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di governo suggelleranno l’accordo
politico. Giustamente Tremonti fa
notare che il Patto così ridisegnato
ci consente di recepire gli insegna-
menti della crisi: che non è nata
dai debiti pubblici ma dalla finanza
privata visto che nel testo del Patto
si terrà conto di alcuni fattori rile-
vanti come il debito privato, come
fortemente voluto dall’Italia. La
nostra sfida, dunque, sarà quella
di sfruttare i sei mesi di intervallo
che intercorrono tra la minaccia di
sanzione e l’applicazione della stes-
sa nel mezzo della quale se l’Italia
dovesse trovarsi in deficit eccessivo
dovrebbe apportare tutte le misure
correttive necessarie al decremento
dello stesso. Tremonti su questo
ribadisce che il Patto è un buon
testo perché sono state trovate for-
mule flessibili, e gestibili da parte
del nostro Paese. L’auspicio è che
abbia ragione Tremonti ma sarà
davvero così? Solo il tempo potrà
fornirci qualche indicazione in più.
Intanto godiamoci questa ragione-
volezza ed elasticità delle formule
concordate a Lussemburgo.
Avanzino Capponi
Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Ottobre 2010 - Anno XLV - NN. 89-90 E 0,25 (Quindicinale)
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politica e sociale per valorizzare nuove
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In questo momento ritengo
che Il tempo delle scelte per
il PDL non sia minimamen-
te basato sul problema tra
“falchi” e “colombe”; credo
invece che debba interro-
garsi se aprire a un nuovo
soggetto, che ho definito
in altre occasioni liberale,
oppure no.
Dopo aver capito se provare
ad intraprendere un percor-
so insieme a questa nuova
formazione, che sicuramente
ha una politica diversa in
termini di principi e pro-
grammi rispetto alla PDL,
bisogna domandarsi se il
progetto politico del “FLI”
sia e soprattutto voglia essere
compatibile con il progetto
del Popolo della Libertà.
Nei governi di coalizione,
per definizione, le parti
devono concordare su pro-
grammi ben definiti e por-
tarli avanti; in poche parole
se questo “matrimonio s’ha
da fare”, i due leader devo-
no tornare a parlarsi diretta-
mente per chiarire ed agire
senza intermediari oppure è
meglio tornare al voto subito
e con grande velocità.
il Paese però Di tutto ha
bisogno ora tranne che stare
fermo per un lungo periodo
“a causa di crisi politiche”,
soprattutto in un momento
di incertezza e crisi econo-
mica.
Dare risposte economiche,
fiscali, sociali, e in partico-
lar modo occupazionali alla
nostra Italia, ora è quello che
la gente si aspetta; tra l’altro
non dimentichiamoci che
esiste un’opposizione popu-
lista e qualunquista, fino ad
oggi senza una leadership
carismatica, e senza risposte
e proposte che invece per il
suo ruolo dovrebbe dare.
Che fare? A mio avviso
dare una tempistica certa e
soprattutto portare in aula
parlamentare le proposte di
riforma che abbiamo presen-
tato nel 2008 agli elettori e
vedere se si può lavorare per
portare a “casa” i risultati su
questioni tanto importanti.
In caso contrario tutti imme-
diatamente al lavoro per le
elezioni sapendo benissimo
che chi ha causato questo
ha un nome e cognome:
Gianfranco Fini.
Ad Maiora
Erich Maria
Remarque
Iltempodellescelte
Nuovo patto di stabilità UE
Accordo tra i ministri finanziari dell’Ue sulla revisione del patto di stabilità
Il Ministro dell’Economia Giulio
Tremonti ha annunciato l’accor-
do tra i ministri delle finanze
Ue sulla revisione del patto di
stabilità nella riunione tenutasi a
Lussemburgo. L’annuncio è avve-
nuto in questi termini: “habe-
mus novum pactum”. Nel nuovo
patto di stabilità ci sono “formule
flessibili, ragionevoli e gestibili da
parte del governo italiano”, ha
spiegato Tremonti. “È un testo
molto buono, non ha elementi di
rigidità come da voi auspicato”, ha
detto Tremonti a Lussemburgo,
polemizzando in maniera amiche-
vole con i giornalisti e immagi-
nando “la grande delusione della
stampa italiana”.
“Questo patto ridisegnato e rideli-
neato ci consente di recepire alcu-
ni insegnamenti che sono venuti
dalla crisi”, riconosce ancora il
Ministro, che parla del documen-
to della task force che sarà presen-
tato ai capi di Stato e di governo
dell’Ue a fine ottobre come di
“una costruzione armoniosa”. Il
nuovo patto ci sarà tra “più o
meno di cinque mesi, quanti ce
ne sono voluti dall’avvio della task
force a oggi, ha spiegato Tremonti
ai giornalisti, oggi è finita la fase
tecnico-politica, nei prossimi gior-
ni ci sarà la fase politica”, in occa-
sione appunto del vertice dei capi
di Stato e di governo a Bruxelles il
28 e 29 ottobre. “Nessuna richie-
sta italiana è stata accolta, perché
quello che alla fine è stato siglato
raccoglie il consenso di tutti: non
c’è stata alcuna richiesta di dilazio-
ne, alcuna richiesta di estensione
della valutazione del debito ai
fattori rilevanti, solo una posizio-
ne italiana perfettamente coerente
con quanto deciso con il consenso
di tutti”. “Noi ci riconosciamo nel
testo”, ha insistito Tremonti, per
il quale, in particolare, sull’auto-
matismo delle sanzioni c’è “un
grande grado di flessibilità”.
Tremonti precisa però che, “sulla
base del testo vigente, per noi resta
fondamentale la correzione del
deficit”. Il Ministro conferma che
nel testo concordato oggi “non
c’è alcuna formula numerica”, in
particolare la richiesta di ridurre
di un ventesimo la differenza tra
il livello raggiunto dal debito e
quello stabilito dal Patto (60% del
Pil), contenuta nelle proposte della
Commissione. La Commissione
europea chiede che chi è indebi-
tato oltre il 60% del Pil riduca il
debito del 5% l’anno. Il Direttore
generale del Tesoro Vittorio Grilli
ha sottolineato un aspetto chiave
all’Italia, cioè l’inclusione del debi-
to privato nel calcolo dell’indebi-
tamento. Rimane da precisare in
quale misura verrà tenuto conto
del debito delle famiglie. Se sarà
incluso alla pari o quasi con il
debito pubblico, l’Italia vedrebbe
diminuire drasticamente i rischi di
violare il Patto la cui riforma viene
riconosciuta necessaria da anni.
Il compromesso di Lussemburgo è
frutto di mesi di trattative tra due
gruppi. Da una parte la Germania
e altri Paesi nordici, fautori di
un meccanismo di sanzioni come
deterrente assoluto per i Paesi che
sgarrano. Sull’altro fronte, con
Italia e Francia in prima fila, che
paventa un “Panzer Pakt” capace
sì di imporre il rigore con il rischio
di strangolare le non proprio solide
aspettative di ripresa economica.
A Lussemburgo tutti hanno fatto
concessioni. Berlino accettando
l’idea di un intervallo di sei mesi tra
la minaccia e l’applicazione delle
sanzioni. Francia e Italia hanno
accettato un meccanismo che fac-
cia scattare sanzioni contro i Paesi
che in quei sei mesi di prova non
accogliessero le raccomandazioni
dei partner. La non totale automa-
ticità sta nel fatto che le sanzioni
potrebbero essere bloccate da un
voto del Consiglio Ecofin a mag-
gioranza qualificata. Quindi si può
dire che il pressing della Francia
ha avuto la meglio sul rigore della
Germania. Infatti sono state accor-
date regole più morbide e alleggeri-
to il meccanismo automatico delle
sanzioni. In pratica un Paese con
deficit o debito eccessivo che non
prende le misure necessarie, entro
sei mesi sarà sanzionato.
L’Italia intanto si appresta ad una
ulteriore correzione del deficit,
ad una riforma del sistema fiscale
che miri a ridurre le tasse sui
lavoratori, sui pensionati e sulle
imprese, in grado di contribuire
a rilanciare la domanda, consu-
mi e occupazione. Accompagnata
da una intensificazione della lotta
all’evasione.
Nell’ambito del vertice di
Lussemburgo prendono quindi
corpo anche le politiche di bilan-
cio ed economiche del Governo
italiano, che proprio al termine
della riunione ha iniziato a deli-
neare gli indirizzi strategici per
far ripartire la crescita. Ora che il
patto di stabilità ha previsto un
meccanismo sanzionatorio meno
automatico con regole più flessi-
bili, non si può ancora dire che il
nostro Paese può tirare un sospiro
di sollievo ma sicuramente potreb-
be usufruire di questo differimento
temporale sanzionatorio per poter
correggere il deficit più rapidamen-
te. C’è da sottolineare comunque il
buon risultato raggiunto nel verti-
ce di Lussemburgo, frutto di una
coesa negoziazione istituzionale
attendendo il vertice del 28 e 29
ottobre nel quale i capi di Stato e
Pag. 2 1-15/16-31 ottobre 2010
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chiamare il numero verde:
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Della Vedova che formeranno
una sorta di “Direttorio” del
partito il cui comitato promo-
tore si è riunito per la prima
volta il 5 ottobre scorso.
Nella riunione - tenuta stret-
tamente al riparo da teleca-
mere e taccuini neppure fosse
un convegno di “carbonari”
- l’ex Presidente di Alleanza
Nazionale, pur auspicando
la continuazione della legi-
slatura da parte del Governo
Berlusconi, ha ribadito ai suoi
seguaci di essere comunque
pronti ad eventuali elezioni
anticipate. Per Fini, Futuro e
Libertà non dovrà strutturar-
si come un partito tradizio-
nale - “pesante” - ma dovrà
possedere un’organizzazio-
ne agile assimilabile a quella
di un moderno movimento
d’opinione il cui assetto finale
tuttavia non dovrà ripercor-
rere gli errori compiuti nel
passato da AN: insomma non
si dovranno creare di nuovo le
logiche spartitorie ed egoisti-
che del vecchio partito in cui
le lotte tra “colonnelli” tar-
parono le ali alla formazione
politica figlia del MSI.
Riemerge quindi già da que-
sti primi vagiti del nuovo
sodalizio politico l’eterna
questione della contrapposi-
zione tra partito “pesante”,
frutto delle ideologie e della
storia del Novecento e quello
agile, liquido di veltroniana
memoria e di più modernista
visione. Visione che tuttavia il
Presidente della Camera non
più di qualche mese fa, quan-
do era ancora all’interno del
PdL e prima ancora quando
guidava con pugno d’acciaio
Alleanza Nazionale, rifuggiva
schifato e sdegnato.
Chi non ricorda le esternazioni
ironiche di Fini riguardo Forza
Italia definito partito di plasti-
ca, o i giudizi di sufficienza
nei confronti dei Circoli della
Libertà, di quelli del Buon
Governo o dei Promotori della
Libertà?
Allora un Partito doveva esse-
re l’espressione del territorio,
organizzato capillarmente
regione per regione, comu-
ne per comune, solidamen-
te strutturato in tutte le sue
sezioni periferiche e con una
gerarchia piramidale ben defi-
nita in cui Lui avrebbe dovuto
rappresentarne l’apice.
Adesso invece, fatta compiere
al proprio pensiero politico
l’ennesima capriola, ecco che
si ritrova a incensare e ricopia-
re una forma organizzativa di
partito che il suo rivale-alleato
Berlusconi ha per primo idea-
to tra i frizzi e i lazzi dei “par-
rucconi” della politica italiana
quindici anni or sono.
Più recentemente Veltroni
aveva provato a trasformare
il Partito Democratico in un
partito più snello, giovane,
tutto web, blog ed internet tv,
ma i risultati elettorali, quel-
li che contano in definitiva,
furono disastrosi e l’ex sindaco
di Roma è stato costretto ad
abbandonare, almeno per il
momento, ogni sogno di gloria
politica. Che Veltroni l’ameri-
cano tentasse di scopiazzare
l’organizzazione partitica d’ol-
treoceano era nel novero delle
cose ma che Fini, proveniente
da una storia politica e cultu-
rale diversa, ricevesse in dono
questa folgorazione sulla via di
Damasco in pochi se lo sareb-
bero aspettato.
Del resto crediamo che la riu-
scita creazione di un movi-
mento politico di largo con-
senso popolare come è stato
Forza Italia e come si accinge
ad essere il PdL sarebbe potu-
to riuscire solamente ad un
uomo come Berlusconi, privo
dei lacci e lacciuoli ideologici
caratterizzanti i professioni-
sti della politica della Prima
Repubblica e quindi lontano
miglia dalla forma mentis di
persone come Veltroni e Fini
cresciuti da poppanti nelle
sezioni di via delle Botteghe
Oscure o di via Della Scrofa.
Il tentativo di Fini di creare un
partito leggero è dovuto essen-
zialmente al fatto che è da un
lato incerto riguardo il nume-
ro reale di cittadini e simpatiz-
zanti che realmente lo segui-
ranno, è insicuro di quando
ci saranno le elezioni, e perciò
si deve far trovare pronto con
una “sigla” nel caso si vada alle
urne già nella prossima pri-
mavera, ma soprattutto è per-
plesso riguardo la capacità dei
propri attuali seguaci e com-
pagni di cammino a radicare
sul territorio il nuovo partito
e per questo deve attrarre su
di se una grande attenzione ed
attesa mediatica che surroghi
l’oggettiva debolezza dell’of-
ferta politica del FLI.
L’incertezza evidentemente ha
così sopraffatto il Presidente
della Camera che a coloro i
quali gli chiedevano se non
fosse stato giusto dimetter-
si dallo scranno più alto di
Montecitorio dato il ruolo
politico che ha ricoperto in
merito alla scissione dal PdL
e che gli impedirebbe una
sostanziale equidistanza tra
le parti, ha risposto che non
essendo il leader del FLI può
continuare a stare seduto sul
posto che occupa grazie ai voti
e al peso posseduti dal PdL
che poi ha rinnegato.
Insomma coloro i quali spera-
vano di sfuggire dal controllo
del Cavaliere si devono accon-
tentare di galleggiare intor-
no all’orbita di Bocchino e
Granata: non c’è che dire!
Fini in ogni caso è costretto
a fare quello che egli ha sem-
pre rimproverato a Berlusconi:
“medializzare” lo scontro con
l’avversario. L’unico neo è che
oramai non dispone più di un
partito ben radicato sul territo-
rio, Alleanza Nazionale, attra-
verso il quale avrebbe potuto
contrastare la supremazia di
Arcore e neppure possiede il
carisma, tantomeno la capa-
cità o le risorse del Cavaliere
per cercare di raggiungere il
proprio obiettivo: quello di
scalzare Berlusconi alla guida
del centro-destra italiano.
Al momento, al netto di
ulteriori futuri trasformi-
smi ideologici e culturali
sempre in agguato con Fini,
l’ex Presidente di Alleanza
Nazionale può aspirare ad esse-
re il nucleo d’aggregazione per
quella galassia di “lib- dem”
esistente i Italia che comun-
que nulla ha a che vedere con
una destra più tradizionale e
popolare.
I prossimi appuntamenti di
Futuro e Libertà, a novembre
a Perugia e a gennaio a Milano
per il primo vero congresso
del partito, sapranno dirci se
la nuova formazione politi-
ca sarà alleata leale dell’asse
PdL - Lega come afferma-
to in occasione del voto di
fiducia parlamentare o sarà
uno strenuo competitore della
maggioranza di governo come
paventato da Bocchino al
momento di dichiarasi pron-
to a nuove alleanze trasversali
allo scopo di cambiare la legge
elettorale in vista di una cadu-
ta del Governo Berlusconi e di
conseguenti elezioni politiche
anticipate.
All’indomani del voto di fidu-
cia al Parlamento ottenuto dal
GovernoBerlusconiriguardole
linee programmatiche da por-
tare avanti nei prossimi anni, i
fedelissimi del Presidente della
Camera hanno ufficializzato
quello che da mesi era dive-
nuto il “segreto di Pulcinella”:
la fuoriuscita dal Popolo della
Libertà e la formazione di un
nuovo soggetto politico.
Futuro e Libertà potrà contare
sull’apporto di 35 deputati, 10
Senatori e 4 europarlamentari
di Strasburgo. Tra gli espo-
nenti di spicco della neonata
formazione politica ci sono
i “falchi” Bocchino, Granata
, Briguglio, ma anche Urso,
Menia, Viespoli, Moffa e
Acque ancora agitatissime all’in-
terno dei partiti di centro-destra
che compongono la maggioranza
di governo all’indomani dell’uf-
ficializzazione della nascita del
nuovo soggetto politico “finiano”,
Futuro e Libertà.
L’aria che tira non deve essere
proprio delle migliori se anche
un “cattivo” per eccellenza come
Calderoli, ha lanciato l’idea di un
nuovo patto tra Berlusconi, Fini
e Bossi che allontani lo spettro
di elezioni politiche anticipate o
ribaltoni parlamentari dell’ultimo
momento.
Il patto del “trampolino” - così lo
ha definito il pittoresco Ministro
della semplificazione - avrebbe lo
scopodisiglareun’intesadilegisla-
tura oltre che di rilanciare l’azione
del Governo Berlusconi evitando
continue frizioni e strappi tra ex
alleati che porterebbero inevitabil-
mente ad un ulteriore aggravarsi
della crisi politica; questo passag-
gio a 3 andrebbe poi a rafforza-
re ulteriormente il voto con cui
Senato e Camera dei Deputati
hanno accolto favorevolmente i
cinque punti programmatici di
Berlusconi.
E’ evidente che a parte le prime
dure dichiarazioni a caldo favore-
voli alla cacciata dei finiani dalla
maggioranza e l’invito fatto al
Cavaliere di ricorrere immediata-
mente alle urne, gli esponenti di
primo piano della Lega stanno
cercando di rimettere insieme i
coccidellacoalizionetemendonon
tanto elezioni anticipate quanto
l’avvento di un governo tecnico
che faccia decantare la situazione
politica e metta in primo piano
l’approvazione di una nuova legge
elettorale accantonando la riforma
federalista dello Stato.
A confliggere contro tale auspi-
cabile riappacificazione ci sono
i comportamenti ondivaghi di
Fini e le dichiarazioni dei rappre-
sentanti dell’ala più oltranzista di
Futuro e Libertà in netta contrap-
posizione con le dichiarazioni fatte
da alcune “colombe” di FLI.
Infatti, se da un lato il sottosegre-
tario al commercio estero nonché
vice presidente di Futuro e Libertà
Urso tende la mano all’eventualità
immaginata da Calderoli definen-
dola utile, tanto più se si riusci-
rà a fare delle riforme condivise,
dall’altro lo stesso Presidente della
Camera, durante una serie di con-
ferenze di presentazione del FLI
in Nord Italia, non ha mancato
di stilettare ai fianchi l’asse PdL-
Lega.
Secondo Fini - nella sua nuova
veste di “giacobino” difensore
della Magistratura - se non sarà
il Lodo Alfano a creare tensioni
con gli altri due alleati di Governo
potranno essere alcune questioni
riguardanti il riordino del sistema
giudiziario a poter far scaturire la
possibilità di una crisi di gover-
no, a causa ad esempio di una
riforma della giustizia punitiva nei
confronti delle “toghe” o sotto-
ponendo le stesse al controllo di
altri poteri.
La sola evocazione da parte dell’ex
presidente di Alleanza Nazionale
di una possibile crisi di governo
ha dato naturalmente il via alle
dichiarazioni di guerra da parte
di Bocchino e a ruota da tutti i
partiti di opposizione.
Il braccio destro di Fini ha infat-
ti auspicato, in caso di eventuale
caduta del Governo Berlusconi,
non l’immediato ritorno alle urne
ma la ricerca di una maggioranza
diversa in Parlamento che oltre
a ratificare una nuova legge elet-
torale pensi ad affrontare la crisi
economica e finanziaria del Paese.
Franceschini a tal proposito si è
spinto oltre affermando che in
caso di “caduta” del Cavaliere, il
Partito Democratico dovrebbe
cercare un’alleanza “costituzionale”
con UDC e Futuro e Libertà non
limitata solo a rifare la legge elet-
torale come auspicano Di Pietro e
Vendola ma anche per affrontare
insieme a Fini e Casini le elezioni
politiche in quanto né l’alleanza
PD-IdV-Sinistra e Liberta né tan-
tomeno UDC e FLI sono auto-
sufficienti in termini di voti per
sbaragliare l’asse Berlusconi - Bossi.
Lo stesso Casini rimanendo sem-
pre all’interno dello stesso solco si è
detto possibilista riguardo una con-
vergenza con Partito Democratico
e FLI per concludere non solo
tale legislatura - sempre che l’at-
tuale maggioranza di centro-destra
crolli - ma anche per cercare di
creare una nuova maggioranza che
porti fuori dalle secche il Paese
senza però ricorrere all’alleanza con
Di Pietro o la sinistra radicale di
Vendola.
A rendere la situazione ancora
più esplosiva sono state le parole
del Presidente Berlusconi il quale,
dopo una settimana di riposo per
ristabilirsi dalla recente operazione
occorsagli al polso, ha affermato
che oltre ad essere improcrastina-
bile una legge che regoli tutto il
sistema giudiziario, urge appro-
vare in breve tempo un lodo che
protegga le alte cariche dello Stato
per tutto il periodo in cui svol-
gono le loro mansioni a causa
del comportamento di magistrati
politicizzati contro i quali potreb-
be ben presto essere varata una
commissione parlamentare d’in-
chiesta, dichiarazioni queste ulti-
me che allontanano ancora di più
i due ex alleati Berlusconi e Fini.
In ogni caso su tutti i fronti la
confusione regna sovrana.
Nel centro-destra il Popolo della
Libertà sembra aver un po’ smar-
rito la “verve” dei primi mesi. Esso
stenta a trovare una configurazio-
ne organizzativa interna stabile ed
al momento è riuscito - almeno
in parte - a frenare l’emorragia
di parlamentari verso le sirene di
Futuro e Libertà, ma variando la
situazione politica, con l’eventuale
caduta del Governo Berlusconi,
per essere più chiari, non si sa
sinceramente fino a che punto tale
“diga” possa reggere.
Il Partito Democratico si dibatte
ancora in una drammatica crisi
interna che dura dalla sconfitta
alle elezioni politiche del 2008
e solo adesso una classe politica
nuova con a capo il sindaco di
Firenze sembra voler emergere
dalla palude venutasi a creare a
causa degli imperituri contrasti tra
gli schieramenti vicini a Veltroni e
D’Alema che stanno imbalsaman-
do pure l’azione di Bersani. Di
tale momento d’empasse sembra
voler di nuovo approfittare come
avvenuto già due volte in Puglia
Vendola, il quale sta cercando di
far coagulare intorno alla sua per-
sona tutte le anime oramai disperse
della sinistra radicale. Il disegno è
chiaro: emergere a sinistra come
l’unico vero esponente con ampia
popolarità per sparigliare le carte
nella coalizione di centro-sinistra
e per raggiungere tale scopo deve
sperare in rapide elezioni anticipate
che non consentano al PD di rior-
ganizzarsi intorno ad una propria
figura politica “pesante” oppure
impedirgli di fare alleanze - anco-
ra comunque osteggiate da molti
Democratici - con UDC e FLI.
I “finiani” invece puntano sempre
più - le colombe Menia, Viespoli
e Urso sembrano purtroppo essere
state messe all’angolo - alla rottura
con PdL e Lega per cercare in
Parlamento le convergenze utili
alla formazione di un Governo
tecnico anche perché cercare con-
sensi tra la gente al momento
sembra difficile per la formazione
politica creata da Fini, tanto che il
presidente della Camera - spoglia-
tosi definitivamente del suo abito
di “super partes” - sembra essere
esclusivamente occupato ed orien-
tato alla creazione di un partito
fluido: più fondazioni e associa-
zioni e meno sezioni e forse meno
forza di attrazione tra la gente.
L’UDCèancoraindecisasullastra-
da da percorrere poiché se da una
parte,comericordatoinpreceden-
za, Casini si dice disposto a creare
una alleanza coi Democratici ed i
“finiani”, dall’altra annuncia che
alle amministrative della prossima
primavera i centristi correranno
da soli per far risaltare meglio agli
occhi degli Italiani la loro scelta
anti bipolarista.
Al tirar le somme crediamo che
gli spazi di manovra di Berlusconi
siano diventati strettissimi e evi-
dentemente anche il Cavaliere
scommette poco sulle reali inten-
zioni di riappacificazione di Fini,
anzi è convinto che il Presidente
della Camera intende logorare lui
ed il suo Governo fino alle estre-
me conseguenze.
Poche settimane ancora e causa la
discussione in Aula della riforma
della Giustizia e Lodo Alfano,
sapremo se Berlusconi sarà riu-
scito nell’ennesimo miracolo o se
i riti dei sacerdoti della Prima
Repubblica avranno preso di
nuovo il sopravvento.
Giuliano Leo
I dissidenti del PdL ufficializzano la loro nuova formazione politica
Nasce il partito di Fini
Berlusconi, Bossi e Fini stentano a ritrovare l’unità che ha portato a vincere delle politiche 2008
Scricchiolii
1-15/16-31 ottobre 2010 Pag. 3
I vergognosi fatti di Genova
impongono riflessioni che
ovviamente esulano dal calcio
ed investono ampi settori della
società. Partiamo proprio dai
Serbi e dalla Serbia.
Il movimento “Obraz”, cono-
sciuto per aver recentissima-
mente picchiato i partecipan-
ti al Gay Pride di Belgrado,
prima dei fatti di Genova s’era
principalmente mostrato con
scritte sui muri a contenuto
nazionalista o nelle campagne
contro gli omosessuali. Nei
raduni pubblici i suoi mem-
bri sempre più di frequen-
te insistono sull’affermazio-
ne della religione ortodossa,
come l’unica giusta, e della
patria, così come insistono
sulla necessità che la Serbia
venga definita mediante la
Costituzione non come stato
dei suoi cittadini, ma bensì
come “stato del popolo serbo e
degli altri che vi abitano”.
Il forte richiamo alla Chiesa
ortodossa - o cattolica come
in Polonia - è una costante dei
movimenti xenofobi slavi. Ne
sanno qualcosa i radicali italia-
ni, in primis Marco Cappato,
che manifestando a Mosca
per i diritti degli omosessuali
furono aggrediti da un contro
corteo in cui figuravano espo-
nenti della chiesa e skinhead.
In Serbia “Obraz” ha organiz-
zato più volte delle campagne
contro i diritti degli omoses-
suali, considerando che un tale
tipo di amore sia innaturale e
senza religione, e ai suoi mem-
bri piace il richiamo ai valo-
ri introdotto dall’ex vescovo
serbo Nikolaj Velimirović.
È difficile dire con precisione
quante e quali conseguenze
abbiamo i movimenti nazio-
nalistici sulle relazioni intra-
nazionali nei territori misti,
vero è però che sono di norma
presenti e urlano ad ogni mini-
ma “situazione critica”.
Nonostante l’ignoranza - non
ultima quella di giornalisti che
scambiano il saluto dei cet-
nici coi 3 punti che avrebbe
perso a tavolino la nazionale
serba - che germoglia attorno
a questi combattivi movimenti
di estrema destra, il fenome-
no cresce, prende piede non
solo in realtà arretrate cultu-
ralmente e in grave empasse
economica, ma anche in paesi
come la Svezia.
A proposito degli svede-
si, popolo nell’immaginario
collettivo aperto e sorriden-
te, lontano anni luce dalle
dispute da vecchia “Europa”,
la destra xenofoba ha oggi
il nome di Jimmie Akesson.
Sverigedemokraterna, parti-
to nato nel 1988 ad opera
di ex neonazi del Partito
Nazionalista del Nord e ed ex
membri del “Bevara Sverige
Svenskt” altrimenti detto
“Manteniamo la Svezia sve-
dese” o “Svezia agli svedesi”,
testè entrato in parlamento.
È il classico movimento radi-
cale, che cavalca lo scontento
degli strati più bassi o più
inermi della società, come gli
anziani. Alla domanda su dove
intervenire, la risposta dei
militanti è priva di interroga-
tivi: “l’immigrazione sicura-
mente perché da quello dipen-
de tutto il resto. Noi abbiamo
un progetto chiaro: mettere un
punto alle richieste di asilo e
ai ricongiungimenti. Il nostro
obiettivo concreto è diminuire
l’immigrazione del 90%”.
L’estrema destra svedese, rical-
ca molto le istanze della Lega
in Italia: anticomunismo, ter-
ritorialismo, Cristianesimo
contro Islam, xenofobia e anti-
centralismo.
La polemica contro “Stoccolma
ladrona” che risucchia le risor-
se del Paese a discapito dei
lavoratori - udite, udite - del
sud è emblematica.
Come detto, a Est è la chiesa
- cattolica od ortodossa che sia
- a cavalcare istanze xenofobe e
di chiusura che caratterizzano
i movimenti di estrema destra.
In Italia ad esempio è assai
diverso. Esemplare in tal senso
è l’infinita diatriba in fatto
di immigrazione. Laddove lo
Stato chiude, la Chiesa sotto
spoglie Caritas, apre.
Più in generale, a cominciare
dagli inizi degli anni Novanta
l’estrema destra europea ha
proceduto ad una profonda
revisione ideologica indivi-
duando nei mali sociali, nel
malcontento popolare e nei
timori derivanti dai cambia-
menti economici e culturali di
questo XXI secolo, il terreno
fertile per fare proseliti in tutti
i paesi europei.
A questi problemi, che grava-
no sulla maggior parte delle
moderne società europee, la
destra radicale ha poi aggiunto
una buona dose di sfiducia
verso i governi in carica, nei
confronti dei partiti tradizio-
nali, verso l’Unione Europea,
ma soprattutto l’ostilità nei
confronti dell’immigrato.
Il punto di riferimento ide-
ologico della attuale estrema
destra europea poggia, sul
giornalista e filosofo francese
Alain de Benoist, il fondatore
della Nouvelle Droit, il padre
del “differenzialismo etnico”,
la nuova frontiera del pensiero
razzista in salsa dolce.
De Benoist auspica esplicita-
mente ad una società antie-
gualitaria, il filosofo francese
immagine una “Europa delle
Regioni”, una “Europa dei
popoli, le “piccole patrie”,
basate rigorosamente sul fede-
ralismo etnico - o per dirla in
un altro modo sul “differen-
zialismo etnico” - per rendere
possibile il non-inquinamento
etnico dei luoghi preservando
le diverse identità culturali,
nazionali e religiose contro
ogni “ibridazione”.
Roba vecchia insomma, ma
che non perde fascino. Il fasci-
no del Vintage macabro.
Il “contaminatore” è l’immi-
grato extracomunitario, nono-
stante venga riconosciuto che
esso fugge dalla miseria di
tutti i Sud del mondo, è visto
come un vero e proprio spet-
tro. L’immigrato viene così
ad essere il nemico numero
uno da combattere, in quanto
oltre ad intaccare l’identità dei
popoli è ritenuto il responsa-
bile dell’aumento della disoc-
cupazione e dell’incremento
della criminalità.
L’”invasione” di immigrati,
secondo il “nuovo pensiero”,
viene permessa dalla globa-
lizzazione economica - deno-
minata anche con il nome
di “mondialismo” - che causa
l’omologazione culturale e
l’incontro fra i popoli, di con-
seguenza non riconoscendo le
diversità tra i popoli, opera
così ad una sorta di pulizia
etnica, la quale a sua volta non
porta altro che alla tanto odia-
ta società multirazziale.
La destra radicale europea,
grazie alla sua svolta ideolo-
gica, ha subito un processo
di “proletarizzazione”. Ossia i
movimenti dell’estrema destra
riescono a trovare terreno fer-
tile per le proprie ideologie, e
soprattutto riscuotere consen-
si, nelle classi meno abbienti,
un tempo orientate di solito
a sinistra. Mutamento, que-
sto, legato molto legato molto
all’imborghesimento della
sinistra europea che l’ha pro-
gressivamente allontanata dai
ceti popolari.
Al netto dei succitati dettami
ideologici comuni - la estre-
ma destra europea evidenzia
comunque numerose differen-
ze. Nell’analisi generale pos-
siamo dividere i soggetti in tre
principali categorie.
Troviamo movimenti e partiti
dichiaratamente neofascisti ed
certuni casi con caratteristi-
che addirittura neonaziste. Nel
primo caso rientrano le nume-
rose compagini dell’estrema
destra spagnola, portoghese,
greca ed italiana. Le relati-
ve compagini tuttavia hanno
aggiustato un pò il tiro con-
centrandosi sull’attualità, visto
che l’ostinato attaccamento al
passato non ha prodotto nes-
sun risultato elettorale rile-
vante, anzi, il nostalgismo ne
ha pregiudicato il consenso,
l’esempio di casa nostra Forza
Nuova è illuminante. Nella
seconda tipologia troviamo
i partiti dell’estrema destra
tedesca, che ai classici temi
dell’estrema destra europea
aggiungono una buona dose di
antisemitismo e di riferimenti
al passato hitleriano.
A questi partiti, se ne sono
afiancati altri. È il caso dei
movimenti del nord Europa,
nati per la protesta antitasse
che hanno ripiegato negli ulti-
mi anni sulla xenofobia, l’op-
posizione all’euro e all’Unione
Europa. Esempi più rilevan-
ti Pim Fortuyn in Olanda,
Blocher in Svizzera, Haider in
Austria e Bossi in Italia.
Soggetti che con alterne for-
tune - anche di vita - hanno
saputo ritagliarsi uno spazio
notevole nelle relative poli-
tiche nazionali con ruoli di
governo. La terza ed ultima
categoria è quella dei parti-
ti dei paesi dell’Est, che ai
temi cari alla destra radicale
aggiungono una buona dose di
ultranazionalismo. Infatti, le
compagini bulgare, ungheresi,
rumene ed anche russe, hanno
tra i propri obiettivi quelli di
realizzare un “grande Stato”
che non prevede la presenza di
nessuna minoranza etniche e
perché no, anche di ebrei.
Prendiamo la Bulgaria il parti-
to Attacco Unione Nazionale,
noto anche come Ataka, può
essere considerato il partito
più a destra attualmente pre-
sente in Parlamento. Sostenuto
da molti ex militari, Ataka si
è caratterizzato per il rifiuto
all’ingresso della Bulgaria nella
Nato e nell’Unione Europea.
Il partito ha proposto il rico-
noscimento della religione
cristiana ortodossa come reli-
gione di Stato ed ha critica-
to i “privilegi” per le mino-
ranze linguistiche presenti in
Bulgaria, in particolare turchi
e rom. Ataka è uno dei tanti
partiti ultranazionalisti euro-
pei coi quali condivide antise-
mitismo e antieuropeismo cui
aggiunge l’odio contro i Rom,
elemento comune d’area, che
riguarda pure Slovacchia,
Ungheria e Romania. Non più
tardi di 4 anni fa il leader di
Ataka, Siderov, prese addirit-
tura il 21,5% dei consensi alle
presidenziali, e nonostante la
netta sconfitta al ballottaggio,
trattasi di risultato incredibile.
La situazione ungherese è gra-
vida di conseguenze se non
controllata. Alle recenti ele-
zioni dopo anni di socialde-
mocrazia si è abbattuta sul
paese la valanga Fidesz, destra
moderata.
La quale come la storia anche
d’Italia insegna, si è fatto largo
attraverso l’estrema destra e
le sue sortite provocatorie e
forti per rottamare il gover-
no socialdemocratico ed ora
ha intenzione di procedere da
solo, accantonando di fatto
Jobbik. Anche se, la destra
moderata ungherese ama per
così dire il doppio petto,
essendo compatibile in molti
casi con i radicali (taglio delle
tasse, sicurezza).
Ma è soprattutto in tema di
difesa dell’identità unghe-
rese che i due partiti sem-
brano parlare con una voce
sola, specialmente per quanto
riguarda la protezione delle
proprie minoranze all’estero e
in particolare in Slovacchia,
Romania e Serbia. Non a caso,
Orban ha cominciato il suo
primo discorso dopo il trion-
fo elettorale rivolgendosi “a
tutti gli ungheresi, dentro e
fuori i confini” mentre il suo
ministro degli Esteri ha subi-
to annunciato che il nuovo
governo starebbe pensando
di concedere la doppia citta-
dinanza agli ungheresi etnici
residenti oltre confine. Il mito
della “nazione da 15 milio-
ni” di anime (l’Ungheria non
arriva a 10 milioni di abitanti)
ultimamente è diventato mar-
tellante e in un Paese in cui le
due destre totalizzano quasi
l’80 per cento dei consensi, il
segnale va preso con le molle.
La destra radicale europea,
al fine di render più efficace
la promozione delle proprio
istanze ha tentato di struttu-
rarsi a livello europeo coor-
dinandosi. Questo coordina-
mento ha avuto origine nel
2002, su iniziativa soprattutto
della Falange spagnola e dello
storico fascista iberico Blas
Piñar.
Dopo vari incontri ed innu-
merevoli discussioni si giunge,
nel novembre 2003, a pro-
gettare un Fronte Nazionale
Europeo per la difesa dell’Eu-
ropa delle patrie. La prima
conferenza officiale del FNE
si tiene l’anno dopo in ottobre
a Varsavia (Polonia) alla quale
partecipano le delegazioni di
Forza Nuova (Italia), Noua
Dreapta (Romania), Nacionala
Speka Savieniba (Lettonia),
Narodowe Odrodzenie
Polski (Polonia), Slovenska
Pospolitost (Slovacchia),
Narodni Sjednoceni
(Repubblica Ceca) e Alliantie
(Olanda). Dopo solo un mese,
il 20 novembre 2004, presso
l’Hotel Chamartín di Madrid,
viene firmato dai rappresentan-
ti presenti un accordo che pone
le basi per la costituzione di
un Fronte Nazionale Europeo.
All’incontro erano presenti le
delegazioni di Forza Nuova
(Italia), NPD (Germania),
Noua Dreapta (Romania),
Terre et Peuple (Francia),
BNS (Bulgaria), England
First (Inghilterra), Slovenska
Pospolitost (Slovacchia), e
naturalmente il FE (Spagna),
oltre ai camerati polacchi ed
alla straordinaria partecipazio-
ne del prelato italiano e lefre-
viano don Giulio Maria Tam,
che chiude il cerchio.
Tra i punti caratteristici dei
soggetti aderente al FNE ci
sono alcuni vecchi adagi: la
difesa della sovranità, dignità
ed indipendenza dell’Europa,
di un’Europa delle patrie con-
tro il mercantilismo e la globa-
lizzazione; difesa della cultura,
delle tradizioni e dell’identità
cristiana di fronte alla globa-
lizzazione culturale, all’immi-
grazione ed all’ingresso della
Turchia in Europa; difesa della
vita e della famiglia tradiziona-
le di fronte ai crimini quali
l’aborto, i matrimoni omoses-
suali e le adozioni da parte di
quest’ultimi.
Francesco di Rosa
La Piazza d’Italia - Esteri
Estrema destra in Europa
Attualità e casi significativi
Pag. 4 1-15/16-31 ottobre 2010
La Piazza d’Italia - Economia
Il vertice del Fondo
Monetario Internazionale e
della Banca Mondiale tenu-
tosi a Washington ha avuto
al centro dei colloqui i rischi
di una guerra valutaria e
commerciale. Sotto accusa
da parte degli Stati Uniti
si trova la Cina che non è
disposta a rivalutare più di
tanto lo yuan per non vedere
interrotto il suo boom eco-
nomico che dura da anni.
Il direttore generale del Fmi,
Khan, ha manifestato la sua
preoccupazione. Manca la
cooperazione internazionale,
ha lamentato, e quello che è
più grave è che ci troviamo
in un momento difficile per
l’economia globale. Il tec-
nocrate francese ha avvertito
che i Paesi a rischio mettono
sotto pressione la ripresa eco-
nomica globale se usano le
loro monete per cercare di
stimolare la crescita interna.
Si sta rischiando l’esplosione
di una guerra valutaria che
lascerà dietro di sé soltanto
macerie. Si sta facendo strada
l’idea che le valute possano
essere usate come arma poli-
tica. Una simile idea, tradot-
ta in azioni, potrebbe rap-
presentare un rischio molto
grave per la ripresa globale,
un impatto negativo e molto
dannoso nel lungo periodo.
A giudizio di Khan, la Cina
deve accelerare l’apprez-
zamento dello yuan, anche
se questo avrà un impatto
negativo sulle sue esportazio-
ni. La sottovalutazione dello
yuan, ha insistito, rappre-
senta una fonte di tensione
che rischia di trasformarsi in
una minaccia. Questo perché
troppe risorse stanno affluen-
do verso Pechino e questo
finisce inevitabilmente per
squilibrare il resto dell’eco-
nomia globale. In ogni caso,
è poco probabile che l’eco-
nomia scivoli in recessione,
ma la crisi, ha ricordato, non
è finita fin quando l’occupa-
zione non riparte. La crescita
da sola non basta, ci vuole un
calo del numero dei disoccu-
pati. Analogo il giudizio del
Presidente della Bce, Trichet,
che, interpretando l’opinione
dei governi europei, con in
testa Angela Merkel, ha invi-
tato Pechino a tenere fede
al suo impegno di rendere
più flessibile il cambio della
propria moneta.
Osservazioni che sono del
tutto corrette e manifestano
sicuramente molte perplessità
sui meccanismi di cooperazio-
ne internazionale, soprattutto
quando si tratta di risolvere
problemi monetari o più in
generale problemi che riguar-
dano le singole economie.
La minaccia di questa guerra
valutaria è reale, e provoca
seri rischi per i mercati. Non
è chiaro per esempio se il
forte balzo del tasso Euribor
allo 0,97% sia il sintomo
di una normalizzazione sul
mercato del credito, oppure
di una accresciuta incertezza
tra gli operatori. Nell’area
dell’euro c’è meno liquidità,
o, meglio, c’è un po’ meno di
liquidità in eccesso, visto che
le banche stanno riducen-
do la dipendenza dalla Bce.
In questo senso, il segnale
dell’Euribor suona positivo
ed è in sintonia con un pro-
cesso di normalizzazione e
con la prospettiva di una exit
strategy (graduale abbando-
no di una politica moneta-
ria ultra espansiva) segnalata
dalla Bce. Ma, mentre l’Eu-
ropa sta accarezzando il ritor-
no alla normalità, negli Stati
Uniti e in Giappone si sta
invece percorrendo la strada
opposta. Si potrebbe pensare
che il nuovo “Quantitative
easing” della Fed, ossia l’ul-
teriore massiccia iniezione di
liquidità attraverso l’acquisto
di bond sul mercato serva
a sostenere un’economia che
procede al rallentatore, in
parte è vero: perché compri-
mendo i già bassi tassi d’in-
teresse di mercato, si spera
di favorire le imprese e i
consumatori. Ma se le prime
non investono, perché non
c’è domanda, e i consumatori
non consumano, perché tanti
sono disoccupati o non vedo-
no crescere la loro ricchezza,
tutta la nuova liquidità creata
dalla Fed finisce per far gola
ai mercati finanziari. Lo si è
visto a Wall Street che, alla
sola prospettiva di un nuovo
Qe, è volata dell’11% in
poco più di un mese. È diffi-
cile capire quanto bene possa
fare il Qe all’economia, ma
è chiaro che la creazione di
nuova liquidità fa soprattutto
deprezzare la moneta. E in un
mondo globalizzato, con una
produzione in eccesso rispet-
to ai consumi della “nuova
normalità” occidentale, le
“economie avanzate” riesco-
no a stare a galla svalutando
la propria valuta. Quella cui
stiamo assistendo è di fatto
una guerra valutaria: non più
giocata con le svalutazioni di
un tempo, ma indirettamente
creando liquidità in eccesso.
L’euro vola e il dollaro con-
tinua a scendere; il mercato
del lavoro americano è pres-
soché immobile per cui la
impossibilità di consumare
da parte delle famiglie crea
un eccesso di liquidità nel
sistema che provoca a sua
volta un deprezzamento della
valuta che sicuramente giova
alla bilancia commerciale
degli Stati Uniti sul fronte
delle esportazioni, i cui pro-
dotti appunto costando di
meno sono più competitivi
sul mercato internazionale
rispetto a quelli di altri Paesi
che hanno, invece, subìto un
apprezzamento della moneta.
Come si nota, la partita si sta
giocando sul mercato valuta-
rio nell’ambito di una econo-
mia mondiale che sta ancora
patendo la crisi. Sicuramente
questa minaccia di guer-
ra valutaria non fa bene al
sistema economico globale,
e sicuramente la Cina finchè
non accetterà di apprezzare
la sua moneta costituirà un
vero problema per gli scambi
internazionali spostando gli
equilibri dell’intera econo-
mia mondiale. Questo squi-
librio non può che non avere
un impatto negativo sui sin-
goli sistemi economici e non
può che aggravare la crisi già
in corso. Pechino dovrebbe
comprendere che rispettare
gli equilibri internazionali
soprattutto a livello econo-
mico è un dovere morale
ed istituzionale, se si vuole
ritenere membro onesto di
un sistema economico glo-
balizzato.
L’incertezza della guerra valutaria
Le economie del pianeta rischiano di mettere sotto pressione la ripresa economica
È questo l’effetto reale della
crisi economica sui conti
pubblici dell’Italia secondo i
calcoli della Cgia di Mestre.
“Meno ricchezza prodotta e
più disoccupazione hanno
colpito non solo i bilanci delle
aziende e delle famiglie italia-
ne, ma, anche, le casse dello
Stato”. In realtà la perdita
cumulata in questi ultimi 3
anni è stata di 35,8 miliardi
di euro. Da un punto di vista
statistico si attiva a questo
risultato (-35,8 mld) som-
mando le perdite di gettito di
ciascun anno preso in esame
rispetto al 2007: vale a dire
4,337 mld del 2008; 18,716
mld del 2009 e i 12,788 mld
stimati per il 2010.
Che i conti pubblici dello
Stato siano in disequilibrio è
ormai un fatto già noto, come
già noto è il danno che ha
provocato la crisi economica
al bilancio pubblico. Questa
effetto negativo della congiun-
tura sui conti pubblici negli
ultimi tre anni oltre ad essere
ormai nota non era non pre-
ventivabile, per cui le misure
per controbilanciare questa
situazione avrebbero dovuto
prendersi con una tempistica
diversa da quella attuale. Cosa
può fare un Governo a fronte
di uno squilibrio di bilancio
dal lato delle entrate tributa-
rie? Sicuramente non è oppor-
tuno, in tempi di stagnazione
e/o di recessione aumentare la
pressione fiscale, perché que-
sta finirebbe per aggravare la
già precaria situazione reddi-
tuale delle famiglie, oltre tutto
in condizioni di disoccupazio-
ne crescente. L’unica misura
che può prendere un Governo
in questa situazione di grave
squilibrio è di tenere sotto
controllo la spesa pubblica.
Quindi, a fronte di meno
entrate, bisogna controllare
attentamente e prudentemen-
te la spesa pubblica, anche
se questa operazione non è
molto agevole perché si tratta
di spendere di meno in servizi
alla collettività. Di qui, l’esi-
genza del Governo di tagliare
in alcuni settori per rispar-
miare e per drenare risorse. I
tagli alla spesa pubblica costi-
tuiscono sempre oggetto di
dibattiti politici molto acce-
si nei quali, maggioranza ed
opposizione, non si trovano
quasi mai d’accordo. Questo
Governo di centro- destra ha
ritenuto strategico ed oppor-
tuno effettuare tagli al settore
dell’istruzione ed alla ricerca
scientifica ed allo sviluppo
tecnologico.
Conviene sottolineare che un
Governo, quando deve neces-
sariamente tenere sotto con-
trollo la spesa pubblica veden-
dosi contrarre le entrate deri-
vanti dal gettito fiscale, non si
trova a svolgere una semplice
operazione contabile perché
queste poste del bilancio pub-
blico producono degli effetti
importanti sulla collettività
nazionale differenziata per
categorie, imprenditori, fami-
glie e lavoratori. Infatti, nella
fattispecie italiana, il controllo
della spesa pubblica ha pro-
vocato altra disoccupazione
proveniente soprattutto dal
settore dell’istruzione. Questo
incremento della disoccupa-
zione andandosi ad aggiunge-
re al tasso di disoccupazione
preesistente alla manovra del
taglio alla spesa pubblica ha
prodotto un notevole incre-
mento della disoccupazione
su scala nazionale incidendo
ancor di più sia sulla ricchez-
za nazionale che sulle casse
dello Stato. Da quanto appe-
na detto sembrerebbe che
il Governo avesse sbagliato
politica, invece, c’è da dire,
purtroppo, che tutto questo
meccanismo è per i conti pub-
blici un innesco obbligato,
causato dalla crisi economica.
Se lo Stato italiano non avesse
avuto quell’ammontare spa-
ventoso di debito pubblico
il Governo avrebbe potuto
considerare anche l’ipotesi
contraria, cioè di tipo key-
nesiano, di espandere cioè la
spesa pubblica in modo che
tramite la sua leva si potesse
dare un impulso alla crescita
economica del Paese. In Itali,
appunto, questa ipotesi non
è percorribile fin quando il
debito pubblico non rientra
nel suo rapporto con il Pil nel
parametro di Maastricht.
In altri termini, la manovra
del Governo è stata la seguen-
te: tagli alla spesa pubblica
a fronte di un minor gettito
fiscale e maggiore disoccu-
pazione. Non è ridondante
riaffermare un concetto molto
importante quando le con-
giunture economiche provo-
cano recessione e/o stagnazio-
ne: l’effetto che si ha è sicu-
ramente un disequilibrio dei
conti pubblici, sicuramente lo
è dal lato delle entrate perché
la crisi polverizza il gettito
fiscale, determinando un livel-
lo di entrate minore di quel-
lo delle uscite. Un Governo
responsabile non permetterà
di incrementare questo gap
sezionale del bilancio pubbli-
co e comincerà ad effettua-
re manovre di contenimento
della spesa. L’economia nazio-
nale sottoposta ad un ciclo di
contrazione dei consumi, degli
investimenti e della spesa non
ha altri indicatori che possano
stimolarla alla crescita. Questa
è, purtroppo, una realtà ogget-
tiva. Dal canto suo lo Stato
che tiene la contabilità pub-
blica si trova di fronte ad una
politica a senso unico quella
del rigore. Di qui il concetto
di cui sopra dal quale nessun
Governo può prescindere in
sede di politiche di bilancio,
non c’è una formula matema-
tica in eco-
nomia che con- ci-
liando rigore e
crescita possa consentire di
riequilibrare i conti pubblici
ed il sistema economico nazio-
nale. Nasce così la necessità
di operare preventivamente,
di praticare politiche incisive
quando tutto va bene; non
si deve pensare che quando
l’economia è in buona salute
non c’è nulla da fare e non
bisogna, quindi, intervenire,
anzi, è proprio in tal caso
che occorre rafforzare il siste-
ma cercando di creare quegli
anticorpi necessari a renderlo
immune da eventuali shock
finanziari che potrebbero
scoppiare anche lontano dal
nostro Paese ma potrebbe-
ro avere, come è successo di
recente, un impatto negativo
sul ciclo economico nazio-
nale.
Fare di più in tempi non
sospetti, abbassare il debito
pubblico in modo da offrire
più margini di manovra alla
spesa pubblica è una buona
pratica di intervento pubbli-
co. Questi, quindi, debbono
essere gli obiettivi di una eco-
nomia avanzata e di un Paese
industrializzato come l’Italia,
che deve sempre di meno
essere sensibile agli squilibri
internazionali e sempre più
pronto a respingerli qua-
lora dovessero ripercuotersi
negativamente sull’economia
interna. Tutto ciò sicuramente
non è agevole, ma presuppone
capacità, competenze ministe-
riali sulle quali si dovrebbe
investire per snellirle ed otti-
mizzarle cercando, appunto,
di reclutare pochi tecnici ma
buoni. In tal caso un taglio
alla spesa pubblica in termini
di sprechi sarebbe auspicabile
e doveroso nei confronti del
bilancio pubblico e della col-
lettività nazionale.
La crisi economica polverizza il gettito fiscale
Negli ultimi tre anni la crisi ha bruciato 15,4 miliardi di euro di tasse
conti pubblici, sicuramente lo
è dal lato delle entrate perché
la crisi polverizza il gettito
fiscale, determinando un livel-
lo di entrate minore di quel-
lo delle uscite Un Governo
tica in eco-
nomia che con ci
1-15/16-31 ottobre 2010 Pag. 5
La Piazza d’Italia - Economia
Secondo il Bollettino econo-
mico trimestrale della Banca
d’Italia, è confermata la stima
di una crescita intorno all’1%
nel 2010. Il tasso di disoccupa-
zione salirebbe oltre l’11% nel
secondo bimestre del 2010 se
si includessero i lavoratori sco-
raggiati e l’equivalente delle ore
di cig. L’allarme è nella direzio-
ne del mercato del lavoro nel
quale permangono scoraggianti
segnali di incertezza circa le
prospettive. Le aspettative occu-
pazionali rilevate dall’indagine
ISAE presso le imprese mani-
fatturiere sono rimaste, tutta-
via, sostanzialmente invariate
nel corso dell’estate, attestan-
dosi su valori inferiori rispetto a
quelli del periodo precedente la
crisi. Le attese a breve termine
delle imprese sull’occupazione
sono meno pessimiste rispet-
to all’inchiesta di giugno, il
saldo tra le aziende che pre-
vedono un miglioramento nel
trimestre successivo e quelle che
anticipano un peggioramento
è rimasto negativo pur ridu-
cendosi fortemente. La crescita
dell’occupazione ha riguardato
esclusivamente le regioni del
Centro (0,6%, al netto dei fat-
tori stagionali tra il primo e il
secondo trimestre dell’anno in
corso), a fronte della sostanziale
stabilità in quelle del Nord e
dell’ulteriore riduzione registra-
ta nel Mezzogiorno (-0,1%).
Nel secondo trimestre 2010,
l’occupazione si è complessi-
vamente ridotta rispetto allo
stesso periodo del 2009 (0,8%):
per i lavoratori di nazionali-
tà italiana è scesa di 366.000
persone, mentre è cresciuta di
171.000 per gli stranieri, riflet-
tendo esclusivamente l’aumento
delle iscrizioni alle anagrafi (la
popolazione straniera in età da
lavoro è aumentata di 348.000
persone). Il calo del tasso di
occupazione è stato più intenso
per gli stranieri che per gli ita-
liani (rispettivamente, -1,6% e
-0,7%). Per l’ottavo trimestre
consecutivo, la flessione è stata
più significativa per gli uomini
che per le donne e per i giovani
di età compresa tra i 15 e i 24
anni. La riduzione dell’occupa-
zione ha interessato esclusiva-
mente i lavoratori dipendenti,
mentre l’occupazione indipen-
dente è tornata a crescere.
L’andamento del tasso di disoc-
cupazione ha riflesso soprattut-
to quello della partecipazione
al mercato del lavoro ed è leg-
germente aumentato, all’8,5%
nel secondo trimestre; sarebbe
sceso in luglio e in agosto.
Per quanto concerne, invece, le
famiglie italiane c’è da eviden-
ziare ancora una volta la sta-
gnazione dei consumi, frenati
dalla contrazione degli acquisti
di beni durevoli (-6,8%). Vi
ha contribuito l’esaurirsi dello
stimolo connesso con le agevo-
lazioni fiscali alla rottamazione
degli autoveicoli più inquinan-
ti, solo parzialmente compen-
sato dagli incentivi governativi
all’acquisto di altri beni dure-
voli. Tra le componenti della
spesa delle famiglie italiane,
quella per beni non durevoli
e per servizi ha registrato un
lieve incremento. Le debolezza
della dinamica dei redditi ha
continuato a incidere sulle deci-
sioni di consumo; vi ha concor-
so la lentezza con cui stanno
migliorando le condizioni del
mercato del lavoro. Secondo le
stime di Bankitalia, nella media
del primo semestre il reddito
reale disponibile delle famiglie
consumatrici ha subito un calo
nell’ordine di un punto percen-
tuale sul periodo corrisponden-
te del 2009. Tale riduzione ha
riflesso soprattutto una dinami-
ca dei prezzi più elevata.
I comportamenti di spesa delle
famiglie restano cauti. Nel
secondo trimestre il debito delle
famiglie è aumentato di oltre
mezzo punto percentuale, con-
fermando il moderato aumento
osservato nel primo trimestre.
L’indebitamento delle famiglie
italiane in termini di reddito
disponibile resta molto inferiore
a quello medio dell’area dell’eu-
ro (97% nel mese di marzo).
Oltre a queste dinamiche fon-
damentali che riguardano le
famiglie sia in termini di con-
sumo che di reddito, c’è da rile-
vare che la fase ciclica dell’eco-
nomia italiana sta registrando
una lieve crescita del Pil dello
0,5% rispetto al periodo pre-
cedente. C’è da dire però che
all’espansione delle esportazioni
non ha corrisposto un rafforza-
mento della domanda interna
che rimane debole. Secondo le
stime di Bankitalia la crescita
proseguirebbe nel terzo trime-
stre anche se in settembre il
clima di fiducia delle imprese è
sceso lievemente.
Per quanto concerne i dati sulle
entrate tributarie, nel comples-
so dei primi tre trimestri del
2010 quelle contabilizzate nel
bilancio dello Stato sono dimi-
nuite dell’1,8% (5,0 miliardi)
rispetto al periodo corrispon-
dente del 2009. La riduzione
è riconducibile al crollo delle
imposte sostitutive una tantum,
che avevano sostenute le entrate
nel 2009, e al calo del gettito
di quelle sui redditi delle atti-
vità finanziarie; anche il gettito
dell’Ires si è ridotto, risentendo
della forte contrazione dell’atti-
vità economica nel 2009.
A fronte di questo quadro con-
giunturale si può agevolmente
affermare che la ripresa econo-
mica in Italia anche se sinte-
tizzata in un aumento dell’1%
del Pil non è ancora avvenuta
in modo reale e sostanziale,
si può dire che si tratta di un
assestamento ciclico. In realtà
le difficoltà permangono sia nel
mercato del lavoro che nei conti
pubblici. Fin quando le famiglie
italiane non torneranno a con-
sumare in ragione di un ritro-
vato livello di reddito la crescita
da sola non potrà trainare il
Paese fuori dalla crisi reale. Il
Governo sa benissimo che que-
ste difficoltà vanno affrontate
facendo riforme strutturali.
Il PIL ha lievemente accelerato nel secondo trimestre ma prosegue la stagnazione dei consumi e l’incertezza del mercato del lavoro
Allarme di Bankitalia su lavoro ed entrate fiscali
Trichet, il Presidente della Banca
Centrale Europea, promuove
l’Italia sui conti pubblici e deficit
che in molti paese ancora supera
il 60% e poi avverte: “i criteri
di Maastricht sono validi non
solo per Roma”. Ha messo in
luce come l’Italia abbia mostrato
capacità di ridurre il suo deficit
e la sua spesa pubblica, ed è
una cosa che viene accolta con
favore.
“A partire da agosto 2007 la
Bce ha deciso di offrire liqui-
dità in modo eccezionale, per-
ché abbiamo visto che i nostri
mercati valutari monetari erano
sottoposti ad uno stress impor-
tante. Quello che è successo ad
agosto è capitato all’improvviso;
questa imprevedibilità dei fatti
ha sviluppato un atteggiamen-
to di allerta anche nel settore
privato come in quello pub-
blico ed ovviamente nelle ban-
che centrali. Per la prima volta
abbiamo messo alla prova un
rafforzamento formidabile della
interdipendenza dell’economia
e tra tutte le entità economiche.
Questo cambiamento incredibi-
le a livello comportamentale da
parte di tutte le entità private
di carattere finanziario o meno,
in tutto il mondo, si è verificato
nell’arco di pochissimi giorni.
Questa è la prova che esiste una
finanza globale, esiste un’eco-
nomia globale che è fortemente
integrata con questa capacità di
contagio. C’è perciò un’intesa
generale sulla necessità di riequi-
librare l’economia globale. C’è
un largo livello di consenso sulle
strategie globali da adottare, che
in questo modo le economia
avanzate con forti indebitamenti
devono risparmiare e le econo-
mie emergenti con forti surplus
devono stimolare la domanda
interna. La crescita però è ral-
lentata dall’eccesso di volatilità
nel mercato dei cambi. Un feno-
meno controproducente anche
per la stabilità”. C’è anche da
aggiungere che le ripetute inie-
zioni di liquidità all’interno dei
sistemi finanziari stanno provo-
cando di fatto una vera e propria
guerra valutaria e questo oltre a
rendere instabile il sistema deter-
mina anche notevoli squilibri
nell’economia mondiale.
Per quanto concerne la finanza
pubblica italiana, l’apprezza-
mento per la politica di bilan-
cio è ovviamente gratificante, la
riduzione della spesa pubblica
e del deficit è un dato di fatto.
L’Istat infatti ha pubblicato i
dati del secondo trimestre sui
conti pubblici italiani. Il rappor-
to deficit/Pil nel secondo trime-
stre 2010 si è attestato al 3,6%
(mancano 0,6 punti percentuali
per rispettare il parametro di
Maastricht), mentre comples-
sivamente nel primo semestre
2010 si è registrato un inde-
bitamento netto pari al 6,1%
del Pil, in riduzione rispetto al
valore del 6,3% registrato nel
primo semestre 2009.
Evitare gli sprechi nelle
Pubbliche Amministrazioni e
quindi gli indebitamenti degli
enti locali, la cui somma va ad
incidere pesantemente sul debi-
to pubblico dello Stato, questa
è una tipica manovra di taglio
alla spesa pubblica. Tagli alla
spesa pubblica sono stati effet-
tuati nel servizio dell’istruzione
(rispetto ai quali non mancano
polemiche). Si può affermare
che la vera riforma di cui il
Paese ha bisogno è un radicale
ripensamento della spesa pub-
blica, soprattutto della qualità
della spesa, è opinione ormai
diffusa che non servono a nulla i
numerosi tagli lineari alle tabel-
le del bilancio dello Stato, ma
occorre fare un’attenta, minu-
ziosa rilettura delle singole voci
della spesa.
Uno dei capitoli di spesa che
presenta maggiori anomalie è
quello sanitario, di competenza
regionale. Il vizio non sta nella
competenza regionale, prova
ne è che in Lombardia o in
Emilia la gestione è efficiente,
sta piuttosto nella inadeguatezza
di certe classi dirigenti regionali
del passato.
Insomma,lasfidapiùimportante
che un Governo deve affrontare
risiede proprio nelle manovre di
tagli alla spesa pubblica, perché
spesa pubblica significa fondi
per l’istruzione, per la sanità,
per gli enti locali, per i servizi
pubblici che sono necessari al
mantenimento di standard di
vita dignitosi dei cittadini. Non
è sempre agevole individuare i
capitoli spesa oggetto di tagli,
ma l’errore che da anni si fa in
Italia è quello di non intervenire
sulla qualità della spesa, come
dire basta tagliare che la spesa
pubblica sicuramente diminuirà
e l’obiettivo di finanza pubblica
sarà raggiunto. Questo Governo
comunque ha tagliato la spesa,
non è possibile in questo con-
tributo entrare nel merito di un
giudizio di opportunità, quello
che bisogna sottolineare è che
Trichet ha apprezzato questa
riduzione della spesa a prescin-
dere, si deduce bene dalle sue
dichiarazioni, in quali capitoli
si sono effettuati i tagli. Il mero
dato numerico è prioritario in
ambito europeo per ricevere un
giudizio favorevole o sfavorevole
sulla politica di bilancio attuata
da uno Stato membro, e questo
non è sicuramente un moni-
to efficace perché trasmette ai
singoli Stati membri un cattiva
abitudine quella di tagliare e
basta senza verificare se il taglio
era meglio farlo in qualche altro
settore coerente con un modello
di crescita e di sviluppo che ogni
Paese intende seguire.
C’è chi taglia nella sanità, chi
taglia nell’istruzione, chi taglia
nei trasferimenti agli enti loca-
li, è chiaro che ogni taglio di
spesa ha una valore ed un effetto
diverso negli Stati membri, ed è
altrettanto chiaro però che Paesi
liberali, moderni ad economia
avanzata non possono effettuare
tagli giusto per farli o per rispet-
tare il criterio di Maastricht
ma debbono farli consideran-
do attentamente gli effetti che
provocheranno sul modello di
sviluppo sociale ed economico,
insomma quale sarà l’impatto
sulla crescita e sull’occupazione.
Il problema è sempre il solito si
direbbe ridondante: conciliare
rigore e crescita economica non
è per nulla agevole, soprattut-
to poi quando queste politiche
debbono attuarsi in congiunture
di crisi. Il rigore può sicura-
mente allentare l’indebitamento
pubblico e quindi far respirare
i conti pubblici di un Paese
ma non è detto che a fronte di
ciò si possa coniugare crescita
e sviluppo, quando poi questa
sono incatenate in un disagio
sociale molto grave come quello
dell’aumento della disoccupa-
zione e della contrazione dei
consumi.
Avanzino Capponi
I conti pubblici italiani stanno rientrando nell’alveo della soglia dei parametri di Maastricht
La BCE promuove la finanza pubblica italiana
Pag. 6 1-15/16-31 ottobre 2010
La Piazza d’Italia - Economia
Ebbene sì, non è un dato
a caso ma è una cifra reale,
che rappresenta il numero dei
lavoratori che si trova attual-
mente in Cassa integrazio-
ne, quindi senza lavoro. Il
Ministro del Lavoro Sacconi
lancia l’allarme: “viviamo una
stagione difficile, di fronte a
noi c’è un tempo multifor-
me”. E sul rapporto con i
sindacati dice: “confidiamo
che qualcosa di nuovo succe-
da con il cambio di guardia
alla guida della Cgil”.
Ma a tuonare nel mondo del
lavoro oltre alle agitazioni
sindacali è il dato sui lavora-
tori che in settembre si tro-
vano in Cassa integrazione.
È raccapricciante, allarmante
l’incremento del ricorso alle
ore di Cassa integrazione del
+34,8% rispetto ad agosto e di
conseguenza il riflesso negati-
vo di questo stato sui salari. A
settembre come si anticipava
nelle righe precedenti risul-
tano essere oltre 640.000 i
lavoratori in cassa, che hanno
subìto, nei primi nove mesi
dell’anno, un taglio netto del
reddito per oltre 3,5 miliardi
di euro., più di 5.500 euro
per ogni singolo lavoratore.
Secondo il segretario confe-
derale della Cgil, Vincenzo
Scudiere, “dai dati del nostro
Osservatorio emerge una crisi
che continua ad essere molto
dura per i lavoratori e per le
stesse imprese: la Cassa inte-
grazione continua a crescere,
nonostante segnali di ripre-
sa dell’economia, mentre le
crisi aziendali si moltiplicano
senza che dal governo arrivino
risposte adeguate”.
“Tutto l’apparato produttivo
resta profondamente coinvol-
to nella crisi, dalla grande alla
piccola azienda, attraversando
trasversalmente tutti i settori”,
spiega Scudiere. Inoltre, si sot-
tolinea nel rapporto, “da que-
sto mese è evidente una novità
rappresentata da un aumento
consistente soprattutto nei set-
tori direttamente produttivi:
occorre verificare in che misura
può essere il risultato di un
allargamento ulteriore delle dif-
ficoltà produttive del settore
manifatturiero o se è il risultato
per molti lavoratori dalla Cigs
alla Cigd”. Motivi per i quali
Scudiere rilancia l’allarme sulla
cassa in deroga: “il continuo
e consistente aumento della
Cassa in deroga sta andando
ben oltre il peso registrato nel
2009, per questo si rende neces-
sario e urgente un intervento
del governo per rifinanziare
uno strumento prima della sca-
denza di fine anno”.
Il Ministro del lavoro Sacconi,
invece, sostiene che “c’è vitali-
tà nel nostro tessuto produtti-
vo, c’è capacità di collegamen-
to con la ripresa economica
internazionale, ma ci sono
molte aziende che hanno in
corso processi di ristruttura-
zione e cambiamento negli
assetti proprietari e questo si
riverbera sull’occupazione”.
Da parte sua il Governo cerca
di “proteggere il reddito dei
lavoratori attraverso i contrat-
ti di solidarietà, le varie forme
di cassa integrazione e stiamo
cercando di accentuare la for-
mazione insieme alle Regioni
che ne hanno competenza
per accompagnare la perso-
na verso un nuovo lavoro”.
Secondo il Ministro “è pas-
sato il peggio ma certamente
avverte, viviamo una stagione
difficile dell’occupazione: di
fronte a noi ci sono situazioni
aziendali positive che crescono
e situazioni difficili, con circa
180 tavoli in cui affrontiamo
le crisi aziendali in corso di
trasformazione”.
Come si può agevolmente
notare tra le dichiarazioni di
Scudiere e quelle di Sacconi
c’è una netta contrapposizione
di analisi e di giudizi, in par-
ticolare in merito alle dinami-
che dell’apparato produttivo
italiano, per il primo molto
rigido per il secondo, invece,
vitale e capace di legarsi alla
ripresa internazionale.
Comunque la miopia sulla
realtà più importante che sta
affliggendo il mondo del lavo-
ro meno male che è stata
la grande assente, perché
entrambi hanno affermato che
c’è un allarme legato all’eleva-
to aumento della disoccupa-
zione.
Interessante misura di inter-
vento a sostegno del reddito
dei lavoratori è il contratto di
solidarietà che può avere due
forme: difensivo, è la forma più
importante perché la riduzione
d’orario è finalizzata ad evitare
la riduzione di personale, quin-
di il licenziamento; espansivo, è
la forma che permette, sempre
attuando la riduzione di orario,
di favorire nuove assunzioni a
tempo indeterminato.
Il datore di lavoro è incentiva-
to all’uso di questo strumento
mediante sgravi, vale a dire
una riduzione contributiva
per i lavoratori coinvolti nei
contratti di solidarietà in per-
centuale variabile tra il 25% e
il 40%. L’obiettivo del con-
tratto è quello di incremen-
tare l’occupazione aziendale.
Il lavoratore usufruisce, fino
a 24 mesi, di una integra-
zione salariale a carico della
Cassa integrazione guadagni,
nella misura del 60% della
retribuzione perduta a seguito
della riduzione d’orario. Per
il Mezzogiorno il parametro
tempo sale a 36 mesi. Il con-
tratto di solidarietà si può
applicare anche ai lavoratori
con contratto di apprendista-
to a seguito dell’emanazione
dei provvedimenti anticrisi.
L’azienda presenta la doman-
da di concessione del tratta-
mento di integrazione salaria-
le , per un periodo massimo
di 12 mesi (con possibilità
di proroga), al competente
ufficio Inps, che risponde
entro trenta giorni dalla data
di ricezione della domanda.
Durante il periodo di vigenza
del contratto di solidarietà, è
vietato il licenziamento per
riduzione di personale.
L’altra misura governativa a
sostegno del reddito dei lavo-
ratori è la Cassa integrazione
guadagni. Si tratta di un istitu-
to previsto dalla legge italiana,
consistente in una prestazione
economica (erogata dall’Inps),
in favore dei lavoratori sospe-
si dall’obbligo di eseguire la
prestazione lavorativa o che
lavorano a orario ridotto. La
CIG ordinaria è attivabile a
fronte di eventi transitori non
imputabili all’imprenditore o
agli operai, come una crisi
temporanea di mercato. La
CIG straordinaria, invece, è
attivabile nei casi di ristrut-
turazione, riorganizzazione o
riconversione aziendale, casi
ci crisi aziendale di particolare
rilevanza settoriale o territo-
riale, impresa assoggettata a
procedura concorsuale di fal-
limento, liquidazione coatta
etc.
Insomma al di là delle varie
tipologie di ammortizzatori
sociali, il Governo comunque
sta intervenendo a sostegno dei
redditi dei lavoratori disoccupa-
ti, ma questo non è sufficiente
perché si tratta di misure tem-
poranee e transitorie che posso-
no non risolvere la condizione
di disoccupato del singolo lavo-
ratore, anche perché da un lato
ci sono i lavoratori ma dall’altro
ci sono le imprese, anch’esse
coinvolte in una profonda crisi
sia proprietaria che di mercato.
Per cui, al fine di evitare ancora
aumenti vertiginosi della disoc-
cupazione occorre dare un serio
impulso al sistema produttivo
incentivando le aziende a rima-
nere sul mercato investendo
nella forza lavoro, diversifican-
do la loro offerta e rivisitando
i loro piani industriali in modo
da rafforzarsi sul mercato e non
per tagliare i costi del personale.
Un’azienda deve allocare tutte
le sue risorse per far mercato
non per licenziare, anche per-
ché il licenziamento si traduce
solo in un alleggerimento degli
oneri del personale e quindi
della situazione economica
delle imprese ma non risolve
il problema di fare mercato,
infatti può esistere un azienda
con un solo dipendente ma che
fallisce.
Quindi tutti gli attori del
mercato del lavoro, in siner-
gia con l’intervento pubblico,
debbono fare il loro dovere
sopravvivendo ad una crisi
che oggettivamente sta pro-
vocando non poche difficoltà,
l’obiettivo dunque è sopravvi-
vere sul mercato per superare
la crisi limitando i costi socia-
li che non fanno altro che
aggravare la crisi nel sistema
economico del Paese.
Non si tratta più di un’utopia
politica piuttosto di una reale
intenzione governativa. L’idea
del federalismo fiscale comincia
a prendere corpo soprattutto in
vista di una situazione econo-
mica molto critica sia a livel-
lo pubblico che privato. Sotto
accusa i conti pubblici, quin-
di la manovra strategica che
alleggerirà i costi dello Stato
riguarderà i tempi ed i modi
di attuazione del federalismo
fiscale, cioè di questa forma di
decentramento di competenze
e di strumenti fiscali che dallo
Stato passeranno alle Regioni.
Si tratterà di vedere come le
competenze (spese) e gli stru-
menti fiscali (entrate) verranno
assegnate tra i diversi livelli (in
verticale) dell’amministrazione.
Per svolgere le funzioni decen-
trate in modo efficace, i governi
locali devono avere un adegua-
to livello di entrate siano esse
finanziate direttamente a livello
locale o trasferite dal governo
centrale nonché la facoltà di
prendere decisioni sulle spese.
Per precisare meglio il mecca-
nismo del federalismo fiscale
si può dire che il processo di
riduzione delle competenze di
uno Stato che esso contempla
e la loro contemporanea attri-
buzione alle Regioni si chiama
devoluzione, che è un termine
che solo recentemente viene
utilizzato. Il nostro Paese, fino-
ra basato sul regionalismo, ossia
su un sistema basato su limitate
autonomie delle Regioni, men-
tre allo Stato competeva tutto
quanto non era esplicitamente
delegato alle Regioni.
Dal Consiglio dei Ministri c’è
stato il primo disco verde al
decreto legislativo: non solo
autonomia tributaria ma anche
costi standard della sanità. Le
Regioni avranno la possibilità
di aumentare l’addizionale Irpef
fino al 3%., in modo graduale
a partire dal 2013 e fino al
2015. La possibilità di ridurre
l’Irap, inoltre, sarà data solo
agli enti territoriali che non
avranno superato l’incremento
Irpef del 5%.
“L’impressione è che abbia-
mo cominciato” il federalismo
fiscale, “in realtà il processo
è quasi terminato”, ha affer-
mato il ministro dell’Econo-
mia Giulio Tremonti. E subito
dopo il governo chiederà la
delega per la riforma fiscale.
Ma “il nostro obiettivo è quello
di non aumentare la pressione
fiscale”, ha precisato il titola-
re di via XX settembre, anzi
“noi la vogliamo ridurre”, ha
detto spiegando che per tene-
re fermo il livello dei tributi
“saranno introdotti meccanismi
di controllo: pensiamo ad un
vincolo”.
Tremonti ribadisce la positività
della riforma: “il federalismo
unisce non divide”. Di tutt’altra
opinione il leader dell’Udc Pier
Ferdinando Casini che parla di
un “provvedimento pericoloso”
che piace solo alla Lega Nord
che “da partito della demagogia
diventa ora il partito delle tasse”
perché ora regioni ed enti locali
potranno aumentare l’Irpef e, di
conseguenza, le tasse a cittadini
e famiglie. Sicuramente non si
può dar torto a Casini, questa
misura dando la possibilità alle
Regioni di aumentare l’addizio-
nale Irpef non è altro che un
aumento delle tasse che graverà
sulle famiglie. Certamente di
questi tempi l’aumento della
pressione fiscale sui redditi delle
persone fisiche è dannosa visto
che le famiglie non riescono a
consumare non potendo con-
tare su redditi dignitosi o addi-
rittura non disponendo più di
un reddito perché nel nucleo
familiare ci sono disoccupati.
Se, invece, il federalismo fisca-
le, non avrà l’effetto di un
aumento della pressione fiscale
ma di un autonoma capacità
di gestione tributaria da parte
delle Regioni per razionalizzare
l’imposizione e per renderla più
proporzionale alla realtà reddi-
tuale e contributiva, allora può
rivelarsi una misura strategica
importante per lo Stato in ter-
mini di bilancio pubblico.
Non bisogna cadere nel tra-
nello di concepire un federa-
lismo che in teoria funzioni
ma che in pratica si traduca in
una stangata per le famiglie, in
un aumento della tassazione.
Come dire alleggerisco il bilan-
cio pubblico dello Stato per-
ché trasferisco competenze alle
Regioni che, invece di ridurre
la pressione fiscale si accollano
la responsabilità di aumentar-
la, sollevando appunto lo Stato
da ogni responsabilità. Ecco il
federalismo fiscale non deve
tradursi in uno scarica barile, o
meglio non deve rappresentare
per lo Stato un escamotage per
non farsi imputare colpe che
altrimenti avrebbe sicuramente
avuto. Trasferire la competenza
di spesa e di entrata è un mec-
canismo che può funzionare
se le Regioni organizzeranno i
proprio bilanci in modo da non
aumentare la pressione fiscale,
altrimenti questa forma non
serve a nulla, perché comunque
i destinatari o meglio i soggetti-
vi attivi e passivi del federalismo
fiscale sono i cittadini sempre e
comunque, che contribuiranno
alla spesa pubblica.
Raddrizzare l’albero storto della
finanza pubblica per far bella
figura a Bruxelles o a Strasburgo
o a Lussemburgo, non serve a
nessuno, se poi ci ritroviamo un
indebitamento privato molto
elevato a causa di un imposizio-
ne fiscale che genera ulteriori
contrazioni reddituali. A mag-
gior ragione, in questa critica
congiuntura economica dove
è necessario rigore ma anche
diminuire l’imposizione fisca-
le, sarebbe davvero un suicidio
politico-economico concepire
un federalismo che aggravi la
situazione economica dei con-
tribuenti. Come dire cambia
l’ente impositore ma la sostanza
è che i contribuenti si troveran-
no a pagare più di prima. La
crescita economica non potrà
sopportare anche i costi del
federalismi fiscale se verrà con-
cepito come su esposto.
Quello che ancora potrebbe
far suscitare qualche perplessità
nell’opinione pubblica sono i
tempi ed i modi di attuazione
e di funzionamento del fede-
ralismo fiscale. Si apprendono
alla giornata notizie su qualche
decreto che comincia a prefi-
gurare un modello di federali-
smo che in realtà non è scritto
in maniera chiara da nessuna
parte. Quindi conviene cen-
tralizzare se cambiando l’ente
impositore non si alleggerisce
la pressione fiscale, conviene
invece, decentrare se a si rie-
sce a gestire il sistema tributa-
rio in modo più ragionevole e
proporzionale tenendo conto
della realtà economica e socia-
le in tutta la sua variabilità
e mutevolezza, ed ovviamente
il federalismo deve contribuire
alla crescita e non al rallenta-
mento del sistema economico
nazionale.
Il Ministro del lavoro Sacconi lancia l’allarme sul periodo difficile per il lavoro, crisi occupazionale peggio di quella economica
Il federalismo fiscale è una misura che l’attuale Governo vuole attuare per raddrizzare l’albero della finanza pubblica
Cassa integrazione e crisi occupazionale
Centralizzare o decentralizzare il fisco?
1-15/16-31 ottobre 2010 Pag. 7
La Piazza d’Italia - Approfondimenti
Erich Maria Remarque,
pseudonimo di Erich
Paul Remarque nasce ad
Osnabruck 22 Giugno
1898 e muore a Locarno il
25 Settembre 1970.
Scompariva 40 anni fa uno
dei più importanti scrittori
pacifisti al mondo.
Nella storia passata e più
contemporanea la lettera-
tura ha prodotto opere di
un’intensità nobilissima
contro ogni guerra; poe-
sia e narrativa hanno usato
le loro parole, armi mai
sconfitte, spesso a fronte
o dopo tragici eventi, per
testimoniare la drammatici-
tà di raccapriccianti condi-
zioni umane che l’uomo ha
consegnato alla storia.
Una lettera di Einstein a
Sigmund Freud, scritta
il 30 Luglio del 1932 da
Caputh (Potsdam), testi-
monia il secolare gigantesco
interrogativo dell’uomo su
ogni conflitto:
“…La proposta fattami
dalla Società delle Nazioni e
dal suo Istituto internazio-
nale di cooperazione intel-
lettuale di Parigi mi offre
la benvenuta occasione di
dialogare con Lei circa una
domanda che appare, nella
presente condizione del
mondo, la più urgente fra
tutte quelle che si pongono
alla civiltà. La domanda è:
c’è un modo per liberare gli
uomini dalla fatalità della
guerra? E’ ormai risaputo
che, col progredire della
scienza moderna, rispon-
dere a questa domanda è
divenuto una questione
di vita o di morte per la
civiltà da noi conosciuta”.
“... La sete di potere della
classe dominante è in ogni
stato contraria a qualsiasi
limitazione della sovranità
nazionale. Questo smoda-
to desiderio di potere poli-
tico si accorda alle mire
di quegli altri che cercano
solo vantaggi mercenari,
economici. Penso soprat-
tutto al piccolo ma deciso
gruppo di coloro che, attivi
in ogni stato e indifferenti
di fronte a considerazioni
e limitazioni sociali, vedo-
no nella guerra, cioè nella
fabbricazione e vendita di
armi, soltanto un’occasione
per promuovere i loro inte-
ressi personali e ampliare
la loro autorità personale”.
“Tuttavia…ci troviamo di
fronte ad un’altra doman-
da: come è possibile che la
minoranza ora menzionata
riesca ad asservire alle pro-
prie cupidigie la massa del
popolo, che da una guerra
ha solo da soffrire e da per-
dere?” “..Una risposta ovvia
a questa domanda sarebbe
che la minoranza di quelli
che di volta in volta sono al
potere ha in mano prima di
tutto la scuola e la stampa,
e perlopiù anche le orga-
nizzazioni religiose. Ciò
le consente di organizzare
e sviare i sentimenti delle
masse rendendoli strumenti
della propria politica”. E
la massa si lascia infiam-
mare da tali mezzi “per-
ché l’uomo ha dentro di
sé il piacere di odiare e
distruggere. In tempi nor-
mali la sua passione rimane
latente, emerge solo in cir-
costanze eccezionali; ma è
abbastanza facile attizzarla
e portarla alle altezze di
una psicosi collettiva” (“Il
disagio della civiltà”; pagg.
283,284,285).
In “Niente di nuovo sul
fronte occidentale”, roman-
zo autobiografico scritto
da Remarque nel 1929, il
tema principale è la guerra
e narra le vicende di un
soldato tedesco durante la
prima grande guerra.
Narrato in modo oggettivo
e realistico, il testo non cela
la durezza e la gravità di
ogni conflitto; si cimenta in
una profonda e dolorosa cri-
tica alla propaganda tedesca
che, facendo leva sulla reto-
rica della guerra bella ed
epica, esaltando i concetti
di patria e onore, convin-
se una generazione intera
ad immolarsi nell’immane
“macello” europeo. Il pro-
tagonista del libro morirà
alla fine della guerra, quan-
do ha trovato la forza di
credere in un nuovo futuro,
mentre la radio annuncia
“niente di nuovo sul fron-
te occidentale”, quasi per
ricordare che niente è finito
e che la guerra non è termi-
nata neanche per coloro che
sono sopravvissuti.
“Tempo di vivere, tempo di
morire” (1954) è un altro
dei suoi romanzi, ambien-
tato durante la seconda
guerra mondiale; il libro
narra le vicende di un sol-
dato tedesco al quale viene
concessa una licenza. Parte
dal fronte russo per tornare
a casa, ma trova il suo paese
e la sua stessa casa distrutte
in macerie dai bombarda-
menti degli alleati. Incontra
molti personaggi sul suo
cammino e ad ognuno pone
gli stessi interrogativi che
lo tormentano da tempo:la
guerra e la disfatta che
ormai si annuncia all’oriz-
zonte, i crimini dell’esercito
tedesco, la collaborazione
del popolo al regime nazi-
sta e quale sorta di futu-
ro attende il suo paese e
l’umanità tutta.
Tornato al fronte, nell’in-
tento di salvare la vita ad
alcuni prigionieri, il prota-
gonista stesso rimane ucci-
so, pagando il conto per
colpe non sue.
“L’ultima scintilla” (1952),
descrive la vita di un grup-
po di prigionieri detenuti
in un campo di concentra-
mento a Mellern, colta dal
punto di vista del prigionie-
ro “numero 509”.
Parlare di un autore,
significa parlare delle sue
opere e queste tre sono
solo una parte del lavoro
di Remarque. Esse lasciano
trasparire lo scrittore nella
sua complessità e comple-
tezza; i suoi testi narrano la
guerra, perché lui è uno che
la guerra l’ha davvero fatta
e subita sulla sua pelle.
Spinto da giovani ed esal-
tanti ideali nazionalisti,
decise di arruolarsi come
volontario nel primo grande
conflitto mondiale. Venne
mandato direttamente al
fronte, laddove il logora-
mento della vita di trincea
gli fece conoscere la dispe-
razione e la paura.
Nel 1917 visse in prima
linea uno degli eventi più
duri e strazianti del conflit-
to, la battaglia delle Fiandre,
sul fronte di Verdun.
Remarque venne ferito più
volte ma il male vero lo
conoscerà con la depres-
sione, malattia che non lo
abbandonerà più per tutta
la vita.
Così, forse anche per neces-
sità terapeutica, iniziò a
scrivere, trascinando sulla
carta le sue angosce e i suoi
tormenti più profondi.
Nel 1933 i nazisti brucia-
rono e misero al bando le
sue opere, accusandolo di
disfattismo e antipatriotti-
smo, mentre la propaganda
iniziò a far circolare la voce
che fosse in realtà di origini
ebree francesi e che il suo
vero nome fosse Kramer.
L’unica sua fortuna fu che
riuscì ad andare via dalla
Germania quando Hitler
saliva al potere, visse in
Svizzera dal 1931 e in
seguito, nel 1939 si trasferì
negli Stati Uniti, fuggen-
do così dal nazismo di cui
certamente sarebbe caduto
vittima.
Bertolt Brecht ha scritto:
“Mio fratello era aviatore
Un giorno ricevette la car-
tolina.
Fece i bagagli , e andò via,
Lungo la rotta del sud.
Mio fratello è un conqui-
statore.
Il popolo nostro ha bisogno
di spazio.
E prendersi terre su terre,
Da noi è un vecchio sogno.
E lo spazio che si è con-
quistato
È sui monti del
Guadarrama
È lungo un metro e ottanta
E di profondità uno e cin-
quanta…”
Oggi ricordiamo Remarque,
che tanto ha dato alla let-
teratura mondiale con le
sue testimonianze di guerra;
che le sue parole facciano
da eco ad ogni conflitto che
si mostra all’orizzonte.
Ilaria Parpaglioni
Esiste una politica che con-
sente di dare un forte con-
tributo alla ripresa della
competitività e della produt-
tività dell’intero Paese e alla
riduzione della persistente
sottoutilizzazione di risorse
nel Mezzogiorno attraverso
il miglioramento dei servizi
collettivi e delle competenze,
una maggiore concorrenza
dei mercati dei servizi di
pubblica utilità e dei capi-
tali, incentivi appropriati
per favorire l’innovazione
pubblica e privata, questa
politica è quella regiona-
le di sviluppo. Il Quadro
Nazionale Strategico, previ-
sto formalmente dall’art.27
del Regolamento generale
sui Fondi Strutturali europei
ha il compito di tradurre
queste indicazioni in indi-
rizzi strategici e in alcuni
indirizzi operativi.
Caratteri distintivi della
politica regionale e precon-
dizioni per la sua stessa effi-
cacia sono l’intenzionalità
dell’obiettivo territoriale e
l’aggiuntività. Sono i tratti
che differiscono la politi-
ca regionale dalla politica
ordinaria. Entrambe le poli-
tiche condividono l’atten-
zione all’articolazione ter-
ritoriale nell’ambito di un
respiro strategico nazionale;
entrambe sono programma-
te me gestite dal Centro o
dalle Regioni; ma diverse
sono le finalità perseguite,
come diversi sono i canali di
finanziamento. A differenza
della politica ordinaria, che
persegue i propri obiettivi
trascurando le differenze nei
livelli di sviluppo, la poli-
tica regionale di sviluppo,
nascendo dalla piena consi-
derazione di tali differenze,
e specificatamente diretta a
garantire che gli obiettivi di
competitività siano raggiunti
da tutti i territori regionali,
anche e soprattutto da quel-
li che presentano squilibri
economico-sociali.
La politica ordinaria è finan-
ziata con le risorse ordina-
rie dei bilanci. La politica
regionale è finanziata da
risorse aggiuntive, comuni-
tarie e nazionali, provenienti
rispettivamente, dal bilancio
europeo (Fondi strutturali) e
nazionali (fondo di cofinan-
ziamento nazionale ai Fondi
strutturali e fondo per le
aree sottoutilizzate).
Questi caratteri di inten-
zionalità e di aggiuntività
rispondono alle disposizio-
ni del Trattato dell’Unio-
ne Europea e, per l’Italia,
della Costituzione (art.119,
comma 5). Entrambe pre-
vedono politiche e inter-
venti esplicitamente rivolti
alla rimozione degli squili-
bri economico e sociali, da
realizzare in specifiche aree
territoriali, e da finalizza-
re con risorse espressamente
dedicate che si aggiungono
agli strumenti ordinari di
bilancio.
L’esperienza di questi ultimi
anni ha chiaramente dimo-
strato come l’efficacia della
politica regionale dipenda
dal mantenimento di una
piena distinzione, sul piano
finanziario e programmati-
co, dalla politica ordinaria,
ma richieda al contempo,
una forte integrazione reci-
proca attorno ai comuni
obiettivi di competitività.
Nel Documento di pro-
grammazione economica e
finanziaria, si tracciano ogni
anno le linee di coerenza tra
le due politiche.
Quindi attraverso una ripar-
tizione territoriale per obiet-
tivi a livello europeo, la poli-
tica regionale può interveni-
re per sviluppare le singole
Regioni attraverso politiche
occupazionali, mediante
misure nel settore della qua-
lità del capitale umano, nel
mercato dei capitali. Spesso
si fa molta confusione tra
la politica ordinaria e quella
regionale, quest’ultima quasi
passa inosservata, spesso la
distinzione tra le due poli-
tiche non è espressamen-
te enunciata dai politici e
dagli addetti ai lavori, si
tende a parlare sempre e
ad inglobarla nelle misure
di politica ordinaria. Questa
confusione di fatto non
crea altrettanta confusione
nell’opinione pubblica che
non riesce a comprendere
quando è necessaria l’una e
quando lo è l’altra oppure
quando lo è l’una piuttosto
che l’altra. L’interazione e
la sinergia tra queste due
politiche è indispensabile a
garantire un livello di com-
petitività omogeneo tra le
singole Regioni di una unità
nazionale, questa è fonda-
mentale per rendere omoge-
nei gli indicatori di crescita
regionali per esempio tra il
il Nord, il Centro ed il c.d.
Mezzogiorno.
La progressiva riduzione del
tasso di crescita dell’eco-
nomia italiana dell’ultimo
quindicennio si inserisce in
un contesto internazionale
in cui anche l’Europa si svi-
luppa complessivamente in
misura inferiore rispetto agli
Stati Uniti. Il rallentamento
in Italia si manifesta però
con maggiore forza anche
nei confronti degli altri Paesi
europei, una tendenza ancor
più negativa è evidenziata
dall’andamento della pro-
duttività del lavoro. Quindi
la maggiore frenata dell’eco-
nomia italiana è stata deter-
minata soprattutto, come
concordemente indicano
quasi tutte le analisi disponi-
bili, dal cumularsi nel tempo
degli effetti di non risolti
problemi di carattere strut-
turale. Ed è in questi che
le Regioni italiane avrebbe-
ro dovuto impegnarsi per
risolvere la scarsa qualità del
capitale umano, la bassa ero-
gazione creditizia alle piccole
e medie imprese, e lo scarso
livello di liberalizzazione tra
i più bassi d’Europa. Un
piccolo passo verso la riso-
luzione di questi problemi
poteva esser fatto utilizzan-
do la politica regionale di
sviluppo che seppur ampia-
mente indicata nel Quadro
Strategico Nazionale e sin-
tetizzata in obiettivi e prio-
rità non ha trovato nei fatti
interventi incisivi adeguata-
mente coperti dalle risorse
finanziarie previste a livello
comunitario e nazionale.
Se la politica regionale non
verrà posta sempre di più
al centro dell’agenda parla-
mentare e regionale e fatta
interagire con quella ordi-
naria il nostro Paese difficil-
mente riuscirà a colmare il
gap di competitività interno
ed esterno.
La letteratura che difende l’uomo da sè stesso
Erich Maria Remarque: uno scrittore, una vita
La politica regionale di sviluppo
Nell’ambito di una politica ordinaria, quella regionale di sviluppo può contribuire ad aumentare la competitività del Paese
Pag. 8 1-15/16-31 ottobre 2010
La Piazza d’Italia - Attualità
Nonostante il nettare di
Bacco di tipo bio continui
a crescere in termini qua-
litativi e di consumo, lo
scorso giugno la commissio-
ne Europea non ha potuto
procedere con la proposta
di regolamento comunitario
sul vino biologico a causa
del mancato accordo a livel-
lo politico, spegnendo così
le speranze di quei viticolto-
ri di poter finalmente vede-
re applicata sull’etichetta
delle proprie bottiglie la
scritta “vino biologico” a
partire dalla vendemmia
2010. Quindi, ufficialmen-
te non esiste il cosiddetto
“vino biologico”, sussiste al
momento solo il regolamen-
to per la produzione di UVE
biologiche, con il quale si
regolamenta la produzione
di uve, secondo le certifica-
zioni della normativa euro-
pea 2092/91 (che definisce
l’agricoltura biologica), in
realtà ciò che si certifica è
il metodo di coltivazione e
non il prodotto; tanto meno
il metodo di trasformazione
ecco perché sulle bottiglie
troviamo la dicitura“vino
prodotto da uva biologica”e
non “vino biologico”.
Per superare questo stallo,
nel quale ormai da anni
risiedono le aziende pro-
duttrici bio di vino, si è
pensato di procedere per
vie private. Alcune orga-
nizzazioni, di diversi Paesi
europei (tra cui enti di cer-
tificazione e organismi di
controllo, organizzazioni di
produttori, istituti di ricer-
ca scientifica…), hanno
deciso di lanciare un’ini-
ziativa al riguardo ovvero
la “Carta Europea del Vino
Biologico”, il cui acronimo è
CEVinBio, che si ispira alla
bozza del regolamen-
to EU e sui risul-
tati del progetto
internazionale di
ricerca ORWINE
il cui codice detta
le buone pratiche
per la viticoltura
e l’enologia
b i o l o g i -
ca per
s o d d i -
sfare le
diverse
c o n d i -
zioni che
si possono
riscontrare
in Europa per
la viticoltura
e l’enologia.
Va ricordato
in linea gene-
rale che il
vino bio-
l o g i c o
è pro-
dotto da uve coltivate senza
l’aiuto o la necessità di ferti-
lizzanti, trattamenti o erbi-
cidi di sintesi, ma si avvale
di diversi concimi di origine
vegetale o animale (come
ad esempio il letame o il
compost).
Lo scopo della Carta
Europea del Vino Biologico
(CEVinBio) è
quella di con-
sentire ai produttori biolo-
gici di vino di valorizzare al
meglio il proprio prodotto,
rispettando l’etica di produ-
zione biologica non solo nei
campi ma per l’intera
filiera.
L e a z i e n d e
pro-
duttrici, fermo restando
che in etichetta riporteran-
no la dicitura “prodotto
da uva biologica”, potran-
no aggiungere informazio-
ni sulle pratiche virtuose
di trasformazione come ad
esempio l’ abbattimento dei
solfiti.
Il Presidente di FederBio
Paolo Carnemolla commen-
ta così: “L’Italia è il prin-
cipale produttore e espor-
tatore di vino biologico in
Europa, dunque l’adesione
di FederBio a questa inizia-
tiva ha l’obietti-
vo di rilan-
ciare sia
a livello
e u r o -
peo che
nazio-
n a l e
l ’ e s i -
g e n z a
di rego-
lamenta-
re quanto
prima questo
comparto e
consentire alle
nostre imprese
di valorizzare al
meglio gli sforzi
fatti in questi anni
per lavorare secondo i
principi del metodo biolo-
gico non solo nella vigna ma
anche in cantina. Siamo già
in forte ritardo rispetto alla
concorrenza dei vini bio-
logici del resto del mondo,
chiediamo a Governo e
Regioni di affiancarci in
questa battaglia.”
Quindi l’intento della Carta
Europea del Vino Biologico
è anche quello di mandare
un segnale forte ai consu-
matori e agli operatori della
produzione e del mercato
convinti che si possa andare
oltre la semplice produzione
biologica dell’uva, ma che il
vino ottenuto, rispettando
lo spirito biologico anche
nella fase di trasformazione,
possa e debba essere chiara-
mente identificato.
La Carta è anche un richia-
mo alla politica per tentare
di riprendere, il prima pos-
sibile, il dialogo per la defi-
nizione di un regolamento
europeo sulla produzione di
vino biologico.
Il CEVinBio permetterà
dunque ai viticoltori euro-
pei di dichiarare che il vino
è fatto con uve coltivate
e prodotte da agricoltura
biologica, ma non solo, si
potrà manifestare che il
vino risponde ai requisiti
etici del biologico che parte
dalla vigna e giunge fino al
bicchiere del consumatore.
Alice Lupi
Ilthriller,prodottodallaWarner
Bros e costato circa 200 milioni
di dollari, conferma l’abilità di
Nolan a dirigere grandi atto-
ri, ma soprattutto a dilatare il
tempo della narrazione accre-
scendo, in tal modo, la suspen-
ce. La sceneggiatura, sulla quale
a lavorato per quasi 12 anni, si
articola su più livelli e sottolinea
la capacità del regista inglese
di giocare con sovrapposizioni
e flashback. Protagonista della
vicenda è Dom Cobb (intepre-
tato da un sempre più bravo
Leonardo Di Caprio), il ladro
più abile nell’arte dell’estrazione
di un’idea dal subconscio delle
persone. « Qual è il parassita più
resistente? Un’idea. Una singo-
la idea della mente umana può
costruire città. Un’idea può tra-
sformare il mondo e riscrivere
tutte le regole. Ed è per questo
che devo rubarla. » Per riuscir-
vi Cobb sfrutta il sonno delle
sue vittime e cioè il momento
in cui la mente funziona più
velocemente ed il tempo per
intervenire si dilata. Questa
volta, però, è chiamato non ad
estrarre ma ad innestare un’idea
nella mente di un ricco e gio-
vane industriale, un’operazione
sicuramente più complessa e
pericolosa. “Inception” signi-
fica, infatti, principio, inizio,
origine. Qui può essere inteso
come immissione, innesto. La
tenacia di Cobb, oltre che il
desiderio di rivedere i suoi figli
(cosa possibile solo in caso di
riuscita della missione), lo por-
terà a progettare – insieme a
cinque compagni– una discesa
in tre diversi stati del subcon-
scio del soggetto. La trama è
arricchita anche da un originale
storia d’amore che non corre
parallela e distinta alla vicenda
principale, ma anzi si intrec-
cia in maniera preponderante e
incisiva. Perché preponderante
e incisivo è il rimorso del pro-
tagonista che non sa perdonar-
si di aver già sperimentato la
“inception” sulla moglie con-
ducendola alla morte.
Nolan inizia a girare corti a
sette anni, con la Super 8 del
padre. Studia letteratura inglese
al University College di Londra
e le sue frequentazioni lettera-
rie lo renderanno cosciente di
come il cinema sia rimasto lega-
to alla fruizione televisiva, ossia
storie lineari. Nella letteratura
individua, invece, la possibilità
di rinnovare le strutture nar-
rative, superando certe rigidità
delle sceneggiature classiche.
Nel 1998 realizza il suo primo
lungometraggio Following , un
noir in bianco e nero, erede
della tradizione britannica degli
anni ‘50. La storia si basa su
flashback e flashforward, defi-
nendo fin dall’esordio il tratto
distintivo del Nolan autore: le
sperimentazioni temporali. Il
film culto che diventa un suc-
cesso grazie al passaparola e lo
rende noto in tutto il mondo
è Memento. L’idea di partenza
è di voler raccontare una storia
semplice al contrario, parten-
do cioè dalla fine. Il colpo di
scena è abbastanza prevedibile
ma poco importa. L’inconsueta
struttura narrativa è sufficiente
a rendere il film un evento.
Leonard (Guy Pearce) dopo un
grave trauma cranico ha perso
la memoria a breve termine ed
è costretto a tatuarsi sul corpo
gli eventi appena accaduti, a
questo si aggiunge la ricerca del
presunto assassino della moglie.
Il montaggio procede quindi
su due binari paralleli e i fla-
shback che portano a ritroso
fino all’omicidio spingono lo
spettatore ad uno straordinario
coinvolgimento col protagoni-
sta. Tratto da un racconto del
fratello Jonathan (“Memento
mori”) il film è un successo pla-
netario, con tanto di candida-
tura agli Oscar per la migliore
sceneggiatura.
Nel 2002 la Warner Bros con-
ferma la sua fiducia al giovane
Nolan affidandogli la regia di
Insomnia, remake di un film
norvegese. Questa volta diri-
ge un cast di grande spessore:
Al Pacino, Robin Williams e
Hilary Swank e costruisce il
thriller concentrandosi sull’at-
mosfera, sulla luce perenne
dell’Alaska e sul confronto –
scontro tra poliziotto e killer.
La collaborazione con la
Warner Bros continua e nel
2005 gli propone la regia del
nuovo Batman affidandogli il
compito di risollevare la serie
dopo i risultati insoddisfacen-
ti delle versioni fumettisti-
che di Joel Schumacher. Per
Batman Begins si ricostruisce
una Gotham City quasi rea-
listica con effetti speciali alla
vecchia maniera. I film stan-
no diventando sempre “meno
reali e più digitali”, secondo
Nolan, e l’intenzione è di rida-
re a Batman uno stile noir, non
fumettistico né barocco. Il cast
è sempre d’eccezione: Michael
Caine, Morgan Freeman, Gary
Oldman, Liam Neeson, ma la
grande rivelazione è Christian
Bale che restituisce pienamen-
te la figura tormentata e quindi
umana del supereroe. Nolan si
conferma maestro del thriller
introspettivo e la Warner Bros
lo vuole per la regia del capito-
lo successivo dell’uomo pipi-
strello, Batman - Il cavaliere
oscuro del 2008, che vede con-
fermato anche Bale nei panni
del protagonista e diventa una
sorta di attore feticcio per
Nolan, in quanto lavoreranno
insieme anche in The Prestige
(2006). Per la sceneggiatura
torna alla collaborazione col
fratello Jonathan e costruisce
un vero gioco di prestigio in
tre atti: la promessa, la svolta
e il prestigio. Il regista capi-
sce subito come la magia non
stia nel trucco in sé, ma nel
costringere lo spettatore a foca-
lizzare l’attenzione su qualcosa
di irrilevante, in modo da tra-
scurare il punto esatto in cui
si nasconde il tranello. Il film
ci riesce bene, almeno fino a
un certo punto perché i colpi
di scena nei film di Nolan si
capiscono sempre in anticipo,
ma ciò che non manca (di gran
lungo forse più importante)
è il piacere della narrazione.
Piacere che ritroviamo anche
in Inception data la scelta del
regista di raccontare parten-
do dalla fine, per poi andare
indietro, rincorrendo i sogni
dei protagonisti. I sentieri nar-
rativi sono due: la squadra di
specialisti che deve innestare
l’idea nella mente del giovane
industriale e l’agente Cobb che
deve salvare (come Orfeo) la
moglie perduta negli inferi. Si
pensa a Matrix “Reale, defini-
sci ciò che è reale” e ci riman-
da all’affermazione “noi siamo
fatti della stessa sostanza dei
sogni” William Shakespeare.
Nasce la Carta del Vino Biologico
Christofer Nolan
Il prestigiatore del cinema torna nelle sale con il suo ultimo film Inception che lo consacra regista maturo e affidabile
, g
ri, istituti di ricer-
ntifica…), hanno
di lanciare un’ini-
al riguardo ovvero
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o”, il cui acronimo è
io, che si ispira alla
el regolamen-
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ad esempio il letame o il
compost).
Lo scopo della Carta
Europea del Vino Biologico
(CEVinBio) è
quella di con-
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filiera.
L e a z i e n d e
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esempio l’ abbattim
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Il Presidente di
Paolo Carnemolla
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cipale produttore
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1-15/16-30 aprile 2010 - Anno XLV - NN. 77 - 78 – Tu quoque Fini…
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1-15/16-31 marzo 2010 - Anno XLV - NN. 75 - 76 - Malgrado tutto
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1-15/16-31 marzo 2010 - Anno XLV - NN. 75 - 76 - Malgrado tutto
 
1-15/16-28 febbraio 2010 - Anno XLV - NN. 73 - 74 - Ai blocchi di partenza
1-15/16-28 febbraio 2010 - Anno XLV - NN. 73 - 74 - Ai blocchi di partenza1-15/16-28 febbraio 2010 - Anno XLV - NN. 73 - 74 - Ai blocchi di partenza
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1-15/16-31 ottobre 2010 - Anno XLV - NN. 89 - 90 - Nuovo patto di stabilità UE

  • 1. di governo suggelleranno l’accordo politico. Giustamente Tremonti fa notare che il Patto così ridisegnato ci consente di recepire gli insegna- menti della crisi: che non è nata dai debiti pubblici ma dalla finanza privata visto che nel testo del Patto si terrà conto di alcuni fattori rile- vanti come il debito privato, come fortemente voluto dall’Italia. La nostra sfida, dunque, sarà quella di sfruttare i sei mesi di intervallo che intercorrono tra la minaccia di sanzione e l’applicazione della stes- sa nel mezzo della quale se l’Italia dovesse trovarsi in deficit eccessivo dovrebbe apportare tutte le misure correttive necessarie al decremento dello stesso. Tremonti su questo ribadisce che il Patto è un buon testo perché sono state trovate for- mule flessibili, e gestibili da parte del nostro Paese. L’auspicio è che abbia ragione Tremonti ma sarà davvero così? Solo il tempo potrà fornirci qualche indicazione in più. Intanto godiamoci questa ragione- volezza ed elasticità delle formule concordate a Lussemburgo. Avanzino Capponi Poste Italiane SpA - Spedizione in abbonamento postale - 70% - DCB-Roma 1-15/16-31 Ottobre 2010 - Anno XLV - NN. 89-90 E 0,25 (Quindicinale) In caso di mancato recapito restituire a Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito - TAXE PERCUE tass. riscoss Roma-Italy — Fondato da Turchi — Estrema destra in Europa — a pagina 3 — ESTERI Per la vostra pubblicità telefonare allo 800.574.727 La Piazza d’Italia Abb. sostenitore da E 1000 - Abb. annuale E 500 - Abb. semestrale E 250 - Num. arr. doppio prezzo di copertina COPIA OMAGGIOwww.lapiazzaditalia.it di FRANZ TURCHI — a pagina 7 — APPROFONDIMENTI Ricco, continuamente aggiornato: arriva finalmente sul web il nuovo punto di riferimento per i giovani e per un nuovo modo di fare politica in Italia www.lapiazzaditalia.it Una Piazza di confronto aperta al dibattito su tutti i temi dell’agenda politica e sociale per valorizzare nuove idee e nuovi contenuti In questo momento ritengo che Il tempo delle scelte per il PDL non sia minimamen- te basato sul problema tra “falchi” e “colombe”; credo invece che debba interro- garsi se aprire a un nuovo soggetto, che ho definito in altre occasioni liberale, oppure no. Dopo aver capito se provare ad intraprendere un percor- so insieme a questa nuova formazione, che sicuramente ha una politica diversa in termini di principi e pro- grammi rispetto alla PDL, bisogna domandarsi se il progetto politico del “FLI” sia e soprattutto voglia essere compatibile con il progetto del Popolo della Libertà. Nei governi di coalizione, per definizione, le parti devono concordare su pro- grammi ben definiti e por- tarli avanti; in poche parole se questo “matrimonio s’ha da fare”, i due leader devo- no tornare a parlarsi diretta- mente per chiarire ed agire senza intermediari oppure è meglio tornare al voto subito e con grande velocità. il Paese però Di tutto ha bisogno ora tranne che stare fermo per un lungo periodo “a causa di crisi politiche”, soprattutto in un momento di incertezza e crisi econo- mica. Dare risposte economiche, fiscali, sociali, e in partico- lar modo occupazionali alla nostra Italia, ora è quello che la gente si aspetta; tra l’altro non dimentichiamoci che esiste un’opposizione popu- lista e qualunquista, fino ad oggi senza una leadership carismatica, e senza risposte e proposte che invece per il suo ruolo dovrebbe dare. Che fare? A mio avviso dare una tempistica certa e soprattutto portare in aula parlamentare le proposte di riforma che abbiamo presen- tato nel 2008 agli elettori e vedere se si può lavorare per portare a “casa” i risultati su questioni tanto importanti. In caso contrario tutti imme- diatamente al lavoro per le elezioni sapendo benissimo che chi ha causato questo ha un nome e cognome: Gianfranco Fini. Ad Maiora Erich Maria Remarque Iltempodellescelte Nuovo patto di stabilità UE Accordo tra i ministri finanziari dell’Ue sulla revisione del patto di stabilità Il Ministro dell’Economia Giulio Tremonti ha annunciato l’accor- do tra i ministri delle finanze Ue sulla revisione del patto di stabilità nella riunione tenutasi a Lussemburgo. L’annuncio è avve- nuto in questi termini: “habe- mus novum pactum”. Nel nuovo patto di stabilità ci sono “formule flessibili, ragionevoli e gestibili da parte del governo italiano”, ha spiegato Tremonti. “È un testo molto buono, non ha elementi di rigidità come da voi auspicato”, ha detto Tremonti a Lussemburgo, polemizzando in maniera amiche- vole con i giornalisti e immagi- nando “la grande delusione della stampa italiana”. “Questo patto ridisegnato e rideli- neato ci consente di recepire alcu- ni insegnamenti che sono venuti dalla crisi”, riconosce ancora il Ministro, che parla del documen- to della task force che sarà presen- tato ai capi di Stato e di governo dell’Ue a fine ottobre come di “una costruzione armoniosa”. Il nuovo patto ci sarà tra “più o meno di cinque mesi, quanti ce ne sono voluti dall’avvio della task force a oggi, ha spiegato Tremonti ai giornalisti, oggi è finita la fase tecnico-politica, nei prossimi gior- ni ci sarà la fase politica”, in occa- sione appunto del vertice dei capi di Stato e di governo a Bruxelles il 28 e 29 ottobre. “Nessuna richie- sta italiana è stata accolta, perché quello che alla fine è stato siglato raccoglie il consenso di tutti: non c’è stata alcuna richiesta di dilazio- ne, alcuna richiesta di estensione della valutazione del debito ai fattori rilevanti, solo una posizio- ne italiana perfettamente coerente con quanto deciso con il consenso di tutti”. “Noi ci riconosciamo nel testo”, ha insistito Tremonti, per il quale, in particolare, sull’auto- matismo delle sanzioni c’è “un grande grado di flessibilità”. Tremonti precisa però che, “sulla base del testo vigente, per noi resta fondamentale la correzione del deficit”. Il Ministro conferma che nel testo concordato oggi “non c’è alcuna formula numerica”, in particolare la richiesta di ridurre di un ventesimo la differenza tra il livello raggiunto dal debito e quello stabilito dal Patto (60% del Pil), contenuta nelle proposte della Commissione. La Commissione europea chiede che chi è indebi- tato oltre il 60% del Pil riduca il debito del 5% l’anno. Il Direttore generale del Tesoro Vittorio Grilli ha sottolineato un aspetto chiave all’Italia, cioè l’inclusione del debi- to privato nel calcolo dell’indebi- tamento. Rimane da precisare in quale misura verrà tenuto conto del debito delle famiglie. Se sarà incluso alla pari o quasi con il debito pubblico, l’Italia vedrebbe diminuire drasticamente i rischi di violare il Patto la cui riforma viene riconosciuta necessaria da anni. Il compromesso di Lussemburgo è frutto di mesi di trattative tra due gruppi. Da una parte la Germania e altri Paesi nordici, fautori di un meccanismo di sanzioni come deterrente assoluto per i Paesi che sgarrano. Sull’altro fronte, con Italia e Francia in prima fila, che paventa un “Panzer Pakt” capace sì di imporre il rigore con il rischio di strangolare le non proprio solide aspettative di ripresa economica. A Lussemburgo tutti hanno fatto concessioni. Berlino accettando l’idea di un intervallo di sei mesi tra la minaccia e l’applicazione delle sanzioni. Francia e Italia hanno accettato un meccanismo che fac- cia scattare sanzioni contro i Paesi che in quei sei mesi di prova non accogliessero le raccomandazioni dei partner. La non totale automa- ticità sta nel fatto che le sanzioni potrebbero essere bloccate da un voto del Consiglio Ecofin a mag- gioranza qualificata. Quindi si può dire che il pressing della Francia ha avuto la meglio sul rigore della Germania. Infatti sono state accor- date regole più morbide e alleggeri- to il meccanismo automatico delle sanzioni. In pratica un Paese con deficit o debito eccessivo che non prende le misure necessarie, entro sei mesi sarà sanzionato. L’Italia intanto si appresta ad una ulteriore correzione del deficit, ad una riforma del sistema fiscale che miri a ridurre le tasse sui lavoratori, sui pensionati e sulle imprese, in grado di contribuire a rilanciare la domanda, consu- mi e occupazione. Accompagnata da una intensificazione della lotta all’evasione. Nell’ambito del vertice di Lussemburgo prendono quindi corpo anche le politiche di bilan- cio ed economiche del Governo italiano, che proprio al termine della riunione ha iniziato a deli- neare gli indirizzi strategici per far ripartire la crescita. Ora che il patto di stabilità ha previsto un meccanismo sanzionatorio meno automatico con regole più flessi- bili, non si può ancora dire che il nostro Paese può tirare un sospiro di sollievo ma sicuramente potreb- be usufruire di questo differimento temporale sanzionatorio per poter correggere il deficit più rapidamen- te. C’è da sottolineare comunque il buon risultato raggiunto nel verti- ce di Lussemburgo, frutto di una coesa negoziazione istituzionale attendendo il vertice del 28 e 29 ottobre nel quale i capi di Stato e
  • 2. Pag. 2 1-15/16-31 ottobre 2010 La Piazza d’Italia - Interni Per informazioni e abbonamenti chiamare il numero verde: La Piazza d’Italia fondato da TURCHI Via E. Q. Visconti, 20 00193 - Roma Luigi TurchiLuigi Turchi Direttore Franz Turchi Co-Direttore Lucio Vetrella Direttore Responsabile Proprietaria: Soc. EDITRICE EUROPEA s.r.l. Registrato al Tribunale di Roma n. 9111 - 12 marzo 1963 Concessionaria esclusiva per la vendita: S.E.E. s.r.l. Via S. Carlo da Sezze, 1 - 00178 Roma www.lapiazzaditalia.it E-mail: info@lapiazzaditalia.it Manoscritti e foto anche non pubblicati, e libri anche non recensiti, non si restituiscono. Cod. ISSN 1722-120X Stampa: DEL GROSSO s.r.l. Via Tiburtina, 912 - 00156 Roma FINITO DI STAMPARE NEL MESE DI OTTOBRE 2010 GARANZIA DI RISERVATEZZA PER GLI ABBONATI: L’Editore garantisce la massima riservatezza dei dati forniti dagli abbonati e la possibilità di richiederne gratuitamente la rettifica o la cancellazione scrivendo a S.E.E. s.r.l. - Via S. Carlo da Sezze, 1 - 00178 Roma. Le informazioni custodite nell’archivio dell’Editore verranno utilizzate al solo scopo di inviare copie del giornale (Legge 675/96 tutela dati personali). La responsabilità delle opinioni espresse negli articoli firmati è degli autori. 800574727 Della Vedova che formeranno una sorta di “Direttorio” del partito il cui comitato promo- tore si è riunito per la prima volta il 5 ottobre scorso. Nella riunione - tenuta stret- tamente al riparo da teleca- mere e taccuini neppure fosse un convegno di “carbonari” - l’ex Presidente di Alleanza Nazionale, pur auspicando la continuazione della legi- slatura da parte del Governo Berlusconi, ha ribadito ai suoi seguaci di essere comunque pronti ad eventuali elezioni anticipate. Per Fini, Futuro e Libertà non dovrà strutturar- si come un partito tradizio- nale - “pesante” - ma dovrà possedere un’organizzazio- ne agile assimilabile a quella di un moderno movimento d’opinione il cui assetto finale tuttavia non dovrà ripercor- rere gli errori compiuti nel passato da AN: insomma non si dovranno creare di nuovo le logiche spartitorie ed egoisti- che del vecchio partito in cui le lotte tra “colonnelli” tar- parono le ali alla formazione politica figlia del MSI. Riemerge quindi già da que- sti primi vagiti del nuovo sodalizio politico l’eterna questione della contrapposi- zione tra partito “pesante”, frutto delle ideologie e della storia del Novecento e quello agile, liquido di veltroniana memoria e di più modernista visione. Visione che tuttavia il Presidente della Camera non più di qualche mese fa, quan- do era ancora all’interno del PdL e prima ancora quando guidava con pugno d’acciaio Alleanza Nazionale, rifuggiva schifato e sdegnato. Chi non ricorda le esternazioni ironiche di Fini riguardo Forza Italia definito partito di plasti- ca, o i giudizi di sufficienza nei confronti dei Circoli della Libertà, di quelli del Buon Governo o dei Promotori della Libertà? Allora un Partito doveva esse- re l’espressione del territorio, organizzato capillarmente regione per regione, comu- ne per comune, solidamen- te strutturato in tutte le sue sezioni periferiche e con una gerarchia piramidale ben defi- nita in cui Lui avrebbe dovuto rappresentarne l’apice. Adesso invece, fatta compiere al proprio pensiero politico l’ennesima capriola, ecco che si ritrova a incensare e ricopia- re una forma organizzativa di partito che il suo rivale-alleato Berlusconi ha per primo idea- to tra i frizzi e i lazzi dei “par- rucconi” della politica italiana quindici anni or sono. Più recentemente Veltroni aveva provato a trasformare il Partito Democratico in un partito più snello, giovane, tutto web, blog ed internet tv, ma i risultati elettorali, quel- li che contano in definitiva, furono disastrosi e l’ex sindaco di Roma è stato costretto ad abbandonare, almeno per il momento, ogni sogno di gloria politica. Che Veltroni l’ameri- cano tentasse di scopiazzare l’organizzazione partitica d’ol- treoceano era nel novero delle cose ma che Fini, proveniente da una storia politica e cultu- rale diversa, ricevesse in dono questa folgorazione sulla via di Damasco in pochi se lo sareb- bero aspettato. Del resto crediamo che la riu- scita creazione di un movi- mento politico di largo con- senso popolare come è stato Forza Italia e come si accinge ad essere il PdL sarebbe potu- to riuscire solamente ad un uomo come Berlusconi, privo dei lacci e lacciuoli ideologici caratterizzanti i professioni- sti della politica della Prima Repubblica e quindi lontano miglia dalla forma mentis di persone come Veltroni e Fini cresciuti da poppanti nelle sezioni di via delle Botteghe Oscure o di via Della Scrofa. Il tentativo di Fini di creare un partito leggero è dovuto essen- zialmente al fatto che è da un lato incerto riguardo il nume- ro reale di cittadini e simpatiz- zanti che realmente lo segui- ranno, è insicuro di quando ci saranno le elezioni, e perciò si deve far trovare pronto con una “sigla” nel caso si vada alle urne già nella prossima pri- mavera, ma soprattutto è per- plesso riguardo la capacità dei propri attuali seguaci e com- pagni di cammino a radicare sul territorio il nuovo partito e per questo deve attrarre su di se una grande attenzione ed attesa mediatica che surroghi l’oggettiva debolezza dell’of- ferta politica del FLI. L’incertezza evidentemente ha così sopraffatto il Presidente della Camera che a coloro i quali gli chiedevano se non fosse stato giusto dimetter- si dallo scranno più alto di Montecitorio dato il ruolo politico che ha ricoperto in merito alla scissione dal PdL e che gli impedirebbe una sostanziale equidistanza tra le parti, ha risposto che non essendo il leader del FLI può continuare a stare seduto sul posto che occupa grazie ai voti e al peso posseduti dal PdL che poi ha rinnegato. Insomma coloro i quali spera- vano di sfuggire dal controllo del Cavaliere si devono accon- tentare di galleggiare intor- no all’orbita di Bocchino e Granata: non c’è che dire! Fini in ogni caso è costretto a fare quello che egli ha sem- pre rimproverato a Berlusconi: “medializzare” lo scontro con l’avversario. L’unico neo è che oramai non dispone più di un partito ben radicato sul territo- rio, Alleanza Nazionale, attra- verso il quale avrebbe potuto contrastare la supremazia di Arcore e neppure possiede il carisma, tantomeno la capa- cità o le risorse del Cavaliere per cercare di raggiungere il proprio obiettivo: quello di scalzare Berlusconi alla guida del centro-destra italiano. Al momento, al netto di ulteriori futuri trasformi- smi ideologici e culturali sempre in agguato con Fini, l’ex Presidente di Alleanza Nazionale può aspirare ad esse- re il nucleo d’aggregazione per quella galassia di “lib- dem” esistente i Italia che comun- que nulla ha a che vedere con una destra più tradizionale e popolare. I prossimi appuntamenti di Futuro e Libertà, a novembre a Perugia e a gennaio a Milano per il primo vero congresso del partito, sapranno dirci se la nuova formazione politi- ca sarà alleata leale dell’asse PdL - Lega come afferma- to in occasione del voto di fiducia parlamentare o sarà uno strenuo competitore della maggioranza di governo come paventato da Bocchino al momento di dichiarasi pron- to a nuove alleanze trasversali allo scopo di cambiare la legge elettorale in vista di una cadu- ta del Governo Berlusconi e di conseguenti elezioni politiche anticipate. All’indomani del voto di fidu- cia al Parlamento ottenuto dal GovernoBerlusconiriguardole linee programmatiche da por- tare avanti nei prossimi anni, i fedelissimi del Presidente della Camera hanno ufficializzato quello che da mesi era dive- nuto il “segreto di Pulcinella”: la fuoriuscita dal Popolo della Libertà e la formazione di un nuovo soggetto politico. Futuro e Libertà potrà contare sull’apporto di 35 deputati, 10 Senatori e 4 europarlamentari di Strasburgo. Tra gli espo- nenti di spicco della neonata formazione politica ci sono i “falchi” Bocchino, Granata , Briguglio, ma anche Urso, Menia, Viespoli, Moffa e Acque ancora agitatissime all’in- terno dei partiti di centro-destra che compongono la maggioranza di governo all’indomani dell’uf- ficializzazione della nascita del nuovo soggetto politico “finiano”, Futuro e Libertà. L’aria che tira non deve essere proprio delle migliori se anche un “cattivo” per eccellenza come Calderoli, ha lanciato l’idea di un nuovo patto tra Berlusconi, Fini e Bossi che allontani lo spettro di elezioni politiche anticipate o ribaltoni parlamentari dell’ultimo momento. Il patto del “trampolino” - così lo ha definito il pittoresco Ministro della semplificazione - avrebbe lo scopodisiglareun’intesadilegisla- tura oltre che di rilanciare l’azione del Governo Berlusconi evitando continue frizioni e strappi tra ex alleati che porterebbero inevitabil- mente ad un ulteriore aggravarsi della crisi politica; questo passag- gio a 3 andrebbe poi a rafforza- re ulteriormente il voto con cui Senato e Camera dei Deputati hanno accolto favorevolmente i cinque punti programmatici di Berlusconi. E’ evidente che a parte le prime dure dichiarazioni a caldo favore- voli alla cacciata dei finiani dalla maggioranza e l’invito fatto al Cavaliere di ricorrere immediata- mente alle urne, gli esponenti di primo piano della Lega stanno cercando di rimettere insieme i coccidellacoalizionetemendonon tanto elezioni anticipate quanto l’avvento di un governo tecnico che faccia decantare la situazione politica e metta in primo piano l’approvazione di una nuova legge elettorale accantonando la riforma federalista dello Stato. A confliggere contro tale auspi- cabile riappacificazione ci sono i comportamenti ondivaghi di Fini e le dichiarazioni dei rappre- sentanti dell’ala più oltranzista di Futuro e Libertà in netta contrap- posizione con le dichiarazioni fatte da alcune “colombe” di FLI. Infatti, se da un lato il sottosegre- tario al commercio estero nonché vice presidente di Futuro e Libertà Urso tende la mano all’eventualità immaginata da Calderoli definen- dola utile, tanto più se si riusci- rà a fare delle riforme condivise, dall’altro lo stesso Presidente della Camera, durante una serie di con- ferenze di presentazione del FLI in Nord Italia, non ha mancato di stilettare ai fianchi l’asse PdL- Lega. Secondo Fini - nella sua nuova veste di “giacobino” difensore della Magistratura - se non sarà il Lodo Alfano a creare tensioni con gli altri due alleati di Governo potranno essere alcune questioni riguardanti il riordino del sistema giudiziario a poter far scaturire la possibilità di una crisi di gover- no, a causa ad esempio di una riforma della giustizia punitiva nei confronti delle “toghe” o sotto- ponendo le stesse al controllo di altri poteri. La sola evocazione da parte dell’ex presidente di Alleanza Nazionale di una possibile crisi di governo ha dato naturalmente il via alle dichiarazioni di guerra da parte di Bocchino e a ruota da tutti i partiti di opposizione. Il braccio destro di Fini ha infat- ti auspicato, in caso di eventuale caduta del Governo Berlusconi, non l’immediato ritorno alle urne ma la ricerca di una maggioranza diversa in Parlamento che oltre a ratificare una nuova legge elet- torale pensi ad affrontare la crisi economica e finanziaria del Paese. Franceschini a tal proposito si è spinto oltre affermando che in caso di “caduta” del Cavaliere, il Partito Democratico dovrebbe cercare un’alleanza “costituzionale” con UDC e Futuro e Libertà non limitata solo a rifare la legge elet- torale come auspicano Di Pietro e Vendola ma anche per affrontare insieme a Fini e Casini le elezioni politiche in quanto né l’alleanza PD-IdV-Sinistra e Liberta né tan- tomeno UDC e FLI sono auto- sufficienti in termini di voti per sbaragliare l’asse Berlusconi - Bossi. Lo stesso Casini rimanendo sem- pre all’interno dello stesso solco si è detto possibilista riguardo una con- vergenza con Partito Democratico e FLI per concludere non solo tale legislatura - sempre che l’at- tuale maggioranza di centro-destra crolli - ma anche per cercare di creare una nuova maggioranza che porti fuori dalle secche il Paese senza però ricorrere all’alleanza con Di Pietro o la sinistra radicale di Vendola. A rendere la situazione ancora più esplosiva sono state le parole del Presidente Berlusconi il quale, dopo una settimana di riposo per ristabilirsi dalla recente operazione occorsagli al polso, ha affermato che oltre ad essere improcrastina- bile una legge che regoli tutto il sistema giudiziario, urge appro- vare in breve tempo un lodo che protegga le alte cariche dello Stato per tutto il periodo in cui svol- gono le loro mansioni a causa del comportamento di magistrati politicizzati contro i quali potreb- be ben presto essere varata una commissione parlamentare d’in- chiesta, dichiarazioni queste ulti- me che allontanano ancora di più i due ex alleati Berlusconi e Fini. In ogni caso su tutti i fronti la confusione regna sovrana. Nel centro-destra il Popolo della Libertà sembra aver un po’ smar- rito la “verve” dei primi mesi. Esso stenta a trovare una configurazio- ne organizzativa interna stabile ed al momento è riuscito - almeno in parte - a frenare l’emorragia di parlamentari verso le sirene di Futuro e Libertà, ma variando la situazione politica, con l’eventuale caduta del Governo Berlusconi, per essere più chiari, non si sa sinceramente fino a che punto tale “diga” possa reggere. Il Partito Democratico si dibatte ancora in una drammatica crisi interna che dura dalla sconfitta alle elezioni politiche del 2008 e solo adesso una classe politica nuova con a capo il sindaco di Firenze sembra voler emergere dalla palude venutasi a creare a causa degli imperituri contrasti tra gli schieramenti vicini a Veltroni e D’Alema che stanno imbalsaman- do pure l’azione di Bersani. Di tale momento d’empasse sembra voler di nuovo approfittare come avvenuto già due volte in Puglia Vendola, il quale sta cercando di far coagulare intorno alla sua per- sona tutte le anime oramai disperse della sinistra radicale. Il disegno è chiaro: emergere a sinistra come l’unico vero esponente con ampia popolarità per sparigliare le carte nella coalizione di centro-sinistra e per raggiungere tale scopo deve sperare in rapide elezioni anticipate che non consentano al PD di rior- ganizzarsi intorno ad una propria figura politica “pesante” oppure impedirgli di fare alleanze - anco- ra comunque osteggiate da molti Democratici - con UDC e FLI. I “finiani” invece puntano sempre più - le colombe Menia, Viespoli e Urso sembrano purtroppo essere state messe all’angolo - alla rottura con PdL e Lega per cercare in Parlamento le convergenze utili alla formazione di un Governo tecnico anche perché cercare con- sensi tra la gente al momento sembra difficile per la formazione politica creata da Fini, tanto che il presidente della Camera - spoglia- tosi definitivamente del suo abito di “super partes” - sembra essere esclusivamente occupato ed orien- tato alla creazione di un partito fluido: più fondazioni e associa- zioni e meno sezioni e forse meno forza di attrazione tra la gente. L’UDCèancoraindecisasullastra- da da percorrere poiché se da una parte,comericordatoinpreceden- za, Casini si dice disposto a creare una alleanza coi Democratici ed i “finiani”, dall’altra annuncia che alle amministrative della prossima primavera i centristi correranno da soli per far risaltare meglio agli occhi degli Italiani la loro scelta anti bipolarista. Al tirar le somme crediamo che gli spazi di manovra di Berlusconi siano diventati strettissimi e evi- dentemente anche il Cavaliere scommette poco sulle reali inten- zioni di riappacificazione di Fini, anzi è convinto che il Presidente della Camera intende logorare lui ed il suo Governo fino alle estre- me conseguenze. Poche settimane ancora e causa la discussione in Aula della riforma della Giustizia e Lodo Alfano, sapremo se Berlusconi sarà riu- scito nell’ennesimo miracolo o se i riti dei sacerdoti della Prima Repubblica avranno preso di nuovo il sopravvento. Giuliano Leo I dissidenti del PdL ufficializzano la loro nuova formazione politica Nasce il partito di Fini Berlusconi, Bossi e Fini stentano a ritrovare l’unità che ha portato a vincere delle politiche 2008 Scricchiolii
  • 3. 1-15/16-31 ottobre 2010 Pag. 3 I vergognosi fatti di Genova impongono riflessioni che ovviamente esulano dal calcio ed investono ampi settori della società. Partiamo proprio dai Serbi e dalla Serbia. Il movimento “Obraz”, cono- sciuto per aver recentissima- mente picchiato i partecipan- ti al Gay Pride di Belgrado, prima dei fatti di Genova s’era principalmente mostrato con scritte sui muri a contenuto nazionalista o nelle campagne contro gli omosessuali. Nei raduni pubblici i suoi mem- bri sempre più di frequen- te insistono sull’affermazio- ne della religione ortodossa, come l’unica giusta, e della patria, così come insistono sulla necessità che la Serbia venga definita mediante la Costituzione non come stato dei suoi cittadini, ma bensì come “stato del popolo serbo e degli altri che vi abitano”. Il forte richiamo alla Chiesa ortodossa - o cattolica come in Polonia - è una costante dei movimenti xenofobi slavi. Ne sanno qualcosa i radicali italia- ni, in primis Marco Cappato, che manifestando a Mosca per i diritti degli omosessuali furono aggrediti da un contro corteo in cui figuravano espo- nenti della chiesa e skinhead. In Serbia “Obraz” ha organiz- zato più volte delle campagne contro i diritti degli omoses- suali, considerando che un tale tipo di amore sia innaturale e senza religione, e ai suoi mem- bri piace il richiamo ai valo- ri introdotto dall’ex vescovo serbo Nikolaj Velimirović. È difficile dire con precisione quante e quali conseguenze abbiamo i movimenti nazio- nalistici sulle relazioni intra- nazionali nei territori misti, vero è però che sono di norma presenti e urlano ad ogni mini- ma “situazione critica”. Nonostante l’ignoranza - non ultima quella di giornalisti che scambiano il saluto dei cet- nici coi 3 punti che avrebbe perso a tavolino la nazionale serba - che germoglia attorno a questi combattivi movimenti di estrema destra, il fenome- no cresce, prende piede non solo in realtà arretrate cultu- ralmente e in grave empasse economica, ma anche in paesi come la Svezia. A proposito degli svede- si, popolo nell’immaginario collettivo aperto e sorriden- te, lontano anni luce dalle dispute da vecchia “Europa”, la destra xenofoba ha oggi il nome di Jimmie Akesson. Sverigedemokraterna, parti- to nato nel 1988 ad opera di ex neonazi del Partito Nazionalista del Nord e ed ex membri del “Bevara Sverige Svenskt” altrimenti detto “Manteniamo la Svezia sve- dese” o “Svezia agli svedesi”, testè entrato in parlamento. È il classico movimento radi- cale, che cavalca lo scontento degli strati più bassi o più inermi della società, come gli anziani. Alla domanda su dove intervenire, la risposta dei militanti è priva di interroga- tivi: “l’immigrazione sicura- mente perché da quello dipen- de tutto il resto. Noi abbiamo un progetto chiaro: mettere un punto alle richieste di asilo e ai ricongiungimenti. Il nostro obiettivo concreto è diminuire l’immigrazione del 90%”. L’estrema destra svedese, rical- ca molto le istanze della Lega in Italia: anticomunismo, ter- ritorialismo, Cristianesimo contro Islam, xenofobia e anti- centralismo. La polemica contro “Stoccolma ladrona” che risucchia le risor- se del Paese a discapito dei lavoratori - udite, udite - del sud è emblematica. Come detto, a Est è la chiesa - cattolica od ortodossa che sia - a cavalcare istanze xenofobe e di chiusura che caratterizzano i movimenti di estrema destra. In Italia ad esempio è assai diverso. Esemplare in tal senso è l’infinita diatriba in fatto di immigrazione. Laddove lo Stato chiude, la Chiesa sotto spoglie Caritas, apre. Più in generale, a cominciare dagli inizi degli anni Novanta l’estrema destra europea ha proceduto ad una profonda revisione ideologica indivi- duando nei mali sociali, nel malcontento popolare e nei timori derivanti dai cambia- menti economici e culturali di questo XXI secolo, il terreno fertile per fare proseliti in tutti i paesi europei. A questi problemi, che grava- no sulla maggior parte delle moderne società europee, la destra radicale ha poi aggiunto una buona dose di sfiducia verso i governi in carica, nei confronti dei partiti tradizio- nali, verso l’Unione Europea, ma soprattutto l’ostilità nei confronti dell’immigrato. Il punto di riferimento ide- ologico della attuale estrema destra europea poggia, sul giornalista e filosofo francese Alain de Benoist, il fondatore della Nouvelle Droit, il padre del “differenzialismo etnico”, la nuova frontiera del pensiero razzista in salsa dolce. De Benoist auspica esplicita- mente ad una società antie- gualitaria, il filosofo francese immagine una “Europa delle Regioni”, una “Europa dei popoli, le “piccole patrie”, basate rigorosamente sul fede- ralismo etnico - o per dirla in un altro modo sul “differen- zialismo etnico” - per rendere possibile il non-inquinamento etnico dei luoghi preservando le diverse identità culturali, nazionali e religiose contro ogni “ibridazione”. Roba vecchia insomma, ma che non perde fascino. Il fasci- no del Vintage macabro. Il “contaminatore” è l’immi- grato extracomunitario, nono- stante venga riconosciuto che esso fugge dalla miseria di tutti i Sud del mondo, è visto come un vero e proprio spet- tro. L’immigrato viene così ad essere il nemico numero uno da combattere, in quanto oltre ad intaccare l’identità dei popoli è ritenuto il responsa- bile dell’aumento della disoc- cupazione e dell’incremento della criminalità. L’”invasione” di immigrati, secondo il “nuovo pensiero”, viene permessa dalla globa- lizzazione economica - deno- minata anche con il nome di “mondialismo” - che causa l’omologazione culturale e l’incontro fra i popoli, di con- seguenza non riconoscendo le diversità tra i popoli, opera così ad una sorta di pulizia etnica, la quale a sua volta non porta altro che alla tanto odia- ta società multirazziale. La destra radicale europea, grazie alla sua svolta ideolo- gica, ha subito un processo di “proletarizzazione”. Ossia i movimenti dell’estrema destra riescono a trovare terreno fer- tile per le proprie ideologie, e soprattutto riscuotere consen- si, nelle classi meno abbienti, un tempo orientate di solito a sinistra. Mutamento, que- sto, legato molto legato molto all’imborghesimento della sinistra europea che l’ha pro- gressivamente allontanata dai ceti popolari. Al netto dei succitati dettami ideologici comuni - la estre- ma destra europea evidenzia comunque numerose differen- ze. Nell’analisi generale pos- siamo dividere i soggetti in tre principali categorie. Troviamo movimenti e partiti dichiaratamente neofascisti ed certuni casi con caratteristi- che addirittura neonaziste. Nel primo caso rientrano le nume- rose compagini dell’estrema destra spagnola, portoghese, greca ed italiana. Le relati- ve compagini tuttavia hanno aggiustato un pò il tiro con- centrandosi sull’attualità, visto che l’ostinato attaccamento al passato non ha prodotto nes- sun risultato elettorale rile- vante, anzi, il nostalgismo ne ha pregiudicato il consenso, l’esempio di casa nostra Forza Nuova è illuminante. Nella seconda tipologia troviamo i partiti dell’estrema destra tedesca, che ai classici temi dell’estrema destra europea aggiungono una buona dose di antisemitismo e di riferimenti al passato hitleriano. A questi partiti, se ne sono afiancati altri. È il caso dei movimenti del nord Europa, nati per la protesta antitasse che hanno ripiegato negli ulti- mi anni sulla xenofobia, l’op- posizione all’euro e all’Unione Europa. Esempi più rilevan- ti Pim Fortuyn in Olanda, Blocher in Svizzera, Haider in Austria e Bossi in Italia. Soggetti che con alterne for- tune - anche di vita - hanno saputo ritagliarsi uno spazio notevole nelle relative poli- tiche nazionali con ruoli di governo. La terza ed ultima categoria è quella dei parti- ti dei paesi dell’Est, che ai temi cari alla destra radicale aggiungono una buona dose di ultranazionalismo. Infatti, le compagini bulgare, ungheresi, rumene ed anche russe, hanno tra i propri obiettivi quelli di realizzare un “grande Stato” che non prevede la presenza di nessuna minoranza etniche e perché no, anche di ebrei. Prendiamo la Bulgaria il parti- to Attacco Unione Nazionale, noto anche come Ataka, può essere considerato il partito più a destra attualmente pre- sente in Parlamento. Sostenuto da molti ex militari, Ataka si è caratterizzato per il rifiuto all’ingresso della Bulgaria nella Nato e nell’Unione Europea. Il partito ha proposto il rico- noscimento della religione cristiana ortodossa come reli- gione di Stato ed ha critica- to i “privilegi” per le mino- ranze linguistiche presenti in Bulgaria, in particolare turchi e rom. Ataka è uno dei tanti partiti ultranazionalisti euro- pei coi quali condivide antise- mitismo e antieuropeismo cui aggiunge l’odio contro i Rom, elemento comune d’area, che riguarda pure Slovacchia, Ungheria e Romania. Non più tardi di 4 anni fa il leader di Ataka, Siderov, prese addirit- tura il 21,5% dei consensi alle presidenziali, e nonostante la netta sconfitta al ballottaggio, trattasi di risultato incredibile. La situazione ungherese è gra- vida di conseguenze se non controllata. Alle recenti ele- zioni dopo anni di socialde- mocrazia si è abbattuta sul paese la valanga Fidesz, destra moderata. La quale come la storia anche d’Italia insegna, si è fatto largo attraverso l’estrema destra e le sue sortite provocatorie e forti per rottamare il gover- no socialdemocratico ed ora ha intenzione di procedere da solo, accantonando di fatto Jobbik. Anche se, la destra moderata ungherese ama per così dire il doppio petto, essendo compatibile in molti casi con i radicali (taglio delle tasse, sicurezza). Ma è soprattutto in tema di difesa dell’identità unghe- rese che i due partiti sem- brano parlare con una voce sola, specialmente per quanto riguarda la protezione delle proprie minoranze all’estero e in particolare in Slovacchia, Romania e Serbia. Non a caso, Orban ha cominciato il suo primo discorso dopo il trion- fo elettorale rivolgendosi “a tutti gli ungheresi, dentro e fuori i confini” mentre il suo ministro degli Esteri ha subi- to annunciato che il nuovo governo starebbe pensando di concedere la doppia citta- dinanza agli ungheresi etnici residenti oltre confine. Il mito della “nazione da 15 milio- ni” di anime (l’Ungheria non arriva a 10 milioni di abitanti) ultimamente è diventato mar- tellante e in un Paese in cui le due destre totalizzano quasi l’80 per cento dei consensi, il segnale va preso con le molle. La destra radicale europea, al fine di render più efficace la promozione delle proprio istanze ha tentato di struttu- rarsi a livello europeo coor- dinandosi. Questo coordina- mento ha avuto origine nel 2002, su iniziativa soprattutto della Falange spagnola e dello storico fascista iberico Blas Piñar. Dopo vari incontri ed innu- merevoli discussioni si giunge, nel novembre 2003, a pro- gettare un Fronte Nazionale Europeo per la difesa dell’Eu- ropa delle patrie. La prima conferenza officiale del FNE si tiene l’anno dopo in ottobre a Varsavia (Polonia) alla quale partecipano le delegazioni di Forza Nuova (Italia), Noua Dreapta (Romania), Nacionala Speka Savieniba (Lettonia), Narodowe Odrodzenie Polski (Polonia), Slovenska Pospolitost (Slovacchia), Narodni Sjednoceni (Repubblica Ceca) e Alliantie (Olanda). Dopo solo un mese, il 20 novembre 2004, presso l’Hotel Chamartín di Madrid, viene firmato dai rappresentan- ti presenti un accordo che pone le basi per la costituzione di un Fronte Nazionale Europeo. All’incontro erano presenti le delegazioni di Forza Nuova (Italia), NPD (Germania), Noua Dreapta (Romania), Terre et Peuple (Francia), BNS (Bulgaria), England First (Inghilterra), Slovenska Pospolitost (Slovacchia), e naturalmente il FE (Spagna), oltre ai camerati polacchi ed alla straordinaria partecipazio- ne del prelato italiano e lefre- viano don Giulio Maria Tam, che chiude il cerchio. Tra i punti caratteristici dei soggetti aderente al FNE ci sono alcuni vecchi adagi: la difesa della sovranità, dignità ed indipendenza dell’Europa, di un’Europa delle patrie con- tro il mercantilismo e la globa- lizzazione; difesa della cultura, delle tradizioni e dell’identità cristiana di fronte alla globa- lizzazione culturale, all’immi- grazione ed all’ingresso della Turchia in Europa; difesa della vita e della famiglia tradiziona- le di fronte ai crimini quali l’aborto, i matrimoni omoses- suali e le adozioni da parte di quest’ultimi. Francesco di Rosa La Piazza d’Italia - Esteri Estrema destra in Europa Attualità e casi significativi
  • 4. Pag. 4 1-15/16-31 ottobre 2010 La Piazza d’Italia - Economia Il vertice del Fondo Monetario Internazionale e della Banca Mondiale tenu- tosi a Washington ha avuto al centro dei colloqui i rischi di una guerra valutaria e commerciale. Sotto accusa da parte degli Stati Uniti si trova la Cina che non è disposta a rivalutare più di tanto lo yuan per non vedere interrotto il suo boom eco- nomico che dura da anni. Il direttore generale del Fmi, Khan, ha manifestato la sua preoccupazione. Manca la cooperazione internazionale, ha lamentato, e quello che è più grave è che ci troviamo in un momento difficile per l’economia globale. Il tec- nocrate francese ha avvertito che i Paesi a rischio mettono sotto pressione la ripresa eco- nomica globale se usano le loro monete per cercare di stimolare la crescita interna. Si sta rischiando l’esplosione di una guerra valutaria che lascerà dietro di sé soltanto macerie. Si sta facendo strada l’idea che le valute possano essere usate come arma poli- tica. Una simile idea, tradot- ta in azioni, potrebbe rap- presentare un rischio molto grave per la ripresa globale, un impatto negativo e molto dannoso nel lungo periodo. A giudizio di Khan, la Cina deve accelerare l’apprez- zamento dello yuan, anche se questo avrà un impatto negativo sulle sue esportazio- ni. La sottovalutazione dello yuan, ha insistito, rappre- senta una fonte di tensione che rischia di trasformarsi in una minaccia. Questo perché troppe risorse stanno affluen- do verso Pechino e questo finisce inevitabilmente per squilibrare il resto dell’eco- nomia globale. In ogni caso, è poco probabile che l’eco- nomia scivoli in recessione, ma la crisi, ha ricordato, non è finita fin quando l’occupa- zione non riparte. La crescita da sola non basta, ci vuole un calo del numero dei disoccu- pati. Analogo il giudizio del Presidente della Bce, Trichet, che, interpretando l’opinione dei governi europei, con in testa Angela Merkel, ha invi- tato Pechino a tenere fede al suo impegno di rendere più flessibile il cambio della propria moneta. Osservazioni che sono del tutto corrette e manifestano sicuramente molte perplessità sui meccanismi di cooperazio- ne internazionale, soprattutto quando si tratta di risolvere problemi monetari o più in generale problemi che riguar- dano le singole economie. La minaccia di questa guerra valutaria è reale, e provoca seri rischi per i mercati. Non è chiaro per esempio se il forte balzo del tasso Euribor allo 0,97% sia il sintomo di una normalizzazione sul mercato del credito, oppure di una accresciuta incertezza tra gli operatori. Nell’area dell’euro c’è meno liquidità, o, meglio, c’è un po’ meno di liquidità in eccesso, visto che le banche stanno riducen- do la dipendenza dalla Bce. In questo senso, il segnale dell’Euribor suona positivo ed è in sintonia con un pro- cesso di normalizzazione e con la prospettiva di una exit strategy (graduale abbando- no di una politica moneta- ria ultra espansiva) segnalata dalla Bce. Ma, mentre l’Eu- ropa sta accarezzando il ritor- no alla normalità, negli Stati Uniti e in Giappone si sta invece percorrendo la strada opposta. Si potrebbe pensare che il nuovo “Quantitative easing” della Fed, ossia l’ul- teriore massiccia iniezione di liquidità attraverso l’acquisto di bond sul mercato serva a sostenere un’economia che procede al rallentatore, in parte è vero: perché compri- mendo i già bassi tassi d’in- teresse di mercato, si spera di favorire le imprese e i consumatori. Ma se le prime non investono, perché non c’è domanda, e i consumatori non consumano, perché tanti sono disoccupati o non vedo- no crescere la loro ricchezza, tutta la nuova liquidità creata dalla Fed finisce per far gola ai mercati finanziari. Lo si è visto a Wall Street che, alla sola prospettiva di un nuovo Qe, è volata dell’11% in poco più di un mese. È diffi- cile capire quanto bene possa fare il Qe all’economia, ma è chiaro che la creazione di nuova liquidità fa soprattutto deprezzare la moneta. E in un mondo globalizzato, con una produzione in eccesso rispet- to ai consumi della “nuova normalità” occidentale, le “economie avanzate” riesco- no a stare a galla svalutando la propria valuta. Quella cui stiamo assistendo è di fatto una guerra valutaria: non più giocata con le svalutazioni di un tempo, ma indirettamente creando liquidità in eccesso. L’euro vola e il dollaro con- tinua a scendere; il mercato del lavoro americano è pres- soché immobile per cui la impossibilità di consumare da parte delle famiglie crea un eccesso di liquidità nel sistema che provoca a sua volta un deprezzamento della valuta che sicuramente giova alla bilancia commerciale degli Stati Uniti sul fronte delle esportazioni, i cui pro- dotti appunto costando di meno sono più competitivi sul mercato internazionale rispetto a quelli di altri Paesi che hanno, invece, subìto un apprezzamento della moneta. Come si nota, la partita si sta giocando sul mercato valuta- rio nell’ambito di una econo- mia mondiale che sta ancora patendo la crisi. Sicuramente questa minaccia di guer- ra valutaria non fa bene al sistema economico globale, e sicuramente la Cina finchè non accetterà di apprezzare la sua moneta costituirà un vero problema per gli scambi internazionali spostando gli equilibri dell’intera econo- mia mondiale. Questo squi- librio non può che non avere un impatto negativo sui sin- goli sistemi economici e non può che aggravare la crisi già in corso. Pechino dovrebbe comprendere che rispettare gli equilibri internazionali soprattutto a livello econo- mico è un dovere morale ed istituzionale, se si vuole ritenere membro onesto di un sistema economico glo- balizzato. L’incertezza della guerra valutaria Le economie del pianeta rischiano di mettere sotto pressione la ripresa economica È questo l’effetto reale della crisi economica sui conti pubblici dell’Italia secondo i calcoli della Cgia di Mestre. “Meno ricchezza prodotta e più disoccupazione hanno colpito non solo i bilanci delle aziende e delle famiglie italia- ne, ma, anche, le casse dello Stato”. In realtà la perdita cumulata in questi ultimi 3 anni è stata di 35,8 miliardi di euro. Da un punto di vista statistico si attiva a questo risultato (-35,8 mld) som- mando le perdite di gettito di ciascun anno preso in esame rispetto al 2007: vale a dire 4,337 mld del 2008; 18,716 mld del 2009 e i 12,788 mld stimati per il 2010. Che i conti pubblici dello Stato siano in disequilibrio è ormai un fatto già noto, come già noto è il danno che ha provocato la crisi economica al bilancio pubblico. Questa effetto negativo della congiun- tura sui conti pubblici negli ultimi tre anni oltre ad essere ormai nota non era non pre- ventivabile, per cui le misure per controbilanciare questa situazione avrebbero dovuto prendersi con una tempistica diversa da quella attuale. Cosa può fare un Governo a fronte di uno squilibrio di bilancio dal lato delle entrate tributa- rie? Sicuramente non è oppor- tuno, in tempi di stagnazione e/o di recessione aumentare la pressione fiscale, perché que- sta finirebbe per aggravare la già precaria situazione reddi- tuale delle famiglie, oltre tutto in condizioni di disoccupazio- ne crescente. L’unica misura che può prendere un Governo in questa situazione di grave squilibrio è di tenere sotto controllo la spesa pubblica. Quindi, a fronte di meno entrate, bisogna controllare attentamente e prudentemen- te la spesa pubblica, anche se questa operazione non è molto agevole perché si tratta di spendere di meno in servizi alla collettività. Di qui, l’esi- genza del Governo di tagliare in alcuni settori per rispar- miare e per drenare risorse. I tagli alla spesa pubblica costi- tuiscono sempre oggetto di dibattiti politici molto acce- si nei quali, maggioranza ed opposizione, non si trovano quasi mai d’accordo. Questo Governo di centro- destra ha ritenuto strategico ed oppor- tuno effettuare tagli al settore dell’istruzione ed alla ricerca scientifica ed allo sviluppo tecnologico. Conviene sottolineare che un Governo, quando deve neces- sariamente tenere sotto con- trollo la spesa pubblica veden- dosi contrarre le entrate deri- vanti dal gettito fiscale, non si trova a svolgere una semplice operazione contabile perché queste poste del bilancio pub- blico producono degli effetti importanti sulla collettività nazionale differenziata per categorie, imprenditori, fami- glie e lavoratori. Infatti, nella fattispecie italiana, il controllo della spesa pubblica ha pro- vocato altra disoccupazione proveniente soprattutto dal settore dell’istruzione. Questo incremento della disoccupa- zione andandosi ad aggiunge- re al tasso di disoccupazione preesistente alla manovra del taglio alla spesa pubblica ha prodotto un notevole incre- mento della disoccupazione su scala nazionale incidendo ancor di più sia sulla ricchez- za nazionale che sulle casse dello Stato. Da quanto appe- na detto sembrerebbe che il Governo avesse sbagliato politica, invece, c’è da dire, purtroppo, che tutto questo meccanismo è per i conti pub- blici un innesco obbligato, causato dalla crisi economica. Se lo Stato italiano non avesse avuto quell’ammontare spa- ventoso di debito pubblico il Governo avrebbe potuto considerare anche l’ipotesi contraria, cioè di tipo key- nesiano, di espandere cioè la spesa pubblica in modo che tramite la sua leva si potesse dare un impulso alla crescita economica del Paese. In Itali, appunto, questa ipotesi non è percorribile fin quando il debito pubblico non rientra nel suo rapporto con il Pil nel parametro di Maastricht. In altri termini, la manovra del Governo è stata la seguen- te: tagli alla spesa pubblica a fronte di un minor gettito fiscale e maggiore disoccu- pazione. Non è ridondante riaffermare un concetto molto importante quando le con- giunture economiche provo- cano recessione e/o stagnazio- ne: l’effetto che si ha è sicu- ramente un disequilibrio dei conti pubblici, sicuramente lo è dal lato delle entrate perché la crisi polverizza il gettito fiscale, determinando un livel- lo di entrate minore di quel- lo delle uscite. Un Governo responsabile non permetterà di incrementare questo gap sezionale del bilancio pubbli- co e comincerà ad effettua- re manovre di contenimento della spesa. L’economia nazio- nale sottoposta ad un ciclo di contrazione dei consumi, degli investimenti e della spesa non ha altri indicatori che possano stimolarla alla crescita. Questa è, purtroppo, una realtà ogget- tiva. Dal canto suo lo Stato che tiene la contabilità pub- blica si trova di fronte ad una politica a senso unico quella del rigore. Di qui il concetto di cui sopra dal quale nessun Governo può prescindere in sede di politiche di bilancio, non c’è una formula matema- tica in eco- nomia che con- ci- liando rigore e crescita possa consentire di riequilibrare i conti pubblici ed il sistema economico nazio- nale. Nasce così la necessità di operare preventivamente, di praticare politiche incisive quando tutto va bene; non si deve pensare che quando l’economia è in buona salute non c’è nulla da fare e non bisogna, quindi, intervenire, anzi, è proprio in tal caso che occorre rafforzare il siste- ma cercando di creare quegli anticorpi necessari a renderlo immune da eventuali shock finanziari che potrebbero scoppiare anche lontano dal nostro Paese ma potrebbe- ro avere, come è successo di recente, un impatto negativo sul ciclo economico nazio- nale. Fare di più in tempi non sospetti, abbassare il debito pubblico in modo da offrire più margini di manovra alla spesa pubblica è una buona pratica di intervento pubbli- co. Questi, quindi, debbono essere gli obiettivi di una eco- nomia avanzata e di un Paese industrializzato come l’Italia, che deve sempre di meno essere sensibile agli squilibri internazionali e sempre più pronto a respingerli qua- lora dovessero ripercuotersi negativamente sull’economia interna. Tutto ciò sicuramente non è agevole, ma presuppone capacità, competenze ministe- riali sulle quali si dovrebbe investire per snellirle ed otti- mizzarle cercando, appunto, di reclutare pochi tecnici ma buoni. In tal caso un taglio alla spesa pubblica in termini di sprechi sarebbe auspicabile e doveroso nei confronti del bilancio pubblico e della col- lettività nazionale. La crisi economica polverizza il gettito fiscale Negli ultimi tre anni la crisi ha bruciato 15,4 miliardi di euro di tasse conti pubblici, sicuramente lo è dal lato delle entrate perché la crisi polverizza il gettito fiscale, determinando un livel- lo di entrate minore di quel- lo delle uscite Un Governo tica in eco- nomia che con ci
  • 5. 1-15/16-31 ottobre 2010 Pag. 5 La Piazza d’Italia - Economia Secondo il Bollettino econo- mico trimestrale della Banca d’Italia, è confermata la stima di una crescita intorno all’1% nel 2010. Il tasso di disoccupa- zione salirebbe oltre l’11% nel secondo bimestre del 2010 se si includessero i lavoratori sco- raggiati e l’equivalente delle ore di cig. L’allarme è nella direzio- ne del mercato del lavoro nel quale permangono scoraggianti segnali di incertezza circa le prospettive. Le aspettative occu- pazionali rilevate dall’indagine ISAE presso le imprese mani- fatturiere sono rimaste, tutta- via, sostanzialmente invariate nel corso dell’estate, attestan- dosi su valori inferiori rispetto a quelli del periodo precedente la crisi. Le attese a breve termine delle imprese sull’occupazione sono meno pessimiste rispet- to all’inchiesta di giugno, il saldo tra le aziende che pre- vedono un miglioramento nel trimestre successivo e quelle che anticipano un peggioramento è rimasto negativo pur ridu- cendosi fortemente. La crescita dell’occupazione ha riguardato esclusivamente le regioni del Centro (0,6%, al netto dei fat- tori stagionali tra il primo e il secondo trimestre dell’anno in corso), a fronte della sostanziale stabilità in quelle del Nord e dell’ulteriore riduzione registra- ta nel Mezzogiorno (-0,1%). Nel secondo trimestre 2010, l’occupazione si è complessi- vamente ridotta rispetto allo stesso periodo del 2009 (0,8%): per i lavoratori di nazionali- tà italiana è scesa di 366.000 persone, mentre è cresciuta di 171.000 per gli stranieri, riflet- tendo esclusivamente l’aumento delle iscrizioni alle anagrafi (la popolazione straniera in età da lavoro è aumentata di 348.000 persone). Il calo del tasso di occupazione è stato più intenso per gli stranieri che per gli ita- liani (rispettivamente, -1,6% e -0,7%). Per l’ottavo trimestre consecutivo, la flessione è stata più significativa per gli uomini che per le donne e per i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni. La riduzione dell’occupa- zione ha interessato esclusiva- mente i lavoratori dipendenti, mentre l’occupazione indipen- dente è tornata a crescere. L’andamento del tasso di disoc- cupazione ha riflesso soprattut- to quello della partecipazione al mercato del lavoro ed è leg- germente aumentato, all’8,5% nel secondo trimestre; sarebbe sceso in luglio e in agosto. Per quanto concerne, invece, le famiglie italiane c’è da eviden- ziare ancora una volta la sta- gnazione dei consumi, frenati dalla contrazione degli acquisti di beni durevoli (-6,8%). Vi ha contribuito l’esaurirsi dello stimolo connesso con le agevo- lazioni fiscali alla rottamazione degli autoveicoli più inquinan- ti, solo parzialmente compen- sato dagli incentivi governativi all’acquisto di altri beni dure- voli. Tra le componenti della spesa delle famiglie italiane, quella per beni non durevoli e per servizi ha registrato un lieve incremento. Le debolezza della dinamica dei redditi ha continuato a incidere sulle deci- sioni di consumo; vi ha concor- so la lentezza con cui stanno migliorando le condizioni del mercato del lavoro. Secondo le stime di Bankitalia, nella media del primo semestre il reddito reale disponibile delle famiglie consumatrici ha subito un calo nell’ordine di un punto percen- tuale sul periodo corrisponden- te del 2009. Tale riduzione ha riflesso soprattutto una dinami- ca dei prezzi più elevata. I comportamenti di spesa delle famiglie restano cauti. Nel secondo trimestre il debito delle famiglie è aumentato di oltre mezzo punto percentuale, con- fermando il moderato aumento osservato nel primo trimestre. L’indebitamento delle famiglie italiane in termini di reddito disponibile resta molto inferiore a quello medio dell’area dell’eu- ro (97% nel mese di marzo). Oltre a queste dinamiche fon- damentali che riguardano le famiglie sia in termini di con- sumo che di reddito, c’è da rile- vare che la fase ciclica dell’eco- nomia italiana sta registrando una lieve crescita del Pil dello 0,5% rispetto al periodo pre- cedente. C’è da dire però che all’espansione delle esportazioni non ha corrisposto un rafforza- mento della domanda interna che rimane debole. Secondo le stime di Bankitalia la crescita proseguirebbe nel terzo trime- stre anche se in settembre il clima di fiducia delle imprese è sceso lievemente. Per quanto concerne i dati sulle entrate tributarie, nel comples- so dei primi tre trimestri del 2010 quelle contabilizzate nel bilancio dello Stato sono dimi- nuite dell’1,8% (5,0 miliardi) rispetto al periodo corrispon- dente del 2009. La riduzione è riconducibile al crollo delle imposte sostitutive una tantum, che avevano sostenute le entrate nel 2009, e al calo del gettito di quelle sui redditi delle atti- vità finanziarie; anche il gettito dell’Ires si è ridotto, risentendo della forte contrazione dell’atti- vità economica nel 2009. A fronte di questo quadro con- giunturale si può agevolmente affermare che la ripresa econo- mica in Italia anche se sinte- tizzata in un aumento dell’1% del Pil non è ancora avvenuta in modo reale e sostanziale, si può dire che si tratta di un assestamento ciclico. In realtà le difficoltà permangono sia nel mercato del lavoro che nei conti pubblici. Fin quando le famiglie italiane non torneranno a con- sumare in ragione di un ritro- vato livello di reddito la crescita da sola non potrà trainare il Paese fuori dalla crisi reale. Il Governo sa benissimo che que- ste difficoltà vanno affrontate facendo riforme strutturali. Il PIL ha lievemente accelerato nel secondo trimestre ma prosegue la stagnazione dei consumi e l’incertezza del mercato del lavoro Allarme di Bankitalia su lavoro ed entrate fiscali Trichet, il Presidente della Banca Centrale Europea, promuove l’Italia sui conti pubblici e deficit che in molti paese ancora supera il 60% e poi avverte: “i criteri di Maastricht sono validi non solo per Roma”. Ha messo in luce come l’Italia abbia mostrato capacità di ridurre il suo deficit e la sua spesa pubblica, ed è una cosa che viene accolta con favore. “A partire da agosto 2007 la Bce ha deciso di offrire liqui- dità in modo eccezionale, per- ché abbiamo visto che i nostri mercati valutari monetari erano sottoposti ad uno stress impor- tante. Quello che è successo ad agosto è capitato all’improvviso; questa imprevedibilità dei fatti ha sviluppato un atteggiamen- to di allerta anche nel settore privato come in quello pub- blico ed ovviamente nelle ban- che centrali. Per la prima volta abbiamo messo alla prova un rafforzamento formidabile della interdipendenza dell’economia e tra tutte le entità economiche. Questo cambiamento incredibi- le a livello comportamentale da parte di tutte le entità private di carattere finanziario o meno, in tutto il mondo, si è verificato nell’arco di pochissimi giorni. Questa è la prova che esiste una finanza globale, esiste un’eco- nomia globale che è fortemente integrata con questa capacità di contagio. C’è perciò un’intesa generale sulla necessità di riequi- librare l’economia globale. C’è un largo livello di consenso sulle strategie globali da adottare, che in questo modo le economia avanzate con forti indebitamenti devono risparmiare e le econo- mie emergenti con forti surplus devono stimolare la domanda interna. La crescita però è ral- lentata dall’eccesso di volatilità nel mercato dei cambi. Un feno- meno controproducente anche per la stabilità”. C’è anche da aggiungere che le ripetute inie- zioni di liquidità all’interno dei sistemi finanziari stanno provo- cando di fatto una vera e propria guerra valutaria e questo oltre a rendere instabile il sistema deter- mina anche notevoli squilibri nell’economia mondiale. Per quanto concerne la finanza pubblica italiana, l’apprezza- mento per la politica di bilan- cio è ovviamente gratificante, la riduzione della spesa pubblica e del deficit è un dato di fatto. L’Istat infatti ha pubblicato i dati del secondo trimestre sui conti pubblici italiani. Il rappor- to deficit/Pil nel secondo trime- stre 2010 si è attestato al 3,6% (mancano 0,6 punti percentuali per rispettare il parametro di Maastricht), mentre comples- sivamente nel primo semestre 2010 si è registrato un inde- bitamento netto pari al 6,1% del Pil, in riduzione rispetto al valore del 6,3% registrato nel primo semestre 2009. Evitare gli sprechi nelle Pubbliche Amministrazioni e quindi gli indebitamenti degli enti locali, la cui somma va ad incidere pesantemente sul debi- to pubblico dello Stato, questa è una tipica manovra di taglio alla spesa pubblica. Tagli alla spesa pubblica sono stati effet- tuati nel servizio dell’istruzione (rispetto ai quali non mancano polemiche). Si può affermare che la vera riforma di cui il Paese ha bisogno è un radicale ripensamento della spesa pub- blica, soprattutto della qualità della spesa, è opinione ormai diffusa che non servono a nulla i numerosi tagli lineari alle tabel- le del bilancio dello Stato, ma occorre fare un’attenta, minu- ziosa rilettura delle singole voci della spesa. Uno dei capitoli di spesa che presenta maggiori anomalie è quello sanitario, di competenza regionale. Il vizio non sta nella competenza regionale, prova ne è che in Lombardia o in Emilia la gestione è efficiente, sta piuttosto nella inadeguatezza di certe classi dirigenti regionali del passato. Insomma,lasfidapiùimportante che un Governo deve affrontare risiede proprio nelle manovre di tagli alla spesa pubblica, perché spesa pubblica significa fondi per l’istruzione, per la sanità, per gli enti locali, per i servizi pubblici che sono necessari al mantenimento di standard di vita dignitosi dei cittadini. Non è sempre agevole individuare i capitoli spesa oggetto di tagli, ma l’errore che da anni si fa in Italia è quello di non intervenire sulla qualità della spesa, come dire basta tagliare che la spesa pubblica sicuramente diminuirà e l’obiettivo di finanza pubblica sarà raggiunto. Questo Governo comunque ha tagliato la spesa, non è possibile in questo con- tributo entrare nel merito di un giudizio di opportunità, quello che bisogna sottolineare è che Trichet ha apprezzato questa riduzione della spesa a prescin- dere, si deduce bene dalle sue dichiarazioni, in quali capitoli si sono effettuati i tagli. Il mero dato numerico è prioritario in ambito europeo per ricevere un giudizio favorevole o sfavorevole sulla politica di bilancio attuata da uno Stato membro, e questo non è sicuramente un moni- to efficace perché trasmette ai singoli Stati membri un cattiva abitudine quella di tagliare e basta senza verificare se il taglio era meglio farlo in qualche altro settore coerente con un modello di crescita e di sviluppo che ogni Paese intende seguire. C’è chi taglia nella sanità, chi taglia nell’istruzione, chi taglia nei trasferimenti agli enti loca- li, è chiaro che ogni taglio di spesa ha una valore ed un effetto diverso negli Stati membri, ed è altrettanto chiaro però che Paesi liberali, moderni ad economia avanzata non possono effettuare tagli giusto per farli o per rispet- tare il criterio di Maastricht ma debbono farli consideran- do attentamente gli effetti che provocheranno sul modello di sviluppo sociale ed economico, insomma quale sarà l’impatto sulla crescita e sull’occupazione. Il problema è sempre il solito si direbbe ridondante: conciliare rigore e crescita economica non è per nulla agevole, soprattut- to poi quando queste politiche debbono attuarsi in congiunture di crisi. Il rigore può sicura- mente allentare l’indebitamento pubblico e quindi far respirare i conti pubblici di un Paese ma non è detto che a fronte di ciò si possa coniugare crescita e sviluppo, quando poi questa sono incatenate in un disagio sociale molto grave come quello dell’aumento della disoccupa- zione e della contrazione dei consumi. Avanzino Capponi I conti pubblici italiani stanno rientrando nell’alveo della soglia dei parametri di Maastricht La BCE promuove la finanza pubblica italiana
  • 6. Pag. 6 1-15/16-31 ottobre 2010 La Piazza d’Italia - Economia Ebbene sì, non è un dato a caso ma è una cifra reale, che rappresenta il numero dei lavoratori che si trova attual- mente in Cassa integrazio- ne, quindi senza lavoro. Il Ministro del Lavoro Sacconi lancia l’allarme: “viviamo una stagione difficile, di fronte a noi c’è un tempo multifor- me”. E sul rapporto con i sindacati dice: “confidiamo che qualcosa di nuovo succe- da con il cambio di guardia alla guida della Cgil”. Ma a tuonare nel mondo del lavoro oltre alle agitazioni sindacali è il dato sui lavora- tori che in settembre si tro- vano in Cassa integrazione. È raccapricciante, allarmante l’incremento del ricorso alle ore di Cassa integrazione del +34,8% rispetto ad agosto e di conseguenza il riflesso negati- vo di questo stato sui salari. A settembre come si anticipava nelle righe precedenti risul- tano essere oltre 640.000 i lavoratori in cassa, che hanno subìto, nei primi nove mesi dell’anno, un taglio netto del reddito per oltre 3,5 miliardi di euro., più di 5.500 euro per ogni singolo lavoratore. Secondo il segretario confe- derale della Cgil, Vincenzo Scudiere, “dai dati del nostro Osservatorio emerge una crisi che continua ad essere molto dura per i lavoratori e per le stesse imprese: la Cassa inte- grazione continua a crescere, nonostante segnali di ripre- sa dell’economia, mentre le crisi aziendali si moltiplicano senza che dal governo arrivino risposte adeguate”. “Tutto l’apparato produttivo resta profondamente coinvol- to nella crisi, dalla grande alla piccola azienda, attraversando trasversalmente tutti i settori”, spiega Scudiere. Inoltre, si sot- tolinea nel rapporto, “da que- sto mese è evidente una novità rappresentata da un aumento consistente soprattutto nei set- tori direttamente produttivi: occorre verificare in che misura può essere il risultato di un allargamento ulteriore delle dif- ficoltà produttive del settore manifatturiero o se è il risultato per molti lavoratori dalla Cigs alla Cigd”. Motivi per i quali Scudiere rilancia l’allarme sulla cassa in deroga: “il continuo e consistente aumento della Cassa in deroga sta andando ben oltre il peso registrato nel 2009, per questo si rende neces- sario e urgente un intervento del governo per rifinanziare uno strumento prima della sca- denza di fine anno”. Il Ministro del lavoro Sacconi, invece, sostiene che “c’è vitali- tà nel nostro tessuto produtti- vo, c’è capacità di collegamen- to con la ripresa economica internazionale, ma ci sono molte aziende che hanno in corso processi di ristruttura- zione e cambiamento negli assetti proprietari e questo si riverbera sull’occupazione”. Da parte sua il Governo cerca di “proteggere il reddito dei lavoratori attraverso i contrat- ti di solidarietà, le varie forme di cassa integrazione e stiamo cercando di accentuare la for- mazione insieme alle Regioni che ne hanno competenza per accompagnare la perso- na verso un nuovo lavoro”. Secondo il Ministro “è pas- sato il peggio ma certamente avverte, viviamo una stagione difficile dell’occupazione: di fronte a noi ci sono situazioni aziendali positive che crescono e situazioni difficili, con circa 180 tavoli in cui affrontiamo le crisi aziendali in corso di trasformazione”. Come si può agevolmente notare tra le dichiarazioni di Scudiere e quelle di Sacconi c’è una netta contrapposizione di analisi e di giudizi, in par- ticolare in merito alle dinami- che dell’apparato produttivo italiano, per il primo molto rigido per il secondo, invece, vitale e capace di legarsi alla ripresa internazionale. Comunque la miopia sulla realtà più importante che sta affliggendo il mondo del lavo- ro meno male che è stata la grande assente, perché entrambi hanno affermato che c’è un allarme legato all’eleva- to aumento della disoccupa- zione. Interessante misura di inter- vento a sostegno del reddito dei lavoratori è il contratto di solidarietà che può avere due forme: difensivo, è la forma più importante perché la riduzione d’orario è finalizzata ad evitare la riduzione di personale, quin- di il licenziamento; espansivo, è la forma che permette, sempre attuando la riduzione di orario, di favorire nuove assunzioni a tempo indeterminato. Il datore di lavoro è incentiva- to all’uso di questo strumento mediante sgravi, vale a dire una riduzione contributiva per i lavoratori coinvolti nei contratti di solidarietà in per- centuale variabile tra il 25% e il 40%. L’obiettivo del con- tratto è quello di incremen- tare l’occupazione aziendale. Il lavoratore usufruisce, fino a 24 mesi, di una integra- zione salariale a carico della Cassa integrazione guadagni, nella misura del 60% della retribuzione perduta a seguito della riduzione d’orario. Per il Mezzogiorno il parametro tempo sale a 36 mesi. Il con- tratto di solidarietà si può applicare anche ai lavoratori con contratto di apprendista- to a seguito dell’emanazione dei provvedimenti anticrisi. L’azienda presenta la doman- da di concessione del tratta- mento di integrazione salaria- le , per un periodo massimo di 12 mesi (con possibilità di proroga), al competente ufficio Inps, che risponde entro trenta giorni dalla data di ricezione della domanda. Durante il periodo di vigenza del contratto di solidarietà, è vietato il licenziamento per riduzione di personale. L’altra misura governativa a sostegno del reddito dei lavo- ratori è la Cassa integrazione guadagni. Si tratta di un istitu- to previsto dalla legge italiana, consistente in una prestazione economica (erogata dall’Inps), in favore dei lavoratori sospe- si dall’obbligo di eseguire la prestazione lavorativa o che lavorano a orario ridotto. La CIG ordinaria è attivabile a fronte di eventi transitori non imputabili all’imprenditore o agli operai, come una crisi temporanea di mercato. La CIG straordinaria, invece, è attivabile nei casi di ristrut- turazione, riorganizzazione o riconversione aziendale, casi ci crisi aziendale di particolare rilevanza settoriale o territo- riale, impresa assoggettata a procedura concorsuale di fal- limento, liquidazione coatta etc. Insomma al di là delle varie tipologie di ammortizzatori sociali, il Governo comunque sta intervenendo a sostegno dei redditi dei lavoratori disoccupa- ti, ma questo non è sufficiente perché si tratta di misure tem- poranee e transitorie che posso- no non risolvere la condizione di disoccupato del singolo lavo- ratore, anche perché da un lato ci sono i lavoratori ma dall’altro ci sono le imprese, anch’esse coinvolte in una profonda crisi sia proprietaria che di mercato. Per cui, al fine di evitare ancora aumenti vertiginosi della disoc- cupazione occorre dare un serio impulso al sistema produttivo incentivando le aziende a rima- nere sul mercato investendo nella forza lavoro, diversifican- do la loro offerta e rivisitando i loro piani industriali in modo da rafforzarsi sul mercato e non per tagliare i costi del personale. Un’azienda deve allocare tutte le sue risorse per far mercato non per licenziare, anche per- ché il licenziamento si traduce solo in un alleggerimento degli oneri del personale e quindi della situazione economica delle imprese ma non risolve il problema di fare mercato, infatti può esistere un azienda con un solo dipendente ma che fallisce. Quindi tutti gli attori del mercato del lavoro, in siner- gia con l’intervento pubblico, debbono fare il loro dovere sopravvivendo ad una crisi che oggettivamente sta pro- vocando non poche difficoltà, l’obiettivo dunque è sopravvi- vere sul mercato per superare la crisi limitando i costi socia- li che non fanno altro che aggravare la crisi nel sistema economico del Paese. Non si tratta più di un’utopia politica piuttosto di una reale intenzione governativa. L’idea del federalismo fiscale comincia a prendere corpo soprattutto in vista di una situazione econo- mica molto critica sia a livel- lo pubblico che privato. Sotto accusa i conti pubblici, quin- di la manovra strategica che alleggerirà i costi dello Stato riguarderà i tempi ed i modi di attuazione del federalismo fiscale, cioè di questa forma di decentramento di competenze e di strumenti fiscali che dallo Stato passeranno alle Regioni. Si tratterà di vedere come le competenze (spese) e gli stru- menti fiscali (entrate) verranno assegnate tra i diversi livelli (in verticale) dell’amministrazione. Per svolgere le funzioni decen- trate in modo efficace, i governi locali devono avere un adegua- to livello di entrate siano esse finanziate direttamente a livello locale o trasferite dal governo centrale nonché la facoltà di prendere decisioni sulle spese. Per precisare meglio il mecca- nismo del federalismo fiscale si può dire che il processo di riduzione delle competenze di uno Stato che esso contempla e la loro contemporanea attri- buzione alle Regioni si chiama devoluzione, che è un termine che solo recentemente viene utilizzato. Il nostro Paese, fino- ra basato sul regionalismo, ossia su un sistema basato su limitate autonomie delle Regioni, men- tre allo Stato competeva tutto quanto non era esplicitamente delegato alle Regioni. Dal Consiglio dei Ministri c’è stato il primo disco verde al decreto legislativo: non solo autonomia tributaria ma anche costi standard della sanità. Le Regioni avranno la possibilità di aumentare l’addizionale Irpef fino al 3%., in modo graduale a partire dal 2013 e fino al 2015. La possibilità di ridurre l’Irap, inoltre, sarà data solo agli enti territoriali che non avranno superato l’incremento Irpef del 5%. “L’impressione è che abbia- mo cominciato” il federalismo fiscale, “in realtà il processo è quasi terminato”, ha affer- mato il ministro dell’Econo- mia Giulio Tremonti. E subito dopo il governo chiederà la delega per la riforma fiscale. Ma “il nostro obiettivo è quello di non aumentare la pressione fiscale”, ha precisato il titola- re di via XX settembre, anzi “noi la vogliamo ridurre”, ha detto spiegando che per tene- re fermo il livello dei tributi “saranno introdotti meccanismi di controllo: pensiamo ad un vincolo”. Tremonti ribadisce la positività della riforma: “il federalismo unisce non divide”. Di tutt’altra opinione il leader dell’Udc Pier Ferdinando Casini che parla di un “provvedimento pericoloso” che piace solo alla Lega Nord che “da partito della demagogia diventa ora il partito delle tasse” perché ora regioni ed enti locali potranno aumentare l’Irpef e, di conseguenza, le tasse a cittadini e famiglie. Sicuramente non si può dar torto a Casini, questa misura dando la possibilità alle Regioni di aumentare l’addizio- nale Irpef non è altro che un aumento delle tasse che graverà sulle famiglie. Certamente di questi tempi l’aumento della pressione fiscale sui redditi delle persone fisiche è dannosa visto che le famiglie non riescono a consumare non potendo con- tare su redditi dignitosi o addi- rittura non disponendo più di un reddito perché nel nucleo familiare ci sono disoccupati. Se, invece, il federalismo fisca- le, non avrà l’effetto di un aumento della pressione fiscale ma di un autonoma capacità di gestione tributaria da parte delle Regioni per razionalizzare l’imposizione e per renderla più proporzionale alla realtà reddi- tuale e contributiva, allora può rivelarsi una misura strategica importante per lo Stato in ter- mini di bilancio pubblico. Non bisogna cadere nel tra- nello di concepire un federa- lismo che in teoria funzioni ma che in pratica si traduca in una stangata per le famiglie, in un aumento della tassazione. Come dire alleggerisco il bilan- cio pubblico dello Stato per- ché trasferisco competenze alle Regioni che, invece di ridurre la pressione fiscale si accollano la responsabilità di aumentar- la, sollevando appunto lo Stato da ogni responsabilità. Ecco il federalismo fiscale non deve tradursi in uno scarica barile, o meglio non deve rappresentare per lo Stato un escamotage per non farsi imputare colpe che altrimenti avrebbe sicuramente avuto. Trasferire la competenza di spesa e di entrata è un mec- canismo che può funzionare se le Regioni organizzeranno i proprio bilanci in modo da non aumentare la pressione fiscale, altrimenti questa forma non serve a nulla, perché comunque i destinatari o meglio i soggetti- vi attivi e passivi del federalismo fiscale sono i cittadini sempre e comunque, che contribuiranno alla spesa pubblica. Raddrizzare l’albero storto della finanza pubblica per far bella figura a Bruxelles o a Strasburgo o a Lussemburgo, non serve a nessuno, se poi ci ritroviamo un indebitamento privato molto elevato a causa di un imposizio- ne fiscale che genera ulteriori contrazioni reddituali. A mag- gior ragione, in questa critica congiuntura economica dove è necessario rigore ma anche diminuire l’imposizione fisca- le, sarebbe davvero un suicidio politico-economico concepire un federalismo che aggravi la situazione economica dei con- tribuenti. Come dire cambia l’ente impositore ma la sostanza è che i contribuenti si troveran- no a pagare più di prima. La crescita economica non potrà sopportare anche i costi del federalismi fiscale se verrà con- cepito come su esposto. Quello che ancora potrebbe far suscitare qualche perplessità nell’opinione pubblica sono i tempi ed i modi di attuazione e di funzionamento del fede- ralismo fiscale. Si apprendono alla giornata notizie su qualche decreto che comincia a prefi- gurare un modello di federali- smo che in realtà non è scritto in maniera chiara da nessuna parte. Quindi conviene cen- tralizzare se cambiando l’ente impositore non si alleggerisce la pressione fiscale, conviene invece, decentrare se a si rie- sce a gestire il sistema tributa- rio in modo più ragionevole e proporzionale tenendo conto della realtà economica e socia- le in tutta la sua variabilità e mutevolezza, ed ovviamente il federalismo deve contribuire alla crescita e non al rallenta- mento del sistema economico nazionale. Il Ministro del lavoro Sacconi lancia l’allarme sul periodo difficile per il lavoro, crisi occupazionale peggio di quella economica Il federalismo fiscale è una misura che l’attuale Governo vuole attuare per raddrizzare l’albero della finanza pubblica Cassa integrazione e crisi occupazionale Centralizzare o decentralizzare il fisco?
  • 7. 1-15/16-31 ottobre 2010 Pag. 7 La Piazza d’Italia - Approfondimenti Erich Maria Remarque, pseudonimo di Erich Paul Remarque nasce ad Osnabruck 22 Giugno 1898 e muore a Locarno il 25 Settembre 1970. Scompariva 40 anni fa uno dei più importanti scrittori pacifisti al mondo. Nella storia passata e più contemporanea la lettera- tura ha prodotto opere di un’intensità nobilissima contro ogni guerra; poe- sia e narrativa hanno usato le loro parole, armi mai sconfitte, spesso a fronte o dopo tragici eventi, per testimoniare la drammatici- tà di raccapriccianti condi- zioni umane che l’uomo ha consegnato alla storia. Una lettera di Einstein a Sigmund Freud, scritta il 30 Luglio del 1932 da Caputh (Potsdam), testi- monia il secolare gigantesco interrogativo dell’uomo su ogni conflitto: “…La proposta fattami dalla Società delle Nazioni e dal suo Istituto internazio- nale di cooperazione intel- lettuale di Parigi mi offre la benvenuta occasione di dialogare con Lei circa una domanda che appare, nella presente condizione del mondo, la più urgente fra tutte quelle che si pongono alla civiltà. La domanda è: c’è un modo per liberare gli uomini dalla fatalità della guerra? E’ ormai risaputo che, col progredire della scienza moderna, rispon- dere a questa domanda è divenuto una questione di vita o di morte per la civiltà da noi conosciuta”. “... La sete di potere della classe dominante è in ogni stato contraria a qualsiasi limitazione della sovranità nazionale. Questo smoda- to desiderio di potere poli- tico si accorda alle mire di quegli altri che cercano solo vantaggi mercenari, economici. Penso soprat- tutto al piccolo ma deciso gruppo di coloro che, attivi in ogni stato e indifferenti di fronte a considerazioni e limitazioni sociali, vedo- no nella guerra, cioè nella fabbricazione e vendita di armi, soltanto un’occasione per promuovere i loro inte- ressi personali e ampliare la loro autorità personale”. “Tuttavia…ci troviamo di fronte ad un’altra doman- da: come è possibile che la minoranza ora menzionata riesca ad asservire alle pro- prie cupidigie la massa del popolo, che da una guerra ha solo da soffrire e da per- dere?” “..Una risposta ovvia a questa domanda sarebbe che la minoranza di quelli che di volta in volta sono al potere ha in mano prima di tutto la scuola e la stampa, e perlopiù anche le orga- nizzazioni religiose. Ciò le consente di organizzare e sviare i sentimenti delle masse rendendoli strumenti della propria politica”. E la massa si lascia infiam- mare da tali mezzi “per- ché l’uomo ha dentro di sé il piacere di odiare e distruggere. In tempi nor- mali la sua passione rimane latente, emerge solo in cir- costanze eccezionali; ma è abbastanza facile attizzarla e portarla alle altezze di una psicosi collettiva” (“Il disagio della civiltà”; pagg. 283,284,285). In “Niente di nuovo sul fronte occidentale”, roman- zo autobiografico scritto da Remarque nel 1929, il tema principale è la guerra e narra le vicende di un soldato tedesco durante la prima grande guerra. Narrato in modo oggettivo e realistico, il testo non cela la durezza e la gravità di ogni conflitto; si cimenta in una profonda e dolorosa cri- tica alla propaganda tedesca che, facendo leva sulla reto- rica della guerra bella ed epica, esaltando i concetti di patria e onore, convin- se una generazione intera ad immolarsi nell’immane “macello” europeo. Il pro- tagonista del libro morirà alla fine della guerra, quan- do ha trovato la forza di credere in un nuovo futuro, mentre la radio annuncia “niente di nuovo sul fron- te occidentale”, quasi per ricordare che niente è finito e che la guerra non è termi- nata neanche per coloro che sono sopravvissuti. “Tempo di vivere, tempo di morire” (1954) è un altro dei suoi romanzi, ambien- tato durante la seconda guerra mondiale; il libro narra le vicende di un sol- dato tedesco al quale viene concessa una licenza. Parte dal fronte russo per tornare a casa, ma trova il suo paese e la sua stessa casa distrutte in macerie dai bombarda- menti degli alleati. Incontra molti personaggi sul suo cammino e ad ognuno pone gli stessi interrogativi che lo tormentano da tempo:la guerra e la disfatta che ormai si annuncia all’oriz- zonte, i crimini dell’esercito tedesco, la collaborazione del popolo al regime nazi- sta e quale sorta di futu- ro attende il suo paese e l’umanità tutta. Tornato al fronte, nell’in- tento di salvare la vita ad alcuni prigionieri, il prota- gonista stesso rimane ucci- so, pagando il conto per colpe non sue. “L’ultima scintilla” (1952), descrive la vita di un grup- po di prigionieri detenuti in un campo di concentra- mento a Mellern, colta dal punto di vista del prigionie- ro “numero 509”. Parlare di un autore, significa parlare delle sue opere e queste tre sono solo una parte del lavoro di Remarque. Esse lasciano trasparire lo scrittore nella sua complessità e comple- tezza; i suoi testi narrano la guerra, perché lui è uno che la guerra l’ha davvero fatta e subita sulla sua pelle. Spinto da giovani ed esal- tanti ideali nazionalisti, decise di arruolarsi come volontario nel primo grande conflitto mondiale. Venne mandato direttamente al fronte, laddove il logora- mento della vita di trincea gli fece conoscere la dispe- razione e la paura. Nel 1917 visse in prima linea uno degli eventi più duri e strazianti del conflit- to, la battaglia delle Fiandre, sul fronte di Verdun. Remarque venne ferito più volte ma il male vero lo conoscerà con la depres- sione, malattia che non lo abbandonerà più per tutta la vita. Così, forse anche per neces- sità terapeutica, iniziò a scrivere, trascinando sulla carta le sue angosce e i suoi tormenti più profondi. Nel 1933 i nazisti brucia- rono e misero al bando le sue opere, accusandolo di disfattismo e antipatriotti- smo, mentre la propaganda iniziò a far circolare la voce che fosse in realtà di origini ebree francesi e che il suo vero nome fosse Kramer. L’unica sua fortuna fu che riuscì ad andare via dalla Germania quando Hitler saliva al potere, visse in Svizzera dal 1931 e in seguito, nel 1939 si trasferì negli Stati Uniti, fuggen- do così dal nazismo di cui certamente sarebbe caduto vittima. Bertolt Brecht ha scritto: “Mio fratello era aviatore Un giorno ricevette la car- tolina. Fece i bagagli , e andò via, Lungo la rotta del sud. Mio fratello è un conqui- statore. Il popolo nostro ha bisogno di spazio. E prendersi terre su terre, Da noi è un vecchio sogno. E lo spazio che si è con- quistato È sui monti del Guadarrama È lungo un metro e ottanta E di profondità uno e cin- quanta…” Oggi ricordiamo Remarque, che tanto ha dato alla let- teratura mondiale con le sue testimonianze di guerra; che le sue parole facciano da eco ad ogni conflitto che si mostra all’orizzonte. Ilaria Parpaglioni Esiste una politica che con- sente di dare un forte con- tributo alla ripresa della competitività e della produt- tività dell’intero Paese e alla riduzione della persistente sottoutilizzazione di risorse nel Mezzogiorno attraverso il miglioramento dei servizi collettivi e delle competenze, una maggiore concorrenza dei mercati dei servizi di pubblica utilità e dei capi- tali, incentivi appropriati per favorire l’innovazione pubblica e privata, questa politica è quella regiona- le di sviluppo. Il Quadro Nazionale Strategico, previ- sto formalmente dall’art.27 del Regolamento generale sui Fondi Strutturali europei ha il compito di tradurre queste indicazioni in indi- rizzi strategici e in alcuni indirizzi operativi. Caratteri distintivi della politica regionale e precon- dizioni per la sua stessa effi- cacia sono l’intenzionalità dell’obiettivo territoriale e l’aggiuntività. Sono i tratti che differiscono la politi- ca regionale dalla politica ordinaria. Entrambe le poli- tiche condividono l’atten- zione all’articolazione ter- ritoriale nell’ambito di un respiro strategico nazionale; entrambe sono programma- te me gestite dal Centro o dalle Regioni; ma diverse sono le finalità perseguite, come diversi sono i canali di finanziamento. A differenza della politica ordinaria, che persegue i propri obiettivi trascurando le differenze nei livelli di sviluppo, la poli- tica regionale di sviluppo, nascendo dalla piena consi- derazione di tali differenze, e specificatamente diretta a garantire che gli obiettivi di competitività siano raggiunti da tutti i territori regionali, anche e soprattutto da quel- li che presentano squilibri economico-sociali. La politica ordinaria è finan- ziata con le risorse ordina- rie dei bilanci. La politica regionale è finanziata da risorse aggiuntive, comuni- tarie e nazionali, provenienti rispettivamente, dal bilancio europeo (Fondi strutturali) e nazionali (fondo di cofinan- ziamento nazionale ai Fondi strutturali e fondo per le aree sottoutilizzate). Questi caratteri di inten- zionalità e di aggiuntività rispondono alle disposizio- ni del Trattato dell’Unio- ne Europea e, per l’Italia, della Costituzione (art.119, comma 5). Entrambe pre- vedono politiche e inter- venti esplicitamente rivolti alla rimozione degli squili- bri economico e sociali, da realizzare in specifiche aree territoriali, e da finalizza- re con risorse espressamente dedicate che si aggiungono agli strumenti ordinari di bilancio. L’esperienza di questi ultimi anni ha chiaramente dimo- strato come l’efficacia della politica regionale dipenda dal mantenimento di una piena distinzione, sul piano finanziario e programmati- co, dalla politica ordinaria, ma richieda al contempo, una forte integrazione reci- proca attorno ai comuni obiettivi di competitività. Nel Documento di pro- grammazione economica e finanziaria, si tracciano ogni anno le linee di coerenza tra le due politiche. Quindi attraverso una ripar- tizione territoriale per obiet- tivi a livello europeo, la poli- tica regionale può interveni- re per sviluppare le singole Regioni attraverso politiche occupazionali, mediante misure nel settore della qua- lità del capitale umano, nel mercato dei capitali. Spesso si fa molta confusione tra la politica ordinaria e quella regionale, quest’ultima quasi passa inosservata, spesso la distinzione tra le due poli- tiche non è espressamen- te enunciata dai politici e dagli addetti ai lavori, si tende a parlare sempre e ad inglobarla nelle misure di politica ordinaria. Questa confusione di fatto non crea altrettanta confusione nell’opinione pubblica che non riesce a comprendere quando è necessaria l’una e quando lo è l’altra oppure quando lo è l’una piuttosto che l’altra. L’interazione e la sinergia tra queste due politiche è indispensabile a garantire un livello di com- petitività omogeneo tra le singole Regioni di una unità nazionale, questa è fonda- mentale per rendere omoge- nei gli indicatori di crescita regionali per esempio tra il il Nord, il Centro ed il c.d. Mezzogiorno. La progressiva riduzione del tasso di crescita dell’eco- nomia italiana dell’ultimo quindicennio si inserisce in un contesto internazionale in cui anche l’Europa si svi- luppa complessivamente in misura inferiore rispetto agli Stati Uniti. Il rallentamento in Italia si manifesta però con maggiore forza anche nei confronti degli altri Paesi europei, una tendenza ancor più negativa è evidenziata dall’andamento della pro- duttività del lavoro. Quindi la maggiore frenata dell’eco- nomia italiana è stata deter- minata soprattutto, come concordemente indicano quasi tutte le analisi disponi- bili, dal cumularsi nel tempo degli effetti di non risolti problemi di carattere strut- turale. Ed è in questi che le Regioni italiane avrebbe- ro dovuto impegnarsi per risolvere la scarsa qualità del capitale umano, la bassa ero- gazione creditizia alle piccole e medie imprese, e lo scarso livello di liberalizzazione tra i più bassi d’Europa. Un piccolo passo verso la riso- luzione di questi problemi poteva esser fatto utilizzan- do la politica regionale di sviluppo che seppur ampia- mente indicata nel Quadro Strategico Nazionale e sin- tetizzata in obiettivi e prio- rità non ha trovato nei fatti interventi incisivi adeguata- mente coperti dalle risorse finanziarie previste a livello comunitario e nazionale. Se la politica regionale non verrà posta sempre di più al centro dell’agenda parla- mentare e regionale e fatta interagire con quella ordi- naria il nostro Paese difficil- mente riuscirà a colmare il gap di competitività interno ed esterno. La letteratura che difende l’uomo da sè stesso Erich Maria Remarque: uno scrittore, una vita La politica regionale di sviluppo Nell’ambito di una politica ordinaria, quella regionale di sviluppo può contribuire ad aumentare la competitività del Paese
  • 8. Pag. 8 1-15/16-31 ottobre 2010 La Piazza d’Italia - Attualità Nonostante il nettare di Bacco di tipo bio continui a crescere in termini qua- litativi e di consumo, lo scorso giugno la commissio- ne Europea non ha potuto procedere con la proposta di regolamento comunitario sul vino biologico a causa del mancato accordo a livel- lo politico, spegnendo così le speranze di quei viticolto- ri di poter finalmente vede- re applicata sull’etichetta delle proprie bottiglie la scritta “vino biologico” a partire dalla vendemmia 2010. Quindi, ufficialmen- te non esiste il cosiddetto “vino biologico”, sussiste al momento solo il regolamen- to per la produzione di UVE biologiche, con il quale si regolamenta la produzione di uve, secondo le certifica- zioni della normativa euro- pea 2092/91 (che definisce l’agricoltura biologica), in realtà ciò che si certifica è il metodo di coltivazione e non il prodotto; tanto meno il metodo di trasformazione ecco perché sulle bottiglie troviamo la dicitura“vino prodotto da uva biologica”e non “vino biologico”. Per superare questo stallo, nel quale ormai da anni risiedono le aziende pro- duttrici bio di vino, si è pensato di procedere per vie private. Alcune orga- nizzazioni, di diversi Paesi europei (tra cui enti di cer- tificazione e organismi di controllo, organizzazioni di produttori, istituti di ricer- ca scientifica…), hanno deciso di lanciare un’ini- ziativa al riguardo ovvero la “Carta Europea del Vino Biologico”, il cui acronimo è CEVinBio, che si ispira alla bozza del regolamen- to EU e sui risul- tati del progetto internazionale di ricerca ORWINE il cui codice detta le buone pratiche per la viticoltura e l’enologia b i o l o g i - ca per s o d d i - sfare le diverse c o n d i - zioni che si possono riscontrare in Europa per la viticoltura e l’enologia. Va ricordato in linea gene- rale che il vino bio- l o g i c o è pro- dotto da uve coltivate senza l’aiuto o la necessità di ferti- lizzanti, trattamenti o erbi- cidi di sintesi, ma si avvale di diversi concimi di origine vegetale o animale (come ad esempio il letame o il compost). Lo scopo della Carta Europea del Vino Biologico (CEVinBio) è quella di con- sentire ai produttori biolo- gici di vino di valorizzare al meglio il proprio prodotto, rispettando l’etica di produ- zione biologica non solo nei campi ma per l’intera filiera. L e a z i e n d e pro- duttrici, fermo restando che in etichetta riporteran- no la dicitura “prodotto da uva biologica”, potran- no aggiungere informazio- ni sulle pratiche virtuose di trasformazione come ad esempio l’ abbattimento dei solfiti. Il Presidente di FederBio Paolo Carnemolla commen- ta così: “L’Italia è il prin- cipale produttore e espor- tatore di vino biologico in Europa, dunque l’adesione di FederBio a questa inizia- tiva ha l’obietti- vo di rilan- ciare sia a livello e u r o - peo che nazio- n a l e l ’ e s i - g e n z a di rego- lamenta- re quanto prima questo comparto e consentire alle nostre imprese di valorizzare al meglio gli sforzi fatti in questi anni per lavorare secondo i principi del metodo biolo- gico non solo nella vigna ma anche in cantina. Siamo già in forte ritardo rispetto alla concorrenza dei vini bio- logici del resto del mondo, chiediamo a Governo e Regioni di affiancarci in questa battaglia.” Quindi l’intento della Carta Europea del Vino Biologico è anche quello di mandare un segnale forte ai consu- matori e agli operatori della produzione e del mercato convinti che si possa andare oltre la semplice produzione biologica dell’uva, ma che il vino ottenuto, rispettando lo spirito biologico anche nella fase di trasformazione, possa e debba essere chiara- mente identificato. La Carta è anche un richia- mo alla politica per tentare di riprendere, il prima pos- sibile, il dialogo per la defi- nizione di un regolamento europeo sulla produzione di vino biologico. Il CEVinBio permetterà dunque ai viticoltori euro- pei di dichiarare che il vino è fatto con uve coltivate e prodotte da agricoltura biologica, ma non solo, si potrà manifestare che il vino risponde ai requisiti etici del biologico che parte dalla vigna e giunge fino al bicchiere del consumatore. Alice Lupi Ilthriller,prodottodallaWarner Bros e costato circa 200 milioni di dollari, conferma l’abilità di Nolan a dirigere grandi atto- ri, ma soprattutto a dilatare il tempo della narrazione accre- scendo, in tal modo, la suspen- ce. La sceneggiatura, sulla quale a lavorato per quasi 12 anni, si articola su più livelli e sottolinea la capacità del regista inglese di giocare con sovrapposizioni e flashback. Protagonista della vicenda è Dom Cobb (intepre- tato da un sempre più bravo Leonardo Di Caprio), il ladro più abile nell’arte dell’estrazione di un’idea dal subconscio delle persone. « Qual è il parassita più resistente? Un’idea. Una singo- la idea della mente umana può costruire città. Un’idea può tra- sformare il mondo e riscrivere tutte le regole. Ed è per questo che devo rubarla. » Per riuscir- vi Cobb sfrutta il sonno delle sue vittime e cioè il momento in cui la mente funziona più velocemente ed il tempo per intervenire si dilata. Questa volta, però, è chiamato non ad estrarre ma ad innestare un’idea nella mente di un ricco e gio- vane industriale, un’operazione sicuramente più complessa e pericolosa. “Inception” signi- fica, infatti, principio, inizio, origine. Qui può essere inteso come immissione, innesto. La tenacia di Cobb, oltre che il desiderio di rivedere i suoi figli (cosa possibile solo in caso di riuscita della missione), lo por- terà a progettare – insieme a cinque compagni– una discesa in tre diversi stati del subcon- scio del soggetto. La trama è arricchita anche da un originale storia d’amore che non corre parallela e distinta alla vicenda principale, ma anzi si intrec- cia in maniera preponderante e incisiva. Perché preponderante e incisivo è il rimorso del pro- tagonista che non sa perdonar- si di aver già sperimentato la “inception” sulla moglie con- ducendola alla morte. Nolan inizia a girare corti a sette anni, con la Super 8 del padre. Studia letteratura inglese al University College di Londra e le sue frequentazioni lettera- rie lo renderanno cosciente di come il cinema sia rimasto lega- to alla fruizione televisiva, ossia storie lineari. Nella letteratura individua, invece, la possibilità di rinnovare le strutture nar- rative, superando certe rigidità delle sceneggiature classiche. Nel 1998 realizza il suo primo lungometraggio Following , un noir in bianco e nero, erede della tradizione britannica degli anni ‘50. La storia si basa su flashback e flashforward, defi- nendo fin dall’esordio il tratto distintivo del Nolan autore: le sperimentazioni temporali. Il film culto che diventa un suc- cesso grazie al passaparola e lo rende noto in tutto il mondo è Memento. L’idea di partenza è di voler raccontare una storia semplice al contrario, parten- do cioè dalla fine. Il colpo di scena è abbastanza prevedibile ma poco importa. L’inconsueta struttura narrativa è sufficiente a rendere il film un evento. Leonard (Guy Pearce) dopo un grave trauma cranico ha perso la memoria a breve termine ed è costretto a tatuarsi sul corpo gli eventi appena accaduti, a questo si aggiunge la ricerca del presunto assassino della moglie. Il montaggio procede quindi su due binari paralleli e i fla- shback che portano a ritroso fino all’omicidio spingono lo spettatore ad uno straordinario coinvolgimento col protagoni- sta. Tratto da un racconto del fratello Jonathan (“Memento mori”) il film è un successo pla- netario, con tanto di candida- tura agli Oscar per la migliore sceneggiatura. Nel 2002 la Warner Bros con- ferma la sua fiducia al giovane Nolan affidandogli la regia di Insomnia, remake di un film norvegese. Questa volta diri- ge un cast di grande spessore: Al Pacino, Robin Williams e Hilary Swank e costruisce il thriller concentrandosi sull’at- mosfera, sulla luce perenne dell’Alaska e sul confronto – scontro tra poliziotto e killer. La collaborazione con la Warner Bros continua e nel 2005 gli propone la regia del nuovo Batman affidandogli il compito di risollevare la serie dopo i risultati insoddisfacen- ti delle versioni fumettisti- che di Joel Schumacher. Per Batman Begins si ricostruisce una Gotham City quasi rea- listica con effetti speciali alla vecchia maniera. I film stan- no diventando sempre “meno reali e più digitali”, secondo Nolan, e l’intenzione è di rida- re a Batman uno stile noir, non fumettistico né barocco. Il cast è sempre d’eccezione: Michael Caine, Morgan Freeman, Gary Oldman, Liam Neeson, ma la grande rivelazione è Christian Bale che restituisce pienamen- te la figura tormentata e quindi umana del supereroe. Nolan si conferma maestro del thriller introspettivo e la Warner Bros lo vuole per la regia del capito- lo successivo dell’uomo pipi- strello, Batman - Il cavaliere oscuro del 2008, che vede con- fermato anche Bale nei panni del protagonista e diventa una sorta di attore feticcio per Nolan, in quanto lavoreranno insieme anche in The Prestige (2006). Per la sceneggiatura torna alla collaborazione col fratello Jonathan e costruisce un vero gioco di prestigio in tre atti: la promessa, la svolta e il prestigio. Il regista capi- sce subito come la magia non stia nel trucco in sé, ma nel costringere lo spettatore a foca- lizzare l’attenzione su qualcosa di irrilevante, in modo da tra- scurare il punto esatto in cui si nasconde il tranello. Il film ci riesce bene, almeno fino a un certo punto perché i colpi di scena nei film di Nolan si capiscono sempre in anticipo, ma ciò che non manca (di gran lungo forse più importante) è il piacere della narrazione. Piacere che ritroviamo anche in Inception data la scelta del regista di raccontare parten- do dalla fine, per poi andare indietro, rincorrendo i sogni dei protagonisti. I sentieri nar- rativi sono due: la squadra di specialisti che deve innestare l’idea nella mente del giovane industriale e l’agente Cobb che deve salvare (come Orfeo) la moglie perduta negli inferi. Si pensa a Matrix “Reale, defini- sci ciò che è reale” e ci riman- da all’affermazione “noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” William Shakespeare. Nasce la Carta del Vino Biologico Christofer Nolan Il prestigiatore del cinema torna nelle sale con il suo ultimo film Inception che lo consacra regista maturo e affidabile , g ri, istituti di ricer- ntifica…), hanno di lanciare un’ini- al riguardo ovvero a Europea del Vino o”, il cui acronimo è io, che si ispira alla el regolamen- e sui risul- progetto onale di ORWINE dice detta e pratiche ticoltura ogia i - r e no rare a per ltura gia. rdato gene- e il - g ( ad esempio il letame o il compost). Lo scopo della Carta Europea del Vino Biologico (CEVinBio) è quella di con- p p filiera. L e a z i e n d e pro- p di trasformazione esempio l’ abbattim solfiti. Il Presidente di Paolo Carnemolla ta così: “L’Italia è cipale produttore tatore di vino bio Europa, dunque l di FederBio a ques tiva ha vo ci la re prima comp conse nostre di valo meglio g fatti in qu per lavorare s principi del meto gico non solo nella anche in cantina. S