede la resezione bilaterale delle tube, con l’introflessione dei monconi tubarici o con l’interruzione funzionale delle tube mediante clips.

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Non uccidere...

  • 1. il rispetto della vita dall'inizio... I dati della scienza non permettono, da soli, di attribuire all’embrione umano lo statuto ontologico di persona, o di essere umano di pieno diritto, perché il concetto di persona non è di natura empirica, ma filosofica. Però la biologia e la genetica affermano che l’embrione umano è individuo della specie umana fin dal momento iniziale del suo sviluppo vitale , che lo condurrà, per mezzo di un processo coordinato continuo e graduale a diventare adulto. Separare individuo umano e persona non è che un gioco sterile. CCC 2258 “La vita umana è sacra perché, fin dal suo inizio , comporta l'azione creatrice di Dio e rimane per sempre in una relazione speciale con il Creatore, suo unico fine. Solo Dio è il Signore della vita dal suo inizio alla sua fine: nessuno, in nessuna circostanza , può rivendicare a sé il diritto di distruggere direttamente un essere umano innocente”
  • 2. Non spetta al magistero ecclesiale ed alla teologia stabilire o constatare quando un individuo inizi la sua esistenza e quando la termini ; loro compete l’affermazione che la “vita animata” si snoda fra l’inizio e la fine della vitalità biologica individualizzata, e che va difesa sempre come vita umana. Nel passato filosofi e teologi preferivano paralare di animazione, cioè di infusione dell’anima spirituale nel corpo, per indicare la specificità della vita umana. Si distingueva tra anima vegetativa, sensitiva e razionale , e si riteneva che fosse solo quest’ultima a caratterizzare la vita umana, mentre la vegetatività e la sensitività precedono la razionalità. Ma anche quei moralisti del passato che distinguevano tra “feto inanimato” e “feto animato” (dal 40° giorno per i maschi, più tardi per le femmine), pur attribuendo un grado minore di malizia all’espulsione dell’embrione nelle prime settimane rispetto alla soppressione del feto già animato (= omicidio) condannavano sempre l’aborto in quanto interruzione di un processo di formazione di una persona umana.
  • 3. Se oggi qualcuno volesse supporre una animazione tardiva rispetto al concepimento (ad esempio nell’annidamento dell’embrione nell’utero materno, o con la formazione del cervello), bisogna affermare che esiste già una vita umana che “prepara e richiede un’anima”, nella quale si completa la natura ricevuta dai genitori. D’altronde basta che la presenza dell’anima sia probabile (e non si proverà mai il contrario!) perché togliere la vita significhi il rischio di uccidere un uomo, non soltanto in attesa, ma già provvisto della sua anima. Nel dubbio che sia già presente la vita di una persona, va rispettata come tale.
  • 4. «Il frutto della generazione umana dal primo momento della sua esistenza, e cioè a partire dal costituirsi dello zigote, esige il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all’essere umano nella sua totalità corporale e spirituale. L’essere umano va rispettato e trattato COME UNA PERSONA fin dal suo concepimento , e pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita». (Donum Vitæ I,1)
  • 5. il termine della vita umana Nel corso dei secoli vi è stata una continua evoluzione del concetto di morte , della sua definizione scientifica e delle metodiche di accertamento . Stabilire una definizione medica per la morte è complicato perché la morte non consiste in un arresto istantaneo di tutte le funzioni dell’organismo. Più corretto è parlare di un “processo evolutivo” che colpisce gradualmente le cellule dei diversi tessuti. Nel passato il momento della morte veniva identificato con la cessazione del respiro . Con l’assistenza meccanica del respiro, attraverso la quale la funzione respiratoria poteva essere “vicariata” anche per anni, il momento della morte venne riferito alla cessazione cardiaca ma anche qui le strumentazioni intervennero e oggi vi è il consenso nel considerare morto l’essere umana in cui sia stata constatata una mancanza totale ed irreversibile di attività del cervello: è la MORTE CELEBRALE.
  • 6. La “morte celebrale” è la distruzione completa ed irreversibile di tutto il contenuto della cavità cranica. L’assenza di attività elettrica celebrale, accertata almeno due volte a distanza di sei ore , è condizione per dichiarare la morte celebrale. La possibilità di mantenere le funzioni vitali (cuore, respiro) con mezzi strumentali permette però di “prolungare artificialmente la sopravvivenza” degli organi di persone con lesioni neurologiche globali ed irreversibili. Un cervello morto, in un copro con cuore ancora battente, è uno dei più raccapriccianti prodotti della moderna tecnologia, ma permette anche di salvare, attraverso l’espianto e la donazione di organi, altre persone. La “ morte clinica ” è quella che definisce la sospensione completa dell’attività cardiaca, respiratoria e cerebrale. Per effettuare la sepoltura bisogna attendere almeno 24 ore dal momento della diagnosi e cioè al verificarsi della “ morte biologica ”. l'accertazione della morte
  • 7. L’uomo è presente fin dal primo momento del suo concepimento . Da allora va rispettato come tale, fino alla MORTE NATURALE. La vita dell’uomo, di ogni uomo , è inviolabile per il rapporto singolare con Dio inscritto nell’uomo dallo stesso creatore. Colpire l’uomo equivale a colpire Dio. L’omicidio è gesto di empietà e di profanazione . il rispetto dal concepimento alla morte naturale
  • 8. «Il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?» Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Il Signore disse: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra. Ora tu sarai maledetto, scacciato lontano dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra». Caino disse al Signore: «Il mio castigo è troppo grande perché io possa sopportarlo. Tu oggi mi scacci da questo suolo e io sarò nascosto lontano dalla tua presenza, sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, così chiunque mi troverà, mi ucciderà». Ma il Signore gli disse: «Ebbene, chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte più di lui». Il Signore mise un segno su Caino, perché nessuno, trovandolo, lo uccidesse». (Gn 4,9-15)
  • 9. La vita umana è una vita psico-fisica. L’uomo è “ spirito incarnato ”. Tra corpo e spirito vi sono forti e strette influenze reciproche. Il corpo concorre a costituire la vita umana in modo determinante ed essenziale. Nella sua conformazione e dinamica biologica, è fondamento e fonte di “esigibilità morale”, nel senso che ciò che è ed avviene biologicamente non è indifferente, ma ha rilevanza etica. Per il fatto che il corpo partecipa della dignità dello spirito, ogni intervento sul copro non raggiunge solo i tessuti e gli organi, ma coinvolge anche a livelli diversi la stessa persona. Ogni violazione del corpo è violazione della persona umana. L’inviolabilità è espressione suprema dell’ indisponibilità , che sottrae la vita umana ad ogni violenza. Ma l’integrità fisica non è assoluta.
  • 10. La tutela della sussistenza biologica è moralmente doverosa. Ne è fondamento il fatto che la vita è dono di Dio, e la salute, costituisce anche un compito dell’uomo, come qualità della vita. Perciò vita e salute vanno apprezzate, difese, valorizzate. L’integrità fisica può essere menomata in vari modi e con diverse conseguenze. Ogni attentato all’integrità fisica è attentato all’uomo stesso a meno che non sia richiesto dal bene dell’uomo (come l’amputazione di un arto). Ogni manipolazione è permessa e dovuta se compiuta con l’intenzione di salvaguardare la vita e la salute. La manipolazione è vocazione dell’uomo , ma l’uomo deve essere e rimanere la misura suprema di ogni manipolazione; perciò non può ridurre se stesso e gli altri ad oggetto. Resta il limite dell’indisponibilità sostanziale di ogni vita umana e quindi è illecito ciò che provoca menomazioni profonde e definitive delle funzioni umane fondamentali, non ultima la clonazione. Legittime possono essere le manipolazioni correttive ma non quelle alterative.
  • 11. La salute è uno dei nodi cruciali della cultura contemporanea. Mai ci si dovrà far guidare, in questo campo, da considerazioni di tipo: costi/benefici. Il malato non può essere considerato solo come “uno che riceve” . È vero che la dipendenza da chi gli presta le cure lo espone a molti arbitri però la salute non è solo un diritto da rivendicare alla società: è anche un dovere che domanda un impegno positivo. Oggi troppe persone si aspettano la salute dall’assistenza sanitaria e dalle conquiste della scienza dimenticandosi delle proprie responsabilità. La salute è dimensione decisiva della nostra esistenza. Essa richiede un certo stile di vita che la favorisca, ed eviti tutto ciò che la può danneggiare. L’impegno per mantenere la salute è un dato presente in tutte le culture, essendo un aspetto dell’istinto di conservazione. Nel passato più che cura della salute si pensava alla cura della malattia. La salute era vista, infatti, come dono di Dio e la malattia come suo castigo perciò la lotta contro la malattia sembrava disperata e solo apparente e impensabile era una difesa preventiva.
  • 12. Sano o Malato? Un sano è un malato che non sa di esserlo (Jules Romains, Knock o Il trionfo della medicina, 1923) Il mio sogno è fare farmaci per le persone sane (Henry Gadsden, Merck, 1976) Una persona è in salute (o meglio è sana) quando è abitualmente capace di vivere utilizzando le facoltà ed energie in suo possesso , e realmente disponibili , per il compimento della sua missione, in ogni situazione che incontra, anche difficile e dolorosa . Tale capacità è conquista e dono . Essa, normalmente, si abbina nella persona ad una condizione di efficienza fisico-psichica. Ma può realizzarsi anche in condizioni di compromissione. Insomma: si può avere una “persona sana” anche in presenza di serie compromissioni fisiche, e si può avere una “persona malata” in piena efficienza fisica. È inevitabile che ogni grave compromissione nell’efficienza fisico-psichica (cioè ogni malattia nel senso comune del termine) costituisca anche una difficoltà alla salute della persona. La malattia può portare facilmente ad una debilitazione globale della personalità, con tendenze egocentriche. La malattia è più di un fatto clinico, è sempre la condizione di un uomo. Questo modo di concepire la salute e la malattia fonda l’esigenza di eliminare la discriminazione tra i cosiddetti “sani” e i cosiddetti “malati” o “handicappati”. Sottolinea anche l’importanza del momento preventivo, che include l’impegno per formare personalità realmente adulte, capaci di scelte libere e responsabili consapevoli della necessità di un valido progetto di vita da realizzare. La malattia in senso clinico ed usuale è ogni compromissione, di una certa entità, dell’integrità o efficienza fisico-psichica; ma malattia della persona è l’incapacità (o l’insufficiente capacità) di utilizzare le facoltà ed energie che si possiedono. La malattia clinica c’è senza alcune responsabilità personali, non è voluta. La malattia della persona è un male morale , frutto di insufficiente maturità, di cui il soggetto è responsabile.
  • 13. La salute è condizione indispensabile per far fronte a compiti e responsabilità personali e sociali. Più che un bene da conservare intatto la salute è un bene da investire. Ogni logoramento della salute, legato all’adempimento di precisi doveri, è una vera valorizzazione della salute stessa, mentre va moralmente riprovato ogni danno che non consegua all’adempimento di doveri (alcool, droga…). L’ obbligo di prevenzione di danni alla salute propria ed altrui, impone di evitare quanto è potenzialmente dannoso alla salute. Si esige: 1. alimentazione sana e sufficiente. 2. riposo e uno svago adeguati. 3. evitare abitudini dannose alla salute. 4. rispettare e mantenere le condizioni ambientali sa ne per tutti. Poiché la malattia fa parte della vita, costituisce una doverosa prevenzione morale anche la preparazione ad affrontare positivamente la malattia . Contro di essa bisogna lottare e sono Moralmente obbligatorie tutte le cure concretamente possibili. Poiché l’uomo è persona in relazione ha anche il compito e la vocazione di curare la salute degli altri .
  • 14. Ogni attività umana comporta sempre un rischio. Vi è un rischio “statistico” che si deve affrontare per rispondere alla propria vocazione di persone. Ma vi è anche un rischio “specifico” che è una possibile conseguenza di una determinata causa in atto, e sono rischi da evitare (per es. a lavoro, quando conduci …). Buona parte degli incidenti sono causati dall’inosservanza delle norme prudenziali (questo costituisce anche peccato). Esporre a rischio la propria vita è lecito , e a volte anche doveroso , per una ragione proporzionalmente grave . Quanto più grave è il pericolo, tanto più grandi devono essere i valori per i quali sia lecito, o anche doveroso, rischiare la vita. È lecito quando questa è l’unica via per tentare di sottrarre ad un altro pericolo certo la vita stessa, sia propria che altrui, o per salvare valori fondamentali . È doveroso quando ciò sia richiesto dall’adempimento di compiti connessi con la professione . Se non si verificano queste due cause, esporre la vita è sempre un disordine morale. Rischio Fisico
  • 15. In linea di principio non sussistono limiti etici alla conoscenza della verità . Non vi è alcuna “barriera” oltre la quale l’uomo non dovrebbe mai spingersi nel suo sforzo conoscitivo. Esistono, invece, precisi limiti al modo di agire dell’uomo che ricerca tale verità, poiché «ciò che è tecnicamente possibile non è per ciò stesso moralmente ammissibile». (Donum Vitæ 4) Ogni nuova scoperta nel campo bio-medico è destinata a produrre “effetti a cascata”. L’acquisizione di una crescente possibilità tecnica d’intervento sull’uomo, sugli altri esseri viventi e sull’ambiente, ottenendo sempre di più effetti incisivi e duraturi, esige l’assunzione di una responsabilità tanto maggiore quanto più grande si prevede o si dimostra la potenza dell’intervento stesso. Vi sono aree dove la ricerca medica pone quesiti bioetici per i quali è difficile trovare pieno accordo tra tutte le componenti sociali ma anche in queste aree deve esserci l’impegno ad una regolamentazione. Il compito della legge civile resta diverso e più limitato rispetto alla legge morale. Una legge determinata dalla maggioranza parlamentare o sociale non ha automaticamente carattere morale. la sperimentazione
  • 16. Il trapianto è il prelievo di una parte di tessuto o di un organo da un organismo (donatore) e l’impianto su di un altro organismo (ricevente). Il donatore può essere vivente o cadavere. Autotrapianto è il trasferimento di tessuto vivente da una parte ad un’altra dello stesso organismo Omotrapianto è il trasferimento di organi o tessuti da un individuo ad un altro della stessa specie. Eterotrapianto è il trasferimento da un individuo di una specie a quello di una specie diversa. I trapianti eterologhi sono generalmente leciti (per il diritto che l’uomo ha di servirsi dei viventi a suo vantaggio) ma “l’innesto di ghiandole sessuali animali è immorale”. I trapianti omologhi sono leciti se il prelievo è libero ed è un gesto di carità; non porta alla morte o ad una grave debilitazione fisica o alla perdita dell’integrità psichica del donatore. trapianti
  • 17. Se il donatore è un cadavere, accertata la morte clinica, non si compie alcuna violazione contro l’integrità della persona. Ci sono, però obblighi di pietà e di rispetto. Il trapianto di gonadi crea il problema che, qualsiasi figlio generato dalla persona che ha ricevuto il trapianto, sarebbe, geneticamente, figlio del donatore. Il trapianto del cervello è controverso. Vi sono problemi di ordine biologico, filosofico, psicologico, antropologico. Sono troppo scarse le conoscenze sul cervello e sul suo funzionamento.
  • 18. L'Omicidio Il tabù dell’omicidio, l’orrore per il sangue sono tratti che è possibile riscontrare in tutte le culture. Non si può immaginare un sistema culturale che non ritenga colpa gravissima l’omicidio poiché, in caso contrario, non sarebbero possibili forme di coesistenza sociale. L’omicidio è l’uccisione arbitraria di un altro uomo . Bisogna distinguere tra omicidio diretto (azione od omissione posta deliberatamente, allo scopo di causare la morte di un altro essere umano) e omicidio indiretto (quando l’uccisione non è per nulla voluta dall’agente, che ha invece un altro scopo). Nella terminologia giuridica si parla di omicidio doloso, omicidio preterintenzionale e omicidio colposo. L’omicidio, per la morale, è quello di: vendetta; di rabbia esplosa violentemente; di cupidigia; terroristico; cinico; … All’omicidio si può aggiungere il carattere di empietà se questo è compiuto contro un familiare e di sacrilegio se è compiuto contro una persona sacra.
  • 19. il Suicidio Il suicido è l’atto con cui la persona si dà direttamente la morte con libertà e cognizione di causa . Cristianamente è moralmente inammissibile il suicidio che fino al XIX sec. era condannato anche dal pensiero filosofico. Per alcuni sociologi il suicidio è la risultante di una dinamica di spinte e di situazioni sociali, di cui il suicida finisce per restare vittima. Durkheim distingue fra suicidio: “egoistico” (la persona non riesce a trovare e a dare un senso alla sua vita); “altruistico” (le regole della società mi obbligano a compiere il suicidio: per es. se muore il marito la moglie si deve togliere la vita. La vita del singolo è irrilevante rispetto alla società); “anomico” (quando non ci sono più regole, la società non è capace di assolvere la sua funzione regolatrice e l’individuo non riesce più a capire i limiti delle proprie aspirazioni). Per i sostenitori della tesi psicologico-psichiatrica i fattori determinanti sono rintracciabili più all’interno del soggetto che nell’ambiente sociale. Sono dinamismi e situazioni incontrollabili : pazzia, nevrosi depressive, esplosioni di autoaggressività. Ringel sostiene la tesi psichiatrica della sindrome presuicida e vede un ruoto determinante nei traumi subiti nella prima infanzia. Le due tesi rischiano di sfociare nell’esclusione di ogni responsabilità personale!
  • 20. accanimento terapeutico L’accanimento cosiddetto terapeutico è la “insistenza nel ricorso a presidi medico-chirurgici atti a mantenere un individuo in stato di vita vegetativa al di là di ogni ragionevole aspettativa di recupero funzionale o, in ogni caso, non incidenti di misura significativa sul naturale irreversibile decorso della malattia. Si provoca, quindi, una distansia , cioè il prolungamento del processo del morire per mezzo di trattamenti che possono solo prolungare la vita biologica. Ogni insistenza terapeutica costituisce un inutile accanimento. La persona non può essere violentata oltre i suoi limiti esistenziali. V a fatto tutto il possibile, ma è inutile ostinarsi nell’impossibile.
  • 21. Omissione ed Astensione Ci sono situazione in cui non è possibile instaurare un’efficace e valida “terapia” . A decidere sull’effettiva inutilità deve essere il medico, “secondo scienza e coscienza”. La scelta dell’astensione terapeutica va ben distinta dall’omissione. L’ omissione terapeutica provoca per sua natura la morte, e una diversa condotta terapeutica avrebbe modificato la naturale evoluzione della malattia. L’ astensione terapeutica non incide in modo significativo sul naturale decorso della malattia. Perciò nell’imminenza di una morte inevitabile nonostante i mezzi usati, è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita , senza tuttavia interrompere le cure normali dovute all’ammalato. Si tratta di rinunciare a mezzi sproporzionati .
  • 22. “ Eutanasia” significa “buona morte” (concetto cristiano per indicare una buona fine e un giungere a Dio, poi trasformato nel concetto di “provocare” una buona morte) senza atroci sofferenze. Oggi il riferimento è all’intervento della medicina diretto ad attenuare i dolori della malattia e dell’agonia, talvolta anche con il rischio di sopprimere prematuramente la vita, e ancor di più il significato è quello di: procurare la morte per pietà , allo scopo di eliminare radicalmente le ultime sofferenze o evitare a bambini anormali, ai malati mentali o agli incurabili, il prolungarsi di una vita infelice, forse per molti anni, che potrebbe imporre degli oneri troppo pesanti alle famiglie o alla società. Per la Chiesa eutanasia è ogni azione od omissione volta a sopprimere la vita di una persona malata inguaribile o di una persona anziana o handicappata , al fine di evitarle gravi sofferenze fisiche e/o morali. L’eutanasia non è solo un’azione deliberatamente soppressiva di una vita umana, ma può anche essere un’omissione : è eutanasia sia il somministrare un farmaco mortale sia il non somministrare un farmaco necessario a tenere in vita la persona. Distinguere tra eutanasia “attiva” (deliberata omissione) e “passiva” (astensione terapeutica) è ambiguo. Dal punto di vista oggettivo l’eutanasia è sempre un male poiché racchiude la malizia di un omicidio, omicidio di un innocente. Non sono eutanasia le cure mediche terminali, gli interventi destinati a dare sollievo al malato né la rinuncia a certi interventi medici che non sembrano adeguati. In questi casi c’è il senso della misura, il non agire irragionevolmente e non la scelta di procurare la morte . Eutanasia
  • 23. La legittima difesa è sempre stata ammessa dalla dottrina cattolica, basandosi sul fatto che l’amore verso se stessi è principio fondamentale della moralità, ed è quindi legittimo far rispettare il proprio diritto alla vita . Colui che per difendere la propria vita è costretto ad infliggere al suo aggressore un colpo mortale, non si rende colpevole di omicidio . “ La legittima difesa può essere non soltanto un diritto, ma un grave dovere per chi è responsabile della vita di altri, del bene comune della famiglia o della comunità civile”. Il principio dell’” inviolabilità della vita umana ” resta valido anche nel caso della legittima difesa, in cui non si verifica nessuna volontà ed azione direttamente soppressiva di una vita umana. Questa è conseguenza non voluta di una efficace difesa della propria vita. la leggittima difesa
  • 24.
  • 25. CCC 2267 L'insegnamento tradizionale della Chiesa non esclude , supposto il pieno accertamento dell'identità e della responsabilità del colpevole, il ricorso alla pena di morte, quando questa fosse l'unica via praticabile per difendere efficacemente dall'aggressore ingiusto la vita di esseri umani . Se invece i mezzi incruenti sono sufficienti per difendere dall'aggressore e per proteggere la sicurezza delle persone, l'autorità si limiterà a questi mezzi, poichè essi sono meglio rispondenti alle condizioni concrete del bene comune e sono più conformi alla dignità della persona umana. Oggi , infatti, a seguito delle possibilità di cui lo Stato dispone per reprimere efficacemente il crimine rendendo inoffensivo colui che l'ha commesso, senza togliergli definitivamente la possibilità di redimersi, i casi di assoluta necessità di soppressione del reo “sono ormai molto rari, se non addirittura praticamente inesistenti” [Evangelium vitae, n. 56]. La Pena di Morte
  • 26. Nella Summa contra Gentiles 3,146, Tommaso d’Aquino parte dall’affermazione che il bene comune è superiore al bene particolare di un individuo, per cui è giusto eliminare un bene particolare, per conservare il bene comune. Se la vita di certi “uomini pestiferi” impedisce il bene comune, questi sono da eliminare dalla società umana con la morte, come succede nel corpo, quando si amputa una parte che è andata in cancrena per salvare il resto. Due posizioni contrastanti Oggi, più che in passato, c’è chi nega che lo Stato abbia il diritto a far ricorso alla pena di morte. Se il diritto alla vita è primario, fondamentale, irrinunciabile ed assoluto , cioè indipendente da qualsiasi comportamento, non può essere violato da nessuno . Solo Dio è padrone della vita e questo principio non ammette deroghe. Ammettere che si possa privare della vita colui che si è spogliato di tale diritto commettendo un crimine, significa ritenere non assoluta l’inviolabilità della vita umana. E che la Chiesa dichiari solennemente anche oggi che “l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano innocente è sempre gravemente immorale” non significa affermare che sia morale l’uccisione diretta e volontaria di un essere umano nocente. L’inviolabilità della vita umana è ASSOLUTA. Nessuna autorità umana, né religiosa, né statale, può arrogarsi la pretesa di decidere sulla vita di una persona, togliendogliela.
  • 27. Tortura La tortura demolisce l’uomo ( vittime e carnefici ), e mina e distrugge elementi basilari della società. I medici non devono in alcun modo o caso collaborare, partecipare, presenziare ad atti di tortura o a trattamenti crudeli e degradanti. Anche la narcoanalisi è un comportamento contro la libertà personale e un pericolo per la vita e l’integrità del soggetto. Il procedimento consiste nel somministrare sostanze capaci di porre il soggetto in seminarcosi allo scopo di ottenere delle informazioni.
  • 28. mutilazione e sterilizzazione La mutilazione è la privazione di una funzione esercitata da un organo. Può avvenire attraverso l’esportazione o tramite un intervento che renda impossibile, all’organo, esercitare la sua funzione. La mutilazione è lecita se l’organo costituisce pericolo per l’organismo (non se è malato) e nel caso di dono perché vige il principio di carità. La sterilizzazione è una particolare mutilazione ed è l’atto con cui viene provocata la sterilità in una persona sessualmente feconda. La finalità può essere: contraccettiva; punitiva; eugenica. La sterilizzazione maschile può essere provocata con la vasotomia (recezione dei dotti deferenti) o con la vasectomia (asportazione di un tratto dei deferenti). La sterilizzazione femminile (la principale è la salpingectomia) prevede la resezione bilaterale delle tube, con l’introflessione dei monconi tubarici o con l’interruzione funzionale delle tube mediante clips.