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Lucca, Siena , Sangimignano 2010
- 1. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 1
Lucca
LE MURA
Nel sistema di fortificazioni della città, è pos‐
sibile individuare quattro fasi cui corrispondo‐
no altrettanti periodi di costruzione. La prima
cerchia, di cui oggi rimangono poche tracce, è
costituita dalle antiche mura romane. Fra l'XI
e il XII secolo fu iniziata la costruzione della
prima cinta medievale, o seconda cerchia,
ultimata verso la metà del Duecento. Dovuta
all’espansione urbanistica, la seconda cinta
medievale, o terza cerchia, fu realizzata fra la
seconda metà del Trecento e i primi decenni
del Quattrocento, come ampliamento della
precedente.
L'ultima espansione delle Mura, la quarta
cerchia, rappresenta un rilevante esempio di
applicazione della scienza militare del Cinque‐
cento e del Seicento. In effetti, la costruzione
fu decretata dalla Repubblica lucchese nel
1504, per adeguarsi ai progressi della tecnica
Partenza dal piazzale dell’Oratorio S.G.Bosco ore 6.00 (ritrovo 5,45 per carico bagagli)
Arrivo a Collodi entro le ore 10.30
Ore 12.30 (pranzo al sacco)
Arrivo a Lucca ore 16.00 circa
Serata: visita alla città
OSTELLO SAN FREDIANO, Via della Cavallerizza, tel 0583469957
Mercoledì 25 agosto
- 2. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 2
militare e garantire una difesa più sicura della
città, che temeva le spinte espansionistiche
della Firenze medicea. I lavori, iniziati nel
1545 e terminati verso il 1650, videro via via
impegnati importanti architetti militari, come
il modenese Jacopo Sighizzi, il milanese Ales‐
sandro Resta, Ginese Bresciani da Firenzuola,
gli urbinati Baldassarre Lanci, Francesco Pa‐
ciotto, Pietro Vagnarelli, e i
fratelli Matteo e Muzio
Oddi; l'unico architetto
lucchese che partecipò ai
lavori fu Vincenzo Civitali.
Le Mura seguono in alcuni
tratti l'andamento dei
precedenti tracciati medie‐
vali e sono formate da
undici baluardi congiunti
da cortine per una lunghezza totale di oltre
quattro chilometri. I baluardi, che garantiva‐
no la protezione di un tratto di mura o delle
porte, furono eretti in modo tale che ognuno
potesse controllare i due vicini. Costruiti con
forma e caratteristiche diverse fra loro, incor‐
porarono i torrioni edificati fra il 1516 e il
1522 agli angoli della cinta medievale.
Il baluardo di San Frediano, quello più antico,
è l'unico che si presenta in forma rettangola‐
re. In seguito furono costruiti bastioni ad
orecchioni rotondi o a musoni squadrati, assai
sporgenti rispetto alle cortine e quindi più
adatti alle nuove tecniche di difesa. Su ogni
baluardo si trova un piccolo edificio per il
corpo di guardia, la "casermetta" (tuttora
esistente). All'interno del baluardo furono
ricavati grandi ambienti per i cavalli, i soldati
e le munizioni. Sia i baluardi sia le cortine
sono rivestiti da una camicia di mattoni, fab‐
bricati nelle fornaci della Lucchesia. La cami‐
cia, verso l'esterno della città, è formata da
una scarpa inclinata delimitata in alto da un
cordone di pietra (toro), al di sopra del quale
si trova un parapetto verticale. Verso l'inter‐
no, le mura presentano una scarpata erbosa
(terrato) costituita da una grande quantità di
terra ammassata e pressata. Una vasta area
senza alberi e case, attraversata da fossi con
acqua, detta "tagliata" (oggi drasticamente
ridotta), circondava l'intero circuito murario.
Le tre porte originarie delle mura rinascimen‐
tali sono Porta San Pietro, Porta Santa Maria
e Porta San Donato, costruite nella seconda
metà del Cinquecento. Si trattava di porte
fortificate, dotate di un ponte levatoio azio‐
nato da catene, di una saracinesca, di un por‐
tone ferrato anteriore e di
uno posteriore. Soltanto nel
1811 fu aperta una quarta
porta, denominata Elisa in
onore di Elisa Bonaparte
Baciocchi, che non aveva più
le caratteristiche militari
delle altre porte, presentan‐
dosi piuttosto come un arco
di trionfo. Altre due porte,
denominate Vittorio Emanuele e San Jacopo,
furono realizzate rispettivamente nel 1911 e
nel 1931.
Le Mura erano dotate di un apparato bellico
imponente: l'artiglieria era formata da colu‐
brine per tiri di lunga gittata, da cannoni per il
lancio delle palle metalliche e da petriere per
il lancio delle pietre. I cannoni, costruiti da
una fonderia cittadina, erano in bronzo. An‐
che la polvere da sparo era prodotta in una
fabbrica di salnitro della città. Quest’enorme
apparato difensivo in realtà non fu mai impie‐
gato a scopo bellico, anche perché ‐ durante
uno dei due avvicendamenti con l’esercito
francese avvenuti dopo il 1799 ‐ gli Austriaci
si erano portati via i 124 cannoni di grosso
calibro che difendevano le mura e la città. Da
allora le Mura hanno perso ogni valore milita‐
re. La struttura fu messa alla prova una sola
volta, nel 1812, durante la disastrosa alluvio‐
ne del Serchio. In quell’occasione furono
chiuse e tamponate tutte le porte e la città
rimase illesa.
Dopo il Congresso di Vienna, il nuovo Ducato
di Lucca fu affidato ai Borbone di Parma, nella
persona della duchessa Maria Luisa. Nel 1818
la duchessa incaricò l'architetto Lorenzo Not‐
tolini di sistemare a verde una parte delle
Mura. Nel 1820 fu istituito l'Orto Botanico. La
- 3. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 3
riconversione dell'antico sistema difensivo ad
uso civile, per il tempo libero e lo svago, fu
ulteriormente accentuata nel 1840 quando fu
costruito, sul Baluardo Santa Maria, il Caffè
delle Mura, poi demolito e ricostruito arretra‐
to nel 1885. Nel 1866 le Mura ‐ che allora
appartenevano al Regio Governo, come tutte
le fortezze ‐ furono acquistate dal Comune di
Lucca. Oggi l’intero anello delle Mura si pre‐
senta come simbolo di Lucca: è un vasto par‐
co pubblico alberato, luogo di passeggio ama‐
to dai Lucchesi e dai turisti, è il dannunziano
“arborato cerchio” che ancora abbraccia e
idealmente protegge la città.
DUOMO
Tradizione vuole che il Duomo ‐ intitolato a
San Martino ‐ sia stato fondato da San Fredia‐
no nel VI secolo. L’edificio fu ricostruito intor‐
no al 1060, dal vescovo di Lucca, Anselmo da
Baggio, futuro papa Alessandro II, e quindi
rinnovato tra il XII e il XIII secolo.
La facciata ‐ realizzata da Guidetto da Como e
datata 1204 ‐ s’ispira chiaramente a quella
del Duomo di Pisa, ma si arricchisce
d’elementi originali, tipici dello stile romanico
‐lucchese. Al piano terra s’apre un profondo
porticato con tre ampie arcate sorrette da
massicci pilastri compositi, sovrastati da tre
ordini di loggette, che richiamano il Duomo
pisano. Le tre arcate non sono d’uguale am‐
piezza, per l'asimmetria della facciata, che si
restringe in prossimità del campanile, merla‐
to, risalente anch'esso al XIII secolo.
Tra due arcate del portico era in origine collo‐
cato il gruppo statuario di San Martino che
dona il mantello al povero, databile intorno al
1233, uno dei primi gruppi statuari medievali
svincolati dalla funzione di scultura architet‐
tonica. Ora il gruppo originale è conservato
all'interno del Duomo, e qui è sostituito da
una copia. I portali della facciata sono stati
decorati a più mani: nella lunetta del portale
centrale spicca un rilievo con l'Ascensione di
Cristo, mentre nelle specchiature tra i portali
si trovano le Storie di San Martino e un Ciclo
dei Mesi; nella lunetta del portale laterale
destro sta il Martirio di San Regolo, mentre il
portale sinistro mostra rilievi con Storie
dell'infanzia di Cristo e una Deposizione, attri‐
buiti alla scuola di Nicola Pisano.
L'interno, rinnovato nella seconda metà del
Trecento, è a tre navate, divise da pilastri con
transetto sporgente e abside semicircolare. Vi
si conservano preziose opere d'arte, tra le
quali si distinguono in particolare: in sacre‐
stia, un dipinto di Domenico Ghirlandaio raffi‐
gurante la Madonna con il Bambino tra i Santi
Pietro, Clemente, Paolo e Sebastiano; sugli
altari della navata di destra un'Adorazione dei
magi di Federico Zuccari e un’Ultima cena di
Jacopo Tintoretto; nella cappella del santua‐
rio c’è la Madonna ed il Bambino tra Santi,
opera di Fra' Bartolomeo (1509).
Ma i capolavori assoluti ‐ che da soli arricchi‐
scono il Duomo e lo rendono unico ‐ sono il
Monumento funebre di Ilaria del Carretto ed
il Volto Santo. Vediamoli con qualche detta‐
glio.
Nella sacrestia è visibile il Monumento fune‐
bre di Ilaria del Carretto, seconda moglie di
Paolo Guinigi, morta
giovanissima l’8 di‐
cembre 1405.
L’opera fu eseguita a
partire dal 1406 da
Jacopo della Quercia
e ‐ in origine ‐ era
collocata nel transet‐
to meridionale della
cattedrale presso un altare patronato della
famiglia Guinigi. Nel 1430, alla caduta della
Signoria dei Guinigi, il monumento fu spoglia‐
to di tutte quelle parti che rendevano possibi‐
le riferirlo al tiranno, quali la lastra con lo
stemma, poi recuperata, e un’iscrizione com‐
memorativa, andata perduta. L’opera rag‐
giunse la collocazione attuale nel 1887 dopo
aver subito vari spostamenti all’interno della
chiesa. Nella serenità della morte, Ilaria giace
distesa su un basamento di marmo, fra deco‐
razioni di putti e festoni, d’ispirazione classi‐
ca. La testa poggia su un cuscino e gli occhi
- 4. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 4
son chiusi: Ilaria sembra ritratta nel sonno. La
veste, raffinata e leggiadra, ha una foggia
particolare, e forse corrisponde a quella in‐
dossata da Ilaria sul letto di morte. Ai suoi
piedi è raffigurato un cane, simbolo della
fedeltà coniugale. L’opera, delicata e perfet‐
ta, sembra avvolta da una mesta malinconia.
Essa è frutto della straordinaria fusione tra il
gusto tardo‐gotico di matrice francese, che si
manifesta soprattutto nel panneggio a pieghe
sottili e parallele, con il sorgente gusto rina‐
scimentale di ascendenza fiorentina, che si
rivela nel dolce modellato della figura e del
volto. Questa levigatezza era già stata notata
nel Cinquecento da Giorgio Vasari, che scrive‐
va: “… Jacopo di leccatezza pulitamente il
marmo cercò di finire con diligenza infinita”,
e che considerava quest’opera uno dei massi‐
mi capolavori della scultura del Quattrocento.
Al centro della navata sinistra sorge la cappel‐
la che custodisce il Crocefisso ligneo noto
come "Volto San‐
to". Il tempietto è
opera di Matteo
Civitali, datata
1484. Circa il Cro‐
cefisso, narra la
leggenda che esso
sia stato scolpito in un cedro del Libano da
Nicodemo, aiutato dagli angeli nel modellare
le sembianze di Cristo. Tenuta nascosta per
secoli e poi posta su una barca e affidata al
mare aperto, la sacra immagine veleggiò mi‐
racolosamente per il Mediterraneo, appro‐
dando davanti al lido di Luni, dopo essere
sfuggita ai pirati. Fu posta su un carro traina‐
to da giovenchi, che liberamente si diressero
verso Lucca, conducendo il Crocefisso alle
porte della città, da cui non è più uscito. Pro‐
babilmente, il Volto Santo di Lucca fu esegui‐
to tra l’XI ed il XIII secolo, forse ad imitazione
di un più antico modello orientale. In origine
il Crocefisso era in legno policromo, ma ‐ con
l'andar degli anni ‐ il fumo delle candele e
dell'incenso, hanno steso sulla figura una
patina molto scura. Ogni anno, nei giorni 3
Maggio, 13 e 14 Settembre, in occasione delle
feste religiose cittadine, il Volto Santo viene
rivestito di preziosi ornamenti d'oro conser‐
vati nel Museo della Cattedrale. Da sempre il
"Volto Santo" di Lucca è oggetto di gran vene‐
razione e meta di pellegrinaggi dall'Italia e
dagli altri paesi europei.
La leggenda
La leggenda è riferibile all'epoca del vescovo
Rangerio (1097‐1112), quando fu redatta una
Relatio de revelatione sive inventione ac tran‐
slatione sacratissimi vultus (Racconto della
creazione, scoperta e traslazione del santissi‐
mo volto). In questa relatio viene fissato il
racconto dell'arrivo a Luni, e successivamen‐
te a Lucca, nel 742, di una immagine scolpita
da quel Nicodemo che, con Giuseppe d'Ari‐
matea, depose Cristo nel sepolcro. La leggen‐
da riporta anche che Nicodemo si sarebbe
trovato di fronte all'impossibilità di riprodurre
il volto del Messia e che l'immagine sarebbe
stata da lui ritrovata già scolpita in modo
miracoloso.
La leggenda continua raccontando che per
sfuggire alla minaccia di distruzione essa ve‐
nisse posta su una nave priva di equipaggio,
lasciata libera di navigare a tutti i venti, che
infine giunse nel Tirreno, di fronte al porto di
Luni. La nave avrebbe resistito ad ogni tenta‐
tivo di abbordaggio da parte dei lunensi, salvo
poi approdare spontaneamente a riva dopo
l'esortazione del vescovo di Lucca Giovanni I,
giunto nel frattempo nella zona dopo essere
stato avvisato in sogno della presenza sulla
nave del Volto Santo. Una volta portato a
terra, il crocifisso fu ancora disputato da lu‐
nensi e lucchesi, ma altri segni divini vollero
che il crocifisso venisse condotto a Lucca, e
alla fine i lunensi furono costretti a rinunciare
al possesso della reliquia, ricevendo in com‐
pensazione un'ampolla del Sangue di Cristo
prelevata da dentro il crocifisso. Tale reliquia
è ancora venerata a Sarzana, essendovi giun‐
ta dopo l'abbandono di Luni.
I lucchesi accolsero immediatamente con
grande venerazione il crocifisso del Volto
- 5. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 5
Santo, il quale fu posto nella Basilica di
S.Frediano. Al mattino seguente però, il Volto
Santo era sparito. Fu però ritrovato in un orto
nelle immediate vicinanze del Duomo di
S.Martino: individuato come un "segno" mi‐
racoloso, il Crocifisso del Volto Santo resta
tutt'oggi nel Duomo di Lucca.
La suggestiva processione del Volto Santo
(Luminara di Santa Croce) che si svolge il 13
Settembre di ogni anno ripercorre lo stesso
itinerario.
La storia
Il Volto Santo fu veneratissimo fin dalla metà
del sec. XI e Lucca divenne mèta di pellegri‐
naggi da ogni parte d'Europa. La sua effige
divenne il simbolo della città tanto che fu
posta sui sigilli dei cambisti e sulle monete. Il
culto dette origine a derivazioni curiose come
la Santa Kummernis dei paesi germanici, pro‐
messa sposa del re di Sicilia, che fu fatta cro‐
cifiggere dal padre perché le era cresciuta la
barba e aveva così evitato il matrimonio (la
santa proteggeva le donne che volevano libe‐
rarsi dei mariti).
Tornando al Volto Santo, per quanto riguarda
la datazione, si esclude che possa risalire al
sec. I, come vorrebbe la leggenda. Per ragioni
stilistiche gli studiosi sono concordi nel situa‐
re l'opera intorno all'XI secolo, e comunque in
ambito romanico. Non è escluso tuttavia che
possa essere la copia di un esemplare forse
dell'VIII secolo e siriaco, come indicherebbero
i particolari somatici del volto (occhi sporgen‐
ti, barba bipartita) e la caratteristica veste a
maniche lunghe, rara nei crocifissi italiani
dell'epoca.
La leggenda è stata raffigurata dal pittore
Amico Aspertini (nella foto) nella Cappella di
S. Agostino all'interno della Basilica di S. Fre‐
diano.
CHIESA DI S. MICHELE
La Chiesa di San Michele è situata sull'area
dell'antico Foro Romano, ed è stata in ogni
tempo il centro della città, luogo di incontri e
di scambi commerciali. Addirittura nel perio‐
do comunale, fino
al 1370, vi si riuni‐
va il Consiglio
Maggiore, massi‐
mo organo legisla‐
tivo di Lucca.
Menzionata per la
prima volta nel
795 con la deno‐
minazione ad
foro, la chiesa attuale è stata costruita a par‐
tire dal 1070 per volere di papa Alessandro II.
I lavori si sono protratti in epoche successive
ed hanno caratterizzato un'opera architetto‐
nica con stili diversi fra loro.
La chiesa ha tre navate, transetto ed abside
semicircolare; sul transetto meridionale
dell´edificio si innalza il campanile costruito a
partire dal XII secolo. Le antiche cronache
lucchesi riportano a questo proposito un
particolare curioso: l' ultimo piano del campa‐
nile venne abbattuto sotto la signoria (1364‐
1368) di Giovanni dell'Agnello doge di Pisa, o
perché più alto della torre dell'Augusta che
serviva a scambiare segnali con i pisani attra‐
verso il monte di San Giuliano, o perchè il
suono delle campane giungeva fino a Pisa!
L'esterno della chiesa è caratterizzato da
un'altissima facciata che emerge isolata so‐
pra il tetto ed è ricca di sculture e di intarsi,
molti dei quali vennero rifatti nel XIX secolo.
Spicca la statua dell'arcangelo San Michele,
che è collocata nella parte più alta della chie‐
sa e raggiunge i 4 metri di altezza.
Per renderla stabile di fronte alle folate di
vento venne impiegata una grande quantità
di materiale ferroso.
La leggenda vuole che nell'anello posto al dito
dell'angelo sia incastonato un diamante di
enormi dimensioni e di sera, da un preciso
punto della piazza, è possibile scorgerne il
luccichio.
Tra le opere conservate all´interno vanno
segnalate la Madonna col Bambino, terracot‐
ta smaltata di Luca della Robbia, e la tavola
raffigurante Quattro Santi di Filippino Lippi.
- 6. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 6
BASILICA DI S. FREDIANO
San Frediano
durante la
Luminara di
Santa Croce.
Secondo la
tradizione fu
lo stesso S.
Frediano, vescovo di Lucca di origine irlande‐
se, a fondare la chiesa, inizialmente intitolata
a San Vincenzo. E' menzionata per la prima
volta in un documento dell'anno 685 come
basilica Longobardorum.
Ebbe importanza notevole a partire dalla
seconda metà del XII secolo, quando divenne
uno dei più importanti centri per la diffusione
della riforma liturgica gregoriana.
Particolarmente suggestivo il mosaico della
fine del XIII secolo posto sulla facciata, rarissi‐
mo nel romanico (in Toscana l'unica altra
facciata decorata con un mosaico è quella del
S. Miniato al Monte di Firenze). Raffigura il
Cristo Redentore che ascende al cielo in una
mandorla portata da due angeli. In mezzo agli
Apostoli manca la figura della Vergine, taglia‐
ta via dalla finestra moderna. Lo stile dell'o‐
pera è dichiaratamente bizantino ed è riferi‐
bile alla Scuola lucchese dei Berlinghieri.
L'interno della chiesa è suddiviso in tre nava‐
te, ed è regolato da due magnifici colonnati
ad archi uguali. Sui fianchi sorgono numerose
cappelle gentilizie, edificate tra XIV e XVI
secolo.
Da un punto di vista storico‐artistico le cap‐
pelle più significative sono quella di S. Agosti‐
no, con gli affreschi del pittore emiliano Ami‐
co Aspertini (1474‐1552), e quella della fami‐
glia Tenta con il dossale d'altare e le lastre
tombali opera dello scultore senese Jacopo
della Quercia (1374 circa‐1438).
Da segnalare poi lo splendido fonte battesi‐
male del XII secolo, che si trova nello spazio
adibito a battistero, a destra dell'entrata. I
bellissimi rilievi raffigurano le Storie di Mosè,
gli Apostoli e i Mesi, opere che vanno ascritte
a maestri di scuola toscana e lombarda.
E' dalla Basilica di San Frediano che ogni 13
settembre prende il via la suggesti‐
va Luminara di Santa Croce
Giovedì 26 agosto
PROGRAMMA :
ore 7.30 Partenza per Siena, arrivo previsto ore 10.00
ore 9.30 Basilica di San Domenico, Santuario di Santa Caterina, Fontebranda, Duomo, Piazza del
Campo
ore 13.00 pranzo (pizzeria IL BANDIERINO, niente meno che in piazza del Campo, sulla curva di
San Martino. Ricordarsi di portare il cavallo) tel : 0577282217
ore 15.00 Museo Civico di Palazzo Pubblico
ore 16.30 partenza dal parcheggio San Prospero e rientro a Lucca
SERATA: MOMENTO DI PREGHIERA E VISITA ALLA CITTÀ
- 7. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 7
Siena
BASILICA DI SAN DOMENICO
Costruita dalla metà del
1200 è stata sviluppata
nel Trecento, secondo lo
stile Gotico, si fa notare
da lontano per la sua
altezza. E’ legata alla
storia di Santa Caterina da Siena, patrona
d’Europa, della quale espone la sacra testa
perfettamente conservata.
La costruzione del complesso comprendente
la chiesa e il convento, iniziata intorno al
1225, si dice dopo la visita a Siena dello stes‐
so San Domenico, fu conclusa dopo circa
quaranta anni, cioè intorno al 1262/65.
Nel Trecento la chiesa fu ampliata in stile più
gotico e nel 1361 iniziarono i lavori per il co‐
ro. La struttura ci è giunta fino a oggi, nono‐
stante gli incendi rovinosi del 1443 e del
1531; le occupazioni delle milizie spagnole nel
1548 e nel 1552; il terremoto del 1798.
In posizione privilegiata e particolare, la basi‐
lica ha uno strano rapporto fra interno ed
esterno. La facciata, infatti, si presenta abboz‐
zata e scarna, anche se riconoscibile grazie
all’occhio centrale che si scorge in alto al
centro. E’ probabile però che i lavori si siano
interrotti per non rovinare la Cappella delle
Volte, di cui si ha notizia già nel 1368 e che si
trova, ancora oggi, addossata alla controfac‐
ciata. Questa cappella era, in qualche modo,
intoccabile perché la basilica di San Domeni‐
co, tramite essa cappella, si lega alla vicenda
di Santa Caterina da Siena; al suo interno,
infatti, nella cappella delle Volte, la mistica
senese avrebbe compiuto alcuni dei suoi più
importanti miracoli. L’agiografo Beato Rai‐
mondo da Capua, confessore di Caterina, ci
racconta che in questa cappella la Santa offrì
il proprio mantello a Cristo pellegrino.
A causa della Cappella, la facciata restò solo
un abbozzo e il vero ingresso si trova, ancora
oggi, sul prospetto laterale. Entrando quindi,
ci si può spostare nella Cappella delle Volte,
dove nel 1667 fu trasportato un bell’affresco
di Andrea Vanni (1375) con S. Caterina e una
devota. Si tratta dell’unica raffigurazione
eseguita a Siena con la Santa ancora in vita e,
quindi, delle raffigurazioni quella che più
probabilmente riporta i tratti reali della Santa
(archetipo). La cappella però contiene altri
capolavori come la barocca Canonizzazione di
Santa Caterina, splendida tela di Mattia Preti.
Bello il coro ligneo quattrocentesco.
Subito fuori si apre la chiesa, con il suo soffit‐
to ligneo e con la classica struttura a T, tipica
delle grandi chiese degli ordini monastici di
Siena. Sulla parte destra, dipinti e un bel Cro‐
cifisso ligneo dentro una nicchia del XIV seco‐
lo. Più avanti una Pietà lignea e al secondo
altare, Natività della Madonna, capolavoro di
Casolani (1584). Ancora oltre, reliquie di San‐
ta Caterina, fra cui un dito e una Pietra sacra
usata come altare portatile.
CAPPELLA DI SANTA CATERINA
A circa metà della navata, sulla destra, ecco la
Cappella di S. Caterina, fatta costruire nel
1460 da Niccolò Bensi per ospitare la testa
della Santa Patrona d’Italia conservata nello
stupendo altare marmoreo, opera di Giovanni
di Stefano (1469). A destra, due leggiadri
angeli reggono un candelabro, la reliquia è al
centro, protetta da una grata, sopra un deli‐
cato busto della Santa. Sotto la mensa
dell’Altare è sepolta la Beata Caterina dei
Lenzi. Mirabili gli affreschi che ricoprono per
intero la cappella, cominciati dal Sodoma, che
raffigurò con eccezionale intensità (il grande
artista piemontese ebbe a Siena una seconda
patria) lo Svenimento mistico e L’estasi della
Santa (1526). Ancora all’arte finissima del
Sodoma vanno attribuite la Decapitazione di
Niccolò di Tuldo, vivace e drammatica scena,
e l’elegante decorazione a lato dell’Altare e
all’interno dell’Arco (grottesche).
La decorazione, interrotta, fu ripresa da Fran‐
cesco Vanni che dipinse a olio sulla parete
destra, S. Caterina libera un’ossessa e
nell’intradosso, Scene della vita del Beato
Tommaso Nacci. Bellissimo, infine, l’effetto
- 8. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 8
prodotto dalla cupoletta in alto e dalla pavi‐
mentazione a marmi mischi con scena mitolo‐
gica.
SACRESTIA
Continuando, oltre la cappella della Santa,
ecco la sagrestia con bellissimo altare con
telo‐stendardo del Sodoma e raffigurante
L’Assunta. Sul soffitto, leggibili appena, tracce
di affreschi trecenteschi e, a lato, cappellina,
residuo dell’antica sacrestia sacrificata per la
cappella della Santa.
Tornando nella navata, bel frammento di
affresco con Madonna in trono e Bambino
benedicente un guerriero, attribuita a un gio‐
vane Pietro Lorenzetti. Subito dopo, ecco un
capolavoro di Francesco di Giorgio Martini,
Adorazione dei pastori. E’ questa una delle
migliori opere pittoriche del maestro senese
(1475/80) e segna un avvicinamento, anche a
Siena, alle opere e allo spirito botticelliano.
L’amplissimo transetto è intervallato da cap‐
pelle e chiuso a destra dall’Altare dedicato al
Beato Sansedoni. Tornando alla sagrestia, una
visita la merita l’antica cripta con murati
frammenti scultorei provenienti da antiche
costruzioni ecclesiali. La cripta a tre navate è
un bell’esempio di gotico senese e conserva
una bellissima Croce a fondo oro di Sano di
Pietro. Da vedere infine il chiostro quattro‐
centesco, purtroppo molto rimaneggiato, con
bei pilastri di Antonio di Niccolò da Settigna‐
no.
Riguadagnando l’uscita, vale la pena godersi
la visione esterna di questa chiesa immersa, a
valle della città, fra il borgo e la campagna,
svettante con la sua torre e le sue grandi
pareti gotiche.
Ingresso (21)
La Cappella delle Volte (1). Canonizzazione di
Santa Caterina di Mattia Preti(2) , affiancata
da due dipinti (la Santa dona l'abito a Gesù
pellegrino e riceve da Cristo la crocetta) fir‐
mati e datati 1602 da Crescenzio Gambarelli,
autore pure, nella parete adiacente, della
Morte della Santa e della Santa che recita
l'uffizio con Cristo (1602), collocate ai lati
dell'Apparizione di Caterina a Santa Rosa da
Lima di Deifebo
Burbarini. Affre‐
sco di Andrea
Vanni con Cate‐
rina e una devo‐
ta, veritiero
ritratto della
santa(3) .
La parete sini‐
stra della navata
Madonna col
Bambino di Fran‐
cesco di Vannuc‐
cio, incorniciata
da una tavola del
Sodoma con
l'Eterno e Santi e completata dalla predella
con quindici Storie neotestamentarie riferite
ad Antonio Magagna (17); il Sant'Antonio
Abate che libera una indemoniata di Rutilio
Manetti (1628) (18); lo Sposalizio mistico di
Santa Caterina d'Alessandria di Sebastiano
Folli (19); il San Giacinto che salva da un in‐
cendio una statua della Vergine e un ostenso‐
rio di Francesco Vanni (1600) (20).
La cappella di Santa Caterina
La parete destra della navata
Nella parete destra della navata si trovano
l'Apparizione della Vergine al Beato Gallerani
di Stefano Volpi (1630) (4), la Natività della
Vergine di Alessandro Casolani (1585) (5), e
una teca contenente reliquie di Santa Cateri‐
na (6).
Segue la cappella di Santa Caterina (7), voluta
nel 1466 da Niccolò Bensi per custodire la
reliquia della testa della santa, collocata al
centro dell'altare di Giovanni di Stefano, or‐
nato lateralmente da due affreschi del Sodo‐
ma (Svenimento ed Estasi della Santa), autore
anche della Morte di Niccolò di Tuldo sulla
parete sinistra; di fronte è la Santa che libera
un'ossessa di Francesco Vanni (1593‐1596).
Completa la cappella il quattrocentesco pavi‐
mento marmoreo con la raffigurazione di
Orfeo e gli animali, attribuito a Francesco di
Giorgio.
- 9. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 9
La parete destra della navata continua con un
affresco staccato di Pietro Lorenzetti
(Madonna col Bambino, San Giovanni Battista
e un cavaliere) e l'Adorazione dei pastori di
Francesco di Giorgio (9), completata dalla
lunetta di Matteo di Giovanni e dalla predella
di Bernardino Fungai.
Il transetto
Il transetto destro è ornato sul fondo dall'al‐
tare dedicato al Beato Ambrogio Sansedoni
(11), raffigurato nella tela di Francesco Rustici
(1611‐1612) collocata al centro.
Tra le cappelle si segnalano la seconda, per i
monumenti sepolcrali dei defunti della
"Nazione tedesca", e la terza per la Madonna
col Bambino ed i Santi Girolamo e Giovanni
Battista di Matteo di Giovanni (1476) (13).
La quarta cappella (15), oltre l'altare maggio‐
re, presenta una Crocifissione con i Santi Eu‐
genio e Benedetto di Raffaello Vanni (1649) e
un Sant'Antonio Abate intagliato da France‐
sco di Valdambrino e policromato da Martino
di Bartolomeo (1426). La Maestà di Guido da
Siena (riferibile, nonostante la data 1221, al
1265‐1270 e ridipinta da un pittore duccesco
nei volti della Vergine e del Bambino) è collo‐
cata al centro della quinta cappella (16), dove
si trovano la Madonna col Bambino e i Santi
Gregorio, Giacomo, Girolamo e Sebastiano di
Benvenuto di Giovanni, la Santa Barbara con
le Sante Maria Maddalena e Caterina d'Ales‐
sandria (nella lunetta l'Adorazione dei Magi)
di Matteo di Giovanni (1479) e, in alto, due
affreschi di Giuseppe Nicola Nasini (Storie di
San Giacinto e del Beato Sansedoni). Il tran‐
setto sinistro è concluso dall'altare di San
Domenico e dall'ottocentesco Monumento di
Giuseppe Pianigiani (Enea Becheroni e Tito
Sarrocchi).
Altare e abside
Il recente altare maggiore (14) è abbellito dal
ciborio e dai due angeli di Benedetto da
Maiano (1475‐1480) mentre nell'abside sono
collocate la Morte di San Pietro Martire di
Arcangelo Salimbeni (1579) e San Tommaso
di fronte al papa di Galgano Perpignani.
FONTEBRANDA
L’imperatore Carlo V, in occasione di una
visita alla città, dichiarò che Siena sotterranea
è più bella di quella che sta alla luce del sole.
Senza dubbio, si riferiva all’antico acquedotto
medioevale, che si estende per quasi 25 chilo‐
metri di gallerie tutte praticabili, e che tuttora
rifornisce le varie fonti, collocate nei punti
strategici del centro storico. Gli splendidi
cunicoli sotterranei, chiamati “bottini” per la
loro particolare forma a botte, sono i resti di
antiche condotte destinate alle fonti pubbli‐
che.
Fonte Branda è forse la più famosa e sicura‐
mente tra le più antiche fonti senesi. Situata
nella via omonima, a ridosso della Rupe di
San Domenico (o Colle del Costone), essa è
stata per secoli la fonte che permetteva
l’approvvigionamento idrico di gran parte
della città. Ha un suo fascino particolare ed
una fama che ha oltrepassato i confini senesi.
Documentata fin dal 1081 ed ampliata dal
Bellamino nel XII secolo, fu ristrutturata nelle
attuali forme gotiche da Giovanni di Stefano
verso la metà del Trecento. Interamente co‐
struita con mattoni, ornata di merli, sormon‐
tata da timpani e da quattro doccioni leonini
che racchiudono lo stemma di Siena, caratte‐
rizzata da tre poderosi archi a sesto acuto che
formano la sua struttura, Fonte Branda somi‐
glia più ad una piccola fortezza che ad una
fonte tradizionale. Forse a causa
dell’iscrizione che vi appare, si ritiene che
questa fonte sia quella citata da Dante nel
canto XXX dell’Inferno, ma studi recenti pro‐
vano che il sommo poeta si riferisce ad un'al‐
tra fonte ‐ omonima ‐ che si trova presso il
Castello di Romena, in provincia di Arezzo.
SANTUARIO DI SANTA CATERINA
Il rione di Camollìa è famoso ‐ tra l’altro ‐ per
aver dato i natali a Santa Caterina, figlia del
tintore Jacopo Benincasa che, con la moglie
Lapa e i ventiquattro figli, abitava in una casa
probabilmente di proprietà della corporazio‐
ne dell’Arte della Lana. Acquistata dal Comu‐
ne di Siena nel 1466, pochi anni dopo la cano‐
nizzazione della Santa (avvenuta nel 1461,
- 10. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 10
per opera di papa Pio II Piccolomini), fu, per
volere degli stessi cittadini, trasformata in
oratorio. I lavori iniziarono dalla parte più
bassa, da quel fondaco usato come tintoria
dalla famiglia Benincasa. L’Oratorio della
Tintoria fu realizzato da Francesco di Duccio
del Guasta con l’aiuto di Corso di Bastiano tra
il 1465 e il 1474. Alle decorazioni lavorarono
anche Antonio Federighi e Urbano da Cortona
(a quest’ultimo si deve la lunetta del portale,
la Santa Caterina tra due angeli). L’esterno fu
ristrutturato da Giuseppe Partini, Pietro Mar‐
chetti e Giuseppe Maccari nel 1877.
La chiesa, che è oratorio della Nobile contra‐
da dell’Oca, presenta una
navata con volta a crocie‐
ra e conserva una splen‐
dida Santa Caterina in
legno policromo, opera
del Neroccio (1474). Risa‐
lendo la strada a sinistra,
dalla costa di
Sant’Antonio si accede al
Santuario cateriniano che
racchiude l’abitazione
dalla Santa. Questa si
affaccia sul vicolo del Tiratoio, dove si scorge
un portale in pietra che presenta
nell’architrave l’iscrizione “Sponsae Kristi
Catherinae Domus” e che era l’ingresso origi‐
nario al complesso cateriniano prima che, nel
1941, venisse costruito il Portico dei Comuni.
Da qui si accede all’Oratorio del Crocifisso, a
una navata, decorato da affreschi per lo più di
mano di Giuseppe Nicola Nasini, che conserva
un Crocifisso su tavola di scuola pisana del
primo Duecento, davanti al quale Caterina
avrebbe ricevuto le stimmate. Attiguo è
l’Oratorio Superiore o della Cucina, probabil‐
mente ricavato ‐ in parte ‐ nella cucina della
famiglia Benincasa e coperto da un bel soffit‐
to a cassettoni, con opere del Riccio, France‐
sco Vanni, Bernardino Fungai, Manetti e Po‐
marancio. Quindi, si scende all’Oratorio della
Camera affrescato da Alessandro Franchi nel
1896 e all’altare dove si trova La Santa che
riceve le stimmate di Girolamo di Benvenuto.
Accanto è la cella in cui la santa si dedicava
alla preghiera.
IL DUOMO
Opera insigne dell’architettura nazionale ed
europea. Vi si accede dalla via del Capitano,
arrivando alla Piazza del Duomo.
PIAZZA
L’edificio di culto domina la spianata, con il
suo lunghissimo fianco policromo (bianco e
nero, colori della città) e la sua ricchissima
facciata che quasi si nasconde rispetto alla
mole complessiva. La cattedrale prese il posto
di un edificio più antico, un Castrum romano,
trasformato nell’Alto Medio Evo in una strut‐
tura di proprietà vescovile
che constava di una picco‐
la cappella. Il primo nucleo
del Duomo, oggi scompar‐
so, risaliva alla fine del XII
secolo (tradizionalmente si
vuole che la consacrazione
risalga al 18 Novembre
1179), ma i principali lavo‐
ri e la completa trasforma‐
zione si ebbe all’inizio del
XIII secolo ad opera del
geniale architetto Nicola Pisano che inizia a
lavorare qui dopo il 1215 e, dopo la sua mor‐
te, lascia il cantiere a suo figlio, Giovanni Pisa‐
no. Dal genio dei due architetti‐scultori ven‐
gono la cupola, compiuta nel 1263, coperta
con lastre di piombo e culminata da una
‘mela’, sfera di rame dorato (la lanterna è
invece un rifacimento in stile del 1667),
il campanile, ottenuto da uno preesistente, e,
soprattutto, la facciata, splendida, divisa in
tre portali.
Se spesso la critica ne ha sottolineato la diso‐
mogeneità stilistica, dovuta al lungo tempo
della costruzione, non ha potuto negarne lo
splendore e la ricchezza. A Giovanni Pisano si
devono le belle statue marmoree di Santi,
Profeti e Sibille che si inseriscono nel tessuto
della facciata.
Anche le colonne a girali, bellissime, reggenti
l’architrave del portale maggiore sono della
stessa mano.
- 11. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 11
A onor del vero, però, sarebbe più giusto dire
che sono copie, pregevoli, delle originali tra‐
sportate nell’Ottocento, per conservarle e,
anche, secondo la mentalità restaurativa
dell’epoca, per dare alla facciata un aspetto
più sgargiante, nel Museo dell’Opera del Duo‐
mo.
L’architrave è, invece, originale e fu scolpito
da Tino da Camaino alla fine del Duecento.
Del Trecento, dopo l’interruzione dei lavori,
sono invece la parte terminale del rosone
centrale e le tre cuspidi, opera
di Giovanni di Cecco. Mediocri
invece i mosaici su Disegni di
Alessandro Franchi e di Luigi
Mussini (1877) che rappresen‐
tano l’Incoronazione della Ma‐
donna, La Natività e La presen‐
tazione di Gesù al Tempio. Del
Seicento, invece, i busti di Beati dei frontoni
che sovrastano i tre portali della facciata,
opera di Tommaso Redi.
Il pavimento del sagrato era ricco di decora‐
zioni marmoree, introduzione a quelle famo‐
sissime dell’interno, purtroppo oggi scompar‐
se e sostituite con poco interessanti copie
moderne.
SPEDALE SANTA MARIA DELLA SCALA
Subito davanti la facciata della chiesa si erge
l’insolito prospetto dello Spedale Santa Ma‐
ria della Scala, sorto nel Medio Evo come
ospedale per i pellegrini e fanciulli, è oggi
interessante museo e luogo di cultura. Istitu‐
zione fondamentale negli equilibri ammini‐
strativi della città medievale e moderna, lo
Spedale si consolida nel Trecento e invita per
la sua decorazione alcuni dei più importanti
artisti dell’epoca.
Sono circa 350.000 i metri cubi che compon‐
gono questa immensa fabbrica che, sottopo‐
sta a un recente e accurato restauro, ha sve‐
lato infiniti tesori d’arte. Dall’ingresso su piaz‐
za Duomo, è assolutamente meritevole di una
visita la Cappella del Manto con un
bell’affresco di Domenico Beccafumi e il Pas‐
seggio, grande e severo corridoio. Il cuore
dello Spedale è, però, il Pellegrinaio che occu‐
pa longitudinalmente buona parte
dell’architettura. La sua decorazione mostra
la mano abile di Domenico di Bartolo, di Lo‐
renzo Vecchietta e di Priamo della Quercia. La
vicina sagrestia vecchia conserva, poi, un bel
ciclo di affreschi del Vecchietta. Sotto le sale
del pianterreno, lo Spedale si snoda attorno
ai cosiddetti Magazzini delle Corticella, grandi
spazi adibiti, un tempo, a deposito e ora luo‐
ghi espositivi. Ancora più giù, lo Spedale si
sviluppa in una serie caratteristica di vani,
dall’intricata disposizione,
detti appunto labirinti che
ospitano oggi il Museo
archeologico di Siena con
reperti romani rinvenuti
nel territorio.
Accanto allo Spedale, si
trova la chiesa della San‐
tissima Annunziata, di pianta duecentesca,
ingrandita successivamente e contenente un
bel Cristo portacroce in bronzo del Vecchietta
e un gigantesco affresco raffigurante la Pro‐
batica piscina di Sebastiano Conca.
Uscendo dalla Chiesa, sulla sinistra, il bel Pa‐
lazzo della curia Arcivescovile, dai tratti pre‐
cocemente neogotici (inizio XVIII secolo) e il
Palazzo Reale, un tempo dimora dei Medici,
dopo la conquista fiorentina di Siena. Oggi è
sede della provincia e conserva al suo interno
un bellissimo ciclo di arazzi cinquecenteschi
su disegno dell’Allori.
Seguendo il fianco destro del Duomo, eccoci
al ‘facciatone’, resto imponente e malinconi‐
co della grande fabbrica mai finita del Duomo
‘nuovo’.
Vicino a una delle porte della chiesa incom‐
piuta, troviamo l’ingresso al Museo
dell’Opera Metropolitana.
DUOMO NUOVO
Vale la pena, prima di entrare, di osservare
meglio la piazza, per guardare quelle strane
mura, forate da bifore che si estendono dal
fianco della chiesa. Sono tutto ciò che resta di
uno dei più ambiziosi tentativi
dell’architettura cristiana. Da poco completa‐
to l’impianto dell’attuale fabbrica del Duomo,
- 12. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 12
i senesi si lanciarono in una “folle impresa”,
come la definì Enzo Carli.
Giunta al culmine della ricchezza culturale ed
economica, la città, per delibera del Consiglio
Generale della Campana, decise, nel 1339, di
iniziare la costruzione di una ben più ampia
cattedrale di cui l’attuale costruzione sarebbe
stata semplicemente il braccio corto trasver‐
sale della croce latina! Se compiuto, si sareb‐
be trattato del più grande Tempio della cri‐
stianità. Sotto la direzione di Lando di Piero,
prima, e di Giovanni d’Agostino, poi, l’opera
fu intrapresa con fervore, tanto che in pochi
anni si costruì un lato delle mura del corpo
centrale a tre navate, ancora oggi visibile.
Questa torre di Bebele sacra crollò, però,
all’arrivo della Peste Nera del 1348 che deci‐
mò committenti, progettisti e, soprattutto,
operai.
I lavori furono interrotti del tutto nel 1357,
lasciandoci però un’idea suggestiva di questa
chiesa irrealizzata: le colonne delle tre navate
su quella che è oggi Piazza Jacopo della Quer‐
cia, le mura del fianco, i resti del ‘facciatone’
e il bellissimo portale sotto il quale si passa
per accedere al Battistero.
INTERNO
All’interno della cattedrale non si può non
rimanere colpiti dalla severità e, insieme,
dalla grandiosità di que‐
sta opera imponente,
esaltata da pilastri in
marmo a strisce bianco e
nere (simbolo cittadino).
La bicromia, già presen‐
te in facciata, scandisce
la struttura e introduce
alle grandi opere pre‐
senti nelle tre navate
che compongono il cor‐
po della chiesa, nel transetto, nell’abside,
nelle strutture laterali.
PAVIMENTO
Per osservare, però, il primo capolavoro della
chiesa basterà abbassare lo sguardo e muo‐
versi con attenzione nel tracciato che i restau‐
ratori, dopo l’ultimo, recentissimo, intervento
hanno inserito. Potremo godere così del pavi‐
mento marmoreo delle tre navate. Si tratta di
un magnifico pavimento con storie e figure in
marmo a colori e a sgraffio. L’opera è frutto,
come la facciata, di diverse mani e di diverse
epoche. Si può dire che i riquadri marmorei
vanno dal 1373 al 1547. Inutile dire, forse,
che il calpestio dei secoli ha provocato non
pochi danni alle figure che spesso sono state
rifatte o restaurate. Restano comunque ben
visibili tutte le scene. Partendo dall’ingresso
alla navata centrale, troviamo: Ermete Trime‐
gisto di Giovanni di Stefano, La Lupa senese di
ignoto del sec. XIV,
L’Aquila imperiale, sempre di ignoto autore, Il
colle della Virtù, opera somma del Pinturic‐
chio (1505), dove si scorgono dei Saggi, guida‐
ti dalla Fortuna, arrivare su di un’isola e sca‐
larne il colle sormontato da una Virtù, splen‐
dida donna accompagnata da Socrate e Cra‐
tete; chiude una Ruota della Fortuna e del
Potere, attribuita a Domenico Niccolò. Le
navate laterali sono arricchite da una serie di
Sibille, su disegni del Cozzarelli, di Matteo di
Giovanni, di Benvenuto di Giovanni, di Urba‐
no da Cortona, che però molto hanno subito
dalle ingiurie del tempo e da maldestri re‐
stauri.
Buona è invece la conservazione delle scene
sotto la cupola, del tran‐
setto e dell’abside, che
sono ricchissime e testi‐
moniano oltre che diver‐
se mani, anche diverse
modalità di interpreta‐
zione concettuale.
Le tredici scene sotto la
cupola sono, infatti, di
Domenico Beccafumi e
del suo allievo Giovan
Battista Sozzini che le disegnò con tratto or‐
mai quasi manierista. Le scene del transetto
sono in parte ancora del Beccafumi, ma so‐
prattutto di vari artisti senesi del Quattrocen‐
to e hanno impronta più nettamente umani‐
sta. Fra queste ricordiamo La strage degli
Innocenti, ancora di Matteo di Giovanni.
- 13. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 13
Tornando alla chiesa, possiamo osservare
nella navata centrale, le belle acquasantiere
di Federighi (1466) che riprendono una sim‐
bologia pagano‐cristiana, tipica del Rinasci‐
mento e di questo edificio in particolare (e già
vista nel riquadro pavimentario del Pinturic‐
chio).
Uno sguardo lo merita, girandosi indietro,
anche il rosone a vetri, opera cinquecentesca
di Pastorino Pastorini, raffigurante l’Ultima
cena. Belli, inoltre, i bassorilievi con Storie di
S. Ansano, d’incerta attribuzione, posti
sull’architrave e quelli con Storie di Maria,
posti nella loggia in controfacciata, di Urbano
da Cortona.
In fondo alla navata, si apre la bella cupola
dalla forma asimmetrica e sorretta da sei
pilastri, al sommo dei quali sono Statue gigan‐
tesche in stucco dorato dei Santi Patroni di
Siena (S. Caterina e San Bernardino su tutti).
Le nicchie trasformano il tamburo della cupo‐
la in dodecagono e sono intervallate da 42
colonnine che formano una galleria cieca,
dentro la quale sono dipinti in monocromo
Profeti e Patriarchi. Sull’innesto della cupola
sul dodecagono si notano piccole sculture di
teste umane e animalesche attribuita a Nicola
Pisano.
CAPPELLA DEL VOTO
Dalla cupola, ci si sposta al transetto di de‐
stra, dove si apre la cappella del Voto che
accoglie un’immagine carissima alla città di
Siena, che, anche nel Medio Evo, era forte‐
mente immersa nel culto mariano: La Madon‐
na col Bambino ora attribuita a Dietisalvi di
Speme. Attorno a questo culto, dell’icona
della Madonna con il Figlio, si è costruito il
più bell'intervento barocco della città, per
volere di Papa Alessandro VII e per mano di
Gian Lorenzo Bernini, incaricato dell’opera
nel 1660.
Al Bernini e alla sua enorme maestria dobbia‐
mo le due sculture che aprono la cappella: La
Maddalena, vero virtuosismo barocco, e San
Girolamo. La cappella è a pianta circolare con
otto belle colonne di marmo verde antico
che, si dice, furono fatte portare qui da S.
Giovanni in Laterano. Ai lati dell’immagine
sacra, posta dentro una teca retta da due
angeli dorati e sormontata da due putti e
dallo stemma pontificio, pregevoli le statue in
marmo di San Bernardino e Santa Caterina, di
Ercole Ferrata e di Antonio Raggi.
Uscendo dalla cappella, si noti un capolavoro
di Mattia Preti, il Cavaliere calabrese, La pre‐
dica di San Bernardino (1670), opera intensa
nei suoi giochi chiaroscurali e nella distribu‐
zione dei personaggi.
ALTAR MAGGIORE
Al centro dello spazio del transetto del Duo‐
mo, troviamo il bellissimo Altar maggiore,
opera straordinaria di Baldassarre Peruzzi
(1532). In bronzo e marmo, l’altare conserva
una sobrietà geometrica interrotta
dall’imponente verticalità del Tabernacolo
bronzeo del Vecchietta, posto al centro.
L’opera fu collocata qui dal despota Pandolfo
Petrucci, nel 1506, per sostituire la Maestà di
Duccio non più rispondente al gusto dell'epo‐
ca. I begli Angeli in bronzo sono di Giovanni di
Stefano (coppia in alto) e di Francesco di Gior‐
gio (coppia in basso). Bellissimi anche gli altri
Angeli, posti sulle colonne prossime al presbi‐
terio, otto in tutto, capolavoro del Beccafumi.
L’abside è ancora intervento tardo (1525) del
Peruzzi che vi aprì una nicchia, coperta fra il
1535 e 1544 dagli affreschi del Beccafumi,
Ascensione di Gesù e Madonna e apostoli,
purtroppo in gran parte compromessi da
interventi successivi. Le zone laterali
dell’abside sono invece opera pittorica di
Ventura Salimbeni (1608‐1611) con scene
bibliche e Santi e Beati senesi.
Capolavoro fra i capolavori, nell’abside è la
grande vetrata centrale, una delle più impor‐
tanti testimonianze dell’arte vetraria italiana,
adesso trasportato nel Museo dell'Opera del
Duomo.
Si ritiene eseguita su cartoni di Duccio nel
1288 e qui collocata, dopo i lavori, nel 1365.
E’ divisa in nove zone: il Seppellimento di
Maria e L’Assunzione; i quattro Evangelisti; i
Santi Patroni Ansano, Savino, Crescenzio e
Bartolomeo.
- 14. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 14
CORO
Sotto l’occhio della vetrata, rischia di passare
in secondo piano lo splendido coro ligneo
costruito nel Trecento, ma con vari interventi
successivi e con stalli intagliati e splendido
leggio disegnato dal Riccio ed eseguito da
Domenico Cafaggi e Benedetto di Giovanni.
Accanto al coro, si apre una sagrestia con
alcuni altari quattrocenteschi e una serie di
affreschi con scene mariane, attribuiti a Bene‐
detto di Bindo e realizzati intorno al 1410.
Sulla parete dell’ingresso, resti di affreschi
attribuiti a Domenico di Bartolo e un elegante
tabernacolo.
PULPITO
Subito oltre, lo splendido Pulpito del Duomo,
realizzato da Nicola Pisano e dalla sua bottega
tra il 1265 e il 1269. È stato per lungo tempo
attribuito a Giovanni Pisano. E’ una delle ope‐
re scultoree medievali più celebri d’Italia,
vicina per bellezza agli altri grandi
pulpiti toscani di Pisa e Pistoia
(sempre dei Pisano).
La struttura venne, infatti, ripresa
dal precedente pulpito del Batti‐
stero di Pisa (sette colonne delle
quali tre con leoni stilofori, archet‐
ti trilobati con pennacchi scolpiti e
statue a tutto tondo al di sopra dei
capitelli), ma molte furono le novi‐
tà sia architettoniche che nelle
sculture. Innanzitutto, venne aboli‐
ta la struttura a pannelli scolpiti a
favore di uno schema più continuo
e animato, ricchissimo di figurazio‐
ni di animali e uomini, intervallato solo da
sculture di figure più grandi collocate agli
angoli, anziché dalle cornici e dalle colonnine.
La base è ottagonale invece che esagonale e
per questo venne aggiunta la Strage degli
Innocenti, mentre il Giudizio Universale venne
dilatato su due pannelli, con al centro il Cristo
giudice.
Le scene quindi sono:Natività,Adorazione dei
Magi, Presentazione al tempio, Crocefissione,
Strage degli Innocenti,Giudizio Universale
Le scene sono molto affollate e le figure sono
disposte su ben quattro o cinque piani so‐
vrapposti, secondo un ritmo molto concitato,
sottolineato anche da gesti animati ed e‐
spressioni drammatiche, ma straordinaria‐
mente unificato dalle direzionalità dei perso‐
naggi che in perfetto ordine, orientano con la
semplice posizione del capo i pannelli e la
lettura dello spettatore.
Bellissimi i classici leoni stilofori che reggono
la struttura che fu più volte smontata e ri‐
composta, ed ebbe questa definitiva colloca‐
zione grazie a un progetto del Riccio (1543)
che la poggiò sullo zoccolo e ne ridisegnò la
scala.
CAPPELLA DI SAN GIOVANNI BATTISTA
Nei pressi del pulpito, si apre la bella cappella
di San Giovanni Battista che custodisce la
reliquia del braccio del santo e sul fondo della
cappella ospita una delle opere più belle della
scultura rinascimentale: il San
Giovanni Battista del Donatello.
E’ opera in bronzo tarda, ma
celebratissima del maestro fio‐
rentino, databile al 1457. Mirabi‐
le la resa ‘realistica’ del volto e
delle carni emaciate del santo
nelle quali si inseriscono giochi di
luce e ombre, esaltate dalla veste
del Battista. Ne risulta un effetto
quasi romantico, ribelle alla com‐
postezza classica, ma di straordi‐
nario pathos emotivo.
Tutt’intorno, la cappella è impre‐
ziosita dagli affreschi di Bernardi‐
no da Betto Pinturicchio, quasi un assaggio
dello splendido ciclo pittorico portato a termi‐
ne nella adiacente Libreria Piccolomini. Si
tratta di otto riquadri in puro stile rinascimen‐
tale: Ritratto di Giovane cavaliere in paesag‐
gio marino, Natività del Battista, Decollazione
del Battista, Ritratto dell’Aringhieri, il Battista
nel deserto, Battesimo di Gesù, Battista visita‐
to in carcere dai discepoli, Predica del Batti‐
sta.
Fuori dalla cappella, superata la Lastra tom‐
bale in bronzo del vescovo Pecci con uno
- 15. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 15
splendido bassorilievo anch’esso del Donatel‐
lo, si può ammirare la Tomba del cardinale
Petroni, realizzata da Tino di Camaino nel
1317.
E’ uno dei primi esempi di grandi monumenti
sepolcrali e colpisce per il suo rigore e la sua
intensità.
LIBRERIA PICCOLOMINI
Si arriva infine all’ingresso della splendida
Libreria Piccolomini. Fu voluta nel 1492
dall'Arcivescovo di Siena Cardinale Francesco
Piccolomini Todeschini (poi Papa Pio III Picco‐
lomini) perché vi fosse custodito il ricchissimo
patrimonio librario raccolto dallo zio Papa Pio
II Piccolomini. Per questo si trasformarono
alcuni locali della vecchia canonica in una
grande sala, con ingresso dallo stesso Duomo,
navata di sinistra. Un grande affresco raffigu‐
rante L’incoronazione di Pio III, il committente
della fabbrica, sempre del Pinturicchio, sotto‐
linea l’entrata al nuovo ambiente. La porta di
bronzo, attraverso cui si accede, immette
nella Libreria che non vide mai però i libri di
Pio II, ma che fu rivestita di magnifici affreschi
sul soffitto e sulle pareti dal Pinturicchio,
dopo la morte di Pio III (1503), fra il 1505 e il
1507. Alle pareti sono dieci grandi scene at‐
traverso la cui lettura è possibile ricostruire la
vita di Enea Silvio Piccolomini, Papa Pio II.
Le immagini sono distribuite su tre delle quat‐
tro pareti (fa eccezione quella della finestra) e
la loro lettura deve avvenire da destra verso
sinistra analogamente al percorso del sole.
Alle prime quattro scene raffiguranti il giova‐
ne Enea al servizio del Concilio di Basilea ne
fanno seguito due che evidenziano il ruolo di
intermediazione che egli svolse tra papa e
imperatore.
Concludono il ciclo le immagini relative ai
momenti salienti del suo pontificato, dall'ele‐
zione a papa all'arrivo ad Ancona, città nella
quale alla vigilia di una importante crociata, il
papa morirà. Degno di nota, infine, è il soffit‐
to della Libreria raffigurante temi mitologici.
Accanto alla decorazione a grottesche carat‐
terizzata da elementi vegetali, appaiono figu‐
re allegoriche che sottolineano il tema del
divenire ovvero l'alternanza tra la Vita e la
Morte. Da non molto è ritornato, al centro
della libreria, il gruppo marmoreo delle Tre
Grazie, proveniente da Roma quale dono del
cardinale Todeschini. Ma con gli affreschi del
Pinturicchio, le opere più ammirate e prezio‐
se sono i grandi antifonari conservati nelle
apposite vetrine, sotto gli affreschi. Le favolo‐
se miniature che decorano molte pagine di
questi antifonari appartengono alla storia
della grande miniatura italiana; da vedere e
rivedere, in particolare, le splendide pagine di
Girolamo da Cremona e di Liberale da Vero‐
na, maestri in quest’arte, chiamati apposita‐
mente a Siena per l’esecuzione di queste
opere.
Uscendo dalla cappella, troviamo ancora un
capolavoro che dobbiamo alla famiglia Picco‐
lomini e cioè il gigantesco Altare marmoreo
fatto edificare da Francesco Piccolomini nel
1481 a gloria del suo casato. Fu commissiona‐
to al lombardo Andrea Bregno che lo eseguì
con gusto del dettaglio e ricchezza di figure.
La morte prematura del Bregno, portò il Car‐
dinale Piccolomini a chiedere un intervento,
prima, di Pietro Torreggiani, che eseguì, però,
solo un S. Francesco, poi, di Michelangelo che
eseguì, fra il 1503 e il 1504, un S. Pietro, un S.
Paolo, un S. Pio e un S. Gregorio. Sono opere
minori del grande artista, ma soprattutto
nelle prime due raffigurazioni è facile ricono‐
scere la mano geniale di Buonarroti. Questi,
però, non concluse tutte le statue lasciando
due nicchie vuote, una tuttora visibile in alto
a destra, l’altra riempita più tardi da una bella
Madonna col Figlio, già attribuita a Jacopo
della Quercia ma ora ricondotta a Giovanni di
Cecco. Rimane anche questo altare uno
splendido esempio di quella composita crea‐
zione di opere che nel Duomo di Siena ha
coinvolto diversi e grandissimi artisti del Rina‐
scimento italiano.
Proseguendo verso l’uscita, sempre sulla
navata sinistra, si può ammirare, infine,
L’adorazione dei Magi, bel dipinto cinquecen‐
tesco di Pietro Sorri.
- 16. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 16
PIAZZA DEL CAMPO
Centro e cuore della città, questo luogo rivo‐
luziona l’idea stessa della piazza italiana me‐
dievale, rifiutando, spazial‐
mente, l’imposizione di una
planimetria convenzionale e,
concettualmente, qualsiasi
commistione fra potere pub‐
blico e potere religioso.
Nata su un terreno fragile e
fangoso, su cui convergevano
le piccole vie dell'antica città, la piazza per
secoli ha rappresentato un grosso problema
urbano per Siena.
Fu proprio in epoca romana che il luogo ven‐
ne bonificato completamente, restando però
un centro periferico. Il nucleo della città in
formazione si trovava più in alto, nella zona di
Castelvecchio, e il futuro "Campo" era uno
spazio per i mercati, appena laterale rispetto
alle principali strade di comunicazione che
passavano per la città.
Il primo documento che parla di sistemazione
dello spazio del Campo è del 1169 e si riferi‐
sce a tutta la vallata comprendente sia l'attu‐
ale piazza che la Piazza del Mercato, al giorno
d'oggi retrostante al Palazzo Comunale. In
questa data, la comunità senese acquista il
terreno che andava dalle attuali Logge della
Mercanzia all'attuale Piazza del Mercato.
La prima notizia di una suddivisione delle due
piazze si ha nel 1193 e fa dedurre che nel
frattempo fosse stato costruito almeno un
muro divisorio: da una parte, quindi, il Campo
che assume una particolare forma ‘a
conchiglia’, dall’altra il Mercato. Intorno al
muro, inizia la costruzione di fabbriche e bot‐
teghe.
Fino al 1270, lo spazio della futura piazza
viene usato per fiere e mercati. Caduto il
governo dei Ventiquattro, esempio di dispoti‐
smo aristocratico, nasce l’idea di uno spazio
indipendente sia dal potere ecclesiastico che
da quello nobiliare. E’ questo il grande pro‐
getto civico che porta alla costruzione del
Palazzo Pubblico e, conseguentemente, alla
centralità urbana del Campo.
Sarà il governo dei Nove a cominciare lenta‐
mente l’attuazione del progetto. All’inizio del
Trecento il Palazzo è compiuto e i Nove vi
prendono alloggio nel 1310.
Da quel momento, inizia la
progressiva decorazione e
miglioria della piazza.
La pavimentazione della piaz‐
za inizia nel 1327 e termina
nel 1349. Ancora oggi, la par‐
te centrale è pavimentata in
modo analogo, con la suddivisione in nove
spicchi a memoria del Governo dei Nove. Il
Campo con la sua splendida forma ‘a
conchiglia’ era cinto da ricchi palazzi medie‐
vali che i secoli, però, hanno fortemente tra‐
sformato, privandoli di alcune loro caratteri‐
stiche senza alterare per altro il colpo
d’occhio complessivo. Di
fatto, al di là dei singoli interventi sui fabbri‐
cati, il filo e l’insieme della piazza si manten‐
gono inalterati da quasi sette secoli (un pro‐
getto per coronare la piazza di logge, firmato
da Baldassare Peruzzi, fu accantonato nel
Cinquecento).
FONTE GAIA
La fonte trae l'acqua dalla zona nord fuori
della città, lungo un crinale che non incontra
valli o depressioni. Per trasportare l’acqua
fino alla piazza, Giacomo Vanni di Ugolino
(detto poi dell’Acqua) impiegò otto anni per
scavare grandi canali sotterranei detti bottini.
L’acqua arrivò alla fonte nel 1342, seguita da
una grande festa dei senesi (per questo la
fonte è detta gaia). È la regina delle fonti
senesi sia per la sua posizione, la Piazza del
Campo, sia soprattutto per l'indubbio valore
artistico. Della fonte Gaia del Trecento (che
pure aveva una bella decorazione scultorea)
quasi niente sappiamo, tranne che fu sostitui‐
ta dal celebre complesso attuale all’inizio del
Quattrocento. L'opera, che Jacopo della
Quercia scolpì tra il 1409 e il 1419, deve, in‐
fatti, essere considerata tra le maggiori e‐
spressioni della scultura italiana del Quattro‐
cento.
- 17. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 17
La fonte che oggi il turista può ammirare è la
copia di Tito Sarrocchi che dal 1858 sostitui‐
sce l'originale, rovinata dal trascorrere dei
secoli e i cui resti si trovano al complesso
museale del Santa Maria della Scala.
L'acqua che non viene utilizzata giunge, tra‐
mite bottini più o meno praticabili, a valle
della fonte stessa, alimentando le seguenti
fonti: Pantaneto, S. Maurizio, Casato, Pispini.
Oltre la splendida fonte Gaia, che campeggia
nella piazza, spostandosi lungo il Campo è
possibile ammirare il bel Palazzo Petroni e
quello Piccolomini Salamoneschi, in laterizio,
il primo con belle trifore murate. Sull’Angolo
detto Curva S. Martino, fra via del Porrione e
via Rinaldini, si vedono il Palazzo Ragnoni e,
dietro esso, le rimanenze degli edifici poi
inglobati nel bel Palazzo Piccolomini. Oltre
troviamo il palazzo Mezolombardi‐Rinaldini,
oggi conosciuto come Palazzo Chigi‐
Zondadari. Superato il vicolo
dei Pollaioli, troviamo i bei
palazzi Tornainpuglia‐
Sansedoni, Vincenti e Picco‐
lomini.
Questi palazzi, di fondazione
trecentesca, furono forte‐
mente modificati fra il 1760
e il 1767 e unificati da un’unica facciata con
riprese neogotiche. Tutto l’insieme, però, con
il suo compatto laterizio e con i suoi toni fra il
rosa e il rosso, dona al Campo una delle più
belle decorazioni architettoniche e fa da bel
contraltare al Palazzo Pubblico e alla Torre. Il
Palazzo della Mercanzia si trova fra i vicoli di
S. Pietro e S. Paolo, anch’esso rimaneggiato
nel Settecento. I palazzi Saracini e Scotti, fra
S. Paolo e la Costarella dei Barbieri, lasciano
intravedere, al di là delle modifiche più tarde,
l’impianto medievale, così come, subito dopo,
il Palazzo Accarigi e, particolarmente, il Palaz‐
zo Alessi.
Questi ultimi conservano la bella merlatura
guelfa e resti di bifore e trifore. Infine, trovia‐
mo il palazzo Mattasala‐Lambertini, con base
in pietra, subito dopo il Chiasso del Bargello e
via del Casato di Sotto.
IL PALIO
Non è forse necessario ricordare che Piazza
del Campo è anche il teatro di uno degli even‐
ti folklorici e tradizionali, più importanti
d’Italia e del Mondo: Il Palio. Come forse non
è necessario ricordare che il Palio è una com‐
petizione fra le contrade di Siena nella forma
di una giostra equestre di origine medievale.
La corsa (tradizionalmente chiamata
‘carriera’) si svolge normalmente due volte
l'anno: il 2 luglio si corre il Palio di Provenzano
(in onore della Madonna di Provenzano) e il
16 agosto il Palio dell'Assunta (in onore della
Madonna Assunta).
In occasione di avvenimenti eccezionali (come
ad esempio nel 1969 la conquista della Luna
da parte della missione Apollo 11) o di ricor‐
renze cittadine o nazionali ritenute rilevanti e
pertinenti (ad es. il centenario dell'Unità d'I‐
talia), la comunità senese può decidere di
effettuare un Palio straordinario,
tra maggio e settembre (l'ultimo
si è tenuto nel 2000, per celebra‐
re l'ingresso nel nuovo millennio).
Secondo alcune fonti, fu in ricor‐
do della memorabile battaglia di
Montaperti (1260) e dello scam‐
pato pericolo che i senesi decise‐
ro di indire il famoso Palio, anche se, è bene
ricordarlo, le prime attestazioni sicure sullo
svolgimento della corsa risalgono al 1333 e,
d’altronde, visto ciò che abbiamo detto sulla
organizzazione della Piazza del Campo, non
pare un caso che la corsa abbia avuto inizio
solo quando il luogo che l’ha ospitata e la
ospita aveva preso una forma definitiva. Va
detto, però, che per secoli i palii e le corse dei
cavalli si succedettero in modo disordinato e
molte sono le manifestazioni, oggi scompar‐
se, di cui c’è traccia nei documenti.
Le due date quella del 2 Luglio, precedente‐
mente legata alla visitazione di Maria e poi
alla venerata immagine della Madonna di
Provenzano, e quella del 16 Agosto, vennero
a fissarsi definitivamente in epoche relativa‐
mente recenti: la prima data, basata su una
vecchia ‘carriera’ della bufale, organizzata
- 18. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 18
dall’Istrice, diventò data del Palio nel 1656,
quando alla piazza, per motivi d’incolumità
pubblica, vennero negati i giochi pirotecnici
per i festeggiamen‐
ti dalla Visitazione;
la seconda, lo di‐
ventò nel 1774,
anche se da anni si
svolgeva, saltuaria‐
mente, una gara
fra contrade in
quella data (la
prima era stata
organizzata ancora
dall’Istrice nel
1689). Entrambi i
Palii sono, oggi,
organizzati e gestiti
dal Comune di
Siena.
Palio prende il
nome, e non solo a
Siena, dal premio: il Palio, dal latino pallium
(mantello), era in genere un drappo di stoffa
molto pregiata che veniva utilizzato per gli
scopi più svariati. A Siena, in genere, era de‐
stinato alla chiesa del rione vincitore. Poteva
essere utilizzato sia come arredo per la chiesa
stessa, o per altri scopi analoghi. Un pallium
cinquecentesco sembra abbia decorato fino a
non moltissimi anni fa l'altare della Chiesa di
San Giuseppe, della Contrada Capitana
dell'Onda. E’ importante sottolineare che il
Palio è una gara fra contrade, cioè a forte
connotazione popolare ed è questa particola‐
rità agonistica che ne ha determinato la fortu‐
na, rispetto ai tornei dei nobili.
Ricordiamo, quindi, le contrade che sono,
oltre le già citate Istrice e Onda: Bruco, Nic‐
chio, Leocorno, Lupa, Pantera, Selva, Tartuca,
Torre, Valdimontone, Aquila, Oca, Chiocciola,
Giraffa, Civetta e Drago. Un totale quindi di
diciassette contrade che rappresentano, ov‐
viamente, altrettanti quartieri della città e, di
conseguenza, altrettanti gruppi di sostenitori
(i contradaioli).
Le Contrade furono definite nei loro confini,
nel 1729, dalla governatrice di Siena Violante
di Baviera che, causa di incidenti occorsi negli
anni precedenti, decre‐
tò inoltre che non po‐
tessero partecipare più
di dieci Contrade alla
volta. E’ una decisione
che è rimasta inaltera‐
ta fino ai nostri giorni.
Ogni anno partecipano
di diritto al Palio le
sette contrade escluse
l’anno precedente (in
questo caso le due
‘carriere’, quella di
Luglio e quella di Ago‐
sto, sono da conside‐
rarsi completamente
indipendenti), le altre
tre vengono sorteggia‐
te fra le partecipanti
dell’anno prima. Ad ogni rione viene assegna‐
to per sorteggio un cavallo dei 10 selezionati
tra quelli fisicamente idonei. L'assegnazione
avviene la mattina del 29 giugno per il Palio di
luglio, del 13 agosto per quello di agosto: è la
Tratta, il primo appuntamento di una Festa
che dura 4 giorni.
La Carriera è preceduta da sei corse di prova,
che si svolgono tre la mattina e tre la sera dei
quattro giorni, durante le quali il fantino,
scelto dalla Contrada, prende dimestichezza
con il cavallo. L'ultima delle prove di sera è
chiamata Prova Generale mentre l'ultima
prova in assoluto, corsa la mattina del Palio, è
detta Provaccia.
La corsa del Palio consiste in tre giri di Piazza
del Campo, su una pista di tufo tracciata
nell'anello sovrastante la conchiglia. Si parte
dalla Mossa, formata da due canapi dentro i
quali si dispongono nove contrade in un ordi‐
ne stabilito per sorteggio. Alla Costarella dei
Barbieri è impiantato un marchingegno
(‘verrocchio’) che azionato dal mossiere fa
cadere di colpo il canapo e dà il via alla corsa
nel momento, e solo nel momento in cui en‐
- 19. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 19
tra l’ultimo cavaliere della decima e ultima
contrada rimasta inizialmente fuori. Vince la
Contrada il cui cavallo, con o senza fantino,
arriva primo al termine dei tre giri. Il giro del
Campo è uno spettacolo unico al mondo: la
cavea della piazza può contenere circa 30.000
spettatori, ai palazzi vengono addossati i pal‐
chi per il pubblico.
Può essere suggestivo, infine, ricordare che
un tempo lontano le contrade di Siena erano
23. Oltre alle Contrade ancora esistenti, si ha
notizia storica di altre sei, chiamate "contrade
soppresse o morte": Gallo, Leone, Orso,
Quercia, Spadaforte, Vipera. Nel XVII secolo
queste andarono lentamente estinguendosi
per carenze organizzative e mancanza di par‐
tecipazioni alla vita pubblica. Il loro territorio
fu inglobato dalle Contrade confinanti e di
loro rimane traccia negli stemmi di alcune
Contrade attuali.
CAPPELLA DI PIAZZA
Come detto la costruzione della torre termina
proprio all’arrivo della peste nel 1348. A que‐
sta tremenda epidemia è legato un altro cele‐
bre monumento senese che si trova proprio
ai piedi della Torre: la Cappella di Piazza che
venne costruita nel 1352, per un voto fatto
dal Comune, appoggiata al Palazzo. Il cantie‐
re, però, non ebbe vita facile: i quattro piloni
d’angolo (le “more”) vennero più volte modi‐
ficati e solo nel 1376, sotto la direzione di
Giovanni di Cecco, videro la luce. La tettoia
che li coprì fu sostituita quasi cento anni do‐
po, in pieno Rinascimento, da Antonio Federi‐
ghi (1461).
Una volta ad archi a tutto sesto, ancora oggi,
chiude la cappella. I pilastri esterni mostrano
sei nicchie, sulle dodici ordinate dal Comune,
occupate da mediocri statue di apostoli, ope‐
ra di Mariano Angelo de Romanelli e Bartolo‐
meo di Tommé, detto Pizzino, eseguite tutte
fra il 1378 e il 1382; solo il S. Bartolomeo è
opera del 1382 di Lando di Stefano. Bella
l’architrave in gusto classico con grifi affron‐
tati a vasi. Bellissimi erano i pannelli marmo‐
rei che componevano la balaustra della cap‐
pella, opera di Giacomo Cozzarelli (1470) e
rappresentanti l’Aritmetica e la Geometria.
Furono sostituiti da copie di Enea Becheroni
(1848) e posti sullo scalone principale di Pa‐
lazzo Pubblico.
Una elegante cancellata in ferro battuto,
originale del Trecento, corre sui lati del mo‐
numento, sembra sia opera di Pietro di Betto
e potrebbe essere la vecchia cancellata della
prima Cappella dei Nove, posta al piano terre‐
no del Palazzo. Sull’altare, restano, purtrop‐
po, scarse tracce dell’affresco del Sodoma
con Madonna e Figlio con angeli e L’Eterno,
opera eseguita fra il 1537 e il 1539. A lato,
piccolo tabernacolo con una delicata Annun‐
ciazione e un Gesù benedicente, capolavoro
d’ignoto lapicida senese del Trecento.
PALAZZO PUBBLICO
Il Palazzo Pubblico è uno dei più famosi mo‐
numenti della città di Siena. Osservandone la
facciata su Piazza del Campo si notano, subi‐
to, i vari periodi di costruzione: al primo ordi‐
ne di trifore fu usata la pietra, poi il laterizio.
Le finestre, nel tipico stile senese, hanno tre
archetti gotici affiancati e appoggiati su co‐
lonnine, mentre al centro di ciascuna ghiera,
tra archetti e l'arco acuto principale di ciascu‐
na finestra, è stato inserito uno stemma di
Siena. Il corpo centrale è rialzato di un piano
rispetto alle due ali laterali.
Sulla sommità presenta un coronamento
merlato di tipo guelfo, cioè senza l'estremità
a coda di rondine. Al centro della facciata un
grande disco presenta il monogramma di
Cristo (detto anche monogramma bernardia‐
no): fu eseguito nel 1425 da Battista di Nicco‐
lò e Turino di Sano. Sotto, l’emblema medice‐
o, ai lati, la Balzana (lo stemma banco e nero
del comune di Siena) e un Leone rampante.
I piccoli fori che puntellano la facciata sono le
cosiddette buche pontaie, dove i costruttori
medievali incastravano i pali di legno per
tirare su le impalcature necessarie al cantiere.
CORTILE DEL PODESTÀ
Nel Palazzo Pubblico si entra dalla porta pro‐
spiciente la Piazza del Campo, vicino alla Cap‐
pella, attraverso il bel Cortile del Podestà,
- 20. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 20
costituito da un elegante colonnato a mattoni
su cui si innalza un piano con grandi finestre
trifore ad arco acuto.
Qui, insieme a una serie di stemmi di gover‐
natori, si possono vedere i resti della statua in
pietra del Mangia: l'ultimo automa che ha
battuto le ore nella campana maggiore della
Torre. Il soprannome 'Mangiaguadagni', dato
a suo tempo a Giovanni di Balduccio, ,antico
custode e campanaro, ha infatti originato
l'intitolazione della Torre stessa.
Dal cortile si accede alla
Torre del Mangia e al
Museo Civico di cui
sono visibili la bigliette‐
ria e la scala d’accesso,
restauro moderno di
Mario Terrosi. Sul pia‐
nerottolo di questa,
sono collocati alcuni
forzieri della Repubblica
di Siena e la celebre
campana che annunciò
ai senesi la vittoria di Montaperti (1260).
SALA DELLE LUPE
E’ un vasto salone su quattro campate, così
chiamato per le due lupe marmoree trecente‐
sche che un tempo servivano come gocciola‐
toi esterni alla facciata del palazzo. Nel 1920,
la sala è stata arricchita da pregevoli stemmi,
dipinti da Umberto Giunti, e legati alla storia
e alle imprese della città (S. Maurizio, S. Virgi‐
lio, Spada forte etc.).
Alla parete sinistra, accanto alle lupe, un Mo‐
sè, statuetta di Antonio Federighi. Pochi i resti
pittorici in un ambiente certo un tempo ricca‐
mente decorato: fra questi il più significativo
è senz’altro il S. Pietro Alessandrino tra i beati
Andrea Gallerani e Ambrogio Sansedoni, sulla
parete destra della 3° campata, affresco di
Sano di Pietro del 1446. Il Santo regge sulle
ginocchia una veduta di Siena nella quale
sono ben visibili il Duomo e il Palazzo Pubbli‐
co. Sulla parte opposta, è visibile un pregevo‐
le affresco del Sodoma, raffigurante un'Aquila
e due putti: coronava la Resurrezione di Cri‐
sto, sempre del Sodoma, ora traferita in una
sala attigua.
SECONDO PIANO
QUADRERIA
Dal pianerottolo della scala moderna si rag‐
giungono le prime quattro sale, oggi adibite
alla quadreria. Collezione composita e varie‐
gata, rappresenta un ulteriore ricchezza del
già ricchissimo Palazzo Pubblico. Di recente
istituzione: in essa sono ordinati numerosi
affreschi staccati, tavole e tele sia di scuola
senese che di autori
italiani e stranieri.
Nella prima sala, molto
belle le quattro grandi
tele rappresentanti
Scene di caccia e già
attribuite a Joseph Ro‐
os, raffinato pittore
austriaco influenzato
dalla scuola dei bam‐
boccianti. Notevoli una
grande Samaritana al
pozzo della scuola di Mattia Preti e una deli‐
cata Madonna col bambino, santi e angeli del
veronese Felice Brusasorzi. Da ricordare an‐
che le due Marine su rame attribuite a Filippo
Napoletano, una Sant’Orsola di anonimo
artista senese, una Madonna col bambino
ancora di Felice Brusasorzi.
Nella seconda sala si trovano le bellissime
sinopie degli affreschi eseguiti dal Sodoma
(1537‐39) per la Cappella di Piazza del Cam‐
po: sono queste assai meglio conservate degli
affreschi originali e offrono un’ottima possibi‐
lità di godere dell’arte di questo eclettico
artista piemontese. Nella sala da ricordare il
Cataletto (quattro testate di bara) opera di
Bartolomeo di David, proveniente dalla Com‐
pagnia di Sant'Onofrio, una Madonna col
Bambino e angeli di Andrea Piccinelli detto “il
Brescianino”, un altro Cataletto dipinto da
Ventura Salimbeni per la Compagnia laicale di
Santo Stefano a Porta Pispini, una Pietà di
Vincenzo Rustici e un Martirio di Santi opera
di Marco Pino.
Nella saletta di passaggio, o terza sala, parti‐
- 21. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 21
colarmente gradevoli i sei quadretti con i
Mesi dell'anno di Cristofano Rustici, prove‐
nienti da Palazzo Piccolomini; Patrizi in via di
Città e due tele interessanti non tanto per la
qualità artistica quanto per la rara iconografi‐
a: La processione in Piazza del Duomo di Ago‐
stino Marcucci, che testimonia della situazio‐
ne seicentesca delle adiacenze della Cattedra‐
le e una Lupa senese con fanciullo portaban‐
diera. Vi è poi una deliziosa Madonna col
Bambino e Santi riferibile alla prima attività di
Rutilio Manetti. Al centro della sala, un globo
Mappamondo, opera di manifattura francese
del XVIII secolo.
L'ultima sala ospita alcune belle opere di Ruti‐
lio Manetti, forse il più importante pittore
senese del Seicento, San Girolamo, L'adora‐
zione dei Magi, un intenso San Paolo e una
Epifania. Sempre nella sala troviamo uno
stendardo dipinto nelle due facce da Seba‐
stiano Folli, lo Sposalizio della Vergine di Pie‐
tro Sorri, due opere di Domenico Manetti,
figlio di Rutilio, Visitazione, Gesù insegna a
leggere a Santa Caterina, oltre ad una vetrina
con arredi sacri e reliquiari.
Nel corridoio attiguo all'ingresso, in un'ampia
vetrina, è esposta una particolare collezione
di ceramiche, sia medievali sia provenienti
dalla più importante manifattura senese mo‐
derna: quella Chigi, attiva a San Quirico d'Or‐
cia per tutto il Settecento.
L’ultima sala del Museo, oggetto di un recen‐
te riallestimento, ospita alcune opere di gran‐
dissima importanza: bellissima la Croce di
Massarello di Gilio (1301), probabilmente
l'opera più antica realizzata per il Palazzo
Comunale; particolare la vetratina raffiguran‐
te San Michele Arcangelo, attribuita ad Am‐
brogio Lorenzetti; bellissime le tavolette di
scuola senese del XIV e XV secolo tra cui uno
scomparto di predella attribuito a Neroccio,
raffigurante Una predica di San Bernardino in
Piazza del Campo e San Bernardino che libera
un'indemoniata.
SALA RISORGIMENTO
Da un piccolo vano, si accede all’attigua Sala
del Risorgimento (o sala Vittorio Emanuele),
il più importante contributo postunitario alla
storia del Palazzo. Ricca di opere di scultura e
pittura italiana dell’Ottocento (si notano dei
bei Dupré e Gallori), la sala è nota per le gran‐
di scene della storia di Vittorio Emanuele II, “il
padre della patria”.
I dipinti a parete, seppur limitati
dall’eccessiva magniloquenza agiografica e
illustrativa (molti campeggiano a illustrazione
dei sussidiari di Storia più che di Storia
dell’Arte), sono pregevoli per la tecnica e per
la cura del disegno e del dettaglio.
Belle le grandi scene militari di Amos Cassioli,
La Battaglia di S. Martino e gli zuavi alla bat‐
taglia di Palestro(1886), e quelle di lutto di
Cesare Maccari, I funerali del re al Pantheon
(1886). Celeberrimi nell’iconografia i dipinti di
Pietro Aldi (1886): L’incontro a Novara fra
Vittorio Emanuele e il Generale Radetsky e,
soprattutto, L’incontro a Teano fra Garibaldi e
Vittorio Emanuele. Sulla volta, Allegoria
dell’Italia di Alessandro Franchi (1887) e sui
pennacchi, Le regioni d’Italia di vari artisti, fra
cui Franchi. Al fondo della sala, colossale scul‐
tura raffigurante Il dolore opera di Emilio
Gallori. In vetrina, la divisa di Vittorio Ema‐
nuele, indossata alla battaglia di S. Martino.
SALA BALIA
u realizzata agli inizi del XIV secolo e ha que‐
sto nome perché ospitava la magistratura di
Balia, un organo chiamato a eseguire le deci‐
sioni assunte dal governo, che ebbe sede in
questa sala dal 1455 fino alla fine della Re‐
pubblica. Qui, fu ucciso, sembra per tradi‐
mento, Gilberto da Correggio, comandante
dell’esercito senese contro il Piccinino (1455).
La sala è riccamente affrescata: sulle volte, il
senese Martino Bartolomeo raffigurò tra il
1407 e l'anno successivo, gli Evangelisti e sei
busti di imperatori e di guerrieri, mentre Spi‐
nello Aretino, aiutato dal figlio Parri, negli
stessi anni, compì la notevole impresa di di‐
pingere, nelle pareti restanti con le Storie di
Alessandro III, vale a dire Papa Rolando Ban‐
dinelli, gloria senese, che, nel corso del suo
papato, ebbe modo di combattere a lungo e
con alterne fortune l'Imperatore Federico
- 22. Lucca, Siena, San Gimignano agosto 2010 pag. 22
Barbarossa. Il ciclo, diviso in sedici quadri, ha
inizio dalle due lunette sull’arcone della porta
di uscita.
Le scene contrassegnate da una vivacità sem‐
plice, ma efficace, di chiara impronta tardo‐
giottesca, mostrano le imprese del Papa sene‐
se, dalla sua incoronazione fino alla sua cac‐
ciata da Roma ad opera delle truppe imperia‐
li, dalla sua alleanza con i veneziani fino alla
fondazione della città piemontese di Alessan‐
dria, che proprio a lui deve il suo nome.
Fra i vari episodi raffigurati, non si può non
ricordare, per la ricchezza dei particolari e la
complessità dell’azione, la Battaglia di Punta
San Salvatore (1167), tra le flotte dei venezia‐
ni e dei tedeschi imperiali,
risoltasi a favore dei primi,
alleati del Papa; essa occu‐
pa tutta la parte inferiore
della parete verso l’uscita.
Altrettanto bella è la de‐
scrizione del Ritorno a
Roma di Alessandro III che
si trova invece sulla parete
d’ingresso. In quest’ultimo
affresco, è ben visibile
l’Imperatore Barbarossa,
che, sconfitto e perdonato,
accompagna il Papa nella
città eterna.
La decorazione della sala rappresenta una
anomalia rispetto al programma concettuale
e iconografico del Palazzo: qui, prima e dopo
Spinello, infatti, solo pittori senesi hanno
lavorato.
Di rara finezza la residenza (o bancone) in
legno intarsiato, già usata dai Magistrati di
Balia, risalenti al 1410, opera del maestro di
legnami Barna di Turino.
LA CAPPELLA
E’ uno dei luoghi più suggestivi del Palazzo e
vi si accede tramite una bella porta intarsiata
del 1426. La cappella nasce a seguito di alcuni
lavori di ridefinizione degli spazi interni del
Palazzo, all'inizio del XV secolo, e a integrazio‐
ne e sostituzione della cappella inferiore.
La cancellata che la divide dal resto dell'am‐
biente risale al periodo di realizzazione della
Cappella. Fu fabbricata, in forme eleganti da
Giacomo di Vita, negli anni '40 del Quattro‐
cento, forse avvalendosi di un precedente
progetto di Jacopo della Quercia. A destra, si
nota una piccola e graziosa acquasantiera
pensile con statuette in bronzo, opera di Gio‐
vanni Turino. Entrando, in alto al centro, si
trova il bello e raro lampadario recentemente
attribuito a Domenico di Niccolò, mentre il
piccolo ma prezioso organo, collocato sul
fianco destro dell'altare, risale al 1520 ca. ed
è opera di Giovanni d'Antonio Piffaro.
Sempre a Domenico Niccolò va attribuito il
magnifico coro ligneo che
contribuisce non poco a
donare alla cappella un
senso di profonda spiritua‐
lità medievale e un aspetto
pienamente tardo gotico:
scolpito e intarsiato fine‐
mente tra il 1415 e il 1428,
rappresenta, in ciascuno
dei 21 sedili, i vari articoli
del Credo. Domenico di
Niccolò, per la bellezza e
fama di quest’opera, venne
soprannominato, in segui‐
to, dei cori.
Indubbiamente, però, lo splendore della sala
è dato dalla decorazione di Taddeo di Bartolo.
Taddeo, incaricato di decorare la cappella
all’inizio del Quattrocento, realizzò sui muri
cinque storie mariane. L'Annunciazione, posta
sopra l'altare, e le quattro grandi scene poste
sulla parete sinistra che raffigurano: Il conge‐
do dagli Apostoli, La morte della Vergine, I
funerali della Vergine, L'Assunzione. Senza
apportare soluzioni particolarmente significa‐
tive e senza allontanarsi dal dettato giottesco,
Taddeo riesce a rendere in modo vivido le
storie di Maria (particolarmente bello è il
corteo funebre e lo sfondo urbano) e a sotto‐
lineare intensamente la sacralità della cappel‐
la.
Inoltre, Taddeo di Bartolo dipinse nel soffitto