Tesi di V. Dada - Traduzione audiovisiva e cambiamenti traduttivi in Gran Torino
1. Traduzione audiovisiva e
cambiamenti traduttivi in
Gran Torino
VALENTINA DADA
Scuole Civiche di Milano
Fondazione di partecipazione
Dipartimento Lingue
Scuola Superiore per Mediatori Linguistici
via Alex Visconti, 18 20151 MILANO
Relatore: Professor Andrew TANZI
Diploma in Scienze della Mediazione Linguistica
Dicembre 2009
3. Abstract in italiano
Gran Torino, diretto e interpretato da Clint Eastwood, esce nelle sale
cinematografiche statunitensi nel dicembre 2008, in Italia il 13 marzo 2009. In
questa tesi vengono messe a confronto la versione originale e quella doppiata in
italiano, in un’analisi comparata finalizzata a individuare la strategia traduttiva
in termini di accettabilità e adeguatezza. Viene operata una critica della
traduzione mirata, che prende in esame in particolare le storpiature dei nomi, gli
epiteti razzisti e le battute politically incorrect ricorrenti nel film. Da questa
analisi si evince che la strategia traduttiva è stata prevalentemente target-
oriented, vincolata sia dalla dominante della scorrevolezza e immediata fruizione
del film sia da tutti quei fattori che entrano in gioco quando si ha a che fare con
un testo multimediale, come l’intonazione, la lunghezza delle parole, la prosodia
e il sincrono labiale. Oltre a ciò emerge anche una tendenza a edulcorare certe
espressioni scatologiche, cosa che va a contraddire talvolta l’idioletto di alcuni
personaggi, provocando così un appiattimento linguistico.
English Abstract
Directed by and starring Clint Eastwood, Gran Torino was released on screens in
America in December 2008 and in Italy on 13th March 2009. In this thesis, the
original version has been compared with the Italian dubbed one in a comparative
analysis aimed at finding out the translation strategy in terms of acceptability and
adequacy. A targeted translation-oriented analysis has been carried out, with a
focus on the distorted names, racist insults and politically incorrect expressions
occurring in the movie. The results of this analysis show that the translation
strategy has been mainly target-oriented, influenced by both the dominant of the
movie’s fluency and its direct understanding and all those factors which are
involved in a multi-media product, such as intonation, word length, prosody and
lip synch. Moreover, a tendency to soften some scatological expressions has been
noticed: this sometimes contradicts the idiolect of certain characters, leading to
linguistic flattening.
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4. Zusammenfassung
Gran Torino – ein Film von und mit Clint Eastwood – erschien in den
amerikanischen Kinosälen im Dezember 2008, in Italien hingegen am 13. März
2009. In dieser Diplomarbeit wurde das Original mit der italienischen
Synchronisation durch eine Komparativanalyse verglichen, die darauf abzielt,
eine geeignete Übersetzungsstrategie hinsichtlich der Akzeptabilität und
Angemessenheit des Filmtextes zu finden. Im Mittelpunkt dieser
Übersetzungskritik stehen v.a. die im Film häufig vorkommenden Entstellungen
der Namen, rassistischen Schimpfnamen und die politisch inkorrekten
Bemerkungen. Daraus ergibt sich, dass die Übersetzungsstrategie vor allem
benutzerorientiert und an zwei Faktoren gebunden war: sowohl an das Hauptziel
der sprachlichen Flüssigkeit und des unmittelbaren Verständnisses des Films als
auch an alle mit einem multimedialen Text verflochtenen Aspekte, wie z.B.
Intonation, Länge der Worte, Prosodie und Lippensynchronität. Darüber hinaus
wurde auch eine Tendenz zur Abschwächung mancher skatologischen Ausdrücke
bemerkt: Dies widerspricht manchmal dem Idiolekt einiger Figuren und
verursacht eine linguistische Abflachung.
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5. Indice
Introduzione ...................................................................................................................... 7
Capitolo I ........................................................................................................................... 9
1.1 Biografia e opere principali .................................................................................. 9
1.2 Un mondo perfetto ............................................................................................... 14
1.3 Mystic River .......................................................................................................... 15
1.4 Million Dollar Baby ............................................................................................ 16
1.5 Gran Torino .......................................................................................................... 17
1.5.1 Trama ............................................................................................................. 17
1.5.2 Informazioni generali ................................................................................... 18
1.5.3 I personaggi principali ................................................................................. 21
1.5.4 Ricezione critica ........................................................................................... 24
Capitolo II ....................................................................................................................... 28
2.1 Cenni di teoria della traduzione applicata al doppiaggio ............................... 28
.
2.2 Analisi narratologica del film ............................................................................. 34
2.2.1 Il punto di vista ............................................................................................. 34
2.2.2 La dimensione temporale ............................................................................ 34
2.2.3 La dimensione spaziale ................................................................................ 35
2.2.4 Livello sintattico e linguistico..................................................................... 36
2.2.5 Livello semantico ......................................................................................... 37
2.2.6 Spettatore modello e spettatore empirico .................................................. 38
2.2.7 Dominanti e sottodominanti ........................................................................ 39
Capitolo III ...................................................................................................................... 40
3.1 Il metodo d’analisi ............................................................................................... 40
3.2 Thao e gli sfottò dei latino-americani ............................................................... 41
3.3 Walt, Martin e l’arte del “parlare tra uomini” .................................................. 44
3.4 Walt e Thao a tu per tu ........................................................................................ 48
3.5 Come diventare uomo: Walt e Martin docent .................................................. 53
3.6 Il testamento ......................................................................................................... 56
Conclusioni ..................................................................................................................... 60
Bibliografia ..................................................................................................................... 63
5
6. 6
7. Introduzione
Quando ci si addentra nei meandri della traduzione e dell’interpretazione,
specialmente nel primo caso, si tende a sviluppare una forma mentis diversa da
quella di chi non è a contatto tutti i giorni con le lingue straniere. In particolare, si
viene colpiti da una sorta di “deformazione professionale” – sebbene ci si trovi
ancora nella fase dell’apprendimento e non si eserciti la benché minima
professione – tale per cui, di fronte a un testo di qualsivoglia genere che è stato o
sarà oggetto di traduzione, viene da domandarsi come fosse l’originale in lingua o
in che modo verrà tradotto nella nostra lingua madre. Situazioni di questo genere
possono verificarsi in qualsiasi circostanza: leggendo un libro, ascoltando lo
slogan o il jingle di una pubblicità, sfogliando il menù di un ristorante, guardando
un film.
È quanto accaduto con Gran Torino. Galeotta fu la traduzione di una recensione
del film stesso che mi è stata sottoposta a lezione proprio dal mio relatore. Dopo
aver visto il film – per altro di grande qualità e spessore – mossa da questa
curiosità irrefrenabile di conoscere l’originale e come fossero state rese alcune
battute, è nata l’idea di fare di Gran Torino e dei cambiamenti traduttivi applicati
alla versione doppiata in italiano l’oggetto della mia tesi di laurea.
Sulla base degli strumenti di teoria della traduzione che ho imparato a
padroneggiare nel corso del triennio, ho vestito i panni del critico (dilettante) della
traduzione, fornendo un’analisi comparata della versione originale e italiana del
film, incentrandomi in modo particolare su alcune scene e cercando di
individuarne la strategia traduttiva soprattutto in termini di accettabilità e
adeguatezza.
7
8. Le conclusioni a cui sono giunta hanno avallato l’ipotesi mossa in partenza, non
appena ho visto il film in italiano: il pubblico italiano ha recepito il film, ora
sorridendo e divertendosi, ora commovendosi; non tutto quello che lo spettatore
anglofono ha capito poteva essere colto da quello italiano con una traduzione
meramente letterale. Ciò deve aver spinto presumibilmente gli adattatori-
dialoghisti a una traduzione filmica orientata verso il punto di vista dello
spettatore. E ciò che è emerso dal confronto delle due versioni ha confermato la
mia tesi con esempi concreti.
8
9. 1.1 Biografia e opere principali
Clinton Eastwood, Jr., nasce il 30 maggio 1930 a San Francisco, nel pieno
della Grande Depressione. Per diversi anni suo padre, Clinton Sr., ex contabile,
scarrozza la famiglia in giro per la California a bordo di una roulotte, alla ricerca
di un lavoro. Clint viene spesso lasciato dalla nonna, a Oakland, dove finiranno
per trasferirsi anche i genitori: il padre trova impiego in una stazione di
rifornimento, la madre è segretaria. Clint gioca a basket e si interessa di musica.
Nel 1948, subito dopo il diploma alla Oakland Technical High School, va
nell’Oregon a fare il taglialegna; svolge anche altre professioni, come quella di
guardiano notturno, bagnino e impiegato amministrativo. Arruolato ai tempi della
guerra di Corea, non va al fronte, ma fa l’istruttore di nuoto a Fort Ord, sulla costa
californiana. Qui conosce una troupe della Universal e l’aspirante attore David
Janssen, che lo incoraggiano a entrare nel mondo del cinema. Nel 1953 si
trasferisce a Los Angeles per frequentare un corso di amministrazione aziendale e
tentare la fortuna a Hollywood. Si sposa con una studentessa di Berkeley, Maggie
Johnson, da cui avrà due figli, Kyle e Alison. Dopo un provino alla Universal, gli
viene offerto un contratto per settantacinque dollari a settimana per dieci mesi:
comincia così a lavorare in alcuni film di serie B, come Revenge of the Creature
(La vendetta del mostro, 1954) e Tarantula (Tarantola, 1955). Il successo arriva
con la serie televisiva prodotta dalla CBS, Rawhide, in cui Clint veste i panni di
un giovane cowboy. Il telefilm esordisce il 9 gennaio 1959: la serie proseguirà per
sette anni e mezzo, per un totale di 217 episodi. Nella metà degli anni Sessanta ha
inizio il sodalizio con il regista Sergio Leone, maestro del cinema western
italiano. L’incontro con Leone e la creazione dello spaghetti western sono
9
10. destinati a lasciare un segno non solo nella storia del cinema, ma anche nella
carriera e nella vita di Eastwood. Per un pugno di dollari (1964), Per qualche
dollaro in più (1965) e Il buono, il brutto, il cattivo (1966) gli consentono di
diventare una star internazionale e una vera e propria icona: sguardo di ghiaccio,
sopracciglio aggrottato e un pungo di parole biascicate, barba incolta, faccia
bruciata dal sole e poncho (la leggenda vuole: mai lavato nell’arco dei tre film!).
Con i soldi incassati con la trilogia del dollaro, Clint fonda nel 1967 la sua
compagnia di produzione: la Malpaso Company (il nome è preso da quello di un
torrente che attraversa un terreno di sua proprietà a Carmel e in spagnolo significa
«passo falso»), che partorirà successi, capolavori, ma anche fiaschi commerciali.
Il primo film che (co)produce e interpreta, per Malpaso, è un western tradizionale,
Hang ‘Em High (Impiccalo più in alto, 1968). Sempre nel 1968, l’attore inizia un
altro sodalizio artistico che dà un’ulteriore svolta alla sua carriera e al suo stile,
ovvero una collaborazione con il regista americano Don Siegel, che non solo
consacra definitivamente Eastwood come star negli Usa, ma dà una matrice di
stile e mestiere anche alla sua futura carriera registica. Il primo film che i due
girano insieme è il western urbano è Coogan’s Bluff (L’uomo con la cravatta di
cuoio, 1968), al quale seguono la commedia western Two Mules for Sister Sara
(Gli avvoltoi hanno fame, 1970), The Beguiled (La notte brava del soldato
Jonathan, 1971), Dirty Harry (Ispettore Callaghan: il caso Scorpio è tuo, 1971) e,
infine, Escape from Alcatraz (Fuga da Alcatraz, 1979), vero e proprio classico del
cinema carcerario. Negli anni Settanta inizia a lavorare anche dietro la macchina
da presa, scelta che gli varrà la vera consacrazione nell’olimpo del cinema. La sua
prima regia risale al 1971, con il thriller Play Misty for Me (Brivido nella notte),
10
11. in cui, tra l’altro, regala un memorabile cameo all’amico-mentore Don Siegel (è il
barman). Oltre all’esordio in regia, tra il ’68 e il ’71 Eastwood interpreta ben otto
film, tra cui due film bellici Where Eagles Dare (Dove osano le aquile, 1969) e
Kelly’s Heroes (I guerrieri, 1970). Durante gli anni ’70 continua a interpretare
film western, film d’azione e polizieschi. I primi due western che segue da regista
sono High Plains Drifter (Lo straniero senza nome, 1973) e The Outlaw Josey
Wales (Il texano dagli occhi di ghiaccio, 1976). Un western che gli fa guadagnare
quattro Oscar come miglior regia e film, migliore attore non protagonista e
montaggio e con cui Clint celebra la morte del mito del West è Unforgiven (Gli
spietati, 1992), capolavoro crepuscolare che dedica a Sergio Leone e Don Siegel,
in cui recitano Gene Hackman e Morgan Freeman. Si tratta, fino a oggi,
dell’ultimo western tout court di Eastwood, anche se nel 2000 realizza Space
Cowboys, una vera e propria miscela di generi, che va dalla fantascienza alla
commedia, includendo, ovviamente, anche l’amato western (sostituisce i cavalli
con uno Shuttle della Nasa e la vera frontiera è la Luna). Space Cowboys, tra
l’altro, è il primo film di Eastwood a fare largo uso di effetti speciali, insieme a
Firefox (Firefox – Volpe di fuoco, 1982). Quanto ai film d’azione e ai polizieschi,
nel 1974 Eastwood recita in Thunderbolt and Lightfoot (Una calibro 20 per lo
specialista) e interpreta quattro sequel di Dirty Harry, vestendo i panni del
poliziotto cult Harry Callaghan (nella versione originale si chiama Callahan), noto
al pubblico italiano come “Harry la Carogna”, sempre pronto a sparare con la sua
44 Magnum: Magnum Force (Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan, 1973),
The Enforcer (Cielo di piombo, ispettore Callaghan, 1976), Sudden Impact
(Coraggio…fatti ammazzare, 1983 – unico film della serie di cui Eastwood firma
11
12. anche la regia) e The Dead Pool (Scommessa con la morte, 1988). Nel 1978
Eastwood balza sui giornali scandalistici: dopo venticinque anni di matrimonio, si
separa definitivamente da Maggie Johnson con un divorzio da venticinque milioni
di dollari. La sua vita sentimentale sarà molto movimentata: si legherà a diverse
donne, da cui avrà anche dei figli. Nel 1996 si sposa con la conduttrice televisiva
Dina Ruiz, da cui ha avuto l’ultima figlia, la settima.
Negli anni ’80 si dedica anche alla carriera politica, divenendo sindaco di Carmel,
in California. Gira ancora dei polizieschi, come City Heat (Per piacere…non
salvarmi più la vita, 1984) e Pink Cadillac (1989) e un film di guerra, Heartbreak
Ridge (Gunny, 1986), che racconta l’intervento di 5.000 marines nell’isola di
Grenada nell’83, intervento sul quale Reagan impose il silenzio dei media. Il
progetto più ambizioso di questi anni è Bird (1988), un film sulla vita di Charlie
«Bird» Parker, il sassofonista che rinnovò il jazz all’inizio degli anni Quaranta.
Gli anni Novanta sono per Eastwood il decennio dei premi e dei riconoscimenti
ufficiali, decennio in cui incassa un successo dopo l’altro: nel 1990 ha l’occasione
di girare il suo primo film sul cinema, White Hunter, Black Heart (Cacciatore
bianco, cuore nero), una biografia romanzata della vita del regista, attore e
sceneggiatore statunitense John Huston, a cui rende omaggio. Nel 1993 dirige un
magnifico Kevin Costner in A Perfect World (Un mondo perfetto), struggente
storia di un uomo che, dopo essere evaso e aver rapito un bambino, si lancia in
una fuga tanto frenetica quanto vana. Con questo film Clint Eastwood si erge
come uno dei registi più sensibili ed etici nel panorama americano. Egli amplia il
suo repertorio con un film d’amore, The Bridges of Madison County (I ponti di
Madison County, 1995) e film thriller, come Absolute Power (Potere assoluto,
12
13. 1997) e True Crime (Fino a prova contraria, 1999). Insieme a Gli Spietati e Un
mondo perfetto, Mystic River (2003) e Million Dollar Baby (2004) sono l’asso di
cuori del poker di capolavori di Eastwood. Il nuovo millennio segna il trionfo di
questo grande cineasta, approdato a una maturità artistica tale da giustificare
appieno il suo status di icona di Hollywood. Nel 2000 gli viene conferito il Leone
d’Oro alla Carriera al Festival di Venezia. Mystic River gli farà piovere una
valanga di nomination Oscar e una serie di premi internazionali sulla testa, ma è
con Million Dollar Baby che ottiene ben quattro statuette agli Oscar 2005 per
miglior film, migliore regia, migliore attrice protagonista a Hilary Swank e
miglior attore non protagonista a Morgan Freeman. Il film si aggiudica anche due
Golden Globe per la migliore regia e sempre per la migliore attrice protagonista.
Tra il 2006 e il 2007 dirige due film bellici, Flags of Our Fathers e Letters from
Iwo Jima (Lettere da Iwo Jima): entrambi ambientati durante la seconda guerra
mondiale, si tratta di due film complementari che raccontano i fatti inerenti alla
battaglia di Iwo Jima visti rispettivamente dal punto americano e giapponese;
questi due film rappresentano un omaggio che Eastwood ha voluto dedicare ai
caduti di entrambi gli schieramenti. Nel 2008 esce nelle sale cinematografiche
un’altra pellicola diretta e prodotta da Eastwood, Changeling, film drammatico,
interpretato da Angelina Jolie, che narra la storia vera di un terribile caso di
rapimento avvenuto nel 1928. Il film ha ricevuto la nomination per la Palma
d’Oro al Festival del Film di Cannes del 2008 e ha vinto uno Special Award dopo
essere stato proiettato in prima a tale Festival. Il 2008 è anche l’anno di Gran
Torino (che sarà oggetto di analisi nelle prossime pagine). Nel febbraio 2010
uscirà Invictus, diretto e prodotto da Eastwood, dramma storico sul Sudafrica
13
14. post-apartheid, che sarà interpretato da Matt Demon e Morgan Freeman nel ruolo
di Nelson Mandela. Con i suoi ultimi film, Clint Eastwood dimostra di essere uno
dei cineasti americani più originali e soprattutto disposti a raccontare le ambiguità,
le contraddizioni e i peccati orribili della società americana.
1.2 Un mondo perfetto
Film drammatico e poliziesco del 1993, diretto e interpretato da Eastwood,
che nel ruolo di un Texas Ranger anticonformista dà la caccia a Kevin Costner, un
delinquente incallito con una serie di precedenti penali.
Texas, 1963: Butch Haynes (K. Costner) evade dalla prigione dove sta scontando
quarant’anni per rapina a mano armata e inizia una lunga, impossibile fuga verso
l’Alaska con un bambino preso in ostaggio, Phillip. Il ranger Red Garnett (C.
Eastwood) è incaricato della sua cattura, affiancato da una giovane criminologa: è
un uomo alquanto scorbutico, combattuto tra la necessità della legge e la
consapevolezza che la giustizia, spesso, non riesce a essere davvero “giusta”. Si
tratta di un film d’inseguimento in cui i meccanismi dell’azione violenta lasciano
il posto alla tenerezza. Il paradosso della storia che viene raccontata nel film sta
nel mondo fantastico che Butch crea intorno al piccolo ostaggio: intelligente e
affettuoso, egli inventa per il bambino un ambiente in cui i sogni diventano realtà
e la realizzazione dei desideri infantili sembra a portata di mano. Il film
rappresenta una sconsolata analisi morale della società USA e tratta grandi temi
come la giustizia, la libertà, il passaggio all’età adulta, il pentimento e non da
ultimo il tema della paternità svincolato dai legami di sangue.
14
15. 1.3 Mystic River
Il film esce nelle sale nel 2003, tratto dall’omonimo romanzo di Dennis
Lehane (in Italia è uscito però con il titolo La morte non dimentica). Con il suo
stile asciutto e diretto e un approccio onesto e realistico, Eastwood racconta le
storie intrecciate di tre uomini, Jimmy, Dave e Sean, i tragici eventi che hanno
segnato la loro infanzia e inciso profondamente sul loro futuro e le scelte
irrevocabili che sono costretti a compiere. Da ragazzino, Dave viene rapito da
pedofili, che lo tengono chiuso in uno scantinato e abusano di lui: riesce a fuggire
dopo quattro giorni, ma niente sarà più come prima. Vent’anni dopo, sempre nello
stesso quartiere di Boston, le vite di Dave, ora ex giocatore di baseball fallito,
Jimmy, ex mafiosetto locale e Sean, poliziotto, si intrecciano di nuovo a causa
dell’assassinio di Katie, la figlia diciannovenne di Jimmy. Il caso viene assegnato
a Sean, in corsa contro il tempo, perché Jimmy è ossessionato dal desiderio di
vendetta. Collegato al crimine per una serie di coincidenze, Dave è costretto a
confrontarsi con i demoni del passato, che minacciano il suo matrimonio e
qualsiasi speranza di avere un futuro. Una storia inquietante di amicizia, rapporti
famigliari e innocenza perduta troppo presto. Un film in cui Eastwood riesce a
raccontare in maniera esemplare una storia complessa di infanzia negata,
circoscritta in una periferia dell’America che, di solito, non ci è dato vedere nel
cinema.
Il film si conclude con la celebrazione di una parata, il Columbus Day. Questa
scelta non è casuale, Eastwood la usa come metafora dell’America
contemporanea: si festeggia anche dimenticando, o nascondendo, il sangue fresco
15
16. e i crimini peggiori. La società è vista come gioco delle parti, come un carro in
maschera.
1.4 Million Dollar Baby
Come già menzionato, questo film del 2004 rappresenta un successo
formidabile per Eastwood regista e attore: recita nel ruolo di Frankie Dunn,
anziano manager di pugilato, uomo senza illusioni, ma privo di rancori. In seguito
alla dolorosa rottura con sua figlia, ha sempre evitato di affezionarsi troppo a
qualcuno; l’unico amico che ha è Scrap (interpretato da Morgan Freeman), un ex-
pugile che manda avanti la palestra e che riesce a vedere oltre quella “scorza
ruvida” di Frankie. Un giorno entra in modo prorompente nella vita di Frankie una
giovane trentenne, Maggie, che vuole diventare campionessa di pugilato ad ogni
costo. La sua energia vitale riesce a contagiare il riluttante Frankie che, pur senza
ammetterlo, vede in lei la figlia che non vede ormai da anni. Inizia così il loro
sodalizio, che comprende la totale dedizione della donna per quell’uomo che
sembra essere l’ultimo legame tra lei e il resto dell’umanità. Anche Scrap si
unisce al progetto di trasformare la ragazza in un pugile di qualità. Eastwood parla
di sentimenti, di coraggio e di paura con un pudore, una grazie e quella pacatezza
che è di fatto uno stile consolidato. Ai temi dell’amore paterno e della paternità
simbolica si aggiunge quello più inquietante che riguarda l’eutanasia e che
Eastwood affronta con consapevole fermezza. L’ortodossia della religione viene
sfidata senza arroganza, mostrando quanto siano differenti in ogni essere umano i
temi della vita e le scelte che da essa derivano. Un film sulla crudeltà
dell’esistenza, sulla generosità e sull’amore ritrovato.
16
17. 1.5 Gran Torino
Segue, in questa sezione, un’analisi approfondita del film oggetto di questa tesi.
1.5.1 Trama
Eastwood interpreta il ruolo di Walt Kowalski, un vecchio americano di
origini polacche, reduce dalla Guerra di Corea di carattere burberi e spavaldo, che
si trova a fare i conti con un mondo in continuo mutamento, costretto dai suoi
vicini di casa che sono emigranti a confrontarsi con i suoi pregiudizi in lui ben
radicati. Meccanico in pensione, Walt Kowalski riempie le sue giornate facendo
dei piccoli lavori di riparazione nelle case, bevendo birra e recandosi una volta al
mese dal barbiere. Nonostante l’ultimo desiderio espresso dalla moglie, ormai
deceduta, fosse che il marito si confessasse, per Walt – che tiene il suo fucile M-1
sempre pronto e carico – non c’è nulla da confessare. E non c’è nessuno di cui si
fidi abbastanza per confessarsi, ad eccezione del suo cane Daisy.
Le persone che un tempo erano i suoi vicini di casa sono ormai quasi tutte morte
oppure si sono trasferite altrove e sono state sostituite da immigrati provenienti
dal sudest asiatico, che lui disprezza. È pieno di risentimento per quasi tutto
quello che vede intorno a sé: le grondaie spioventi, i prati incolti e pieni di
vegetazione, le facce di stranieri che lo circondano, le bande di adolescenti
Hmong, latinoamericani e afro-americani che pensano che tutto il quartiere sia
loro, il modo in cui i suoi figli siano diventati perfetti estranei… . Walt aspetta
solo che il resto della sua vita passi. Fino alla notte in cui qualcuno cerca di
rubargli la sua Gran Torino del ’72. Ancora splendente e scintillante come il
17
18. primo giorno, la Gran Torino mette a rischio la vita del suo vicino di casa
adolescente, il timido Thao, quando la banda di teppisti Hmong costringe il
ragazzo a cercare di rubare la macchina. Ma Walt si trova in mezzo tra il furto e la
banda, diventando suo malgrado l’eroe del quartiere, soprattutto per la madre di
Thao e per sua sorella più grande, Sue, che insistono affinché Thao si metta a
lavorare per Walt per fare ammenda del tentativo di furto. Nonostante all’inizio
Walt non voglia avere nulla a che fare con queste persone, alla fine cede e fa
lavorare il ragazzo insieme a lui nel quartiere, dando il via ad un’amicizia
improbabile che cambierà le loro vite. Walt può insegnare tante cose al giovane
Thao: come si parla tra uomini, come si ripara una staccionata e come si lavora
con un paio di tronchesi e un rotolo di nastro adesivo (ma mai e poi mai gli
insegnerà a sparare).
Avvicinandosi sempre più a questa famiglia Hmong, Walt scoprirà che il
“diverso” non è così disprezzabile e troverà molte più cose in comune con queste
persone che con la sua stessa famiglia. Alla fine, sarà proprio Walt a liberare Thao
dal circolo vizioso della violenza metropolitana e della vendetta, andando
disarmato a farsi uccidere dai giovani teppisti Hmong perché i testimoni riescano
a incastrarli e s’interrompa così la spirale del sangue.
1.5.2 Informazioni generali
Gran Torino esce nelle sale cinematografiche statunitensi nel dicembre
2008, in Italia tre mesi più tardi, il 13 marzo. Si tratta di un film che va dritto
all’essenza emotiva e morale del cinema con una totale economia di mezzi
espressivi: un vecchio, grintoso e ringhioso, disamorato di quasi tutti gli esseri che
18
19. lo circondano (tranne la vecchia cagna Daisy). Un ragazzo cinese e sua sorella,
che tentano faticosamente di integrarsi nella vita americana. Due case vicine,
quasi identiche, con il prato e il patio antistante, dove siedono e si guardano in
cagnesco e s’insultano da lontano il protagonista e una vecchia cinese. Due
interni, una chiesa, un giovane prete che non si arrende davanti ai peccatori
recalcitranti, ma che cede all’istinto davanti alle ingiustizie. Una bellissima auto
d’epoca, la Ford Gran Torino del 1972, lustrata e ferma nel garage, e le auto
straniere che scorazzano per le strade. Alcune figure di contorno, poche.
Pochissimi ed essenziali i movimenti di macchina. Asciutti e quotidiani i dialoghi,
laconiche le battute. I personaggi cambiano, crescono, maturano. Gran Torino è
un’amara vicenda di progressiva presa di coscienza che l’abbattimento delle
barriere è possibile, soprattutto come arricchimento affettivo di una vita giunta al
termine (quella di Walt Kowalski). Dopo A Perfect World, Mystic River e Million
Dollar Baby, dopo aver sviscerato gli aspetti più oscuri e le conseguenze più
drammatiche del sistema sociale e ideale americano, la violenza individuale e
collettiva, la corruzione del potere e le discriminazioni di classe, genere e razza,
Eastwood ci offre con Gran Torino non un film sulla nostalgia di qualcosa di
inevitabilmente perduto, ma un film sull’oggi, sul futuro, sulla possibilità di
cambiamento. Senza dimenticare l’affascinante riflessione sull’enigma della
paternità che si cela dietro questa pellicola: i legami di sangue non significano
necessariamente affetto, rispetto, amicizia. Anzi, Eastwood mostra come la
relazione di paternità non sia limitabile al legame di sangue, ma sia sempre atto di
responsabilità, scelta e testimonianza.
19
20. Un film, questo, che prende le sembianze di un vero e proprio romanzo di
formazione, in due sensi: non “cresce” solo il ragazzino, ma anche l’uomo al
tramonto della vita. Kowalski consegna a Thao le chiavi per il mondo degli adulti,
impara che si possono avere molte più cose in comune con i “musi gialli” che con
i propri figli.
Eastwood si è sempre occupato delle questioni complesse della razza, della
religione e del pregiudizio, e lo ha sempre fatto in modo onesto, che a volte
poteva sembrare politicamente scorretto ma che è sempre stato molto genuino.
Oltre a ciò, Gran Torino è il primo film importante che descrive personaggi della
comunità degli Hmong, una tribù etnica di diciotto clan sparpagliati tra le colline
del Laos, Vietnam, Tailandia e altre parti dell’Asia, che hanno avuto un passaggio
difficile verso gli Stati Uniti a seguito del loro coinvolgimento nella Guerra del
Vietnam (dopo la fine della Guerra sono stati portati in America come rifugiati
per aver aiutato gli americani durante il conflitto). Per le riprese Eastwood ha
voluto descrivere gli Hmong nel modo più autentico possibile, scegliendo
esclusivamente attori Hmong per quei ruoli nel film, anche se non erano attori
professionisti. Per trarre ispirazione per il design della casa di Thao e Sue, lo
scenografo ha osservato numerose fotografie e varie abitazioni Hmong;
analogamente, anche la costumista ha cercato di garantire l’autenticità di costumi
Hmong con un intenso lavoro di ricerca. L’attrice che interpreta Sue ha portato sul
set il suo costume reale fatto a mano.
20
21. 1.5.3 Personaggi principali
Walt Kowalski (Clint Eastwood) è un personaggio al principio quasi
ridicolo, isolato dalla famiglia, con pochi amici, che passa il tempo su una veranda
con una bandiera americana sullo sfondo a bere birre in compagnia della sua
golden retriever Daisy. Lancia insulti razzisti con la normalità con cui altre
persone pronunciano parole e verbi, ma man mano che stabilisce dei tenui rapporti
umani con le persone Hmong che si sono trasferite nel suo quartiere, gli strati di
ostilità sembrano scomparire. La storia inizia dopo la morte di sua moglie,
Dorothy, nel momento in cui l’uomo ha raggiunto il capitolo finale di una vita che
in molti modi è stata scandita dalle esperienze terribili in Corea e dai
cinquant’anni trascorsi allo stabilimento locale della Ford. La guerra però è finita
da tempo, la fabbrica è stata chiusa, sua moglie è morta e i figli, ormai cresciuti,
rispetto ai quali si sente un completo estraneo, non hanno mai tempo da
dedicargli. Uno dei pochi piaceri nella vita di Walt è quello di lucidare la sua Ford
Gran Torino del 1972, su cui lui stesso ha montato il blocco dello sterzo quando
lavorava allo Ford: essa rappresenta il suo orgoglio e la sua gioia, è il suo
purosangue. È emblema di tutta una serie di valori nazionali quanto personali, di
una vita passata nella consapevolezza di partecipare, con il semplice e preciso
lavoro manuale, alla costruzione di uno dei miti del proprio Paese. Servita,
riverita, amata, lucidata, lubrificata, ma tenuta sempre in garage, è il tesoro
segreto sopravvissuto a un tempo in cui le cose erano fatte bene. Anche se
inizialmente non vuole avere nulla a che fare con i vicini Hmong, Walt si accorge
a poco a poco di avere molte più cose in comune con loro di quante ne abbia con i
suoi figli viziati e fannulloni. E così inizia a vedere in Thao qualcosa che vale di
21
22. più del suo disprezzo, si libera dei pregiudizi che abitavano in lui all’inizio del
film e si trasforma in un padre (putativo) affettuosamente severo. Walt è alla
ricerca di qualcosa. Sa sicuramente di essere giunto all’ultimo capitolo della sua
vita ed è alla ricerca di qualcuno, o qualcosa, che dia un senso a tutto e che calibri
il valore della sua vita.
Thao Vang Lor (Bee Vang) è il vicino di casa di Walt, sedicenne, altrettanto
isolato come Walt. Vive con la madre, la nonna e una sorella più grande, Sue. È
l’unico maschio della famiglia e non ha alcun punto di riferimento maschile cui
rifarsi. È goffo e insicuro in quanto è circondato da tutte quelle donne, che sono
dominanti nella famiglia. È alla ricerca di un modello di riferimento, che trova in
Walt. Thao è un ragazzo timido, non va a scuola ma non ha un lavoro; viene
costretto ad entrare a far parte di una banda di teppisti Hmong, guidata da un
adolescente di nome Smokie e dal cugino di Thao, conosciuto con il nome di
Spider. Ma il fastidio di Thao (e anche della sorella Sue) verso le tradizionali
immagini maschili (e femminili) della loro cultura d’origine è tangibile, così come
è evidente il rifiuto dei modelli consueti di adattamento, all’insegna
dell’opportunismo femminile e della violenza maschile. Grazie a Walt, alla fine
Thao viene liberato dai fardelli del sangue e può andarsene con l’eredità di Walt:
la scintillante Gran Torino, Daisy e la vita di un americano libero.
Sue Lor (Ahney Her) è la sorella maggiore di Thao, la prima a “conquistare”
Walt e a farsi breccia nella sua facciata spinosa e permalosa. È molto più
americanizzata del resto della famiglia, è quella che si muove con più
22
23. consapevolezza tra le due culture, perché «le ragazze si adattano meglio». Sue è
un personaggio molto coraggioso; è sempre gentile con Walt, anche se lui la
prende in giro con soprannomi dispregiativi, ma alla fine è l’unica che riesce a
stabilire un contatto tra Walt e Thao. Sue vuole che suo fratello diventi amico di
Walt perché se questo non accade e il ragazzo entra nella banda, si rovinerà la
vita. Lei capisce che Walt può diventare come un padre per lui e se Thao ascolterà
i consigli di Walt, probabilmente potrà vivere una vita migliore e potrà crescere
meglio.
Padre Janovich (Christopher Carley) è il sacerdote che incontriamo all’inizio del
film mentre celebra il funerale della moglie di Walt e che insiste nel cercare di far
avverare l’ultimo desiderio della donna, quello di far confessare Walt. Padre
Janovich rappresenta una figura di autorità puramente astratta, da simbolo vuoto:
dovrebbe essere una guida, ma rimane al livello di quello che ha imparato sui
manuali in seminario. Walt lo considera un «ventisettenne vergine appena uscito
dal seminario» e il rapporto che si instaura tra i due è a senso unico: Walt gli fa
capire senza mezzi termini che il modo solito di trattare con le persone con lui non
funzionerà; è prevenuto nei suoi confronti, principalmente perché sembra un
ragazzino e per Walt non può capire, nemmeno lontanamente, quello che ha
vissuto in prima persona (paradossalmente, Walt scopre di condividere molto di
più con lo sciamano Hmong che gli rivela le verità nascoste con cui lui ha
convissuto per tutti questi anni). La figura di padre Janovich è il rovescio delle
gang Hmong: figure maschili, emblema della violenza. Eastwood gioca qui con
la luce e il buio: la tranquillità anemica della legge disincarnata di padre Janovich,
23
24. così come l’anaffettività dei figli sono sempre illuminati a giorno, mentre il reale
della violenza comparirà in poche scene notturne: Thao che tenta di rubare la Gran
Torino; Walt che scaccia la gang dal prato di casa; fino allo stupro di Sue e
l’epilogo finale.
Martin (John Carroll Lynch) è il barbiere di Walt, di origini italiane. È l’unica
figura che si potrebbe definire suo amico, con cui scambia di buon cuore epiteti
razziali e che aiuta Walt ad allenare Thao nell’arte di “diventare uomo”. Si tratta
di un personaggio minore, così come quello di Mitch Kowalski (Brian Haley),
uno dei due figli di Walt. Eastwood riserva giusto un paio di scene per descrivere
il rapporto complesso che vi è tra i due: Mitch è l’opposto di suo padre. Walt è
stato operaio e ha lavorato sodo; suo figlio è una persona superficiale, che cerca di
spedire il padre in una pensione. Walt non riesce a parlare con suo figlio e Mitch
non riesce ad aprirsi un varco con suo padre.
1.5.4 Ricezione critica
Di seguito sono riportati alcuni esempi di ricezione critica italiana e internazionale
del film.
«[…] Clint volto di pietra ci spiega una cosa bella e semplice: che
l’accettazione della società multirazziale non è frutto di ideologie, ma di una
faticosa pratica quotidiana». (Il Corriere della Sera)
24
25. «Ma il film, duro e forte, è un canto amaro sul dolore di vivere e di morire».
(Corriere della Sera Magazine)
«Gran Torino è una storia umanissima di amicizia commovente e pudicissima
nella sua emozionalità. […] È il grande capolavoro morale e cinematografico di
Clint Eastwood. Un film struggente e necessario». (www.comingsoon.it)
«Gran Torino, riflessione sui pregiudizi e la redenzione, sulla religione e le
minoranze etniche, è raccontato con una classicità perfetta, con una calma e una
libertà inaudite e con l’autoironia e autoderisione con cui Eastwood si prende in
giro per divertirci, fa il vecchio cane ringhioso, fa il misantropo intollerante, fa il
poliziotto armato». (La Stampa)
«[…] a portrait of disintegrating family values and the urgent need for cultural
flexibility; […] an impressive blueprint of basic values that most of our society
and by extension cinema, have forfeited». (www.timesofindia.indiatimes.com)
«Gran Torino is about two things, I believe. It’s about the belated flowering of a
man’s better nature. And it’s about Americans of different races growing more
open to one another in the new century». (www.rogerebert.suntimes.com)
La critica, italiana e non, parla a una sola voce in merito a questo film,
tessendone le lodi sia per il tipo di cinema che Eastwood offre e per la grande
maestria con cui interpreta il suo personaggio, sia per i temi che affronta e il modo
25
26. in cui riesce a dare uno spaccato di difficile e possibile integrazione in
un’America sempre più multietnica. La grandezza del cinema di Eastwood risiede
proprio nella sua semplicità e immediatezza, nella sua capacità di sentire e di far
sentire quello che più è umano. In Eastwood non c’è piagnisteo - c’è la
constatazione malinconica che il mondo è così. La sua regia è asciutta, pulita e
lineare: l’urgenza comunicativa sfocia in schematismo, il suo è un modo diretto di
“fare film” senza fronzoli.
Il personaggio di Walt Kowalski non è stato scritto pensando a un attore specifico,
ma gli addetti ai lavori riescono difficilmente a immaginare qualcun altro, al di
fuori di Clint Eastwood, che potesse interpretare questo ruolo: sguardi al vetriolo
e battute ciniche quanto divertenti, una maschera di pietra antica e un eloquio di
carta vetrata ai limiti dell’auto caricatura. Un’abilità, questa, più che ammirevole
agli occhi di recensori e critici. Per non parlare della destrezza con cui Eastwood è
riuscito a trasmettere elementi di morale, tradizione e giustizia all’interno di una
storia complessa, socialmente contemporanea, profondamente umana, carica di
stimoli visivi, emotivi e di riflessione. Temi sociali (razzismo, integrazione) e
umani (la famiglia, il rapporto padre-figlio), dilemmi morali (la vendetta) ed
etico-religiosi (colpa, peccato, sacrificio e redenzione), riflessione amara e
disillusa sulla vecchiaia, la malattia e la morte: il tutto condensato in una pellicola
di centosedici minuti.
La critica, tuttavia, non promuove Gran Torino a tutti gli effetti, per due motivi:
prima di tutto per le scene di estrema violenza e il linguaggio molto colorito,
scurrile, infarcito di vituperi e insulti razzisti (negli Usa il film rientra nella
categoria R-Restricted, cioè per chi ha meno di diciassette anni è obbligatoria la
26
27. presenza di un genitore o di un adulto); in secondo luogo, per il modo in cui il
film dipinge la condizione in cui versano gli Hmong, poco fedele alla realtà, che
invece sembra essere molto più complessa e difficile. Molti critici sostengono che
il problema di integrazione degli Hmong non possa essere risolto in stile
hollywoodiano con un uomo bianco con una pistola, anche se si tratta di Clint
Eastwood (e fanno indirettamente appello all’amministrazione Obama perché si
adoperi in questo senso).
27
28. 2.1 Cenni di teoria della traduzione applicata al doppiaggio
Nelle pagine che seguono propongo un’analisi comparata tra la versione
originale di Gran Torino in inglese (prototesto) e quella doppiata in italiano
(metatesto) al fine di ricostruirne la strategia traduttiva. In altre parole, vedendo
per la prima volta il film in italiano, ho cercato di rispondere a queste domande:
com’era l’originale? Come sarà stato detto in inglese?
Questo lavoro di analisi, tuttavia, non prende in considerazione il film per intero
bensì è frutto di una cernita ben definita, incentrata sugli appellativi razzisti, le
storpiature dei nomi, i nomignoli dispregiativi e le battute politically incorrect
pronunciate prevalentemente dal protagonista, Walt Kowalski, interpretato da
Clint Eastwood, ma che ritroviamo anche nelle battute di altri personaggi.
Ciò che ho cercato di mettere a punto è una (modesta) critica della traduzione
sulla base di una ricostruzione abduttiva, nonché retroduzione: un percorso a
ritroso, dunque, con cui, attraverso continue congetture, ho provato a individuare
la strategia traduttiva che, dal prototesto, ha dato come risultato il metatesto,
ovvero la versione italiana del film. Senza dimenticare che, nel caso specifico, non
siamo di fronte a una mera traduzione testuale interlinguistica (sebbene io abbia
lavorato con i copioni nelle due lingue alla mano), bensì a una traduzione
multimediale/audiovisiva. É doveroso ricordare che, in questo caso, la strategia
traduttiva è stata vincolata da una serie di componenti che vanno oltre i valori
semantici e pragmatici delle battute, come l’intonazione, la lunghezza delle
parole, la prosodia e il sincronismo labiale: vincoli, questi, posti proprio dalla
natura multimediale dell’oggetto della trasposizione.
28
29. Ad ogni modo, si tratta di una critica della traduzione in cui il raffronto non
avviene soltanto tra metatesto e cultura ricevente bensì tenendo conto
dell’originale: diversamente, la critica risulterebbe unidimensionale, poiché il
punto di vista sarebbe sbilanciato a favore di uno dei due poli della coppia
traduttiva.
Tra le diverse congetture che hanno scandito il mio lavoro di analisi ho provato a
inferire se nella strategia traduttiva abbia prevalso una traduzione culturale o
linguistica (Delabastita): nel primo caso, verrebbe perseguita una strategia di
«analogia culturale», ovvero di un enunciato del prototesto si cercherebbe un
enunciato che, nella cultura ricevente, abbia un significato culturale analogo: nel
codice culturale ricevente è un’approssimazione ottimale del valore relazionale
dell’enunciato originale all’interno del codice culturale del prototesto (Delabastita
1993: 17 in Osimo 2004: 45). Nel secondo caso, la strategia perseguita sarebbe
quella dell’«omologia culturale», che lascia al lettore il compito di colmare la
distanza culturale tra sé e il testo. La conseguenza di questa strategia traduttiva è
di inserire nel metatesto esotismi, non vissuti come tali dal lettore del prototesto
contemporaneo all’autore, e di lasciare che il lettore entri a contatto con una
cultura diversa dalla propria. A questo concetto si lega inevitabilmente quello di
accettabilità/adeguatezza (Toury). Può essere il lettore ad avvicinarsi al prototesto
come a un elemento della cultura altrui e a sobbarcarsi la fatica di tale
avvicinamento, apprendendo, nel processo, nuovi elementi di cultura altra, oppure
può avvenire l’esatto contrario: è il prototesto a essere avvicinato al lettore,
trasformando gli elementi di cultura altra che contiene e traducendoli in cultura
propria (del lettore). Una traduzione è detta «adeguata» quando prevede che il
29
30. prototesto sia conservato come espressione di una cultura diversa: il traduttore
conserva il più possibile le caratteristiche di “cultura altra” del prototesto,
costringendo il lettore a uno sforzo per recepire il testo come altro; la lettura
risulta quindi più impegnativa ma arricchisce di più il fruitore. Il concetto di
«adeguatezza» è visto pertanto in funzione del prototesto, mentre quando un testo
è «accettabile», il punto di vista è quello del lettore del metatesto. Nella
traduzione accettabile, infatti, il metatesto conserva pochissime caratteristiche del
prototesto: avviene un processo di addomesticamento culturale con cui il
traduttore avvicina il prototesto alla metacultura. Ne risulta una lettura del
metatesto più facile, ma che arricchisce di meno: il lettore si trova di fronte a un
testo “comodo” (scorrevole), ma privo di stimolo per la reciproca fecondazione tra
culture. Nel caso specifico di Gran Torino, alla luce di queste nozioni ho cercato
di comprendere se abbia prevalso un processo traduttivo target-oriented (orientato
al pubblico d’arrivo) o source-oriented (orientato al testo di partenza): nel primo
caso viene perseguita una strategia che privilegia scorrevolezza, accettabilità e
adattamento alle norme della cultura d’arrivo, anche se a scapito della “fedeltà” al
testo di partenza. In questo caso il traduttore si rende “invisibile”, mettendo in atto
un processo di “addomesticamento” (domestication) del testo, che viene
completamente adattato alle convenzioni della cultura d’arrivo perdendo così la
sua forza innovativa. Una strategia source-oriented implica invece una scelta di
“straniamento” (foreignization) del testo tradotto, che mantiene le caratteristiche
della cultura originaria e così arricchisce la cultura d’arrivo, in quanto portatore di
innovazioni stilistiche e deviazioni dalla norma creative e originali.
30
31. La strategia traduttiva sarà stata vincolata, con tutta probabilità, anche da altri
fattori, quali lettore modello e dominante: per lettore modello si intende il
prototipo di lettore, o lettore immaginario, cui la strategia narrativa si rivolge; esso
può coincidere più o meno con il cosiddetto lettore empirico, cioè il lettore che
effettivamente legge il testo (bisogna tuttavia ricordare che, nel caso specifico, il
concetto di «lettore modello» deve essere inserito in un’ottica multimediale, in
quanto il testo è dato da un film, quindi si parlerà di spettatore modello e
spettatore empirico).
Quanto invece alla dominante, essa non è altro che la componente intorno a cui si
focalizza il testo, l’elemento del prototesto considerato fondamentale per una
determinata traduzione. In realtà all’interno della maggior parte dei testi si
possono trovare varie dominanti, che possono essere collocate in ordine
gerarchico a seconda della loro importanza strutturale: una dominante e varie
sottodominanti.
Il film è un sistema semiotico complesso, costituito da un codice visivo,
uno sonoro e uno verbale: l’elemento verbale è quindi un elemento strutturale e la
sua comprensione è essenziale alla comunicazione. Ma la comunicazione non si
esaurisce con la comprensione dei singoli fonemi. Proprio perché il linguaggio
filmico è un linguaggio complesso, in cui il significato nasce dall’unione della
parola con il gesto, e ogni parola assume significato dal contesto generale e dal
corpus culturale espresso dall’intero film, a dover essere ogni volta ricostruita non
è tanto la comprensibilità del testo, quanto il rapporto dialettico tra parole e
immagini. Il linguaggio cinematografico si basa quindi sull’interrelazione fra
31
32. diversi codici: intervenire, come si fa con il doppiaggio, su una delle componenti
di questo prodotto multimediale complesso innesca una catena di “effetti
collaterali” di cui si deve tener conto. Il doppiaggio implica una “traduzione
totale”, in quanto deve affrontare non solo i valori semantici e pragmatici delle
battute, ma anche quelli fonologici. Il doppiaggio è un processo che si articola in
numerose fasi, intorno a cui ruotano diverse figure professionali, prima fra tutte
quella dell’adattatore-dialoghista: è l’autore che traspone, elabora nella lingua
d’arrivo e adatta anche in sincronismo visivo, ritmico e labiale i dialoghi. Il
dialoghista deve tener conto della lunghezza della battuta, dell’espressione
dell’attore sullo schermo, dei movimenti di tutto il suo corpo: delle labbra, prima
di tutto, ma non solo di quelle. Il problema del cosiddetto “sincrono” (in gergo
tecnico “sinc”) si compone di quattro fattori che vanno rispettati, in funzione
dell’inquadratura e della presenza in campo dell’attore: il sincrono labiale, il
sincrono gestuale, il sincrono lineare e il sincrono ritmico.
Per sincrono labiale si intende il rispetto dei movimenti delle labbra determinati
dalla pronuncia delle parole originali; si deve quindi porre un’attenzione
particolare alle parole che contengono consonanti che provocano la totale chiusura
delle labbra (b,m,p), a quelle che provocano una semichiusura (f,v), a tutte quelle
che non provocano la chiusura delle labbra, alle vocali che provocano in apertura
o chiusura o all’interno della frase un’apertura della bocca (a,e,i) o un
arrotondamento delle labbra (o,u), a tutte quelle parole che contengono
un’accentatura particolare che costringe le labbra a un’apertura repentina.
Per sincrono gestuale si intende il rispetto dei movimenti del corpo, in funzione
dei quali decidere cosa far dire all’attore. Ogni espressione genera dei movimenti
32
33. – delle mani, della testa, degli occhi – e costringe a una determinata costruzione
della frase per far coincidere questi movimenti, immutabili, col nuovo testo.
Il sincrono lineare è il rispetto della lunghezza, della durata della frase originale,
dal primo all’ultimo movimento delle labbra dell’autore.
Il sincrono ritmico, o isocronico, è il più importante, l’unico che va rispettato
anche quando l’attore si trova fuori campo. È il cosiddetto ritmo interno della
frase, composto da più elementi: la struttura morfosintattica della lingua originale,
la velocità di recitazione, il timbro impresso alla frase dell’attore, che è
condizionato dalla situazione e dal luogo dove si svolge la scena, il senso.
Tutta la ricerca del dialoghista deve quindi convergere sulla parola, sulla frase che
verosimilmente “stia” nel movimento dell’attore, in particolare delle sue labbra.
Sarà necessario, quindi, aggiungere e sottrarre, facendo attenzione a recuperare
altrove quello che si è costretti a sacrificare da una parte, tenendo sempre presente
che l’equilibrio generale deve alla fine essere rispettato.
Nel doppiaggio, l’adattamento dei dialoghi è tuttavia solo la prima fase
dell’attività coordinata di più professionisti che porterà al risultato finale (oltre
all’adattatore operano anche il direttore di doppiaggio, l’assistente al doppiaggio,
gli attori doppiatori, il fonico di sala, il sincronizzatore e il fonico di missaggio).
33
34. 2.2 Analisi narratologica del film
2.2.1 Il punto di vista
Il film viene raccontato in buona parte dal punto di vista del protagonista,
Walt Kowalski, e questo lo si comprende facilmente dalla presenza massiccia di
riprese soggettive, che consentono allo spettatore di calarsi nei panni di un
personaggio e di vedere le cose con i suoi occhi. È come se anche gli spettatori
prendessero parte alla metamorfosi che il protagonista vive nel corso della storia,
passando da un iniziale isolamento nella sua dimensione atemporale, collerica e
illusoria, a una graduale e arrendevole apertura verso l’altro e alla disponibilità al
contatto. È con questo tipo di inquadratura che lo spettatore percepisce
l’insofferenza che abita in Walt, che non fa esclusivo riferimento alle differenze
culturali, ma riguarda tutto un sistema di valori diventato, nella sua ottica,
irrimediabilmente corrotto e volgare (pensiamo, ad esempio, alla soggettiva
sull’ombelico di fuori mostrato dalla nipote in chiesa). Nel corso del film la
resistenza esercitata da Kowalski si fa sempre più blanda e anche le soggettive
riflettono la sua “conversione”: è come se si fosse creato un cerchio, dapprima
invalicabile, che va aprendosi man mano fino a spezzarsi definitivamente. Sul
finale, nelle poche scene che intercorrono tra la morte del protagonista e i titoli di
coda, il punto di vista è neutrale e le inquadrature sempre più spesso oggettive.
2.2.2 La dimensione temporale
Per quel che concerne la successione degli eventi, essi sono strutturati in
una concatenazione temporale semplice e lineare. La cronologia interna non è
segnalata in termini assoluti ben precisi, bensì in termini più relativi: sappiamo
34
35. soltanto che la storia è ambientata nella Detroit del ventunesimo secolo, ma non
conosciamo con esattezza le coordinate temporali entro cui si inserisce la vicenda.
Il film presenta una ciclicità piuttosto evidente tra l’altro, in quanto si apre con la
celebrazione di un funerale, quello della moglie di Walt, e si chiude esattamente
nella stessa maniera, con il funerale di Walt: è all’interno di questi due estremi
temporali che si innesta la storia e assistiamo all’evoluzione del rapporto del
protagonista con Thao e la sua famiglia e anche con padre Janovich (il punto di
svolta del loro rapporto si ha con la battuta mi chiami Walt pronunciata dal
protagonista, che sino ad allora pretendeva di essere chiamato Mister Kowalski).
Ci sono alcuni momenti in cui la tensione sale vertiginosamente, momenti in cui,
vedendo Walt imbracciare il fucile, si pensa al peggio. La scena di suspense più
forte è legata all’epilogo finale: lo spettatore è portato a pensare che Walt voglia
vendicare lo stupro di Sue, uccidendo i colpevoli. Ma la pistola, in realtà, resterà
solamente nella sua astrazione simbolica: il colpo di pistola Walt può solo
mimarlo.
2.2.3 La dimensione spaziale
Come già affermato, il film è ambientato a Detroit, nel Michigan. La
dimensione spaziale risulta essere molto sobria, essenziale: due case, una chiesa e
un negozio di barbiere situati in diversi quartieri di Detroit. Il quartiere in cui abita
Walt è all’insegna dell’abbandono e del degrado; solo la sua abitazione spicca tra
le altre, dando l’impressione di essere stata curata per anni; il prato è sempre ben
tagliato, non c’è una cosa fuori posto: questo mette ancora più in evidenza il
distacco di Walt da ciò che lo circonda. È come se la sua proprietà rappresentasse
35
36. un mondo a sé stante. Oltre a ciò, la scelta di Detroit come location del film non è
di certo casuale: per un uomo che ha lavorato cinquant’anni alla Ford non poteva
esserci ambientazione migliore e più adeguata della capitale dell’automobile
americana; è evidente il collegamento tra la città e l’emblema di questo film, la
Gran Torino: Detroit è gemellata con Torino, città considerata dagli americani la
“Detroit d’Italia” e il modello Gran Torino della Ford era stato un omaggio al
capoluogo piemontese.
2.2.4 Livello sintattico e linguistico
Lo stile semplice e asciutto che contraddistingue il cinema di Eastwood si
riflette senza ombra di dubbio anche nel livello sintattico degli scambi dialogici.
Frasi brevi e concise, battute laconiche ma dense di significato. Anche quando
queste si fanno più lunghe, non sono mai particolarmente complesse. In linea di
massima i periodi sono prevalentemente paratattici, proprio perché la lingua
parlata, di per sé, evita tendenzialmente di ricorrere a costrutti ipotattici: se così
fosse, lo scambio verbale risulterebbe alquanto artificioso e per niente naturale.
Del resto, è proprio la natura intrinseca della lingua parlata a richiedere l’uso di
una sintassi diversa: parlando, infatti, c’è una scarsa pianificazione di quanto si
dice, cosa che non accade invece nella lingua scritta. Inoltre, il livello sintattico
delle battute, così come quello linguistico, è inevitabilmente vincolato anche dalla
natura dei personaggi stessi, dal loro socioletto e idioletto. Per socioletto s’intende
il modo di parlare tipico di un determinato strato sociale: è il caso delle gang
Hmong, del gruppo di ragazzi latino-americani e di neri che troviamo in alcune
scene del film. Sono immigrati, di bassa estrazione sociale, con uno scarso livello
36
37. di istruzione: il modo in cui parlano è elementare e molto volgare, usano un
linguaggio gergale dal registro decisamente basso, ricco di genericismi,
imprecazioni scatologiche ed espressioni pornolaliche. Quanto all’idioletto, esso
indica le peculiarità stilistiche ed espressive di un parlante: l’esempio più calzante
è proprio quello di Walt. Il modo in cui si esprime è il suo biglietto da visita e, in
quanto tale, non può subire delle modifiche arbitrarie in sede di doppiaggio. In
generale, il registro si mantiene su un livello basso per quasi tutto il film,
caratterizzato prevalentemente da colloquialismi e disfemismi. In un contesto,
però, dove tutti i personaggi parlano in modo sfrontato e senza troppe remore,
emerge la figura più contenuta e discreta di padre Janovich: anche se le sue parole
non vogliono essere auliche, è netto il divario linguistico tra questo personaggio,
che è istruito ed è stato in seminario e i gruppi di immigrati di cui si è parlato in
precedenza.
Da ultimo, troviamo non pochi segnali discorsivi nel corso di tutto il film, che
sono, per l’appunto, tipici dell’oralità, per non parlare della gestualità, altrettanto
importante.
2.2.5 Livello semantico
A parer mio, riecheggiano nel film due campi semantici principali: l’uno
legato alla sfera religiosa, l’altro alle popolazioni asiatiche e ai loro tratti
distintivi.
Il campo semantico relativo alla sfera religiosa lo si riconosce negli scambi
verbali che avvengono tra Walt e padre Janovich: più di una volta si parla di vita e
di morte, salvezza e confessione, colpe e peccati, e vengono spesso usate delle
37
38. espressioni, più o meno felici, che rimandano alle Sacre Scritture e alla religione
come flock, sheep, spoken your piece oltre al fatto che molte imprecazioni sono
religiose, come Jesus, Jesus Christ, Christ all Friday, Lord Jesus e for Christ’s
sake.
Il secondo campo semantico è forse quello più evidente, relativo alle peculiarità,
fisiche e non, delle popolazioni orientali: il colore della pelle, i tratti somatici, il
riso (pensiamo ai diversi epiteti gook, zipper head, egg roll, zip, slope ecc.).
2.2.6 Spettatore modello e spettatore empirico
Lo spettatore modello può essere dato da tutti coloro che sono appassionati
di questo genere di pellicole, o sono fan del cinema di Eastwood, o semplicemente
vanno al cinema per evasione e divertimento; si è pensato sicuramente a uno
spettatore medio, di età adulta, che non necessariamente deve avere delle
conoscenze pregresse sui temi che contraddistinguono il film, come ad esempio la
condizione del popolo Hmong. Bisogna pur sempre ricordare che le parole qui
sono accompagnate dalle immagini, che contribuiscono in modo non indifferente
alla comprensione e alla fruizione del film. Quanto allo spettatore empirico, posso
ipotizzare che questo abbia coinciso in buona parte con lo spettatore modello.
Forse, in realtà, il film è stato visto anche da una fascia di pubblico cui non era
direttamente rivolto per via del linguaggio altamente volgare e delle scene di
violenza, come giovanissimi e adolescenti (mi sentirei, tuttavia, di escludere i
bambini). Mentre negli Usa i ragazzi al di sotto dei diciassette anni dovevano
essere accompagnati da un genitore o da un adulto, in Italia il film non ha subìto
38
39. alcun tipo di censura: probabilmente ciò giustifica la scelta di edulcorare certe
espressioni.
2.2.7 Dominanti e sottodominanti
Per quanto concerne la dominante, prevale a mio avviso una funzione
estetica, che si traduce in scorrevolezza del film e “leggibilità”, trasferita
ovviamente in un contesto multimediale: in altre parole, lo spettatore deve potersi
“godere” il film senza intralci di comprensione. Del resto il cliente-spettatore si
ritrova con un metatesto di cui non conosce il prototesto, perciò non può e non sa
giudicare se si tratti di un prodotto più o meno buono. Il giudizio del pubblico si
basa quindi sulla qualità del film (immagini, audio, ecc.) e sulla scorrevolezza del
film stesso: di norma il lettore modello non sempre è disposto a cooperare con
l’autore e a sobbarcarsi la fatica di “digerire” elementi culturospecifici e colmare
la distanza culturale tra sé e il testo. A maggior ragione non lo è nemmeno lo
spettatore modello, che desidera soltanto staccare la spina per un paio d’ore e
godersi un buon film.
È probabile che la strategia traduttiva sia stata vincolata anche da una
sottodominante, che si ricollega alla questione della censura, accennata nel
paragrafo precedente. Anzitutto, senza alcun tipo di divieto nelle sale italiane il
film poteva essere visto praticamente da chiunque, indipendentemente dalla fascia
d’età. In secondo luogo, non dimentichiamo che la nostra cultura è, in un certo
senso, permeata dal “tabù della parolaccia” e ciò spinge a un atteggiamento di
mitigazione della scurrilità, anche se in un contesto di finzione, come quello
cinematografico.
39
40. 3.1 Il metodo d’analisi
Per l’analisi comparativa tra la versione originale di Gran Torino e quella
doppiata in italiano, che verrà proposta nelle seguenti pagine, si è fatto ricorso a
un preciso modello di analisi, ovvero il modello top-down. Si tratta di un modello
dall’alto verso il basso, che parte dall’analisi traduttologica del testo specifico e,
individuate le caratteristiche salienti degli elementi in senso sistemico, controlla le
alterazioni della poetica del testo introdotte dai cambiamenti traduttivi; tutto ciò in
funzione di una dominante specifica e di eventuali sottodominanti.
Questo modello si contrappone al modello bottom-up, che procede invece dal
basso verso l’alto, nel senso che non è prevista un’analisi preventiva della poetica
globale del testo da cui si ricavino le categorie da sottoporre ad analisi
comparativa.
Il modello top-down analizza i dettagli solo dopo averne individuato l’importanza
sistemica: le categorie di cambiamento, infatti, non sono assolute ed esportabili
come avviene per il modello bottom-up, bensì specifiche, relative al contesto
culturologico del testo in questione e derivanti direttamente dalla sua analisi
traduttologica. Questo perché i singoli testi, per quanto possano avere alcune
caratteristiche in comune con altri testi, devono parte della loro individualità a
caratteristiche idiomorfe ad hoc non standardizzabili a priori; quando si usa un
formato prestabilito per l’analisi del testo (come avverrebbe con il modello
bottom-up), queste caratteristiche si perdono (Gerzymisch-Arbogast 2001: 237 in
Osimo 2004: 91).
40
41. 3.2 Thao e gli sfottò dei Latino-Americani
[0.13.22 – 0.13.40]
LATINO 1: Yo... Hey! Is you… is you a LATINO 1: Ehi, oh, cosa sei? Cosa sei,
boy or is you a girl, man? I can’t tell! un maschietto o una femminuccia? Non
LATINO 2: Hey, chiquito, hey, if you si capisce…
was in the bin I could fuck you in the LATINO 2: Ehi, culo giallo, se eri nella
ass and you’d be my bitch. mia cella ti rompevo il culo, diventavi la
LATINO 1: What are you reading, gook, mia puttana.
Jackass and The Rice Stalk? Yeah, LATINO 1: Ehi, che stai leggendo,
that’s right, keep walking... keep Pollifrocino o Giallaneve?
walking! LATINO 2: Ehi finocchietto giallo,
LATINO 2: Hey, look at me when I’m guardami quando ti parlo.
talking to you, ho!
Thao cammina per strada mentre legge. Si trova sul marciapiede quando si
avvicina a lui un gruppo di ragazzi latino-americani in macchina che lo
infastidiscono e aggrediscono verbalmente. Egli cerca di affrettare il passo ma
loro gli stanno alle costole. Resta tutto il tempo con gli occhi fissi sul libro,
continua a camminare e sogghigna: il suo è un atteggiamento tipico della cultura
Hmong, non indica una mancanza di rispetto, bensì rappresenta il loro modo di
esprimere imbarazzo e insicurezza.
Commento
L’elemento più interessante da prendere in esame in questo scambio di
battute è dato da Pollifrocino e Giallaneve: si tratta di un’evidente storpiatura in
senso dispregiativo di Pollicino e Biancaneve, che a loro volta altro non sono che
un rimando intertestuale a due fiabe, per altro ben conosciute in Italia. Per
rimando intertestuale s’intende la presenza nel testo in questione di una citazione
di un altro testo. Il rimando è esplicito, ciò significa che lo spettatore coglie
immediatamente il riferimento alle due fiabe, nonostante la storpiatura dei nomi.
Siamo di fronte però a un esempio di implicito culturale: in altre parole, il
41
42. riferimento alle due fiabe è considerato implicito nella cultura italiana, viene cioè
dato per scontato. Osservando il prototesto in inglese, ci accorgiamo che avviene
esattamente lo stesso meccanismo, sia di storpiatura del nome sia di rimando
intertestuale. Jackass and The Rice Stalk è una versione deformata della fiaba
inglese Jack and The Beanstalk. Si tratta di un rimando intertestuale esplicito per
il pubblico anglofono e al tempo stesso di un implicito culturale, in quanto è
scontato che lo spettatore anglofono intuirà l’allusione alla fiaba, ma uno
spettatore straniero che vede il film in lingua originale non è detto che lo farà:
anzi, con tutta probabilità, non coglierebbe il rimando. Dato che ciò che è
implicito e scontato per lo spettatore anglofono non lo è per quello italiano, si è
preferita una traduzione target-oriented, accettabile, optando così per un analogo
culturale. In realtà, esisterebbe una traduzione italiana per Jack and The
Beanstalk, ovvero Jack e il fagiolo magico: l’adattatore-dialoghista avrebbe
potuto storpiare quella e restare così fedele alla versione originale. Tuttavia, non
avrebbe ottenuto lo stesso effetto umoristico che la versione originale ha avuto sul
pubblico anglofono, in quanto poco conosciuta dagli italiani. Si è preferito quindi
cercare delle fiabe ben radicate nella cultura d’arrivo, onde evitare di
“disorientare” lo spettatore.
È interessante osservare il modo in cui avviene tale storpiatura e come è stata resa
in italiano. Jack and The Beanstalk viene trasformato in Jackass and The Rice
Stalk, dove jackass sta per ignorante e stupido mentre rice (che sostituisce bean,
fagiolo) allude chiaramente a uno dei luoghi comuni più diffusi contro le
popolazioni asiatiche, in particolare i cinesi, secondo il quale i cinesi si nutrono
solo ed esclusivamente di riso (da notare che questa parola viene messa in bocca a
42
43. uno dei latino-americani, che potrebbe essere tra l’altro un messicano – e anche
per i messicani non mancano i luoghi comuni legati all’abitudine di mangiare
molti fagioli. Potrebbe essere una mera casualità, ma alla fine del film il
protagonista parlerà dei messicani definendoli beaners, alla lettera mangiafagioli).
Ecco invece come avviene la “trasformazione” in italiano: Pollicino e Biancaneve
diventano Pollifrocino e Giallaneve, dove nel primo caso l’offesa nei confronti di
Thao riguarda il fatto che venga considerato una femminuccia, mentre nel
secondo l’insulto è più razzista, legato al colore della pelle. Bisogna sottolineare
che nella versione italiana anche i turpiloqui ruotano intorno a questi due motivi:
sentiamo dire infatti culo giallo e finocchietto giallo. Nella versione originale non
è così: in inglese troviamo gook, che letteralmente significa muso giallo e ho, che
significa puttana. All’inizio uno dei ragazzi latino-americani dice chiquito, cosa
che ci fa capire ulteriormente la loro provenienza e che parlano spagnolo; questa
parola non viene resa in italiano, ma la perdita viene in un certo qual modo
compensata altrove: ad esempio, gook viene reso con culo giallo, il cui grado di
volgarità è decisamente superiore a muso giallo.
Infine, è interessante osservare anche l’uso, o per meglio dire, il non-uso del
congiuntivo in questa scena: visti e considerati i personaggi che prendono parte a
questo scambio dialogico, la loro provenienza e la loro estrazione sociale, nonché
grado di istruzione (che possiamo facilmente intuire), sarebbe impensabile e
incoerente con la natura stessa dei personaggi e con il loro socioletto immaginare
la frase se eri nella mia cella ti rompevo il culo, diventavi la mia puttana con una
consecutio temporum impeccabile.
43
44. 3.3 Walt, Martin e l’arte del “parlare tra uomini”
[0.30.58 – 0.31.37]
BARBER: There, you finally look like a BARBIERE: Ecco qua, sembri di nuovo
human being again. You shouldn’t un essere umano adesso, ma perché fai
wait so long between haircuts, you passare tanto tempo fra un taglio e
cheap son of a bitch. l’altro, taccagno figlio di puttana.
WALT: I’m surprised you’re still WALT: Mi meraviglio che tu abbia
around. I was always hoping you’d ancora la licenza. Io spero sempre che tu
die off and get somebody here who crepi e che finalmente qui prendano
knew what the hell are they doing, qualcuno che sa fare il suo mestiere..e
instead you just keep hanging around invece ci sei sempre tu, con la grazia di
like the doo-wop dago you are. quell’impastapizze che sei..
BARBER: That’ll be ten bucks, Walt. BARBIERE: Fa dieci verdoni Walt.
WALT: Ten bucks? Jesus Christ, WALT: Dieci verdoni? Cristo santo,
Martin, are you half-Jew or Martin, non sarai mica diventato ebreo?
something? You keep raising the price Ogni volta il prezzo è più alto.
all the time BARBIERE: É dieci verdoni da cinque
BARBER: It’s been ten bucks for the anni, brutto testone d’un polacco figlio
last five years you hard-nosed Pollack di puttana.
son of a bitch. WALT: Il resto mancia ragazzo.
WALT: Well, keep the change. BARBIERE: Ci vediamo tra venti giorni
BARBER: See you in three weeks, scimunito!
prick. WALT: Sempre che tu c’arrivi, sacco di
WALT: Not if I see you first, dipshit. merda!
Questa è la scena che introduce per la prima volta il personaggio di Martin,
il barbiere da cui Walt si reca di tanto in tanto e con cui scherza scambiandosi
battute piuttosto pesanti. È il loro modo di parlare da uomini: dietro i loro scambi
verbali non si cela un sentimento di razzismo e intolleranza, bensì puro umorismo,
schietto e pungente.
Commento
Nella scena presa in esame, è doveroso spendere qualche parola in merito
al modo in cui vengono gestiti i turpiloqui di cui questo scambio dialogico
abbonda. Ciò mi permette, inoltre, di formulare una riflessione più generale sulle
espressioni volgari che ricorrono frequentemente nel film. Prendiamo come primo
44
45. esempio son of a bitch, che nel caso specifico, sentiamo pronunciare per ben due
volte da Martin e che viene giustamente reso in italiano con figlio di puttana. Un
ipotetico tentativo di “smussare” questa parolaccia sarebbe stato insensato e
discordante con l’idioletto di Martin. Tuttavia, se in questo caso la strategia
traduttiva tiene fede alle peculiarità dell’idioletto di un personaggio, senza quindi
contaminarlo con elementi che non sono propri di quell’idioletto, in altre scene
del film avviene l’esatto contrario. L’esempio più lampante è dato da una scena in
cui son of a bitch viene pronunciato da Walt. Sue e sua mamma vogliono che
Thao lavori per Walt per fare ammenda del tentativo di furto della Gran Torino.
Walt, reticente in un primo momento, le accontenta accettando la richiesta, ma
non si aspetta che Thao si presenterà a lavorare per lui. Si sbaglia, e quando lo
vede arrivare, esclama stupito son of a bitch!, che in italiano viene completamente
appiattito con un misero cavolo. Cavolo non rientra per niente nelle corde di Walt;
il suo idioletto abbonda di espressioni scurrili, ma ciò non è sforzato, bensì
connaturato alla sua persona: è misantropo, intollerante, ringhia in continuazione e
usa le parolacce come fossero suoi intercalari, perché questo risulta essere il modo
a lui più congeniale per esprimersi.
Analogamente avviene anche per l’espressione what the hell, molto ricorrente
negli scambi dialogici. La strategia traduttiva scelta per questa espressione
idiomatica non è stata omogenea: talvolta viene omessa del tutto – come nella
scena proposta – altre volte è resa con che cosa, che cavolo o che diavolo. La
traduzione che si avvicina maggiormente all’originale è che diavolo, anche se in
realtà what the hell corrisponderebbe al nostro che cacchio. Tutti gli altri
traducenti sono evidenti riduzioni espressive, del tutto ingiustificate, così come le
45
46. omissioni: ciò non ha ripercussioni particolari sulla ricezione del testo
multimediale, anche se inevitabilmente qualcosa va perduto.
Al di là di questa lunga dissertazione, la scena oggetto di questa analisi offre altri
due elementi di particolare interesse: doo-wop dago, reso con il neologismo
impastapizze e prick, tradotto con il colloquialismo regionale, tipico dell’Italia
meridionale, scimunito. In entrambi i casi è stata scelta una strategia traduttiva
target-oriented. Il barbiere Martin è di origini italiane: nella versione originale,
egli parla un perfetto americano senza accenti particolari che lascino intendere la
sua provenienza. Nella versione italiana, Martin viene doppiato con un accento
meridionale, probabilmente per alludere al fatto che si tratta di un figlio di italiani
del sud che in passato sono emigrati in America in cerca di fortuna. L’intento di
Walt è quello di prendere di mira le origini di Martin e lo fa usando la parola
offensiva dago: nella nostra lingua non esiste una parola che sia semanticamente
equivalente. Per mantenere comunque la presa in giro, cercando di “salvare il
salvabile” e non perdere del tutto il senso della battuta, è probabile che i
dialoghisti abbiamo scelto il traducente impastapizze sulla base degli stereotipi
tipici sugli italiani. Domandiamo a uno straniero cosa associa alla parola Italia e la
risposta sarà quasi sempre: pasta, pizza e mafia. Ora, la scelta del traducente è
stata senz’altro vincolata anche dal personaggio stesso cui la parola faceva
riferimento: Martin è un barbiere e, nel suo lavoro, usa prevalentemente le mani.
Era necessaria, quindi, una parola ironica che facesse intendere le sue origini e
che, al tempo stesso, si addicesse alla sua professione: da qui, il neologismo
impastapizze (con pasta o mafia sarebbe stato più difficile trovare una soluzione).
Con l’aggiunta di doo-wop, Walt è come se rincarasse la dose. Doo-wop si
46
47. riferisce a chi canticchia ripetendo dei suoni melodici senza pronunciare le parole
esatte del testo musicale, dando l’idea dell’improvvisazione, di chi canta
emettendo suoni e parole senza senso. In questo caso è probabile che Walt abbia
scelto questa parola per infierire nello scambio reciproco di insulti, lasciando
intendere che Martin parla a vanvera e che dalla sua bocca escono solo
sciocchezze. Oltre a ciò, troviamo un simpatico gioco di parole insito in doo-wop:
wop infatti è un’altra parola che in americano indica in senso spregiativo una
persona di origini italiane. Infine, è interessante osservare il modo in cui prick è
stato reso in italiano. Prick è una parola volgare; le accezioni date dai dizionari di
inglese suggeriscono traducenti quali cazzo, cazzone, coglione, minchione. Nel
caso specifico, prick è stato reso con scimunito, che ha una componente di
volgarità decisamente inferiore rispetto all’originale in inglese; quindi, ancora una
volta, assistiamo a un caso di undertranslation. Tuttavia, bisogna riconoscere che
dietro questa scelta traduttiva vi è un tentativo di coerenza linguistica con il
personaggio di Martin: essendo stato doppiato con un accento palesemente
meridionale, i dialoghisti hanno probabilmente voluto mettergli in bocca
un’espressione dialettale tipica di quella zona.
47
48. 3.4 Walt e Thao a tu per tu
[0.52.18 – 0.53.50]
WALT: Relax, zipper head, I’m not WALT: Rilassati muso giallo, non ti
gonna shoot you. I’d look down too, if voglio sparare. Anch’io guarderei per
I was you. You know, I knew you were terra se fossi in te. Ho capito che eri
a dipshit the first time I ever saw you, imbranato la prima volta che t’ho
but then I wouldn’t have thought visto, ma non credevo che fossi più
you’re even worse with women than imbranato con le donne che come ladro
you are at stealing cars, Toad. di macchine, Tardo.
THAO: It’s Thao. THAO: Thao
WALT: What? WALT: Che cosa?
THAO: It’s not Toad, it’s Thao. My THAO: Non è Tardo, è Thao, il mio
name is Thao. nome è Thao.
WALT: Yeah, well you’re blowing WALT: Si, però ti fai scappare ragazze
over that girl it was there. Not that I come quella… oh, non che me ne
give two shits about a Toad like you. freghi un cazzo di un tardo come te.
THAO: You don’t know what you’re THAO: Lei non sa di cosa parla.
talking about. WALT: Ti sbagli riso lesso, io so
WALT: You’re wrong, egg roll. I know benissimo di che cosa sto parlando.
exactly what I’m talking about. I may Magari non sarò il più simpatico del
not be the most pleasant person to be mondo, ma ho convinto la donna più in
around, but I got the best woman who gamba del pianeta a sposarmi; c’ho
was ever on this planet to marry me. I lavorato, ma è stata la cosa più bella
worked at it, but it was the best thing che ho conquistato. Ma tu invece, tu
that ever happened to me, hands it lasci che Click Clack, Ding Dong e
down. But you? You know it, you let Charlie Chan si portino via Miss
Click Clack and Ding Dong and Faccia d’Angelo… tu a lei piaci, sai,
Charlie Chan just walk out with Miss anche se non so perché.
what’s-her-face. She likes you, you THAO: Chi?
know, but I don’t know why. WALT: Iam-Iam, sai, no, la ragazza con
THAO: Who? la maglia viola, non ha fatto altro che
WALT: Yum Yum, you know, that girl guardare te, stupidone…
in the purple sweater, she has been THAO: Vuole dire Iowa?
looking at you all day, stupid. WALT: Si, Iam-Iam, si… carina,
THAO: You mean Iowa? carina… molto graziosa, io c’ho
WALT: Yeah, Yum Yum, yeah, nice parlato… si, ma, tu te la sei fatta portar
girl, nice girl, very charming girl, I via sotto il naso dai tre porcellini e sai
talked to her. Yeah. But you? You let perché? Perché sei un povero
her just walk right out with the Three rammollito… beh, io devo andare… ti
Stooges. And you know why? ‘Cause saluto, panna smontata.
you’re a big fat pussy! Well, I gotta go.
Good day, puss-cake.
48
49. Walt viene invitato da Sue a casa sua, dove la sua famiglia, insieme ad altri
Hmong, sta facendo un barbecue. Inizia così ad avvicinarsi alla loro cultura,
assaggiando le loro pietanze, facendo la conoscenza dello stregone della famiglia
e giungendo alla conclusione di avere più cose in comune con loro che con i suoi
figli. Durante questa festa Walt conosce anche Iowa, che nutre una simpatia per
Thao (simpatia per altro ricambiata) e incontra Thao, con cui avviene lo scambio
dialogico.
Commento
Questa scena offre innumerevoli spunti di riflessione, di vario genere. A
partire dalla battuta iniziale, è interessante osservare la strategia traduttiva che è
stata applicata ai nomignoli dispregiativi, come zipperhead. In altri scambi
dialogici, sentiamo Walt pronunciare anche zip o slopes. In tutti e tre i casi, si
tratta di appellativi razzisti appartenenti allo slang americano e offensivi nei
confronti di chi ha origini orientali, in particolare vietnamite. Nella lingua
d’arrivo, tuttavia, mancano parole equivalenti che bersaglino in senso
dispregiativo la provenienza asiatica di una persona (pensiamo che,
specularmente, avviene anche per l’epiteto terrone, con cui gli italiani del nord
offendono i connazionali del sud: si tratta di un elemento culturospecifico, che
non ha equivalenti in inglese). Cercando quindi di mantenere intatta la
componente ingiuriosa e spregiativa di zipperhead, zip e slopes, i dialoghisti
hanno giocato sugli stereotipi tipicamente asiatici usati più comunemente dagli
italiani: il colore giallo della pelle e il riso. Da qui, ecco una serie di epiteti e
neologismi che sentiamo ripetutamente nel corso del film: muso giallo,
mangiariso, coniglio giallo. Un caso a parte è quello di egg roll, che nella
49
50. versione doppiata in italiano è tradotto con riso lesso: la strategia traduttiva che vi
è alla base è analoga a quella illustrata poc’anzi; vi è però una differenza
semantica considerevole tra zipperhead e egg roll: nel primo caso, come già
ampiamente detto, l’appellativo stesso prende di mira le origini orientali di un
persona; nel secondo, invece, troviamo una parola che rientra comunemente nel
lessico culinario asiatico e che viene usata in questo contesto come “pars pro toto”
in senso dispregiativo (questo meccanismo è lo stesso di quando gli italiani, ad
esempio, parlano dei tedeschi chiamandoli Kartoffeln). Egg roll è difatti un piatto
tipico della cucina asiatica, per altro molto diffusa e radicata in America, come
ulteriore testimonianza del melting pot americano. Diversamente avviene in Italia,
dove c’è una scarsa conoscenza della cultura culinaria asiatica, che non va oltre il
pollo al limone, riso alla cantonese e involtini primavera. Forse proprio per questa
ragione si è preferito rinunciare alla scelta di un piatto tipico orientale, giocando
ancora una volta su un elemento che rimanda immediatamente, almeno nella
nostra cultura, alle popolazioni asiatiche, ovvero il riso, senza però esulare dal
contesto culinario: da qui, riso lesso che, a mio avviso, resta comunque una
traduzione target-oriented (da notare che un’eventuale traduzione con involtino
primavera sarebbe stata sarcastica tanto quanto riso lesso, ma avrebbe perso la
componente spregiativa che è piuttosto radicata in egg roll: per associazione di
idee involtino primavera ha una valenza decisamente più positiva, tendente al
melenso, che si addice ad esempio a una coppia di innamorati – visto e
considerato che è contenuta anche la parola primavera, ovvero la stagione degli
innamorati). In questa scena, inoltre, viene mantenuto il contesto culinario anche
alla fine: nell’ultima battuta, infatti, sentiamo Walt pronunciare puss-cake, in
50
51. italiano panna smontata. Puss-cake è un neologismo che Walt usa per indicare il
fatto che Thao sia debole, rammollito. In questo caso trovo che sia stato reso in
modo efficace nella cultura d’arrivo, senza che ci fosse un residuo comunicativo.
Si potevano proporre altre eventuali soluzioni, giocando con altre parole quali
pappa molle, budino o gelatina, ma panna smontata ha centrato in pieno
l’obbiettivo primario, ovvero quello di far divertire lo spettatore.
La scena presa in esame rappresenta l’ennesima riprova del fatto che, in tutto il
film, molte espressioni scurrili sono state sfumate, se non del tutto omesse in
alcune circostanze. In questo caso abbiamo l’esempio di dipshit (che vorrebbe dire
stronzo, testa di cazzo), reso con imbranato, appellativo familiare lungi
dall’essere volgare. Ancora una volta ci si allontana dall’idioletto del protagonista
con effetti di appiattimento linguistico e una coloritura espressiva ridotta al
minimo.
Veniamo ora a Toad e Tardo. In questo caso è evidente che la scelta traduttiva sia
stata fortemente vincolata dal nome Thao. In questo caso non mi sento di
distinguere tra traduzione source-oriented o target-oriented: la dominante qui è
un’altra. Alla base vi è il fatto che Walt, proprio per il disprezzo e la poca
considerazione che nutre inizialmente nei confronti di Thao, non è capace di
pronunciare correttamente il suo nome, o forse lo fa di proposito. Egli riproduce
semplicemente dei suoni, poco felici, che si avvicinano al nome Thao: in inglese
sentiamo quindi Toad, che letteralmente significa rospo, e in italiano Tardo. Si
comprende facilmente che in questo caso era necessario lavorare di fantasia,
anche a scapito della fedeltà letterale al testo di partenza.
51
52. In questa scena, inoltre, sono inseriti anche dei rimandi intertestuali, che meritano
di essere presi in considerazione. Iniziamo da Click Clack, Ding Dong and
Charlie Chan, che in italiano restano invariati. Walt sta facendo riferimento a tre
ragazzi asiatici di cui non conosce i nomi: li inventa schernendo il modo di parlare
degli orientali, molto lontano da quello degli occidentali e difficile da riprodurre.
Tuttavia, se Click Clack e Ding Dong sono dei suoni senza senso inventati per
imitare le lingue asiatiche, dietro Charlie Chan si cela un rimando intertestuale,
molto difficile da saper cogliere: Charlie Chan è il protagonista di una serie di
romanzi dello scrittore Earl Derr Biggers che veste i panni di un investigatore di
origine cinese e che è stato anche interpretato al cinema in ben quarantasette
lungometraggi. Ovviamente lo spettatore italiano, con tutta probabilità, non saprà
cogliere il rimando: in questo caso, posso ipotizzare che i dialoghisti abbiano
voluto privilegiare la dominante della comicità e mantenere il gioco dei suoni
pronunciati a caso che “fanno il verso” alle lingue orientali. Sarebbe stato difficile
rendere il rimando intertestuale con un analogo culturale, senza considerare che
ciò avrebbe interrotto la catena dei suoni. La scelta quindi di lasciare questa
stringa invariata è stata in funzione della scorrevolezza del film stesso.
Il secondo esempio di rimando intertestuale è quello dei three Stooges, reso in
italiano con un analogo culturale ben noto, ovvero i tre porcellini. The three
Stooges erano un trio comico esibitosi in farse e parodie tra il 1930 e il 1970,
molto conosciuto in America, quindi presumibilmente ben presente nella
“memoria televisiva” di Walt. In Italia erano conosciuti come I tre marmittoni, cui
per altro si ispirò anche una serie di cartoni animati. Tuttavia, nella nostra cultura
questo trio oggi non richiama nulla nella nostra mente (ci ricordiamo ad esempio
52
53. molto più facilmente dei famosi Stanlio e Ollio). Per questo motivo, si è preferita
una traduzione che fosse target-oriented, fornendo un analogo culturale che desse
l’idea di un trio divertente, che nel momento in cui veniva pronunciato facesse
sorridere lo spettatore.
3.5 Come diventare uomo: Walt e Martin docent
[1.13.20 – 1.13.52]
BARBER: Perfect, a Pollack and a BARBIERE: Ah perfetto, un polacco e un
chink. cinesino.
WALT: How are you doing, Martin, WALT: Come stai Martin, stronzo d’un
you crazy Italian prick? italiano pazzo?
BARBER: Walt, you cheap bastard, I BARBIERE: Brutto vecchio bastardo, ma
should have known you’d come in, I che sei venuto a fare, stavo passando
was having such a pleasant day. una bella giornata!
WALT: What did you do? You cue WALT: Come mai, hai fregato qualche
some poor blind guy out of his money, povero fesso di cliente dandogli il resto
gave him the wrong change? sbagliato?
BARBER: Who’s the Nip? BARBIERE: Chi è sto mongolo?
WALT: Oh, he’s the pussy kid from WALT: Lui è una femminuccia mio
next door and I’m just trying to man vicino di casa, sto cercando di farlo
him up a little bit. You see kid? Now diventare un po’ più uomo. Vedi
that’s how guys talk to one another. ragazzo, è così che parlano gli uomini
THAO: They do? tra di loro.
BARBER: What, you got shit in your THAO: Assi?
ears? BARBIERE: Che hai riso nelle orecchie?
A questo punto del film Walt comincia a mostrare il suo affetto paterno nei
confronti di Thao e lo guida nel suo percorso di “formazione”: gli trova un lavoro,
gli procura degli attrezzi di cui ha bisogno e cerca di renderlo un po’ più uomo.
Walt lo accompagna da Martin, il barbiere, per fargli vedere come parlano gli
uomini tra di loro.
53
54. Commento
Questa scena offre diversi aspetti da prendere in esame, a cominciare dalla
prima battuta: confrontando prototesto e metatesto ci accorgiamo della riduzione
espressiva che è stata applicata al testo d’arrivo. Pollack e chink sono entrambi
due appellativi razzisti, la cui componente ingiuriosa, tuttavia, va quasi
completamente perduta nei traducenti polacco e cinesino. Solo la parola cinese
viene rinforzata dal diminutivo per rendere il senso dispregiativo, ma il residuo
comunicativo permane.
Analogamente avviene anche per Nip e il suo traducente mongolo. A questo punto
sono d’obbligo due osservazioni: anzitutto nel metatesto è stata mantenuta la
stessa coerenza linguistica presente nel testo di partenza in relazione a chink e
Nip. Quando il barbiere si rivolge a Thao, entrambe le volte lo fa – non a caso –
identificando il ragazzo con una razza che non è la sua, chiamandolo prima cinese
e poi giapponese. Questo elemento viene mantenuto nel metatesto, anche se Nip
viene reso con mongolo: nella nostra cultura, però, questa parola viene usata
maggiormente come sinonimo volgare di deficiente, idiota e non come
espressione offensiva che prende di mira la provenienza geografica, come per Nip
e Pollack. In questo caso, mongolo rimanda ai tratti somatici del viso del ragazzo
con il taglio obliquo degli occhi, tipico dei popoli orientali.
In secondo luogo, questi esempi permettono di capire quanto sia specificante la
cultura e la lingua americana in questo determinato ambito: la lingua italiana non
dispone di così tante espressioni offensive nei confronti delle diverse popolazioni
orientali. Ciò si spiega col fatto che l’America è stata storicamente legata ai paesi
asiatici (si pensi all’attacco contro il Giappone durante la seconda Guerra
54
55. Mondiale, alla guerra in Vietnam e alla guerra in Corea) e questo ha influito anche
sulla lingua stessa, che si è evoluta in funzione delle vicissitudini storiche
americane.
Infine, la traduzione dell’ultima battuta è un esempio emblematico di
undertranslation, dove shit in your ears è stato reso con riso nelle orecchie. La
scelta di mitigare la parola shit con riso è certamente inopportuna, proprio alla
luce dello scambio verbale che è appena avvenuto tra Walt e Martin: trenta
secondi in cui i due personaggi si punzecchiano a vicenda senza peli sulla lingua,
rivolgendosi insulti gratuiti di ogni genere. Stanno mostrando a Thao come si
parla “tra uomini”: riso nelle orecchie non è nello stile di Martin, se consideriamo
che lo scambio dialogico prosegue poi per diversi secondi, in cui lo sentiamo
pronunciare porca troia, ho appena fatto riparare i freni e quei figli di puttana mi
hanno strizzato di brutto, mi hanno veramente inculato. L’edulcorazione di shit
risulta dunque fuori luogo e incoerente, sebbene la scelta di riso non sia del tutto
priva di fondamento, bensì in linea con il luogo comune contro gli asiatici che
ricorre in tutto il film. Con una differenza, però, tra la versione originale e quella
doppiata: riso e altri neologismi che contengono questa parola vengono usati nel
metatesto anche là dove nel prototesto compare un turpiloquio o un’espressione
più colorita. Ne risulta un appiattimento linguistico non indifferente: se
nell’originale troviamo ad esempio rice bag e shit in your ears (e si presuppone
che la scelta linguistica dello scenografo sia consapevole), perché nella versione
doppiata troviamo rispettivamente borsa del riso e riso nelle orecchie?
Proseguendo con il confronto tra testo di partenza e testo d’arrivo si nota che
questo non è l’unico caso di undertranslation, come già accennato nel commento
55