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Master in Risorse Umane e Organizzazione 2011-2012
Project Work: “Biblioteca dell’HR, tutto ciò che un professionista
HR deve conoscere”

Abbiamo chiesto ai partecipanti al Master, su base volontaria, di recensire alcuni libri di management,
organizzazione e narrativa.


GIANCARLO LUNATI: UNA CRONACA
A cura di Elisa Ruggeri

L’AUTORE

E’ il 1977 quando Giancarlo Lunati scrive la sua opera prima “Una cronaca”, romanzo-saggio che a
distanza di più di trenta anni conserva grande attualità ed appare come un lucido manifesto delle
problematiche che investono ogni giorno, ancora oggi, gli imprenditori e i capi del personale.

Giancarlo Lunati nasce nel 1928 in Provincia di Alessandria e subito dopo la laurea in Filosofia diviene il
responsabile dell’Ufficio Personale a fianco di Adriano Olivetti

E’ proprio l’esperienza professionale nella Olivetti a fare da sfondo alle pagine di questa cronaca e alle
vite dei suoi protagonisti, Carlo Rinaudo, Alberto Cilleri - entrambi alter ego di Lunati l’uno nella
componente culturale e politica, l’altro in quella professionale – e l’ingegner Sassetti – alter ego di
Adriano Olivetti.

Le vicende professionali che Alberto vive nella società dell’ingegner Sassetti sono di fatto quelle che
hanno segnato la storia della Olivetti, in particolare da quando, nel secondo dopoguerra, ne ha assunto
la guida Adriano, promuovendone lo sviluppo su scala internazionale attraverso la creazione di
numerose consociate e di stabilimenti di produzione e di montaggio.

IL CONTESTO STORICO E IL TITOLO

Il romanzo è ambientato nell’Italia del secondo dopoguerra e ripercorre le stagioni della vita italiana
dalla Resistenza alle soglie del 1968. Sono proprio i fatti storici a scandire e segnare la vita
professionale ed esistenziale dei protagonisti tessendo una trama in cui la dimensione privata e quella
pubblica non hanno più confini: la cronaca quotidiana, il vissuto personale divengono storia.
IL ROMANZO

Dal punto di vista strutturale il romanzo si compone di due parti perfettamente equilibrate e
complementari che vedono come protagonisti rispettivamente Carlo Rinaudo ed Alberto Cilleri, la cui
profonda amicizia è segnata dalle diverse scelte politiche, professionali ed affettive.

Le loro vite si dividono all’inizio del romanzo, nella giornata dell’armistizio, e si ricongiungono solo alla
fine della vita di uno dei due, quando ormai la storia ha preso il sopravvento sull’esistenza e all’uomo
non resta che ripercorrerne le tracce e i passaggi fondamentali.

Quella dell’8 settembre è una giornata fondamentale nella storia, ma anche nella giovane vita di Carlo
Rinaudo: la saggezza dei filosofi e degli storici che tanto ama leggere devono rappresentare la chiave
interpretativa privilegiata per “entrare” nella storia e partecipare attivamente ai fatti del suo tempo.

Da queste posizioni prende le distanze Alberto, animo freddo e razionale che dall’alto delle sue origini
aristocratiche preferisce una neutralità che si rivelerà una sorta di negazione della storia.

E’, fin da subito, chiaro a Carlo che la migliore arma per agire a lungo termine nella storia non è la
lotta violenta ma il lavoro sulle coscienze. Solo in questo modo il popolo potrà essere realmente
educato alla fede assoluta nell’uguaglianza e solo in questo modo sarà possibile comprendere le logiche
che muovono le masse nella dinamica del lavoro.

 Il suo ottimismo verso il futuro, l’intelligenza, la forza comunicativa e la piena comprensione del reale
impatto con la fabbrica e del lavoro ripetitivo, che in essa si svolge, fanno di lui, progressivamente, un
grande capo dotato di carisma, in grado di parlare ed educare il popolo ad essere futura classe
dirigente.

E per fare ciò bisogna stare nel sistema e modificarlo dall’interno, perché non è sufficiente parlare di
riforme ad una classe operaia, abituata a ritmi estenuanti e ripetitivi di lavoro, ma è necessario
prepararla a riceverle e l’unica linea possibile è quella della paziente lotta per i tempi lunghi
attraverso lo sviluppo delle tradizioni culturali.

Il lavoro, secondo Carlo, dà all’uomo conforto nella vita pubblica e in quella privata, perché la
certezza di aver speso una giornata assolvendo scrupolosamente i propri impegni significa continuare a
vivere nella dimensione del dovere, “quella che in qualsiasi epoca ha un valore per un uomo onesto”;
ma essa, per dare effettiva completezza all’uomo, deve necessariamente unirsi alla dimensione
personale ed affettiva.

Carlo vive, infatti, nell’assoluta convinzione che “non basta essere diligenti lavoratori, occorre capire
gli altri e per capirli bisogna volergli bene”.

Anche Alberto, razionale e disincantato ingegnere, è consapevole che per agire profondamente nella
storia è necessario guardare al futuro ma ciò che gli manca, a differenza di Carlo, è la capacità di
guardare al presente, nella sua contingenza e nella sua specificità.

E’ una visione questa che, invece, non manca all’ingegner Sassetti, “uno degli industriali più scomodi
in Italia, figura ambigua da alcuni percepito come un mero esteta, da altri come uno scaltro uomo
d’affari”, uno tra i pochi, come del resto Olivetti, ad aver ben presente il rapporto fabbrica-territorio
tanto da riuscire a considerare “la fabbrica e l’ambiente circostante come economicamente solidali”.

Per Sassetti “solo chi crede a quel che ancora non c’è, crea progresso” e per tale motivo occorre
lavorare sulle riforme relative all’orario di lavoro e al salario ma bisogna altresì lavorare a fondo sul
contesto nel quale la fabbrica intende nascere per comprenderne i punti di forza e quelli di debolezza.

Alberto invece non riesce ad affermare le proprie posizioni, frutto di onestà e responsabilità
intellettuale perché incapace di condividere gli obiettivi, i programmi, la progettualità, la visione
dell’impresa e della crescita imprenditoriale; un’incapacità che più che professionale è soprattutto
umana: guarda al futuro rifiutando il presente determinando, così, un’insanabile contraddizione.

Le sue lucide intuizioni sul futuro dell’impresa sono, però, costantemente e continuamente apprezzate
dal Sassetti, il quale non può non riconoscere che l’industria italiana, per prepararsi a trasformazioni
radicali nei tempi e nei metodi organizzativi, deve introdurre nuove tecnologie e formare gli operai al
loro utilizzo, considerando il loro sempre più elevato livello di scolarizzazione e la non accettazione di
lavori alienanti.

E’ il 1959 quando Alberto, torturato dalle costruzioni della sua intelligenza che mal si conciliano con la
realtà, si trasferisce in America: sono questi gli anni in cui sul palcoscenico politico si impone Kennedy,
l’uomo della “nuova frontiera” del progresso e della prosperità, l’uomo della razionalità, per il quale
“l’intelligenza è il dono più grande che vale da solo tutte le altre qualità della specie”.

 Ma, di nuovo, Alberto non riesce a fare i conti con la realtà, con la quale, invece, Kennedy deve
misurarsi; teme in lui un mero seduttore e si rifugia ancora una volta nel senso comune, quello che non
può credere che cambi qualcosa, nel profondo, poiché “l’alternativa razionale tanto attesa lo
impaurisce come un’ipotesi che realizzandosi distrugge chi l’ha formulata”.

Un’eccitazione profonda coinvolgerà per la prima volta Alberto solamente nel 1961 alla notizia che il
russo Yuri Gagarin ha effettuato il primo viaggio sulla luna: è finalmente il trionfo della scienza e della
razionalità e del loro dominio sulle forze dello spazio.

E’, dunque, questa l’esperienza che riaccende in Alberto la fiducia in un futuro razionale ed ordinato,
attraverso l’accelerazione dei processi tecnologici.

Da uomo razionale, Alberto capisce che se vuole realmente mettere la sua intelligenza al servizio della
società deve accettare che la dimensione morale, quella politica e quella economica procedano su un
terreno contiguo, ma perché ciò avvenga è necessaria una classe dirigente di politici-economisti in
grado di districarsi nella logica dei fattori produttivi e dei principali flussi, da quello salariale a quello
dei consumi e dei prezzi.

L’ingegnere scopre che attenuare la rigidità dei suoi schemi mentali gli consente di avere una visione
della realtà più completa e gestibile, comprende finalmente la logica imprenditoriale e culturale del
vero capo, Sassetti, e chiude il cerchio delle scelte da questi compiute nel corso della sua vita
aziendale ed in particolare nel processo di espansione della sua impresa.

Sassetti è Il Capo che ha sempre avuto fiducia nel paese e nella terra in cui ha deciso di far nascere la
sua industria, convinto che l’Italia sia un paese capace di superare le crisi presenti e future attraverso
la lenta costruzione di un patrimonio di “ricordi validi” in grado di alimentare elementi invisibili ma
fortissimi quali la fiducia nel futuro.

L’industria, spiega l’industriale, è l’essenza di un paese, sia dal punto di vista economico che
esistenziale poiché incarna il suo livello di povertà e di ricchezza ma anche i suoi valori, la sua cultura
e la percezione che l’uomo, attraverso il ruolo che vi riveste, ha della vita.
Un bravo capo è, dunque, colui che è in grado di organizzare le risorse in modo lungimirante, tagliando
i rami secchi per produrre beni vendibili con profitto e cercando al contempo di evitare che i più
giovani si lascino pervadere dal senso di sconfitta e di insicurezza, che i più deboli imparino gli
espedienti per lavorare sulle spalle degli altri e che i peggiori diffondano il senso del successo fondato
sulla generale corruzione.

Compito dei veri capi è dunque quello di riuscire a trasmettere l’importanza dell’organizzazione
industriale e dell’impegno quotidiano sul lavoro; “un lavoro che non è né castigo biblico né meramente
dura necessità ma è moralità, dovere e soprattutto insegnamento di vita”.

Se la classe dirigente è in grado di farsi custode di leggi giuste basate sui valori del lavoro sarà
definitivamente chiaro anche ai più umili che nulla potrà mai sostituirsi al lavoro dell’uomo.

Al contrario, Alberto non avrà mai quella “dote che riunisce insieme ingenuità e scaltrezza tipica dei
capi veri, quelli che si ritrovano in piedi anche dopo i peggiori uragani e riescono a raccogliere attorno
a sé simpatia e rispetto”.

Ma prendere coscienza dei propri limiti rappresenta per lui una rinascita perché da uomo intelligente
capisce che non è mai troppo tardi per migliorare e per fare delle proprie debolezze dei punti di forza.

E’ in questa nuova dimensione che egli recupera i luoghi dell’infanzia e comprende le ragioni profonde
che hanno spinto Sassetti a non trascurare le terre, gli uomini e l’ambiente in cui è sorto il primo
stabilimento.

Nessuna espansione, nessun progresso a lungo termine è mai ipotizzabile e credibile se si dimenticano e
si trascurano le radici. Esse rappresentano quel patrimonio di ricordi positivi che creano valore
esistenziale, economico e sociale.

Ed è in questa dimensione che, in punto di morte, Alberto recupera il rapporto con l’amico Carlo
chiedendogli di continuare a credere nell’educazione delle masse, nella formazione delle coscienze per
un’umanità eguale “non solo nel bisogno e nel reddito ma pure nella sfera del sensibile, nella tattilità
e nel nervo ottico”.

Anche il ruolo di Carlo è finalmente definito, il cerchio si chiude: il suo compito sarà quello di
testimoniare da una cattedra all’altra la continuità nella stabilità, insegnando i valori della libertà,
dell’onestà di critica e del viver civile.

E allora, sarà chiaro che la vita è un equilibrio che alterna valori spesso tra loro apparentemente
inconciliabili, a volte ne esclude alcuni per ricomprenderne altri in un circolo virtuoso che attraverso
un processo di ricostruzione, sviluppo e maturazione consente, alla fine, di recuperare, in una
prospettiva diversa e di rinnovamento, tutti i valori, i ricordi, gli affetti e le esperienze che
sembravano perduti.

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Recensione libro: Una cronaca

  • 1. Master in Risorse Umane e Organizzazione 2011-2012 Project Work: “Biblioteca dell’HR, tutto ciò che un professionista HR deve conoscere” Abbiamo chiesto ai partecipanti al Master, su base volontaria, di recensire alcuni libri di management, organizzazione e narrativa. GIANCARLO LUNATI: UNA CRONACA A cura di Elisa Ruggeri L’AUTORE E’ il 1977 quando Giancarlo Lunati scrive la sua opera prima “Una cronaca”, romanzo-saggio che a distanza di più di trenta anni conserva grande attualità ed appare come un lucido manifesto delle problematiche che investono ogni giorno, ancora oggi, gli imprenditori e i capi del personale. Giancarlo Lunati nasce nel 1928 in Provincia di Alessandria e subito dopo la laurea in Filosofia diviene il responsabile dell’Ufficio Personale a fianco di Adriano Olivetti E’ proprio l’esperienza professionale nella Olivetti a fare da sfondo alle pagine di questa cronaca e alle vite dei suoi protagonisti, Carlo Rinaudo, Alberto Cilleri - entrambi alter ego di Lunati l’uno nella componente culturale e politica, l’altro in quella professionale – e l’ingegner Sassetti – alter ego di Adriano Olivetti. Le vicende professionali che Alberto vive nella società dell’ingegner Sassetti sono di fatto quelle che hanno segnato la storia della Olivetti, in particolare da quando, nel secondo dopoguerra, ne ha assunto la guida Adriano, promuovendone lo sviluppo su scala internazionale attraverso la creazione di numerose consociate e di stabilimenti di produzione e di montaggio. IL CONTESTO STORICO E IL TITOLO Il romanzo è ambientato nell’Italia del secondo dopoguerra e ripercorre le stagioni della vita italiana dalla Resistenza alle soglie del 1968. Sono proprio i fatti storici a scandire e segnare la vita professionale ed esistenziale dei protagonisti tessendo una trama in cui la dimensione privata e quella pubblica non hanno più confini: la cronaca quotidiana, il vissuto personale divengono storia.
  • 2. IL ROMANZO Dal punto di vista strutturale il romanzo si compone di due parti perfettamente equilibrate e complementari che vedono come protagonisti rispettivamente Carlo Rinaudo ed Alberto Cilleri, la cui profonda amicizia è segnata dalle diverse scelte politiche, professionali ed affettive. Le loro vite si dividono all’inizio del romanzo, nella giornata dell’armistizio, e si ricongiungono solo alla fine della vita di uno dei due, quando ormai la storia ha preso il sopravvento sull’esistenza e all’uomo non resta che ripercorrerne le tracce e i passaggi fondamentali. Quella dell’8 settembre è una giornata fondamentale nella storia, ma anche nella giovane vita di Carlo Rinaudo: la saggezza dei filosofi e degli storici che tanto ama leggere devono rappresentare la chiave interpretativa privilegiata per “entrare” nella storia e partecipare attivamente ai fatti del suo tempo. Da queste posizioni prende le distanze Alberto, animo freddo e razionale che dall’alto delle sue origini aristocratiche preferisce una neutralità che si rivelerà una sorta di negazione della storia. E’, fin da subito, chiaro a Carlo che la migliore arma per agire a lungo termine nella storia non è la lotta violenta ma il lavoro sulle coscienze. Solo in questo modo il popolo potrà essere realmente educato alla fede assoluta nell’uguaglianza e solo in questo modo sarà possibile comprendere le logiche che muovono le masse nella dinamica del lavoro. Il suo ottimismo verso il futuro, l’intelligenza, la forza comunicativa e la piena comprensione del reale impatto con la fabbrica e del lavoro ripetitivo, che in essa si svolge, fanno di lui, progressivamente, un grande capo dotato di carisma, in grado di parlare ed educare il popolo ad essere futura classe dirigente. E per fare ciò bisogna stare nel sistema e modificarlo dall’interno, perché non è sufficiente parlare di riforme ad una classe operaia, abituata a ritmi estenuanti e ripetitivi di lavoro, ma è necessario prepararla a riceverle e l’unica linea possibile è quella della paziente lotta per i tempi lunghi attraverso lo sviluppo delle tradizioni culturali. Il lavoro, secondo Carlo, dà all’uomo conforto nella vita pubblica e in quella privata, perché la certezza di aver speso una giornata assolvendo scrupolosamente i propri impegni significa continuare a vivere nella dimensione del dovere, “quella che in qualsiasi epoca ha un valore per un uomo onesto”; ma essa, per dare effettiva completezza all’uomo, deve necessariamente unirsi alla dimensione personale ed affettiva. Carlo vive, infatti, nell’assoluta convinzione che “non basta essere diligenti lavoratori, occorre capire gli altri e per capirli bisogna volergli bene”. Anche Alberto, razionale e disincantato ingegnere, è consapevole che per agire profondamente nella storia è necessario guardare al futuro ma ciò che gli manca, a differenza di Carlo, è la capacità di guardare al presente, nella sua contingenza e nella sua specificità. E’ una visione questa che, invece, non manca all’ingegner Sassetti, “uno degli industriali più scomodi in Italia, figura ambigua da alcuni percepito come un mero esteta, da altri come uno scaltro uomo d’affari”, uno tra i pochi, come del resto Olivetti, ad aver ben presente il rapporto fabbrica-territorio tanto da riuscire a considerare “la fabbrica e l’ambiente circostante come economicamente solidali”. Per Sassetti “solo chi crede a quel che ancora non c’è, crea progresso” e per tale motivo occorre
  • 3. lavorare sulle riforme relative all’orario di lavoro e al salario ma bisogna altresì lavorare a fondo sul contesto nel quale la fabbrica intende nascere per comprenderne i punti di forza e quelli di debolezza. Alberto invece non riesce ad affermare le proprie posizioni, frutto di onestà e responsabilità intellettuale perché incapace di condividere gli obiettivi, i programmi, la progettualità, la visione dell’impresa e della crescita imprenditoriale; un’incapacità che più che professionale è soprattutto umana: guarda al futuro rifiutando il presente determinando, così, un’insanabile contraddizione. Le sue lucide intuizioni sul futuro dell’impresa sono, però, costantemente e continuamente apprezzate dal Sassetti, il quale non può non riconoscere che l’industria italiana, per prepararsi a trasformazioni radicali nei tempi e nei metodi organizzativi, deve introdurre nuove tecnologie e formare gli operai al loro utilizzo, considerando il loro sempre più elevato livello di scolarizzazione e la non accettazione di lavori alienanti. E’ il 1959 quando Alberto, torturato dalle costruzioni della sua intelligenza che mal si conciliano con la realtà, si trasferisce in America: sono questi gli anni in cui sul palcoscenico politico si impone Kennedy, l’uomo della “nuova frontiera” del progresso e della prosperità, l’uomo della razionalità, per il quale “l’intelligenza è il dono più grande che vale da solo tutte le altre qualità della specie”. Ma, di nuovo, Alberto non riesce a fare i conti con la realtà, con la quale, invece, Kennedy deve misurarsi; teme in lui un mero seduttore e si rifugia ancora una volta nel senso comune, quello che non può credere che cambi qualcosa, nel profondo, poiché “l’alternativa razionale tanto attesa lo impaurisce come un’ipotesi che realizzandosi distrugge chi l’ha formulata”. Un’eccitazione profonda coinvolgerà per la prima volta Alberto solamente nel 1961 alla notizia che il russo Yuri Gagarin ha effettuato il primo viaggio sulla luna: è finalmente il trionfo della scienza e della razionalità e del loro dominio sulle forze dello spazio. E’, dunque, questa l’esperienza che riaccende in Alberto la fiducia in un futuro razionale ed ordinato, attraverso l’accelerazione dei processi tecnologici. Da uomo razionale, Alberto capisce che se vuole realmente mettere la sua intelligenza al servizio della società deve accettare che la dimensione morale, quella politica e quella economica procedano su un terreno contiguo, ma perché ciò avvenga è necessaria una classe dirigente di politici-economisti in grado di districarsi nella logica dei fattori produttivi e dei principali flussi, da quello salariale a quello dei consumi e dei prezzi. L’ingegnere scopre che attenuare la rigidità dei suoi schemi mentali gli consente di avere una visione della realtà più completa e gestibile, comprende finalmente la logica imprenditoriale e culturale del vero capo, Sassetti, e chiude il cerchio delle scelte da questi compiute nel corso della sua vita aziendale ed in particolare nel processo di espansione della sua impresa. Sassetti è Il Capo che ha sempre avuto fiducia nel paese e nella terra in cui ha deciso di far nascere la sua industria, convinto che l’Italia sia un paese capace di superare le crisi presenti e future attraverso la lenta costruzione di un patrimonio di “ricordi validi” in grado di alimentare elementi invisibili ma fortissimi quali la fiducia nel futuro. L’industria, spiega l’industriale, è l’essenza di un paese, sia dal punto di vista economico che esistenziale poiché incarna il suo livello di povertà e di ricchezza ma anche i suoi valori, la sua cultura e la percezione che l’uomo, attraverso il ruolo che vi riveste, ha della vita.
  • 4. Un bravo capo è, dunque, colui che è in grado di organizzare le risorse in modo lungimirante, tagliando i rami secchi per produrre beni vendibili con profitto e cercando al contempo di evitare che i più giovani si lascino pervadere dal senso di sconfitta e di insicurezza, che i più deboli imparino gli espedienti per lavorare sulle spalle degli altri e che i peggiori diffondano il senso del successo fondato sulla generale corruzione. Compito dei veri capi è dunque quello di riuscire a trasmettere l’importanza dell’organizzazione industriale e dell’impegno quotidiano sul lavoro; “un lavoro che non è né castigo biblico né meramente dura necessità ma è moralità, dovere e soprattutto insegnamento di vita”. Se la classe dirigente è in grado di farsi custode di leggi giuste basate sui valori del lavoro sarà definitivamente chiaro anche ai più umili che nulla potrà mai sostituirsi al lavoro dell’uomo. Al contrario, Alberto non avrà mai quella “dote che riunisce insieme ingenuità e scaltrezza tipica dei capi veri, quelli che si ritrovano in piedi anche dopo i peggiori uragani e riescono a raccogliere attorno a sé simpatia e rispetto”. Ma prendere coscienza dei propri limiti rappresenta per lui una rinascita perché da uomo intelligente capisce che non è mai troppo tardi per migliorare e per fare delle proprie debolezze dei punti di forza. E’ in questa nuova dimensione che egli recupera i luoghi dell’infanzia e comprende le ragioni profonde che hanno spinto Sassetti a non trascurare le terre, gli uomini e l’ambiente in cui è sorto il primo stabilimento. Nessuna espansione, nessun progresso a lungo termine è mai ipotizzabile e credibile se si dimenticano e si trascurano le radici. Esse rappresentano quel patrimonio di ricordi positivi che creano valore esistenziale, economico e sociale. Ed è in questa dimensione che, in punto di morte, Alberto recupera il rapporto con l’amico Carlo chiedendogli di continuare a credere nell’educazione delle masse, nella formazione delle coscienze per un’umanità eguale “non solo nel bisogno e nel reddito ma pure nella sfera del sensibile, nella tattilità e nel nervo ottico”. Anche il ruolo di Carlo è finalmente definito, il cerchio si chiude: il suo compito sarà quello di testimoniare da una cattedra all’altra la continuità nella stabilità, insegnando i valori della libertà, dell’onestà di critica e del viver civile. E allora, sarà chiaro che la vita è un equilibrio che alterna valori spesso tra loro apparentemente inconciliabili, a volte ne esclude alcuni per ricomprenderne altri in un circolo virtuoso che attraverso un processo di ricostruzione, sviluppo e maturazione consente, alla fine, di recuperare, in una prospettiva diversa e di rinnovamento, tutti i valori, i ricordi, gli affetti e le esperienze che sembravano perduti.