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Quotidiano iscritto al Registro Stampa N° 403 (conc. Tribunale di Sassari), Direttore responsabile prof. Ivana Mereu
Riscaldamento globale, un'ipotesi diversa. Parte I: il minimo
di Gleissberg
Il ritardo del nuovo ciclo solare potrebbe indurre a un ripensamento circa
alcune idee riguardanti le cause dei cambiamenti climatici.
di Stefano Di Battista
Confronto fra l'andamento dei cicli solari 22-23 e 3-4,
secondo l'ipotesi che, nei prossimi anni, prevede una replica
del minimo di Dalton. Fonte: http://ncwatch.typepad.com.
Clickare l'immagine per ingrandire.
Il ritardo con cui il ciclo solare 24 si sta manifestando ha riportato l'attenzione sul ruolo dell'astro
quale motore del clima terrestre: una più approfondita conoscenza di tali connessioni potrebbe
infatti rimettere in discussione alcune idee circa il riscaldamento globale di origine antropica. Di qui
le ricerche e gli studi, attraverso cui la comunità scientifica si sta interrogando; in particolare, si
cercano le prove riguardanti il minimo di Gleissberg che, se avesse fondamento nei suoi presupposti
teorici, potrebbe condurre la Terra a un accentuato raffreddamento. Alla base dei nuovi scenari sta il
comportamento del Sole negli ultimi anni: non è chiaro cosa stia avvenendo, e ciò è motivo di
interpretazioni diverse, che qui si riassumono per sommi capi.
Debolezza del ciclo 24 Il 4 gennaio 2008, alle alte latitudini solari, è comparsa una macchia a
polarità invertita, indizio del nuovo ciclo, il 24º dal 1755, anno da cui inizia la classificazione
numerica. Tuttavia l'attività dell'astro si è mantenuta bassa, al contrario delle attese, che indicavano
un pronunciato massimo entro il 2010 (poi spostato al 2011, al 2012 e ancora oltre). Nell'ottica di
tale massimo, ci si attendeva una progressiva crescita dell'attività solare; invece, il 2008 (266 giorni
secondo i dati preliminari) è risultato l'anno con meno macchie (Spotless days) dal 1913, il 4º per
scarsità dal 1849 in una classifica che vede, al 19º posto, anche il 2007 (163 giorni). Ciò ha fatto
postulare che il ciclo 24 possa rassomigliare ai cicli di fine Ottocento - inizio Novecento, quando
l'attività del Sole era meno marcata dell'attuale.
Ampiezza del ciclo 23 Il 28 marzo 2008 la sonda SOHO (Solar and Heliospheric Observatory) ha
confermato l'apparizione sul Sole d'un gruppo di macchie della precedente polarità a latitudini
equatoriali: per gli specialisti questa è la prova che il ciclo 23 non è ancora esaurito. In effetti, nel
trapasso da un ciclo all'altro, la sovrapposizione fra il vecchio e il nuovo è cosa normale; tuttavia, se
il ciclo 23, iniziato nel maggio 1996, non fosse terminato, starebbe per raggiungere l'ampiezza del
ciclo 4 (1784-'98) confermando, almeno in parte, la teoria del ciclo di Gleissberg.
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Detto ciò, si rendono necessarie alcune considerazioni aggiuntive. La scarsità di macchie solari di
per sé non ha incidenza sul clima terrestre; esse non sono che un indicatore dell'attività magnetica
dell'astro, nel senso che appaiono in numero elevato quanto più il Sole è attivo, e viceversa. È
appurato che lunghi minimi solari, caratterizzati dalla scomparsa quasi totale delle macchie, sono
coincisi con fasi fredde ultrasecolari, tant'è che «la corrispondenza tra due segnali non periodici,
cioè i documenti della storia del clima e il profilo della variabilità solare nel lungo periodo, ben si
adattano l'uno all'altro, quasi come una chiave e la sua toppa» [Eddy, pp. 195-196].
Se il ciclo 23 non è esaurito (si avvierebbe quindi a raggiungere i 13 anni), la corrispondenza col
ciclo 4 (durato 13,6 anni) permetterebbe di formulare previsioni a lungo termine. Secondo la teoria di
Gleissberg, cicli molto ampi (e il ciclo 4 è stato il più ampio tra quelli numerati) preludono a una fase
di quiescenza solare (vedi nota), che si mostrerebbe nei cicli successivi, a partire dunque dal 24º o,
più probabilmente, dal 25º. L'analogia è data dal minimo di Dalton (1798-1823), che si produsse coi
deboli cicli 5 e 6 e che corrispose alla fase terminale della Piccola età glaciale, quando molte
morene alpine raggiunsero il loro limite storico. Ma c'è un'ulteriore complicazione, fra le tante che
rendono estremamente difficile interpretare il ruolo del Sole.
Il ciclo perduto Analizzando la scarsità di osservazioni successive al 1790 (imputate all'instabilità
socio politica derivante dalla Rivoluzione francese), si è ipotizzato che l'apparente lunga durata del
ciclo 4 sia stata, invece, il risultato della sovrapposizione di due cicli: uno denominato 3' (1784-'93) e
un debole, e non riconosciuto, ciclo 4 (1793-'99), circostanza che farebbe leggermente postdatare
l'avvio del ciclo 5 (1799 in luogo del 1798). Il declino eccezionalmente lungo del ciclo 4 (fase
catastrofe: 1791-'98) pertanto, sarebbe da inquadrare in modo diverso rispetto a quanto ritenuto
finora [Usoskin, pp. 257 e 259].
A prescindere dalle implicazioni storiche e dai risvolti astrofisici che questa lettura può comportare,
lo spunto riguardante le carenze della documentazione conduce a una riflessione circa il minimo
attuale. Tra il 21 luglio e il 10 settembre 2008 si era creduto di archiviare una sequenza spotless di
51 giorni, che sarebbe stata la più lunga dal 1913 e la quarta dal 1849; l'osservatorio di Rimavská
Sabota (Slovacchia) ha tuttavia riconosciuto un gruppo di macchie che hanno interrotto la sequenza
al 20 agosto (31 giorni). Ciò non va a inficiare l'importanza del minimo attuale, ma apre anzi una
questione cruciale, ovvero: quanto sono attendibili, secondo i parametri in uso, i minimi di fine
Ottocento e inizio Novecento, per non parlare di quelli del XVII e XVIII secolo, quando le tecniche di
rilevamento erano notevolmente meno affinate delle attuali? Quante altre macchie, del tipo di quelle
messe in evidenza nel 2008, possono esser sfuggite agli astronomi dell'epoca? Perciò: la fase di
quiescenza odierna è esattamente confrontabile con quelle passate, oppure è sottostimata per via
d'una più capillare capacità di controllo?
Nessuna risposta è al momento opportuna, anche perché gli stessi sostenitori delle implicazioni
climatiche derivanti dall'attività solare mettono in luce una serie di incongruenze che ancora
attendono una spiegazione.
Note
Tale quiescenza determinerebbe anche una debolezza del vento solare, esponendo così la Terra a
una maggiore ingerenza dai raggi cosmici: da qui l'ulteriore teoria di Henrik Svensmark ed Eigil
Friis-Christensen, del Dansk Rumforskningsinstitut di Copenaghen, a parere dei quali ciò indurrebbe
un aumento della nebulosità terrestre.
Bibliografia
J.A. EDDY, Il clima e il ruolo delle condizioni solari, in R.I. ROTBERG, T.K. RABB (a cura di), Clima
e storia, Milano, 1984, pp. 170-197.
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I.G. USOSKIN, K. MURSULA, G.A. KOVALTSOV, The start of the Dalton minimum: was one
sunspot cycle lost in late XVIII century?, in H. SAWAYA-LACOSTE (editor), Proceedings of the
Second Solar Cycle and Space Weather Euroconference (Vico Equense, Italy, 24-29 settembre
2001), Noordwijk, 2002, pp. 257-260.
Stefano Di Battista
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  • 2. www.meteogiornale.it Detto ciò, si rendono necessarie alcune considerazioni aggiuntive. La scarsità di macchie solari di per sé non ha incidenza sul clima terrestre; esse non sono che un indicatore dell'attività magnetica dell'astro, nel senso che appaiono in numero elevato quanto più il Sole è attivo, e viceversa. È appurato che lunghi minimi solari, caratterizzati dalla scomparsa quasi totale delle macchie, sono coincisi con fasi fredde ultrasecolari, tant'è che «la corrispondenza tra due segnali non periodici, cioè i documenti della storia del clima e il profilo della variabilità solare nel lungo periodo, ben si adattano l'uno all'altro, quasi come una chiave e la sua toppa» [Eddy, pp. 195-196]. Se il ciclo 23 non è esaurito (si avvierebbe quindi a raggiungere i 13 anni), la corrispondenza col ciclo 4 (durato 13,6 anni) permetterebbe di formulare previsioni a lungo termine. Secondo la teoria di Gleissberg, cicli molto ampi (e il ciclo 4 è stato il più ampio tra quelli numerati) preludono a una fase di quiescenza solare (vedi nota), che si mostrerebbe nei cicli successivi, a partire dunque dal 24º o, più probabilmente, dal 25º. L'analogia è data dal minimo di Dalton (1798-1823), che si produsse coi deboli cicli 5 e 6 e che corrispose alla fase terminale della Piccola età glaciale, quando molte morene alpine raggiunsero il loro limite storico. Ma c'è un'ulteriore complicazione, fra le tante che rendono estremamente difficile interpretare il ruolo del Sole. Il ciclo perduto Analizzando la scarsità di osservazioni successive al 1790 (imputate all'instabilità socio politica derivante dalla Rivoluzione francese), si è ipotizzato che l'apparente lunga durata del ciclo 4 sia stata, invece, il risultato della sovrapposizione di due cicli: uno denominato 3' (1784-'93) e un debole, e non riconosciuto, ciclo 4 (1793-'99), circostanza che farebbe leggermente postdatare l'avvio del ciclo 5 (1799 in luogo del 1798). Il declino eccezionalmente lungo del ciclo 4 (fase catastrofe: 1791-'98) pertanto, sarebbe da inquadrare in modo diverso rispetto a quanto ritenuto finora [Usoskin, pp. 257 e 259]. A prescindere dalle implicazioni storiche e dai risvolti astrofisici che questa lettura può comportare, lo spunto riguardante le carenze della documentazione conduce a una riflessione circa il minimo attuale. Tra il 21 luglio e il 10 settembre 2008 si era creduto di archiviare una sequenza spotless di 51 giorni, che sarebbe stata la più lunga dal 1913 e la quarta dal 1849; l'osservatorio di Rimavská Sabota (Slovacchia) ha tuttavia riconosciuto un gruppo di macchie che hanno interrotto la sequenza al 20 agosto (31 giorni). Ciò non va a inficiare l'importanza del minimo attuale, ma apre anzi una questione cruciale, ovvero: quanto sono attendibili, secondo i parametri in uso, i minimi di fine Ottocento e inizio Novecento, per non parlare di quelli del XVII e XVIII secolo, quando le tecniche di rilevamento erano notevolmente meno affinate delle attuali? Quante altre macchie, del tipo di quelle messe in evidenza nel 2008, possono esser sfuggite agli astronomi dell'epoca? Perciò: la fase di quiescenza odierna è esattamente confrontabile con quelle passate, oppure è sottostimata per via d'una più capillare capacità di controllo? Nessuna risposta è al momento opportuna, anche perché gli stessi sostenitori delle implicazioni climatiche derivanti dall'attività solare mettono in luce una serie di incongruenze che ancora attendono una spiegazione. Note Tale quiescenza determinerebbe anche una debolezza del vento solare, esponendo così la Terra a una maggiore ingerenza dai raggi cosmici: da qui l'ulteriore teoria di Henrik Svensmark ed Eigil Friis-Christensen, del Dansk Rumforskningsinstitut di Copenaghen, a parere dei quali ciò indurrebbe un aumento della nebulosità terrestre. Bibliografia J.A. EDDY, Il clima e il ruolo delle condizioni solari, in R.I. ROTBERG, T.K. RABB (a cura di), Clima e storia, Milano, 1984, pp. 170-197. Pagina 2
  • 3. www.meteogiornale.it I.G. USOSKIN, K. MURSULA, G.A. KOVALTSOV, The start of the Dalton minimum: was one sunspot cycle lost in late XVIII century?, in H. SAWAYA-LACOSTE (editor), Proceedings of the Second Solar Cycle and Space Weather Euroconference (Vico Equense, Italy, 24-29 settembre 2001), Noordwijk, 2002, pp. 257-260. Stefano Di Battista Pagina 3