1. Commento didattico della performance “DIALOGHI PLATONICI”,
diretta da Anatoli Vassiliev.
di Nicola Camurri
Questo commento è relativo ad un video della performance stessa da me analizzato dopo il mio
incontro con il Maestro russo Anatoli Vassiliev, ho utilizzato inoltre come fonte anche il resoconto
di un Seminario tenuto da Vassiliev presso “Ecole des Maitres”.
In fisica, la differenza di potenziale tra due punti immersi in un campo vettoriale
conservativo corrisponde all'energia necessaria per spostare un elemento di valore unitario dal
punto a potenziale più basso a quello a potenziale più alto. Essa è univocamente definita: infatti,
mentre il valore attribuito al potenziale dipende dalla scelta (arbitraria) di un punto a potenziale
zero, la differenza di potenziale tra due punti non risente di questa scelta. Un corpo fisico,
suscettibile alle forze del campo (ad esempio una certa massa nel campo gravitazionale o una certa
carica nel campo elettrico), tende a spostarsi verso il potenziale più basso e, nello spostamento,
libera una quantità di energia proporzionale alla differenza di potenziale tra la partenza e l'arrivo.
Nell'ambito elettrico, tale differenza di potenziale è anche chiamata comunemente tensione.
La differenza di potenziale è detta tensione, ovvero la differenza tra i punti iniziale e finale di un
potenziale elettrostatico. La differenza di potenziale fra due punti A e B del campo elettrostatico è
la quantità di lavoro che bisogna compiere per portare l'unità di carica elettrica da un punto A al
punto B.
L’analogia tra il lavoro proposto dal maestro Vassiliev e questo fondamentale principio della
fisica è la base di un discorso più vasto circa lo studio dell’energia in sé. Risulta però chiaramente
una comunanza linguistica tra alcuni termini quali: tensione, energia, lavoro. Le strutture
psicologiche seguono il principio per il quale, senza un intervento, senza un lavoro, una carica tende
naturalmente a scendere da un punto di potenziale più alto ad uno di potenziale più basso. Per
effettuare il percorso inverso (ludico) di salire fino alle idee è necessaria una tensione, un lavoro –
che nel caso di Vassiliev è lo sforzo di volontà degli attori – per colmare la “differenza di
potenziale” tra il punto più basso e quello più alto.
Questa performance del 1992 riguarda il libro primo della Repubblica di Platone, cinque
attori propongono al pubblico il loro lavoro di ricerca. La scena di apre con Socrate e Polemarco
che entrano e si dispongono dentro ad una scenografia che ricorda le aperture di un portico in stile
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2. “peripato”. La loro esposizione al testo propone un gioco basato su di una mela portata da Socrate.
Un filo collega poi due mele che salgono e scendono di fronte ai due attori in maniera alterna: se da
una parte sale, dall’altra scende. Polemarco esce dalla sua postazione e raggiunge Socrate. I loro
tentativi di afferrare la mela non hanno successo. Quando la mela esce di scena anche Socrate esce e
inizia il vero dialogo con la prima domanda di Socrate. Il lavoro dei due attori crea una grande
energia, un’atmosfera in cui la prima domanda di Socrate si inserisce con grande naturalezza.
La domanda di Socrate prevede un commento di Polemarco circa la giustizia sulla base di
quanto detto da Simonide. Questa è la prima trappola di Socrate, in quanto non chiede a Polemarco
il suo diretto parere su cosa sia la giustizia ma gli chiede di interpretare il pensiero di un terzo,
Simonide, parlando di lui come di un sapiente. Questo gioco dialettico è costante in tutto Platone:
Socrate non attacca mai la tesi proposta ma attraverso un gioco di domande ne estrae il significato
latente. La trappola viene resa esplicita dai due attori quando Socrate si appella direttamente al
pubblico, chiamandolo Simonide, per averne il parere. Questo passaggio rende evidente il gioco in
atto per la ricerca della “verità” circa la giustizia: Polemarco e Socrate costituiscono due alternative
dialogiche dalla cui sintesi si ottiene un avanzamento di conoscenza, non più solo concettuale ma
sensibile, in quanto, sia gli attori esperiscono questa alternativa, sia il pubblico la può recepire
vedendo il lavoro. Questo perché si tratta di concetti invisibili ma sensibili. Nel gioco a due attori
del primo frammento, è impressionante il lavoro reciproco dei due attori sulla scena: se Socrate
dirige il gioco con il ritmo incalzante delle domande, Polemarco gioca la doppia negazione, verso
Socrate e verso l’avvenimento principale, con precisione e leggerezza e soprattutto con un grande
lavoro durante i piani di ascolto in cui diventa evidente il movimento interno dell’attore che ha il
“secondo ruolo”. Polemarco riesce così a creare una grande dinamicità con l’energia più esteriore di
Socrate - il cui compito è più propositivo - e crea un argine che aumenta l’energia complessiva della
scena fino ad ottenere il clima ideale per l’entrata di Trasimaco. Il lavoro dei due attori arriva a
risolvere il conflitto latente nelle due differenti posizioni di conoscenza. In realtà entrambi sono
d’accordo con la visione della giustizia ma la differenza di consapevolezza li porta in un potenziale
conflitto, le due posizioni vengono piano piano avvicinandosi finché, nel nodo del primo
frammento, i due rendono esplicito il raggiungimento di un accordo, di una posizione comune,
dichiarandosi pronti a combattere contro chiunque travisi il pensiero dei sapienti come Simonide,
posizione contro cui entrerà Trasimaco con i suoi accoliti Glaucone e Clitofonte.
Trasimaco accusa i due di non avere appunto lottato con la giusta forza uno contro l’altro ma
di avere perso la ricerca della verità per rendersi reciproche carinerie. Questo è già significativo per
la differenza di potenziale, l’alternativa dialogica si sposta tra Socrate e Polemarco contro
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3. Trasimaco, Glaucone e Clitofonte, evidente fin dalla scelta registica dei colori. Tutti condividono il
desiderio di conoscere la vera giustizia ma credono tutti anche di saperlo già. Tutti sono pronti a
combattere per essa ma solo Polemarco, discutendo con Socrate, ha compreso dove sta l’oggetto
della lotta, il fine per il quale combattere. Lui è entrato nella disposizione giusta accorgendosi che
quella che credeva verità era solo opinione, accettando di cambiare idea. Trasimaco entra
dichiarando che, per la ricerca della verità, solo la lotta prevaricatrice è possibile e già questo crea la
differenza tra Socrate, pronto al dialogo, e Trasimaco che invece ha un’ottica di sopraffazione.
Il gioco proposto da Socrate per riprendere la prospettiva dialogica è l’adulazione: allo
scopo di riconoscere la propria ignoranza, fondamentale per la ricerca, esalta la conoscenza e la
saggezza di Trasimaco e anzi si dichiara grato della possibilità che ha di imparare da Trasimaco, il
quale, incapace di abbandonare la sua prospettiva utilitaristica e orizzontale della vita, sfida Socrate
a pagare per l’insegnamento che avrà, ben sapendo che Socrate non ha denaro. Gli attori qui
propongono un coinvolgimento del pubblico che esalta ulteriormente la dinamicità: Glaucone si
offre di pagare per Socrate - nel testo assieme agli altri presenti, nella performance chiedendo al
pubblico che risponde con gioia e divertendosene pure - amplificando di molto l’ironia contenuta
nella richiesta stessa di ricevere denaro per insegnamento. L’attore Socrate preleva anche tre rubli
da consegnare allo spettatore che prima era stato chiamato in causa come Simonide, rafforzando il
legame ironico tra pubblico e perfomance.
Il nuovo frammento inizia con un cambio di ruoli, Trasimaco diventa il primo e Socrate il
secondo, il che è palese nella fresca ironia con cui Trasimaco si rivolge al pubblico per la
preparazione del suo intervento. Il gioco si sposta sulla comprensione dell’opinione espressa da
Trasimaco credendola verità assoluta. Il tema passa dalla giustizia all’utile, per Trasimaco “del più
forte”. Il dialogo si sposta su due visioni del mondo: Trasimaco difende la visione dell’utile – a cui
l’aggiunta del più forte funziona solo da maschera – mentre Socrate cerca una giustizia in sé e per
sé fingendo di attaccare la parte “del più forte” per dimostrare che l’utile non è una categoria divina.
Il gioco dei due attori lo dimostra chiaramente in quanto Trasimaco ha sempre una prospettiva dal
basso verso l’alto, in cui lui cerca di assolutizzare cose concrete e visibili, mentre la prospettiva di
Socrate è ideale, assoluta, tesa a scomporre la visione di Trasimaco per creare una tabula rasa dai
pregiudizi ideologici.
Nel momento in cui gli attori passano al tavolino, il ring della disputa, l’iniziativa torna a
Socrate che riprende con le sue domande. Socrate riesce a mostrare una contraddizione insita nella
definizione di Trasimaco che rende evidenti le posizioni degli altri attori in scena in piano di
ascolto: Polemarco scatta assieme alla trappola Socratica e Clitofonte tenta una difesa ideologica di
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4. Trasimaco che Trasimaco stesso è costretto a confutare. Molto divertente notare come lo scambio
tra i due attori, Polemarco e Clitofonte, renda visibile quanto la posizione tendenzialmente verticale
di Polemarco faccia risultare ridicola l’opposizione di Clitofonte che cerca disperatamente un
appiglio fino ad arrivare a chiederlo espressamente a quello che lui crede essere il rappresentante
del giusto. Ma Trasimaco non può accettare lo scacco di Socrate e reagisce con un’esposizione volta
al convincimento di Socrate in cui l’aumento di intensità e energia interna inizia ad essere evidente.
Il seguente scambio vede un Trasimaco più guardingo nel rispondere e un Socrate molto serrato con
domande che presentano un’alternativa chiusa (A o B) pronto a far scattare l’ennesima trappola che
scatta prontamente con l’esposizione Socratica resa con molta comicità, che permette a Socrate una
serie di domande chiuse alle quali Trasimaco non può che dire sì.
Trasimaco non può che difendersi cambiando radicalmente argomento, portando una battuta
tagliente che introduce un nuovo frammento diretto da Trasimaco. Questo frammento è composto
da un monologo di Trasimaco in cui la parola ha l’evidente compito di convincere se stessi di essere
ancora nel giusto più che di convincere gli altri, l’attore è grande a rendere questa sensazione di
perdita della certezza, questo tentativo di ancorarsi alle proprie certezze, all’incapacità di arrendersi
per crescere. Non a caso durante la risposta successiva di Socrate, Trasimaco si allontana dal tavolo
e reagisce con rabbia arrivando quasi ad aggredire Socrate, evidenziando il proprio lavoro interno
del precedente monologo. Socrate deve cambiare dinamica, la sua ironia diventa meno
provocatoria, il tono si ammorbidisce e avviene una naturale pausa in cui gli attori si concedono una
sigaretta offerta dal pubblico, pausa che diventa esposizione per il momento successivo, in cui i due
attori si fronteggiano a ritmi serrati al tavolino, faccia a faccia, evidenziando la lotta serrata con il
solo lavoro verbale, pieno di significato e di contenuto al punto che ogni domanda diventa azione e
ogni risposta difesa e contrattacco. La sicurezza di Socrate è granitica mentre Trasimaco cede piano,
sempre in affanno, perdendo la sicurezza nella sua visione del mondo, fino a cadere a terra
finalmente arreso a se stesso. Il dialogo continua su toni più morbidi con un appassionato Socrate
che pone le domande ad un Trasimaco completamente nuovo, sdraiato a terra, con un’espressione
quasi fanciullesca, finalmente disposto ad ascoltare o quantomeno a sentire. L’intervento ultimo è di
Glaucone che dimostra come il conflitto sia risolto, dialogando, quasi scherzando con Socrate.
Sull’uscita di scena Trasimaco rivela un imbarazzo, quasi una violazione o meglio una scoperta che
lo ha sconvolto nella sua intimità.
L’uso dei dialoghi platonici permette di analizzare lo svolgimento di una dinamica
ascensionale, ovvero, se nelle strutture psicologiche assistiamo ad una dinamica in cui
l’avvenimento di partenza è posto in alto e l’avvenimento principale è posto in basso e quindi la
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5. dinamica scende come una sfera su di un piano inclinato, la dinamica dei dialoghi platonici è
invertita: occorre uno sforzo di volontà per risalire l’inclinazione fino ad arrivare alle idee. È la
natura conflittuale che porta a scendere: il superamento del conflitto è condizione necessaria per
permettere di risalire. Tutto il dialogo in questione è un continuo gioco di ricerca di accordo, di
superamento del conflitto, prima tra Polemarco e Socrate e poi tra i due e Trasimaco con l’ausilio di
Glaucone e Clitofonte. Se nelle strutture psicologiche l’avvenimento di partenza è prominente
rispetto all’avvenimento principale, nelle strutture ludiche il contrario: l’avvenimento principale tira
a sé tutti gli attori in gioco, diventa il punto comune su cui puntellarsi per la salita. Il naturale
atteggiamento, in una struttura ludica, è quello del gioco aperto all’ironia, alla negazione continua
sia di ciò che si troverà – ovvero l’avvenimento principale – sia sulla singola battuta data dai
componenti del gioco. Nel testo in questione l’avvenimento principale è la consapevolezza che
nessuna forma di utilità abbia a che fare con l’idea di giustizia in sé e, soprattutto, che la condizione
di partenza per conoscere è il sapere di non sapere. La vera differenza tra gli attori in scena è che le
posizioni iniziali di Polemarco e di Trasimaco sono ideologiche, loro sono ideologicamente sicuri di
conoscere. Il lavoro di Socrate, con il suo interrogare serrato, è di scardinare questa falsa sicurezza,
prima con Polemarco, che solo ha frainteso le parole di Simonide, poi con Trasimaco, figlio di
un’idea utilitaristica della giustizia, dove il potere politico e sociale attira di più la sua attenzione
che non la giustizia in sé. Socrate parte dall’adulazione per ottenere da Trasimaco la
“partecipazione” al gioco dialettico. Questo gioco dialettico non è vissuto però dagli attori solo a
livello intellettivo o teorico: loro incarnano delle idee, delle visioni del mondo con tutto il loro
essere. Il calore e il carattere dell’individuo-idea emergono chiaramente nella dinamica teatrale in
cui ogni parola diventa azione, strumento di ricerca in atto. È chiaro allo spettatore che quello a cui
assiste non è un mero “Socrate convince tutti” l’azione di Socrate non è “io convinco” ma “io
ricerco”. Vi è in ogni attore in scena la connessione tra l’idea e l’emozione, vi è, in scena, un
incontro con l’emozione provocata dall’idea in ogni singolo attore.
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