Convegno “ Stress, molestie lavorative e organizzative del lavoro: aspetti pr...
FEMMINICIDIO E MOBBING - IL LAVORISTA - ANNO V N. 4 - 15/11/2013
1. ISSN 1972-7704
6
Anno V n. 4, 15 novembre 2013
La legge di contrasto al “femminicidio” offre maggiori tutele
anche per il mobbing?
di Clarenza Binetti
E’ entrata in vigore il 16 ottobre 2013 la
legge n. 119 - modificativa, nella sua prima
parte, di molte norme penali e procedurali
afferenti ai reati commessi con violenza alla
persona (artt. 572, 612-bis, 609-bis e ss. c.p.
ecc.). Solo pochi mesi prima, con la sentenza del 3 luglio 2013 n. 28603 la Suprema
Corte di Cassazione - non disdegnando il
consolidato orientamento che riconduce i
comportamenti molesti penalmente rilevanti
compiuti dal mobber alla fattispecie di cui
all’art. 572 c.p. (maltrattamenti contro familiari e conviventi) - riconosceva per la prima
volta passibile di tutela penale anche lo
straining quale “manifestazione attenuata
del mobbing” e, finalmente, si mostrava particolarmente interessata e consapevole della
gravità del fenomeno mobbizzante tanto da
precisare che la mancata possibilità di sussumere i reati posti in essere dal mobber o dallo strainer in quello di maltrattamenti, ex
art. 572 c.p., non esclude affatto - qualora vi
sia stato danno alla persona e sussistano i
requisiti prescritti ex lege - la possibilità di
poter richiedere il risarcimento per violazione di altre norme codicistiche.
La legge n. 119/2013, con le sue norme di
contrasto al femminicidio ed alla violenza di
genere - formulate nel rispetto delle linee
della Convenzione del Consiglio d’Europa
tenutasi ad Istanbul nel maggio del 2011 - si
inserisce in un panorama difficile annunciando, rectius confermando, cambiamenti
importanti in materia e fornendo strumenti
validi e più efficaci verosimilmente anche
per la lotta a quei fenomeni quali il mobbing
ed il cosiddetto paramobbing (come lo straining, lo stalking occupazionale, ecc.). Tali
fattispecie, infatti, non essendo disciplinate
dal nostro ordinamento giuridico, trovano
sovente tutela attraverso la loro sussunzione
a norme “affini” quali il già ricordato reato
di maltrattamenti contro familiari e conviventi ex art. 572 c.p., ovvero i reati di atti
persecutori, di violenza sessuale ed altri.
Quello della legge 119/2013 è, invero, un
legislatore attento e sensibile al problema
della violenza tanto da predisporre una serie
di regole tese ad inasprire le pene per i rei e,
nel contempo, a tutelare le vittime dei reati
di stalking, maltrattamenti, violenza sessuale
ecc., con modifiche procedurali importanti
finalizzate a preservare e proteggere i soggetti deboli a cui sarà permesso anche di
richiedere il gratuito patrocinio in deroga al
limiti minimi di reddito.
Accanto alla possibilità per i testimoni di
rendere esame con modalità protette si colloca l’inserimento di diverse circostanze aggravanti a tutela delle donne gravide e dei
minori. Tra le aggravanti comuni viene inserita quella della commissione di delitti non
colposi contro la vita e l’incolumità individuale, contro la libertà personale e di maltrattamenti ex art. 572 c.p. in presenza di
minori di anni 18 o in danno di persone in
stato di gravidanza; tra le aggravanti del
reato di violenza sessuale si contempla anche quella che afferisce la commissione del
fatto nei confronti di minori se compiuto da
genitori anche adottivi, tutori, ascendenti,
nonchè ai danni di una donna gravida e qualora il colpevole sia un coniuge o un ex coniuge o comunque legato da relazione affettiva alla vittima.
Per il reato di atti persecutori, oltre
all’aggravante per il fatto commesso dal
coniuge, anche separato o divorziato, o da
persona che è o è stata legata da relazione
alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o
telematici, si prevede la remissione della
querela solo ai fini processuali e
l’irrevocabilità della stessa, se il reato è perpetrato con gravi minacce.
Non mancano, poi, interventi mirati alla
celerità dei procedimenti e capaci di garantire tempi diversi (20 giorni) per prendere
visione degli atti e proporre le richieste motivate di prosecuzione delle indagini preliminari, regole che impongono obblighi di comunicazione costante sullo stato dei procedimenti alle persone offese (es. avviso di archiviazione e avviso di conclusione delle
indagini preliminari) che, in ossequio alla
direttiva europea sulla protezione delle vittime di reato, dovranno essere sempre informate sulla possibilità di nominare un difensore, come in merito alla eventuale revoca o
sostituzione delle misure coercitive o cautelari concesse al colpevole di violenza alla
persona.
Se, dal un lato, fattispecie come il mobbing
possono essere penalmente punibili quando i
comportamenti vessatori rivestano ipotesi
tipiche di reato previste dal codice, quali i
maltrattamenti, la violenza, gli atti persecutori, dall’altro, non può negarsi come, da
questo momento in poi, si dovrebbero poter
applicare anche ai casi di mobbing, le norme
restrittive poc’anzi illustrate, seppur la legge
de quo sia nata per arginare fenomeni di
violenza fisica per taluni versi poco paragonabili alle forme di violenza psicologica
tipiche dei maltrattamenti posti in essere da
colleghi o datori di lavoro.
Verosimilmente ciò che ha spinto il legislatore a promulgare la legge n. 119/2013 proprio con quei dictat - è la volontà di porre
freno ai reati efferati compiuti con violenza
bruta ai danni di minori o donne indifese
anche gravide, spesso massacrate da fidanzati
e mariti.
Ed allora, stante tale ratio, ci si chiede se si
potrà ancora far rientrare il mobbing in tali
tipologie di reato o se, oggi più che mai, approfittando di un legislatore particolarmente
sensibile a certi problemi non si debba richiedere in modo ancor più accorato una normativa specifica in materia di mobbing e
“paramobbing”.