1. Talvolta, quando guardo lavorare i
colleghi ventenni che si affacciano
al giornalismo, mi chiedo come
passino le serate. Io, alla loro età,
ne spendevo moltissime dentro le
piscine, i palazzetti, gli stadi, le
palestre e non credo di essere già
così avanti nel rincoglionimento
da inventarmi episodi e gare
che non sono mai esistiti.
Comunque nel dubbio, ogni
tanto, interrogo i coetanei che
c'erano, "ma è vero che allo-
ra...", e quelli mi rispondono di
sì. Alla fine degli anni Settanta
entrai nella redazione torinese
del "Corriere dello Sport-
Stadio", avevo pochissimi e
incerti rudimenti del mestiere,
una maturità classica che nella
fattispecie non mi serviva a
niente e un contrattino da col-
laboratore a 5 mila lire ad arti-
colo e 1.500 a notizia: un articolo
scattava dalla venticinquesima
riga in su, il resto era notizia. Il
mio compito era coprire quanto
avveniva a Torino negli sport
"vari", però che avesse una rile-
vanza nazionale: in pratica dovevo
occuparmi di tutto tranne che
della Juventus e del Torino, ben-
chè dopo un annetto cadesse
anche quel paletto. Con simili rim-
borsi allora non ingrassavo, oggi
farei la fame anche se li rivalutas-
sero calcolando l'euro e l'inflazio-
ne: perchè la vera differenza è che
in quegli anni potevo scrivere fino
a 80 articoli al mese per un quoti-
diano sportivo nazionale, adesso
faticherebbero a chiedermene un
quinto.
Chi non l'ha vissuta da vicino non
può capire quale energia, vitalità
e impegno esprimesse lo sport
torinese negli anni che per aspetti
diversi e tragici vennero definiti
"di piombo". Ricordo con ango-
scia, ma in fondo con rimpianto,
l'accavallarsi degli eventi e gli stra-
tagemma inventati per ovviare
alla loro quasi contemporaneità.
Nel weekend si stazionava al
Palasport di Parco Ruffini per la
Klippan di Leone, di Prandi, di
Lanfranco e Rebaudengo, l'unica
squadra italiana ad aver vinto la
Coppa dei Campioni di pallavolo
senza neppure uno straniero. Poi
si rimbalzava in via Guala, alla
Sisport, dove giocava la Fiat di
basket femminile e si andavano a
vedere la Gorlin e la Palombarini,
perchè non erano solo brave. E
c'erano, sempre lì, i maschi in serie
B, e i pallanuotisti che un anno
acquistarono Eraldo Pizzo e sfio-
rarono il titolo, e ogni volta che
al giornale partorivano un'in-
chiesta (allora si usava molto)
immancabilmente dovevo corre-
re a raccoglierne il parere.
C'erano i lottatori, i grandi del-
l'atletica leggera. Spesso veniva-
no ad allenarsi Mennea e la
Simeoni che avevano il contratto
con l'Iveco ed era tutto in fami-
glia. La Martini e Rossi invece
sponsorizzava il grande basket,
che per noi era la Chinamartini di
Charlie Caglieris, e fu un'epopea
che durò fino a metà degli
Ottanta, cambiando il nome dello
sponsor e tenendo alti gli obietti-
vi. La Martini aveva, e forse ce l'ha
ancora, il palazzo di rappresentan-
za in corso Vittorio: andare ai buf-
fet di presentazione delle squadre
era per noi "peones", disabituati
alle tartine e agli aperitivi di classe
un integrativo allo stipendio, e
non ricordo perchè si mangiava e
si beveva meglio quando c'era in
ballo l'altra sponsorizzazione della
l’opinionel’opinione2
Nei ricordi di Marco Ansaldo
la trasformazione
del mondo sportivo torinese
negli ultimi trent’anni
Quella
Torino
irripetibile
degli
"sport vari"
di Marco Ansaldo
Il numero uno della IAAF Primo nebiolo
con Pietro Mennea ai tempi Iveco
Gabriella Dorio,
oro a Los Angeles '84, e Pietro Mennea,
vincitore dei 200 a Mosca '80.
2. però era pure
quella serie A e
bisognava starci.
All'idea che non
sarei mai uscito
da quel giro per-
verso contribuiva
persino un gros-
sista di carni,
B e n i a m i n o
Accorsi, che tra
un filetto e un
ossobuco aveva
pensato bene di sovvenzionare
un'altra squadra di basket femmi-
nile da serie A e, peggio, una
miriade di riunioni di boxe di cui
era appassionato. Non ricordo
dove fosse il dannato palazzetto
di periferia ma so di averci passato
tanti mercoledì sera a vedere
gente, anche scarsa, che si picchia-
va. Di sicuro tralascio qualcosa, ad
esempio le riunioni in pista al
Motovelodromo (una volta venne-
ro persino Moser e
Saronni) e il canottaggio
che tanto inorgogliva
Boniperti. Era una Torino
cupa. Per strada, la sera, si
incappava sempre in qual-
che posto di blocco con i
mitra spianati. Ma ne toc-
cavo l'effervescenza nello
sport e mi sentivo al cen-
tro di un mondo. Per me
fu una scuola formidabile,
unica. Oggi cerco le stesse
cose sul giornale. E mi sem-
bra che siano spariti tutti.
ed era piena di Larsson. Il pome-
riggio festivo passava al
Motovelodromo con il rugby
dell'Ambrosetti che galleggiava a
metà classifica. Freddo e nebbia
dal Po. Freddo e basta nei sabato
sera d'inverno, quando mi toccava
il palazzo del ghiaccio per le parti-
te di hockey della Fiat Ricambi,
roba che a un giornale radicatissi-
mo al Sud fregava meno di niente
Casa, il baseball
della William
Lawson's. Il base-
ball me lo fecero
capire a forza. Si
andava la sera in
via Passo Buole,
come cena il
panino e la birra
Moretti scura
comprati al bar
dello stadio: si
finiva dopo le 11
e mandavo a braccio corrispon-
denze lunghissime per "Stadio",
che usciva in Emilia e Toscana dove
c'erano le squadre più forti. Non
ho mai voluto sapere quante
castronerie dettavo ma almeno
avevo imparato a tenere il tabelli-
no.
La domenica cominciava al matti-
no presto in corso Tazzoli, con il
Cus di hockey su prato, che era al
top: in squadra
aveva indiani o
pachistani che si
chiamavano Singh
ma anche le avversa-
rie avevano spesso
indiani e pachistani
che si chiamavano
Singh e lo steno-
grafo smoccolava
tre ore per quella
confusione di nomi,
un'esperienza che
provai solo più tardi
quando mi occupai
della Svezia di calcio
1984: il Cus Torino Kappa
festeggia l’ultimo scudetto vinto a Torino
A destra Mario Rebaudengo
Sandra Palombarini,
grande protagonista del basket
femminile targato Sisport Fiat
Charlie Caglieris
ovvero la Martini e Rossi
Il Motovelodromo di corso Casale,
in quegli anni sede di molte riunioni su pista
La Klippan
di Leone, Prandi, Lanfranco e Rebaudengo