1. BASILICATA TRA SOTTOSVILUPPO E NECESSITA’ DI CAMBIAMENTO
Di Giampiero D’Ecclesiis
La Basilicata da tempo è bloccata in un limbo di sottosviluppo che determina una forte migrazione, specie
intellettuale, di lavoratori verso l’esterno della Regione.
A differenza delle vicine Campania e Calabria, pur avendo subito nel tempo la contaminazione e i tentativi
da parte di organizzazioni criminali di insediarsi e di affermare il loro dominio, indipendentemente da
quanto, in questo momento storico, dette organizzazioni ancora sussistano sul nostro territorio, può
certamente dirsi, libera da quella cultura mafiosa che, altrove, permea molti strati della popolazione civile.
I vari tentativi da parte delle organizzazioni mafiose di insediarsi e permanere all’interno della Regione non
hanno mai potuto resistere alla reazione dello Stato, quando essa c’è stata ed è stata tempestiva, per la
mancanza di quel brodo di coltura che è presente in altre realtà regionali a noi vicine.
Indubbiamente tentativi di infiltrazione ce ne sono stati, ce ne sono e ce ne saranno ma, privi dell’ambiente
giusto, la loro sopravvivenza sarà essenzialmente legata alla tempestività dell’azione repressiva dello Stato.
In Basilicata non c’è l’ambiente giusto. La storia, la sociologia, l’economia della Regione l’hanno resta per
lunghissimo tempo inappetibile alle grandi mafie ad essa confinanti, se non come luogo di transito, e
indubbiamente la “mentalità mafiosa” non è uno dei tratti caratteristici della lucanità.
E’ giusto domandarsi può “l’ambiente giusto” costituirsi nella nostra Regione?
Qual è l’ambiente giusto per la formazione di quella mentalità mafiosa che permea vasti strati della
popolazione di altri vicine regioni?
Ovvio che l’analisi sociologica non può essere condotta seguendo percorsi similari a quelli delle regioni
storicamente interessate dai fenomeni mafiosi perché costruite su un impalcato socio‐etno‐economico e
culturale diverso da quello della Basilicata e, quindi, bisogna individuare percorsi “inquinanti” diversi della
sociologia della società per individuare i prodromi di quella modifica “ambientale” in grado di far proliferare
nella nostra società i germi della mafiosità.
I pilastri della cultura lucana sono essenzialmente ancora ben fondati nella terra archetipo di una cultura di
provincia che, sia pure in fase evolutiva, ancora domina gran parte del mondo regionale, nella cultura del
paese e, associata ad essa, nella famiglia. Più recentemente si è aggiunta a tali elementi tradizionali, una
diffusa consapevolezza del valore dell’ambiente, del “verde” dei boschi, delle acque.
Una intelligente proposta di sviluppo avrebbe dovuto tenere conto di tali affinità ambientali, culturali,
tradizionali del popolo lucano, avrebbe dovuto cercare di preservarne le naturalità, le economie
tradizionali, supportandole con una robusta dose di iniziativa privata, cultura, ricerca. Forse negli anni ’50 le
sensibilità non erano ancora pronte, il mondo globalizzato era ancora di là da venire e, per volti versi
inimmaginabile e l’emergenza si chiamava fame, malaria, sottosviluppo. Oggi l’emergenza è costituita
dall’abbandono dei paesi, dal sottosviluppo culturale, dalla perdita delle caratteristiche originarie e
qualificanti del nostro territorio.
Il modello di sviluppo della Regione Basilicata è stato indirizzato, fondamentalmente, alla definizione e alla
costruzione di spazi industriali: la politica dell’industrializzazione diffusa attuata nel dopo‐terremoto si è
tramutata in un fallimento completo, tra truffe, occasioni mancate, mancanza di competitività, i distretti
2. industriali realizzati dal post‐terremoto sono, in gran parte, delle cattedrali nel deserto dove in capannoni
vuoti si aggirano i fantasmi di una classe operaia mai utilizzata e che, per anni, ha vagato in perenne
trasmigrazione tra una cassa integrazione e un lavoro socialmente utile.
Successivamente l’avventura FIAT che, se dal punto di vista industriale è risultata almeno operativa,
costituisce certamente un punto di svolta sociologico ed economico per il Vulture Melfese i cui riflessi a
media‐lunga scadenza, allorquando il ciclo produttivo dello stabilimento, che come tutte le cose ha una vita
definita, arriverà alla sua scadenza, risultano affatto indagati. Il rischio reale è quello di lasciare solo poche
macerie umane e industriali, così come già successo con il comparto della chimica in Val BAsento.
Infine, ma non ultima per pericolosità sociologica, l’avventura petrolifera lucana, condotta con
spregiudicatezza, senza un analisi del bilancio ambientale, senza una analisi di prospettiva socio‐economica
sta, già ora, determinando modifiche degli assetti socio‐economici delle aree interessate, la Val d’Agri vede
sempre più allontanarsi la prospettiva di area strategica nel settore agricolo di pregio, con le sue preziose
colture vinicole, con i legumi, con gli ortaggi, contaminati dalle emissioni inquinanti inevitabili nella
industria estrattiva del petrolio. Le risorse idriche presentano chiaramente segni di importanti fenomeni di
inquinamento la cui vastità, in assenza di una rete di monitoraggio delle componenti ambientali, non è
calcolabile.
Di fatto le azioni ad oggi condotte dal sistema di governo Regionale sono prevalentemente state pianificate
nell’alveo della demolizione di quei pilastri su cui si basa la cultura lucana giacché è indubbio che
l’industrializzazione, l’abbandono delle attività tradizionali, la scomparsa di una economia minore di servizio
alle comunità locali, la distruzione dell’ambiente sono tutte cause che mettono in crisi il costrutto
sociologico della Regione determinando quel depauperamento della popolazione dei nostri paesi sempre
più disabitati, sempre meno produttivi.
Ecco che quindi, allorquando la matrice socio‐culturale di una collettività viene demolita dall’azione
inconsapevolmente distruttiva di una compagine di governo incapace di analizzare il divenire sociologico
con intelligenza e cultura, le premesse per fenomeni di devianza si compiono e compaiono le mafie anche
in tessuti sociali originariamente integri, indipendentemente da rapporti collusivi reali o supposti con il
potere. Laddove c’è il terreno adatto la mala pianta attecchisce.
E’ interessante leggere il bellissimo libro di Don Marcello Cozzi e cercare, seguendo il filo cronologico con
cui egli dipana il suo racconto, di seguire parallelamente le attività, le politiche di governo regionali
verificando come ci sia una imprevedibile e, tanto più inquietante perché, a mio parere, inconsapevole,
convergenza di intenti tra politiche che smantellano il costrutto sociale di alcune aree e tentativi di
attecchimento di mafie locali che lottano per diventare egemoni.
La classe politica di governo della Regione compromessa irrimediabilmente da 50 anni di gestione del
potere senza risultato deve cedere il passo e, con lei, tutta la pletora di compari e comparielli, di funzionari
e dirigenti funzionali o cooptati ai diversi ruoli dalla politica, per far entrare nei palazzi di governo della
Regione, finalmente, un po’ di aria pulita.
La nostra Regione deve cambiare, ormai è in gioco la sua sopravvivenza stessa, perché è del tutto evidente
che più i nostri centri minori di spopolano, minore è la popolazione regionale, minore ne risulterà il peso
politico e, di conseguenza, in considerazione del fatto che quando sarà necessario fare scelte impopolari i
politici, di qualsivoglia parte essi siano, seguiranno il principio del minimo danno di consenso, la nostra
comunità sarà debole e soccombente rispetto alle altre più popolose regioni italiane.
4. Di fatto nella nostra Regione calano tutti comparti tranne le costruzioni, per le quali va, ovviamente,
considerata l’azione dei cantieri della Salerno Reggio Calabria che costituiscono un potente moltiplicatore
dei fabbisogni del settore e poi, altro dato illuminante per le condizioni della Regione, aumentano gli
occupati nel settore delle intermediazioni finanziarie, ossia ci sono più agenzie di prestiti.
E’ difficile immaginare un percorso di inversione di alcune tendenze ma certo è che il primo passo per
cercare di uscire dal pantano è quello di costruire una nuova classe dirigente preparata e capace, moderna
e contemporaneamente decisa a difendere il patrimonio storico‐socio‐economico tradizionale della
Regione favorendo il recupero di possibilità di sviluppo compatibile alternative a quelle finora messe in
atto, in maniera scriteriata, dalle forze di governo regionale.
Il compito di questa trasformazione è indiscutibilmente del centro destra, l’unico capace, non essendo
avviluppato nella rete intricata di interessi, collusioni, favori, reciproci poteri di veto, non dovendo
preoccuparsi di nascondere e occultare i cadaveri passati degli errori compiuti, di porre mano ad una
concreta riforma dei modelli di sviluppo regionali.
E’ arrivato il momento che una buona vera classe dirigente in questa Regione si faccia avanti, è arrivato il
momento che i diversi uomini della filibusta che si sono arrampicati sulle vele del PDL vadano o siano
mandati a casa. E’ il momento che la classe politica del Centro Destra sia capace di selezionare gli uomini e
fare analisi e progetti, programmi un futuro per questa Regione, è il momento che, laddove i vertici
regionali si mostrino incapaci di perseguire questo compito storico, la base si mostri compatta e capace di
scavalcarli cercando nuovi referenti nei vertici nazionali del partito capaci di ascoltare, è il momento di
persone serie.
Una notazione infine per i tanti che, sinceramente, credono di poter cavare un ragno dal buco militando
nelle file del PD. Ovviamente ho per loro il rispetto per le scelte ideali, ma è necessario che capiscano che
5. l’unica via per una riforma della Regione passa per la caduta delle forze di governo che occupano da troppo
tempo i gangli vitali della Regione. Costruite anche Voi un alternativa vera, fate entrare aria nuova nei
polverosi corridoi pieni di vecchi e nuovi democristiani e di vecchi e nuovi comunisti, cercate e trovate
l’anima riformista, cercatela in uomini nuovi e metteteli in campo, provateci e vedrete come la bestia è
feroce e come morde quando proverete a togliergli la scodella di sotto.
Sarebbe bello costruire una Basilicata delle competenze, della giustizia sociale, della salute, della natura,
dei diritti, per fare questo mi sono messo a studiare, per i nostri figli si approssimano le vacanze, vanno
ancora a scuola e ne ha diritto, per tutti noi le vacanze sono finite, è tempo di tornare sui banchi e di
cercare di recuperare il tempo perduto prima che arrivino gli esami e prima di essere irrimediabilmente
bocciati dalla storia.
6. SVILUPPO ED AMBIENTE IN BASILICATA
di Giampiero D’Ecclesiis
Una delle peculiarità nonché uno dei principali punti di eccellenza regionali è rappresentato dall’elevato
tasso di naturalità caratteristico del territorio lucano, risulta quindi indispensabile, rispetto alle
problematiche di sviluppo socio‐economico della regione, tener conto delle potenzialità economiche,
espresse e non, che tale peculiare caratteristica del territorio lucano garantisce ai suoi abitanti.
Per non disperdere le potenzialità che l’elevata naturalità del territorio promette in termini non solo di
vivibilità ma anche di ricadute economiche è necessaria una valutazione puntuale di tutte le modifiche di
indirizzo di sviluppo introdotte nell’ambiente e una loro oculata gestione attenta sempre all’analisi dei costi
e dei benefici.
E’ indubbio che l’introduzione di attività ad elevato impatto ambientale come quelle legate all’industria
estrattiva petrolifera in un territorio idrogeologicamente fragile come quello lucano comporti
automaticamente dei rischi per l’ambiente e per i suoi abitanti ed è altrettanto vero che, in un momento
economicamente sfavorevole al Paese e a distanza di circa 15 anni dall’inizio delle attività estrattive, oggi
pienamente operative, ragionamenti che portino all’ipotesi della “opzione zero” risultano molto
difficilmente attuabili, specie nel breve periodo.
Di fatto, allo stato, le attività estrattive in corso nella Val d’Agri si approssimano a raggiungere la metà del
periodo di esercizio previsto alla partenza dei piani di sfruttamento e quindi, ammesso anche di voler
avviare il complicato braccio di ferro con le compagnie già titolari di diritti di sfruttamento che hanno già
dispiegato gran parte degli investimenti utili per le loro attività e con il governo nazionale che, ovviamente,
non vedrebbe favorevolmente un cambio di politica energetica, i tempi per giungere alla soluzione di un
complesso conflitto economico‐istituzionale sarebbe certamente lunghissimo e dagli esiti incerti.
Ciò non di meno non è possibile pensare di continuare con un atteggiamento colpevolmente disattento,
impreciso fino ai limiti della complicità, sciatto, da parte degli organi di controllo regionali e nazionali che ha
consentito il profilarsi di un preoccupante stato di peggioramento del quadro ambientale nelle aree
interessate dalle attività estrattive con riflessi sulle economie locali, sulla qualità di vita dei cittadini e con
l’instaurarsi di un preoccupante quadro di incertezza sulla salute e sul futuro delle persone.
D’altro canto non è pensabile che a fronte di un così alto contributo all’economia del Paese permanga in
Basilicata un quadro di così elevata problematicità economica con altissimi tassi di disoccupazione, elevata
mortalità delle aziende, elevati flussi migratori verso altre aree del paese, scarsissima fiducia nel futuro da
parte delle giovani generazioni.
E’ necessaria una rivoluzione nella gestione delle problematiche della sostenibilità e dello sviluppo e la
definizione di un nuovo sistema di relazioni tra: le imprese che a diverso titolo operano in Basilicata nel
settore delle attività estrattive, il governo nazionale, il governo regionale e i cittadini; occorre restaurare la
sovranità dei cittadini della Basilicata sul loro territorio, senza ledere i legittimi diritti delle imprese, ma
obbligandole a svolgere il loro ruolo in un quadro di controlli severi, certi, i cui risultati siano accessibili in
tempo reale ai cittadini, che abbiano come concetto fondamentale di base il principio della cautela che,
nell’incertezza, costringa tutti gli operatori del sistema, imprese, Stato, Regione, cittadini, ad operare a
vantaggio di sicurezza.
7. Quale quindi l’indirizzo di scelta politica per la gestione del delicato rapporto tra sviluppo e ambiente nella
Basilicata?
Sono convinto che sia possibile costruire, anche con il contributo dei cittadini, delle associazioni, degli enti
di ricerca operanti sul territorio, una griglia rigida di controlli e regole entro il cui perimetro debbano
svolgersi le attività in corso, all’interno della quale governare l’esaurimento di quelle prossime al termine,
garantendo il massimo standard di salvaguardia possibile, il massimo livello di controllo e verifica possibile
sul territorio. E’ necessario procedere senza esitazione ed in tempi brevi alla modifica delle regole di
confronto con il Governo Nazionale e con le Aziende che operano sul territorio, costruendo un percorso di
premialità e di penalità finalizzato a tutelare i cittadini e a garantire il futuro sviluppo del territorio.
Non è tollerabile che una comunità, anche se piccola come quella lucana, che paga un tributo così elevato
alla comunità nazionale in termini di condizionamento del suo sviluppo socio‐economico nonché di
esposizione a rischi, non debba venir ristorata da tale tributo allo sviluppo della nazione, attraverso
politiche capaci di azzerare fenomeni come la disoccupazione, la emigrazione intellettuale, il basso indice di
sviluppo e di infrastrutturazione.
Quali allora in termini concreti i correttivi da adottare per cambiare la situazione.
1) Innanzitutto una sospensione della realizzazione di nuovi pozzi petroliferi che consenta, nell’arco di
un tempo non lungo, di costruire un nuovo percorso di regole per la gestione delle problematiche
di rischio ambientale legate alle attività estrattive; un censimento delle risorse idriche sotterranee e
superficiali (ovvero una messa a sistema di quanto già censito), la costruzione di un sistema
regionale di monitoraggio in continuo del territorio da rendere operativo prima dell’avvio di nuove
attività di perforazione, la definizione della titolarità della bonifica degli oleodotti all’esaurimento
delle risorse sotterranee.
2) La costituzione di una autority trasparente dotata di una autorevole componente scientifica e con
poteri ispettivi che possa accedere per i controlli alle infrastrutture e disporne la sospensione delle
attività, che verifichi la corretta e puntuale attenzione agli adempimenti tecnici e amministrativi per
la sicurezza dei lavoratori e delle popolazioni, che abbia accesso diretto ai dati della produzione,
che abbia compiti strutturati di promuovere e coordinare le analisi epidemiologiche sul territorio in
accordo con le strutture del S.S.N..
3) La definizione di seri piani di sicurezza adeguatamente trasferiti ai cittadini e alle autorità locali in
caso di emergenza con la costruzione di protocolli automatici di intervento e controllo, i primi
integrati, i secondi indipendenti dai protocolli previsti dalle imprese estrattive.
4) L’innalzamento sostanziale delle quote delle royalties petrolifere finalizzate al consolidamento della
rete infrastrutturale lucana nonché al sostegno dell’economia, nonché all’avvio di una capillare
ristrutturazione energetica regionale che porti al massimo impiego delle risorse alternative, delle
tecniche di risparmio energetico mediante la costituzione di un fondo che finanzi le ristrutturazioni
finalizzate ad elevare le classi energetiche degli edifici, l’upgrade della classe energetica dell’intero
patrimonio edilizio pubblico regionale.
5) L’abolizione delle accise sul presso della benzina e del gas su tutto il territorio regionale, utile a dare
un impulso all’economia regionale con una previsione di applicazione del sistema di tariffazione
energetica agevolata a tutte le aziende localizzate in Basilicata.
6) La costituzione di un fondo nazionale finalizzato alla bonifica e al recupero di aree eventualmente
inquinate a seguito delle attività estrattive.
8. Questo per cominciare a ragionare in termini propositivi agli scenari di sviluppo socio‐economico della
Regione per i prossimi anni.
Ovviamente, poi, ci vogliono idee, ipotesi, scenari di sviluppo socio‐economico della regione su cui
confrontarsi, da sottoporre al giudizio dei cittadini e da rendere operativi nel breve, medio e lungo periodo,
una forza politica, qualche che sia la sua inclinazione, che si voglia candidare con serietà alla guida di una
regione ricca nella teoria e povera nella realtà come la nostra, non può perdersi dietro battaglie di bottega
o di posizionamento, deve dispiegare le sue ali, convincersi e convincere che è possibile costruire un nuovo
scenario di sviluppo anche in Basilicata e nel meridione.
9. UNA PICCOLA RIVOLUZIONE LUCANA
di Giampiero D’Ecclesiis
La nostra Regione è in una condizione di stagnazione economica e sociale frustrante, inchiodata ad essa dal
progressivo decadimento del dominio Democristiano sulla nostra Regione e dal fallimento storico delle
sinistre di apportare un cambiamento nella società lucana addormentata da 25 anni di esercizio
paternalistico del potere della vecchia D.C.
La sinistra lucana, erede del P.C.I. e del suo ruolo di alfiere dalla legittima voglia di riscatto di generazioni
represse di contadini, della rappresentazione che di essa hanno fatto importanti intellettuali socialista
come Carlo Levi o Rocco Scotellaro, che ha così profondamente inciso sull’immaginario collettivo dei lucani
e sull’immagine della Lucania nel mondo, ha fallito il suo compito storico miseramente.
Le grandi rivendicazioni, le lotte contadine, l’egalitarismo socialista si sono sciolti come neve al sole
allorquando queste forze hanno varcato da padrone le soglie dei palazzi del potere, mostrando il vero volto
di una classe dirigente pseudo‐progressista, figlia di quella stessa borghesia grassa che costituiva la classe
dirigente contro cui gli slanci pseudo‐innovatori di quella generazione di ipocriti si erano spesso slanciati.
La fusione del paternalismo democristiano con la logica organizzativa figlia della dottrina comunista ha
generato il mostro che ci governa, con un misto di paternalismo e ferocia, che ha sistemato in ogni ganglio
vitale uno dei suoi, che governa, gestisce, muove tutti i fili della società lucana e che piega al suo volere i
suoi cittadini‐elettori attraverso un sofisticato processo gestionale che genera sottosviluppo, da esso il
bisogno esistenziale e attraverso il bisogno il consenso.
Tale mostruosità politica che si è alimentata delle risorse economiche nazionali nelle sue fasi iniziali ha
immediatamente intuito l’enorme occasione che il business petrolifero gli offriva consentendogli una
parziale affrancatura dalle risorse nazionali potendo contare su risorse proprie.
Da tutto questo nasce l’insieme delle scelte di indirizzo socio‐economiche fatte dalle Regione in questi
ultimi anni cui talvolta, a voler ascoltare i sussurri che corrono nei corridoi e nelle anticamere, si
accompagnano sovente robusti interessi personali.
Eppure, benché il popolo lucano sia schiacciato sotto il tallone di una macchina del consenso pervasiva e
invasiva, che trasforma in favore ogni diritto, che osserva neghittosa e sazia la tragedia di popolazioni
sempre più povere, di giovani senza più speranza, di flussi migratori sempre più cospicui, una speranza c’è.
Il momento più buio della notte è quello che precede l’alba, il momento più silenzioso di un temporale è
quello che precede il rombo del tuono e nella nostra Regione ribolle un magma sotterraneo fatto di giovani
che non vogliono andare via, fatto di operai che hanno perso il lavoro, di madri e di padri che guardano
all’avvenire senza certezze dei loro figli, è a loro che tocca il compito di fare una rivoluzione lucana.
Una piccola Rivoluzione Lucana è già iniziata, in maniera sommessa se volete, tra i giovani professionisti di
un piccolo studio di architettura del paesaggio che mettono su carta un idea per migliorare la città e la
propongono alla gente, tra i tanti giovani, meno giovani, anziani, baristi, salumieri, commercianti,
insegnanti, professori universitari, nulla facenti, fancazzisti, studenti, belli, brutti, fidanzati, zitelli senza
speranza, possibilisti, attendisti, attivisti, increduli, che per quell’idea raccolgono firme e che in una
settimana ne hanno raccolto più di 5000.
10. Ma non solo, una piccola Rivoluzione Lucana è tra le facce della gente che si riunisce per sapere che
succede nella sua comunità, che vuole capire perché l’inceneritore Fenice inquina eppure continua a
funzionare, che studia, cerca, analizza, scrive, propone e non demorde.
Una piccola Rivoluzione Lucana è quella di chi fonda un movimento nuovo perché non crede più a nulla, ma
anche quella di chi si iscrive ad un partito perché ora è il momento di cambiare le cose, la Rivoluzione
Lucana è un sogno, un’illusione, la speranza di qualche sciocco credulone, è l’abnegazione di un gruppo di
volontari che preparano una Parata, è la competenza di una ricercatrice che si mette a lavorare per la sua
Città già sapendo che pochi saranno gli applausi e tante le critiche gelose.
La Rivoluzione Lucana siamo noi che chiediamo competenze in ogni luogo, o partito, o associazione o
ambito professionale in cui andiamo, la rivoluzione lucana è Antonio che ha avuto l’idea del Parco di Città,
sono io che scrivo cazzate di supporto, Roberto che monta i banchetti per prendere le firme, è Beneamino
che ad un Convegno Internazionale, tra le slide della presentazione inserisce anche quelle del Parco di Città
raccontando l’iniziativa e il movimento che c’è intorno perché, in fondo in fondo, è orgoglioso di quello che
succede nella sua Città.
Ecco, qualcosa si muove, forse è solo una increspatura su acque stagnati, ma Mamma mia quanti sono
quelli che vorrebbero surfare su questa piccola onda!
Si preoccupano, cercano di mettersi a vento, ogni tanto incespicano sulle loro intenzioni effettive e allora si
correggono, cercano di spiegare, argomentare tutto pur di non essere netti, sono in difficoltà davanti a
persone propositive e impauriti del consenso che si portano dietro, cercano le vie oblique temendo il
confronto con chi, intuiscono subito, è portatore di valori più veri, più saldi, più onesti e, soprattutto di un
bagaglio di competenze effettive che derivano dal lavoro, quello vero, che è cosa diversa dal fare il
politicante (ops pardon) il politico di professione.
E’ un inizio, andiamo avanti, ognuno con le sue convinzioni, con le sue idee, ma tutti ugualmente tesi a
sovvertire le regole del gioco e a prendere in mano i dadi.
Bonne chance a tutti noi amici, comunque la pensiamo