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INTRODUZIONE
Il Buono, l’Amico e il Simpatico,
ovvero sul sociale della
comunicazione
LELLO E perché non vieni?
GAETANO Perché sei antipatico!
LELLO Ah, antipatico no.
GAETANO Perché, mannaggia ‘a miseria, parli
troppo. Nun fai dicere una parola a’na persona.
LELLO Allora sono uno che parla troppo,
non sono antipatico!
GAETANO No. Si’ uno che parla troppo,
antipatico!
LELLO Vabbuò, hai sempre ragione tu…
Massimo Troisi, Ricomincio da tre
COMUNICAZIONE SOCIALE 2.010
1 Premessa: cominciando dal due
(punto zero)
2.0? Se state leggendo queste pagine vuol dire che non siete ancora
stati nauseati dell’uso, e spesso, l’abuso delle formule alla due-
punto-zero. Ha iniziato il web, poi sono arrivate molte altre realtà
in una corsa affannosa all’ipermodernità tecnologica, alle virtù di
una comunicazione che si fa strumento di raggruppamento e
coinvolgimento, di inclusione e connessione perpetua. Persino la
comunicazione pubblica si è fatta 2.0 e ha raggiunto questa soglia
fatidica1.
Eppure quando in queste pagine si descriverà la comunicazione
sociale nella sua versione due-punto-zero si intenderà raramente
l’uso di strumenti informatici o di reti telematiche. In sostanza si
accoglie lo spirito del “nuovo web” così come fa la pubblicistica sul
tema, si coglie solo l’aspetto allusivo, metaforico, di questa novità.
Si coglie solo l’aspetto superficiale, e forse retorico, della
contemporanea enfasi sulla capacità dei new media di costruire
comunità (seppur) “virtuali” e social network, di promuovere
l’intervento attivo dei consumatori sotto forma di commenti e
video o contenuti generati-dagli-utenti, di facilitare la collaborazione
e cooperazione, ad esempio, per costruire programmi “open
source” o le voci di Wikipedia “la più grande enciclopedia del
mondo”…
Oppure, e – non lo nascondo – questa è la speranza:
semplicemente questi aspetti rappresentano l’aspetto visibile perché
mediato dalla tecnologia, spesso folkloristico perché ritratto solo
1 Mi riferisco al testo di Alessandro Lovari e Maurizio Masini intitolato
Comunicazione pubblica 2.0 (2008) e dedicato proprio all’uso di queste
soluzioni tecnologiche nell’ambito della Pubblica Amministrazione.
INTRODUZIONE 11
nei suoi aspetti estremi o triviali, di un generale cambiamento di
prospettiva o, addirittura di paradigma. La volontà di far entrare
sempre più persone nell’alveo della produzione culturale e della
partecipazione democratica, la possibilità di assecondare la brama
popolare di informare, discutere e anche litigare donando
gratuitamente il proprio tempo o la propria creatività, quella di
fondare un tessuto di collegamento tra le persone per consentirgli
aggregazione, socializzazione e persino chiacchiera e
amoreggiamento, quella di costruire momenti e pratiche di
decisione collettiva e utilizzazione collettiva delle intelligenze e dei
saperi non possono non essere ridotte a moda effimera o vocazioni
utopiche quando divengono piattaforme informatiche utilizzate da
migliaia o milioni di persone (e di imprese che fatturano altrettante
migliaia di dollari). In qualche modo la fama di questi fenomeni, e
gli appetiti giornalistici e commerciali che stimolano, colgono in
qualche modo, e spero non venga giudicata come frutto di enfasi
eccessiva, uno certo spirito del tempo. Pare indubbio come sia lo
sviluppo di “contenuti aperti” e del “web sociale”, come però della
crescente integrazione delle competenze relazioni e della creatività
diffusa nello spettro sociale nelle pratiche produttive e lavorative, la
crescente esigenza di personalizzare i contenuti mediali e
pubblicitari come i beni di consumo siano tutti aspetti, non solo dei
nuovi strumenti comunicativi, ma anche della generale vocazione
post-fordista tipica della società dell’informazione e delle reti.
Non si può ignorare l’ampiezza di questa sfida, aperta a inedite
possibilità almeno quanto colma di problemi, di trappole e di
inganni corrispondenti alle illusioni e le speranze che sta suscitando.
Ma mentre questo è lo stato dell’arte, la comunicazione di pubblica
utilità pare ancorata a paradigmi obsoleti e sfide del tutto arretrate.
Non mi sto riferendo solo alla letteratura scientifica e la normativa
italiana in materia, almeno non in via esclusiva. La questione è
l’ennesima conferma di una certa arretratezza del sistema mediale e
dell’approccio di larga parte della cultura intellettuale, politica,
COMUNICAZIONE SOCIALE 2.012
istituzionale e spesso anche imprenditoriale italiana che ha nella
comunicazione di utilità sociali o comunque riferita a temi sociali
un suo esempio evidente.
Il testo nasce proprio dall’esigenza, e dall’insoddisfazione, verso
il modo in cui le campagne sociali come i manuali e la letteratura sul
tema, sembrino ignorare le parole chiave della rinnovata centralità
sociale nella comunicazione (e nella tecnologia). Centralità, occorre
precisarlo in premessa, non del sociale inteso come società, come
sinonimo di diffuso, comune, complessivo o universale, ma nel
modo due-punto-zero di intenderlo: ovvero della centralità della
partecipazione, delle reti sociali, della cooperazione volontaria e
della spinta all’aggregazione sociale. Un settore della comunicazione
che quindi deve rinnovarsi partendo proprio dalla sua radice
sociale, dal connubio tra il dato originario di unione comunitaria e
in quello futuristico della tecnologia come connettore di
intelligenze. In questi termini la comunicazione sociale deve
rifondarsi per affrontare insieme il suo passato e il suo futuro,
dovrebbe mettere in gioco pratiche, sistemi di interessi e
professionalità consolidate, ridefinire la propria vocazione e le
tecniche che ne conseguono. In qualche modo ripartire dalla sua
stessa “ragione sociale”, dalla sua stessa designazione.
1.1 Partendo dalle definizioni (passate e
presenti)
Cosa si intende per comunicazione sociale? Perché una
comunicazione si dice “sociale”? Cioè, quando è sociale la
comunicazione? Non pare esistere una definizione univoca di
comunicazione sociale. Appaiono fin troppo numerose le possibili
declinazioni di chi usa questo termine. Ognuna assomma intenzioni
e discipline specifiche. Ognuna viene utilizzata da attori pubblici e
privati per designare la propria attività comunicativa. Il termine
“sociale” la ingentilisce, la rende più accettabile e, sicuramente, più
INTRODUZIONE 13
utile. Proprio per questo motivo appare necessario delimitarne i
confini, stabilirne le peculiarità.
In modo forse inguaribilmente accademico questo testo parte da
un “ricognizione”, da un tentativo di decostruire lo stesso concetto
di comunicazione sociale. Lo fa perché il campo della
comunicazione sembra ancora in un momento fondativo di
delimitazione e accreditamento pubblico quanto scientifico.
Eppure, anche nel linguaggio comune si fa fatica ad intendersi.
Destino comune con la benedetta-maledetta parola comunicazione:
ogni persona sembra averne in testa un’interpretazione diversa, una
discorde accentuazione del suo verso o del suo significato, dei
contenuti possibili e delle tecnologie necessarie. Simile il risultato
aggiungendo un aggettivo altrettanto polisemico come il termine
“sociale”. C’è la tradizione della Chiesa Cattolica che usa la formula
comunicazione sociale o comunicazioni sociali come semplice
sinonimo dei processi comunicativi oppure chi rintraccia in questa
figura una nuova tipologia di messaggi e pratiche produttive, un
allargamento del campo di attività – storicamente più circoscritto e
strutturato – della cosiddetta pubblicità sociale. Da questo riprende
linguaggio, pratiche ed archivio storico traducendo in Italia un
settore in ambito internazionale variamente etichettato, e
affrontato, come Public campaigning o social marketing. La
comunicazione sociale diventa, in questi termini, parte del settore di
studi definite come comunicazione pubblica. Da questa riprende
l’insieme di pratiche e gli strumenti di comprensione scientifica e
normativa, oltre alle caratterizzazioni disciplinari. Questo testo non
sfugge a questa tradizione2, ne trae origine ma la interpreta
2 Quasi nessuno degli autori citati «si sottrae al tentativo di proporre una
tassonomia della comunicazione dell’istituzione pubblica» (Grandi 2007) e
della comunicazione pubblica in generale. In sostanza questo testo non farà
eccezione.
COMUNICAZIONE SOCIALE 2.014
criticamente nella speranza di costruire un quadro più originale o
coerente con la sua vocazione sociale, per quella che credo, e spero
di convincere chi legge, dovrebbe essere tendenzialmente definito
come un vero e proprio settore dell’universo della comunicazione.
Difatti sembrano esserci due motivi per soffermarsi nella
definizione di un campo di studi o di un fenomeno, e, quindi, per
scrivere libri o manuali su un argomento. Il primo fine è
conoscitivo mentre il secondo è tradizionalmente definito come
normativo. Il primo adotta definizioni che si configurino come
strumenti euristici, come elaborazioni teoriche utili a meglio
delimitare, analizzare e spiegare il fenomeno in oggetto. Il secondo
invece adotta una definizione per indurre all’azione, per individuare
delle tecniche rispetto ad altre, scegliere degli strumenti concettuali
per inquadrare le attività svolte e da svolgere, costruisce un sapere
direttamente finalizzato al suo uso, ad un saper fare. Spesso queste
due finalità non appaiono ben distinte, e probabilmente questo
testo non farà eccezione. La definizione di campagna o
comunicazione sociale indica contemporaneamente uno spettro di
pratiche e messaggi realizzati, una tipologia di produzione mediale –
classicamente gli spot di pubblica utilità o le campagne realizzate da
istituzioni o enti non profit – e quindi una griglia per indicare le
modalità di scelta dei temi, degli interlocutori, dei linguaggi e delle
finalità delle campagne realizzate ma spesso anche da quelle non
ancora ideate.
In entrambi i casi la prospettiva (e definizione) offerta costruisce
un sapere, un insieme di strumenti, prima concettuali che tecnici,
per orientare l’azione. Le conoscenze articolate da questi testi
costruiscono, infatti, campi di sapere, presupposti, discipline e
metodologie da adottare nella pratica concreta. Ma non è tutto,
l’importanza delle definizioni si evidenzia nel ruolo che svolge nella
definizione dei percorsi formativi e finanche corsi di laurea
universitari. Una studentessa, durante una delle mie recenti lezioni
“leggendo” sullo schermo la slide che presentava la suddivisione tra
INTRODUZIONE 15
tipologie di comunicazione pubblica che stavo illustrando, ha
osservato come questa suddivisione corrispondesse esattamente ai
corsi di laurea presenti nella nostra Facoltà. Il connubio tra pratiche
produttive, alta formazione, forme dell’organizzazione e requisiti
normativi riduce ancor più sensibilmente la distinzione tra il livello
della ricerca scientifica ed intellettuale con quello della costruzione
di politiche pubbliche, professionalità e tecniche comunicative. In
questo modo, non solo si allenta definitivamente la distinzione tra
intenti conoscitivi e normativi della produzione scientifica, ma si
rivela la centralità di quest’opera di definizione: il dibattito e la
manualistica intorno alla definizione di comunicazione pubblica o
sociale diventa, infatti, sempre più una guida per la realizzazione
delle attività e degli indirizzi di policy nel campo. Il modo in cui si
disegna (e ritrae) l’architettura comunicativa diventa questi
direttamente indicazione per l’ingegnere che le costruisce.
1.2 Partendo dall’autore (collettivo)
Chiarito in parte l’intento da cui muove è necessario precisare da
quali attività e relazioni sociali nasce questa proposta. Innanzi tutto
la necessità di delineare e declinare una definizione di
comunicazione sociale innovativa nasce all’interno
dell’Osservatorio sulla comunicazione sociale e l’editoria del Terzo
settore Terza.com nato nel 2001 dalla collaborazione tra la Facoltà
di Scienze della Comunicazione della Sapienza e il Forum del Terzo
Settore3. L’Osservatorio, incoraggiato e sostenuto dal Preside della
Facoltà di Scienze della Comunicazione Mario Morcellini, dall’allora
portavoce del Forum Edo Patriarca e dai responsabili del Gruppo
Comunicazione ed Editoria del Forum del Terzo Settore Ivano
Maiorella e Paola Scarsi, ha concentrato larga parte della sua attività
3 Per maggiori informazioni sulle attività dell’Osservatorio:
www.terzacomunicazione.org.
COMUNICAZIONE SOCIALE 2.016
proprio intorno a questo intento. Larga parte delle riflessioni qui
articolate nascono proprio dagli stimoli e dalle occasioni di
confronto con le realtà del terzo settore offerte da questa stretta
collaborazione.
Essendo frutto di un dibattito e lavoro comune alcuni tratti della
definizione che qui verrà proposta sono stati già stati esposti dalle
persone che hanno coordinato con me l’Osservatorio come Barbara
Mazza (2005; 2006b; 2006a) e Andrea Volterrani (2003; 2005;
2006b; 2008), e sono confluiti in un generale raccordo teorico e
nella contestualizzazione, in primo luogo, del rapporto tra
comunicazione, capitale sociale e società civile offerta dal volume
Oltre l’individualismo curato da Mario Morcellini e Barbara Mazza
(2008b). Per quanto mi riguarda ho avuto alcune occasioni di
delineare il nostro contributo alla definizione e alle possibili
pratiche di comunicazione sociale e del terzo settore in alcuni
interventi alcuni dei quali sono stati raccolti e rielaborati in questo
volume4. Ulteriore occasione di indagine e riflessione su questi temi
è stata fornita dai alcuni progetti di ricerca sulle capacità e le
strategie comunicative delle organizzazioni non profit (conclusioni
riassunte nei capitolo 9) e una ricerca5 sui media non maistream e
4 I paragrafi (3.3 e 11.5) dedicati alla descrizione critica della concezione
tradizionalmente emersa di comunicazione di pubblica utilità è stata pubblicata
in due riviste (2005; 2006b), si può affermare che il resto del volume, e
soprattutto l’impostazione generale del testo, è invece debitore di un altro
saggio (2008a), pubblicato nel volume curato da Carla Bertolo Comunicazioni
sociali (2008). Quell’intervento mirava a dimostrare la stessa tesi espressa nelle
occasioni precedenti adottando però, in modo simmetrico, una modalità
costruents rispetto a quella destruents adottata nei primi interventi (e
paragrafi). Una diversa impostazione che si ripercuoteva nello stile in cui sono
scritti, diversità che ho cercato in parte di mantenere in questa sede.
5 Come nel caso precedente un progetto cofinanziato del Ricerche di
Rilevante Interesse Nazionale (Prin) del MIUR.
INTRODUZIONE 17
le tv di quartiere, il movimento delle cosiddette Telestreet
(rintracciabile nelle riflessioni presenti nel capitolo 8). Il testo è
frutto della ricchezza e della varietà di quelle discussioni e di quegli
incontri almeno quanto delle limitate capacità di chi l’ha redatto,
che, com’è tradizione, si accolla la responsabilità dei suoi difetti.
1.3 Partendo dal lettore (modello)
Chiarito anche la sua origine potrà essere forse quindi più chiaro a
chi si rivolge, chi ne è l’interlocutore, con chi vuole iniziare e
proseguire una conversazione. Certo, si tratta di un monologo, ma
un soliloquio in forma scritta che, come si è chiarito, segue una
lenta opera di dialogo e osservazione. La lettura del libro è
consigliabile principalmente a due figure: a chi già si occupa di
sociale e comunicazione nella pubblica amministrazione, nel terzo
settore o nelle imprese (responsabili), e a chi studia e quindi diverrà,
speriamolo, una delle figure precedenti.
Questo duplice destinatario ideale, si riflette nel duplice intento
del volume. State leggendo un testo che ha due obiettivi: costituisce
una proposta e un’illustrazione, presentare un’ipotesi e guidare i
primi passi al suo interno. È, quindi, insieme un saggio critico e un
manuale. Contiene una tesi da dimostrare ma, nello stesso tempo,
fornisce degli elementi e delle letture per sperimentarla. Critica un
insieme di definizioni e approcci alla comunicazione sociale ma per
farlo deve spiegarli e scomporli, in qualche modo facilitarne la
comprensione. Forzatamente però la sua scrittura come la sua
“vocazione accademica” parla alle altre persone che studiano o
compiono attività di ricerca in questo ambito: si rivolge a studiosi e
studiose del settore nella speranza di contribuire al dibattito
scientifico su questi temi, cercando di arricchirlo e proporre nuove
dimensioni conoscitive e strumenti di comprensione ma anche a chi
opera o opererà in questo settore sperando di fornire idee
innovative e possibili spunti per l’azione. Per questo motivo, se chi
legge ci consente un peccato di ambizione, intendo questo testo
COMUNICAZIONE SOCIALE 2.018
come la prima tappa di un processo, per lo meno come prima parte
di un’opera che dovrà essere completata da altri volumi. Questa è
quella in cui si declinano intenzioni, i confini e i requisiti di una
definizione e delle sue pratiche, nei prossimi anni mi impegnerò (e
ci impegneremo) nelle attività di resoconto (più analitico) delle
indagini che abbiamo e realizzeremo su questo campo e delle
indicazioni, persino più pragmatiche, di come progettare, realizzare
e far vivere esperienze di comunicazione delle socialità, dei diritti e
della cittadinanza attiva.
In questo senso il libro è pienamente frutto dell’attività
didattiche che chi scrive ha svolto negli ultimi anni cercando di
illustrare a persone che svolgono attività di volontariato che ho
avuto modo di incontrare nel tempo e alle persone iscritte ai corsi
di laurea in «Scienze della comunicazione sociale e istituzionale» e,
ora, di «Comunicazione e pubblicità per pubbliche amministrazioni
e non profit» della Sapienza. Cercando di spiegare la comunicazione
sociale, i suoi stili e le sue tecniche, ho dovuto confrontarmi non
solo con gli strumenti teorici ma anche con la fatica e l’inesauribile
piacere di doverli rendere comprensibili e, spesso, plausibili a quelle
platee, con la necessità di rispondere alle obiezioni e alle domande,
con l’esigenza di scovare esempi e casi concreti per illustrarne
meglio le ripercussioni. Credo che parte di questo sforzo sia
rintracciabile nella sezioni del testo più comprensibili e in molti
degli aneddoti citati. Confido sia un buon esempio di un possibile
connubio virtuoso tra ricerca scientifica e didattica di cui purtroppo
si perde sempre più spesso traccia nella regolazione delle università
come nelle esigenze organizzative degli atenei.
Quasi naturalmente il testo è dedicato a chi opera nel sociale, a
chi – spero – vedrà in queste semplicemente una conferma, una
qualche sistematizzazione e spero qualche strumento utile, ad una
pratica relazionale e comunicativa, una cultura della solidarietà e
della partecipazione, che è già in atto. Una speranza in alcuni casi
confermata dalle reazioni ai miei scritti precedenti e al momento in
INTRODUZIONE 19
cui ho avuto occasione di parlarne dal vivo. Ricordo ancora,
qualche anno fa, quando Ivano Maiorella a conclusione di una
lezione rivolta ai giovani volontari e volontarie del servizio civile
nazionale in cui avevo declinato sinteticamente l’approccio qui
proposto in modo esteso. Mi disse di aver ritrovato nelle mie parole
l’esigenza di fondo da cui era nata la nostra collaborazione, la
comune insoddisfazione delle definizioni correnti e il fulcro
dell’attività che svolgeva nelle associazioni in cui lavorava da anni6.
Probabilmente non una verifica risolutiva, ma almeno un buon
viatico.
6 Ancora più recentemente ho avuto occasione di aver conferma della
rispondenza di queste idee con la pratica delle associazioni di volontariato e
del Terzo settore. Il Centro Servizi “Bottega del Volontariato” e dell’UILDM
di Bergamo hanno voluto invitarmi ad un convegno su questi temi, le persone
che lavorano in quel centro servizi e la presidente della sezione di Bergamo
dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare Edvige Invernici mi hanno
più volte manifestato di trovare un positivo riscontro tra i miei interventi e il
dibattito che si svolgeva nella loro realtà associativa. Sono infinitamente grado
a loro per questo e per la pubblicazione degli atti del convegno che è stata
distribuita in allegato al settimanale Vita nell’estate del 2008; parti di quel mio
intervento sono riprese nelle conclusioni e nel capitolo 11.
COMUNICAZIONE SOCIALE 2.020
2 Introduzione: ricominciando da tre
Prima di affrontare la lettura del testo è necessario forse spendere
qualche riga per illustrare il senso della piccola citazione
cinematografica con cui si aprono queste pagine. È la prima scena
dalla celebre film di debutto di Massimo Troisi. Il film si apre con le
urla di Lello – interpretato da Lello Arena – che chiama
ripetutamente da sotto le sue finestre il protagonista del film.
Accoglie quindi Gaetano (Massimo Troisi), dopo averlo interrotto
mentre vedeva il telegiornale, invitandolo ad uscire con un gruppo
di amici, per andare al cinema. C’è una persona che ne invita
un’altra ad uscire di casa, entrare in un gruppo, avere una forma di
socialità. Lo fa urlando, intervenendo in modo rumoroso e
invadente. Come si scoprirà presto, è una caratteristica tipica del
suo modo di comunicare. Infatti, l’altro se ne lamenta
immediatamente. Lello è uno che “parla troppo”, è ingombrante, fa
dei monologhi, non permette il dialogo. Pur se a fin di bene, eccede
in comunicazione…
Anche per questo risulta antipatico. Proprio per questo è un
antipatico. Cioè, il suo essere invadente invece di facilitarla, rende
difficile la loro amicizia, la loro socialità. Da questo piccolo
apologo, ho ricavato lo spunto per illustrare due distinti modi di
comunicare corrispondenti, a mio avviso, ai diversi modelli di
comunicazione sociale in cui si articola l’intero volume. Il primo è
quello del Buono, colui che – come Lello – interviene anche
rumorosamente per una buona causa. Il secondo e il terzo sono
quelli dell’Amico e del Simpatico. L’Amico insegue l’affinità, il
piacere di intrecciare rapporti duraturi; il Simpatico è capace, solo
per la sua presenza, di suscitare legami, di creare la situazione adatta
perché si crei un ambiente sociale, perché si instaurino amicizie. A
queste tipologie di atteggiamento, del tutto ideali, corrispondono le
modalità uno-punto-zero e due-punto-zero di praticare la
INTRODUZIONE 21
comunicazione sociale: l’utilità dei messaggi contro il diletto delle
relazioni.
In questo modo spero di contribuire al processo di
determinazione di una comunicazione sociale originato da quella di
utilità e solidarietà sociale. L’aggregazione in tre tipologie credo
renda più agevole ricostruire e catalogare quelle già disponibili: così
numerose e dai confini particolarmente liquidi7. In genere
convergono intorno alla finalità di sensibilizzare in merito a
determinati temi o di promuovere comportamenti o atteggiamenti
tra la cittadinanza. Al loro interno è possibile rintracciare non solo
un quadro molto preciso di attori, temi e destinatari, ma anche un
ben delineato modello comunicativo8.
Nella prima parte del testo, esaminandole in modo analitico,
mettevo in dubbio la tenuta logica e metodologica
dell’argomentazione che le sorregge, delle conseguenze che ha nei
termini della progettazione delle campagne e dello stile dei
contenuti così realizzati. Nella seconda parte, invece, evidenzio i
principali problemi in termini dell’efficacia di questo modello di
intervento comunicativo e dei suoi presupposti empirici nel quadro
della riflessione sugli effetti della comunicazione mediatica. Inoltre
si riassumono una serie di alternative a quello schema: provenienti
da altre discipline (come la pedagogia), dalla riflessione
7 Nicoletta Bosco usa una metafora particolarmente evocativa per
rappresentare questa difficoltà, un analogia ripresa dall’opera di Camilleri: il
tentativo di dare una “forma all’acqua” (Bosco 2005, 47)
8 In sostanza il testo parte proprio dalla costatazione dei limiti di questo
approccio e, della speranza di scoprire – con le parole di Pina Lalli – cosa
succede quando «abbandoniamo l'idea di definire la comunicazione sociale in
base al tipo di soggetto promotore e se rinunciamo definitivamente a quella
strana e davvero riduttiva ipotesi di considerare i suoi oggetti come non
controversi» (2008, 17).
COMUNICAZIONE SOCIALE 2.022
internazionale (come quella sviluppata dall’UNESCO) oppure dalla
storia e dall’analisi delle esperienze già realizzate nell’ambito dei
movimenti sociali o dell’universo dei cosiddetti community media.
La terza ed ultima parte si dedica a riassumere i tratti caratterizzanti
l’approccio qui proposto in tre direzioni: a) illustrare quale siano gli
esempi, le ricerche e le prassi proprie di un modello che favorisca e
faccia esprimere il “sociale della comunicazione”; b) evidenziare
quali siano le possibilità e le politiche (pubbliche) che la
comunicazione pubblica e le istituzioni possano mettere in campo
per stimolare il modello simpatico di comunicazione; c) precisare la
definizione di comunicazione sociale qui articolata in
completamento di quelle già disponibili sia per alcune differenze
nella struttura del rapporto comunicativo che in quello dell’ambito
in cui può essere più corretto inserirle.
Spesso l’illustrazione di questi tre modelli idealtipici è affiancata
da un piccolo schema sinottico che raffronta – non senza qualche
forzatura – le tre tipologie, sintetizzandone per parole chiave le
caratteristiche distintive. In questo senso, la maggior parte dei
riferimenti bibliografici relativi al secondo e al terzo modello
proposto non sono usati per conferirgli una nuova configurazione
teorica o rivederli criticamente, né tanto meno – o non del tutto –
per commentarli in un’opera di scrittura di “libri su altri libri”9, al
contrario servono – “semplicemente” – a confermare l’idea di un
cambiamento nel modo di intendere la comunicazione che non è
costruito nel vuoto delle idee o delle pratiche. Anzi intende
9 È Manuel Castells, nella sua ultima fatica, a proporre l’intento di
quell’opera: «che in alcun modo va vista come il tentativo di partecipare al
dibattito teorico. Non scrivo libri su altri libri. Uso le teorie, qualsiasi teoria,
nello stesso modo in cui mi auguro che sarà usata la mia teoria da chiunque
altro: come una cassetta degli attrezzi da utilizzare per capire la realtà sociale»
(Castells 2009, XXIII).
INTRODUZIONE 23
rassicurare chi legge sull’esistenza di una vasta riflessione
internazionale sul tema, di uno “stato dell’arte” del dibattito di altre
discipline vicine agli intenti educativi e di pubblica utilità che già da
tempo ha affrontato le aporie dei modelli tradizionali in direzione di
un approccio fondato sul dialogo, la cooperazione e la
partecipazione. Tre possibili modelli di operatività, tre
configurazioni, che possiamo sintetizzare in via del tutto
preliminare riprendendo gli aspetti più evidenti della pratica
comunicativa:
Modello campagna. Si tratta della costruzione di grandi o piccoli
interventi circoscritti nel tempo e messi in atto attraverso i sistemi
di comunicazione di massa (spot televisivi e radiofonici, materiale
promozionale o divulgativo, grandi eventi,…). In questo caso la
definizione dei temi, delle modalità e dei contenuti stilistici degli
interventi non coinvolge direttamente né coloro che li attueranno,
né i target, visto anche l’alto costo di queste modalità di intervento
comunicativo.
Modello narrazione. Si tratta delle attività di comunicazione
puntuali e diffuse (interventi nelle scuole o nei luoghi di incontro,
spettacoli e performance live, piccoli eventi, diffusione in strada
attraverso banchetti informativi,…). Sono le azioni di
sensibilizzazione e informazione adottate prevalentemente dalle
associazioni di volontariato e di terzo settore diffuse sul territorio.
Interventi caratterizzati non solo da budget e costi modesti, ma
contrassegnati dalla forte componente narrativa, da ambiti
relazionali e modalità esperienziali.
Modello relazione. Si tratta delle pratiche di sensibilizzazione o
intervento compiute dall’”attivazione” delle persone più o meno
direttamente implicate nel tema o problema sociale, spesso
attraverso le associazioni di volontariato o promozione sociale. In
questo caso l’intervento di comunicazione avviene raramente
attraverso i mass media, ma soprattutto attraverso la conoscenza
COMUNICAZIONE SOCIALE 2.024
diretta del tema e dei problemi correlati oltre che a pratiche
personali o comunque “ravvicinate” di azione comunicativa.
I tre modelli possono essere considerati come del tutto
alternativi l’un l’altro o essere utilizzati insieme in modo
complementare10. In ogni caso è del tutto eterogeneo il modo in cui
essi si rapportano alle tematiche, gli intenti che li animano, le
modalità di relazione che li caratterizzano. In qualche modo
(ri)cominciamo da questi tre.
10 È di questo avviso ad esempio Giovanna Gadotti quando, già nel 1992
scriveva: «molte campagne sociali che hanno ottenuto buoni risultati
invitavano infatti i cittadini oltre che ad assumere comportamenti adeguati alle
necessità di convivenza civile anche a far pressione sui pubblici poteri e sulle
aziende di mercato affinché fossero adottati quei provvedimenti e quelle
misure necessarie a soddisfare e risolvere i problemi oggetto della campagna
sociale», (Gadotti 1992, 72); ma ritorneremo su questo tema in conclusione.

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Comunicazione sociale 2 0 - introduzione

  • 1. INTRODUZIONE Il Buono, l’Amico e il Simpatico, ovvero sul sociale della comunicazione LELLO E perché non vieni? GAETANO Perché sei antipatico! LELLO Ah, antipatico no. GAETANO Perché, mannaggia ‘a miseria, parli troppo. Nun fai dicere una parola a’na persona. LELLO Allora sono uno che parla troppo, non sono antipatico! GAETANO No. Si’ uno che parla troppo, antipatico! LELLO Vabbuò, hai sempre ragione tu… Massimo Troisi, Ricomincio da tre
  • 2. COMUNICAZIONE SOCIALE 2.010 1 Premessa: cominciando dal due (punto zero) 2.0? Se state leggendo queste pagine vuol dire che non siete ancora stati nauseati dell’uso, e spesso, l’abuso delle formule alla due- punto-zero. Ha iniziato il web, poi sono arrivate molte altre realtà in una corsa affannosa all’ipermodernità tecnologica, alle virtù di una comunicazione che si fa strumento di raggruppamento e coinvolgimento, di inclusione e connessione perpetua. Persino la comunicazione pubblica si è fatta 2.0 e ha raggiunto questa soglia fatidica1. Eppure quando in queste pagine si descriverà la comunicazione sociale nella sua versione due-punto-zero si intenderà raramente l’uso di strumenti informatici o di reti telematiche. In sostanza si accoglie lo spirito del “nuovo web” così come fa la pubblicistica sul tema, si coglie solo l’aspetto allusivo, metaforico, di questa novità. Si coglie solo l’aspetto superficiale, e forse retorico, della contemporanea enfasi sulla capacità dei new media di costruire comunità (seppur) “virtuali” e social network, di promuovere l’intervento attivo dei consumatori sotto forma di commenti e video o contenuti generati-dagli-utenti, di facilitare la collaborazione e cooperazione, ad esempio, per costruire programmi “open source” o le voci di Wikipedia “la più grande enciclopedia del mondo”… Oppure, e – non lo nascondo – questa è la speranza: semplicemente questi aspetti rappresentano l’aspetto visibile perché mediato dalla tecnologia, spesso folkloristico perché ritratto solo 1 Mi riferisco al testo di Alessandro Lovari e Maurizio Masini intitolato Comunicazione pubblica 2.0 (2008) e dedicato proprio all’uso di queste soluzioni tecnologiche nell’ambito della Pubblica Amministrazione.
  • 3. INTRODUZIONE 11 nei suoi aspetti estremi o triviali, di un generale cambiamento di prospettiva o, addirittura di paradigma. La volontà di far entrare sempre più persone nell’alveo della produzione culturale e della partecipazione democratica, la possibilità di assecondare la brama popolare di informare, discutere e anche litigare donando gratuitamente il proprio tempo o la propria creatività, quella di fondare un tessuto di collegamento tra le persone per consentirgli aggregazione, socializzazione e persino chiacchiera e amoreggiamento, quella di costruire momenti e pratiche di decisione collettiva e utilizzazione collettiva delle intelligenze e dei saperi non possono non essere ridotte a moda effimera o vocazioni utopiche quando divengono piattaforme informatiche utilizzate da migliaia o milioni di persone (e di imprese che fatturano altrettante migliaia di dollari). In qualche modo la fama di questi fenomeni, e gli appetiti giornalistici e commerciali che stimolano, colgono in qualche modo, e spero non venga giudicata come frutto di enfasi eccessiva, uno certo spirito del tempo. Pare indubbio come sia lo sviluppo di “contenuti aperti” e del “web sociale”, come però della crescente integrazione delle competenze relazioni e della creatività diffusa nello spettro sociale nelle pratiche produttive e lavorative, la crescente esigenza di personalizzare i contenuti mediali e pubblicitari come i beni di consumo siano tutti aspetti, non solo dei nuovi strumenti comunicativi, ma anche della generale vocazione post-fordista tipica della società dell’informazione e delle reti. Non si può ignorare l’ampiezza di questa sfida, aperta a inedite possibilità almeno quanto colma di problemi, di trappole e di inganni corrispondenti alle illusioni e le speranze che sta suscitando. Ma mentre questo è lo stato dell’arte, la comunicazione di pubblica utilità pare ancorata a paradigmi obsoleti e sfide del tutto arretrate. Non mi sto riferendo solo alla letteratura scientifica e la normativa italiana in materia, almeno non in via esclusiva. La questione è l’ennesima conferma di una certa arretratezza del sistema mediale e dell’approccio di larga parte della cultura intellettuale, politica,
  • 4. COMUNICAZIONE SOCIALE 2.012 istituzionale e spesso anche imprenditoriale italiana che ha nella comunicazione di utilità sociali o comunque riferita a temi sociali un suo esempio evidente. Il testo nasce proprio dall’esigenza, e dall’insoddisfazione, verso il modo in cui le campagne sociali come i manuali e la letteratura sul tema, sembrino ignorare le parole chiave della rinnovata centralità sociale nella comunicazione (e nella tecnologia). Centralità, occorre precisarlo in premessa, non del sociale inteso come società, come sinonimo di diffuso, comune, complessivo o universale, ma nel modo due-punto-zero di intenderlo: ovvero della centralità della partecipazione, delle reti sociali, della cooperazione volontaria e della spinta all’aggregazione sociale. Un settore della comunicazione che quindi deve rinnovarsi partendo proprio dalla sua radice sociale, dal connubio tra il dato originario di unione comunitaria e in quello futuristico della tecnologia come connettore di intelligenze. In questi termini la comunicazione sociale deve rifondarsi per affrontare insieme il suo passato e il suo futuro, dovrebbe mettere in gioco pratiche, sistemi di interessi e professionalità consolidate, ridefinire la propria vocazione e le tecniche che ne conseguono. In qualche modo ripartire dalla sua stessa “ragione sociale”, dalla sua stessa designazione. 1.1 Partendo dalle definizioni (passate e presenti) Cosa si intende per comunicazione sociale? Perché una comunicazione si dice “sociale”? Cioè, quando è sociale la comunicazione? Non pare esistere una definizione univoca di comunicazione sociale. Appaiono fin troppo numerose le possibili declinazioni di chi usa questo termine. Ognuna assomma intenzioni e discipline specifiche. Ognuna viene utilizzata da attori pubblici e privati per designare la propria attività comunicativa. Il termine “sociale” la ingentilisce, la rende più accettabile e, sicuramente, più
  • 5. INTRODUZIONE 13 utile. Proprio per questo motivo appare necessario delimitarne i confini, stabilirne le peculiarità. In modo forse inguaribilmente accademico questo testo parte da un “ricognizione”, da un tentativo di decostruire lo stesso concetto di comunicazione sociale. Lo fa perché il campo della comunicazione sembra ancora in un momento fondativo di delimitazione e accreditamento pubblico quanto scientifico. Eppure, anche nel linguaggio comune si fa fatica ad intendersi. Destino comune con la benedetta-maledetta parola comunicazione: ogni persona sembra averne in testa un’interpretazione diversa, una discorde accentuazione del suo verso o del suo significato, dei contenuti possibili e delle tecnologie necessarie. Simile il risultato aggiungendo un aggettivo altrettanto polisemico come il termine “sociale”. C’è la tradizione della Chiesa Cattolica che usa la formula comunicazione sociale o comunicazioni sociali come semplice sinonimo dei processi comunicativi oppure chi rintraccia in questa figura una nuova tipologia di messaggi e pratiche produttive, un allargamento del campo di attività – storicamente più circoscritto e strutturato – della cosiddetta pubblicità sociale. Da questo riprende linguaggio, pratiche ed archivio storico traducendo in Italia un settore in ambito internazionale variamente etichettato, e affrontato, come Public campaigning o social marketing. La comunicazione sociale diventa, in questi termini, parte del settore di studi definite come comunicazione pubblica. Da questa riprende l’insieme di pratiche e gli strumenti di comprensione scientifica e normativa, oltre alle caratterizzazioni disciplinari. Questo testo non sfugge a questa tradizione2, ne trae origine ma la interpreta 2 Quasi nessuno degli autori citati «si sottrae al tentativo di proporre una tassonomia della comunicazione dell’istituzione pubblica» (Grandi 2007) e della comunicazione pubblica in generale. In sostanza questo testo non farà eccezione.
  • 6. COMUNICAZIONE SOCIALE 2.014 criticamente nella speranza di costruire un quadro più originale o coerente con la sua vocazione sociale, per quella che credo, e spero di convincere chi legge, dovrebbe essere tendenzialmente definito come un vero e proprio settore dell’universo della comunicazione. Difatti sembrano esserci due motivi per soffermarsi nella definizione di un campo di studi o di un fenomeno, e, quindi, per scrivere libri o manuali su un argomento. Il primo fine è conoscitivo mentre il secondo è tradizionalmente definito come normativo. Il primo adotta definizioni che si configurino come strumenti euristici, come elaborazioni teoriche utili a meglio delimitare, analizzare e spiegare il fenomeno in oggetto. Il secondo invece adotta una definizione per indurre all’azione, per individuare delle tecniche rispetto ad altre, scegliere degli strumenti concettuali per inquadrare le attività svolte e da svolgere, costruisce un sapere direttamente finalizzato al suo uso, ad un saper fare. Spesso queste due finalità non appaiono ben distinte, e probabilmente questo testo non farà eccezione. La definizione di campagna o comunicazione sociale indica contemporaneamente uno spettro di pratiche e messaggi realizzati, una tipologia di produzione mediale – classicamente gli spot di pubblica utilità o le campagne realizzate da istituzioni o enti non profit – e quindi una griglia per indicare le modalità di scelta dei temi, degli interlocutori, dei linguaggi e delle finalità delle campagne realizzate ma spesso anche da quelle non ancora ideate. In entrambi i casi la prospettiva (e definizione) offerta costruisce un sapere, un insieme di strumenti, prima concettuali che tecnici, per orientare l’azione. Le conoscenze articolate da questi testi costruiscono, infatti, campi di sapere, presupposti, discipline e metodologie da adottare nella pratica concreta. Ma non è tutto, l’importanza delle definizioni si evidenzia nel ruolo che svolge nella definizione dei percorsi formativi e finanche corsi di laurea universitari. Una studentessa, durante una delle mie recenti lezioni “leggendo” sullo schermo la slide che presentava la suddivisione tra
  • 7. INTRODUZIONE 15 tipologie di comunicazione pubblica che stavo illustrando, ha osservato come questa suddivisione corrispondesse esattamente ai corsi di laurea presenti nella nostra Facoltà. Il connubio tra pratiche produttive, alta formazione, forme dell’organizzazione e requisiti normativi riduce ancor più sensibilmente la distinzione tra il livello della ricerca scientifica ed intellettuale con quello della costruzione di politiche pubbliche, professionalità e tecniche comunicative. In questo modo, non solo si allenta definitivamente la distinzione tra intenti conoscitivi e normativi della produzione scientifica, ma si rivela la centralità di quest’opera di definizione: il dibattito e la manualistica intorno alla definizione di comunicazione pubblica o sociale diventa, infatti, sempre più una guida per la realizzazione delle attività e degli indirizzi di policy nel campo. Il modo in cui si disegna (e ritrae) l’architettura comunicativa diventa questi direttamente indicazione per l’ingegnere che le costruisce. 1.2 Partendo dall’autore (collettivo) Chiarito in parte l’intento da cui muove è necessario precisare da quali attività e relazioni sociali nasce questa proposta. Innanzi tutto la necessità di delineare e declinare una definizione di comunicazione sociale innovativa nasce all’interno dell’Osservatorio sulla comunicazione sociale e l’editoria del Terzo settore Terza.com nato nel 2001 dalla collaborazione tra la Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza e il Forum del Terzo Settore3. L’Osservatorio, incoraggiato e sostenuto dal Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione Mario Morcellini, dall’allora portavoce del Forum Edo Patriarca e dai responsabili del Gruppo Comunicazione ed Editoria del Forum del Terzo Settore Ivano Maiorella e Paola Scarsi, ha concentrato larga parte della sua attività 3 Per maggiori informazioni sulle attività dell’Osservatorio: www.terzacomunicazione.org.
  • 8. COMUNICAZIONE SOCIALE 2.016 proprio intorno a questo intento. Larga parte delle riflessioni qui articolate nascono proprio dagli stimoli e dalle occasioni di confronto con le realtà del terzo settore offerte da questa stretta collaborazione. Essendo frutto di un dibattito e lavoro comune alcuni tratti della definizione che qui verrà proposta sono stati già stati esposti dalle persone che hanno coordinato con me l’Osservatorio come Barbara Mazza (2005; 2006b; 2006a) e Andrea Volterrani (2003; 2005; 2006b; 2008), e sono confluiti in un generale raccordo teorico e nella contestualizzazione, in primo luogo, del rapporto tra comunicazione, capitale sociale e società civile offerta dal volume Oltre l’individualismo curato da Mario Morcellini e Barbara Mazza (2008b). Per quanto mi riguarda ho avuto alcune occasioni di delineare il nostro contributo alla definizione e alle possibili pratiche di comunicazione sociale e del terzo settore in alcuni interventi alcuni dei quali sono stati raccolti e rielaborati in questo volume4. Ulteriore occasione di indagine e riflessione su questi temi è stata fornita dai alcuni progetti di ricerca sulle capacità e le strategie comunicative delle organizzazioni non profit (conclusioni riassunte nei capitolo 9) e una ricerca5 sui media non maistream e 4 I paragrafi (3.3 e 11.5) dedicati alla descrizione critica della concezione tradizionalmente emersa di comunicazione di pubblica utilità è stata pubblicata in due riviste (2005; 2006b), si può affermare che il resto del volume, e soprattutto l’impostazione generale del testo, è invece debitore di un altro saggio (2008a), pubblicato nel volume curato da Carla Bertolo Comunicazioni sociali (2008). Quell’intervento mirava a dimostrare la stessa tesi espressa nelle occasioni precedenti adottando però, in modo simmetrico, una modalità costruents rispetto a quella destruents adottata nei primi interventi (e paragrafi). Una diversa impostazione che si ripercuoteva nello stile in cui sono scritti, diversità che ho cercato in parte di mantenere in questa sede. 5 Come nel caso precedente un progetto cofinanziato del Ricerche di Rilevante Interesse Nazionale (Prin) del MIUR.
  • 9. INTRODUZIONE 17 le tv di quartiere, il movimento delle cosiddette Telestreet (rintracciabile nelle riflessioni presenti nel capitolo 8). Il testo è frutto della ricchezza e della varietà di quelle discussioni e di quegli incontri almeno quanto delle limitate capacità di chi l’ha redatto, che, com’è tradizione, si accolla la responsabilità dei suoi difetti. 1.3 Partendo dal lettore (modello) Chiarito anche la sua origine potrà essere forse quindi più chiaro a chi si rivolge, chi ne è l’interlocutore, con chi vuole iniziare e proseguire una conversazione. Certo, si tratta di un monologo, ma un soliloquio in forma scritta che, come si è chiarito, segue una lenta opera di dialogo e osservazione. La lettura del libro è consigliabile principalmente a due figure: a chi già si occupa di sociale e comunicazione nella pubblica amministrazione, nel terzo settore o nelle imprese (responsabili), e a chi studia e quindi diverrà, speriamolo, una delle figure precedenti. Questo duplice destinatario ideale, si riflette nel duplice intento del volume. State leggendo un testo che ha due obiettivi: costituisce una proposta e un’illustrazione, presentare un’ipotesi e guidare i primi passi al suo interno. È, quindi, insieme un saggio critico e un manuale. Contiene una tesi da dimostrare ma, nello stesso tempo, fornisce degli elementi e delle letture per sperimentarla. Critica un insieme di definizioni e approcci alla comunicazione sociale ma per farlo deve spiegarli e scomporli, in qualche modo facilitarne la comprensione. Forzatamente però la sua scrittura come la sua “vocazione accademica” parla alle altre persone che studiano o compiono attività di ricerca in questo ambito: si rivolge a studiosi e studiose del settore nella speranza di contribuire al dibattito scientifico su questi temi, cercando di arricchirlo e proporre nuove dimensioni conoscitive e strumenti di comprensione ma anche a chi opera o opererà in questo settore sperando di fornire idee innovative e possibili spunti per l’azione. Per questo motivo, se chi legge ci consente un peccato di ambizione, intendo questo testo
  • 10. COMUNICAZIONE SOCIALE 2.018 come la prima tappa di un processo, per lo meno come prima parte di un’opera che dovrà essere completata da altri volumi. Questa è quella in cui si declinano intenzioni, i confini e i requisiti di una definizione e delle sue pratiche, nei prossimi anni mi impegnerò (e ci impegneremo) nelle attività di resoconto (più analitico) delle indagini che abbiamo e realizzeremo su questo campo e delle indicazioni, persino più pragmatiche, di come progettare, realizzare e far vivere esperienze di comunicazione delle socialità, dei diritti e della cittadinanza attiva. In questo senso il libro è pienamente frutto dell’attività didattiche che chi scrive ha svolto negli ultimi anni cercando di illustrare a persone che svolgono attività di volontariato che ho avuto modo di incontrare nel tempo e alle persone iscritte ai corsi di laurea in «Scienze della comunicazione sociale e istituzionale» e, ora, di «Comunicazione e pubblicità per pubbliche amministrazioni e non profit» della Sapienza. Cercando di spiegare la comunicazione sociale, i suoi stili e le sue tecniche, ho dovuto confrontarmi non solo con gli strumenti teorici ma anche con la fatica e l’inesauribile piacere di doverli rendere comprensibili e, spesso, plausibili a quelle platee, con la necessità di rispondere alle obiezioni e alle domande, con l’esigenza di scovare esempi e casi concreti per illustrarne meglio le ripercussioni. Credo che parte di questo sforzo sia rintracciabile nella sezioni del testo più comprensibili e in molti degli aneddoti citati. Confido sia un buon esempio di un possibile connubio virtuoso tra ricerca scientifica e didattica di cui purtroppo si perde sempre più spesso traccia nella regolazione delle università come nelle esigenze organizzative degli atenei. Quasi naturalmente il testo è dedicato a chi opera nel sociale, a chi – spero – vedrà in queste semplicemente una conferma, una qualche sistematizzazione e spero qualche strumento utile, ad una pratica relazionale e comunicativa, una cultura della solidarietà e della partecipazione, che è già in atto. Una speranza in alcuni casi confermata dalle reazioni ai miei scritti precedenti e al momento in
  • 11. INTRODUZIONE 19 cui ho avuto occasione di parlarne dal vivo. Ricordo ancora, qualche anno fa, quando Ivano Maiorella a conclusione di una lezione rivolta ai giovani volontari e volontarie del servizio civile nazionale in cui avevo declinato sinteticamente l’approccio qui proposto in modo esteso. Mi disse di aver ritrovato nelle mie parole l’esigenza di fondo da cui era nata la nostra collaborazione, la comune insoddisfazione delle definizioni correnti e il fulcro dell’attività che svolgeva nelle associazioni in cui lavorava da anni6. Probabilmente non una verifica risolutiva, ma almeno un buon viatico. 6 Ancora più recentemente ho avuto occasione di aver conferma della rispondenza di queste idee con la pratica delle associazioni di volontariato e del Terzo settore. Il Centro Servizi “Bottega del Volontariato” e dell’UILDM di Bergamo hanno voluto invitarmi ad un convegno su questi temi, le persone che lavorano in quel centro servizi e la presidente della sezione di Bergamo dell’Unione italiana lotta alla distrofia muscolare Edvige Invernici mi hanno più volte manifestato di trovare un positivo riscontro tra i miei interventi e il dibattito che si svolgeva nella loro realtà associativa. Sono infinitamente grado a loro per questo e per la pubblicazione degli atti del convegno che è stata distribuita in allegato al settimanale Vita nell’estate del 2008; parti di quel mio intervento sono riprese nelle conclusioni e nel capitolo 11.
  • 12. COMUNICAZIONE SOCIALE 2.020 2 Introduzione: ricominciando da tre Prima di affrontare la lettura del testo è necessario forse spendere qualche riga per illustrare il senso della piccola citazione cinematografica con cui si aprono queste pagine. È la prima scena dalla celebre film di debutto di Massimo Troisi. Il film si apre con le urla di Lello – interpretato da Lello Arena – che chiama ripetutamente da sotto le sue finestre il protagonista del film. Accoglie quindi Gaetano (Massimo Troisi), dopo averlo interrotto mentre vedeva il telegiornale, invitandolo ad uscire con un gruppo di amici, per andare al cinema. C’è una persona che ne invita un’altra ad uscire di casa, entrare in un gruppo, avere una forma di socialità. Lo fa urlando, intervenendo in modo rumoroso e invadente. Come si scoprirà presto, è una caratteristica tipica del suo modo di comunicare. Infatti, l’altro se ne lamenta immediatamente. Lello è uno che “parla troppo”, è ingombrante, fa dei monologhi, non permette il dialogo. Pur se a fin di bene, eccede in comunicazione… Anche per questo risulta antipatico. Proprio per questo è un antipatico. Cioè, il suo essere invadente invece di facilitarla, rende difficile la loro amicizia, la loro socialità. Da questo piccolo apologo, ho ricavato lo spunto per illustrare due distinti modi di comunicare corrispondenti, a mio avviso, ai diversi modelli di comunicazione sociale in cui si articola l’intero volume. Il primo è quello del Buono, colui che – come Lello – interviene anche rumorosamente per una buona causa. Il secondo e il terzo sono quelli dell’Amico e del Simpatico. L’Amico insegue l’affinità, il piacere di intrecciare rapporti duraturi; il Simpatico è capace, solo per la sua presenza, di suscitare legami, di creare la situazione adatta perché si crei un ambiente sociale, perché si instaurino amicizie. A queste tipologie di atteggiamento, del tutto ideali, corrispondono le modalità uno-punto-zero e due-punto-zero di praticare la
  • 13. INTRODUZIONE 21 comunicazione sociale: l’utilità dei messaggi contro il diletto delle relazioni. In questo modo spero di contribuire al processo di determinazione di una comunicazione sociale originato da quella di utilità e solidarietà sociale. L’aggregazione in tre tipologie credo renda più agevole ricostruire e catalogare quelle già disponibili: così numerose e dai confini particolarmente liquidi7. In genere convergono intorno alla finalità di sensibilizzare in merito a determinati temi o di promuovere comportamenti o atteggiamenti tra la cittadinanza. Al loro interno è possibile rintracciare non solo un quadro molto preciso di attori, temi e destinatari, ma anche un ben delineato modello comunicativo8. Nella prima parte del testo, esaminandole in modo analitico, mettevo in dubbio la tenuta logica e metodologica dell’argomentazione che le sorregge, delle conseguenze che ha nei termini della progettazione delle campagne e dello stile dei contenuti così realizzati. Nella seconda parte, invece, evidenzio i principali problemi in termini dell’efficacia di questo modello di intervento comunicativo e dei suoi presupposti empirici nel quadro della riflessione sugli effetti della comunicazione mediatica. Inoltre si riassumono una serie di alternative a quello schema: provenienti da altre discipline (come la pedagogia), dalla riflessione 7 Nicoletta Bosco usa una metafora particolarmente evocativa per rappresentare questa difficoltà, un analogia ripresa dall’opera di Camilleri: il tentativo di dare una “forma all’acqua” (Bosco 2005, 47) 8 In sostanza il testo parte proprio dalla costatazione dei limiti di questo approccio e, della speranza di scoprire – con le parole di Pina Lalli – cosa succede quando «abbandoniamo l'idea di definire la comunicazione sociale in base al tipo di soggetto promotore e se rinunciamo definitivamente a quella strana e davvero riduttiva ipotesi di considerare i suoi oggetti come non controversi» (2008, 17).
  • 14. COMUNICAZIONE SOCIALE 2.022 internazionale (come quella sviluppata dall’UNESCO) oppure dalla storia e dall’analisi delle esperienze già realizzate nell’ambito dei movimenti sociali o dell’universo dei cosiddetti community media. La terza ed ultima parte si dedica a riassumere i tratti caratterizzanti l’approccio qui proposto in tre direzioni: a) illustrare quale siano gli esempi, le ricerche e le prassi proprie di un modello che favorisca e faccia esprimere il “sociale della comunicazione”; b) evidenziare quali siano le possibilità e le politiche (pubbliche) che la comunicazione pubblica e le istituzioni possano mettere in campo per stimolare il modello simpatico di comunicazione; c) precisare la definizione di comunicazione sociale qui articolata in completamento di quelle già disponibili sia per alcune differenze nella struttura del rapporto comunicativo che in quello dell’ambito in cui può essere più corretto inserirle. Spesso l’illustrazione di questi tre modelli idealtipici è affiancata da un piccolo schema sinottico che raffronta – non senza qualche forzatura – le tre tipologie, sintetizzandone per parole chiave le caratteristiche distintive. In questo senso, la maggior parte dei riferimenti bibliografici relativi al secondo e al terzo modello proposto non sono usati per conferirgli una nuova configurazione teorica o rivederli criticamente, né tanto meno – o non del tutto – per commentarli in un’opera di scrittura di “libri su altri libri”9, al contrario servono – “semplicemente” – a confermare l’idea di un cambiamento nel modo di intendere la comunicazione che non è costruito nel vuoto delle idee o delle pratiche. Anzi intende 9 È Manuel Castells, nella sua ultima fatica, a proporre l’intento di quell’opera: «che in alcun modo va vista come il tentativo di partecipare al dibattito teorico. Non scrivo libri su altri libri. Uso le teorie, qualsiasi teoria, nello stesso modo in cui mi auguro che sarà usata la mia teoria da chiunque altro: come una cassetta degli attrezzi da utilizzare per capire la realtà sociale» (Castells 2009, XXIII).
  • 15. INTRODUZIONE 23 rassicurare chi legge sull’esistenza di una vasta riflessione internazionale sul tema, di uno “stato dell’arte” del dibattito di altre discipline vicine agli intenti educativi e di pubblica utilità che già da tempo ha affrontato le aporie dei modelli tradizionali in direzione di un approccio fondato sul dialogo, la cooperazione e la partecipazione. Tre possibili modelli di operatività, tre configurazioni, che possiamo sintetizzare in via del tutto preliminare riprendendo gli aspetti più evidenti della pratica comunicativa: Modello campagna. Si tratta della costruzione di grandi o piccoli interventi circoscritti nel tempo e messi in atto attraverso i sistemi di comunicazione di massa (spot televisivi e radiofonici, materiale promozionale o divulgativo, grandi eventi,…). In questo caso la definizione dei temi, delle modalità e dei contenuti stilistici degli interventi non coinvolge direttamente né coloro che li attueranno, né i target, visto anche l’alto costo di queste modalità di intervento comunicativo. Modello narrazione. Si tratta delle attività di comunicazione puntuali e diffuse (interventi nelle scuole o nei luoghi di incontro, spettacoli e performance live, piccoli eventi, diffusione in strada attraverso banchetti informativi,…). Sono le azioni di sensibilizzazione e informazione adottate prevalentemente dalle associazioni di volontariato e di terzo settore diffuse sul territorio. Interventi caratterizzati non solo da budget e costi modesti, ma contrassegnati dalla forte componente narrativa, da ambiti relazionali e modalità esperienziali. Modello relazione. Si tratta delle pratiche di sensibilizzazione o intervento compiute dall’”attivazione” delle persone più o meno direttamente implicate nel tema o problema sociale, spesso attraverso le associazioni di volontariato o promozione sociale. In questo caso l’intervento di comunicazione avviene raramente attraverso i mass media, ma soprattutto attraverso la conoscenza
  • 16. COMUNICAZIONE SOCIALE 2.024 diretta del tema e dei problemi correlati oltre che a pratiche personali o comunque “ravvicinate” di azione comunicativa. I tre modelli possono essere considerati come del tutto alternativi l’un l’altro o essere utilizzati insieme in modo complementare10. In ogni caso è del tutto eterogeneo il modo in cui essi si rapportano alle tematiche, gli intenti che li animano, le modalità di relazione che li caratterizzano. In qualche modo (ri)cominciamo da questi tre. 10 È di questo avviso ad esempio Giovanna Gadotti quando, già nel 1992 scriveva: «molte campagne sociali che hanno ottenuto buoni risultati invitavano infatti i cittadini oltre che ad assumere comportamenti adeguati alle necessità di convivenza civile anche a far pressione sui pubblici poteri e sulle aziende di mercato affinché fossero adottati quei provvedimenti e quelle misure necessarie a soddisfare e risolvere i problemi oggetto della campagna sociale», (Gadotti 1992, 72); ma ritorneremo su questo tema in conclusione.